secondo quaderno: gennaio 2009

Page 1

Quaderni della Scuola elementare di scrittura emiliana secondo quaderno gennaio 2009


Sono qui raccolti alcuni degli esercizi che sono usciti cjalhi Scuola elementare ili scrittura emiliana che si è tenuta a Bologna, alla libreria MODO infbshop lutei no -1, tra il mese di settembre e il mese di dicembre dell'anno 2008. Questo secondo quaderno succede a un primo quaderno uscito nel 2007 a cura dell'Arci di Reggio Umili, associamone presso la quale si sono tenuti, nel 2006, i primi corsi della Scuola elementare di .scrimini emiliana.


Scrivete quello che succede fiiori dalla vostra finestra alle ore 15 di giovedì 2 ottobre 2008.

S

uona l'allarme dell'agenda elettronica; controllo e vedo lampeggiare un memo che mi ricorda il compito della Scuola di scrittura. Subito alzo la testa per guardare fuori. Dico fuori perché mi trovo all'interno della cabina di pilotaggio di un Boeing 757 proveniente da Tei Aviv parcheggiato sulla pista dell'aeroporto di Bergamo Orio al Serio. Il finestrino davanti inquadra la pista in due piccolissime metà. Chiedo al Comandante come faccia a vedere con un vetro così piccolo e lui mi risponde in inglese: "meno vedo meglio sto". (Massimo Bianconi)

E

d è poi andata così, che tra una cosa e l'altra mi ero avvicinato alla finestra della cucina e allora, dalla via che c'ero, mi sono affacciato. La finestra della cucina da sull'interno della corte. La corte è formata da quattro blocchi disposti a rettangolo, i lati più lunghi — uno è quello da cui affaccio — si fanno in una cinquantina di passi. I blocchi sono alti tre piani più il piano terra, dove si aprono i varchi per uscire in strada o per accedere ai portoni dei civici. I mattoni hanno una colorazione pallida, i vani delle finestre sono incorniciati da un conglomerato bianco. C'è un piancito a grandi lastre tutto intorno a ridosso dei blocchi. Al centro, innalzate di tre scalini, ci sono macchie d'erba stinta separate da sentieri ortogonali e murctti bassi. Sul prato ci sono gli alberi - una decina — e due panchine verdi, ci sono i fili per la bucata — forse il tocco pili retro — e una siepe. Per il resro si vede il ciclo. Ho visto la padrona del gatto Bill! camminare lenta lenta e gobba sul piancito e fermarsi quasi sotto di me. L'ho sentita che diceva qualcosa a voce alta, poi ho capito che parlava con la Casrelli, che infatti è sbucata da sotto, da dove c'è il portone. Sono rimaste lì a parlare, la signora Clara e la Castelli. Più in là, sulla destra, si stava avvicinando uno con un sacchetto della spesa. Mi sono voltato a guatdar l'ora sul muro ed erano le tre spaccate, mi sono affacciato di nuovo. II tale col sacchetto della spesa aveva quasi raggiunto le due vecchiette. A quel punto, con un sibilo ed un tuono, sopra di noi è passato il meteorite. (Lotenzo Biagini)


T 'ultimo piano ha le imposte quasi sempre chiuse, al balcone non ci sono i fili del I j bucato e un vano finestra è stato perfino murato — perché mai murare una finestra? Il vano rimane per giunta visibile perché è stato come tappato da un fondo nero che ha il colore opaco del bitume. Un'alta siepe ripara invece quel che immagino sia il loro terrazzo privato. La siepe è sempre piuttosto ordinata, le foglie verdi, tagliate con precisione. Non ho mai visto nessuno potarla, né innaffiarla. Al di sotto della siepe, lungo il cornicione squadrato, un arboscello alto due palmi. Deve essere spuntato da una breccia nel cemento. Sullo stesso cornicione vengono i colombi, uno dietro l'altro, uno identico all'altro. Qualche volta ho provato a colpirne uno, con il tappo di una birra o altro cosi: ho una pessima mira, e gli stronzi si alzano in volo e dopo aver descritto un intero giro dell'interno, tornano muti al punto di partenza. Stamattina una donna è uscita oltre la siepe a rincorrere un pallone. Tra il cornicione e il vuoto c'è solo una rete metallica alta più o meno quanto lei. Dietro di lei è spuntato un cane, ha raggiunto il pallone prima della donna, l'ha stoppato col muso per terra e con le zampe divaricate è rimasto ad aspettare la sua padroncina. Non so niente di cani io, deve essere uno di quelli aggressivi. È molto atletico. Anche lei è atletica, ha delle belle gambe e nella sua tutina viola si muove veloce. Porta un cappello con la visiera, i capelli li ha raccolti sotto; s'indovinano biondi, per un paio di ciocche sulla nuca. Quando la donna ha raggiunto il cane, ha divaricato anche lei leggermente le gambe, ora il pallone sta lì in mezzo, sotto il muso del mastino, conteso. Quando lei lo calcia, lateralmente, lui solleva il muso e poi s'avventa verso la rete metallica per recuperarlo. Lei fa lo stesso, e il cane è nuovamente più veloce. Questa volta lo stop non gli riesce, e la ragazza può tornare a calciarlo una e due volte spedendolo verso la siepe oltre la quale scompaiono entrambi. Anche il sole è scomparso dietro le nuvole, sul davanzale il vento fa mulinare la cenere nella coppetta in cui ho spento la sigaretta. Tra qualche pomeriggio faranno così anche le foglie per strada. Quando i due, la donna e il cane, tornano alla mia vista lei non ha più il suo cappello con la visiera, una montagna di ricci biondi le cadono sulla giacca della tuta. Corre più di prima, e il cagnone più di lei. Ogni tanto la donna si blocca, il cane le si fa sotto, lei abbozza una finta, lui molleggia senza farsi ingannare. Un altro gran calcio e di nuovo appresso al pallone. Intanto il vento si è alzato di più, il pallone è leggero, la ragazza ha perso il controllo della palla, i capelli le vanno sul viso. Prima di vedere le prime gocce sui miei vetri, la ragazza scompare oltre la siepe. Il cane, con la sua stupida posa di marmo, resta lì un po' e poi scatta verso casa. Fanno appena in tempo, viene giù il temporale, il pallone va avanti e indietro spinto dal vento sul pavimento bagnato. La siepe ondeggia, e l'aria s'impregna d'acqua. (Massimiliano Tagliente)


D

ue vasi, aì due lati del davanzale, entrambi contenenti delle piante secche. Erano quelle piante tipiche da regalo natalizio un po' formale, adatte a quando non si sa cosa regalare a delle signore, che hanno grandi foglie verdi che poi cambiano colore e diventano rosse, e allora si dice che sono fiorite. Non mi è molto chiara la faccenda, ma più o meno è cosi. Si chiamano scelle di natale. L'anno passato ne ho ricevute due. Ora stanno lì, sul davanzale. Secche. All'inizio le innaffiavo: poi però me le sono dimenticate, anche se ogni volta che alzo lo sguardo le vedo. Strana dimenticanza. E comunque, pensavo di non toglierle, di lasciarle li, su quella finestra che non è proprio una finestra. Se penso a una finestra penso alla luce, all'aria, allo sguardo che si libera. Leon Battista Alberti usò la metafora della finestra aperta per spiegare meglio come il quadro costruito seguendo le regole prospettiche e i punti di fuga divenisse un mondo altro o sostitutivo. Il mondo appunto deU'immagine e deirimmaginario, dell'evasione. Dalla mia finestra vedo dei tubi, un muro e un'altra finestra che da su un interno: è, in pratica, la negazione della finestra, è una non-finestra. Non arriva la luce, arrivano le puzze dei tubi - delle strane puzze, simili a degli odori di cucina che non capisco bene da dove provengano - e lo sguardo rimane fermo. Anzi, rimbalza indietro. Guardare fuori da quella finestra non so se mi fa tanto bene. E la finestra del posto dove lavoro, tutti i giorni, diverse ore al giorno. Forse devo prendere dei provvedimenti. (Simona Brighctti)


Scrivete una serie di ricordi che comincino con le parole Mi ricordo.

I

o mi ricordo i leoni ai Giardini Margherita Io mi ricordo che Raimondi prima di accingersi a leggere Manzoni diceva: "ascoltiamo". Io mi ricordo il latte crudo che ci portava il nonno e il tappo agganciato al collo del bottiglione che avevo paura a far scattare da solo. Io mi ricordo il suono del dialetto di montagna e quelle volte che mia madre lo parlava mi sembrava un'altra persona. Io mi ricordo il primo Spalding di pelle tra le mani e il buco di un tarlo nell'incunabolo aperto in sala manoscritti e rari. 10 mi ricordo che una volta non riuscivo a credere che la Virtus aveva perso a Cantù. (Massimo Bianconi)

M

i ricordo che mio padre mi tirava le orecchie, anche da grande, quando gli rispondevo male; sapevo che una cosa del genere non succedeva a nessuna delle mie amiche e credevo lui fosse un conservatore. Mi ricordo di quando andavo in discoteca, non più di dieci anni fa, e mi vestivo in modo allarmante; mi ricordo proprio bene quella voglia di dare dei baci a caso, che all'epoca si chiamava "andare con uno"; una cosa proprio da pervertiti, credo adesso. Io poi ho avuto la mononucleosi e ho preso paura perché un tipo mi ha messo in testa che quella era la malattia del bacio; mia mamma però ha montato su una storia del tutto credibile per cui risultava che io l'avevo presa dal dentista. Mi ricordo la sicurezza con cui rispondevo alle interrogazioni alle superiori. Una sicurezza che non so da dove venisse, molto ingenua, completamente mia. Ricordo di averla persa da qualche parte all'università, e ricordo anche di aver pensato che crescere non vuoi dire per forza migliorare, e che la consapevolezza fa disastri. Poi mi ricordo un tipo sulla cinquantina. Mi sono ritrovata da sola con lui sul tardi, in un vagone del treno partito da Milano. Era sblusato e tutto vestito a righe, poco simpatico, 11 parolone facile: "la melancolia", diceva, e anche che "prendeva coscienza". La luce era gialla, quella dei treni di notte, e smussava le forme di tutto. Lui guardava verso il finestrino prima di dire ogni cosa: io seguivo il suo sguardo e Io vedevo riflesso e capivo che non stava guardando fuori ma si specchiava. Parlava della sua storia d'amore, ed era fuori luogo chiaramente, ma rispetto a quel tipo di sensibilità lui era completamente tonto. (Maria Mazzoli)


M

i ricordo una maglietta gialla con la scritta CIAO in tutte le direzioni come un cruciverba. M! ricordo che mio fratello sparava pallini di stucco con la cerbottana. Mi ricordo l'ape arancione che avevo disegnato il primo giorno di scuola. Mi ricordo che la nonna ci faceva i grattacieli crack-nutella crack-nutella... Mi ricordo che il nonno mi portava in Setta con la vespa e io stavo in piedi davanti. Mi ricordo il mio cestino di vimini dell'asilo. Mi ricordo la Fulvia di papa. M! ricordo che in montagna mi portavo il secchiello e la paletta per fare i castelli di neve. Mi ricordo che il secchiello aveva disegnati tre elefanti colorati e l'uno era attaccato con la proboscide alla coda di quello davanti. Mi ricordo di tutte quelle sere che ho passato accucciata sul pavimento con gli occhi all'altezza della tastiera incantata dai movimenti delle sue mani e a specchiarmi nella lacca nera del suo pianoforte a coda Yamaha modello C7. (Nicoletta Bianconi)

M

i ricordo quelle voci tiepide come una coperta di lana. Mi ricordo la traduzione in italiano del nome della mia spiaggia preferita in Sardegna. Mi ricordo come avevo pensato il canovaccio per finire certi racconti inconclusi. Mi ricordo che si poteva guardare Carosello prima di andare a dormire e c'era Minnie Minoprio che aveva una pettinatura che sembrava una parrucca. Mi ricordo che ho piĂš ricordi in bianco e nero che a colori. Mi ricordo le prove tecniche di trasmissione. Mi ricordo di quando facevo ballare sui vinili di Gino Paoli gli omini della Lego. Mi ricordo di quando mi regalarono "Piccole donne" e "Piccole donne crescono". Mi ricordo la lettura di "Topolino" la domenica mattina succhiando le zollette di zucchero. Mi ricordo appena l'abbraccio con M. L'ho visto l'altra sera sempre piĂš magrolino, chissĂ che sensazione potrebbe darmi cingergli di nuovo, completamente la vita? Mi ricordo di quando si facevano le partite a calciobalilla e non riuscivo quasi mai a vincere. Mi ricordo di quando in spiaggia si faceva la pista per le biglie tirando per i piedi un bimbo piccolo. Mi ricordo da quanto tempo non sentivo la parola "cuccio". Mi ricordo l'aroma dei gelati della Valle d'Aosta. Mi ricordo di "Passapaperino" e le altre conte. Mi ricordo di quando a 8 anni mia madre mi porrava ai Cineforum a vedere dei film non sempre facilissimi. Mi ricordo di quando una volta a Natale a mio fratello regalarono la pista "Superotto" e il meccano e non mi ci faceva quasi mai giocare e a me piaceva un sacco. Mi ricordo il motorino della Peugeot con la sella lunga e la prima volta che sono andata in giro col vespone piano piano e che poi quando mi sono trasferita a Bologna mi facevano tutti dei gran "peli" perchĂŠ ero troppo lenta. Mi ricordo di quando c'era l'austerity e si andava in giro con la bicicletta: la "Graziella" e con gli schettini.


Mi ricordo che alle elementari facevano con una specie di stilografica il vaccino contro il vaiolo. Mi ricordo che adoro i telefoni a disco, di un tot di volte che ho buttato via l'insopportabile cellulare, una volta anche al Parco delPUccellina dato che lì a maggior ragione per me non ci stava a dire niente e non ce n'era bisogno. Mi ricordo di mio fratello e quelli della sua classe che portavano il cappello di pelo di volpe. Mi ricordo di un po' di album di figurine della Panini e dell'unico che ho finito, quello di "Sandokan". Mi ricordo di quando bambina avevo l'influenza e ini mettevano le supposte di Uniplus e non le gradivo per niente. Mi ricordo che mi piacevano ancora prima di avere la patente la Sinica 1100 e la Renault 14 e non le ho mai possedute. Mi ricordo quando da adolescente si faceva il ballo della scopa e si stava per modo di dire abbracciati al proprio partner a circa 40 cm di distanza l'uno dall'altro. Mi ricordo le gimcane in bicicletta a tutta birra in discesa e cadendo inesorabilmente di tutti i lividi alle ginocchia. Mi ricordo di quando m'appisolavo al mare e c'era qualche amico che mi voleva coinvolgere al gioco del volano. Mi ricordo di quando abitavo a Recoaro Terme e andavo a scuola con la slitta e a colazione ci davano anche la grappa. Mi ricordo del registratore con le cassette e il microfono che è stato buttato via e una delle volte io e mio h'arello facevamo finta di avere una nostra stazione radio registrando le nostre voci stilla cassetta. Poi, quando lui ha modificato la voce e si è sentito più grande, abbiamo smesso. Mi ricordo di quando si andava in Francia con l'A 112 e non c'era ancora l'autostrada dopo la frontiera per andare a Marsiglia. Mia madre raccontava della "Cornice" dove Grace Kelly aveva girato "Caccia al ladro" e noi non aspettavamo altro che di andare a comprare le "Madeleine" e i "Sousemiel" biscotti e lecca lecca che in Italia non c'erano. Mi ricordo del referendum contro il nucleare e la caccia e di tutti gli adesivi che appiccicavo sul muretto e il campanello del mio vicino di casa cacciatore. Mi ricordo della soddisfazione che provavo quando ho visto per la prima volta l'Odissea in TV. Mi ricordo i banchi di scuola con il contenitore secco per l'inchiostro Mi ricordo di tutti i film di Nanni Moretti e delle simil clarks che poi mi son comprata con la paglietta messa da parte perché quelle originali costavano troppo e poi erano troppo snob. Mi ricordo del nascondino tradizionale e quello che chiamavamo con i miei amichetti all'americana, dove uno si nascondeva e chi lo trovava si nascondeva con lui e cosi via. Mi ricordo del cubo di Rubik e che non mi ci impegnavo tanto e ce l'ho ancora e, comunque, non [????] più di tre facce non sono mai riuscita a farle. Mi ricordo il minigolf, moscacieca, le penitenze, palla avvelenata, e il gioco dei film e dei personaggi famosi. Mi ricordo di quando ho imparato il ping pong con la mossa ad effetto. Mi ricordo le prime lettute sulla difesa popolare nonviolenta e sul femminismo.


Mi ricordo il cestino della merenda di cui un po' mi vergognavo perché già da nuovo era un po' rotto. Mi ricordo della Reflex e di quanto tempo c'ho messo a capire la differenza fra profondità di campo e tutte le altre regole. Mi ricordo della mia "Olivetti Lettera 32" che ancora preferisco al pc tanto è che faccio più manutenzione a quella piuttosto che al portatile. Mi ricordo di Merckx di cui si diceva "l'uomo che uccise il ciclismo". Mi ricordo di quella volta che a Bologna c'è stata la cronometro del Giro d'Italia e Cipollini in via Indipendenza mi chiese dove era via Indipendenza. Mi ricordo di una bottegaia che faceva la raccolta dei punti "Miralanza". Mi ricordo di Provolino con Raffaele Pisu e che mi era più simpatico di Topogigio Mi ricordo di quelle primavere che si faceva Kabò, cioè marinare la scuola in modenese, solo perché c'erano delle belle giornate di sole. Mi ricordo di Spazio 1999 e dei protagonisti che secondo me recitavano con i pigiami che mi mettevo per andare a letto. Mi ricordo di quella volta in vacanza in Toscana e con amici siamo andati in un centro Hare Krisna e c'era un Budda con l'orologio d'oro. Mi ricordo che mio fratello a colazione prendeva l'Ovomaltina. Mi ricordo la spuma al cedro, i ghiaccioli rossi, al tamarindo, alla Coca Cola e che poi si è smesso per un po' di prenderli per via dei troppi coloranti. Mi ricordo di quando in casa mia è arrivato il telecomando. Mi ricordo la collezione di francobolli. Mi ricordo che mi piacevano molto i gettoni telefonici Mi ricordo un po' di belle versioni di My favorite things di John Coltrane Mi ricordo delle 500 lire di carta continuamente stropicciate. Mi ricordo i trasferelli. Mi ricordo che mangiavo parecchie pastiglie Valda e le Zigulì. Mi ricordo quando lessi "II principe" di Machiavelli, Sartre e la De Beauvoir e che pensai che forse ero troppo giovane e che mi potevo anche divertire diversamente Mi ricordo i telefilm: la Donna bionica, Agente Speciale, Attenti a quei due, Alfred Hitchock presenta, la famiglia Addams, Charlie's Angels, Tre nipoti e un maggiordomo, Happy Days, Furia, George e Miltred, la famiglia Bradfor e quella Partridge, Ralph Supermaxieroe, la Conquista del West. Mi ricordo anche Baretta e il suo pappagallo Fred. Mi ricordo l'occupazione dell'Università affamatissima con altri compagni e che poi è arrivato un tizio, mai visto prima, che ci ha portato due sporte della Coop piene di roba da mangiare. Mi ricordo che per arrivare puntuale agli appuntamenti bisogna partire con un certo anticipo rispetto al momento dell'incontro. Mi ricordo la finale dei mondiali di calcio in Spagna nell'82 con Pertini e di quella replica favolosa con la cronaca diretta radio-tv di Bruno Pizzul nello spettacolo di Futlan allo stadio Dall'Ara di Bologna il 20 luglio del 2005: grande emozione collettiva. (Barbata Schiavina)


M

i ricordo del finto cestino di fiori del mio vestito da cappuccetto rosso, che sotto al panno verde con le margherite di ogni colore cucite sopra, era pieno di caramelle. Mi ricordo di quanto mi batteva il cuore ogni volta che il giudice di gara mi chiamava e allora potevo avvicinarmi al blocco di partenza vicino al bordo della piscina e aspettare il rìschio che sarebbe giunto a breve; poi, salire sopra al blocco e partire al VIA, che a volte era il suono di una tromba, a volte era uno sparo, a volte era un altro fischio, soffiato più forte però. Mi ricordo che mio nonno una volta partì per la Russia. Mi ricordo sempre troppo tardi che certe cose non le devo mangiare, che poi mi viene mal di pancia. Mi ricordo che andavo a studiare al parco con il mio cane Otto, a cui ripetevo tutto ad alta voce mentre lui mi guardava. Era un cane intelligente. Mi ricordo di quando credevo che poi le cose si sarebbero riaggiustate e tutto sarebbe tornato come prima. Mi ricordo che per un periodo avevo diversi omarini che mi cercavano e io mi sentivo un po' come il premio del calcinculo. Mi ricordo i baffi di mio padre, lunghi, neri, portati alla Frank Zappa. Mi ricordo il quadro svedese nella palestra di scuola: era sempre lì, immobile, attaccato al muro, nessuno sapeva come usarlo. Mi ricordo i leoni dei Giardini Margherita, facevano una gran puzza e una gran pena. Mi ricordo di Leroy di Saranno famosi e di Orzowei. Mi ricordo che quando andavo al cinema da piccola con la mia famiglia, loro si sedevano tutti insieme, mio padre, mia madre, mio fratello e mia sorella, mentre io invece andavo sempre qualche fila più avanti, da sola. Mi ricordo che una volta mi hanno portato a pescare, a Molinella; presi due anguille e ogni volta feci dei gran urli per lo schifo che mi facevano. Non mi hanno più portato. Mi ricordo che quando i miei andavano via rimaneva mia nonna con noi a casa e la sera la facevamo sempre arrabbiare, ci nascondevamo e poi uscivamo fuori e cantavamo sempre toschi la frutta spiritosa. Mi ricordo le mattine che andavo ad allenarmi alle sei, mio padre mi svegliava e io, piena di freddo e di sonno, mi mettevo jeans e maglione senza togliermi il pigiama. Mi ricordo che mio nonno, quello della Russia, ha lavorato in un'armeria che poi è diventata tristemente famosa, l'armeria, perché è dove andavano quelli della "uno bianca". Mi ricordo che mio nonno, sempre quello della Russia, mi diceva che lui era un socialista, ma di quelli veri, dei primi. Mi ricordo il 45, l'autobus su due piani che prendevo sempre per tornare a casa da nuoto. Mi ricordo che quando discussi la tesi di laurea il fotografo che era lì ci rimase male perché non c'era nessuno e mi chiese che cosa avevo fatto. Mi ricordo che per un periodo ho fatto aerobica e a lezione ero l'unica che non avevo calzetti, body, calzamaglia, fascia e polsino tutto coordinato, da cambiare ogni giorno: il lunedì il completo tutto verde, il martedì a fiori, il giovedì rosso a righe viola e il sabato alla lezione del mattino, il completo tigrato. Io indossavo sempre la tuta grigia e alternavo le magliette, bianca e nera.


Mi ricordo che mia nonna, la mamma di mia mamma che io ho visto solo nella foto sulla tomba alla Certosa, era figlia di N.N. (Simona Brighetti)

M

i ricordo quando a due anni e mezzo mi sono incrinata un braccio, cioè, non è che mi ricordo il fatto in se, ma un mio pensiero, il primo che io mi rammenti di aver avuto. Ed era un pensiero assolutamente incazzato. Il primo pensiero che mi ricordo di aver avuto è un pensiero di un'incazzatura bestiale. Ma sarebbe lungo da raccontare... Mi ricordo le figurine dei calciatori, con quella del Torino che aveva la fascetta nera per via di quell'aereo caduto a Superga. Mi ricordo i rettangolini di cioccolata Ferrerò che noi chiamavamo formaggini di cioccolata. Mi ricordo... mi ricordo quella volta che noi due siamo usciti da Wolf e abbiamo visto che nevicava. Mi ricordo quando a Bologna c'erano i tram e una signora distratta c'è finita sotto con una gamba. La destra, mi sembra. Mi ricordo che, avrò avuto sei anni, una sera alla radio hanno trasmesso un avviso per una signora sconosciuta che aveva comprato scatole di salmone avariato: sono andata avanti un sacco di tempo ad aver paura di notte delle parole "sconosciuta" e "salmone". Mi ricordo che io l'hula hop non riuscivo mai a farlo girare. Mi ricordo quando si diceva sempre "a monte". Mi ricordo quando il Corriere dei piccoli costava 25 lire, che poi una volta me lo ha mangiato un daino dei Giardini Margherita. Mi ricordo... mi ricordo di una volta che avevo otto o nove anni e eravamo andati sul monte di San Luca a fregare le ciliegie. E io non sono stata veloce a scappare e mi ha beccato il contadino che era siciliano e ha chiamato i carabinieri e intanto mi diceva ladra ladra ladra da noi non si fa. Mi ricordo il cortile di mia nonna in via Bentivogli che mi sembrava enorme e adesso ci hanno fatto un museo all'aperto e io penso che per intere estati ho giocato sopra dei reperti archeologici e questa cosa mi fa molta impressione. Mi ricordo che a vedere Love Story ero runica femmina che non piangeva. Mi ricordo... mi ricordo mio padre che leggeva II sergente nella neve e piangeva senza rumore. Mi ricordo che mio figlio a tre anni quando c'era in TV la pubblicità della Galbani si arrabbiava moltissimo e urlava con tutto il fiato: non vuoi dire fiducia, ma cannuccia. In questi giorni ci ho ripensato e ho dedotto che mio figlio era un preveggente. Anche se non ho mai capito cosa intendesse per "cannuccia". Mi ricordo altre cose che non vorrei ricordare. Ma me le ricordo. (Milvia Comastri)


Registrate un discorso orale e sbobinatelo.

M

i chiamo Terzo Bortolani, sono di Grizzana Morandi, c'ho 87 anni, sono del 21, la classe di ferro, di quelli che sono andati in Russia, anche se poi io mica ci sono andato, ero il terzo di tre fratelli. Loro si che ci sono andati in guerra, ma non sono più tornati. Primo, è morto in Africa, per mano degli inglesi; Secondo, è morto in Jugoslavia ammazzato dai titini, i partigiani di Tito, quando eravamo ancora alleati dei tedeschi, prima dell'otto di settembre. I miei lavoravano a giornata i féven i brazzant (facevano i braccianti) Me, a nov an a son andé a bottega (Io a nove anni sono andato a bottega). Ai 0 fat d'incòsa, al manvel, al carpentìr, al sbianchizén (Ho fatto di tutto, il muratore, il carpentiere, l'imbianchino). Dato che siccome non mi piaceva di lavorare sotto padrone, sono andato a bottega da mi zio ch'ai feva al frab (che faceva il fabbro). 1 andéven tott da mi /.io (Ci andavano tutti da mio zio), finanche i padroni. I vleven (Volevano) essereserviti per primi e pagavano per ultimi, piò i avéven i sold piò i éren grece (più avevano 1 soldi più erano tirchi). Lavorare il ferro non è mica una cosa da tutti, bisogna saperlo prendere, un po' come con le donne, che bisogna essere buoni di prenderle. Finché Fé cheld (finché è caldo) lo modelli come più ti piace e così è per le donne, ci devi stare addosso. Quando il ferro diventa freddo è finita, va per conto suo, e così sono le donne, se le fai raffreddare se ne vanno per conto loro. Le martellate vanno date con giudizio, brìsa alla dio boia (mica come capita) e così è per la donna. T'ia pu picèr (La puoi picchiare) ma devi stare in campana e lasciarla intera. Io con le donne non ci sapevo fare, non è mica come al de d in cù (al giorno d'oggi). Ogni volta quando ne incontravo una attraversavo la strada perché mi vergognavo e mi zio se ne accorgeva perché al de dapp (1 giorno dopo) a pensarci picchiavo il ferro più forte e capiva che mi era andata a buca. Poi mi sono fidanzato colla Pina, che era bella ma nessuno la voleva perché c'aveva una gamba più corta, ma l'era tante bona (era tanto buona) che l'ho sposata dopo sei mesi, c'avevo ventisei anni e lei ce ne aveva ventuno. A san sté insamm quarant'an, e an l'ho mai picé ( Siamo stati insieme quaranta anni e non l'ho mai picchiata). Ci volevamo bene. (Pasquale Vollo)

S

bobinatura n.l: Bonvicini Mercoledì 8 ottobre 2008. Inizio registrazione (abusiva) ore 11,12 termine ore 11,20. Autobus 28 (percorso da Via Novelli a Via Irnerio) Maschio di età indefinibile (dai 45 ai 60) statura media corporatura gracile berretto rosso della CGIL in testa felpa azzurra con scritta blu Mobilificio Sfanchini pantaloni verde militare con una grande tasca sul ginocchio sinistro da cui sbuca un garofano di plastica. Corrisponde al cognome di Bonvicini, se ne ignora il nome di battesimo.


E' che nella mia vitti io sono stato sempre sfidato... se te non ci credi domandalo a Tremalnaic, che lui mi conosce da quando ero piccolo perché c'aveva il podere vicino a casa mia, che i miei facevano i braccianti dai suoi. A scuola andeva acsè mei che quella stronza d'ia mastra am ciameva quel somaro di Bonvicini e dopo che ho avuto l'operazione non ci sono più andato. Mio babbo... (frase incomprensibile, perché coperta dalla sirena di una autoambulanza^... e dopo a lavorare non mi ci voleva nessuno. Te, Fantuzzi, fai presto a dire che il lavoro si trova ma io non la trovo mai. (l'uomo tace e si gira il berretto sulla testa, portando la visiera sulla nuca. Rumore di traffico, l'avvcrtitore elettronico dice: prossima fermata Porta San Donato) Te mica ci sei stato in mezzo ai matti. (si interrompe ancora. Riprende.) E io sono vecchio e l'assistenta sociale quando viene mi dice Bonvicini stai buono. (un'altra pausa) Ma te l'hai più vista la Rosa? Io no, e la Simona l'ho vista quando sono uscito da là, che mi è venuta a prendere lei, e dopo non l'ho più vista. Però era diventata grande, che quando l'ho vista e ho dovuto pensare se era lei. (risata) (Tace) La prossima è la mia. Vado da Tremalnaic. At salut, Fantuzzi. Il brano registrato e poi sbobinato non è un dialogo, ma un monologo, poiché i! nominato Fantuzzi non era presente. Durante il ttagitto gli altri passeggeri hanno distolto lo sguardo o si sono allontanati dal soggetto. Alcuni, dopo che il Bonvicini è sceso, si sono guatdati fra loro scuotendo la testa. Nastro sbobinato giovedì 9 ottobre alle ore 2, 25 di notte. Bologna, 19 ottobre 2008 ore 16,04 (Milvia Comastri)


Scrivete un elenco di cose che avete dimenticato.

M

i sono dimenticata di come si usa l'immaginazione e la fantasia per inventarsi delle storie. Ecco, l'ho detto, forse è un po' forte, drastico, tant'è... Questo compito mi ha messo un po' in difficoltà: è una settimana che penso a cosa non mi ricordo più, a cosa mi sono dimenticata e non mi viene in mente niente, se non che non mi ricordo più come si fanno le equazioni e tutte quelle altre cose di matematica complicate che l'altro giorno vedevo fare a mia nipote, quella grande che va al liceo. Visto che non mi veniva in mente niente di decente ho pensato che era la volta buona che mi inventavo qualcosa, qualcosa di verosimile, più o meno possibile, perché il compito lo volevo fare, mi scocciava arrivare lì al mio turno e dire, mi dispiace non sono riuscita, troppi impegni etc etc, bla bla bla. Per un po' mi sono risollevata, pensavo di aver trovato la strada, bastava inventarsi una cosa poi... poi ho capito che non mi veniva in mente nulla, ho pensato a diverse cose, ma... niente, poca roba. Ecco che allora ho pensato che mi sono dimenticata di come si fa lavorare l'immaginazione. Ho dimenticato di come ci si inventa delle storie. Forse, non l'ho mai tanto avuta questa capacità e sicuramente quel poco che avevo si è esaurito, anche se a volte mentre vado al parco con mio nipote e lo carico in schiena per un pezzette di strada, lui mi chiede di raccontargli una storia e allora comincio, magari partendo da una cosa che vedo lì davanti come un albero o dei fiori gialli o dei soffioni e allora mi vengono delle storie che mi sembrano belle, anche un po' bizzarre, anche se a volte lui, mio nipote, mi interrompe e mi propone l'arrivo nel bel mezzo della storia di un Power Ranger, e io dopo lì faccio un po' farica, perché questi Power Ranger non mi piacciono tanto. (Simona Brighetti) LE COSE CHE LEI AVEVA DIMENTICATO. A 1 risveglio scattò la trappola: la luce, scorrendo aldilà della sua finestra, lo assalì e gli -/^sollevò le palpebre, come se fossero state lenzuola; l'alcol, il cantiere di acidi e bollori, gli scorticava oramai il fondo vivo dello stomaco vacante, mentre al cospetto delle pieghe della biancheria lui, destato, poteva avvertire le martellate sulla testa e l'uniforme propagarsi di ogni circolare vibrazione. Tutto questo dolore gli illuminò i sensi, e tutte le conclusioni in cui la notte prima gli pareva di aver trovato pace, svanirono per effetto di una indomabile ribellione del cuore. Una amnesia, ecco cos'è stato si diceva il commissario e lei s'è dimenticata di amarmi. Ha dimenticato, deve aver senz'altro dimenticato... altrimenti non si arrivava a 'sto punto. Ma aveva rimosso tutto alla fine, oppure da sempre aveva assorbito solo in superficie?


Cazzo! Lui poteva scoprirlo? Poteva vivere senza saperlo? Una amnesia, ecco cos'era stato. Una amnesia, però colpevole, e indotta dal disamore, sì. Ecco cos'era stato, il disamore. Lei aveva dimenticato. Cosa aveva dimenticato? Aveva dimenticato la brina sul parabrezza le mattine d'inverno, quando uscivano insieme alle sette e mezza e lui la lasciava sul piazzale del comune. Aveva dimenticato il tumore dei piedi scalzi sul parquet la sera, che si rimaneva sul divano aspettando il Cine-giovedi. Aveva dimenticato la domenica pomeriggio in libreria, e che si tornava a casa per le otto con le buste piene. Aveva dimenticato di quando l'estate, dopo pranzo, si spogliavano e si addormentavano cercando un po' di fresco agli angoli opposti del letto. Aveva dimenticato di essersi atrampicata su uno di quegli enormi scogli di Santa Maria per incidere due lettete e una stella. Aveva dimenticato che proprio lei, per un anno intero, lo aveva svegliato a notte fonda per farsi promettere che non l'avrebbe mai lasciata. Cos'altro aveva dimenticato? C'era bisogna di farne un elenco? A lui bastava guardarsi intorno; ogni pezzo di realtà recava un'impronta di abbandono: le Marlboro - fumate sul davanzale; la stampa di Dalì - appesa controvoglia; un orecchino spaiato nel terzo cassetto - da buttare; qualche libro sul comodino - comprati e mai iniziati; l'ombrello dietro la porta - richiuso sette mesi fa l'ultima volta; un orribile pupazzo di Das sulla scansia del corridoio e come fare a dirle: guarda che non hai dieci anni! Potenza della memoria, maleficio della memoria, crudelrà della memoria. Falanga si credeva un insensibile e non aveva mai saputo di poter ticordate così tanto. Ora gli pareva che ciascuna cosa ricordata da lui corrispondesse a qualcosa da lei dimenticata. E questa montagna di cose a metà, totte, false, gli pareva di doverle per forza sistemare da qualche parte dentro casa sua, sebbene non sapesse proprio dove mettetle. Lenora, ad ogni frammento rievocato, dava intanto un passo e un colpo di tacco sotto il portico allontanandosi dal suo passato. (Massimiliano Tagliente)

13


Descrivetevi in cinque righe. Mi fai pensare ad una lumaca da snidare con le pinzette. Una volta mi sono sentita dire cosĂŹ da una persona che mi faceva anche il gesto delle dita con le pinzette in mano. A me faceva un po' impressione, perchĂŠ mi sentivo veramente una lumaca, timida e tremante. Poi ho letto un libro che si intitola "La lumaca testarda" e ho scoperto che le lumache sono degli organismi incredibilmente resistenti, che se proprio non le schiacci di prepotenza non muoiono. Altro che pinzette. (Giorgia Vezzani)

14


Scegliete una parola che vi piace e spiegate perché.

U

na parola a cui voglio molto bene è "moroso", detta da un romagnolo con le labbra ben arrotondate. Mia mamma ha sempre avuto un uomo, che non era mio padre e lo chiamava "il mio moroso" (tranne quando voleva essere formale, allora era "il mio compagno"), ma quando lo dicevo io "il moroso della mia mamma", facevo ridere tutti. Poi mi son fatta anch'io un sacco di morosi, anche se la parola aveva perduto appealtra. le mie coetanee, che preferivano avere il tipo o il ragazzo, "il mi orno" dicevano le toscane all'università. Ma io dentro di me ho sempre pensato solo al mio moroso. Che poi ha quel risvolto agghiacciante, la parola, di qualcuno che sia anche in debito, che ci sian di mezzo dei soldi, una tassa non pagata, le rate del mutuo, l'insolvenza, l'angoscia del moroso. Immagino la morosità alternativamente, come lo stato estatico di adorazione del proprio moroso. (Maria Mazzoli)

N

INNI : è un modo bolognese di chiamare i bimbi ed è il modo in cui mi chiamava la mia nonna. Oggi a chiamarmi così è rimasta solo la signora Luisa del bar Mengoli e a volte vado lì solo per sentirmi dire ciao ninni. Ha un suono questa parola come di campanelli, un suono colorato e tenero. Appartiene al modo di parlare che c'è fra una nonna e un bimbo. Se mentre mi sgridava la nonna mi chiamava così sapevo che non era una sgridata vera, una sgridata seria. Era comunque una carezza. Ninni è una parola che non si sente quasi più e io vorrei tenerla viva. Penso che riconoscerò l'uomo giusto per me se in un momento qualunque distrattamente, anche durante una discussione mi dira' Oh ninni! (Nicoletta Bianconi)

B

ALALAICA: Parola che scivola bene come ciottoli sopiti su un sentiero di brina. Un pergolato sbarazzino di glicini, siepi aggrumate con brio su un manto d'erica. Distese d'incanto e tenere magie e poi, un'armonia triangolare. (Barbara Schiavina)

S

E: Se qualcuno mi chiedesse che parola preferisco tra millanta e più milioni di miliardi, e se quindi mi trovassi a ruminare sul dilemma: 75


qual è mai la mia parola preferita? e se allora tra i cataloghi e le pletore di verbi cominciassi a setacciare e rimestare, se per giorni e notti insonni rappezzassi tra di loro suoni e sillabe, vocali e accentazioni, e se, per provarle tutte, con solerzia compulsassi dizionarì d'altre lingue e d'altri climi, e se infine quest'impresa mi portasse a conclusione, se la cernita mi desse un tisultato, proverei soddisfazione? Ma se invece mi domando non "che cosa?", bensì "come?", se non bado a forma e specie, ma al concetto, se rifletto sull'oggetto di ricerca postulando ch'esso sia non già parola, ma strumento, se con molta gratitudine ricalco le vestigia di chi seppe unire il cuore alla ragione, se perciò voglio esser logico, o se voglio fare il matto (per esempio: se la morte non esiste?), e se è vero che ogni storia, per fugace ch'essa sìa, difficilmente resta senza una morale, ecco dunque la risposta: se qualcuno vuole dire ciò che non si può vedere, questa è certo tra le prime da imparare. (I.oren/.o Biagini)

S

EMBRA: La parola che mi sembra che mi piaccia di più è la parola sembra. Mi sembra che mi piaccia di più perche quando la dico mi porrà in un posto tranquillo. Con poco rumore. Dove anche il suono della parola sembra, sembra attutilo, con un breve momento di esuberanza nel mezzo e con l'ultima lettcta, la a, che sembra che rotoli giù per conto suo. Con poco rumore. Se poi la parola sembra non ci fosse, non potrei neanche dire: mi sembra. Sono sicura che tante frasi non potrei mai dirle, senza prima dire mi sembra. Ad esempio mi sembra che non potrei mai dire che via Indipendenza è una sttada sgarbata. Invece, mi sembra che via Indipendenza sia una strada sgarbata, mi sembra di poterlo dire. (Giorgia Vezzani)

16


Descrivete una persona, o una categoria di persone, come se appartenessero a delle specie sconosciute.

E

ra complicato. Come si fa a spiegare? Un uomo anche particolare nell'approccio alla guida delle automobili. La patente l'aveva presa a trentacinque anni. Ci aveva messo quasi due anni ad abituarsi a guidare senza troppi traumi l'utilitaria di famiglia. Quando cambiarono macchina, si prese un pomeriggio di ricognizione per andare ad imparare, come da manuale, il complesso uso dei tergicristalli, delle luci di posizione, della frizione bestiale, clacson eccetera perché diceva "cazzo succede se inizia a piovere e sono in strada?" Panico totale: schiacci di tutto, non parte niente prendi a morsi il volante, pianti la macchina, scappi nei campi, perché cosa altro puoi fare? Quel pomeriggio non filò del tutto liscio poiché arrivato a casa della famiglia (la macchina non era di sua proprietà) si era dimenticato le chiavi della casa paterna dalla sua "compagna filarina". II giorno era piovoso, i suoi genitori non c'erano, erano fuori per commissioni. La prova di guida era di fondamentale importanza perché il giorno seguente era stato programmato un trasferimento importante: circa 50 km andata/ritorno nell'arco di quasi 8 ore. Non gli piaceva pensare a se stesso come ad un imbranato, eppure aveva anche la capacità di ridere di certe sue peculiarità. Talvolta, gli bastava, poi, una parola gentile e un po' d'ironia, miscelata ad una buona dose di comprensione per fargli placare l'umore. Inoltre per essere tranquillo aveva bisogno di una quotidianità scandita da ritmi imposti da istituzioni esterne come il lavoro impiegatizio sennò rischiava di chiudersi in una sorta di dissociazione fra se e il mondo. Il piccolo viaggio, fondamentale di quella domenica di novembre fu sufficiente ad attribuirgli l'appellativo di Nuvolari. Anche quando non era affatto necessario, soprattutto in prossimità delle rotonde, usava sgasare di brutto e con piena soddisfazione partiva in seconda agli stop non concependo la prima. Cercava di domare il mezzo nel terrore che potesse spegnersi il motore e "porcamadonnava" contro l'umanità oscena che si trovava in strada, della quale non capiva la ragione per cui fosse in strada e, così, nemmeno la sua di motivazione, e si prefigurava un destino atroce fatto di scocciature e sicuri disastri.


Una volta, per fare una di quelle che si chiamavano "gita fuori porta", per 6 km circa si era completamente disorientato e non riusciva a ritrovare la strada per rientrare in città. Ripeteva ossessivamente "Davero? Sì, sì!" e la via d'uscita che gli venne in mente fu quella di seguire una minuscola auto che gli stava davanti, confidando che lo avrebbe ricondotto verso Bologna. Nella sua peggiore delle ipotesi aveva calcolato che se il guidatore non si fosse direrto dove interessava a lui ma, viceversa, a casa propria, si sarebbe fermato lì, in sosta, a dormire, parcheggiato nella sua auto e si sarebbe rimesso in cammino soltanto il mattino seguente col favore della luce. Era miope e astigmatico ma, non era esclusivamente quello che lo spaventava nel condurre l'automobile: s'immaginava situazioni di allarme, pericoli, incidenti, aggressioni e molteplici disgrazie che ovviamente, a parer suo, lo avrebbero bersagliato e se le ripeteva logorroicamente con lo scopo di esotcizzarle. Era tendenzialmente un uomo domestico: amava soprattutto starsene sul divano a leggere, si lavava i piedi perché non trasudassero e poi gli piaceva indossare di nuovo gli stessi calzini con cui aveva fatto un po' di ginnastica. (Barbara Schiavina)

E

cco, adesso che ci penso, che mi chiedo come faccio a spiegare qualcosa che potrebbe turbare anime troppo sensibili, che non vogliono sentire pronunciare certi termini o che non vogliono che si parli in un certo modo, ebbene, a queste anime candide e belle gli spiego le cose, così come stanno. Mica semplice, vedi, è facile per gli altri, che non sanno, per chi non li conosce o anche per chi ci resta solo pochi minuti, è facile per loro chiedere, chiedere e sempre chiedere e pretendere. Venite alle sette della mattina, l'inferno troverete. Sono come polli in batteria, da ingrassare, ma non li devi mica uccidere, i soldi si fanno lasciandoli il più possibile in vita. E la mattina li svegli, cioè gli rompi i coglioni; le coperte, via; la maglietta, via; la tuta, via; il pannolone, via; Acqua, sapone, no, sapone no, salviette; apri le gambe, girati su di un fianco, girati sull'altro; pannolone pulito, mutande a rete; calze, pantaloni, scarpe, maglia; tirala su a sedere; carrozzina, et voila un bel salterello e si siede; la faccia, manca la faccia; tutto a posto, portala di là. No, aspetta, la devo pettinare. Nooo!, non ci posso credere, Guarda quella, è piena, guarda le mani, nere sono. Anche le sponde, il muro, dappertutto ce n'è. Ha lavorato stanotte, che cazzo gli hanno dato per ridursi così. Merda, e adesso chi è che suona. Vai a vedere, ti aspetto. Ogni giorno è così: li svegli, li afferri, li lavi, li vesti, li alzi, li nutrì, li spogli, li rivesti, li visiti, li rivisiti, li ispezioni, li controlli, li sgridi, li minacci, li coccoli, gli parli, già, gli parli, e quando? Non mangia e non beve? Sia mai! E via di sondino. A letto? Sia mai! No, a letto proprio no, anche da morti debbono stare alzati. Si macchia, si sporca? lo svesti e lo rivesti, gli rompi ancora i coglioni per la gioia dei parenti, dei capi e capetti. Da quella di prima, andiamo da quella che ha fatto una boazza. Merda, come è conciata!;


doppio guanto, ci vuole il doppio guanto, prendi le forbici; la barella, la barella presto, questo è un bagno d'emergenza. Via, al box doccia. Sfila la maglietta, cazzo non viene, è appiccicata alla pelle, è piena di piscio. Le forbici, tagliala con le forbici; via la tuta, taglia le mutande a rete elasticizzate, il pannolone, via, no, aspetta è pieno, fai piano, altrimenti esce di fuori, ma cosa le hanno dato da mangiare? Apri la finestra, non del tutto, a vasistas, se no si becca un accidenti. Gettale l'acqua calda, così si riscalda; attento a non bruciarla, regolala bene. E vai, metti il sapone nella spugna, dammi lo shampoo; fai piano, non strofinare, che vuoi, portarle via la pelle? Lava per bene, tutto il corpo: piedi, gambe, tronco, braccia, mani, testa, orecchie, viso, davanti e di dietro ( pur di non nominarli sti benedetti genitali!). Dai metti la doccia li, tra le gambe, mica ci vorrai affondare le mani, prima devi sgrossare e poi ci vai delicato, c'era il mondo li in mezzo. Cazzo, a questi gli danno sempre da mangiare e da bere: cibo, acqua, medicine, cibo acqua e medicine, sempre così; minestrina purè e omogeneizzato a rotta di collo, non mancano mai nel menù. Tampona per asciugare, non strofinare la pelle, in mano ti rimane se no! Merda, guarda che buco, sembra una caverna, lavato bene è lavato bene, ora lo medicheranno, chiamali che vengono: e via di creme e pomate varie, garze e cerotti. Bene, ora è a posto; i capelli, pettina i capelli se no sembra che non le abbiamo fatto nulla. Fare i capelli è la cosa più importante, fatti quelli, hai fatto tutto, sembrano nuovi. Coprila col lenzuolo, dai andiamo. Via dal box doccia, ritorno alla camera zigzagando tra alcuni che sono in mezzo al corridoio. Sposta il letto, no, non il suo, l'altro, se no non ci passiamo, sembra la stanza di Cenerentola per quanto è piccola. La barella, attaccata al letto, più alta del letto; dai falla scivolare sul letto, ops, atterrata; copiila, le sponde su, tirale su; lo schienale, tiralo su, che respira meglio, anche il bacino. Tutto a posto, missione compiuta, la 101 ha fatto il bagno. Ora mi prendo il caffè, ci prendiamo un caffè, ce lo meritiamo, andiamo alla macchinetta e non si parla di lavoro per cinque minuti. Cazzo, suona il campanello, vai a vedere chi è. La 101?, ma non è quella che ha fatto il bagno?, che cazzo vorrà; l'acqua ce l'ha, il campanello pure, e ha suonato. Vado a vedere io. Non ci posso credere!, senti che puzza, speriamo sia aria. Nooo! È piena di nuovo! (Pasquale Vollo)


Prendete (o scrivete) un testo e sostituite, dentro quel testo, una parola con un'altra che non ha niente a che fare con quel testo. NIENTE BAMBINI AI SUONATORI DI FISARMONICA T ONDRA— Gli hanno vietato tutti i locali pubblici, pub inclusi. Adesso un nuovo diJi /vieto colpisce i fisarmonicisti: quello di adottare un bambino. Chi ha la passione della fisarmonica non potrà più candidarsi a riceverne uno dalle agenzie di affidamento. Per ora la decisione è stata presa soltanto da un comune ai sobborghi di Londra, Redbridge, i cui amministratori l'hanno approvata all'unanimità. Ma altri potrebbero ora seguirne l'esempio. Intento della norma, che entrerà in vigore nel 2012, è proteggere i bambini dagli effetti dannosi del suono della fisarmonica. "Ci rendiamo conto che è un tema molto delicato, ha dichiarato Michael Stark, consigliere della municipalità di Redbridge addetto all'infanzia", perché alcune persone considereranno questa legge come un'intrusione nelle libertà individuali del cittadino. Ma d'altra parte sappiamo anche che la fisarmonica aumenta il rischio di gravi malattie per i bambini". L'iniziativa è partita alla luce degli ultimi studi scientifici secondo cui il suono della fisarmonica è causa di malattie degenerative dell' orecchio medio, turbe cognitive e disturbi dell'apprendimento, ai quali i bambini sono esposti per via della debolezza del loro sistema immunitario e della sensibilità del loro giovane apparato uditivo. La lobby della fisarmonica non è d'accordo e protesta vigorosamente. "Questo è solo un ulteriore tentativo di isolare i fisarmonicisti dal resto della società, afferma un portavoce di Fisa, gruppo per la difesa dei diritti dei fisarmonicisti. Anche l'Associazione Genitori Adottivi ha qualche perplessità: "Comprendiamo che la creazione di un ambiente libero dal suono della fisarmonica sia a vantaggio dei bambini, dice un comunicato, "ma non siamo d'accordo che il divieto vada applicato sempre e comunque a tutti i fisarmonicisti". (Mirella Giordani)

H

o portato la giraffa da Ernesto, perdeva del liquido da sotto... non so... io non me ne intendo di giraffe... era un olio nero... boh!?


La mia non è una giraffa tanto costosa, che in verità me l'ha regalata mio padre qualche anno fa: mi ricordo che andammo insieme al negozio, ce n'erano così tante... io ne volevo una nera ma erano rimaste solo grigie... ma sì, pensai, una giraffa grigia fa sempre la sua figura.

E incredibile quanto costi oggi mantenere una giraffa: le tasse, l'assicurazione, che io vivo in una città dove assicurare una giraffa costa di più, perché capita che ci siano più scontri tra giraffe che altrove. Comunque la giraffa è proprio una bella invenzione, la prendi quando vuoi, vai dove vuoi, quando vuoi... ti merri lì sulla tua giraffa, un po' di musichina, ora ci mettono pure il compact-disc, non la fai correre troppo. Comunque Ernesto mi ha chiesto 120 euro, mi ha detto che gli ha dovuto fare una cosa... non lo so. Gli ho chiesto che gliene pareva della mia giraffa, mi ha detto sì, dai, non è una giraffa che va male, per gli anni che ha. Gli ho detto che voglio tenerla almeno altri quattro cinque anni e lui mi ha detto boh, non lo so, una volta le giraffe, specie quelle che venivano dalla Germania... quelle erano giraffe che duravano... Ora lo fanno a posta — ha detto Ernesto — è il mercato della giraffa, ogni 5-7 anni ognuno dovrebbe avere una giraffa nuova. Certo che — mi diceva lui — ora che arrivano le giraffe cinesi e indiane... si son messi pure là a girare in giraffa, che non sembra ma è un bel problema, perché una giraffa beve un tot, e scarica un tot di rifiuti, che ora che due miliardi di cinesi se ne vanno il week-end in giraffa... allora ti voglio. Oh, la giraffa, io non sono un fanatico, cioè a me la giraffa piace semplice, una cosa normale, che non posso starci appresso con tutti quegli optional che gli puoi mettere su — campanelli, adesivi, alettoni... Mentre ci son quelli che oh! son malari per le giraffe, corrono come pantere, le portano sempre a lavare, se le accarezzano... e certi le lasciano a posta in doppia fila per farsela guardare dagli altri. Specialmente per le donne, che pare che se hai una bella giraffa, bella grossa, allora le donne — alcune donne, va be' — allora ti cascano ai piedi. Io no, no no, non sono un fanatico io... le corse delle giraffe io non me le vedo neppure, cioè giusto le partenze che le giraffe son tutte lì pronte a schizzate avanti... e poi il resto della corsa mi concilia il sonno, nonostante il frastuono... Comunque la giraffa gliel'ho lasciata a Ernesto, 120 euro... che è un periodo che ci pagano in ritardo e mi sa che è meglio pensare prima alla spesa e poi alla giraffa. (Massimiliano Tagliente)


Scrivete quello che volete. IL TORO venne l'inverno e portò con sé tante e tali cose che nessuno di noi immaginava. Mia madre stendeva il bucato, vide le nuvole addensarsi tra le due colline che si baciano di fronte alla nostra casa, dopo il vialctto, oltre il cancello. Mi disse che quelle nuvole non portavano nulla di buono. Lo stesso giorno prima che venisse notte, il toro nero che abbiamo nella stalla ruppe il ginocchio di mio padre e le altre ossa che abbiamo nella gamba. Quell'inverno, erano da poco iniziati gli anni ottanta e ancora ci ricordavamo le pallottole nella capitale e si sparava un po' ovunque, fu mia madre a occuparsi della casa. Mio padre invece no, lui me lo ricordo nel letto, impotente. Giurò che l'avrebbe ucciso a quel toro, al nostro toro. Fu mia madre a fermare la foga di mio padre che, febbricitante, si dirigeva come meglio poteva dabbasso, verso la stalla, il fucile imbracciato e uno sguardo che da solo avrebbe ucciso non un toro, ma tutta una mandria intera. Mia madre vendette la porchetta in città, lo fece al posto di mio padre e lui invece di farle i complimenti per il lavoro svolto, cadde nello sconforto. Lui, la gamba rotta, lo tenne fermo fino a quando l'albero oltre il cancello non cacciò i germogli. Mi trovai a fare la spola dalla camera dei miei e la stalla. Portavo colazioni, pranzi e cene a mio padre che per spirito di ribellione decise di non radersi più e la sua barba imbiancava e cresceva. Al toro nero portavo il fieno, ma anche lui sembrava risentito. Non vedere il suo padrone che lo chiamava con voce autoritaria lo aveva gettato in uno stato di prostrazione. Furono gli occhi del toro nero a dirmi che la primavera stava arrivando, si riempirono di grosse lacrime e si lasciò morire, non toccò più cibo e le mucche reclamavano senza ottenere alcunché. Mio padre si riebbe, andò nella stalla- io aspettavo sulla porta, avevo tra le mani un sacchetto, una reticella piena di biglie colorate- salutò il suo toro nero oramai diventato un mucchio d'ossa. Lo sguardo tra il toro nero e mio padre fu prolungato e straordinariamente lento come se..., come se la vita intera fosse racchiusa tra i loro occhi. Il giorno dopo, il toro nero era morto, la primavera arrivata e mio padre seduto sulla sedia di legno mostrava a mia madre le spalle più cascanti che avesse mai potuto portare, mentre lei, mia madre lo abbracciava standosene in piedi e in silenzio. (Giuseppe Merico)

E

I FATTI ono scoppiato a piangere senza un motivo. La sala d'aspetto del mio medico è impolverata, c'è una vasca di pesci tropicali senza pesci tropicali, la poca acqua che c'è è gialla e se ti avvicini puzza. La signora che mi sta di fronte ha evidenti problemi di vene varicose, il signore che le sta accanto soffre di ipertensione, lo si vede dalla faccia. C'è silenzio, qualcuno tossisce, qualcun'altro sfoglia patetiche riviste di gossip. Quando sono scoppiato in un pianto ininterrotto, come si è visto in seguito, nessuno è venuto a chie-

S


dermi cosa avessi. Mi hanno guardato strano, la signora con i problemi di vene varicose forse avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarmi, ma poi ci ha ripensato. Quando è uscito il medico per far entrare il paziente successivo, io non c'ero già più. Ho percorso la strada in fretta, piangendo. Anche i passanti non ci facevano molto caso, evidentemente erano abituati a vedere persone che piangono. Si piange a questo mondo, ed è un bene, mi ha detto il mio psicoterapeuta. Piangendo infatti sono andato da lui, non si aspettava di vedermi. E' un bell'uomo, elegante anche se non veste in modo eccessivamente elegante. 10 penso sia elegante dentro. Dev'essere del capricorno, per questo è elegante. Elegante dentro e fuori. Proprio un tipo elegante. Quando io glielo dico che è elegante, lui fa spallucce. Non dev'essere tanto d'accordo sul fatto che è elegante, anche se una volta l'ho detto alla sua segretaria, sa che è proprio elegante il dottore e lei, anche lei, era d'accordo con me. Dunque siamo in due a pensare che sia elegante, io e la sua segretaria che anche lei è elegante, ma un po' meno del dottore che secondo me è elegantissimo. Si piange a questo mondo mi ha detto e ho fatto spallucce così come lui fa spallucce quando gli dico che è elegante. La realtà dei fatti è questa dunque: II mio medico ha uno squallido studio con i pesci tropicali senza pesci tropicali, i suoi pazienti e anche i passanti non fanno nulla se vedono qualcuno piangere, il mio psicoterapeuta è elegante, anzi no, elegantissimo e io sono uno che piange e questi sono i fatti. (Giuseppe Merico)

L

a zanzara stamattina è arrivata alle 8.40. Come ogni mattina. Da quasi quarant'anni. Silenziosa ha sorvolato l'ambiente che sta intorno, dapprima la sua postazione poi le altre. Occhi tondi rapidi si muovono in orizzontale su superfici pulite, pile di carta, piegature di fogli, cartelline portadocumenti ingiallite, telefoni con display azzurregnoli, altri oggetti di quotidiano utilizzo. Frulla con arti lunghi ed esili, e le ali coperte di squame lungo le nervature. Zzz...zzz... qui la pulce non ha caricato di fogli il fax, così quando poi vengono fuori tutti insieme, lei, la pulce, non si raccapezza e si dispera - "com'è faticoso stare dietro a tante richieste" - piagnucolerà. La pulce è stata ammaestrata alla fine degli anni 70, quando si formavano le Regioni. Poi matrimonio, ripetute maternità l'hanno talmente assorbita che ha perso l'interesse per formazione continua, che già riuscire a farla scrivere su un computer anziché sulla macchina da scrivere, è stato un successone. Zzz...zzz... lì la farfalla ha preparato la documentazione per gli impegni della prossima settimana che sono calendarizzati ma non confermati. Non se lo vuole mettere in testa, ma l'ultima parola sugli impegni d'agenda dell'intramontabile è mia, solo mia. E poi mi chiedo come fa ad essere sempre pronta e soprattutto quando trova il tempo per farlo, svolazzante di piano in piano, dall'archivio sotterraneo, al primo piano, dal quarto — e lì lo capisco , c'è il punto ristoro - , all'ultimo, l'ottavo. Conosce tutti e tutti la conoscono. Instancabile chiacchierona, ha argomentazioni per l'usciere, la portinaia, la guardia giurata, 11 facchino, la neoassunta, il dirigente tesponsabile, la professional, la tutor, il consulente legale, etc. etc., insomma per tutti quelli che rimangono abbagliati dalle tinte sgargianti delle sue parole. E se rimane indietro con i suoi compiti, colora a tinte forti le sue scuse che sembrano credibili. Zzz...zzz... un'occhiata alla scrivania della cavalletta gigante. Non c'è né una pratica in sospeso, né un granello di polvere, anche la donna delle pulizie avrà


avuto una marchetta da chiedergli. Era una cavalletta qualunque, prima. E' una cavalletta gigante, ora, dopo tre legislature. Senza nessuna consapevolezza che il livello di interesse ci deve essere, ma fino ad un certo punto, e superato quello diventa oppottunismo. Ormai non fa più niente che abbia un limite, ricatta e sfrutta le situazioni. Ne esce sempre a testa alta. Divora la fatica degli altri insetti. Del grillo in particolare. Un vecchio grillo parlante che si lamenta da sempre ma che da sempre rispetta le scadenze di sindacato ispettivo. Con lucidità e trasparenza, il grillo adotta da sempre azioni coetenti, tate pet l'ambiente incongtuente in cui opera. Zzz...zzz... per ultimo la zanzara controlla il trono dello scarabeo sacro, intoccabile e di centrosinistra. Tutto luccica. Poche pratiche, poca tecnologia regnano in un ambiente di pura rappresentanza. Ambiente di rappresentanza e pute asettico, specie da quando ci tormentano le cimici. Invisibili ma necessarie, di questi tempi. Inutili dico io, tanto poi le cose si fanno lo stesso. Zzz...zzz...e ancora zzz...zzz... oggi la zanzara è incazzata, è incazzata come una tigte. Oggi pulce, farfalla, cavalletta, grillo, questi piccoli animali invertebrati si sono coallzzati contro la zanzara. La decisione è presa e non si torna indietro. Lotta alla zanzara. Facciamoci in 4. Solo un intervento collettivo può portare a risultati concreti: ridurre al minimo possibile la presenza di questa insoppottabile zanzata, e di conseguenza ridurre al minimo possibile la possibilità di contagio di irritabilità e stizza. Evitiamo il ristagno di caffè su bicchierini e razzine, la zanzara ne va ghiotta e un eccessivo consumo la rende particolarmente fastidiosa. Trattamenti insetticida per tastiere, mouse, matite, gomme, biro, trattopen, lampostil, cucitrici, levapunti, nastro-adesivo, nastto-coprente, bianchetto, timbri, tagliacarte, etichette, carpette, cartelline, post-it, e altri oggetti di ordinario consumo. Le irritazioni persistenti e dolorose degli ultimi anni, provocate dalle sue punture, rendono indispensabile l'utilizzo di repellenti, e lì dobbiamo scrupolosamente rispettare dosi e modalità indicate sui foglietti illustrativi, in fondo siamo degli insettucoli anche noi. Insettucci! insignificanti e pure senza gloria. Senza preavviso da parte di nessuna delle sue api sentinella, si materializza davanti la nostra zanzara l'ape regina in persona. Chiede urgente richiesta d'incontro con l'intramontabile, con lo scarabeo sacro, per una faccenda delicata e d'ordine pubblico. La zanzara annuisce, ritaglia 10 minuti a margine dell'incontro con le associazioni di categoria e della grande distribuzione dopo le 10 di oggi. L'ape regina soddisfatta vira all'indietro, la zanzara la raggiunge, le spalanca la porta, poi s'inchina, s'inciampa, l'ape regina le sbatte praticamente la porta in faccia, e lei, la nostra zanzara finisce in mezzo. Cade. Stecchita. Esanime. Inutile l'intervento del 118. (Alessandra Scrofani)

