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numero 175 anno 18 ottobre 2013

300€

Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

il mensile della strada

de’tenis www.scarpdetenis.it

ventuno Verde automobile Milano Miracolo al nido Como L’Incontro 5+ Torino Teatro su ruote Genova Bici sgonfie Vicenza Profilo creativo Rimini La scelta difficile Firenze Nuovo Help Center Napoli Uno di noi Salerno Orizzonti vivibili Catania Emanuele resiste

Mostra di fumetti. Asta. Spettacoli. Rivivono gli “antieroi” del grande artista, in occasione della Giornata mondiale di lotta alla povertà

La mia gente



editoriali

La mia gente, la gente che siamo tutti noi Paolo Brivio

L

a sua gente. La nostra gente. Pare che i poveri ce li avremo sempre attorno (copyright di un Tale di un paio di millenni fa, che non faceva il cantautore, ma che ciononostante è riuscito a diventare piuttosto celebre). I poveri. E gli squattrinati, e gli svitati, e gli smarriti, e gli scorbutici, e i selvatici, e i laceri e i confusi, e i senza patria e i senza dimora, e i senza lavoro e i senza reddito, e quelli che si annegano in una bottiglia, quelli che si bruciano con una siringa, quelli che si rovinano per gioco: tutti costoro ci faranno ogni giorno e per sempre compagnia, e magari addirittura ci sorpasseranno (specie se agghindati con abiti succinti e trucco vistoso) nella volata verso il paradiso. E allora, deve aver pensato il medico con la chitarra, tanto vale cantarli in un disco. E allora, continua a riteRoberto Davanzo nere la nostra redazione, tanto vale scridirettore Caritas Ambrosiana verci un giornale. Tanto vale. Mica per degnazione. O per rassegnazione. Per ideologico itorna la Giornata mondiale di lotta alumanitarismo. Per interessato pauperismo. la povertà, a dire che il problema rimaPiù che altro, in virtù di una constatazione: se ne, che non ci è lecito rassegnarci, che il ti fermi a osservarli, se li guardi da vicino, se vero male non è la povertà in sè, quanto il non ci scambi due chiacchiere, se condividi un ciavere nessuno con cui combatterla. Di realtà becinin di strada, scopri che ognuno di questi ponefiche la storia dei nostri territori ne ha sempre viveri ha una storia da raccontare. Un errore su cui ste innumerevoli e geniali. Non sono mai mancati recriminare. Una speranza da innaffiare. Il tesouomini e donne che, pur animati da visioni del monro del ricordo di una qualche relazione (visdo e della vita differenti, hanno rappresentato un presuta da genitore, da figlio, da innamorato, sidio contro l’oblio della condizione drammatica di tananche solo da amico: probabilmente orti nostri simili. Forse con un solo limite: quello di non mai svaporata nel tempo) da custodire aver sufficientemente considerato la necessità di far sacon gelosia. Insomma, li conosci e ti ci pere, di raccontare, di coinvolgere, di contaminare. specchi. Scopri che in loro prevale la diIntendo dire: ben vengano le opere caritative a favore mensione dissestata, vulnerabile, persino di ultimi ed esclusi, a condizione che non consentano mai colpevole dell’esistere. Ma in fondo parlano la al resto della cittadinanza di sentirsi, per questo, a posto nostra stessa lingua: comune lingua dell’umano. con la coscienza. «Ci sono loro a occuparsi dei poveri, noi Se siamo tutti analogamente uomini, siamo per quepossiamo occuparci di altro. Vi aiutiamo con offerte pingui, ma lasciateci vivere la nostra vita, i nostri interessi, le sto automaticamente fratelli? Bisognerebbe (non è mica nostre abitudini»: un pensiero che andrebbe prevenuto. peccato) credere in un Padre comune. In ogni caso, sugOccorre infatti convincersi che la lotta alla povertà geriva sempre il Tizio che duemila anni fa non è diventanon sarà mai appaltabile a qualche “corpo speciale” dito cantautore, dovremmo farci cogliere da qualche scrusposto a fare il lavoro sporco, nell’illusione che d’inpolo, mentre alziamo la mano per scagliare la pietra del canto il mondo cambi e una mattina miracolosamengiudizio, o addirittura della condanna. La congrega di sbante più nessuno storpio ci chieda l’offerta durante la sodati che ci starà sempre d’attorno ci insegna a coltivare l’arsta al semaforo rosso. La lotta alla povertà sarà efficate del dubbio su noi stessi. Ci obbliga all’esame di coscience solo quando attraverserà e plasmerà il nostro stile za. Alzi la mano chi ne esce indenne. Alzi la mano chi – metdi vita, l’economia, la finanza, la politica, le priorità tendo a fuoco le proprie fragilità e le proprie opacità – non vordella collettività. E allora siano benedetti gli artisti, gli rebbe essere sottratto a lapidazione. intellettuali e gli uomini di spettacolo disposti ad abInsomma. Conviene affidarsi all’arma della poesia. Tembracciare la causa. Un po’ come fece Enzo Jannacci, perata dall’ironia. I poveri li avremo sempre prossimi. E alche in queste settimane ricorderemo con iniziative cullora tanto vale cantarli. Persino incorniciarli in un fumetto. turali di vario tenore. Perché anche il linguaggio dell’ar“La mia gente”: la sua gente, la nostra gente. La gente di te può giocare un grande ruolo, nell’opera di educazioEnzo, la gente di Scarp. La gente, in fondo, che siamo ne e sensibilizzazione delle coscienze. tutti noi.

Il vero male, il ruolo dell’arte

R

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sommario Speciale

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L’evento La mia gente: mostra, spettacoli e asta sui personaggi di Jannacci per la Giornata mondiale di lotta alla povertà p.8

Cos’è È un giornale di strada non profit. È un’impresa sociale che vuole dar voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione. È il primo passo per recuperare la dignità. In vendita agli inizi del mese. Scarp de’ tenis è una tribuna per i pensieri e i racconti di chi vive sulla strada. È uno strumento di analisi delle questioni sociali e dei fenomeni di povertà. Nella prima parte, articoli e storie di portata nazionale. Nella sezione Scarp città, spazio alle redazioni locali. Ventuno si occupa di economia solidale, stili di vita e globalizzazione. Infine, Caleidoscopio: vetrina di appuntamenti, recensioni e rubriche... di strada!

dove vanno i vostri 3 euro Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Redazione centrale - milano cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3, tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it Redazione torino associazione Opportunanda via Sant’Anselmo 21, tel. 011.65.07.306 opportunanda@interfree.it Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12, tel. 010.52.99.528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38, tel. 0444.304986 - vicenza@scarpdetenis.net Redazione rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69, tel 0541.780666 - rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Caritas Firenze, via De Pucci 2, tel.055.267701 scarp@caritasfirenze.it Redazione napoli cooperativa sociale La Locomotiva largo Donnaregina 12, tel. 081.44.15.07 scarpdenapoli@virgilio.it Redazione Catania Help center Caritas Catania piazza Giovanni XXIII, tel. 095.434495 redazione@telestrada.it

L’inchiesta Profughi: Stavolta (forse) sapremo accoglierli p.18

L’approfondimento

Come leggerci

Per contattarci e chiedere di vendere

Scarp Italia

E inclusione Sia. Stavolta si fa sul serio? p.24

L’intervista Basta Soltanto fare il primo passo p.28

Scarp città Milano Un posto al Nido, miracolo a Milano p.30 La strada è solitudine; la Cena è amicizia p.38 Impazza il boogie alla balera dell’Ortica p.40

Como Il centro diurno Caritas compie gli anni p.41

Torino Il viaggio è un teatro con le ruote p.42

Genova Il bike sharing ha le gomme sgonfie p.44

Vicenza Profilo, insieme si cuce speranza p.46

Firenze Dalla stazione si può ripartire p.49

Rimini Luca, il figlio della scelta difficile p.50

Napoli Enzo, uno di noi cosiddetti “ultimi” p.52

Salerno Bici, orti e altre idee per una città vivibile p.54

Catania La fattoria non cede alla mafia p.56

Scarp ventuno Dossier Come sarà verde la mia macchina p.60

Economia El sciur padrun si chiama Maometto p.64

Caleidoscopio Rubriche e notizie in breve p.69

scarp de’ tenis

Il mensile della strada Da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe - anno 18 n. 175 ottobre 2013 - costo di una copia: 3 euro

Per abbonarsi a un anno di Scarp: versamento di 30 € c/c postale 37696200 (causale AbbonAmento SCArP de’ tenIS) Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano (lunedì-giovedì 8-12.30 e 14-16.30, venerdì 8-12.30), tel. 02.67.47.90.17, fax 02.67.38.91.12 Direttore responsabile Paolo Brivio Redazione Stefano Lampertico, Ettore Sutti, Francesco Chiavarini Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli Redazione di strada Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Tiziana Boniforti, Roberto Guaglianone, Alessandro Pezzoni Sito web Roberto Monevi Disegno di copertina Sergio Gerasi Foto Archivio Scarp Disegni Luigi Zetti, Elio, Silva Nesi Progetto grafico Francesco Camagna e Simona Corvaia Editore Oltre Società Cooperativa, via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Tiber, via della Volta 179, 24124 Brescia. Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 12 ottobre al 9 novembre 2013.


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Siate egoisti, fate del bene!

Fare del bene è il miglior modo per sentirsi bene. Dare una mano a Opera San Francesco significa dedicare una parte di sè e delle proprie risorse a chi ha bisogno di aiuto e può ricambiarci solo con un sorriso o uno sguardo di gratitudine: significa dare speranza e fiducia e, per questo, sentirsi meglio. Viale Piave, 2 - 20129 Milano ccp n. 456202 Tel. 02.77.122.400

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Chi sostiene OSF contribuisce a offrire ogni anno 800.000 pasti caldi, 65.000 docce e 37.000 visite mediche a poveri ed emarginati. Da più di 50 anni, con il lavoro di oltre 700 volontari, le donazioni di beni e danaro e i lasciti testamentari, OSF aiuta chi non ha nulla.

Opera San Francesco per i Poveri Una mano all’uomo. Tutti i giorni.


anticamera Aforismi di Merafina

A mio figlio

UNA DONNA Una donna di troppo non vuole regole

Mi batte il cuore forte

IL MEGLIO Il meglio del meglio deve ancora arrivare ESSERE Per essere qualcuno bisogna essere se stessi

dalla gioia che mi hai regalato. E’ il regalo più bello della mia vita questo angelo che mi hai portato. Lo proteggerò

Swarovski Piccolo torrente Scintille di Swarovski dissemini cristalli nel velluto! Scivoli tra i pioppeti inargentati allegro, trasparente, senza noia. Incidi muschi con arte certosina, artista levighi ciottoli d’altura. Poi corri a valle come serpe d’acqua e giungi là dove ti attende il “salto”. Aida Odoardi

con la mia vita, lo crescerò con amore lui sarà re della felicità lui è figlio mio e di Dio. Grazie Dio. Sonila Bleta

Rivolto a Dio Paura! Paura di peccare e sentirmi in colpa. Mi rivolgo a Dio, uso le mie parole, il mio linguaggio, Lui mi capisce. Mi sento un altro, mi alimento perché sa ascoltare, c’è! la mia fede. Dio... Tu solo sai cosa vorrei, tu sai cosa ho fatto, tu puoi giudicare. Queste parole, urlate con la più grande disperazione, ti fanno appello del giusto che sei. Non stancarti, non fare evasione di chi ti chiama, fammi il dono che anche tu vuoi. La giustizia umana non è la tua, intervieni, dai forza al tuo potere, illumina con saggezza i tuoi figli. Quello che ti chiedo è una cosa piccolissima, ascoltami! Aiutami! Non per me, ma per la donna meravigliosa e sofferta che amo. Dagli forza e speranza con un tuo piccolo “segno”, ripagala per tante cose brutte avute. Tu che hai creato, tu che ami, tu che non puoi non sentire, essere indifferente, tu! Che non ti si può vedere ma puoi fare, ti prego proteggi e aiuta il mio solo e unico amore.

Domenico Casale

ottobre 2013 scarp de’ tenis

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Enzo Jannacci canzoni a colori La lotta alla povertà non si fa solo nelle istituzioni e nei servizi sociali. Ma anche dove si produce cultura. Enzo Jannacci ha cantato per decenni l’Italia dei perdenti: in occasione del 17 ottobre, gli rendiamo omaggio con una grande iniziativa culturale di Stefania Culurgioni Il 17 ottobre si celebra la Giornata mondiale di lotta alla povertà. Un appuntamento che serve a fare luce sulle dinamiche sociali ed economiche che, nel mondo e nelle nostre città, generano esclusione. Ma anche un’occasione per far emergere storie ed esperienze di chi sperimenta la condizione di marginalità, e per mettere l’arte e la comunicazione al servizio di questo racconto. Con la convinzione che la lotta alla povertà non si faccia solo nelle istituzioni, nei servizi sociali o nei centri di accoglienza, ma anche grazie alle intuizioni degli artisti, e nei luoghi dove si produce cultura, Scarp de’ tenis, Wow Museo del Fumetto di Milano e alcuni artisti e cultori dell’opera di Enzo Jannacci hanno allestito l’iniziativa “La mia gente” (sostenuta da FondazioIl ricordo si avvarrà di molteplici linne Cariplo, Etica Sgr e Fondazione Sacra guaggi artistici: in primis fumetto e illuFamiglia). L’iniziativa intende onorare strazione, ma anche musica e teatro. l’artista milanese – padre “battezzatore” Una mostra a ingresso libero, ospitata del nostro giornale, scomparso a fine dallo Wow – e che dà seguito alla fortumarzo –, ricordando come egli sia stato nata retrospettiva dedicata a Giorgio Gacantore, per mezzo secolo, della Milano ber – costituirà il perno delle iniziative: e dell’Italia dei margini sociali, delle pe50 tavole disegnate da altrettanti, imporriferie geografiche ed esistenziali, di biotanti fumettisti italiani, ciascuna delle grafie sfortunate, stralunate, trascurate.

8. scarp de’ tenis ottobre 2013

quali farà rivivere (anche nel catalogo edito da ReNoir) uno dei personaggi delle canzoni di Jannacci. Ne scaturirà un vivace e toccante pantheon di antieroi, raccontati senza pietismi, con ironia e disincanto, eppure con una simpatia, un’umanità e uno spirito di accoglienza che tanto hanno da insegnare alla Milano e all’Italia di oggi. “La mia gente” (titolo del quinto album di Jannacci, pubblicato nel 1970), dopo aver visto battere all’asta da Sotheby’s le tavole originali della mostra, proporrà anche appuntamenti musicali, teatrali e di cabaret: omaggio a un artista poliedrico, e cartellone con un risvolto solidale. I fondi raccolti nel corso di oltre un mese di iniziative saranno infatti destinati all'accompagnamento sociale delle persone senza dimora ospiti del Rifugio Caritas alla stazione centrale di Milano e dei venditori della nostra rivista. Scarp de’ tenis, l’abbiamo scritto in occasione della morte del grande artista, nella testata – e non solo – conserva un radicato spirito “jannacciano”. Perché continua a raccontare dei barbun (ed esclusi assortiti) che popolano le nostre città. E cerca di farlo con partecipazione, umanità, professionalità: le stesse qualità che Jannacci riservava, occupandosene come medico o artista, alla “sua gente”.

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l’inchiesta

Sergio Gerasi La gente di Enzo ottobre 2013 scarp de’ tenis

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La mia gente

GLI EVENTI Un mese con ENZO JANNACCI

mostra e asta di fumetti, omaggio in musica e a teatro ✹ Scarp de’ tenis [www.scarpdetenis.it] ✹ Wow – Spazio Fumetto di Milano [www.museowow.it] ✹ ReNoir Comics [www.renoircomics.it]

Cooperativa Oltre [www.coopoltre.it]

lA mIA GENtE

AltrI EvENtI

50 personaggi illustrati dalle canzoni di Jannacci

Showcase di presentazione dello spettacolo

Giovedì 17 ottobre, ore 19

II saltimbanco e la luna. Le canzoni, il giornalismo, Enzo Jannacci

Mostra di tavole originali dei principali fumettisti italiani Wow Spazio fumetto - Milano

giovedì 17 ottobre – domenica 17 novembre All’inaugurazione (ore 18) interverranno i curatori, Davide Barzi e Sandro Patè, il direttore di Caritas Ambrosiana, don Roberto Davanzo, il direttore di Wow Spazio Fumetto, Luigi Bona, e il presidente di Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti La mostra sarà itinerante, realizzata con stampe plastificate tratte dagli originali. Possibili pacchetti modulari specifici (con annesse mostre di autori locali e di scuole di fumetto locali)

AStA

dI bENEfICENZA delle tavole originali della mostra a favore di Scarp de’ tenis progetto di Caritas Ambrosiana Partecipano artisti amici di Jannacci

Casa d’aste Sotheby’s

Palazzo Broggi - via Broggi, Milano martedì 12 novembre, ore 19

10. scarp de’ tenis ottobre 2013

concerto teatrale con Susanna Parigi e Andrea Pedrinelli (Wow Spazio Fumetto – Milano)

Giovedì 7 novembre, ore 21 Serata di cabaret

Bove & Limardi e Osvaldo Ardenghi, allievi di Jannacci (Wow Spazio Fumetto – Milano)

Giovedì 14 novembre, ore 21 II saltimbanco e la luna

Concerto teatrale a favore di Scarp de’ tenis (Teatro Silvestrianum – Milano) Produzioni editoriali n Catalogo della mostra La mia gente edito da ReNoir Comics (a colori, 64 pagine, con tutte le illustrazioni della mostra) n Anticipazione del libro a fumetti Unico indizio le scarpe da tennis edito da ReNoir Comics, scritto da Davide Barzi e disegnato da Will e Sergio Gerasi. n Cartoline pubblicitarie promozionali prodotte e distribuite da Promocard

Info e programma www.lAmIAGENtE.EU


Marco “Will” Villa El portava i scarp del tennis


La mia gente

Eroi disgraziati, ci camminano accanto I migliori fumettisti italiani alle prese con una vastissima discografia. Personaggi folli e geniali, sempre attuali: così nasce una mostra di Davide Barzi e Sandro Patè curatori di “La mia gente” “Se ne va un pezzo di Milano”. “Addio al cantore della vegia Milan”. “Ciao Enzo, poeta di una città che non c'è più”. Così alcuni giornali hanno ricordato la morte di Enzo Jannacci, scomparso lo scorso marzo all’età di 77 anni. Ed ecco qui l’errore. I protagonisti delle sue piccole grandi opere, contrariamente a quanto si è letto, non se ne sono andati via. Per niente. Sono ancora qui.Non è un modo di dire, dettato giniamo. È sempre più difficile non acdall’amarezza corgersi della loro presenza. È sufficiendel distacco o dalla speranza di non dite alzarsi la mattina presto, per incontramenticarci troppo presto le sue canzoni re oggi come cinquanta anni fa chi ragfolli, vive e geniali. Basta passeggiare per giunge il posto di lavoro in bicicletta coMilano e camminare piano piano per me il protagonista di Prendeva il treno, il fare una scoperta importante: i persociclista che giurava di non perdere nemnaggi che Enzo ha inventato, cantato e meno una corsa “per non essere da meinterpretato a partire dagli anni Sessanta no”. Se si passa la pausa pranzo fuori sono molto più vicini di quanto immaLambrate, invece, si possono vedere i

muratori che mangiano in garitta “spostando le putrelle in su e in giù o in giù e in su” come faceva Il gruista. Basta prendere i mezzi pubblici dopo le 19 e prestare attenzione agli uomini stanchi di fatica come il protagonista di Ti te se no, quello che in pieno miracolo economico si perdeva guardando tanti autumobil de tuti i culur, de tuti i grandess.

