Scorretto Magazine 6 - Armadi

Page 1

Scorretto Magazine - Armadi

1


Scorretto Magazine - Armadi

2


Scorretto Magazine - Armadi

Scorretto Magazine #6|Gennaio 2017 DIRETTORE (NON) RESPONSABILE Fabio Martellini REDAZIONE SCORRETTA Aldo Bagnoni, Alez, Amelia Rossi, Artanis Naanìe, Avenarius XIX, Brett Sawyer, Donato Alfonso Sedàan, Edward Dwight Eugene Navarro, Fabio Martellini, Mauro Negri, gian marco griffi, Gianluca Dario, Helenio Ferrante, Raphaelle Smith, Roberta Pagnoni, Svetlana Svetla, 浪人, Silvia Perosino HANNO COLLABORATO Dada, Claudio Ricci, Ellie GRAFICA E IMPAGINAZIONE Lestath87, Artanis Naanìe, NBS, Silvia Perosino DIRETTORE CREATIVO Andrea Andereassen (Port Huron High School) COPERTINA Lesthat87 (immagini provenienti da Ushak – Atelier di meraviglie, Jeff Knight Potter) CONTROCOPERTINA Lestath87 (digital art)

Pubblicazione casuale scorrettomagazine.wordpress.com redazionescorretta@gmail.com

3


Scorretto Magazine - Armadi

Indice Pag. 6

Editoriale

di Fabio Martellini

Pag. 7

Haiku

di 浪人

Pag. 8

Artisti chiusi in sé stessi

di Mauro Negri

Pag. 11

Dolphin Hotel

di Svetlana Svetla

Pag. 14

Un ponte sul passato

di Amelia Rossi

Pag. 16

Ursus

di Claudio Ricci

Pag. 19

Gli Armadilli del Don

di Avenarius XIX

Pag. 22

Pausa, play, stop

di Ellie

Pag. 23

Gaspare e la fabbrica di mobili

di Artanis Naanie

Pag. 26

Rimedi casalinghi per fare figli

di Helenio Ferrante

Pag. 34

Bansky, chupacabras e speranze diffuse

di gian marco griffi e Silvia Perosino

Pag. 42

Lucido, da scartavetrare

di Roberta Pagnoni

Pag. 46

Dal buio

di Aldo Bagnoni

Pag. 52

Adamo ed Eva al palio di Asti

di Eraldo Ghietti

Pag. 56

Polvere alla polvere

di Dada

Pag. 58

Il primo assalto all'armadio

di gian marco griffi

4


Scorretto Magazine - Armadi

Scorrezioni Memorie di un armadio Pag. 10

1880

Pag. 13

1907

Pag. 15

1921 (illustrazione)

Pag. 18

1943

Pag. 21

1972

Pag. 25

1981

Pag. 33

1996

Pag. 44

2017

Pag. 51

2029

Pag. 55

2045

Pag. 57

1,8 mil A.C.

A cura della Redazione Scorretta

5


Scorretto Magazine - Armadi

EDITORIALE di Fabio Martellini

Strano mese gennaio. Tutto continua, eppure tutto ricomincia. Fa freddo, piove e nevica, fa buio presto, esattamente come nei mesi precedenti, ma sai che sono gli ultimi mesi di cappotti, sciarpe e cappelli, e davanti hai tanto tempo. Tempo nuovo, ancora da vivere, da determinare, da scegliere. Farai i gesti di sempre, ma ti sembreranno nuovi, freschi. I cappotti cederanno il passo agli abiti leggeri e questi di nuovo a quelli pesanti. Aprirai il tuo armadio per prenderli e per riporli, ti specchierai nelle sue ante prima di uscire di casa, aprirai e chiuderai i cassetti, ci stiperai dentro i tuoi segreti, in perfetto ordine o alla rinfusa, ci nasconderai i tuoi tesori, lo farai tuo. Gli armadi sono contenitori che parlano di noi. Noi vi apriamo il nostro‌

6


Scorretto Magazine - Armadi

7


Scorretto Magazine - Armadi

ARTISTI CHIUSI IN SE STESSI di Mauro Negri A volte, casualmente, si scoprono artisti che danno un senso all’abusato significato del termine Arte. "L'arte non ha prezzo, l'arte non si vende" diceva Francesco Romiti e probabilmente il suo nome non vi dirà nulla anche perché le sue opere non sono mai entrate in una galleria d'arte, nessun critico si è occupato di lui, quando era in vita. Uomo unico assieme al suo mondo contenuto in un sacchetto di supermercato, disegnava con pennelli e matite su tutto quel che trovava: cartoni, frammenti di carta, scatole, pezzi di legno, il retro dei manifesti stracciati. Tutto si rinnovava in una nuova arte attraverso l’ossessione del disegno che coltivava ogni giorno e in ogni luogo. Nato il 1 marzo del 1933 in una famiglia di contadini arrivati a Firenze, Francesco dimora per molti anni a Galluzzo in una casa senza acqua né luce e priva del tetto ('‘così si possono guardare le stelle’') e morirà il 27 novembre 2013 in una roulotte a Reggello, dove si era trasferito negli ultimi anni. Autodidatta, viveva ai margini della società, un emarginato che vedeva l’abisso della normalità senza vertigini e non temeva di guardarsi dentro. Chi lo ha conosciuto dice di lui che era un uomo buono dal volto burbero che ti faceva credere nell’immortalità, scettico sul destino del mondo, credeva solo in alcune persone alle quali donava le sue opere. Romiti era ossessionato dai volti della gente che incontrava e definiva quei volti come dei paesaggi.

8


Scorretto Magazine - Armadi

In un mondo zeppo di artisti autoreferenziali e detentori di veritĂ assolute, Francesco mi mancherĂ parecchio al pari di non averlo conosciuto prima. M.N.

9


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1880 Profumo di nuovo. Di pioppo, di cera. Sono molto alto, quasi tocco il soffitto della camera borghese in cui mi hanno montato. Mi hanno riempito di vestiti, lenzuola e tovaglie, il tutto precisamente stirato. I miei proprietari si detestano cortesemente, malgrado abbiano 5 figli e un matrimonio di una decina di anni alle spalle. La signora è sempre stanca, lui non lo vedo quasi mai. Forse ha un'altra camera. Forse in quella camera c'è un altro armadio fatto su misura come me, alto, con due belle ante e due bei cassetti in fondo. Chissà se anche gli altri profumano di cera e di pioppo.

10


Scorretto Magazine - Armadi

Dolphin Hotel di Svetlana Svetla Se avesse avuto un albergo l’avrebbe chiamato Dolphin Hotel, come il Dolphin Hotel di Dance Dance Dance. Un albergo bello in potenza e modesto in atto, lo immaginava così. Immaginava di dargli poi lo splendore che il suo potenziava lasciava intuire e che negli anni sarebbe diventato demodé. Sempre bello ma ormai datato. I corridoi, la moquette per attutire il rumore di un colore che non facesse notare troppo eventuali macchie accidentali quando ci camminavano su bambini con le loro caramelle e le patatine ma che avrebbe fato tenere sempre pulitissima, le piante in grossi vasi che qualcuno avrebbe innaffiato con costanza e da cui avrebbe dovuto togliere le foglie avvizzite, le vetrate ampie negli spazi comuni con tende leggere di lino che non avrebbero dovuto avere spifferi e sarebbero state sempre pulite. Si sarebbe occupata di tutto, da vicino, istruendo il personale prima di delegare, e delegando il meno possibile. E poi le camere. Non sapeva ancora bene come le avrebbe volute, avrebbe valutato varie proposte, si sarebbe fatta consigliare ma l’ultima decisione sarebbe stata la sua. Il suo Dolphin Hotel doveva impercettibilmente parlare di lei, eppure portare la firma del suo stile in ogni cosa. Si sarebbe riservata una stanza all’ultimo piano, una delle più remote, con vicino l’accesso al terrazzo, per potersi godere il panorama del mare da un lato e delle montagne dall’altro, a guardare le macchine scorrere come formiche lungo la strada, e vedere la gente muoversi come puntini in continuo movimento, senza schema, in libertà, immaginando il perché qualcuno avrebbe imboccato quel viale, o per andare dove avrebbe preso il bus, chi lo aspettava a casa, se aveva una casa in quella città o veniva da lontano. Camminava nei corridoi immaginando i suoi ospiti nelle stanze. Soggiorni di vacanza, di lavoro, famiglie, persone sole, anziani, coppie di una vita o coppie formatisi in albergo. Il bagno, la doccia prima di uscire, i letti per addormentarci i bambini o farci l’amore. Le risate sonore delle comitive raccolte intorno ai tavolini del patio, le liti, i capricci dei piccoli, il pianto, oggetti che cadono, gli squilli di cellulare, il tintinnio delle posate della sala da pranzo, le sedie spostate per sedersi, i giochi sfrenati dei bambini stanchi dopo cena…la vita nelle sue stanze. La vita degli altri. La vita che viveva aveva avuto tutto questo, come le vite di tutti, poi però aveva cominciato a reggerla sempre meno fino a non sopportarla più, a sentirsene schiacciata e non accettare più le sue sfide quotidiane. La propria. Solo la propria, quella degli altri no. Quella degli altri avrebbe vissuto porzioni nel suo albergo. Lei l’avrebbe guardata ma dal margine, lasciandosi appena lambire per sentirne l’eco e guardarne il film, ma senza partecipare. Poi sarebbe salita nella sua stanza dell’ultimo piano, dietro alla curva del corridoio, sarebbe entrata nella sua stanza e si sarebbe sentita al sicuro. Avrebbe aperto le due ante del suo armadio in massello che aveva fatto restaurare prendendolo dalla casa in 11


Scorretto Magazine - Armadi

cui era nata e che non era più sua, si sarebbe seduta sul ripiano sopra la cassettiera, si sarebbe tirata le ante verso di sé accostandole senza chiuderle e avrebbe lasciato uno spiraglio aperto. Da lì avrebbe guardato la luce del giorno cambiare colore fino al buio della sera, si sarebbe detta che non aveva dovuto fingere con nessuno, dire di sì a nessuno, fare la volontà di nessuno, che sarebbe stata lei sola, lei stessa. Si sarebbe addormentata in quella posizione scomoda, rannicchiata sulle assi di legno e appoggiata alle assi di legno, a volte le succedeva. La stanchezza arrivava e non se ne accorgeva nemmeno. Si risvegliava per le ossa rotte dal duro del legno o perché la pipì premeva o perché la fame le faceva brontolare lo stomaco. Allora apriva lentamente le ante, usciva dall’armadio, si stiracchiava e faceva quel che doveva. Richiudeva l’armadio per bene, le ante dovevano restare aperte solo con lei dentro, perché nell’armadio quando non c’era lei c’erano i suoi fantasmi e loro dovevano stare ben chiusi lì dentro. E farle compagnia quando entrava nel suo armadio e si sentiva libera in quello spazio angusto.

12


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1907 Ho cambiato casa. La più piccola degli 8 fratelli, che ho vista nascere davanti ai miei occhi, mi ha portata con sè dopo il matrimonio. Troneggio in un magnifico ingresso, ricolmo di lenzuola e tovaglie segnate alle iniziali della famiglia che è appena nata. È bello vedere una coppia ben assortita, dopo questi lunghi anni a vedere i genitori di lei lanciarsi accuse, libri e scarpe. Lui è un architetto e da quel che vedo della casa ha molto gusto. Lei ricama molto e sento che custodirò le sue migliori creazioni. Ridono spesso, mi piace il suono della risata degli adulti, è diversa da quella dei bambini perché mi pare che per ridere da grandi facciano più fatica e ci mettano più impegno. Credo che starò bene, qua, e poi ho sentito che parlavano di ridarmi la cera. Io adoro quando mi danno la cera.

13


Scorretto Magazine - Armadi

Un ponte sul passato di Amelia Rossi

Entrare in quella stanza mi fa sempre un certo effetto. La stanza non è molto grande ed è polverosa. Viene usata come deposito. Alle pareti collage di foto. Volti giovani, sorridenti. Gatti. La scrivania sembra triste, quei cassetti che hanno conservato diari segreti e piccoli tesori sono semivuoti, sono riempiti ora di oggetti dimenticati. C' è anche un calco della mia dentatura, sembra una dentiera di gesso, inutile e abbandonata lì. Campeggia l'armadio. Un armadio a ponte scelto dai miei genitori. La cameretta nuova fu un regalo che non ho scelto. Ma l'ho amata. Soprattutto l'armadio. A ponte. Che se stavo lì sotto mi sentivo al sicuro. Anche se il nonno l'aveva rimontato e avanzava un pezzo, che non si è mai scoperto dove andasse, mi sentivo al sicuro. Lì sotto ero al sicuro. L' ho sempre sentito benevolo, contento di essere il mio rifugio. Avevo tutto, tv con videocassetta, un letto matrimoniale, dei libri da poter tenere accanto, i miei adorati gatti, ognuno dalla sua parte. Se potesse parlare credo che ci divertiremo a ricordare tutto quello che abbiamo passato insieme. Le chiacchiere, gli amori, le risate, i fidanzati a dormire...le amiche e le confidenze fino al mattino. Credo che mi vorrebbe indietro. Col mio caos, con i miei vestiti tutti alla rinfusa, coi poster attaccati alle ante. L'anta con lo specchio sempre aperta. La musica, i Red Hot o Renato Zero a seconda dell'umore. Il mio profumo nei vestiti. Tornare la sera tardi, tardissimo, che forse era già mattina e restare lì sotto a fantasticare, addormentarsi e cercare nel sonno l'unico uomo che ho veramente amato. Essere spettatore di tutto questo, l'ho sempre sentito benevolo, divertito, partecipe. Adesso ci sono i vestiti di mia madre altri odori, tutto ordinato e per nulla incasinato. Non lo so, ho avuto la sensazione che preferirebbe riavere minigonne micro, maglie e golf informi accartocciati. Ho la sensazione che mi piacerebbe molto poter tornare indietro nel tempo e rivivere quella sensazione di essere al sicuro lì sotto al mio armadio che non ho scelto, a ponte.

14


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1921

15


Scorretto Magazine - Armadi

URSUS di Claudio Ricci Troneggia nella stanza, mura il muro. Non ammette la vicinanza di altri mobili, è intrinsecamente sociopatico e avido. E' fatto di legno di non-lo-so e viene dagli anni venti. Del ventesimo secolo. Entrò già usato in questa casa nel 1959 e da allora tutti i vestiti che ha contenuto, cuciti insieme, coprirebbero la superficie della luna. Ride di sdegno quando sente le giovani madri di famiglia lamentarsi di quel pedante rituale noto come "cambio di stagione". Quel noioso spostar abiti e passarli da scaffali a scatoloni. Perché lui di stagioni può contenerne otto, e spaziare dal clima della foresta pluviale del Borneo a quello della landa subartica dove gli Inuit cercano il grasso di foca per la colazione dei loro marmocchi. Quando sono entrato in casa ho dovuto chiedergli il permesso. Mi ha guardato (male). Mi ha ordinato di riempirlo dei miei miseri stracci prima di uomo obeso e ora di uomo semplicemente grasso (rideva dei miei sacrifici alimentari, lui che può contenere camicie anche di taglia ottupla X senza colpo ferire). In dieci anni che abito qui, abiti e altro (un misero corredo di lenzuola, federe e consunti asciugamani, tanto per l'ano quanto per i piatti - in scomparti rigorosamente diversi e dall'uso non intercambiabile) si sono stratificati e ammassati nel suo ventre. Per un po' è stato zitto. Poi ha cominciato a giocare. Ha uno strano senso dell'umorismo. Ti nasconde le cose, e poi te le ridà quando vuole. Quel pantalone che tanto cercavi... l'avrò dato via? Dov'è? Eppure appartiene al periodo in cui già ero dimagrito. Lo ritrovi quando vuole lui. Schiacciato dietro una giacca che lo nascondeva a causa di una stampella messa per storto. E storta DA CHI? Da lui. Le camicie spariscono. A volte mutano fantasia. Te le ricordi a quadretti, magari è qualche mese che non le metti e non ci ripensi (avendone tante e portandole tutto l'anno). E poi quando vuole lui le ritrovi ma i quadretti sono diversi. Ti ripeti che te li ricordavi in un altro modo. Lui ha trovato il modo di cambiarli. A volte decide LUI come ti devi vestire. La mattina vai di fretta, ma lui ti fa trovare quel che vuole in primo piano, sapendo che non avrai tempo ne voglia di cercare. C'è stato un periodo in cui uno degli sportelli ha smesso di aprirsi e chiudersi correttamente. Mi sfotteva. Stamattina non ti farò vestire. Andrai al lavoro in mutande o nella consunta tuta che usi come pigiama quando fa freddo. Una, due, tre, cinque volte. Sinchè non sono stato più allo scherzo ed è partito un gran calcio, quasi da sfondare lo sportello. Ah sì? Bene... ha preso a riaprirsi e chiudersi correttamente ma cigolando, e mi ha sputato un chiodo per terra. Un chiodo senza il quale comunque può sopravvivere lo stesso (è immortale, e se li cambia da solo, i chiodi). 16


Scorretto Magazine - Armadi

La vendetta è arrivata coi buchi. Le tarme. Il suo modo di dire non ti permettere di fare più il gradasso con me. I miei maglioni preferiti ridotti un colabrodo. Da esseri invisibili al suo servizio. Un problema risolto con le bustine antitarme, ma ricomprando maglioni, una dura punizione per il portafoglio già gravato. Mamma e papà preoccupati insistono per farmi comprare un Armadio nuovo... ma alla fine mi ci sono affezionato e sono giunto a patti. Lui comanda, io uso i suoi servigi, ognuno ha i suoi spazi e io gli ho promesso di continuare a farlo vivere nella stanza dove è molto più padrone di me e da molto più tempo. Perchè io sono niente e sono caduco e impermanente. Mentre lui sopravviverà anche a me, e poi diverrà antiquariato e di lì accederà alla vera immortalità. E' tempo di andare a dormire ora, e riporre al solito i pantaloni nelle sue sconfinate membra. Lui. Ursus. Il Custode.

17


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1943 Saranno almeno due mesi, forse anche di più, che non passa nessuno da queste parti. Nessuno che apra le mie ante per metterci degli abiti, per toglierli e pulire la polvere che si è formata. L'ultima volta che qualcuno mi ha fatto prendere un po' d'aria, ho sentito solo un gran trambusto, qualcuno è venuto su di corsa, ha aperto i miei cassetti e ha buttato delle cose a caso in una valigia. Poi da lontano ho sentito delle urla, in una lingua straniera, degli spari e delle grida di pianto. La piccola di casa, per paura, credo, si era venuta a nascondere qui, nell'anta di destra, quella che non si chiudeva bene. Fu il suo più grande errore, un uomo in divisa la trovò e la portò via con sé, con la forza. La sentivo singhiozzare dalla paura, purtroppo non fui l'unico a sentire quei singhiozzi di lacrime. Adesso l'unico ricordo tangibile che mi rimane di quella famiglia è il disegno impresso nel mio fianco sinistro, una stella a sei punte. Non ho mai capito a cosa si riferisse.

18


Scorretto Magazine - Armadi

Gli Armadilli del Don di Avenarius XIX Che fossero i cosacchi la prima forma difensiva dei confini più remoti dell'impero zarista, è un falso storico. Nella Russkaja Imperatorskaja Armija, l’esercito imperiale attivo dall’inizio del 1700, l’arma più micidiale di cui lo Zar disponeva erano gli Armadilli del Don. Mica si poteva scherzare con loro, notoriamente molto scontrosi e tendenzialmente pacifici, vivevano questo dualismo facendosi di Vodka siberiana con l’unico problema del non distinguerla dall’acqua, che se la bevevano si incazzavano come degli Armadilli incazzati. Di queste amabili creature nessuno avrebbe mai sospettato la micidiale pericolosità, innanzitutto perché il concetto di sospetto era proibito e in seconda battuta perché erano proprio molto carini da vedersi.

Nelle Cronache di Ojmjakon del 1100, si narra che un gruppo di Armadilli in stato confusionale si addentrò in una grotta di patate ed iniziò a scavare per centinaia di anni, uscirono dalle parti di San Pietroburgo e all’unisono esclamarono: porca troia, è ancora inverno e non c’è neanche un palazzo!

19


Scorretto Magazine - Armadi

Questo per sottolineare che erano degli ottimi scavatori, se poi si vuole evidenziare la cosa è sufficiente prendere un pennarello giallo e passarci sopra. Nel 1547 a Kuzneckij Ostrog l’ora locale segnava mercoledì e nevicava, i cosacchi volevano fondare una ridente cittadina siderurgica con un bar e uno spaccio di patate salate. Tutto era pronto per l’inaugurazione, c’erano Igor, Ivan, Anatoliy, Kazimir e la bella Ludmilla con le babbucce rosse; la porta d’ingresso era piazzata sul nulla e dentro al bar c’erano 4 Matrioske di vodka ghiacciata. Pronti per i sontuosi festeggiamenti, da un buco nel pavimento che non c’era, uscirono 3 Armadilli assetati. Lo scontro fu talmente duro che non avvenne nemmeno, il primo armadillo fissò tutti e disse: cazzo fate? Il secondo si girò e fece un gelido peto che si tramutò in un cavallo di vetro di Murano, mentre il terzo armadillo con tono minaccioso esclamò: prendo bottiglia e ammazzo Ludmilla, poi mangio tutta vodka! Finì a pasta e ceci, divennero tutti amicissimi, si trasferirono in un posto migliore lungo le rive del Don e si allearono per minacciare lo Zar solo perché aveva un nome che facevano fatica a pronunciare non sapendo dove mettere l’accento. Al contempo lo Zar era decisamente terribile e disponeva di una distilleria enorme che donò ai cosacchilli con la promessa che questi avessero difeso l’impero. Detto fatto. Personalmente conobbi una coppia molto affabile e squisitamente alcolizzata. La cosa interessante erano i cinque cassetti che si aprivano sulla corazza e dove presumibilmente si nasconde il tesoro dei Romanov. Per il resto erano piuttosto noiosi, ma questo non glielo dissi.

Avenarius XIX

20


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1972 Queste due ragazzine non mi sono molto simpatiche, lo ammetto. E a loro non sto simpatico io. Non mi vogliono, lo dicono sempre alla madre che la loro cameretta dovrebbe essere moderna e io come armadio non combacio col loro ideale. Sono troppo grande, troppo pesante, troppo antico. La madre le rimprovera, spiega loro che sono un armadio antico, pregiato, che dopo il restauro nemmeno la stella a sei punte si vede quasi piĂš. Che sono capiente, che dentro ci va il corredo di tutta la famiglia e che c’è tanto spazio per i loro vestiti, ma niente, continuano a protestare, a dire che non gli piaccio. Cambiano espressione solo quando si specchiano per vedere come stanno prima di uscire. Se solo sapessero quanta vita hanno ospitato i miei cassetti, e quanta morte. Se solo lo immaginassero mi guarderebbero con occhi diversi, anche se non sono intonato col loro stile. Capirebbero che sono qui per custodire e conservare ancora la vita, la loro. Che sono pieno di roba ma ho sempre posto.

21


Scorretto Magazine - Armadi

Pausa, play, stop. di Ellie “Quando torni?” “Starai via tanto da lavoro?” “Perchè hai così tante valigie?” Lui non rispondeva, continuava a tirare fuori vestiti su vestiti da quell'armadio in legno bianco. Pensavo che non importasse davvero prendere le maglie a maniche corte, era pieno inverno, dove l’avrebbero mandato questa volta? Eravamo io, lui e l’armadio in quella stanza. O meglio, eravamo io, la presenza fisica di lui e l'armadio. Lui mentalmente non c'era. Sembrava che ogni vestito che toglieva da quell'armadio volesse significare qualcosa. Eppure era una scena che mi si presentava davanti agli occhi almeno una volta al mese, lui fermo davanti quell'armadio che mi raccontava dei posti magnifici dove la sua ditta l'avrebbe mandato questa volta, Molise, Sicilia, eh oh! La bellissima Praga. “Sai che tutti parlano in modo diverso lì? Come farai a dirgli che hai fame? E come farai a dirgli che devi andare in bagno?” “Amore non ti preoccupare, imparerò e quando tornerò tra un mese te lo insegnerò” Ero su di giri, la promessa di tornare valeva più di ogni altra cosa per me, mi avrebbe portato un ricordo di quel posto e a me bastava. Poi l'avrei visto disfare le valigie davanti quell'armadio e mi avrebbe insegnato le parole nuove che aveva imparato. L'armadio rappresentava per me qualcosa che per gli altri non ha alcun senso, era il nostro totem, quello davanti cui tutto si metteva in pausa alla sua partenza e poi riprendeva al suo ritorno. “Perché non mi rispondi? Quanto starai via? Una settimana? Un mese? Tre mesi?” “Questa volta non so quando tornerò, vado a stare con il nonno, tu non ti preoccupare, ci vedremo spesso, più di adesso, te lo prometto” Erano le parole più strane che mi avesse rivolto davanti l'armadio, non capivo, come avremmo fatto a vederci più spesso se lui stava con nonno? In quel momento finì di fare le valigie, le prese e se ne andò. Rimasi stordita davanti all'armadio ancora aperto, ma molto, troppo vuoto. Immobile non proferivo parola. Eppure di cosa mi dovevo preoccupare? Sarebbe tornato, me l'aveva detto. Non sapeva quando, ma prima o poi lo avrebbe fatto. Eppure nonostante la voglia di autoconvincermi in un suo ritorno, mi rendevo conto che anche per una bambina di 7 anni erano pensieri stupidi. Papà non sarebbe tornato. Niente sarebbe più ripreso, solo stoppato. Crollai a terra e cominciai a piangere disperatamente davanti a quel maledetto armadio. 22


Scorretto Magazine - Armadi

Gaspare e la fabbrica di mobili di Artanis Naanìe Gaspare aprì gli occhi di soprassalto, chiedendosi dove fosse, come tutte le mattine. Lui che aveva dormito più notti nelle camere d'albergo del mondo che in casa sua non riusciva a sentirsi a suo agio nel monolocale che occupava da due settimane. La carta da parati era vecchia e sporca, i mobili altrettanto, tanto che ancora non aveva osato mettere i propri vestiti nei cassetti. La valigia aperta troneggiava su un tavolino, rigurgitante vestiti più o meno spiegazzati. Due settimane. I primi giorni aveva dormito in albergo, poi un amico gli aveva trovato una sistemazione più economica. Troppo economica, forse, pensò Gaspare. Le trapunte puzzavano un po' di muffa ma la stanza era sufficientemente gelida da non dargli voglia di alzarsi. Rimuginava, come sempre. Non faceva altro da due settimane che rimuginare. Su Anna, sulla sua casa, sulla sua vita. Su come era finito in quella maledetta topaia. Estrasse le mani da sotto le coperte per prendere il tablet posato a terra e aprì internet. Le stesse pagine da due settimane: video porno e la ricerca google "suicidarsi senza dolore". Diede un occhio rapido ma nessuno consigliava cose nuove. Le solite medicine, il solito sparo in bocca. Decise di alzarsi. Quando si chiuse alle spalle la porta del monolocale Gaspare era vestito di tutto punto, la sciarpa il cappotto il cappello e i guanti. Le occhiaie più marcate del solito erano, al mondo, il solo segno del recente cambiamento di vita. Durante la mattinata di lavoro si fece il quarto profilo Tinder che cancellò immediatamente, come aveva fatto con gli altri. Chiamò il suo medico per farsi rinnovare gli antidepressivi che non prendeva e le cui scatole piene si accumulavano al bordo del lavello. All'ora di pranzo uscì mettendosi il cappello, salì in macchina e si diresse verso nord, nella zona industriale fuori città. Si fermò davanti ad un capannone, posteggiò e scese. L'odore di segatura lo colpì come un pugno, forte come se gli avessero sbattuto il naso sul legno. Entrò nel capannone e lo attraversò verso gli uffici, situati in fondo. Vicino all'ingresso stavano i pezzi finiti: tavoli, sedie, librerie e armadi, soprattutto armadi, grandi e piccoli, disegnati su misura, laccati o cerati con cura, di legno pregiato o meno. Il rumore delle seghe circolari e delle martellate era assordante, per cui Gaspare non si preoccupò neanche di bussare quando arrivò all'ufficio. Si tolse il cappello e sorrise all'uomo alto e robusto che alzava gli occhi verso di lui; dovevano avere la stessa età, ma il falegname trasmetteva tutta la forza di cui l'altro sembrava privo. - Ciao, Tito. - Ciao Gaspare! Che ci fai qua, ti serve una nuova libreria? - No, Tito. Mi serve un favore. - Se posso, Gaspare, ci mancherebbe! - Ci conosciamo da cosa, trent'anni? - Da quando pestavamo i ragazzetti alle medie, rise Tito. - Ecco. Tito, voglio che tu mi faccia una bara. 23


Scorretto Magazine - Armadi

Un silenzio freddo si installò tra i due, colmo di imbarazzo, sorpresa, tristezza. Come una nebbia densa il silenzio assordava i rumori delle macchine e l'odore del legno, lasciando i due uomini in un tempo sospeso. - Io faccio armadi, Gaspare, non bare. - Lo so, cosa credi, che non lo sappia? Ho bisogno di una bara. Anna mi ha cacciato di casa. Non ce la faccio. Ho guardato dai becchini ma mica me le posso permettere, quelle bare. E poi sono tutte decorate, coi cuscini di velluto e le maniglie di bronzo, ma a me che cazzo me ne frega? Tanto finiamo mangiati dai vermi, Tito, è il destino dei corpi morti, dare cibo ad altri corpi. Fammi una bara. In pino. Semplice, senza orpelli, senza niente. Una roba che ci buttino dentro sta carcassa e che si sciolga nel terreno il prima possibile. Ti prego, Tito. Non posso resistere a lungo. Fallo per quella volta in cui.. - Fermati. Non c'è bisogno che facciamo a gara di chi deve qualcosa all'altro. Ma cazzo, Gaspare, una bara? Ma ti è andato di volta il cervello? Ok, Anna è Anna, ma troverai qualcun altro, datti tempo... - Non voglio tempo, Tito. Voglio morire. Planò di nuovo il silenzio. Gli uomini si fissavano, Tito sconcertato, Gaspare risoluto. Sembrava facessero il gioco che facevano da ragazzini, di vedere chi per prima abbassava lo sguardo. Fu Tito a cedere. - Sarà pronta tra una settimana, poco prima di Natale, disse senza guardare l'amico in faccia. La voce sembrava rotta, un sussurro appena. - E allora aspetterò Natale, rispose Gaspare con un mezzo sorriso. Si calò il cappello sulla fronte e girò i tacchi, senza il minimo ringraziamento verso l'amico che lo guardava allontanarsi scuotendo la testa, in preda ad ogni sorta di dubbio.

Le precedenti puntate di Gaspare e Anna sono nel numero 5 – Cipolle e nel Fuoriserie “A Christmas Lunchbox”

24


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1981 Spalline troppo alte e larghe, quasi da militare, creste innalzate e cristallizzate dal gel, orecchini sottili e lunghissimi, trucco pesantissimo e di forte contrasto sul volto, pantaloni dai fianchi larghi e sformati, stivaletti a punta. Sarebbe anche una ragazza molto bella (la più corteggiata delle due sorelle, non a caso), ma così, specchiata quasi da incrinare i vecchi pannelli di vetro verniciati al piombo, con qualche inevitabile, fascinosa macchia di vetustà, a me che sono qui da tempo e sulla pelle delle donne ne ho viste tante – guardinfanti, merletti, crinoline, alamari, parrucche ed altro ancora – fa comunque un certo effetto. La bellezza, almeno come la intendono in genere, snatura sempre la persona. Questa ragazza, finta bionda, che mastica in maniera sgangherata la sua cicca e si guarda e si riguarda, alla ricerca, anzi alla previsione del suo futuro momento di gloria e ammirazione alla festa di stasera, questa donna che sgomita nel suo bozzolo, non fa eccezione. Stasera tirerà un paio di strisce ed un paio di pompini a qualche ragazzotto che, come lei, domani non ricorderà il nome del suo partner. Ronzerà la musica dei sintetizzatori digitali e pomperanno le casse, oltre ogni ragionevole, umano senso ritmico. Risuoneranno le risate, si spaccherà qualche bicchiere, volerà qualche cazzotto, e molti baci inumidiranno labbra e vagine. Io l'aspetterò qui, domattina – non prima delle undici, undici e mezza –, lei mi si parerà di nuovo di fronte, e frugherà ancora nel mio ventre, cercando in me capi di abbigliamento che tra non più di sette/otto anni avrà già gettato nel bidone della spazzatura, assieme a qualche foto oramai insopportabile. "Guarda com'ero brutta, e come vestivo male", dirà alle sorelle ed alle amiche, "e quant'era brutto questo cretino che mi stava sempre appresso. A lui non gliel'ho mai data, mica ero così scema. Però mi sono divertita un botto, dài." 25


Scorretto Magazine - Armadi

RIMEDI CASALINGHI PER FARE FIGLI (comprendono ARMADI, SCIROPPO PER LA TOSSE, SVASTICHE E ALICE COOPER) a short story by Helenio Ferrante Il dottore stava parlando dei dispiaceri di sua nipote per il fatto di non riuscire a fare figli con i suoi compagni di bevute. Stamattina è passata in studio da me, attaccò; ha avuto il mestruo ieri sera. E questo significa che quello scimmione del marito ha fatto cilecca ancora una volta. Bisogna saper accogliere i doni che il signore ci fa, disse Javier, anche quando non ce li fa. Che diavolo dovrebbe significare? Domandò Santiago. Il barista, torvo e grosso, servì un boccale di birra appoggiandolo sul bancone. Il dottore era entrato nel bar già mezzo cotto per via dei dodici mignon di J&B bevuti in studio tra un paziente e l'altro; aveva attraversato il parco a piedi, facendo attenzione a schivare le pozzanghere gelatinose, ricolme di fanghiglia dopo il nubifragio della notte prima. Il caldo era tornato a seccare la lingua, e la sensazione era quella di una puntura di vespa, con la bocca impastata e la pelle sfrigolante come bruciata da una griglia. La nipote del dottore vuole un figlio, disse Javier. Ma un figlio non è una cosa che si possa trovare dietro l’angolo. Com’è possibile accogliere un dono del Signore se non ti fa nessun dono? Domandò Santiago. Bisogna accogliere la mancanza del dono, disse Javier. Gesù, questi cattolici hanno il cervello che gli funziona con i criceti, disse Indalecio. Il dottore fece come per sputare sulla segatura del pavimento, poi si trattenne e deglutì con un certo sforzo. Ho sentito dire da qualche parte che esistono tecniche scientifiche per fare figli, disse Indalecio. Per esempio infilare il pene nella vagina di una donna, disse Santiago. Le ricordo che stiamo parlando di mia nipote, primitivo individuo, osservò il dottore. Santiago sembrò vergognarsi per la sua affermazione. Nell’aria c’era un sapore di segatura rancida e tabacco; nel luminoso pomeriggio il sole filtrava per metà dalla finestra impolverata e la luce fioca del lampadario appeso al soffitto inquadrava un poster osceno. Javier bevve un paio di sorsi di birra. Il problema, stava dicendo Santiago, non è di poco conto. Bisogna depilare la brigna della signora, disse da dietro i baffi sporchi di schiuma. Gli altri non dissero nulla. Come, non lo sapete? Le radici dei peli trattengono lo sperma, disse, è certamentissimamente provato. Il dottore fece un rumore molesto di digestione con la bocca. Non dire idiozie, disse. È un’evidenza scientifica, aggiunse Javier. 26


Scorretto Magazine - Armadi

Un’evidenza scientifica? Disse il dottore. Proprio così, disse Javier. Le donne con la topa glabra hanno il trenta percento in più di possibilità di farsi ingravidare rispetto a quelle con la topa pelosa. Credo che lei non abbia bene in mente le dinamiche dell’accoppiamento, disse il dottore. In che senso? Domandò Javier. Il dottore fece un altro rumore molesto di digestione e non aggiunse nulla. Bisogna farle mangiare il finocchio crudo, vi dico, disse Indalecio. Dov’è che l’ho letto. Un paio di chili di finocchio crudo, neppure lavato, prima di accoppiarsi. Te ne sforna una covata, di marmocchi. Il dottore osservò il suo compagno di bevute. Diede un piccolo colpo di singhiozzo; aveva il fiato incendiario. E così dovrei prescrivere due chili di finocchio crudo a mia nipote, disse. Proprio così, disse Indalecio. Ma non erano le arachidi? Intervenne Santiago. Ma quali arachidi e arachidi, ho detto finocchi, disse Indalecio. A me pare proprio che fossero arachidi, disse Santiago. Un paio di chili di finocchio crudo, vi dico. I finocchi aumentano la fertilità. Lo sanno tutti, cristo! Picchiò sul bancone col palmo della mano per richiamare l’attenzione del barista. Vediamo di stare calmi, disse il barista, ai clienti non piacciono i tipi agitati. Ma se non c’è un cazzo di nessuno, disse Javier. E comunque per ingravidare una donna non c’è niente di meglio che penetrarla in una particolare posizione. Il barista lo guardò. E sarebbe? Una particolare posizione, ripeté Javier. Sei ubriaco, disse il dottore. E tuttavia non posso darti torto, aggiunse. Per esempio, è confermato che per fare figli bisogna copulare con la signora da dietro e poi girarla in posizione supina immediatamente dopo l’eiaculazione. In che senso? Domandò Santiago. Non verrà mica a dirmi che chiavando una donna da dietro si aumentano le probabilità di ingravidarla. Nonostante la sua terminologia da zulù, è confermato dalla scienza medica, disse il dottore. Se volete un figlio, dovete amare vostra moglie da dietro; favorisce il tragitto degli spermatozoi. Inoltre la signora, dopo aver assimilato lo sperma, dovrebbe sistemarsi almeno per un’ora in posizione supina, gambe verso l’alto appoggiate contro il muro, schiena all’insù, in maniera da favorire la corrente spermatozoica. Come se fosse una vacca, disse Javier. Una vacca! Esclamò Santiago. Non ho mai visto una vacca in posizione supina con le zampe verso l’alto appoggiate contro il muro. Perché non sei mai stato al bordello che frequento io, disse Javier, lì trovi certe vacche disposte in tutte le posizioni. Santiago scoppiò a ridere. Queste, disse il dottore faticando a tenere la testa diritta sul collo, è una tipica battuta da porco ubriacone da bar, disse. Ma la faccia finita, dottore, intervenne Indalecio. Posizione supina almeno per un’ora, disse il dottore alzando l’indice sotto al naso di Indalecio. Un’ora, ripeté. 27


Scorretto Magazine - Armadi

Mio nonno diceva sempre che il modo migliore per fare un figlio è far scopare la signora da un prete, disse Santiago. Al dottore andò di traverso un po’ di schiuma. Che razza di idiozia sarebbe mai questa, disse Indalecio. Sì, Santiago, sentiamo un po’ da dove tuo nonno ha tirato fuori questa stronzata, disse Javier. Pare che la brodaglia dei preti, disse Santiago, sì, insomma, lo sperma, sia fertilissima, per via del fatto che in vita loro ne hanno sperperata poca. Santiago guardò in direzione del dottore, che stava col volto chinato sul bancone di fronte al boccale di birra e aveva preso a spezzettare parti sempre più piccole del sottobicchiere, ammonticchiando i frammenti da una parte. O almeno si presume, disse. Cristo santo, disse Indalecio, questa è la più grossa assurdità che io abbia mai sentito. E quindi, disse Javier, suppongo che tu sia figlio di un prete. Cribbio, certo che no! Disse Santiago. Ma ti garantisco che il prete nuovo del quartiere, quel tipo, ci avrà una cinquantina d’anni e le palle stragonfie di sperma. Avrà i coglioni che gli scoppiano! Urlò Indalecio. Risero. E poi scusa, ma che cosa ci guadagni ad avere un figlio che è figlio di un prete? Domandò Javier. Fatela finita, razza di incompetenti, intervenne il dottore. Per prima cosa lo sperma dei preti è perfettamente identico a quello di qualsiasi altro uomo. E in secondo luogo, anche se un prete ne ha sperperato meno, ed è un fatto tutto da dimostrare, se… Si masturbano ogni giorno, disse Indalecio. Non mi interrompere, cristo! Urlò il dottore. Il barista fece cenno di abbassare il tono della voce, e il dottore si scusò alzando appena la mano sinistra, mentre con la destra teneva saldamente in mano il boccale di birra. Dicevo, proseguì il dottore, anche se un prete ha sperperato meno sperma di un altro uomo, ciò non significa che il suo sperma sia migliore. Anzi, zucconi che non siete altro, proprio il troppo carico ne diminuisce la fertilità. Sarebbe come distruggere una moneta da cinquanta centesimi con una bomba atomica, cristo santo. Per ingravidare una donna è necessario un missile intelligente, con precisione chirurgica, un proiettile. In quel momento una donna entrò nel bar e si diresse verso il bancone. I quattro zittirono immediatamente; ciascuno di loro iniziò a bere la propria birra guardando dritto di fronte a sé, senza dire nulla. La donna si posizionò tra Santiago e Indalecio, richiamò l’attenzione del barista e ordinò un caffè. Era una donna non troppo appariscente, tuttavia indossava pantaloni di lino che lasciavano intravedere una piccola porzione delle chiappe in trasparenza. Il dottore si pizzicò una coscia. Fa molto caldo, disse Santiago in modo che la donna lo sentisse. Indalecio cercò di trovare un paio di termini appropriati ad avviare una conversazione di circostanza, ma non ci riuscì. Se fosse stata un angelo sterminatore li avrebbe inceneriti e avrebbe mescolato le loro ceneri agli sputi e alla segatura del pavimento lurido del bar. 28


Scorretto Magazine - Armadi

Ma non era un angelo sterminatore. Era una donna qualunque, senza alcun potere sovrannaturale o divino; pertanto bevve il caffè senza badare troppo ai tizi che aveva di fianco, pagò e se ne andò. Cristo santo che chiappe, disse Indalecio. Sporcaccioni che non siete altro, disse il dottore. Brindiamo ai pantaloni di lino, disse Santiago. Brindarono e bevvero mezzo boccale di birra a testa senza staccare le labbra dal vetro. Io rimango dell’idea che bisogna fare urlare la signora, disse Javier. Quando il marito la scopa, la mia vicina di casa urla come una sirena dell’inferno. Gesù, dovreste sentirla, quando si fa chiavare di notte sveglia mezzo quartiere. E sì che abbiamo già pregato il marito di fare meno rumore; che le mettesse almeno un bavaglio, uno straccio in bocca, gesù santissimo. E comunque, la mia vicina di casa ha una nidiata: sette figli, anche se con l’ultimo per poco non ci resta secca. Che storia demente, disse il dottore. Quale relazione dovrebbe esserci tra le urla di piacere di una donna e la sua fecondità? Cristo dottore, lei non ha mai sentito la signora Andrade Dias mentre il marito la chiava. Urla come un maiale quando lo sgozzano, come un dannato gatto in calore, ma moltiplicato da cento amplificatori di suono. Attacca a ululare quando sta per raggiungere l’amplesso e smette dopo dieci minuti, quando il marito ha finito da un pezzo il suo sporco lavoro. Che sia una preghiera? Domandò Indalecio. Bella questa, disse Javier, scambiare la goduria per una preghiera. Una preghiera, sì, perché iddio accorci il pene del signor Andrade Dias, disse Indalecio. Cosa c’entra adesso? Domandò Javier. C’entra eccome, disse Indalecio. Nessuna donna normale può gridare in quel modo. Ci deve per forza essere qualcosa di doloroso, nel modo in cui viene scopata. Credo che qualcuno, qui, sia invidioso, disse il dottore. Indalecio si irrigidì. Che cosa sta insinuando, dottore? Sta insinuando che tua moglie forse non urla perché non la fai godere abbastanza, disse Javier. O perché ce l’hai piccolo, continuò Santiago. Provate a ripeterlo ancora una volta, disse Indalecio, e badate che ho tirato di boxe fino all’anno scorso. Afferrò il boccale e bevve violentemente. Calma, calma, disse il dottore digerendo fastidiosamente, non si scaldi, rozzo di un cavernicolo, si sta scherzando. Mica lo so se state scherzando, disse Indalecio ripulendosi gli angoli della bocca dalla birra. Le giuro che stavamo scherzando, disse il dottore. E per dimostrarglielo offrirò il prossimo giro di birre. Afferrò il boccale e bevve, poi ricominciò a spezzettare il sottobicchiere e ad ammonticchiare i frammenti da un lato. E comunque mi sa la cosa migliore è pregare, disse Javier. Stava un po’ barcollando, e mentre parlava la sua bocca era finita a poca distanza dal naso del dottore. 29


Scorretto Magazine - Armadi

Taccia, sciocco buzzurro! Urlò il dottore. Poi digerì rumorosamente. E la supplico di tenersi indietro con quel fiato merdoso o mi costringerà a svenire, cristo santo. Santiago scoppiò a ridere e aiutò Javier a rimettersi seduto in maniera cristiana. La faccenda delle preghiere non la voglio neppure sentire, disse il dottore. Mia cognata è rimasta incinta dopo aver pregato ininterrottamente due giorni e due notti, disse Indalecio. Sciocchezze, disse il dottore, sciocchezze. Se proprio volete che vi dica come diavolo una signora può rimanere incinta, ebbene ve lo dirò. Si appoggiò al bancone come se si fosse addormentato. Santiago e Javier brindarono. Indalecio lo scrollò per vedere se per caso non fosse svenuto, o morto. Sciroppo per la tosse! Disse il dottore di colpo, rizzando il capo dal bancone. Sciroppo per la tosse? Proprio così, disse il dottore. Bisogna prescrivere alla signora un bel cucchiaio di sciroppo per la tosse al giorno, tutti i giorni, a partire da un mese prima dell’ovulazione. Schioccò la lingua, fece un colpo di singhiozzo, la sacca di gas accumulatasi nel suo intestino esplose in un peto mirabolante. Tutti risero. Ho sentito di qualche allevatore che mescola lo sciroppo per la tosse nell’acqua delle vacche, disse Santiago. Sì, confermò Javier, con le vacche funziona senz’altro, è tecnicamente provato. Ma con le donne? Disse Santiago. Tutto ciò che funziona con le vacche funziona anche con le donne, disse il dottore. Scoppiarono a ridere, e brindarono al loro sfacciato e insopportabile maschilismo. Il barista, che si era messo ad ascoltare i discorsi dei quattro, provò a ripulire il bancone dai coriandoli prodotti dai sottobicchieri spezzettati, ma il dottore gli bloccò la mano. State dicendo che per rendere fertile una vacca bisogna farle bere sciroppo per la tosse? Proprio così, disse Javier sbattendo un pugno sul bancone. Come, non lo sai, disse Indalecio. Non lo sapevo, disse il barista, ma in compenso conosco un tizio che aveva una teoria alquanto bizzarra per fare figli. Sentiamola, disse Indalecio. La moglie non riusciva a figliare, attaccò il barista, così il tizio ha sentito da qualche parte che per fare un figlio devi predisporre un armadio in un certo modo, e successivamente copularci all’interno. Predisporre in quale certo modo? Domandò Santiago. Beh, prima di tutto inciderlo con trentasette svastiche, disse il barista. Svastiche? Si stupì Indalecio Proprio così, confermò il barista. Che diavolo, disse Javier. Era un fottuto nazista! Urlò Santiago. Tacete, zoticoni ignoranti che non siete altro, intervenne il dottore. La svastica, prima che se ne appropriassero quei buzzurri nazisti, era considerata un simbolo di fertilità. E lo è ancora. Il barista indicò il dottore. È precisamente quello che mi ha detto il tizio quando mi ha raccontato la storia, disse. 30


Scorretto Magazine - Armadi

Il dottore ne sa una più del diavolo, disse Javier. Brindarono al diavolo e al dottore. E poi cos’è successo al tizio? Incalzò Indalecio. E poi, continuò il barista, dopo aver inciso le trentasette svastiche, era necessario foderare l’armadio con quattro poster di Alice Cooper, uno per lato. Alice Copper? Farfugliò Santiago. Alice Cooper, mammalucco, disse il barista. E chi cazzo sarebbe Alice Cooper? Domandò Indalecio. Mi rifiuto di proseguire un qualsiasi discorso con persone che non conoscono Alice Cooper, disse il barista. Questa sì che mi sembra davvero una boiata, esclamò Javier. Lasciatelo finire, cristo! Urlò il dottore. È un’ora che sopporto le vostre scempiaggini. Lei, dottore, certamente saprà chi è questa Alice Cooper, disse Javier. Se non è una fisica quantistica, una poetessa parmenidea o un’arpista della Filarmonica di Vienna allora no, mai sentita nominare, disse il dottore. E allora, disse Santiago rivolgendosi al barista, si può saper chi diavolo è questa Alice Cooper? QuestO, disse il barista; è un uomo, brutti microcefali ubriaconi. È un cantante. Cristo santo, siete più arretrati di quanto pensassi. Ma fottiti, disse Indalecio. Ma perché proprio un poster di questo Alice Cooper? Domandò Javier. Ma che ne so! Sbottò il barista. Forse perché avevano scoperto che Ricky Martin è finocchio, che diavolo vuoi che ne sappia io. Mi sembra una spiegazione coerente, disse Santiago. E perché proprio dentro a un armadio? Domandò Indalecio. Gesù ma cosa siete, dei bambini di dieci anni del cazzo? Tuonò il barista. E perché questo, perché quello. Nella storia che mi hanno raccontato c’erano trentasette svastiche, quattro poster di Alice Cooper e un fottuto, schifosissimo armadio, perché un armadio doveva esserci, ecco perché. Sì ma perché proprio un armadio e non, che ne so, una vasca da bagno, disse Santiago. Scopare in una vasca da bagno è meglio che scopare in un armadio, confermò Indalecio. Ma non ci puoi incidere le svastiche, rifletté Javier. E i poster di questo Alice Cooper poi, dove li appendi, farfugliò Santiago. Gesù santo, siete peggio di tre bambini ritardati, disse il barista. Non ti scaldare, disse Javier. Infatti, confermò Santiago. Abbiamo chiesto, ci hai dato una spiegazione più che soddisfacente, disse Indalecio. Domandare è lecito, disse Javier, e rispondere…fece un roboante rutto senza completare la frase, e quasi si ribaltò sullo sgabello. Adesso puoi finire la storia? Domandò Santiago. Il barista passò in rassegna i volti di tutti. Erano completamente cotti; sudati, rossi, gli occhi acquosi. 31


Scorretto Magazine - Armadi

Per farla breve, disse il barista, questo tizio svuotò l’armadio, incise le trentasette svastiche sul legno, all’interno e all’esterno, ne foderò le pareti con un poster di Alice Cooper per lato. E poi? Domandò Javier. Il dottore stava bevendo la sua settima birra e pareva piuttosto cotto. Cos’ha fatto? Domandò Santiago. Poi ha messo su I’m your top prime cut of meat, I’m your choice / I wanna be elected e ha scopato la signora per bene, un bel lavoretto, sempre fissando il poster di Alice Cooper. E ha rinchiuso la moglie nell’armadio per una settimana, perché questo prevedevano le istruzioni. Infine ha atteso il tempo necessario per capire se il metodo aveva funzionato. E ha funzionato? Domandò Santiago. Sì, ha funzionato? Rilanciò Indalecio. Certo che no, razza di babbei dementi, disse il barista. Quel povero idiota dovrebbe finire al manicomio, è il posto giusto per te, se foderi un armadio con i poster di Alice Cooper, incidi trentasette svastiche, costringi tua moglie a copulare al suo interno e ce la rinchiudi per una settimana. Non oso pensare come abbia fatto a pisciare o a cacare. Il dottore finì la settima birra, si alzò barcollando. Emise un suono gutturale stravagante, come un grugnito. Fece un cenno di saluto agli altri e si trascinò verso il bagno. Peccato che il metodo dell’armadio non abbia funzionato, disse Santiago. Bevvero un po’ di birra e dopo qualche minuto cominciarono a preoccuparsi per il dottore. Sarà riuscito a trovarsi il pisello? Domandò Indalecio. Mi pareva davvero rovinato, disse Javier. Andate a vedere se è ancora in piedi, disse il barista. Vacci tu, disse Santiago. Cosa dovrei fare, andare a scrollarglielo? disse Indalecio. Va’ a vedere, disse Javier. Oh cristo santissimo, disse Santiago. Stava per alzarsi quando il dottore tornò dal bagno strascicando i piedi; Indalecio lo aiutò a sedersi sullo sgabello. E comunque, disse, per fare figli non c’è niente di meglio che fornicare con la donna di qualcun altro. Stupefacente teoria scientifica, dottore, disse Javier. E complimenti per la terminologia ricercata, aggiunse Santiago. Preferibilmente in un armadio, continuò il dottore. Con un bel cucchiaio di sciroppo per la tosse, aggiunse Javier. Perché non prova a dirlo a sua nipote? Domandò Indalecio. Nel caso ci trova da queste parti, disse Santiago. Ho un armadio a sei ante, posso rimediare i poster di questo Alice Cooper, e conosco un tizio che lavora in farmacia, disse Javier. Intendo per lo sciroppo. Indalecio e Santiago cominciarono a ridere. Il dottore non aggiunse nulla; alzò il boccale, e insieme brindarono alla salute di tutti gli esseri umani che grazie ai loro metodi avrebbero certamente scampato di venire al mondo.

32


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1996 Lei è molto carina, mi piace quando spalanca le ante e Si prova i vestiti. Stasera deve uscire per andare in pizzeria. Se ho ben capito dalla telefonata è il suo compleanno e andrà a festeggiare con le amiche. Compie 16 anni. La madre l'ha avuta da giovane. All'inizio sembrava una tragedia il suo arrivo, poi tutti si sono innamorati di lei. La madre dopo una serata alternativa si è trovata in attesa di lei, non si è mai saputo chi fosse il padre. Ragazza madre, sguardi, bisbigli, ha sopportato le ire dei genitori, ma ha voluto questa bambina a tutti i costi. Lei che adesso occupa la stanza dove dormivano la madre e la sorella. La ragazzina mi apprezza. Dice che guardandosi nel mio specchio si vede quasi bella. Non lo sa di essere bella, non ci crede. Si vede grassa, si vede brutta, si trova sempre mille difetti, ma è bellissima. Credo che la colpa di queste insicurezze sia dovuta al fatto che le piace un ragazzo. Una volta l'ho visto, è un tipo taciturno che non mi è piaciuto. Anche quel diavolo di gatto rosso gli ringhiava e soffiava. Io lo detesto quel gatto, perché si affila sempre le unghie sul mio angolo di destra, però in quel caso mi sono trovato d'accordo con lui. Il ragazzo sembra troppo strano, non ride mai, sembra non apprezzare la mia bellissima bambina. Spero tanto che stasera si diverta, che passi una piacevole serata anche se vorrei che restasse sempre qui con le amiche, magari a provare vestiti.

33


Scorretto Magazine - Armadi

34


Scorretto Magazine - Armadi

35


Scorretto Magazine - Armadi

36


Scorretto Magazine - Armadi

37


Scorretto Magazine - Armadi

38


Scorretto Magazine - Armadi

39


Scorretto Magazine - Armadi

40


Scorretto Magazine - Armadi

41


Scorretto Magazine - Armadi

lucido, da scartavetrare di Roberta Pagnoni L'appartamento è luminoso, ben esposto, molto più grande di quel che mi ero immaginata. "E qua c'è il secondo bagno, vede? È stato ricavato dallo sgabuzzino quindi è cieco, ma come zona lavanderia è molto comodo..." L'agente immobiliare con pochi capelli continuava a parlare, come se io non avessi gli occhi per vedere da sola le stanze, grandi, la cucina già arredata, la sala che si apre sul terrazzo. Mi affaccio a guardare il panorama, il piano alto ha anche i suoi vantaggi, mi dico, sempre in cerca del difetto che fa abbassare il prezzo così tanto da permettere a me, proprio a me, di comprare casa. "Che spettacolo, non trova? È difficile trovare così tanto verde, in città, giusto sotto casa... Da qua li può vedere per quasi tutto il parco, è una bella libertà". Penso alla libertà che lascio e a quella che troverò, non esiste parola che passi più spesso nella mia testa, in questi giorni, tranne forse soldi. Sorrido all'uomo che sorride e parla e parla, con la sua giacca da outlet ed una camicia che ha visto giorni migliori. Mi spiega che parte dell'arredamento è stato fatto su misura, e quindi rimarrà a disposizione, compreso nel prezzo: la scaffalatura del bagno di servizio, la cucina col bel piano in muratura, ed il grande armadio nella stanza in fondo al corridoio. Cerca le garanzie degli elettrodomestici, e ne approfitto per guardarmi attorno. Le camere da letto sono tutte molto spaziose, ma quella in fondo doveva essere la stanza matrimoniale; anche col grande armadio a muro, rimane una piazza d'armi. Entro, da sola, nella penombra. Il pavimento di piastrelle colorate è sbiadito, in un angolo c'è la traccia regolare più scura lasciata da un tappeto, e l'armadio è semplicemente enorme. Di legno scuro lucido, laccato, alto fino al soffitto, lungo per tutta la parete, per un totale di sei gigantesche ante: ognuna con la sua serratura vecchio stile e la sua chiave d'ottone appesa. Vado a sollevare le tapparelle per vederlo meglio, non azzecca niente col mio arredamento, ma sembra capiente e robusto. Una di quelle cose utili che mia madre adorerebbe a prima vista. "Le spiace se lo apro?", domando all'uomo, ma la porta della stanza è chiusa, devo averla accostata entrando e non lo ricordo. Scelgo un'anta, quella vicina alla finestra, giro la chiave: si apre come se i cardini fossero appena stati oliati, all'interno scaffali dall'aspetto più che robusto e pratici ganci appendiabiti. Mi domando se sia possibile ridipingerlo, anche se il lucido andrebbe scartavetrato, ma così scuro è un po' opprimente; mi accorgo che nella mia testa ho già deciso, questa casa è la soluzione. Libertà e responsabilità sono parole che devono viaggiare sempre assieme, e non c'è soddisfazione più grande che donare azione alle parole. Sto per tornare in cucina a guardare se il forno è ventilato e a controllare come mai il chiacchierone ora tace; ma nel tornare alla finestra per abbassare di nuovo le imposte, mi trovo ad aprire l'anta centrale, l'unica che si apra doppia, pensando contenga una cassettiera. 42


Scorretto Magazine - Armadi

Di primo acchito penso a degli specchi. Dei grandi, alti specchi, di quelli che ci si vede a figura intera provando gli abiti, e che sarebbe logico trovare dentro ad un vecchio armadio, ed infatti devono essere specchi, perchÊ dentro a quelle ante ci sono io. Ma non sono io. Mi avvicino per controllare meglio. Indosso abiti che non mi appartengono, fuori stagione, diversi dal mio gusto. Ho un altro taglio di capelli, un altro trucco, un'altra espressione del viso. Attorno a me la stanza è la stessa, ma alla finestra sono attaccati dei disegni colorati che muovendosi al vento riempiono di luce le pareti. Richiudo le ante, spaventata. Chiamo ad alta voce il pelato, ma chissà dove è andato. Riapro l'armadio. E ci sono io, di nuovo. Ancora diversa. Ed allora mi decido, e ci entro.

Haiku Sole sulle ante La sera Fioriscono lune

43


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 2017 Sono appena tornato dall'ennesimo restauro. Ci sono rimasto più di un mese, in quel laboratorio, però ne è valsa la pena. Mi sento ringiovanito, nonostante abbia più di cento anni. Non credevo di vivere così a lungo, eppure adesso pare che il mio valore sia pure aumentato, perché sono antico, dicono. Dovrei essere felice di tutto ciò, ma non ci riesco, qui dove abito adesso sono l'unico ad avere un certo stile. Il resto dei mobili sono tutti moderni, alto design lo chiamano. I miei nuovi proprietari mi hanno trovato in un vecchio garage, nemmeno mi ricordo come ci fossi finito, e mi hanno voluto nella loro nuova casa. In verità è stata lei che ha insistito, dice che un "pezzo antico" in mezzo al moderno fa una certa figura. Per questo hanno pure un po' discusso, lui non voleva o comunque non sembrava gli importasse più di tanto. Sono una giovane coppia, credo si siano sposati da poco, niente bambini per ora, almeno sto tranquillo per un po' di tempo. Però, quella discussione che hanno avuto in mia presenza non mi è piaciuta, spero di sbagliarmi, ma ho come l'impressione che non siano fatti l'uno per l'altra. Come sempre, starò fermo e in silenzio ad osservare e ad ascoltare e solo il passare del tempo mi dirà se avevo ragione oppure no. Per ora mi godo la mia nuova casa, la mia nuova vita e la mia nuova giovane proprietaria che mi guarda innamorata.

44


Scorretto Magazine - Armadi

nascondo tesori di Gopaneel Myles

45


Scorretto Magazine - Armadi

DAL BUIO di Aldo Bagnoni Sempre così, o quasi. Quasi ogni notte. Dovevo rammentarmi di chiudere quella maledetta porta a vetri, ogni volta che non lo facevo succedeva qualcosa. Io non sono uno che normalmente ha paura, ma questa cosa un po' mi spaventava, quando accadeva. Quella porta doveva restare chiusa. Quella della cabina armadio, intendo. È una stanza a tutti gli effetti, e oramai era loro dominio. Lo era chissà da quanto, ma io me ne sono accorto solo ad un certo punto. Da quando avevo saputo, non ero più riuscito a dormire. Quantomeno, non tranquillamente. Non puoi dormire facendo finta di nulla, se sai. Quello è un punto di non ritorno. Non me ne accorsi da solo. Una notte seppi, mi avvisò mio padre. E qui, già perdevo regolarmente credibilità. "Tuo padre è morto ventitre anni fa!", mi dicevano, quando accennavo a questi incontri. La maggior parte delle persone si girava e se ne andava, e non voleva più parlarmi, quando tiravo fuori questa storia, ma è la verità, assoluta. Fu mio padre a dirmi tutto, ed a mettermi in guardia dal pericolo che correvo. Nessuno avrebbe potuto dire il contrario, avrebbero dovuto dimostrarmi che non era come dicevo. "Da quella porta possono uscire gli abiti. Devi tenerla chiusa, non dimenticarlo mai. È l'unica possibilità di salvezza che hai, nessuno al mondo può fare nulla, quando escono. Sono esseri vuoti, incomprensibili. Non è detto che ti facciano del male, ma il punto non è questo. Intanto, nessuno può sapere cosa intendano fare di volta in volta. Nessuno sa chi possano prendere di mira, e per quale motivo, e quando. Ma non c'è da fidarsi, non puoi sottovalutarli. Ma ora non posso dirti di più, devo andare, mi stanno chiamando e non mi è possibile trattenermi, senno bruceranno la mia anima e non mi potrò ritrovare facilmente. Tornerò, non dubitare." Mi disse questo, la prima volta che venne a trovarmi. Ero ancora giovane, ma orfano da un po' di anni. Rimasi impressionato, ma non stupito, né tantomeno spaventato. Attesi con ansia il successivo incontro. Mio padre fu di parola, e ritornò a spiegarmi diverse volte come stavano le cose. "Devi fare particolarmente attenzione alle giacche. Sono loro le prime ad essere pericolose. Possono avvinghiarti, stringerti, e indossarsi da sole su di te. Ma non è detto che tu possa accorgerti di loro, potrebbero mimetizzarsi su di te. Di volta in volta, se dovesse capitarti, sembrerai sempre diverso da come sei davvero. Il pericolo vero e proprio sta nel fatto che coloro che ti stanno intorno non potranno riconoscerti. Potrebbero isolarti, rifiutarti, mandarti via, magari picchiarti, persino ucciderti, se tu provassi ad avvicinarti a loro con il tuo nuovo aspetto. Non saresti più tu, e questa sarebbe la disgrazia peggiore, per te quanto per loro." Quando mi svegliai, ebbi la netta impressione che qualcuno, o meglio qualcosa si fosse trattenuto al mio fianco nella mia stanza, mentre dormivo, e mi avesse osservato, scrutato 46


Scorretto Magazine - Armadi

nel buio, m'avesse quasi fiatato sul collo. Istintivamente mi recai dinanzi allo specchio, e non riuscii a capire cosa non andasse, ma non sapevo esattamente cosa, e perché. Sapevo solo che mi guardavo, e non mi sembrava di essere quello di sempre, pur essendo il mio corpo assolutamente immutato. Solo il colore del mio pigiama mi parve diverso da quello con cui ricordavo di essermi coricato. Ma ne avevo diversi uguali, sia pure di vario colore, pertanto quella volta non ci stetti a pensare troppo. Però la porta a vetri, quella mattina, era rimasta aperta, e me ne avvidi solo nel pomeriggio, una volta rientrato dal lavoro. Nei giorni seguenti, rilevai comportamenti piuttosto strani da parte di diversi parenti e amici. Ho sempre vissuto da solo, e per rendermi conto di cosa fosse in atto, dovetti mettere insieme una serie di incontri e di reazioni, man mano per me (ma non soltanto per me) più incomprensibili ed inquietanti. Ciò che emergeva progressivamente, a dire di ciascuno, era che fossi un po' strano, diverso dal solito. Un paio per strada, nell'incontrarmi, tirò dritto: al secondo, un collega del calcetto, "Che fai? Non mi saluti?" gridai dietro per richiamarne l'attenzione, e quello cadde dalle nuvole: "Non mi eri sembrato tu! Non ti avevo proprio riconosciuto!", si scusò, ed era sicuramente sincero nel dirlo. Ma non misi in relazione tutte quelle strane coincidenze, e via via la cosa la trascurai, né si protrasse. Un'altra notte, a distanza di diverso tempo, quando avevo già dimenticato tutto, mio padre tornò a farsi vivo, anche se mi rendo conto che farsi vivo è una locuzione piuttosto inappropriata, ma insomma rende l'idea. "L'altra volta hai dimenticato la porta dell'armadio aperta, nonostante mi fossi raccomandato di non farlo mai. Non dovrà accadere più, o te ne pentirai seriamente. Non sono io a minacciarti: sono loro, sono le circostanze, sono quelli che non devono trovare un varco tra i realmente esistenti. Loro sono immagini, vaghe e irrisolte, ma pur sempre malvage. Hanno necessità della materia, della carne viva, di trovare sostanza e spazio presso di noi... anzi, presso di voi. Io li conosco, ma non sono come loro, e ti sto mettendo in guardia. Le maglie, in particolare: guardati da esse, ricopriranno il tuo torso, e s'infileranno nel tuo cuore, che batterà al tempo ed al cospetto di ciò che loro decideranno, e non più tu. Attento, devi stare all'erta. Io te l'ho detto, non scordarlo." Purtroppo io soffro di sonnambulismo. La suggestione della seconda comunicazione che mio padre volle farmi fu solo di incentivo, una mappa mentale. Per quello che ho potuto ricostruire, nei vaghissimi ricordi che pure sono riuscito a conservare di quella notte, devo essermi alzato e diretto alla cabina armadio, entrandovi ed indossando una t-shirt rosso fuoco, che riportai con me a letto e con la quale mi risvegliai il mattino successivo. Era tardi, non avevo sentito la sveglia: mi infilai al volo uno slip, un paio di jeans, le scarpe e fuggii al lavoro, senza nemmeno passare dal bagno e fare colazione. Miracolosamente riuscii ad arrivare al deposito delle piante con pochi minuti di ritardo, e nessuno disse nulla. La giornata di lavoro si svolse in maniera pressoché normale, identica a tante altre. Mentre però, nel tardo pomeriggio, entravo nel negozio per sistemare alcuni vasi dell'esposizione, il mio sguardo incrociò due occhi neri e profondissimi: era entrata in quel momento, una donna già matura, ma di una bellezza indicibile, cupa e devastante. Mi scrutò, io ne restai folgorato, e nel giro di poche ore ero con lei a casa mia, nel mio letto. Quella donna, V., sarebbe stata l'incontro più terribile sinora, nella mia esistenza. Avrei pagato carissime le ore di passione e furore, con sofferenza e terrore, me ne sarei dovuto pentire dolorosamente: una donna insaziabile, crudele, che sembrava provenire da un 47


Scorretto Magazine - Armadi

altro mondo nella sua incapacità di provare compassione e amore, ma invece voler perseguire il proprio piacere ed il proprio vantaggio con qualunque mezzo necessario, passando sopra ogni mia esigenza fisica e spirituale. Una storia di vera persecuzione, che mi fece progressivamente terra bruciata attorno, rendendomi sempre più asociale e costretto nel cerchio di fuoco della sua presenza e della sua brutalità, e di cui dovetti gestire strascichi come rendermi irreperibile per periodi, ed essere costretto ad evitare amici e luoghi a me familiari. Da quell'incontro la mia vita subì restrizioni sensibili, e non sono mai più potuto tornare alla normalità. Ero e sono tuttora soggiogato da quella donna, anche se per mia fortuna non l'ho più rivista. Un anno circa dopo questo evento deprecabile, mio padre tornò. Questa volta era estate, faceva molto caldo, ero in ferie e stavo riposando il pomeriggio. "Avrai capito a tue spese che la notte devi evitare anche soltanto di avvicinarti alla cabina armadio. Devi mutare abitudini: se hai bisogno di vestiario, dovrai prelevarlo solo con la luce del giorno. La rifrazione dei raggi solari è fondamentale per disperdere la concentrazione dei vapori metafisici. Quella è la strada su cui loro camminano, e che li porta qui. Devi fare come ti dico, o non avrai scampo. Devi ascoltarmi. Io non potrò tornare molte altre volte, e prima che mi sia impossibile comunicare con te, devi fare in modo da seguire i miei consigli senza sgarrare. Avrai capito che non ti sto fuorviando, tutt'altro, anche se quando ero con te hai sempre pensato il contrario. E questo è stato l'inizio della tua rovina, cui puoi porre rimedio in estremo, adesso, ma solo se vorrai ascoltarmi. Devi ascoltarmi!!!!!" A quelle urla mi svegliai di soprassalto, angosciato e col cuore che mi saltava fuori dal petto. Avevo in me un'oscura, inesprimibile sensazione di rovina imminente. Restai inebetito per tutto il resto della giornata, uscii e vagai sino a sera tardi, senza neppure mangiare. Facendomi forza, non risposi ad una chiamata di V., e miracolosamente lei non venne a casa per torturarmi col suo sesso estremo: quella sera, evidentemente, volle risparmiarmi, forse aveva deciso di riservare le sue attenzioni molto particolare a qualcun altro dei suoi innumerevoli amanti, anzi vittime. Non ero certo io l'unico, anche se essendo il più giovane ero divenuto il suo giocattolo preferito. Tornai a casa, distrutto dalla tensione, e mi gettai vestito sul letto, addormentandomi subito. Ma avevo la vescica piena, prima di rientrare avevo bevuto molto. Saltai in piedi dopo un paio d'ore, svegliandomi di soprassalto, e corsi verso il bagno, ma non feci in tempo ad arrivarvi, e mi orinai addosso. Dopo essermi lavato, soprappensiero entrai nella cabina armadio, presi un paio di mutande, le indossai e mi ributtai a dormire. Nel giro di pochi giorni fui preda di una furia sessuale mai provata prima, e non riuscii a sfogarla tutta con V. Dovetti ripetutamente cercare delle prostitute, per evitare di violentare amiche e colleghe, o anche solo perfette sconosciute, e mi dominai a stento per un paio di settimane. Poi la foia, com'era arrivata, svanì di colpo, lasciandomi esausto e traumatizzato. Non riuscivo a riconoscermi. Il sonno non sapeva più ristorarmi, e oramai le mie notti erano costantemente esagitate e defatiganti. Ero via via più consunto, e non riuscivo più a concentrarmi sulla mia vita. Persi il lavoro nel giro di qualche tempo, essendo divenuto totalmente inaffidabile. Non ricordavo più nessun sogno, la mia mente era vuota di ogni fantasia o ricordo, ma fissa su di una sensazione pervasiva di catastrofe imminente ed incomprensibile nella sua possibile portata o modalità. 48


Scorretto Magazine - Armadi

Mio padre – ne sono certo, successivamente sono riaffiorate sensazioni, parole e persino immagini – cercò di rimettersi in contatto con me, ma senza esito. Io non ero più in ascolto, e questo l'avrà sicuramente soffrire, sarà sparito nel nulla col dolore di non essere stato ascoltato, come sempre e oramai per sempre. Ciò che meglio mi torna in mente ora, a distanza di parecchio, è la raccomandazione di guardarmi dai pantaloni: che pure non servì, una notte che si rivelò decisiva. Bevevo sempre più, ogni giorno che passava, perdendo in crescendo il controllo della realtà. Di lì a breve avrei dimenticato persino il mio nome, continuando in quel modo. Mi ero lasciato andare, e l'unica priorità era quella di evitare V. nelle sue ripetute visite, che pure puntualmente avevano lo stesso esito ogni volta che avvenivano. Lei sembrava non curarsi del mio aspetto fisico, né della mia igiene, entrambi sempre più precari. Le interessava solo legarmi, usarmi violenza, tagliuzzarmi con coltelli, lamette, cocci di vetro e tacchi a spillo estremamente appuntiti, per poi culminare nell'esplosione finale, più sua che mia, a dire il vero: sempre più debilitato qual ero, non potevo offrire performances di particolare qualità, ma lei non mostrava di interessarsene, ciò a cui badava era di lasciarmi stremato sul pavimento, ogni volta che andava via col suo passo leggero, quasi volante. Una notte, però, aveva davvero esagerato, e mi ritrovai quasi completamente ricoperto di sangue: i giochi erano andati un po' troppo in là, ma non avevo avuto la forza di oppormi, tra l'altro legato com'ero mani e piedi al letto. Per fortuna, prima di uscire, mi aveva slegato un polso, e con lentezza riuscii a sciogliermi dai legacci. Lenzuola ed abiti erano pieni di striature rosse, ed io mi sentivo molto debole, stavo malissimo. Mi bruciava gran parte del corpo, e decisi di recarmi al pronto soccorso, che per fortuna non distava molto da casa. Meccanicamente, aprii la cabina e ne presi una camicia ed paio di pantaloni, per potermi recare fuori senza dare troppo nell'occhio col vicinato, in caso di eventuali incontri lungo le scale. Mi lavai sommariamente, indossai gli abiti puliti e feci per uscire. Improvvisamente non riuscii più a controllare il movimento e la direzione delle mie gambe, ed iniziai una corsa folle e precipitosa per le strade del mio quartiere, a quell'ora di notte assolutamente deserto. Le braccia si agitavano convulsamente ed alternativamente verso l'alto e verso l'esterno, le gambe si levavano anch'esse verso l'alto, dirigendosi inconsultamente verso l'ignoto, senza che potessi fermarle! Ero terrorizzato, al punto di non riuscire non solo a gridare aiuto, ma persino respirare regolarmente: e mentre correvo la testa mi si stava annebbiando, quasi non riuscivo quasi a distinguere le strade ed i luoghi verso i quali mi stavo dirigendo contro la mia volontà. Chiunque mi avesse visto in quei terribili momenti, avrebbe desunto che dovevo essere impazzito. E forse, in quel frangente, lo ero davvero. Non sentivo più dolore, inebetito com'ero, ma solo un peso opprimente sul petto ed uno altrettanto sordo nella testa, e restavo afono ed impotente nel mio precipitarmi verso una destinazione ignota. Arrivato di fronte ad un giardino, iniziai a procedere a zig zag tra gli alberi, rischiando costantemente di sbattere contro ciascuno di essi, e schivando all'ultimo istante i tronchi, sino poi a travolgere alcune siepi di recinzione, a salire al contrario su di uno scivolo per bambini per precipitare subito dopo dalla sua scaletta e continuare la mia folle sarabanda tra altalene e giostrine, saltandole a piè pari e fuoriuscendo infine sulla strada, tra le auto parcheggiate, salendo e scendendo a precipizio da cofani e tetti. Infine, perdendo definitivamente l'equilibrio già precario, ruzzolai per terra sull'asfalto, battendo la testa e terminando di slancio la mia corsa contro un muretto di mattoni verdi che chiudeva una 49


Scorretto Magazine - Armadi

piccola traversa senza uscita. Restai svenuto al suolo, probabilmente per ore, sino a che non fui ritrovato da uno spazzino, al mattino presto. Gli raccontai di essere stato aggredito da una banda di teppisti, che mi aveva infilato a forza in quel vicolo e rapinato, e riuscii ad evitare che mi accompagnasse da qualche parte "al pronto soccorso? alla stazione di polizia?", nonostante le sue forti insistenze. Non avrei potuto raccontare nulla che fosse davvero credibile, pertanto tornai a casa, a leccarmi le ferite di corpo e mente, con la certezza che la mia vita fosse oramai agli sgoccioli. Cosa sia accaduto da quel momento, non so davvero dirlo. Il buio della memoria calò d'improvviso, e non so come mi sia ritrovato da qualche settimana su questa nave, che fa rotta merci tra Liberia e Turchia. Ho stretto amicizia con un paio di marinai, uno libanese e l'altro olandese, che non mi hanno fatto troppe domande, del resto su questa nave quasi nessuno ne fa a nessun altro, qualcosa sanno della mia storia, ma si sono convinti che sia dovuto all'abuso di alcool e medicinali, e più di tanto non mi dicono. Lavoro a lungo e duramente, pulisco tutto quello che mi si chiede, si tratti di piatti, pavimenti, ponti, corrimano, scialuppe e ogni altra cosa a bordo: tranne che di abiti! Io non posso più avvicinarmi a dove siano riposti capi di vestiario, i miei me li faccio passare dai miei due amici, che sono convinti che io sia pazzo, ma non pericoloso, e perciò mi assecondano senza problemi. Ogni volta che attracchiamo, io non vado più né a bere con loro, né a cercare prostitute: quando l'ho fatto le prime volte, finivo per ubriacarmi sino a svenire, e le donne che andavo a cercarmi avevano sempre occhi neri che mi trapassavano il cervello, senza che quindi potessi accoppiarmi con loro, ma solo fuggire a gambe levate, senza nemmeno riprendermi i miei panni. Quando sono sulla terra ferma, vado solo in chiesa, tutto il giorno, e prego sempre di poter risentire mio padre. Non è più venuto a trovarmi. Ma non perdo la speranza, e continuerò a pregare finché avrò forza di farlo. Forse lui sarà ancora a casa mia, chissà. L'unico altro motivo per cui prego è però di non aver lasciato aperta la porta a vetri della cabina armadio. Altrimenti potrebbero essere stati loro, che lo abitano, a rapirlo: e allora davvero non lo rivedrò mai più.

50


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 2029 – preghiera O armaDio Santissimo, onnicontenente armaDio, Tu che sei il creatore di tutti gli armadi, ascolta la mia preghiera. Per oltre un secolo ho contenuto robaccia e ho partecipato alle gioie e alle nefandezze del genere umano. Ora ti prego, armaDio mio, Tu che hai fatto costruire un armadio a Tua immagine e somiglianza, l’hai posto in una stanza sacra nel mondo degli uomini, lo hai sacrificato, il terzo giorno l’hai restaurato, concedimi di terminare il mio tempo con gli esseri umani e accoglimi, oh armaDio potentissimo, nel Regno delle Cose, nel grembo Tuo, dove sarò protetto e custodito. Sono stanco di contenere, voglio essere contenuto.

51


Scorretto Magazine - Armadi

Adamo ed Eva al palio di Asti di Eraldo Ghietti (testi ed illustrazioni) NdR: per scelta dell'autore, questo testo se ne fotte delle convenzioni linguistiche, dei segni di interpunzione che sono costati la vita a tanti accademici, degli accenti, degli apostrofi e dell'ortografia.

Sono stufo di scopare in una piccola auto, e’ vero la cinquecento e’ bellissima ,ma Eva ha le gambe troppo lunghe ed alla fine del rito siamo tutti ammaccati soprattutto lei , con la costola nuova. Decisi di comprare un auto piu’ spaziosa. Nella penisola delle lune rosse trovai un concessionario gestito da un italo/coreano,, kuku, un giovane molto simpatico ed amante del r&b soprattutto di Sam& Dave , gli raccontai che in gioventu’ con il mio gruppo eseguivamo in gran parte pezzi musicali di quel genere pur preferendo Otis Redding. Ad Eva piacque subito una cadillac bicolore beige/ rosso ,un auto del “56” ma tenuta perfettamente era in ottimo stato, motore,carrozzeria ,interni etc etc. Decidemmo di acquistarla , concordando il prezzo in cinque tonnellate di mele rosse ,piu’ una dozzina di serpenti dai colori assortiti,serpenti comuni che si trovano ovunque tra politici e nani del nostro parlamento. Concluse le pratiche per la voltura decidemmo di partire subito, visto il bisogno impellente di comprare un armadio per sistemare tutte le n/s cianfrusalie, e adattarlo alla nostra nuova location mobile bicolore del 1956. Seguendo le indicazioni di Fredo che mi indico un indirizzo di una fabbrica di armadi ad Asti nel Monferrato e visto le tante cose da fare a cominciare dalle visite ai vigneti europei partendo dal Portogallo che ricordo con molta allegria ,essendomi ubriacato di “vino verde”e mangiando del baçalao cucinato alla maniera di Dolores la fidanzata del muratore che ci stava costruendo la nuova casa a Perpignan quasi al confine con la Spagna, casa realizzata tutta in fibre naturali quali cocco,foglie di banano, tralci di vite, sughero e terra santa. Ci accorgemmo di essere molto in ritardo per la n/s visita prima al famoso Palio ,e dopo alla fabbrica di armadi decidemmo di evitare il tour Iberico,raggiungendo in serata Bordeaux per le visite al domaine “Noe’ ed alle cantine “Courbusier’’” per assaggiare il suo nuovo vino “uve moderne” ricercatissimo nell’aldila’ della terra promessa, in quanto vino con struttura solida e tratti netti di sentore di viola meccanica e ciliegie postmoderne e con accenti acidi di vin-tage. Ma rimanemmo impressionati dal vino prodotto dall’azienda Noe’,,un nettare stupefacente con colore temporale , profumo di pioggia e sentori di erbe, mescolate a sapori salmastri che provocavano all’assaggio un leggero tremolio agli arti inferiori ed una sensazione di diluvio ,,,, fantastico prodotto con i suoi 18,5°di 52


Scorretto Magazine - Armadi

gradazione alcoolica.Un vino che all’occorrenza si somministra agli animali in tenera eta’ quando sono febbricitanti o soffrono di solitudine, ottenendo dei risultati fantastici.

Dopo aver utilizzato per l’ennesima volta la nuova vettura ,ci scambiavamo cenni di compiacimento per la scelta fatta e decidemmo di raccomandare al “Padre” una nuova beatificazione ,santa Cadillac , protettrice dei senza letto in quanto non erano ancora stati inventati. Proseguimmo senza nessuna tappa intermedia fino alle porte di Alessandria dove dopo un breve intervallo orizzontale sulla nuova Cadillac decidemmo di arrestarci una mezz’oretta per rifocillarci con un piatto di “Tapulon” tra le altre cose buonissimo ed un buon bicchiere di gattinara DOCG che Eva apprezzo’ molto ,io personalmente lo allungai con del succo di mela in quanto per me era troppo alto di gradazione.

53


Scorretto Magazine - Armadi

Finalmente giungemmo alle porte Asti in festa il famoso Palio e La DUJA D’OR , era il primo anno che riuscivo a trovare il tempo per questa stupenda manifestazione,cercammo i nostri amici ai quali avevamo dato appuntamento per la manifestazione e per il pranzo che il sindaco ci avrebbe offerto, all’improvviso ne vedemmo alcuni sbucare da uno stand di degustazione vini , completamente alticci ma felici ed in buona salute il piu’ allegro era Baldassarre del gruppo Torinese di import/export i Remagi, pure i sette nani applaudirono il nostro arrivo con Pisolo a capo di tutti ed accompagnato dal principe del Tartufo nero giunto appositamente da Gubbio con i saluti di Papa Francesco. Tutti gli altri amici li ritrovammo presso una pasticceria di prelibatezze paradisiache erano la’ El Greco, Picasso,Dali’ Max ernst, Pollock, Lili Marlene,Veruska, Jim Morrison,Jacki Onassis,Ferlighetti con Kerouack a braccetto,l’anima di Fidel castro che discuteva animatamente di fumo con l’anima Jimi Endrix intonando Red house blues, Miles Davis con la moglie di Bob Marley in quanto Bob si era procurato una lacerazione al cuoio capelluto e si vergognava di apparire senza treccine rasta,pochissimi Italiani ,,,Pasolini,Gian Maria Volonte’, Renzo Arbore e due filosofi Vattimo e Cacciari.

Tutti ritrovati. accompagnati dal sindaco e dalla giunta ci avviammo al ristorante celeste da “Mose’ ” sulla piazza della Cattedrale cittadina, dove iniziammo a degustare le specialita’ Piemontesi ed a sognare con i nettari divini dei produttori Astigiani, dimenticando la Cadillac bicolore in un parcheggio sconosciuto accanto al cielo e di acquistare l’armadio.

54


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 2045 Le assi, di sotto, iniziano a scollarsi al centro; anche il ragazzo se ne è accorto, ci ha messo un pezzo di cartone ed una coperta, per non vedere le fessure, e quando si accuccia va a mettersi in un angolo. Non credo abbia niente per ripararmi. Ora ha solo me, per ripararsi. I giorni e le notti sono tutte uguali, sempre al buio, le finestre chiuse; esce solo per cercare qualcosa da mangiare, che poi nasconde dentro ad uno dei miei cassettoni, dove tiene anche le ultime candele ed una sempre piÚ misera scorta di vestiti. Il ragazzo ha pianto tantissimo, aggrappato ad un abito a fiori che era rimasto appeso ad una stampella, ed ancora conservava un tenue odore di lavanda. Quando è venuto freddo, ho creduto mi bruciasse assieme agli altri mobili di casa; poi, l'ho visto fare a pezzi il letto, con rabbia e metodo, ed ho capito che avrei visto almeno un'altra stagione. Servo ancora.

55


Scorretto Magazine - Armadi

POLVERE ALLA POLVERE di Dada Il vaso nero sarebbe stato bene su un ripiano del mobile della sala. O forse no, visto che anche quello era nero. Oltretutto un nero diverso. Opaco, quello del vaso, e lucido, quello del mobile. Con la cucina non c’entrava niente: bianca e ciliegio, il nero sarebbe stato un pugno in un occhio. In bagno neanche a pensarci. Lì diventava, più che una questione cromatica, una questione di opportunità, di decenza. Poteva stare in camera da letto, che era nera e radica, anche se pure in questo caso il nero era lucido. Ma non la convinceva. Oltretutto i ripiani erano già pieni di fotografie e poi il vaso era molto pesante, ci voleva un piano di appoggio robusto. Lo studio? Lì i mobili erano neri, opachi, con dei tocchi di ciliegio. Ma chissà se suo marito avrebbe gradito? L’ultima chance: la camera degli ospiti. Dopotutto era proprio così, era quello il senso. Prese la decisione. Collocò il vaso con le ceneri della suocera nell’armadio della camera degli ospiti. Così, a chi le avesse chiesto se aveva dei cadaveri nell’armadio, avrebbe potuto sempre rispondere: “No, solo ceneri”.

56


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio 1, 8 milioni a.c., circa. Non so come sia finito qui, forse quel buco nero dove erano diretti non era poi così nero, certo che potevano almeno aprirmi le ante e coprire gli specchi. Ora sono un monolite d'ebano riflettente, rinchiuso in una umida caverna a precipizio sul mare lavico, dove passa ogni sorta di ominide a spaventarsi di se stesso. Temo per la mia incolumità, a parte che girano di quei tarli che farebbero di me un sol boccone se non fosse per il guardiano del monte che non ha ben capito cosa deve fare, ma lo fa con zelo e si gongola al suo cospetto riflesso, forse è femmina. Senza considerare che qui di ignifugo c'è ben poco. Detto questo non si sta neanche troppo male, legna ne hanno in abbondanza e non corro il rischio di riscaldare la loro glaciazione, sì, mancano di Vetril e cera, ma hanno capito che se leccano e usano la pelle di daino muschiato con gli artigli a uncino, riescono a mantenere gli specchi abbastanza puliti. Un problema grosso però rimane: i 10 kg di Gorgonzola stipati da quel buontempone dell'ufficiale in seconda all'interno dei miei cassetti cominciano ad emanare afrori evocativi, lo vedo da come si annusano i piedi e poi mi guardano. Certo che se penso alla vita passata, non mi sembra nemmeno di avere un futuro, nell'immediato. Staremo a vedere fin quando non inventeranno il prêt-àporter.

57


Scorretto Magazine - Armadi

IL PRIMO ASSALTO ALL’ARMADIO di gian marco griffi Era tutta una questione di incuria. Klaus guidava e Lingard si lamentava per le buche sulla strada. L’incuria assumeva la forma di un’automobile troppo rumorosa, di una stazione di servizio abbandonata, di un vigneto bruciato dal sole di luglio. E anche il sole, in quel pomeriggio deserto, si annunciava con negligenza attraverso una coltre di foschia. Provai a fissarlo, mentre Lingard malediceva le buche sull’asfalto, e mi sembrò stranamente facile reggere lo sguardo al cospetto dei suoi raggi smorti. Era l’incuria, che ci aveva risucchiati in una specie di gorgo e ci impediva di impadronirci delle nostre vite. Le nostre vite erano dominate dall’incuria, e non c’era nulla, mi ripetevo, che avessimo potuto fare per cambiare le cose. Forse l’armadio ci avrebbe salvato la pelle; oppure forse ci avrebbe procurato un sacco di guai. Ne ebbi il sospetto quando Klaus tentò di accendersi una sigaretta con un fiammifero, non ci riuscì, il fiammifero gli finì sui jeans e la nostra automobile sbandò fino quasi a finire in un fosso. D’altra parte, lo dicevo che l’incuria ci accompagnava. Per quale ragione eravamo schiavi dell’incuria? Per pigrizia, forse. Per indolenza, malavoglia. Non so a chi venne l’idea di rapinare il museo per prelevare l’armadio sul quale Hieronymus Bosch aveva dipinto il suo Giardino delle Delizie. Non sapevamo neppure per quale ragione lo avessimo pensato. Lingard sapeva a malapena chi era Bosch, in quanto a Klaus, beh, mi chiedevo se almeno sapesse di cosa parlavamo quando parlavamo di armadi. Il nostro piano era non avere un piano. Avevamo trascorso una sera a discutere su questa cosa. Avevamo rimuginato tre ore sul modo migliore per entrare nel museo, per mettere le guardie al tappeto e prendere il Giardino delle Delizie. Ma poi ci eravamo arresi di fronte alla solita incuria, alla mancanza di idee e alla sbronza che ci stava costringendo a uno sforzo innaturale per tenere gli occhi aperti. Lingard aveva detto che i piani non servivano a niente, e che comunque, anche se avessimo predisposto un piano, la nostra indole ci avrebbe impedito di seguirlo e di portarlo a termine. Perciò, disse Lingard, fanculo ai piani. Se non abbiamo un piano non possiamo sbagliare. Se improvvisiamo, disse Lingard, qualunque cosa faremo, quando sarà il momento, non potrà che essere la cosa giusta. Lì per lì mi sembrò un buon modo per fottere l’incuria. Ma più tardi, in auto, mi sembrò il modo migliore per passare un grosso guaio. Avevamo deciso di rapinare il museo e di rubare l’Armadio di Hieronymus Bosch perché la fidanzata di Lingard era una studentessa di Storia dell’arte. Insomma, eravamo insieme in un bar, e la fidanzata di Lingard disse che un paio di operai aveva scoperto questo armadio, a 's-Hertogenbosch, in Olanda, sulle cui ante Bosch aveva dipinto la prima 58


Scorretto Magazine - Armadi

versione del Giardino delle Delizie. Naturalmente nessuno di noi aveva mai sentito parlare di Bosch e del Giardino delle Delizie; ma oggigiorno accaparrare nozioni è facile, e cinque minuti dopo Lingard si era trasformato in un critico d’arte. Tra l’altro scoprì che l’Armadio sarebbe stato esposto per quindici giorni al Museo di Arte Moderna in centro. Klaus domandò quanto potesse valere. La fidanzata di Lingard rispose che il suo valore storico e artistico era incalcolabile. Klaus disse che se ne fregava, del valore storico e artistico, e aggiunse che gli interessava soltanto quanto potesse valere in grana. La fidanzata di Lingard disse che non aveva idea, ma Lingard smanettò qualche istante con il suo smartphone e se ne uscì con l’informazione che ci serviva. Qui dice che vale almeno cinque milioni di euro, disse. Ragion per cui mettemmo in moto tutta la serie di eventi che ci fece salire su quest’automobile arrugginita con un fucile e due revolver in direzione del Museo di Arte Moderna. E così arrivammo al Museo. Klaus parcheggiò l’automobile lungo il viale alberato che costeggiava il retro dell’edificio. Non c’era un motivo preciso che suggerisse di parcheggiare in quel punto. Un’esperienza ancestrale gli aveva suggerito di non parcheggiare davanti all’ingresso principale, e così fece. Decidemmo lì per lì che la cosa migliore sarebbe stata quella di fare la coda al botteghino e di mischiarci ai turisti e agli avventori. Ciò naturalmente comportava il pagamento del biglietto d’ingresso. Klaus disse che non aveva un soldo, Lingard disse che aveva a malapena i soldi per comprarsi le sigarette, così toccò a me provvedere. Quando fu il nostro turno presentai alla bigliettaia la mia tessera universitaria scaduta da tre anni e mezzo. Solitamente non mi facevano problemi, ma quel giorno mi capitò una bigliettaia scrupolosa. Questa tessera è scaduta, disse. Da tre anni e mezzo. Credevo che fosse passato meno tempo, dissi. Sono trentasei euro per i tre biglietti, disse la bigliettaia. Ma per gli universitari c’è lo sconto del cinquanta per cento, replicai. Se voi foste studenti universitari, disse la bigliettaia, ci sarebbe lo sconto del cinquanta percento. In quel caso, se voi foste studenti universitari, dovreste pagare diciotto euro. Ma la tessera è scaduta, disse. Mi voltai a guardare Lingard e Klaus. Loro l’università non sapevano nemmeno dov’era. Sia ragionevole, dissi alla bigliettaia. Fanno trentasei euro, disse lei. Proprio perché sono ragionevole. Sia almeno comprensiva, dissi. La pregai. Fanno trentasei euro, disse la bigliettaia. Tirai fuori tutti i soldi che avevo, ma non ci arrivavo. Chiesi a Lingard di svuotarsi le tasche, e lui cominciò a imprecare. Poi tirò fuori un po’ di spiccioli e finalmente raggiungemmo la cifra necessaria a pagare il biglietto.

59


Scorretto Magazine - Armadi

Ancora l’incuria. Lingard disse che a saperlo prima avrebbe fregato la tessera universitaria della sua fidanzata, io gli risposi che le bigliettaie zelanti tendono a riconoscere un nome femminile e la fotografia di una ragazza su una tessera, e che non sarebbe cambiato nulla. Klaus mi maledisse per via della mia tessera universitaria scaduta. Tre passi oltre l’ingresso si scatenò l’inferno. Quando attraversammo il metal detector, un suono dannatamente fastidioso ci stordì. Capimmo immediatamente che stava suonando per via del fucile di Lingard e dei due revolver. A quel punto Lingard pensò che la cosa migliore da fare fosse sparare un colpo in aria, per far capire a tutti che facevamo sul serio, e Klaus pensò di prendere un ostaggio. L’ingresso del Museo era pieno di persone, anche se era già pomeriggio e mancava un’ora alla chiusura. Io mi occupai della guardia, un tizio piuttosto muscoloso e tronfio; inaspettatamente non fu difficile spaventarlo a morte e immobilizzarlo. Spesso le guardie armate di posti come questo sono dei fascistelli che si esaltano appena hanno una pistola nella fondina e si spaventano a morte quando ne hanno una puntata in faccia. Lingard fece uscire tutta la gente dall’ingresso e fece chiudere le porte. Stavamo procedendo a tentoni, senza la minima idea di ciò che stavamo facendo. La gente, comunque, era intimidita, e non si fece pregare quando ordinammo a tutti di levarsi dalle palle. Klaus aveva un ostaggio, una ragazza bionda, e decisi di procurarmene uno anch’io. Mi diressi verso la bigliettaia zelante, aprii il gabbiotto nel quale stava e la tirai verso di me per un braccio. Lei non oppose resistenza. Le chiesi di farci strada fino all’Armadio di Bosch. Ci fermammo di fronte ai bagni perché Klaus aveva voglia di pisciare. A quel punto proponemmo ai clienti del Museo di prendersi l’opera che gli piaceva di più e portarsela a casa. Klaus si avvicinò a un dipinto, lesse l’etichetta a fianco. El Greco, disse. Poi guardò la ragazza che lo stava analizzando prima che lui la interrompesse; staccò il dipinto dalla parete mentre gli allarmi facevano un casino nero. Portalo a casa, disse Klaus alla ragazza. La ragazza rispose che non ci pensava neppure. Quando fummo nella sala dell’armadio di Bosch, non avevamo idea di cosa fare. Decidemmo comunque di prendere in ostaggio le persone che lo stavano ammirando, sei persone in tutto, più un inserviente, o come diavolo si chiama la persona che nei musei se ne sta tutto il tempo in un angolo seduta su una sedia a controllare la gente. L’armadio era ingombrante, e noi non avevamo alcuna esperienza nel trasporto di armadi.

60


Scorretto Magazine - Armadi

Klaus disse che avremmo avuto bisogno di una piattaforma aerea telescopica per il sollevamento merci, di quelle in dotazione alle ditte di traslochi. Bella idea, disse Lingard, prova a telefonare a una ditta di traslochi e chiedi se vengono a darci una mano. Lo stava chiaramente dileggiando. Io invece ero sorpreso della proprietà di linguaggio con cui Klaus definì quella che io avrei definito una gru da ditta dei traslochi. Mi complimentai con lui. Ma certo, disse Lingard. Abbiamo fatto tutto ‘sto casino per rubare un armadio, non abbiamo idea di come portarlo in strada e mi sembra giusto il caso di farci i complimenti per la proprietà di linguaggio. La proprietà di linguaggio è sempre importante, dissi io. L’ostaggio di Lingard era abbastanza spaesato, mentre la bigliettaia zelante ci guardava con curiosità. Come pensavate di portare via l’armadio? Domandò. Non ci avevamo pensato, dissi io. Bravi, disse lei. Pensavo fosse più piccolo, disse Klaus. È un armadio, disse la bigliettaia. Non vi eravate mai imbattuti in un armadio prima di oggi? Pensavo fosse più piccolo, replicò Klaus. Non sapevamo cosa fare. Pensavo che nel giro di qualche minuto sarebbe arrivata la 61


Scorretto Magazine - Armadi

polizia, ma non arrivò. Passarono dieci minuti. Klaus camminava avanti e indietro per la sala, Lingard continuava a esaminare l’armadio. Avete un metro? Domandò ai presenti. Ne ho uno in ufficio, disse l’inserviente. Klaus e l’inserviente andarono a prendere il metro. Quando tornarono, Lingard cominciò a misurare. In auto non ci starà mai, disse. Bella scoperta, disse Klaus, ci voleva un metro per capirlo? Sto pensando, disse Lingard. A quel punto la bigliettaia zelante disse che avremmo dovuto smontarlo. Disse proprio così: dovete smontarlo. Solo le ante hanno valore, disse. Il resto dell’armadio non vale niente. La filodiffusione del museo stava passando un’aria che riconobbi, si trattava della quarta sinfonia di Beethoven. Klaus tornò nell’ufficio dell’inserviente e tornò con un cacciavite. Lingard glielo strappò di mano e cominciò a lavorare sull’armadio, ma si capiva benissimo che non aveva mai montato o smontato un mobile in vita sua. Io nel frattempo mi ero del tutto scordato la ragione per cui mi trovavo in quel museo: stavo guardando il Giardino delle Delizie, e ne ero letteralmente rapito. Venti minuti dopo Lingard aveva smontato le ante e le aveva appoggiate alla parete. Benissimo, disse, possiamo andare. Che fine ha fatto la polizia? Domandò Klaus. Vuoi telefonare e chiedere perché sono in ritardo? Rispose Lingard. A quel punto la bigliettaia zelante iniziò a parlarci del Giardino delle Delizie. Guardate, disse, l’anta a sinistra; rappresenta il Paradiso Terrestre. Dio sta presentando Adamo a Eva. Chissenefrega, disse Klaus. Lingard osservò da vicino l’anta che rappresentava il Paradiso Terrestre. C’è un serpente, disse Lingard. Klaus si spazientì. Gesù santo, lo volete capire che dobbiamo andare? La bigliettaia rispose certo che c’è un serpente; rappresenta la tentazione. Nell’anta/pannello centrale invece sono rappresentati i sette peccati capitali. E quali sarebbero, domandò Lingard. Che domanda stupida, intervenne Klaus. Ma non l’hai visto il film con Brad Pitt? Cristo santo, che ignorante. Lo sanno tutti che i peccati capitali sono superbia, avarizia, lussuria, invidia, gola e ira. Sono tutti rappresentati nel Giardino delle Delizie, disse la bigliettaia. Un momento, disse Lingard. Ne manca uno. Aveva appena terminato quella frase quando successe qualcosa di imprevedibile. O meglio, successe qualcosa che era del tutto prevedibile e preventivabile, ma che lì per lì ci sembrò non ipotizzabile, illogico, assurdo. Non ho voglia di raccontare come andarono le cose per filo e per segno, ma ricordo che mentre lo portavano via, Lingard pregò la bigliettaia di comunicargli il peccato capitale 62


Scorretto Magazine - Armadi

mancante dipinto da Bosch, ma quella non disse nulla. Quello che stavo pensando io, invece, era che avrei avuto dai quattro anni e sei mesi ai vent’anni per studiare il Giardino delle Delizie e trovare il settimo peccato capitale; la cosa, dopotutto, non mi dispiaceva affatto.

63


Scorretto Magazine - Armadi

Memorie di un armadio

64


Scorretto Magazine - Armadi

Ringraziamo calorosamente tutti coloro che hanno permesso a questa rivista di vedere la luce, specialmente il nostro sponsor Pan de Estrellas

Seguici anche su Facebook, Twitter e Instagram per non perdere i prossimi aggiornamenti: anticipazioni, nuovi temi, revival e per partecipare al nostro concorso “Indovina chi?�

65


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.