D

opocena sono andata dalla Cinzia. La Cinzia era stesa sull'amaca in salotto, con il mal di pancia, pet colpa di un virus che ha preso venticinque anni fa in India. Mangia solo il riso con l'uvetta e beve delle tisane di semi di finocchio. Si alza ogni venti minuti pet fare la pipì. Dopo un po' che chiacchieravamo mi ha raccontato di una sua amica dottoressa, Rossana si chiama, quel che si dice un tipo quadrato, razionale, ma con delle sttanezze insospettabili. Ad esempio, quando si presenta a te pet la prima volta ti da del Tu, ma quando ormai ti conosce, da un pezzo, da molti anni, improvvisamente inizia a darti del Lei. La Cinzia ha detto che se ne è accorta una mattina che sono andate 24


a fare colazione insieme al bar. La Rossana ha detto alla Cinzia, Lei cosa prende? - Lei chi? Un cappuccino, ha risposto la Cinzia, che subito non ci ha fatto molto caso, poi però la Rossana ha continuato a darle del Lei, serissima, Vuole il croissant con la crema o quello integrale al miele? Così, di punto in bianco. Come se niente fosse, dopo quindici anni di Tu ha iniziato a darle del Lei. Alla Cinzia le scappava da ridere, ma non sapeva come fare, perché lei la conosce bene la dottoressa, la dottoressa non ha il senso dell'umorismo, la dottoressa è molto seria, è un tipo quadrato e razionale, non le piace che si rida di lei. Poi la Cinzia mi ha anche raccontato, che subito dopo l'università le compagne della Rossana, che erano devote a Saibaba, gli avevano scritto una lettera chiedendogli di avverare il sogno della dottoressa, allora laureanda, cioè di realizzarsi come medico della mutua e di avere un ambulatorio pieno di pazienti. Le compagne della dottoressa, molto devote a Saibaba, l'avevano fatto apposta, per dimostrare alla Rossana, che non credeva minimamente nei poteri soprannaturali, che invece il potere soprannaturale, eccome se esiste. Che raccontavano, le compagne di università della dottoressa, che Saibaba faceva delle apparizioni pubbliche dove aggregava la materia, cioè creava. Cosi. Dal nulla. Produceva delle cose, degli oggetti, da una specie di cenere magica e durante queste apparizioni pubbliche, se eri fortunato, potevi allungare a Saibaba un foglietto o una lettera con sopra scritta una richiesta di grazia, oppure un desiderio. E la Cinzia mi ha raccontato, che le amiche della dottoresse poi, sono andate in India per davvero e sono riuscite a consegnare proprio nelle mani di Saibaba, proprio quella lettera là, la lettera col desiderio della dottoressa di avere tanti mutuati. E poi com'è finita? ho chiesto alla Cinzia, che si era fermata per versarsi un altro po' di tisana. Eh... ha detto la Cinzia, la Rossana poi si è arrabbiata tantissimo con le sue compagne di università, perché va bene lavorare, ma svenarsi di lavoro che non riesci neanche più a respirare, è un altro discorso, che non riusciva mica a spiegarsi, la Rossana, il perché di tutti quei mutuati. Dopo, quando le sue compagne, fierissime, le hanno spiegato cos'era successo la Rossana si è arrabbiata tantissimo e non le ha neppure più volute frequentare. Anche adesso, quando è molto atrabbiata per qualsiasi motivo, le viene una gran agitazione e si mette ad urlare che è tutta colpa di Saibaba. (Giorgia Vezzani)

N

o, che non l'ho vista la televisione ieri sera. Lo sai che da quando il povero Tonino non c'è più, dormo quando va bene, una notte sì e due no. Ieri notte si vede che era quella buona. Pensa te, ero ancora dietro che lavavo quei due piatti che mi è venuto un sonno, ma un sonno, che mi è toccato piantar lì tutto e andare a letto. Mocché bella dormita, magari! Figurati te che mentre ero lì che sognavo di andare su per i Bregoli, e doveva proprio essere Pasqua perché c'era pieno di viole, sento una bicicletta che scampanella. Era uno con la rnuntunbaìc che veniva giù a scheggia e a momenti mi mette sotto. E allora mi sono svegliata, ma non era mica il campanello di una bicicletta, era quello


della porta. E sai che ora era? Le quattro e mezzo erano. Chi aveva suonato? Figurati te, uno che dentro al citofono diceva: Sono Cico, apri, apri, che qui fuori fa un gran freddo! Sono Cico! No, che non ho aperto, son mica matta aprire a quell'ora lì a uno che non l'ho mai neanche sentito nominare. Però c'è stato un invornito di condomino, non so chi, che gli ha dato il tiro e io credevo che dovesse andare da lui questo Cico. E invece dopo un po' ho sentito l'ascensore che si fermava propio qui davanti alla mia porta e poi dopo hanno bussato due o tre volte. Oi ben, che era Cico! L'ho guardato dallo spioncino! Com'era? Un ragazzo che non avevo mica mai visto, alto, ben messo mi è parso, però mi è venuto da pensare, ma questo qui chissà se è ubriaco o se è fatto. No, non ho detto matto, ho detto fat-to. Magari aveva fatto l'aerosol con la coca, hai capito? Mecche la bibita, la cocaina! Cosa vuoi, che abbia aperto? No, che non ho aperto. Se ci fosse stato ancora Tonino sì che avrei aperto, che con lui non avevo paura di niente, sarei andata anche all'inferno col mio Tonino. Come hai detto? Che invece ce l'ho lasciato andate da solo? Ben, ma secondo te, cosa dovevo fare? Dovevo farmi dar fuoco sulla pira come le vedove indiane? E poi stanimi bene a sentire. Tonino sarà anche stato un mangiapreti sfegatato ma età buono come un pezzo di pane, era. E se nell'altro mondo ci fosse la giustizia che in questo brutto mondo qui non c'è, Tonino adesso starebbe in paradiso, te lo dico io. Sempre che ci fosse il paradiso. Sìssì, non volevi, mo intanto l'hai detto. Com'è finita con Cico? L'ho sentito andare su è giù per un gran pezzo con l'ascensore e a tutti i piani bussava e suonava i campanelli e diceva aprite aprite! ma nessuno, propio nessuno, che abbia non dico aperto, mo nemmeno dato una voce. Neanche Tarabusi, che pare Camera, ha messo fuori il naso. Neanche il maresciallo... sì, quello che racconta sempre di tutti i delinquenti da lui catturati con grande sprezzo del pericolo... sé, addio! Alla fine sono tornata a letto, ma non son mica stata più buona di dormire. Intanto, siccome tutti si erano svegliati, era partita la sinfonia degli sciacquoni al gran completo, che gli sciacquoni del mio condominio tutte le volte che tiri l'acqua non si contentano di scrosciare, ma fanno anche un uhuhuhuhuhuh lungo lungo che sembrano delle bestie che fanno dei versi. Pare che dipenda dall'aria che mettono dentro nell'acqua, che così si gonfia e se ne consuma meno di acqua. E poi, dopo un pezzo è tornato il silenzio, ma, ti dirò, io avevo il pensiero che non avevo sentito il portone chiudersi, che quell'accidenti quando si chiude fa un botto come una cannonata. Che a me mi tremano sempre tutti i vetri e non so quante volte ce l'ho già detto a... coso, all'amministratore: quando i miei vetri si son rotti, me li paga poi lei? Come, cosa c'entra il portone? Il portone c'entra, perché se il pottone non si età chiuso vuoi dire che Cico, dopo che era venuto dentro non era più andato fuori e era ancora lì


clii: girava per le scale. l:. se gli fosse venuta una gran tigna perché nessuno gli dava retta? E se gli fosse saltato in niente di dar fuoco alla casa alla zitta e cheta, magari cominciandopropìo dalla mia porta? Oi, son fatti che succedono, sai! Li chiamano actus... ractus, una cosa così. E con quel pensiero lì che mi frullava nella testa, figurati te se son riuscita a dormire. Ben, per finire, proprio cinque minuti fa ha suonato il maresciallo che ha detto: stamattina non c'era più, ma stanotte Cico ha dormito nell'ascensore, che lui, il maresciallo, aveva fiutato le tracce. Le ha chiamate le tracce, ma poi dopo quello che aveva sentito era solo una gran puzza di vino. (Mirella Giordani)


Scrivete una cosa dove si incrocino due registri. Se l'Umbria è il "polmone verde" dell'Italia il Molise può a buon diritto essere considerato "la milza" del nostro Paese. Non certo per la sua inutilità quanto perche il Molise, come la milza, è situato proprio nella porzione sovramesocolica della cavità addominale. Grazie a questa invidiabile collocazione geografica il Molise è in grado di offrire molto ai turisti che decidono di visitarlo: 15 chilometri di costa (in gran parte incontaminata), ben 2 vette che si stagliano oltre i 920 metri di altitudine (con impianti sciistici aperti, negli stagioni buone, fino a 3 giorni l'anno), una tradizione culturale che non ha niente da invidiare a quella di altre regioni europee (per questo motivo il Molise è considerato una sorta di Mitteleuropa in miniatura tanto che il famoso scrittore tedesco "lliomas Mann meditò a lungo, prima di optare per l'Hotel des Bains del Lido di Venezia, di ambientare il suo romanzo "La Morte a Venezia" presso l'Hotel "La Conchiglia" di Campobasso Marina), antichi borghi come Larino (fondata dai romani che subito però ebbero un ripensamento radendola al suolo), cosmopolite ed affascinanti città d'arte come Isernia (presso il locale "Museo Civico" sono conservati un autografo, in attesa di autentificazione, di Mimmo Rotella ed una crosta giovanile di Mario Schifano), inusuali percorsi naturalistici lungo i canyon scavati nel corso dei secoli dall'impetuoso fiume Biferno. Discorso a parte merita il ricco patrimonio enogastronomico: basti pensare ai gustosi "strigoli con il Cilifone", il Re dei formaggi molisani o ai "piccillad", gli appcttitosi ravioli ripieni di amarena e cotti, dopo accurata imburratura, nei tradizionali forni a legna. Molise: una regione che avrebbe molto da offrire, se solo qualcuno glielo chiedesse. (Pietro Farà)



Massimiliano Tagliente Pietro FarĂ Simona Brighetti Massimo Bianconi Nicoletta Bianconi Lorenzo Biagini Pasquale Vollo Milvia Comastri Mirella Giordani Alessandra Scrofani Maria Mazzoli Giuseppe Merico Giorgia Vezzani Barbara Schiavina

info@modoinfoshop.com


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.