Appassionato d’altruismo Potremmo andare avanti molto a cercare corrispondenze tra “storie di disgraziati”, come le chiamava lo stesso Enzo, e urgenze vecchie o nuove. Per la mostra “La mia gente. Enzo Jannacci, canzoni a colori” abbiamo studiato a lungo la sua vastissima discografia, ma non ci siamo

Fumetti che rileggono canzoni, contaminazione totale «Naturale omaggio a Enzo, che non “faceva” il poeta, lo era»» Come si esprime il poeta? Risponderebbero meglio di me i numerosi umoristi che oltre cent’anni fa, a cavallo tra Ottocento e Novecento, sapevano ritrarre con efficace ironia tipi e stereotipi che popolavano le città nei ritrovi pubblici, nei caffè, nei teatri e nelle passeggiate. Colpirebbero subito chi “fa il poeta” e si presenta come tale, lo scrive sul biglietto da visita, si veste e si comporta in modo da essere identificato come tale. Ben diverso e molto più raro è “essere un poeta”, cioè avere la sensibilità di cogliere e sublimare l’essenza di realtà, persone e cose, dei sentimenti, di pensieri e parole, per restituire e fissare questa visione in una forma sintetica e leggibile. Questa forma non è soltanto la scrittura, nei tanti aspetti che questo mezzo può assumere. Il poeta si può manifestare in tutti i mezzi della comunicazione. Per esempio il fumetto, il teatro, la canzone. Nella nostra Milano degli anni Sessanta, la culla di una nuova creatività musicale era il Derby Club, un locale in zona San Siro dove si formavano e si incontravano gli autori e i cantanti che avrebbero trasformato l’espressione musicale di quel magico periodo e dei decenni successivi. Era la Milano immortalata da Giorgio Gaber, dai Gufi, da Walter Valdi. Erano gli anni in cui Milly portava in televisione le canzoni della mala, la Vanoni notava come sia strano sentirsi innamorati

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a Milano e Celentano rimpiangeva l’erba di via Gluck. Al Derby si ritrovavano, tra gli altri, pure Dario ed Enzo: l’amicizia di una vita. Dario Fo, con Franca Rame al suo fianco, ha trovato nel teatro (scritto, recitato, cantato e ballato) il mezzo espressivo più potente e innovativo, con anni di impegno artistico, sociale e politico, meritandosi il premio Nobel. Enzo Jannacci, cardiologo e cantautore, è soprattutto un poeta. Vede e interpreta personaggi e sensazioni che ci sono noti, che comprendiamo perfettamente, ma che soltanto lui riesce a mostrarci e in modo inimitabile, insostituibile. Rendere omaggio oggi a Jannacci nel Museo del Fumetto è giusto e naturale, non solo perché abitava nella zona e andando dritti per viale Corsica si va all’Idroscalo; non solo perché a essere milanesi, di nascita o d’adozione, non si può non amare Jannacci; ma anche perché Wow è un luogo della creatività e della comunicazione, dove la contaminazione tra modi e forme è totale: ho sempre associato Jannacci a Herriman, l’autore di Krazy Kat, pura espressione poetica attraverso il fumetto. Non ci siamo dunque stupiti, al museo, che tanti autori del racconto disegnato, da tutta l’Italia, volessero prestare il loro pennello a un artista che ha sempre utilizzato la musica: un grande omaggio che viene dal cuore». Luigi F. Bona direttore Wow Spazio Fumetto


dimenticati della sua Milano, quella parte della metropoli fatta di persone in difficoltà. Siamo convinti che i suoi piccoli grandi eroi, comici e tragici insieme, ci camminano accanto. Noi non ce ne accorgiamo, perché siamo al telefono, corriamo disperati e ci mostriamo sempre impegnatissimi. «Sapete chi sono i diversi? – ci disse il maestro nel periodo in cui lo abbiamo frequentato, incontri speciali che si fanno a vent’anni e non si scordano più – Sono quelle persone per cui io e voi due siamo dei diversi». Gli eroi di Enzo, gli sfortunati, i lavoratori mai davvero stanchi, le voci fuori dal coro, gli ultimi, quelli che vivono di privazioni o solo di crisi momentanee, tutti questi esclusi continuano a essere intorno a noi. Jannacci, più di trenta album in sette decenni diversi, ha iniziato la carriera in piccoli locali strapieni di persone comuni. Ha descritto luoghi snobbati da altri grandi narratori milanesi come via Lomellina, l’Idroscalo, la Breda o Rogoredo. Con la sua voglia di mettere in scena tipologie umane ben precise è riuscito a stabilire con il proprio pubblico l’empatia che solo i migliori scrittori riescono a creare. Chi saliva sul palco in locali come il Cab '64, il Derby o il Bolgia Umana organizzava curiose sfide per portare in scena ogni sera canzoni nuove. Per questo oggi ci si perde nelle voci della discografia del medico “appassionato di altruismo”, piena zeppa di collaborazioni importanti, brani dolceamari e attimi di vera poesia. Del resto, i narratori di razza si siedono a un tavolo, costruiscono dei personaggi, si immaginano una trama e si inventano di sana pianta dei mondi. In questi luoghi può succedere di tutto. Le canzoni di Enzo, proprio perché quasi sempre sono la storia di qualcuno, mettono in moto la fantasia e portano lontano. Ascoltarle, per noi, è sempre stato coinvolgente e stimolante come leggere un racconto o un romanzo. Ci piace seguire i personaggi di Jannacci fuori dalle sue canzoni e vedere dove vanno. Da una vita immaginiamo nuove avventure con Veronica, Giovanni Telegrafista, Silvano, Mario, Pasquale, Rino, Pedro e l’Armando. Tifiamo per una pronta rivincita di Bobo Merenda e di Vincenzina giù in fabbrica. Aspettiamo il riscatto del nano speciale, di Natalia e del soldato

Roberto De Angelis Il gruista Nencini. Vorremmo vedere un po’ di fortuna in più per il panettiere, per il dritto, per quello là che è appeso sopra La costruzione, per quell’altro ancora che Per un basin hanno cacciato dalla balera e hanno trattato come un vilan e, ovviamente, per il barbun con le scarpe da tennis.

Nessuno se ne accorge Per celebrare questa arte che mescola canzone, narrazione, teatro, cabaret e improvvisazione, anche noi ci siamo seduti a un tavolo e abbiamo cercato di capire che aspetto potessero avere oggi e ieri queste figure presenti nelle nostre canzoni preferite, come nella città in cui viviamo da decenni. Questa gente, come recita il brano che dà il titolo all’album del 1970 e a questa mostra, “muore e nessuno se ne accorge”. Ci siamo fatti aiutare da cinquanta tra i migliori disegnatori di fumetti italiani. Tutti insieme siamo riusciti a dare

un’interpretazione di quel disagio che sta sempre alla base dell’opera di Enzo Jannacci. Abbiamo fronteggiato un’onda anomala di entusiasmo senza pari, perché chi ha incontrato Jannacci, di persona o attraverso le sue opere, non lo mette indistintamente insieme a tutto il resto della sua collezione, ma gli riserva sempre un posto speciale. Prova ne è il fatto che molti brani sono stati contesi con forza. Alcuni artisti ci hanno detto: «Disegno la canzone che mi avete chiesto solo se me ne assegnate anche un’altra a cui sono legatissimo». Le canzoni di Enzo Jannacci significano tanto per chi continua ad ascoltarlo, decifrarlo e cercarlo ancora oggi. Le versioni originali presenti in catalogo verranno vendute all’asta da Sotheby’s. Il ricavato è destinato ai venditori della rivista Scarp de' tenis. Date loro attenzione, ascoltate le storie che raccontano proprio come faceva Enzo. Trovarli è facile. Li incontrate su qualche stradun..

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La mia gente

Il saltimbanco che “aumentava” la vita Ascoltare Jannacci è soltanto avere a che fare con un clown? Come i veri artisti, sapeva dare un nome ai nostri impulsi profondi

di Susanna Parigi cantante e compositrice “Il saltimbanco e la luna. Le canzoni, il giornalismo, Enzo Jannacci” è un concerto teatrale (scritto e interpretato da Andrea Pedrinelli, giornalista, e da Susanna Parigi, cantante e compositrice, prodotto da Eccentrici Dadarò) che fa interagire Jannacci con temi cruciali dell’odierna società dell’informazione e dello spettacolo. Il progetto sostiene l’attività di Scarp, che a sua volta ne condivide spirito e conteché? Non esistono dischi realizzati con nuti. Di seguito, alcuni brani da “In viagcura? Non ci sono più bravi interpreti? gio con il saltimbanco”, testo per il libroMancano belle canzoni? No, non è per cd dello spettacolo. questo. Credo sia perché in Jannacci le emozioni musicali, la persona e i valori erano una cosa sola. Enzo Jannacci trasmetteva emozioni Forse oggi manca quest’unità, quepur essendo scomposto, indisciplinato, sta coerenza. Forse (...) anche il coragsregolato. gio. Se ci si fa condizionare dai filtri che (...) La prima volta che ho ascoltato permettono di avere visibilità, si doMamma che luna che c’era stasera ho vranno modificare i propri pensieri. pianto, e non mi capitava da anni. Per-

“Il saltimbanco e la luna” calendario delle rappresentazioni 4 ottobre, SANREMO. Premio Tenco, Casinò di Sanremo, ore 19 (estratto di 30 minuti dell’opera, selezionata dal Club Tenco) 17 ottobre, MILANO. Wow Museo del Fumetto, ore 18 (showcase dell’opera) 24 ottobre, VARESE. Teatro Nuovo, via dei Mille, ore 21 7 novembre, CORSICO (Mi). Teatro Comunale, via Verdi, ore 16. Inaugurazione dell’Università del tempo libero 14 novembre, MILANO. Teatro Silvestrianum, via Andrea Maffei 29, ore 21 (spettacolo con incasso in beneficenza per Scarp de’ tenis) 16 novembre, LECCO. Teatro del Cenacolo, ore 21 21 febbraio 2014, CARONNO PERTUSELLA (Va). Cinema Teatro, via Adua, ore 21 Primavera 2014, MILANO. Teatro Tieffe Menotti, via Ciro Menotti 11. Repliche serali all’interno della rassegna “Musica e parole”, che verrà presentata dal teatro in autunno

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(...) Quando ascoltai per la prima volta Vincenzina e la fabbrica ero molto piccola. Mi fece pensare a mia madre che cuciva a catena in un sottosuolo di Firenze, in una situazione che a raccontarla oggi le persone penserebbero che stai scrivendo la sceneggiatura di un film. (...) Sento di essere in grado di capire certe cose che lui racconta. Spesso capita che massacriamo i nostri impulsi più belli, ed è per questo che ci sentiamo stringere il cuore quando leggiamo le righe di un poeta e le riconosciamo vicine a noi. Spesso non siamo del tutto convinti, che le nostre mancanze siano reali; pensiamo di esagerare. (...) Jannacci a un certo punto (...) ha dato nome a queste mancanze. E quel sentire chiamare per nome le nostre insoddisfazioni, ci fa capire che un certo malessere è reale, reale come un pugno nello stomaco. Credo che artisti come Jannacci siano coinvolti in un processo che amplia le dimensioni percepite della vita; un processo che “aumenta” la vita. Ma ascoltare i testi di Jannacci, oggi, è davvero avere a che fare con un clown? O vedere un film di fantascienza, o un documentario del dopoguerra? Non è forse invece percorrere un sito archeologico, un patrimonio di memoria, che ci dice molto (...) sulla realtà di oggi, sui rapporti tra le persone, sui deboli, sugli onesti (...) contrapposti ai poteri forti e all’arroganza? (...) Le persone di cui parla Jannacci le vedo, oggi, passare i confini, navigare, morire, fare i lavori che nessun italiano vorrebbe fare. Vedo come vivono gli “invisibili”. (...) Ecco perché quando muore qualcuno come Enzo, non muore solo un artista, un uomo conosciuto, un poeta, un chirurgo. No. Muore uno dei pochissimi che in vita ha avuto uno sguardo per quelle persone che molti non vedono.

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Giacomo Michelon Ci vuole orecchio


La mia gente

Un genio puro, scrittore dei piccoli Roberto Vecchioni ricorda Enzo Jannacci, e la sua capacità di «far diventare eterni i perdenti. In lui risuonava la Milano che mi piaceva» di Daniela Palumbo La nuova avventura di Roberto Vecchioni si chiama Io non appartengo più. Dodici brani inediti, nei quali irrompe la rabbia del cantautore milanese per questi tempi, nei quali – appunto – non si ritrova più. In attesa del lancio del disco, e di capire se la candidatura a premio Nobel per la letteratura diventerà realtà, nei pensieri di Roberto Vecchioni c’è posto per un ricordo vivido: quello di Enzo Jannacci, amico, compagno di ideali e di ironia surreale, una delle pochissitare, di recitare, di far parlare gli ultimi me persone dell’ambiente della canzonelle canzoni. Le persone geniali sono ne italiana con cui Vecchioni ha condiimitabili: i grandi artisti, pittori, scrittori, viso un medesimo sentire, lo stesso sono stati e saranno imitati. Ma imitare sguardo sul mondo. Enzo Jannacci è impresa vana, il suo è un genio unico. Vecchioni, a sei mesi dalla morte di Jannacci, alla vigilia di importanCome era Jannacci nella vita di tutti eventi che lo celebreranno, come ti i giorni? preferisce ricordarlo? Io l’ho conosciuto al Derby di Milano. Per me era un mostro sacro. Lui era inLo ricordo come un genio. Enzo era sieme agli amici di sempre, Cochi e Resemplicemente un genio. Inarrivabile. nato in testa. Io ancora non cantavo, La genialità ce l’hanno in molti, non il andavo a sentirlo perché lo ammiravo, genio puro è tale perché inventa dal ma facevo già parte di quel gruppo di nulla e non ha paura di alcun rischio. persone che gli era vicino, spesso si anLui ha rotto con la canzone convenziodava insieme a cena dopo gli spettaconale, senza la minima preoccupazione li. Enzo era un introverso e un estroverdi andare contro il sistema o di non esso, tutte e due le cose insieme, lo era da sere commercialmente apprezzato. Lo giovane ma anche da vecchio era così. ha fatto con il suo modo unico di can-

Comunque una forza della natura, non riusciva a stare fermo su una cosa. Può darsi che parlasse con te e ti stesse lodando per il testo di una canzone, e improvvisamente si metteva a fare altro o iniziava a parlare con altre persone... Inarrestabile. Poi, aveva anche i suoi scatti di rabbia, il suo quarto d’ora di invettive feroci... Per che cosa si arrabbiava? Lui non poteva sopportare la prepotenza del potere. Come tutti i veri grandi, inveiva contro chi aveva il potere e lo usava per i propri scopi, a scapito dei deboli, dei senza diritti. E come tutti i veri grandi, aveva una grande umiltà. Jannacci raccontava le persone del popolo, le persone semplici, quelli della strada, era il suo modo di prenderne le parti. I suoi personaggi sono universali, sono maschere eterne. Avete suonato insieme diverse volte... Mi ha fatto il regalo di essere con me durante il concerto “Luci a San Siro”, una serata meravigliosa anche perché c’era lui. Ma abbiamo suonato ancora altre volte insieme, mi divertivo con lui. Poi negli anni Enzo si era chiuso sempre di più nella sua solitudine geniale. Emergeva raramente e non era facile distrarlo. Nel tempo io ho avuto la fortuna di conoscere anche il figlio Paolo, che è un grande musicista jazz. Cosa le manca di Jannacci? La capacità di essere scrittore dei piccoli. I suoi eroi erano i perdenti: il suo tema fondamentale. I perdenti davanti alla vita, alle tasse, ai debiti, al potere. Erano i deboli che lui, con le sue canzoni, ha messo in primo piano. Prima di tutti. L’originalità assoluta di Jannacci è consistita nel dare vita a personaggi piccoli,

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Nuovo album «Gli altri sono solo fantasmi» Nuovo album, in uscita a metà ottobre. Vecchioni si indigna, sin dal titolo: Io non appartengo più. A cosa? «A un certo punto della mia vita – spiega il cantautore milanese – mi sono accorto, pur sentendomi ancora giovane, che questo non è più il mio tempo. Mi ritrovo a vivere in un mondo troppo veloce, troppo meccanico, dove tutti si sentono in dovere di dire le scempiaggini più balorde senza nemmeno sapere di cosa stanno parlando. La politica parla a vanvera e non si capisce più qual è la parte dove stare. Anzi, io ho sempre saputo da che parte stare, eppure oggi si fa fatica a orientarsi. Questo andazzo mi spiazza. Non mi interessa, non mi appartiene più. Ritrovo la speranza nella cultura, nella bellezza, nell’amore, negli archetipi eterni a cui mi aggrappo per sopravvivere. Sono sempre meno le persone che sento di poter abbracciare, con le quali condividere la vita. Gli altri sono vaghi, sono fantasmi. L’album racconta proprio questo disagio» semplici, veri, e nel farli diventare eterni. Chi potrà mai raccontare Vincenzina e la fabbrica come l’ha raccontata lui? Voi di Scarp de’ tenis avete scelto il nome di una della canzoni più belle di Enzo, El purtava i scarp del tennis: che meraviglia quando racconta del barbone che non era mai stato su una macchina, con quella genuinità con cui lui guardava il mondo! Un personaggio incredibile, eterno, quello del barbun: con Jannacci i piccoli diventavano grandi, diventavano epici. Milano: una città che vi univa… Jannacci era a pieno titolo nello spirito della Milano che mi piaceva. C’era la solidarietà, c’era il rapporto diretto fra le persone. Anche la “mala”, a Milano, aveva un cuore. Si chiamava la Zanza,

Milano a due voci Due belle immagini di Roberto Vecchioni con l’amico Enzo Jannacci. Hanno suonato insieme in alcune occasioni, il vincitore di Sanremo 2011 lo reputava un mostro sacro: «Un introverso e insieme estroverso, che non sopportava le prepotenze del potere»

come le zanzare; non c’era la mafia, a Milano, c’era la piccola mala che aveva i suoi codici d’onore. Era la città che raccontavano Gaber e Enzo. La Milano della povera gente, della strada, dei bar, della solidarietà nelle case di ringhiera. E anche dell’integrazione, dopo che i milanesi avevano visto arrivare ondate

di emigranti dal sud e in principio i rapporti non erano stati per niente facili. Raccontata con la semplicità di Enzo, la strada diventava il mito. Ma lui amava anche il surreale, si divertiva a stravolgere la realtà, a rompere gli schemi convenzionali dei benpensanti. Dispiace solo che le sue canzoni non abbiano avuto il riconoscimento ampio che avrebbero meritato. Forse proprio perché ha cantato tanto in dialetto milanese, che pochi conoscono. L’eredità di Jannacci. Sarà raccolta prima o poi? Sono scettico, lo ammetto. Oggi non vedo nessuno. Però lo spero. Spero che prima o poi qualcuno che possa almeno avvicinarsi al genio strepitoso di Jannacci possa comparire. Oggi proprio no.

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Ondati di profughi dalla Siria: ci metteranno in crisi, come quelle dalla Libia? Premesse migliori, tocca ai comuni attuarle

Stavolta (forse) sapremo accoglierli di Francesco Chiavarini L’Italia si farà trovare impreparata di fronte alla nuova emergenza umavisione di questo scenario, il 30 luglio il nitaria che già si delinea, con gli arrivi sulle nostre coste dei profughi siriani in fuga ministero dell’interno ha approvato un dalla guerra? E gli altri paesi europei faranno la loro parte? La domanda circola da decreto legge, passato in sordina, ma mesi nei palazzi delle istituzioni e tra i vertici delle principali organizzazioni umadestinato a gettare le basi di un sistema nitarie. Perché nessuno sa prevedere che piega prenderà la crisi siriana. Ma è certo di accoglienza finalmente adeguato. Il che la guerra tra Damasco e gli oppositori del regime di Assad, come tutte le guerprovvedimento quadruplica lo Sprar (il re, ha già prodotto un effetto collaterale: i profughi. Sistema di protezione per richiedenti Dall’inizio del conflitto uomini donne e bambini hanno cercato rifugio nei paeasilo e rifugiati, gestito dagli enti locali), portandolo da 4 mila a 16 mila posti, imsi confinanti: Libano e Giordania. Da plementabili, in caso di emergenza, fimesi lo cercano anche in Europa. E in dall’inizio dell’anno al 6 settembre, no a quasi 20 mila. Costo dell’operazioItalia in particolare. Siamo pronti ad acsempre secondo l’Unhcr, 21.870 persone: 200 milioni di euro, messi a bilancio, coglierli? E come lo faremo? Il nostro ne di varie nazionalità sono arrivate nel nonostante i tempi di vacche magre. paese non ha dato, di recente, una gransud Italia: un aumento considerevole riI posti, in realtà, sono ancora solo de prova di sé. Il sistema sperimentato spetto ai livelli del 2012, quando si regisulla carta. Perché diventino effettivi, durante la cosiddetta Emergenza Nord strarono 7.981 ingressi. Coloro che sooccorrerà che i comuni aderiscano al Africa, tra il luglio del 2011 e il febbraio no approdati quest’anno arrivano prinbando e richiedano i finanziamenti per di quest’anno, ha fatto acqua da tutte le cipalmente da Eritrea (5.778, erano 594 creare i centri e gestirli. Ma le norme e parti. È costato parecchio (quasi un minel 2012), Somalia (2.571, 1.280 nel liardo di euro), ha dato scarse se non 2012) e Siria, apnulle chance di integrazione ai circa 28 punto (gli arrivi mila profughi giunti dalla Libia, e ha in dal paese medioalcuni casi trasformato l’accoglienza in rientale, lo scorso business. In quella circostanza, nemanno, erano stati meno l’Europa ci fece una gran figura. meno di 400). Nessuna linea comune, paesi in ordine Se insomma sparso, timorosi di aprire le frontiere, non siamo ancora sotto la pressione di opinioni pubbliche all’esodo di massa indifferenti, se non ostili. dalla Libia, indotto e utilizzato dal regime di GhedSprar quadruplicato dafi come ritorsioQuesta volta, tuttavia, piccoli segnali ne contro l’interpaiono indicare che si imboccherà vento militare ocun’altra strada. Ma andiamo con ordicidentale al fianco ne, e iniziamo dall’Italia. L’Alto comdei ribelli, i flussi missariato Onu per i rifugiati stima che cominciano a espiù di 4.600 siriani siano giunti via masere significativi. E re nel nostro paese dall’inizio dell’anno. potrebbero divenI due terzi, tra agosto e settembre. Infanzia violata tare presto allarIn quaranta giorni, questa estate, soSamir (9 anni) nel campo per rifugiati siriani Qab Elials nella valle della Bekaa, in Libano. manti, se la crisi no stati accolti soprattutto in Sicilia, ma Non pochi minori, molti non accompagnati, continuerà o avrà anche in Calabria, 3.300 profughi in fusi dirigono verso le coste italiane un’escalation. ga dal regime di Damasco, tra i quali più (Eoghan Rice / Trócaire) Proprio in predi 230 bambini non accompagnanti. E

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l’inchiesta la copertura economica ci sono per fare dello Sprar, sistema collaudato e specializzato nell’accoglienza, il pilastro di qualsiasi piano straordinario.

Il progetto

Ahmed l’“anziano” panettiere si è rifugiato. A casa mia...

Addio ai Cara Il provvedimento, varato dal governo, consente anche il superamento dei Cara, i centri di prima accoglienza dove i richiedenti asilo vengono identificati e rimangono fino a che non ricevono una risposta alla domanda di protezione. Oggi in queste strutture sovraffollate si può rimanere intrappolati per mesi. Il decreto istituisce, invece, hub di smistamento regionali, centri diffusi sul territorio, più piccoli e più efficienti. Tutto questo ci metterà al riparo dagli errori del passato? «A un’emergenza bisognerà rispondere con misure emergenziali – osserva Oliviero Forti, responsabile dell’ufficio immigrazione di Caritas Italiana –. Tuttavia, oggi il governo consegna agli enti locali uno strumento e le risorse per adoperarlo. Spetterà ai sindaci imparare a utilizzarlo bene e agli operatori di cooperative sociali ed enti non profit, che spesso hanno in appalto i servizi, fare la loro parte». Certamente, una dotazione di “potenziali” ventimila posti dovrebbe evitare di imbarcare sulla scialuppa di salvataggio, anche in caso di emergenza, realtà che con l’accoglienza hanno poco

Ahmed, lo chiameremo così, ha solo 20 anni, ma una saggezza da “anziano del villaggio”. Suo padre era un’autorità religiosa nel villaggio della Sierra Leone da cui proviene. Lui è arrivato in Liguria nel 2011, sull’onda della cosiddetta Emergenza Nord Africa: aveva lavorato in Libia, si è ritrovato a Savona. Lo ha accolto una comunità solidale. Finito il periodo nei servizi di emergenza, si è posto il problema di casa e lavoro. Lui avrebbe voluto fare il panettiere, avendo frequentato un corso di formazione. Ma orari e spostamenti non erano facili. A quel punto, è entrata in scena una famiglia normale, di Savona: padre, madre, un figlio adolescente, quasi coetaneo di Ahmed, atleta come lui. Hanno deciso che Ahmed poteva vivere da loro, finché non avrà una sistemazione stabile. Hanno aperto le porte di casa, accompagnati in questo percorso dalla Caritas locale, con i suoi operatori esperti, anni di lavoro in favore dei rifugiati. Tra marzo e settembre 2013 Ahmed e la sua nuova famiglia sono dunque entrati a far parte del progetto “Rifugiato a casa mia”, promosso da Caritas Italiana. Il progetto coinvolge già 13 diocesi. I referenti diocesani ricevono una formazione specifica (sui rifugiati e, soprattutto, sulle dinamiche familiari) da parte degli operatori del Consorzio Communitas, l’équipe operativa di questa sperimentazione. Al momento sono una trentina le famiglie che praticano in Italia questa innovativa forma di accoglienza, ricevendo un mero rimborso spese per il semestre in cui si prendono cura, in accordo con i servizi sociali e le comunità locali, dell’integrazione della persona ospitata. A fine febbraio del 2014 si tireranno le fila sul progetto che, se validamente sperimentato, ha le carte in regola per far parte di quelli ordinariamente finanziabili con i fondi otto per mille gestiti da Caritas Italiana. Non un’alternativa, dunque, alle forme di accoglienza esistenti, come quel Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (lo Sprar), che da quest’anno si amplia a 16 mila posti di accoglienza in tutta Italia. Piuttosto, un supporto all’integrazione, che spesso la rete istituzionale, specie in tempi di crisi, non riesce a garantire. «Non siamo eroi», dicono di sé, a Savona, i nuovi familiari di Ahmed. Né sono eroi le altre persone della loro comunità, che li aiutano nell’accoglienza. Non a caso, quando li abbiamo incontrati per la prima volta, a maggio, con loro c’era già anche l’allenatore della locale società di atletica. Poi a settembre le buone notizie non hanno tardato ad arrivare: la referente locale del progetto è soddisfatta, Ahmed ha cominciato da qualche settimana a fare il panettiere, assunto con un contratto di lunga durata. Ha potuto affittare un appartamento insieme ad altri cittadini stranieri. Insomma, si avvia verso una vita normale. E la famiglia che per sei mesi lo ha ospitato? «Torna a trovarla ogni fine settimana», riferiscono in Caritas. “Rifugiato a casa mia”, dunque, è un progetto che può davvero funzionare. Non solo a Savona: a Cagliari, Milano, Genova, Volterra, Teggiano (Salerno), Faenza sono appena partiti o stanno giungendo a conclusione, con esiti positivi, percorsi di accoglienza familiare come quello di Ahmed. Non mancano le criticità, in alcuni territori: a Pordenone, Senigallia e Rimini non è facile trovare famiglie disponibili a mettersi in gioco. Ma la ricerca continua. Ad Aversa, invece, una coppia con i figli ormai sposati ha deciso di accogliere un’intera famiglia congolese: padre, madre e tre figli, dai 9 mesi a 9 anni. Come dire: famiglie che accolgono famiglie. Un altro piccolo miracolo di “Rifugiato a casa mia”. Roberto Guaglianone ottobre 2013 scarp de’ tenis

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Stavolta (forse) sapremo accoglierli a che fare. Come accadde durate la cosiddetta Emergenza Nord Africa, quando, per la fretta, si decise di affidarsi agli albergatori, o peggio a cooperative improvvisate, che avevano più a cuore gli indennizzi che il futuro dei loro ospiti.

Clima mutato in Europa Ma gli spiragli di speranza non vengono solo dall’Italia. Il clima sembra essere cambiato anche altrove, in Europa. In Germania, ad esempio. Già a marzo il ministero dell’interno tedesco, in accordo con l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati, ha aperto un canale umanitario per i siriani scappati nei paesi vicini, soprattutto in Libano. L’in-

tesa permetterà, a regime, di offrire assistenza e protezione sociale in Germania a cinquemila persone particolarmente bisognose di aiuto. I rifugiati, che possono beneficiare del programma, sono individuati dai funzionari Onu presenti nei campi profughi, in base a requisisti stabiliti dal governo tedesco. Dopo l’esame della domanda, che può durare qualche mese, le persone vengono trasferite in Germania, dove per le prime due settimane vengono ospitate in una struttura di accoglienza centrale. Qui ricevono informazioni e sostegno. Dopodiché vengono ripartite tra i Länder (le Regioni federali) e i comuni, secondo quote fissa-

Cartellone 2013 - 2014 W Verdi sabato domenica sabato domenica

Madama Butterfly

19 ottobre 20 ottobre 26 ottobre 27 ottobre

h 20,30 h 16 h 20,30 h 16

sabato 25 gennaio domenica 26 gennaio

h 20,30 h 16

Soirée Ravel... Bolero

Artisti di oggi e di domani

sabato domenica sabato domenica

domenica 2 febbraio

2 novembre 3 novembre 16 novembre 17 novembre

h 20,30 h 16 h 20,30 h 16

Romeo e Giulietta

La Vie en Rose... Chanson

sabato domenica sabato domenica

h 20,30 h 16 h 20,30 h 16

sabato 8 febbraio domenica 9 febbraio

h 20,30 h 20,30 h 16 h 18 e h 22 h 17

sabato domenica sabato domenica

23 novembre 24 novembre 30 novembre 1 dicembre

Cenerentola

Lo Schiaccianoci sabato sabato domenica martedì mercoledì

7 dicembre 21 dicembre 22 dicembre 31 dicembre 1 gennaio

h 20,30 h 16

Carmina Burana

15 febbraio 16 febbraio 22 febbraio 23 febbraio

h 20,30 h 16 h 20,30 h 16

Folklore e Nozze di Sangue h 16

sabato 1 marzo domenica 2 marzo

Pierino e il Lupo

Soirée Ravel... Bolero

lunedì

h 16

sabato domenica sabato domenica

domenica 15 dicembre

6 gennaio

Gran Gala del Balletto Imperiale domenica 19 gennaio

h 16

8 marzo 9 marzo 15 marzo 16 marzo

h 20,30 h 16 h 20,30 h 16

Passio Jesu Christi mercoledì 16 aprile giovedì 17 aprile venerdì 18 aprile

h 20,30 h 20,30 h 20,30

Concorso internazionale di danza in occasione della giornata mondiale della danza

dal 26 al 29 aprile 2014

TEATRO DI MILANO Via Fezzan 11 (ang. Viale Caterina da Forlì 19) www.teatrodimilano.it

info e biglietteria

Tel 02 42297313

biglietteria aperta da mercoledi a sabato dalle 13 alle 18

te in proporzione alla popolazione residente, adottate anche per la distribuzione degli altri rifugiati.

La Germania che accoglie Grazie a questo accordo, all’inizio di settembre in Germania sono arrivati i primi 107 rifugiati siriani, provenienti dal Libano. Per le prime due settimane sono stati ospitati nel centro di accoglienza di Friedland, nel Land Niedersachsen. Inoltre, il governo centrale ha istituito un secondo canale di accoglienza su base regionale e familiare. In aggiunta al programma nazionale, i Länder possono accogliere altri profughi che hanno parenti residenti nel loro territorio (ogni Land decide quanti rifugiati accogliere in più). I parenti residenti in Germania che presentano la domanda devono provare di avere i mezzi per coprire tutti i costi riguardanti i rifugiati. Nel caso non possano ospitarli a casa, devono affittare un appartamento. E assumersi i costi della mutua e delle cure mediche. Per il momento, sono solo sei le regioni che hanno aderito a questa proposta e nessun profugo è stato accolto. L’impegno della Germania (che peraltro, normalmente, accoglie molti più rifugiati di quanto faccia l’Italia) è comunque un risultato da non sottovalutare, se si considera che la decisione di aprire le frontiere è avvenuta in piena campagna elettorale, momento certamente non tra i più favorevoli per promuovere appelli all’accoglienza. «Questo sistema è troppo oneroso per le famiglie e secondo noi non avrà molto successo. Ma il solo fatto che sia stato istituito è indice di un cambiamento di atteggiamento dei tedeschi verso i profughi – sostiene Roberto Alborino, responsabile per l’immigrazione di Caritas Germania –. Sono sempre più frequenti nel territorio federale azioni di protesta e scontento, a causa del crescente numero di rifugiati e richiedenti asilo: si prevedono circa 100 mila domande di asilo politico entro fine 2013, quasi il doppio del 2012. Tuttavia nei confronti dei siriani si registra maggiore comprensione. La gente conosce le atrocità della guerra ed è anche rimasta profondamente colpita dalle parole di papa Francesco». Non è forse un caso, che tra i sei Länder che hanno aderito all’accoglienza in famiglia c’è la Baviera, dove i cattolici sono in maggioranza.

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l’inchiesta

In Giordania e Libano vivono molti dei 2 milioni di siriani espatriati a causa della guerra (gli sfollati interni sono 4,5 milioni). Viaggio nei luoghi di accoglienza

Rifugio di fortuna Ratiba Awad con i suoi tre figli: Ouday (5), Ahraa (4) e Batoula (7 mesi), nella stalla abbandonata in cui vivono insieme ad altri venti rifugiati in Libano (Eoghan Rice / Trócaire)

Profughi persi nel nulla, anche la speranza svanisce di Alberto Minoia Caritas Ambrosiana È mattina presto e fa già caldo ad Amman, la capitale della Giordania, da dove si parte per Mafrak, ultima città prima del confine nord con la Siria. Località nella quale da oltre due anni ogni giorno arrivano, in fuga dalla guerra, centinaia di famiglie, spesso donne sole con molti bambini. Gli uomini rimangono in Siria per difendere la casa e la terra. All’inizio molte di queste famiglie trovavano sistemazione in appartamenti in città, pagando affitti regolari, ma dopo la situazione è cambiata: le case sono diventate molto costose e se non paghi ti ritrovi in mezzo a una strada. Allora vanno bene anche scantinati e box auto. I pochi uomini espatriati cercano lavoro come muratori, come agricoltori. Offrono manodopera spevorano fianco a fianco volontari siriani cializzata, a prezzi stracciati. Benché cristiani e musulmani, assunti da Carinon esista un caporalato vero e proprio, tas Giordania come mediatori culturali. lo sfruttamento della manodopera dei «Ci sembrava importante fare qualcosa profughi indebolisce il mercato del laper il nostro popolo, mai mi sarei aspetvoro interno, creando dissapori, tensiotato di lavorare con Caritas in Giordania ni tra la popolazione giordana e i siriani. accanto a dei cristiani», spiega un opeCaritas Giordania lavora da tempo ratore musulmano. Gli fa eco un operain diversi centri del paese, a partire daltore di religione cattolica: «É un’espele zone di confine. I suoi operatori rienza importante di aiuto verso i nostri ascoltano pazientemente tutti i rifugiaconnazionali che soffrono, un servizio ti, registrano i dati, fanno sopralluoghi che porta solidarietà. Ma anche una tenelle abitazioni e poi, in base alle nestimonianza di convivenza e collaboracessità, cercano di dare aiuti materiali, zione con i musulmani. Speriamo di ma anche supporto socio-sanitario. In tornare presto in Siria, e ripartire da particolare sono attivi due poliambulaquesta amicizia per ricostruire insieme tori, uno a Mafrak e l’altro a Zarqa. Vi lail paese».

L’attività di aiuto si svolge anche nel campo di Zaatari, ormai terza città giordana per numero di abitanti, oltre 130 mila. È una sterminata pianura desertica nel nulla, dove si vedono solo tende bianche, fino all’orizzonte. Abitata da una marea di persone che sembrano indaffarate, che si muovono per le strade polverose: chi va all’ospedale da campo per una visita medica, chi va nella zona distribuzioni perché ha sentito dal vicino di tenda che arrivano gli aiuti, bambini che scorazzano dappertutto, tentativi di scuola e corsi per i più piccoli...

Zaatari, città di profughi Alcuni “ospiti” sono al campo da molti mesi, troppo tempo… Qualcuno se ne va verso altre città, magari più a sud, dove si trovano ancora appartamenti in affitto a prezzi contenuti. Ma si sa, i soldi finiscono sempre troppo presto. In Giordania, il governo ha riconosciuto ai siriani lo status di rifugiato. Ciò significa che non corrono il rischio di essere rimpatriati a forza. Non è così in ottobre 2013 scarp de’ tenis

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Stavolta (forse) sapremo accoglierli Libano. Benché i siriani scappati nel paese dei cedri rappresentino ormai il 25% della popolazione, il governo di Beirut non riconosce loro uno status codificato; in più, non è stato autorizzato alcun allestimento di campi ufficiali.

Come tra le macerie Una cinquantina di famiglie siriane vivono in un palazzo in costruzione nella valle della Bekaa, vicino al confine con la Siria (Nicholson / Caritas)

In Libano cambia il mondo Atterrando all’aeroporto della capitale Beirut sembra che la vita scorra normale. In taxi la città scorre frenetica, caotica: negozi alla moda, centri commerciali, suv neri. E i rifugiati? La risposta la si ottiene raggiungendo in auto la valle della Bekaa, nord-est di Beirut. Il paesaggio cambia, sembra di essere sulle prealpi lombarde. Ma la tensione si fa palpabile: a una delle entrate principali della valle c’è un primo posto di controllo dell’esercito, la presenza della polizia aumenta. Poi, vicino alla città di Aanjar, cambia il mondo. Nel cortile davanti al centro di Caritas Libano moltissime persone pazientemente aspettano di essere ascoltate. Si entra a fatica, dentro ci sono decine di rifugiati siriani in attesa del loro turno, prevalentemente donne, molto riservate; tendono ad abbassare gli sguardi davanti agli stranieri. Ci sono anche uomini anziani e bambini. Sono persone stanche e tristi. Dai loro volti traspaiono rassegnazione e incertezza per il futuro. Un’operatrice spiega come avviene il lavoro di ascolto, monitoraggio e distribuzione degli aiuti. Poco dopo si parte di nuovo, una decina di chilometri verso uno dei luoghi

da cui provengono coloro che si accalcano al centro Caritas: uno dei tanti “campi informali” che i siriani si sono autocostruiti. A circa cinque chilometri dal confine siriano, in un prato preso in affitto da un commerciante libanese, vivono oltre 200 persone. Sono famiglie numerose, anche in questo caso in prevalenza donne con molti bambini. Le tende sono teli bianchi tenuti insieme con corde, pali in legno e qualche lamiera di recupero. Quando piove il campo diventa un pantano, c’è una piccola cisterna, ma l’acqua potabile non sempre è disponibile. Mancano le fogne, i bagni sono piccole strutture in lamiera con un buco in terra. La corrente elettrica Sradicati Siraj Daher e il figlio Ayman (8), viene “rubata” dai nell’edificio abbandonato in cui pali della corrente vivono dall’inizio della guerra che corrono lungo a Tripoli, in Libano il perimetro del (Nick Harrop / Cafod) campo. Ogni famiglia tira i fili e si collega, e a volte qualcosa va a fuoco a causa di cortocircuiti. Gli operatori Caritas fanno quello che possono: distribuiscono coperte, stufe, vestiti, alimenti. Qui si sopravvive. I bambini a piedi nudi giocano ma

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sono anche tristi: non c’è scuola e risuonano i discorsi degli adulti, che spaventano parlando di guerra e di morte. Alcune famiglie, appena arrivate, raccontano di essere scappate perché nel loro villaggio è arrivata gente “di fuori”, armata, che li ha minacciati. Altre famiglie sono arrivate da più di un anno, non hanno più soldi. Solo qualche uomo lavora nei campi, quando i proprietari terrieri libanesi chiamano.

Nelle case senza muri Poco distante si arriva a un gruppo di case in costruzione: sono abitate da famiglie siriane che si arrangiano nello spartirsi i vari piani dell’edificio, che non ha ancora le mura esterne. Per fare le pareti tra i pilastri hanno dunque utilizzato assi di recupero e lamiere. Molte mamme si lamentano perché non possono curare i figli: una semplice influenza o una bronchite possono diventare una fatto grave. Quando può, Caritas Libano aiuta anche con i farmaci e paga qualche visita medica. Anche gli aspetti sociali e i traumi psicologici sono questioni di cui si occupano i social worker e gli psicologi Caritas, ma le persone che chiedono aiuto sono troppe e le risorse pochissime. Ogni giorno sono centinaia i profughi che si rivolgono ai vari servizi Caritas per una richiesta di aiuto. È ora di tornare a Beirut. Negli occhi tanti volti di persone che chiedono aiuto. Ma soprattutto stanno perdendo la speranza.

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Il governo presenta una misura “universale” di lotta alla povertà. Resta l’incognita finanziamenti: entrerà nella legge di stabilità?

E inclusione Sia… Si fa sul serio? di Paolo Brivio E così (ecco il) Sia. Dal cilindro del governo, a metà settembre, in tempo (almeno sulla carta, nella prassi sarà dura, e bisognerà vedere che ne sarà dell’esecutivo stesso) per agganciare il treno della legge di stabilità 2014, fa capolino il Sostegno per l’inclusione attiva. Proposta a suo modo storica: «L’Italia è l’unico grande paese europeo a non avere una misura di questo tipo», concede il ministero del lavoro e delle politiche sociali, nella nota di presentazione. Proposta che si configura come «misura nazionale di sostegno per le persone in condizione di povertà», di natura «universale», aperta dunque a tutti i residenti («inclusi gli immigrati» non irregolari), in antitesi alla storica impostazione categoriale, «secondo la quale il diritto al beneficio dipende dall’appartenenza a una determinata categoria», ma che si è tradotta «in una frammentazione degli interventi, a cui manca una visione organica». Misura, infine, non inquadrabile come «reddito di cittadinanza (rivolto a tutti indistintamente)»; piuttosto, come «un sostegno rivolto ai poveri, identificati come tali da una prova dei mezzi», per condurre la quale sarà cruciale ricorrere all’Isee, oggetto di imminente riforma. Il ministro Enrico Giovannini è stato dunque di parola. A fine luglio aveva promesso che il suo dicastero avrebbe condotto un’iniziativa destinata a trasformare alla radice la lotta alla povertà Si inizia da assegni e pensioni? nel Belpaese. E l’aveva promesso ai proI valori fondativi e i principi guida del pugnatori (un nutrito comitato scientiReis in effetti sono accolti e rilanciati dal fico, “convocato” dalle Acli e sostenuto Sia. Il cui obiettivo è «permettere a tutti da Caritas Italiana) del Reddito di inclul’acquisto di un paniere di beni e servisione sociale, strumento che reca un zi ritenuto decoroso sulla base degli stinome differente, ma presenta sostanli di vita prevalenti». Ma il sostegno ecoziali analogie con il Sia. Nella commisnomico erogato ai poveri non è «inconsione di studio guidata dalla viceminidizionato». stro Cecilia Guerra, d’altronde, erano Come il Reis, il Sia prevede infatti stati cooptati (con accademici ed esperche «il beneficiario si impegni a perseti di vaglia) anche il professor Cristiano guire concreti obiettivi di inclusione soGori, coordinatore, e altri componenti ciale e lavorativa», accettando di essere del gruppo di lavoro che ha partorito il inserito in fattivi e misurabili percorsi di Reis. Né plagio, insomma, né meccaniformazione, orientamento e inserico travaso: ma certo il Sia trae robusta mento lavorativo, e manifestando inispirazione dalla proposta Acli-Caritas. somma «quei comportamenti che ci si

Si chiama «Sostegno unico

per l’inclusione. E prende spunto dal Reis, la proposta Acli-Caritas per introdurre anche in Italia un reddito di cttadinanza

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aspetta da ogni buon cittadino». Si tratta, in definitiva, di un «patto di reciproca responsabilità tra il beneficiario e l’amministrazione pubblica, che si impegna a offrire adeguati servizi di accesso e di sostegno». Tra i due strumenti, ovviamente, non mancano le differenze. Se entrambi ritengono imprescindibili il riordino e la razionalizzazione delle misure di protezione e assistenza sociale oggi esistenti, la proposta governativa afferma però la necessità di includere, nel budget disponibile, anche e prioritariamente la copertura di assegni sociali e pensioni sociali, che finirebbero per drenare una porzione significativa del-


l’analisi La proposta

Alleanza contro la povertà, adesioni all’appello Acli-Caritas Azione Cattolica, Anci, Confcooperative, Lega delle autonomie, Cgil, Cisl e Uil, Fio.psd, Forum del terzo settore, Comunità di Sant’Egidio, Action Aid, Save the Children, Vincenziani: è l’elenco – già nutrito, già autorevole – delle sigle (enti locali, organismi del privato sociale, associazioni ecclesiali) invitate alla prima riunione dell’“Alleanza contro la povertà”, l’iniziativa lanciata dalle Acli e sostenuta da Caritas Italiana, per promuovere l’introduzione del Reddito d’inclusione sociale in Italia, e vigilare sul dibattito e sulle scelte che la politica dedicherà all’argomento.

le risorse stanziate. Da mettere a fuoco, dunque, sono i meccanismi di transizione dall’attuale sistema a quello che verrà, contemperando l’esigenza di non far regredire i soggetti oggi garantiti con quella di evitare che i fondi disponibili – mai sufficienti a soddisfare tutti i bisogni – finiscano almeno in parte nelle tasche di soggetti benestanti, o non dichiaranti l’esatta portata del loro patrimonio e del loro reddito.

