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Il pentimento di Dio di Rosario Pittera La maturità umana nella formazione presbiterale di Cosimo Gangemi Nuove opportunità per lo studio di Dario Impellizzeri


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Partendo dagli studi psicologici condotti prima del mio ingresso in Seminario ho tentato di effettuare un’ulteriore sintesi con i contenuti offertimi in questi 5 anni di formazione allo Studio Teologico San Paolo focalizzando la mia attenzione proprio sulla formazione sacerdotale e sull’imprescindibile importanza data alla dimensione umana e a quegli strumenti (tra cui l’accompagnamento psicologico) utili per il suo raggiungimento. Dal Concilio Vaticano II in poi, che ha posto come meta ultima della formazione sacerdotale l’edifi cazione di un cuore “da pastore”, la dimensione umana ha assunto sempre più un’importanza ineludibile. Ad essere sempre più chiara è l’idea che sacerdozio ed umanità non costituiscono due categorie che si escludono a vicenda ma piuttosto che entrambe, in scambievole e reciproco dialogo, sono chiamate a trovare spazio nel presbitero poiché solo muovendo da un’umanità ben strutturata è possibile vivere il proprio ministero nella pienezza, come chiamata ad una oblatività che sappia trasformare il proprio sacrifi cio in vita donata. In altre parole, ciò che emerge dai documenti, e da una sincera lettura della realtà circostante, è la necessità di un accompagnamento che sappia spingere verso un’integrazione psico-affettiva del candidato. Si tratta di formare personalità integrate cioè personalità «dal cuore dilatato verso l’alto e verso il basso – direbbe Manenti – sensibili alla luce delle stelle ma anche alle ombre dell’uomo, capaci di toccare il cielo senza la paura del sentirsi pienamente umani». Formare uomini-preti: questa è la sfi da della Chiesa contemporanea. Formare personalità pacifi cate con la propria umanità capaci di annunciare il vangelo dentro i propri limiti e le proprie fragilità, capaci di essere trasparenza di Dio nonostante le correnti avverse, segregati in seno al Popolo per passione all’uomo e debitori di una chiamata che ha trasfi gurato la propria storia.


Cosimo Gangemi

NUOVE OPPORTUNITÀ PER LO STUDIO



Si sa che la vita del seminarista è dettata da ritmi serrati dove la preghiera e lo studio hanno ruoli predominanti nella sua formazione. Entrambe queste dimensioni devono essere attentamente curate da noi futuri sacerdoti! Come la preghiera nutre e riscalda il cuore, uno studio serio e attento ci fornirà quel nutrimento necessario per poter affrontare le sfi de che il mondo, oggi, ci propone. Per lo studio, noi seminaristi, possiamo attingere dalla nostra biblioteca e da quella diocesana, attigua ai nostri locali. Una biblioteca è sempre una ricchezza enorme e senza valore; diceva Ingre Feltrinelli: «i libri sono tutto. I libri sono la vita». Proprio per questo, l’estate scorsa, ci siamo occupati della sistemazione del fondo donato dal compianto sacerdote Salvatore Arcifa presso la biblioteca del Seminario e di altri fondi, più piccoli, donati da nostri benefattori, che abbiamo collocato e catalogato nella nuova sala studio don Attilio Gangemi. Un lavoro che ha visto coinvolta l’intera comunità; un lavoro faticoso, sicuramente, ma che ci ha visto uniti nel lavoro e, perché no, ci ha fatto capire che la cultura ha un suo “peso” – a volte tanto grande! Voglio concludere con una citazione di Gabrielle Zevin, la quale afferma: «Una città senza libreria è un luogo senza cuore»; non a caso, dunque, la nostra libreria è accanto la cappella maggiore, cuore del Seminario e dell’intera Diocesi!


Dario Impellizzeri

“Va’ e anche tu fa’ così!”




C'è anche un aspetto dell’apertura universale dell’amore che non è geografi co ma esistenziale. È la capacità quotidiana di allargare la mia cerchia, di arrivare a quelli che spontaneamente non sento parte del mio mondo di interessi, benché siano vicino a me. D’altra parte, ogni fratello o sorella sofferente, abbandonato o ignorato dalla mia società è un forestiero esistenziale, anche se è nato nello stesso Paese. Può essere un cittadino con tutte le carte in regola, però lo fanno sentire come uno straniero nella propria terra. Il razzismo è un virus che muta facilmente e invece di sparire si nasconde, ma è sempre in agguato.
Voglio ricordare quegli “esiliati occulti” che vengono trattati come corpi estranei della società. Tante persone con disabilità «sentono di esistere senza appartenere e senza partecipare». […] Ugualmente penso alle persone anziane «che, anche a motivo della disabilità, sono sentite a volte come un peso». Tuttavia, tutti possono dare «un singolare apporto al bene comune attraverso la propria originale biografi a».
La soluzione non è un’apertura che rinuncia al proprio tesoro. Come non c’è dialogo con l’altro senza identità personale, così non c’è apertura tra popoli se non a partire dall’amore alla terra, al popolo, ai propri tratti culturali. Non mi incontro con l’altro se non possiedo un substrato nel quale sto saldo e radicato, perché su quella base posso accogliere il dono dell’altro e offrirgli qualcosa di autentico. È possibile accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura».