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Scorretto Magazine – Scambi

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Scorretto Magazine #10|Dicembre 2017

DIRETTORE (NON) RESPONSABILE Fabio Martellini REDAZIONE SCORRETTA Aldo Bagnoni, Amelia Rossi, Artanis Naanìe, Claudio Ricci, Donato Alfonso Sedàan, Edward Dwight Eugene Navarro, Fabio Martellini, gian marco griffi, Gianluca Dario, Helenio Ferrante, Lollo, Roberta Pagnoni, Svetlana Svetla, Silvia Perosino HANNO COLLABORATO GRAFICA E IMPAGINAZIONE Lestath87, Artanis Naanìe, Silvia Perosino DIRETTORE CREATIVO Andrea Andereassen (Port Huron High School) COPERTINA Silvia Perosino CONTROCOPERTINA Lestath87 (digital art)

Pubblicazione casuale scorrettomagazine.wordpress.com redazionescorretta@gmail.com

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INDICE

pag. 5

Editoriale

di Fabio Martellini

pag. 7

Il meraviglioso nuovo bambino

di gian marco griffi

pag. 11

I gufi non sono quello che sembrano

di Beatrice Citron

pag. 15

Scambi

di Alez e Donato Alfonso Sedàan

pag. 21

Ogni cosa al suo posto

di Paolo Cabutto

pag. 25

Gaspare VI – La morte di Gaspare

di Artanis Naanie

pag. 27

Acerrimi nemici

di Gianluca Dario

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EDITORIALE di Fabio Martellini Non sempre una parola con più significati gode di un'accezione puramente positiva o negativa. È vero altresì che una parola può suggerire di più una sensazione rispetto ad un'altra. Lo scambio, di per sé, dovrebbe essere qualcosa che appaga due persone: ti do una cosa mia per una tua; dovrebbe permettere una gentilezza: ti cedo la mia posizione per favorire il tuo agio. Ma in una società sempre più invasa da insoddisfatti e da quelli che vengono definiti haters (un tempo erano i bastian contrari, ma oggi molto più aggressivi e ferenti), lo scambio è spesso marcato come un'azione ostile, che determina uno svantaggio. È una perdita presunta già dal momento stesso in cui si concepisce la parola scambio, dal momento in cui si antepone la consonante s al lemma sicuramente più vantaggioso e progressista: il cambio. Scambiare è diventato così il banco di prova dei furbi, dei raggiratori, degli approfittatori. Lo scambio è l'esca per nascondere l'amo con cui far abboccare facili creduloni, i pieni di sé, i poco attenti alle opportunità tanto da diventarla essi stessi. Ed è così, che in questi giorni di Festa in cui vi proponiamo il nostro Magazine, mentre tutto il mondo è in procinto a acclamare l'ennesima affissione di calendario alle pareti, noi ci siamo presi lo spazio per celebrare una delle parole più scorrette del vocabolario italiano. Ah, dimenticavo: venite a trovarci sul nostro blog, potremmo scambiarci gli auguri per l'anno nuovo.

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iL MERAVIGLIOSO NUOVO BAMBINO™ di gian marco griffi

[Nauseati dal vostro solito, vecchio e brutto bambino? Frustrati per il fatto di avere un figlio banale che sbava, frigna, caga e null’altro? Bene, è il momento di prenderne uno nuovo e meraviglioso!] [pubblicità]

Il Meraviglioso Nuovo Bambino™ è un bambino meraviglioso con gli occhi azzurri, ascolta Bach sulla poltrona in salotto e legge L’arte di trattare le donne di Schopenhauer mentre mia moglie gli serve un drink; per ora non ha ancora un nome, ma stiamo seriamente pensando di chiamarlo Bohumil, in onore del suo scrittore preferito, che egli legge in lingua originale, soprattutto quando fuori piove o tira vento. Quando c’è il sole egli predilige leggere il suo secondo scrittore preferito, poiché, sottolinea con una punta d’ironia, i sapori della Catalogna meglio si prestano a una giornata di sole, mentre le rasoiate austroungariche o staliniste sono ideali per giornate di pioggia. È un bambino molto intelligente, fatto apposta per noi, recapitatoci a casa subito dopo che restituimmo quello nostro, sciocco e brutto (si pensi alla banalità dei suoi occhi marroni, all’acutezza del suo pianto, alle sue lagne continue, ai suoi capelli stropicciati e alla sua insana passione per cartoni animati del tutto privi di trascendenza metafisica), e siamo davvero fieri di lui. Lui, il Meraviglioso Nuovo Bambino™, ha opinioni acutissime in fatto di politica interna e estera, ha una passione smodata per i dittatori e fuma soltanto sigarette elettroniche al gusto salvia. Nonostante ciò, in qualche occasione, specialmente prima di addormentarsi posando un libro di Henri Lefebvre sul comodino, mia moglie sente un’inspiegabile nostalgia per quel vecchio e brutto bambino che venne fuori in maniera violenta e sanguinaria dalla sua vagina. Le ripeto che il vecchio e brutto bambino starà sicuramente meglio dove l’abbiamo spedito, in una famiglia senza troppe pretese, indossando vestiti adatti a lui e frequentando scuole pubbliche in cui la storia dell’umanità verrà raccontata da un tizio grasso e pelato con la passione per Star Wars. Le ripeto che dovrebbe sentirsi eccitata per il Meraviglioso Nuovo Bambino™, non depressa per quello vecchio e brutto.

Ma come passa le giornate, il Meraviglioso Nuovo Bambino™? Sta caratteristicamente seduto su una culla a forma di trono, o su un trono a forma di culla, e ascolta i problemi della gente. La gente sottopone le proprie incertezze tramite 7


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posta, o e-mail, e il Meraviglioso Nuovo Bambino™ concede un appuntamento in base ai suoi impegni.

Una volta per esempio il Meraviglioso Nuovo Bambino™ sedeva democraticamente sul suo trono a forma di culla: la luce cadeva sui suoi capelli radi tramite riflessi che parevano scintille di luna diffuse dalla gora di un mulino. “Chi deve ancora passare oggi?”, domandò il baby-sitter/segretario del Meraviglioso Nuovo Bambino™. “La signora Mustikoj”, rispose mia moglie. “Che le è successo?”, domandò il baby-sitter/segretario. “Stava lavorando nella sua tavola calda”, disse mia moglie, “quando andò in toilette e trovò sua figlia impiccata con una cintura”. “E allora?”, domandò il baby-sitter/segretario. “E allora la poveretta non avrebbe dovuto impiccarsi, non in quel modo”, disse mia moglie. “La signora Mustikoj ne è rimasta traumatizzata”. “Ammazzarsi è l’unica cosa sensata”, disse il Meraviglioso Nuovo Bambino™. Poi pretese la sua parcella e fece cenno a tutti di uscire dalla stanza. “Adesso tutti fuori dalle palle”, disse, “ho bisogno di rilassarmi”. Era davvero un tesoro.

Ma ecco come ricevemmo il Meraviglioso Nuovo Bambino™: quando quello vecchio uscì, lamentandosi come un verro, subimmo un brutto shock, io e mia moglie, e riflettemmo sull’errore che avevamo fatto. Ci dissero che per restituirlo era troppo tardi e così ci preparammo a vivere alcuni mesi d’inferno prima che qualcuno ci chiamasse per domandarci se eravamo ancora intenzionati a restituirlo in cambio del Meraviglioso Nuovo Bambino™, che a differenza di quello vecchio aveva un fisico scolpito e un’intelligenza paragonabile alla nostra. E così, quando mia moglie si sente triste e amareggiata, quando sorseggia gin liscio leggiucchiando la Sonata a Kreutzer sulla poltrona in sala, il Meraviglioso Nuovo Bambino™ la allieta con un pezzo al clavicembalo – l’ultimo, le variazioni Goldberg, è stato davvero funambolico –, strizzandole l’occhio e fumando la sua sigaretta elettronica. Quando fuma la sigaretta elettronica, il Meraviglioso Nuovo Bambino™ subisce una sorta di trasfigurazione per cui il suo volto non è più il volto di un bambino di quattro anni: gli crescono rughe sulla fronte e macchie sulla pelle, l’alito sa di tabacco alla vaniglia e salvia e le sue movenze sono simili a quelle di un musicista consumato.

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Poi all’improvviso comincia a fissare il quadro di Salvador Dalì che mia moglie ha appeso in salotto, nel quale è raffigurato Cristo in croce osservato dall’ipotetico punto di vista di suo Padre, cioè Dio; allora sappiamo che è l’ora delle elucubrazioni metafisiche e ci prepariamo un daiquiri frozen alla fragola. So che mia moglie in questi momenti prova una forte nostalgia per il suo vecchio e brutto bambino, il quale col suo patetico muso rimbecillito da anni di cartoni animati le chiederebbe una fetta di pane e nutella, ma so anche che in simili frangenti io mi sento più fiero e soddisfatto dello scambio, giacché dovreste sentirlo, il nostro Meraviglioso Nuovo Bambino™, quando si domanda per quale ragione il sacrificio di un ex ebreo convertito abbia condizionato la morale sessuale di miliardi di persone, prima stralunate e felici di ammucchiarsi in dimore lussuose unendosi in stupefacenti orge, e poi di colpo tutte quante costrette a decantare lo sbalordimento dell’umiltà, della povertà, delle topaie fredde e buie, della sobrietà, della castità, dell’innocenza. “Che diamine, un uomo muore in croce e tutti se lo rimettono nei pantaloni, un uomo si aggira per deserti e villaggi sciorinando insulsaggini consunte e quelli che un tempo erano esseri umani appagati si ritrovano a elemosinare un po’ di gioia in un bicchiere di vino”. Poi, caratteristicamente, il Meraviglioso Nuovo Bambino™ siede distinto sul suo trono (o culla) con un bicchiere di qualcosa in mano e ci ordina di non disturbarlo se non per questioni di una certa rilevanza, come ad esempio una notizia di cronaca nera in prima pagina sui giornali o in televisione. Ho notato che nutre questa passione per la cronaca nera, essendo egli appassionato di omicidi, stupri, rapimenti, eccetera, e ho deciso di lasciare che la coltivi regalandogli numerosi libri gialli, i quali sono tutti stati abbandonati dopo poche pagine poiché, per usare la sua terminologia, sono di una “banalità e di una faciloneria semplicemente ridicole”.

Ero davvero felice di discutere col mio nuovo bambino dei mistici occidentali e delle forme di oppressione e tortura psicofisica a cui essi furono costretti da Dio. Se non che, il Meraviglioso Nuovo Bambino™ cominciò a nutrire un’avversione patologica per gli esseri umani indegni, o perlomeno quelli che ai suoi occhi erano da considerarsi indegni. In pratica, chiunque non avesse nozioni di fisica quantistica e di teleologia era considerato un idiota. “Il senso di tutto questo è di un’irrazionalità portentosa”, ripeteva a sua madre. Poi usciva di casa e ammazzava qualcuno che, a suo giudizio, non aveva compreso “l’insensatezza di tutto questo”.

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Cominciò una notte con un editore che si era rifiutato di pubblicare il suo poemetto intitolato “Irrazionalità della vita”. Lo incontrò all’uscita della caffetteria dell’angolo e lo interrogò brevemente sullo scopo di tutto quello che da sempre stava accadendo nel mondo; la vita, la morte, cose così. “Non accetterò risposte che contengano già premesse ridicole come la vita ha senso di per sé e altre idiozie del genere”, gli disse. Poi lo uccise con un mattone, colpendolo ripetutamente, e portò alle labbra una sigaretta elettronica per suggellare l’antinomia della sua razionalità. Aveva quattro anni ed era meraviglioso osservare come si atteggiava quando rientrava in casa, ripulendosi il sangue dalle mani, dalla faccia e dai vestiti come un ometto, spiegandoci che avremmo dovuto tacere e fare esattamente ciò che ci avrebbe detto di fare. Era davvero un ometto, e io ero fiero di essere suo padre, il suo papà!

Nonostante ciò, dopo qualche mese mi sono reso conto che mi mancavano quegli aspetti che rendono la vita di un genitore appagante e soddisfacente: avrei desiderato spiegare a mio figlio le conseguenze delle azioni umane, chiarendo che nulla, o quasi nulla, può essere fatto senza lasciare una traccia, e che uccidere il prossimo avrebbe certamente determinato un effetto indelebile sulla sua persona. Inoltre un genitore dovrebbe poter opporre la propria autorità conferendo punizioni, distribuendo ceffoni e sentendosi fiero di essere un maschio adulto in grado di sottomettere un individuo alla sua volontà. Queste cose mi mancavano. Avevo pensato di andare a riprendermi il vecchio e brutto bambino, ma il nostro Meraviglioso Nuovo Bambino™ non ce ne ha dato il tempo. Adesso io e mia moglie abitiamo in cantina e devo ammettere che non si sta poi così male: il Meraviglioso Nuovo Bambino™ scende a trovarci un paio di volte alla settimana e di quando in quando, tanto per fare, ci porta un Big Mac Menù sostanzioso e nutriente con Diet Coke e frappé alla fragola. A mia moglie ripeto sempre che c’è chi sta peggio.

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I gufi non sono quello che sembrano di Beatrice Citron

(Attenzione: il testo contiene spoiler sulla serie tv "I segreti di Twin Peaks")

Le pellicole di David Lynch si possono definire delle vere e proprie opere d'arte, dove non c'è una sola spiegazione possibile, ma varie interpretazioni. "Mi mette a disagio parlare dei significati dei miei film perché si tratta di una cosa molto personale. Il significato per me è diverso dal significato per qualcun altro". Come ogni artista, Lynch segue un filo rosso che lega insieme tutte le sue opere. Vorrei soffermarmi sui temi dello scambio e del dopplenganger che, personalmente, mi affascinano molto. Nella pellicola del 2001 "Mulholland Drive" per esempio, appena si inizia a capire qualcosa, tutto cambia. Tutto si ribalta. Se non si presta particolare attenzione e non si segue questo scambio (o non si riesce a percepire), tocca rivedersi il film da capo. Betty non è più Betty, diventa Diane. Ed ecco che ci ritroviamo a vedere una nuova storia, dei nuovi personaggi, in un contesto che apparentemente sembra quello della prima fase del film. Anche in "Twin Peaks", la serie di maggior successo del regista, si assiste ad un continuo scambio tra personaggi, luoghi e tempi. Ma è proprio nella cittadina americana di Twin Peaks che Lynch dà libero sfogo al suo genio cinematografico e artistico, basando quasi tutta la sua sceneggiatura sul tema del Doppelganger e dello scambio all'interno della trama. Il Doppelganger è un tema utilizzato spesso nel cinema e nella letteratura: si forma un doppio o un sosia della persona, di solito in relazione ad un gemello maligno o alla bilocazione. Questo termine viene mutuato dal tedesco, ed appunto nelle leggende popolari e nei romanzi viene visto come un duplicato spettrale o reale di una persona vivente; nel folklore invece, viene descritto come uno spirito incapace di scomparire. Lynch mischia entrambe le definizioni, realizzando un vero e proprio capolavoro del cinema surrealista. Basandosi principalmente su "Twin Peaks" ed i suoi personaggi, addentriamoci nella mente di Lynch e nei suoi doppelganger. Prima di tutto però, bisogna considerare un presupposto teologico a cui il regista attinge abbondantemente, in cui l'uomo sarebbe costituito da tre parti: spirito, corpo e anima. L'anima è la parte generata dall'unione di spirito e corpo. Questi tre elementi devono esistere insieme per vivere nel mondo reale. 11


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Nel mondo lynchiano, e più precisamente all'interno della Loggia (un luogo metafisico extra-dimensionale nella quale l'ordine degli eventi temporali umani si scambiano e in cui non ha valore il rapporto causa-effetto), si assiste ad una separazione di questi tre elementi. Al momento della morte per mezzo di uno spirito della Loggia, l'anima resta in attesa nella Stanza Rossa, mentre lo spirito di divide in due parti: uno nella Loggia Bianca e uno nella Loggia Nera. Tutti i personaggi che entrano vivi nella Loggia, si ritrovano in una situazione strana, di "non morti"; l'anima non viene fermata e può attraversare le Logge senza essere fermata. In tutto questo lo spirito viene diviso tra spirito buono (Loggia Bianca) e spirito malvagio (Loggia Nera), una parte invece resterà legata al corpo. Quando l'agente Dale Cooper entra nella Red Room (la sala d'attesa della Loggia), lo vediamo entrare nel gioco perverso di Bob, un'entità malvagia che si impossessa delle persone per compiere atti efferati. Infatti Bob, per rientrare nel mondo reale, deve scambiare il suo spirito con quello di Cooper. Ecco il doppio, che unisce e cattura lo spirito di Cooper che, non essendo puramente buono ne puramente malvagio, torna nella Red Room, mentre Bob prende il suo posto nel mondo reale. Noi vediamo il corpo di Cooper, ma lo spirito che governa quel corpo è Bob. Soffermandosi sul personaggio dell'agente Cooper, si riesce a capire meglio la filosofia di Lynch, secondo cui <<ognuno di noi possiede due lati>>. Dale Cooper si trova su un confine tra due monti, che sono l'uno il riflesso dell'altro e si scambiano continuamente. Nello stesso mondo si trovano a coesistere due lati dello stesso Cooper, Dougie Jones e il suo doppelganger, il Cooper Malvagio. Questi due poli si scambiano fino ad arrivare alle battute finali, quando Dale Cooper riesce finalmente a liberarsi di Bob ed a ristabilire il suo equilibrio tra spirito, corpo e anima.

Ma Lynch non si limita a scambiare la personalità dei suoi personaggi, creando dei doppi che circolano nel mondo reale. Lynch arriva a scambiare la realtà con il sogno, rendendo di fatto molto difficile la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Ma come lui stesso ha affermato in un'intervista “ mi piace fare film perché mi piace perdermi in un altro mondo. I film sono un mezzo magico che permette di sognare nel buio ”. Ma, non è detto che a tutto ci sia una spiegazione vero? Dopotutto, “i gufi non solo quello che sembrano”.

Vorrei inoltre soffermarmi su un altro personaggio che ha avuto una sua importanza significativa nella serie di Lynch. L'ultima scena di Margaret Lanterman nella terza stagione 12


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(nota ai più come la Signora Ceppo) che effettua una breve ma intensa telefonata al vicesceriffo di Twin Peaks Hawk. “...Sto morendo, Hawk”. Vi chiederete cosa possa centrare la morte di un personaggio nel discorso aperto qualche riga più su. Qui Lynch fa qualcosa di commovente, il suo miglior modo per rendere omaggio ad un personaggio come la Signora Ceppo. Nella penombra del salotto, alla luce di una lampada il personaggio e l'attrice si scambiano di ruolo. Sullo schermo non è più inquadrata la Signora Ceppo che dice addio al suo amico Hawk, ma c'è l'attrice Catherine Coulson che dà il suo ultimo saluto a tutti i telespettatori che si sono appassionati a lei nel corso di questi anni. E' forse uno degli addii più dolorosi della serie, il meno accettabile ma anche il più bello. “...Tu conosci la morte, è solo un cambiamento, non una fine” afferma Margaret, o per meglio dire Catherine, nel suo ultimo dialogo con Hawk e col mondo intero, prima di essere fermata dal cancro a 71 anni. Si va oltre la storia, fuori da ogni tempo e spazio. Si esce dal contesto di Twin Peaks ma allo stesso tempo si rimane li. A mio avviso è una delle scene più belle della terza stagione, ma io sono un tipo abbastanza sentimentale.

Con la terza stagione di Twin Peak, quel genio di Lynch ha lasciato un segno indelebile nella cultura delle serie Tv del nuovo millennio. Lo stesso regista si scambia, passando da regista ad attore, interpretando un personaggio apparentemente non protagonista. Interpreta l'agente dell'FBI Gordon Cole, che ci accompagna dalla prima alla terza stagione. Quasi ci tenesse per mano, cerca con noi di svelare il mistero che avvolge i fatti ed i personaggi di Twin Peaks, andando oltre il reale e l'umano. Ma se si va oltre il reale, Twin Peaks, Laura Palmer e tutti gli altri protagonisti, esistono veramente o sono il frutto di un sogno, magari dello stesso Gorgon Cole/David Lynch? Questa ipotesi rimarrà un mistero fino all'ultimo minuto dell'ultimo episodio della terza serie; ma anche arrivati a questo punto, il tutto è lasciato alla libera interpretazione dello spettatore, vittima ignara della mente di David Lynch.

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scambi di Alez e Donato Alfonso Sedàan

Lo scambiatore. La cosa peggiore del mio lavoro è la pioggia, un po' come per tutti i lavori all'aperto. Ma nel mio la pioggia è davvero un evento antipatico. Di che cosa mi occupi e quale rilevanza abbia onestamente non ve lo so dire, e probabilmente non ve lo sanno dire nemmeno le persone per cui lavoro. Sulla carta d'identità, alla riga professione, c'è scritto ferroviere, ma di fatto non ho mai guidato un treno e se ci sono salito è stato solo come passeggero. Sono diciassette anni che trascorro le mie giornate alla Stazione, e da un po' già si sente dire che verrà automatizzata: in parole povere lasceranno me e tutti i miei colleghi a casa. Tanto per dire: il passaggio a livello è già stato implementato alla rete centrale e viene comandato da una sala appositamente predisposta nella stazione della Città. Da lì un elaboratore elettronico gestisce le chiusure e aperture delle barriere, in base alle stime del passaggio del treno... Non chiedetemi di più perché ho capito poco altro. So solamente che da quel giorno il mio compito è diventato occuparmi prevalentemente degli scambi, tanto che hanno introdotto un nuovo appellativo per me: lo scambiatore... che è comunque meglio di scambista. La Stazione è su una linea a binario unico, ma noi abbiamo ben tre binari, anche se solo due hanno il marciapiede per i passeggeri, il terzo binario serve esclusivamente per i convogli in stazionamento o quando un treno merci deve dare la precedenza. C'è un quadro comandi, con le leve che azionano gli ingranaggi, ma non sono dentro la stazione, sono posizionati di lato sul muro esterno. Per questo odio la pioggia, devo uscire e usare la cerata che mi hanno dato per coprire la divisa. Niente ombrelli, solo una cerata che appesta la giacca di odore di gomma, ma ben peggio che amplifica il rumore della pioggia che cade. Così sono obbligato a camminare sotto un toc ritmato che non va a tempo con la mia andatura, un toc che talvolta è più toooc degli altri e mi risuona nelle orecchie, mi spaventa e sottolinea ancora di più il freddo che passa attraverso le aperture nella divisa. E vi giuro che è davvero un disagio, perché quando piove, molto spesso, gli ingranaggi non scivolano, l'acqua scioglie il grasso e io devo correre a piedi ad azionare lo scambio in fondo alle banchine. Cosa succederebbe se non ci riuscissi? Assolutamente niente, perché i treni sono sempre meno e non ci sono quasi più necessità di coincidenze e precedenze. 15


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La mia convinzione è che sia una mansione inventata appositamente per me e i colleghi degli altri turni, per giustificare il nostro impiego, per non doverci mandare a casa. Almeno fino a quando tutta la Stazione non sarà automatizzata. Ma io non mi lamento, a me va bene così. Squilla il telefono e io già so quale convoglio deve essere instradato su quale binario. Insomma, almeno mi tiene occupata la giornata più che fare le parole crociate. E poi ho un appuntamento a cui non rinuncio mai. È una ragazza, si capisce – anche dagli orari in cui prende il treno – che è una che va in Città per studiare. No, non pensate male, non ho nessuna mira, potrebbe essere mia figlia se non addirittura nipote. Si siede sempre al solito posto, primo finestrino dopo le porte: il treno passa e lei mi saluta; io mi faccio trovare dei suoi occhi, prendo il saluto della sua mano che oscilla e ricambio alzando la mia. Non so chi sia, probabilmente mi confonde con qualcuno... insomma uno scambio di persona, ma in un mondo di indifferenza mi fa piacere questa attenzione, anche se alla fine fosse per qualcun altro.

La scambiatrice. Tra i tanti modi in cui vengo chiamata, mai una volta che venga appellata come misericordiosa. Spesso mi descrivono con atteggiamenti e caratteristiche per lo più appartenenti agli uomini, e sì, confesso che una volta me la prendevo, poi ho imparato a fare il mio dovere senza dare più conto a queste cose. Oggi è una di quelle giornate dove preferirei fare di tutto fuorché lavorare, ma non ho scelta: anche io ho i miei doveri da svolgere. In ospedale sono arrivati due pazienti che in comune pare abbiano solo l'aria della stanza. Ho ascoltato bene i pareri dei medici anche se, non è per vantarmi, ma una mia diagnosi per entrambi me l'ero già fatta. Quello che mi rende meno forte sono i parenti. Sì lo so che non lo si aspetterebbe da una come me, ma io sono sensibile a questi aspetti. Che poi, diciamocela tutta, anche se c'è gente bravissima a mascherarla io ho imparato benissimo a leggere i volti, dentro gli occhi, a distinguere ogni ansia, ogni paura, ogni sconforto. Insomma, contrariamente a quello che dicono, non provo alcun piacere a vedere le persone soffrire. Molte volte vorrei parlargli apertamente e dire loro che sono lì solo per svolgere un lavoro, che alla fine anche io sogno la serenità della mia casa e che non sono nata così, ma ho dovuto imparare ad avere un carattere forte e determinato. Che non posso permettermi cedimenti, perdere di vista gli impegni e – soprattutto – l'ordine; che se fosse per me, nel mio lavoro, vorrei poter aiutare tutti. 16


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Ma non posso. Nessuno può, nemmeno il Padre Eterno. Ho dovuto imparare a restarmene un po' in disparte, che è meglio aspettare che i parenti escano dalle stanze per poi concentrarmi sui malati e leggere le loro cartelle per fare quello che devo fare nel modo più opportuno. I due ricoverati di oggi a vederli sembrerebbero fratelli, hanno pochi anni di differenza e negli occhi la stessa paura. E altrettanta speranza, anche se vi anticipo già che per uno dei due non ce n'è. Li osservo di nascosto e leggo le loro vite attraverso le rughe sui volti, la luce negli sguardi. Ad esempio il 318 ha condotto una vita davvero soddisfacente: successi nella vita privata e nella società, amori, tanti affetti. Sicuramente è un uomo che ha saputo trasmettere dei valori importanti ai suoi familiari, persone forti ed unite. Non a torto li chiama la sua unica ricchezza. Il 319 invece no. Pare che la sua vita sia stata tutta in salita, dovendosi sempre rimboccare le maniche e ricominciare da capo ogni volta. Mi hanno detto che non ha mai conosciuto l'amore sincero, nessuno ha mai tenuto davvero a lui. Facile crederlo: è qui da solo, una persona una che fosse venuta a vedere come stesse, a tenergli un po' di compagnia. Lo ammetto, spesso la solitudine in cui vengono abbandonate certe persone è un aspetto che fa vacillare il mio senso del dovere: vorrei che tutti almeno una volta nella vita conoscessero la sensazione di felicità e appagamento, sebbene in pochi la sappiano apprezzare davvero. La 316 si affaccia spesso alla porta e gli chiede come va, gli si siede accanto e nonostante sia ricoverata anche lei, spesso lo aiuta con un bicchiere d'acqua o a sistemare un cuscino. Non sbaglio se dico che è l'unica persona da avere un'attenzione per lui. So a cosa state pensando, che potrebbe succedere come nei film ,che fuori di qui si frequenteranno, si innamoreranno e che il 319 riscatterà tutte le sue sofferenze. E sicuramente andrebbe così, se il 319 non dovesse morire tra poco. Già, avete ragione, non c'è giustizia. Il Destino è beffardo, talvolta prende una piega che non può essere cambiata. Li guardo ancora un'ultima volta. Il 318 dorme sereno, starà meglio e lo dimetteranno presto. Il 319 invece respira a fatica, nessun miglioramento per lui, e nessun sole che sorgerà domani mattina. Solo la mano della 316 che pietosamente tiene la sua. Credo sia l'impulso, l'agire di pancia, l'adrenalina – anche – di sovvertire l'ordine, di ignorare la Regola. Così lo faccio, scambio le cartelle, scambio le diagnosi, scambio il decorso dei mali, scambio il futuro. Il 318 apre gli occhi e so che ora mi può vedere, lo capisco perché leggo in lui la paura e una domanda che non riesce a farmi. Gli sorrido e gli rispondo di sì, poi gli faccio cenno di seguirmi. Come tutti, i primi passi li muove lentamente, titubando, ma so per esperienza che dopo 17


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passa, che dopo succede qualcosa che rilassa gli animi, ma che non è rassegnazione. Passiamo accanto al 319 che ora ha il viso più disteso: sarà per il respiro un po' più regolare. Non c'è invidia per chi resta: il 318 non sa che ne ha preso il posto, ma sento il suo augurio ad essere felice con la donna che gli sta tenendo la mano. Sì, fidati che lo sarà, gli rispondo. Usciamo così, ignorati da tutti e nel freddo neon del corridoio lasciandomi alle spalle la Vita. Almeno per un altro po'.

Gli scambisti. Di punto in bianco se ne esce che il nostro rapporto è spento, che è venuta a mancare la scintilla, che da soli ci annulliamo invece di completarci. Mi dice che non è necessario mandare tutto a rotoli, che probabilmente è sufficiente solo mettere un po' di pepe nella relazione, che comunque è soddisfacente. Sì, ha detto proprio così: comunque soddisfacente. È inutile che controbatta e tiri fuori discorsi sull'amore, su sentimenti importanti che rendono unica una persona, che anche se le tentazioni attraversano la vita – perché lo fanno, caspita se lo fanno! - davanti agli occhi hai solo e sempre la persona che ami, le cose condivise, quelle costruite dal niente. Invece no, lei mi parla di Angela, di come l'amica abbia risollevato il suo rapporto con un po' di brio, assecondando quell'indole curiosa che appartiene ad ogni essere umano e che un rapporto lungo ed esclusivo rischiava di logorare per sempre. Non so che cosa risponderle, sono atterrito quanto irritato dall'enorme assurdità del discorso, ma nonostante tutto non riesco a recalcitrare il pensiero che lei è bellissima, che questa verve la rende ancora più bella, che l'entusiasmo di gettarci in un'avventura di questo tipo non fa altro che farla apparire stupenda ai miei occhi: lei la donna che ho amato fin da subito e per cui non riuscirei a provare nessun altro sentimento. Forse per questo il mio silenzio viene scambiato per altro e permetto che mi trascini dove le sue fantasie la rendono ancora più eccitante. Mi dice che d'accordo con Angela è bene che la prima volta avvenga con amici, con persone che conosciamo e con cui ci sia già un po' di confidenza. Angela e Valerio sono amici da una vita, sono stati i nostri testimoni alle nozze, sono il padrino e la madrina dei nostri figli. E ora sono complici in questo gioco che io non voglio fare, ma che per qualche motivo concedo. È una cena come tante, come accade molto spesso, con i figli dai nonni e liquori a fine pasto che sciolgono le parole più ardite, le battute più sconce. Solo che questa volta non servono i liquori, le menti sono già sovreccitate da quanto sta per accadere dopo. Valerio continua a guardare mia moglie dando sfogo a quelle espressioni che ha sempre dovuto tacere per rispetto. Angela invece si lancia in pose provocanti inscenando una specie di giocosa competizione con mia moglie... inutile dirvi che per me non c'è storia, non c'è paragone, non c'è partita. 18


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Ci spostiamo in camera da letto, opportunamente adibita ad alcova per pervertiti. Mi colpisce una ciotola di preservativi in bella mostra, dentro condom di diversi colori e gusti, come se fosse una cosa naturale tanto quanto un vassoio di cioccolatini. Inizio a sentirmi a disagio in un ambiente che dovrebbe rappresentare l'intimità di altre persone, per nulla eccitato da quanto sta per succedere. Mia moglie mi lascia la mano e mi fa sedere sul letto, altrettanto Angela con suo marito. Poi le due si scambiano di posto e mentre vengo spogliato vedo mia moglie che armeggia con la patta dei pantaloni di Valerio. Non riesco a vivere niente di quanto mi succede, mentre la gelosia inizia a montarmi dentro nel vedere l'eccitazione di Valerio sparire nella bocca di mia moglie. Quante volte ho baciato, mordicchiato, succhiato e leccato quelle labbra e ora a quale spettacolo devo assistere. Inizio a pensare a situazioni simili che possono essere avvenute a mia insaputa e la rabbia diventa qualcosa di irrefrenabile. Angela contribuisce ad irritarmi, mi distrae dai pensieri dolorosi che la mia mente sta inseguendo, mi spoglia e si spoglia ridacchiandomi nelle orecchie la domanda se deve fare tutto lei. Non vedo l'ora che tutto finisca, di tornare a casa, di sentirmi dire da mia moglie che non era quello che si aspettava, che ama me, che la scintilla sono io, che le emozioni più intense sono solo quelle con me. Invece lei è lì, il suo corpo esplorato dalle mani avide di Valerio, il suo ventre completamente depilato, a quella maniera che non mi è mai piaciuta, in quel modo che mi veniva presentato quando diceva di farlo perché a richiederlo era l'abbigliamento attillato che non avrebbe perdonato rigonfiamenti o un costume da bagno troppo minimal per contenere eventuali ciuffetti. E ancora una volta l'immagine di lei così nuda e offerta ad altre mani, ad altri uomini, ad altri membri mi irrita sovraccaricandomi di morbosa gelosia. Angela mi attira a sé, mi chiede di concentrarmi su di lei e mi rendo conto che sto meccanicamente muovendo il bacino strusciandomi dentro un corpo che non conosco, che non mi piace, che emana odori troppo forti e quasi nauseabondi. Cambio punto di appoggio senza smettere di scoparla e le stringo le mani intorno al collo. Angela non ha modo di dire niente mentre tutti e quattro siamo rapiti dalla foga, anche se ognuno per motivi diversi. Vedo il volto della donna sotto di me farsi paonazzo, lei colpevole di aver spinto mia moglie a tanto e portato me a pensieri che mai mi sarei aspettato di fare. La presa delle sue gambe intorno ai miei fianchi si allenta, le sue braccia ricadono mentre il volto si ripiega verso il lato buio dove non vi è più luce. Io resto lì, dentro di lei ancora qualche istante, rassicurato dall'indifferenza degli altri due che continuano a contorcersi e gemere. 19


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Accetto l'invito silenzioso delle autoreggenti sparse sul pavimento e le uso per imbavagliare e legare i polsi di mia moglie. I due amanti non si danno preoccupazione, sono anzi eccitati da un nuovo gioco a tre. Gli occhi di mia moglie mi cercano durante la mia danza intorno al letto per legarle i polsi, per scegliere il punto migliore da cui guardare. Pensa ci sia il suo stesso piacere ad animarmi. Mi posiziono così dietro Valerio mentre gli occhi di mia moglie si riempiono di malsana malizia e che finalmente si spegne quando mi vede stringere una cravatta intorno al collo dell'uomo. Valerio le crolla sul seno come un bambino esausto della poppata; crolla su quello stesso seno che chissà per quanto tempo ha desiderato. Io continuo a stringere la fascia di seta sempre più dominato dalla gelosia, e continuo a farlo anche quando avverto il rompersi della cartilagine. Continuo nonostante il calciare in aria, furioso e impaurito di mia moglie.. Perchè, le chiedo quando la scena si è placata e i nostri amici non ci sono più. Ma lei non può rispondere con tutto quel nylon in bocca, si limita a mugugnare qualcosa di imprecisato e incomprensibile. Entrambi abbiamo il viso rigato da lacrime sempre più amare. Gliele asciugo tenendole il volto tra le mani: quante volte ho avuto questa premura, il suo tenero e piccolo faccino nelle mie mani tanto grandi da farlo sembrare ancora più minuto. Lo chiedo un'altra volta, perché? Ma non aspetto la risposta, non mi serve più, ascolto solo il rumore del suo collo che si spezza.

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Ogni cosa al suo posto di Paolo Cabutto

«Gradisce ancora un bicchiere di Nebbiolo?» Gli occhi del cameriere mi fissavano annoiati da sotto le folte sopracciglia castane. «No grazie, sono a posto così. E tu Veronica?» La bocca che masticava la torta di nocciole e un leggero cenno del capo, mi fecero capire che anche per lei era arrivato il momento di fermarsi. «Ci porti due caffè per cortesia. Uno macchiato.» Il cameriere si allontanò diligente e io tornai a soffermarmi sugli incantevoli lineamenti di Veronica e sul suo sguardo indagatore, che mi aveva messo in imbarazzo per tutta la serata. Per essere il nostro primo appuntamento tutto era filato liscio e lei si era rivelata una gradevole compagnia, non fosse per le occhiate che mi scoccava di soppiatto. La mia metà del tavolo pareva un campo di battaglia, con briciole sparse ovunque, una macchia di vino e la tovaglia stropicciata, mentre dalla sua parte ogni cosa era immacolata. Forse temeva che il mio disordine materiale si rispecchiasse anche nella mia personalità. Tornò il cameriere e posò con discrezione le tazzine sul tavolo. Sorseggiando un’ottima miscela arabica azzardai: «È stato veramente un colpo di fortuna quello scambio di posto sul treno e il fatto che tu leggessi un volume di racconti di Maupassant. Altrimenti mi sarei perso questa magnifica cena.» Veronica rispose con un risolino imbarazzato. Ebbene sì, ci eravamo davvero conosciuti su di un treno. E il mio scrittore preferito era stato un ottimo pretesto per rompere il ghiaccio. «Peccato soltanto che domani debba ripartire. Quando spunta qualche piacevole sorpresa, i viaggi di lavoro sono sempre troppo brevi. Ma dopotutto Torino non è così lontana da Verona.» «Forse no, tutto sommato», confermò Veronica, mentre un sorriso malizioso si dipingeva sulle sue labbra. «Prima di partire però potresti fare ancora un salto da me.» Piuttosto alticcio, pagai il conto, la presi sottobraccio e insieme ci avviamo verso l’auto. Il freddo pungente e la sottile nebbia novembrina non invitavano certo a una romantica passeggiata sotto i portici semideserti di via Roma, così fui ben felice di poter trascorrere ancora qualche ora nel tepore dell’appartamento di Veronica. 21


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Il condominio dove abitava distava appena qualche chilometro dal ristorante, ma nonostante i pochi minuti passati a guidare, non avevo potuto comunque fare a meno di notare come la mia compagna di serata continuasse imperterrita a guardarmi. E non era lo sguardo accalorato di una donna che posava gli occhi su di un uomo che desiderava conoscere meglio, ma qualcosa di più profondo e conturbante, difficile da spiegare. Malgrado il lieve disagio, ero attratto da Veronica e non avevo alcuna intenzione di mandare all’aria la nottata. Parcheggiai proprio davanti al portone del palazzo, scesi e andai ad aprire la portiera del passeggero. Ci fissammo imbarazzati per qualche secondo, poi lei mi prese per mano e mi condusse all’ingresso. Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano e la luce rossa scompariva dal pulsante 0, mi chinai goffamente per tentare di baciarla. Le sue labbra mi accolsero per pochi istanti, dopodiché la sua bocca si separò dalla mia, sussurrandomi in un orecchio: «Non ancora.» Risposi con un sorriso incerto, proprio mentre l’ascensore arrivava al quinto piano per poi spalancarsi. Entrammo nell’appartamento. Veronica raccolse i cappotti di entrambi e mi fece cenno di accomodarmi. Sedendomi sul divano, con lo sguardo feci una panoramica del soggiorno. Ogni cosa era in perfetto ordine: dai soprammobili ai vasi di fiori, passando per le riviste, impilate con precisione maniacale. Un dettaglio però mi turbò: quasi tutte le cornici erano girate, nascondendo alla vista le foto. Stavo per alzarmi a dare un’occhiata, quando la padrona di casa tornò con in mano due bicchierini colmi di liquore. «Non ti sembra di aver già bevuto abbastanza?» dissi ridendo. «È una serata speciale e deve essere festeggiata degnamente» controbatté la mia ospite. Così alzammo i bicchieri e li scolammo tutti d’un fiato. «Dimmi la verità: avevi già in previsione di invitarmi a casa, giusto?» le dissi, dopo essermi ripreso dal bruciore dell’alcol in gola. «Cosa te lo fa pensare?» «Il semplice fatto che qui dentro regna un ordine strabiliante, come se attendessi qualcuno.» «E invece ti sbagli. Questo è l’ordine naturale del mio appartamento. Ogni cosa deve essere al suo posto. Così come lo è qui, anche nella mia vita.» La guardai scettico ma scelsi di non rispondere. Non avevo voglia di imbarcarmi in discorsi filosofici sul destino e sul controllo della propria esistenza. Cercai di alzami per sedermi più vicino a lei, ma quando poggiai i palmi delle mani sul soffice rivestimento del divano, la testa iniziò a vorticare. Strizzai gli occhi per riprendermi, ma riaprendoli la situazione era peggiorata. Un velo mi offuscò la vista mentre tutto ciò 22


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che avevo intorno girava senza sosta. Repressi un conato di vomito e mi accasciai senza forze sui cuscini. L’ultima cosa che vidi, prima che il buio diventasse la mia realtà, furono le labbra di Veronica che pronunciavano un sommesso: «Buonanotte.»

***

La prima immagine che riesco a distinguere al mio risveglio è una mia fotografia. Le tempie pulsano, e un senso di nausea mi sale su dalla gola. Ancora stordito emetto un gemito, poi mi concentro sulla foto. Lo scatto mi ritrae sorridente su una spiaggia, abbracciato a una donna. Una donna che conosco. Ma certo, è Veronica! Ora ricordo: mi trovavo a casa sua, quando d’improvviso mi sono sentito male. Com’è possibile che qualcuno mi abbia fotografato in sua compagnia, se l’ho incontrata per la prima volta soltanto ieri? «La riconosci questa foto, vero Christian? Io e te, felici, dopo una nuotata.» È la voce di Veronica ad aver pronunciato quelle parole senza senso. Christian? Chi cazzo è Christian? Sono ancora steso sul divano. Cerco di alzami ma non riesco a muovere le braccia per darmi la spinta necessaria. Solo ora mi accorgo di essere legato mani e piedi. «Veronica! Cosa sta succedendo? Perché sono legato?» «Dovevi immaginarlo che ricomparire a distanza di cinque anni, dopo tutto quello che mi avevi fatto, non sarebbe stata un’idea brillante. È crudele da dire, ma l’incidente d’auto che ti è costato la vita è stato una benedizione. Tutta quella violenza sparita per sempre. Un matrimonio che finiva, la mia vita che ricominciava. E ora ti ripresenti dal mondo dei morti, tentando di ingannarmi con un’altra identità? Eppure li conosci così bene i miei poteri medianici. Che stupido!» Non potevo credere alle mie orecchie: quella fottuta psicopatica mi aveva scambiato per il suo defunto marito! «Ascoltami Veronica… mi chiamo Alessandro, sono un medico e, prima di ieri, io e te non ci siamo mai visti prima. Ti prego, credimi! Anche se io e il tuo ex marito ci assomigliamo come due gocce d’acqua, non sono Christian!» Veronica esplode in una risata stridula e scuote la testa. «È inutile che tenti di giustificarti. Appena ti ho visto su quel treno ho subito capito chi eri. Fortuna che il mio passato da medium mi aveva già preparato al nostro incontro. Ti ho lasciato parlare e agire come volevi: ti sei scavato la fossa con le tue stesse mani.» L’assurdità della situazione mi comprime il cervello, impedendomi di pensare con 23


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chiarezza. L’unica cosa che posso fare è supplicare. «Ti scongiuro Veronica, stai commettendo un errore madornale. Lasciami andare e ognuno tornerà alla propria vita come se nulla fosse accaduto.» «Hai ragione, potrei anche lasciarti andare. Dopotutto non mi spaventi più. Come ben sai però, la mia filosofia di vita è una sola: ogni cosa al suo posto. Tutto deve essere perfettamente in ordine. E per ristabilire l’ordine, il tuo corpo deve tornare sottoterra.» Come la scena di un film girata al rallenti, la lama luccicante di un coltello che si avvicina lenta è l’ultima immagine che vedo prima di prendere, per sempre, il mio posto.

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Gaspare VI La morte di Gaspare di Artanis Naanìe

La situazione era grottesca: in una sala d'attesa, un cadavere steso a terra, raggomitolato, ripiegato su se stesso, scivolato da una sedia. In piedi, tra la sala d'attesa e la porta d'ingresso, due uomini pallidi, uno dei due fissava nervosamente il cadavere, l'altro la porta. Dietro alla porta, tamburellante, la polizia. - Cosa facciamo? - chiese lo psicologo a Gaspare. - Ma che cazzo ne so! È lei che ha un morto in casa! - Tecnicamente questa non è casa mi... - Ma chi se ne frega! Apra quella dannata porta!! Lo psicologo aprì la porta su due poliziotti in divisa, uno alto uno basso, quello alto rasato e grosso, quello basso pelato e coi baffi. Brutti, entrambi parecchio brutti, pensò Gaspare. - Zalve zignori, gi hanno ghiamato per sghiamazzi.Il piccolo brutto è parecchio raffreddato, pure, si disse Gaspare. - Eh sì, no scusate c'è stato un problema in pratica un mio paziente ha avuto un attacco di cuore ed è morto davanti a quest'altro paziente e ci siamo fatti un po' prendere dal panico e allora forse abbiamo gridato un po' ma capisce, la concitazione del momento e poi stavamo per chiamarvi comunque... Lo psicologo prese fiato e incrociò lo sguardo nero di Gaspare. Non era andata esattamente così. - Mordo? Ghi è mordo? Cesare, ghiama l'ambulanza e la gentrale, subito! - È un tal Gaspare Parodi il morto... Gaspare sussultò. A lui pareva d'essere ancora abbastanza vivo, a differenza del morto che, quindi, a meno di una rarissima e quasi incredibile omonimia, non poteva chiamarsi Gaspare Parodi. I poliziotti fecero le loro chiamate, poi, dimentichi del paziente ancora vivo, portarono il terapeuta in studio per porgli qualche domanda. In quei pochi minuti la mente di Gaspare aveva viaggiato alla velocità della luce. Aveva rivisto gli ultimi mesi, grigi come il fumo di una centrale a carbone. Aveva pensato alle 25


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persone che conosceva, quelle che apprezzava, e aveva fatto spallucce. Appena i poliziotti furono entrati nello studio Gaspare si precipitò sul morto. Frugò nelle tasche di giacca e pantaloni, trovò il portafogli, lo svuotò di ogni documento di identità (carte di credito comprese), mise alcuni dei suoi (quelli su cui non vi era la foto) e ripose tutto al suo posto. Pochi minuti dopo un uomo dal nome Ermanno Colucci firmava la sua deposizione sulla morte accidentale di Gaspare Parodi, avvenuta in sua presenza probabilmente per un attacco cardiaco. L'ambulanza portò via il corpo, i poliziotti (sia quelli brutti che quella molto carina, bionda, che era arrivata con la seconda macchina e un vecchietto che aveva largamente superato l'età pensionabile) andarono via, ErmannoGaspare salutò il terapeuta (chiarendo che non si sarebbero mai più rivisti) e, con una vita morta e una da inventare, si avviò per le vie tristi della sua città, un sorrisetto a bordo labbra.

Ritrovate le precedenti puntate di Gaspare nei numeri 5 – Cipolle, 6 – Armadi, 7 – Sette, 8 – Cappa, 9 – Smaltimento Cadaveri e nel fuoriserie A Christmas Lunchbox, disponibili sul nostro sito www. Scorrettomagazine.wordpress.com

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Acerrimi amici di Gianluca Dario

Ci aveva messo nove giorni per riuscire a indossare quella maglia. L'aveva sognata per numerose notti. L'aveva sudata, prima ancora di indossarla. Non era la prima volta, ma sarebbe stata l'ultima, l'ultima prima che la malaria gli negasse il respiro, più di come avevano fatto le Alpi durante quegli anni. Accanto, ma un po' più dietro, sempre lui, l'altro, il rivale leale di sempre, l'amico acerrimo di mille battaglie. Quello che era diventato grande prima, che lo aveva scoperto e messo sulla buona strada, che già aveva vinto qualcosa in più, ma che non sarebbe mai stato ricordato con il suffisso "...issimo", ma con un più maccheronico "...accio". Erano entrambi il simbolo di un Paese che si alzava sui pedali per uscire, a testa bassa, dalle macerie della guerra. Avevano inconsapevolmente diviso in due una nazione che da pochissimo tempo era diventata unita. Ma in realtà tutta questa divisione, tra loro, non esisteva. Non che fossero proprio amici per la pelle, anzi i battibecchi c'erano stati, i dispetti come i bambini. Soprattutto quando erano costretti a correre per la stessa maglia, sotto lo sventolio della medesima bandiera. Ma quel giorno caldissimo di un mese di luglio del millenovecentocinquantadue, accadde qualcosa di inusuale agli occhi dei tifosi, di quelle persone che passano le giornate ad aspettare sul ciglio di una strada di montagna, il passaggio veloce e affaticato delle biciclette. Fausto e Gino si scambiarono la borraccia. Quel giorno, Fausto indossò la sua tanto agognata maglia gialla e così per i restanti dieci giorni vincendo il suo secondo Tour de France. Ma lo scambio non fu immortalato, pochi erano i fotografi e ancora meno le telecamere. E allora qualcuno decise che non poteva andare in quel modo, c'era la possibilità di rendere più umani due che avevano fatto la storia di uno sport e che, con quello scatto, sarebbero stati consegnati alla storia. Allora un fotografo propose di replicare durante la tappa successiva, i due campioni si sarebbero scambiati la bottiglia dell'acqua e questa volta il tempo sarebbe stato fermato. Ciò che forse non sapevano era che quello scatto sarebbe divenuto un'icona di lealtà e di amicizia. Fu così che nacque una delle immagini più conosciute della storia dello sport. Fausto Coppi che scambia una bottiglia d'acqua con Gino Bartali. Ancora oggi non sappiamo chi abbia passato la bottiglia a chi, e nessuno dei due atleti lo ha mai detto apertamente, ma forse il romanticismo di quel momento è proprio racchiuso in questo mistero. Chiunque osservi la foto, è libero di immaginare che sia l'uno sia l'altro abbiano potuto avere un gesto di altruismo in un momento critico e di grande fatica, verso quello che era da sempre il proprio rivale, antagonista, compagno e amico. 27


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