Risorse davvero disponibili? Prima ancora, però, ci sarà da stabilire se la volontà di principio espressa dal governo si tradurrà in una reale disponibilità di risorse sin dal 2014, pur nel

L’Alleanza dovrà convergere attorno a un Patto, comunque a un documento, che illustri le ragioni del Reis, ne promuova la conoscenza e prepari le condizioni per la sua attuazione. I soggetti che hanno già manifestato un’intenzione positiva, sebbene il dibattito sul documento fondativi dell’Alleanza sia ancora in corso, sono quelli elencati sopra. Ma, si legge nel sito del Reis, “è invitato ad aderire ogni soggetto sociale che deciderà di fare propria la proposta, nei suoi punti chiave, e di contribuire alla campagna di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle forze politiche per ottenerne l’introduzione”. I contenuti dell’attività di sensibilizzazione saranno definiti congiuntamente dagli aderenti all’Alleanza, che in ottobre dovrebbe conoscere la sua prima uscita pubblica. La logica “aperta” dell’iniziativa prevede, tra l’altro, che mentre “i capisaldi della proposta sono fermi, gli aderenti potranno portare il proprio contributo per migliorarne le specifiche parti”. L’Allenza contro la povertà nasce “allo scopo – chiariscono i promotori – di superare la distanza tra la scarsa attenzione che, da sempre, la politica nazionale dedica al problema e l’urgenza di mettere in campo adeguate azioni per contrastarlo. (...) A livello locale, tanti soggetti sono abituati a realizzare insieme interventi contro l’esclusione sociale”. A livello nazionale, invece, le azioni di sensibilizzazione “effettivamente compiute vengono realizzate da singoli attori”. Ma “fare della povertà una priorità della politica nazionale costituisce una sfida insieme decisiva e assai complessa (…). Solo unendo le forze e dando vita a un’azione corale, si può coltivare la speranza di togliere all’Italia lo spiacevole primato di essere uno dei due paesi dell’Europa a 15, insieme alla Grecia, privo di una misura nazionale contro la povertà assoluta”. A cancellare questo primato negativo sarà il Reis, il Sia, o una miscela tra i due? Sarà la storia di questa legislatura – speriamo – a stabilirlo. Ma sarà (anche) l’incisività dell’Alleanza a permetterlo.” INFO www.redditoinclusione.it ottobre 2013 scarp de’ tenis

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E inclusione Sia... Si fa sul serio? quadro della “gradualità” che anche il Reis riconosceva come l’unico percorso realisticamente affrontabile, da un paese che non può pensare, nelle condizioni finanziarie in cui versa oggi, di stanziare subito 7 miliardi di euro all’anno (cifra su cui Reis e Sia convergono) per garantire la piena copertura delle nuove misure e raggiungere così il 6% delle famiglie italiane (le povere “assolute”). Il ministro Giovannini, sull’argomento, non ha potuto distribuire certezze: il Sia, secondo la commissione governativa, deve essere sottoposto a una «specificazione dettagliata di tutti i costi», che richiede tempo e che nel frattempo dovrà misurarsi con «una ripresa della crescita economica» che, riducendo «i livelli di povertà attualmente raggiunti», potrebbe far diminuire lo sforzo finanziario oggi preventivabile.

Quel miliardo e mezzo In ogni caso, all’atto della presentazione della proposta, a metà settembre, ancora non era dato sapere se nel budget

dello stato 2014 ci sarà spazio per quel miliardo e mezzo di euro che la commissione Guerra e il ministro Giovannini hanno calcolato come dotazione iniziale del Sia, al fine di garantire ai beneficiari «un’integrazione dei redditi familiari fino a metà della soglia di povertà assoluta» (nell’ipotesi a pieno regime,

invece, «l’ammontare dell’erogazione monetaria alle famiglie beneficiarie del Sia» sarà «idealmente pari» alla intera «differenza tra la misura delle loro risorse economiche» e la soglia statistica, definita per legge, sotto la quale si vive in condizioni di povertà). Vedremo, insomma, se la politica è davvero disposta a fare sul serio. E se, tra un proclama di annullamento dell’Imu e un’acrobazia per tamponare l’aumento dell’Iva, il governo e la maggioranza che lo sostiene sapranno gettare semi operativi, non solo concettuali, del Sostegno per l’inclusione che verrà. Mentre si registra con soddisfazione l’avvio di un serio dibattito su come combattere efficacemente la povertà e, di conseguenza, su una misura di civiltà di cui l’Italia è stata sin qui colpevolmente sprovvista, conviene non farsi illusioni, stimolare e vigilare. Le sigle che hanno promosso il Reis proveranno a farlo. L’Allenza contro la povertà, che hanno lanciato a fine luglio, ora ha materia reale sulla quale esercitarsi.

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In Italia c’è qualcosa che aumenta: Relativa o assoluta che sia, tra 2011 e 2012 s’è registrata una drammatica impennata: La crisi economica sta facendo sentire sempre più il proprio peso sulle famiglie italiane: cala la produzione industriale, s’impennano l’indebitamento e la disoccupazione. Di conseguenza – e drammaticamente – la povertà. In Italia, nel 2012, i “poveri relativi” sono diventati 9 milioni 563 mila, il 15,8% della popolazione (in aumento, rispetto al 13,6% del 2011). E 4 milioni 814 mila di costoro vivono in povertà assoluta (i più poveri tra i poveri): sono l’8% della popolazione, nel 2011 erano molti meno (5,7%). A certificare l’impennata è stato l’Istat, con la ricerca annuale sulle povertà, presentata a luglio. Ma cosa significa dire che una famiglia è povera in termini relativi o assoluti? Una famiglia è definita povera “relativa” se la sua spesa per consumi è pari o sotto la linea di povertà relativa, calcolata sui dati dell’indagine sui consumi delle famiglie. Tale linea, per una famiglia di due componenti, ad esempio, è pari alla spesa media mensile per persona: nel 2011 è risultata di 1.011,03 euro mensili. La soglia di povertà assoluta corrisponde, invece, alla spesa mensile minima necessaria per acquisire il paniere di beni e servizi considerati essenziali, nel contesto italiano, a conseguire uno standard di vita “minimamente accet-

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tabile”: l’indispensabile per vivere. Le famiglie con una spesa mensile pari o inferiore al valore della soglia (che si differenzia per dimensione, composizione ed età della famiglia, per ripartizione geografica e ampiezza demografica del comune di residenza) vengono classificate come assolutamente povere. Secondo Istat, nel 2012, per una famiglia di due componenti adulti di un piccolo comune la soglia di povertà assoluta era per esempio pari a 984,73 euro, se residente a nord, e a 761,38 euro, nel Mezzogiorno.

Persino tra i dirigenti L’incidenza di povertà assoluta è aumentata molto tra le famiglie con tre (dal 4,7% al 6,6%), quattro (dal 5,2% all’8,3%) e cinque o più componenti (dal 12,3% al 17,2%). Aumenti della povertà assoluta sono stati registrati anche nelle famiglie di monogenitori (dal 5,8% al 9,1%) e in quelle con membri aggregati (dal 10,4% al 13,3%). Oltre che tra le famiglie di operai


l’analisi

Cinque milioni di poveri “assoluti” 3.232.000

famiglie povere in Italia nel 2012: 12,7% del totale, erano 11,1% nel 2011

1.725.000

famiglie in povertà assoluta: 6,8% del totale, erano 5,2% nel 2011

4.814.000

persone in povertà assoluta in Italia, l’8% del totale; in povertà relativa sono 9.563.000, ovvero il 15,8%

990,88 euro

FONTE: ISTAT, “LA POVERTÀ IN ITALIA”, DATI 2012

soglia di povertà relativa nel 2012, per una famiglia di due componenti (20 euro in meno rispetto al 2011)

26,2%

incidenza di povertà relativa nel Mezzogiorno, 9,8% l’assoluta: nel Nord i livelli sono 6,2% e 5,5%

9,4%

incidenza della povertà assoluta nelle famiglie di operai (era al 7,5% nel 2011)

6%

incidenza della povertà assoluta nelle famiglia di lavoratori in proprio (era 4,2% nel 2011)

la povertà lo certificano i dati dell’Istat (dal 7,5% al 9,4%) e di lavoratori in proprio (dal 4,2% al 6%), la povertà assoluta è aumentata tra gli impiegati e i dirigenti (dall’1,3% al 2,6%) e tra le famiglie dove i redditi da lavoro si associano a redditi da pensione (dal 3,6% al 5,3%) Qualche dubbio resta sulle modalità di rilevazione della povertà, che si basa non tanto sulle entrate reali di ogni famiglia, quanto sui consumi di determinati beni o servizi. Il rischio è che da questa rilevazione, per quanto ben calibrata, siano esclusi tutti coloro che non hanno o producono reddito: gli “invisibili”, per esempio i senza dimora, i più poveri tra i poveri. Ma su questo fronte Istat sta lavorando, per integrare l’analisi sui consumi delle famiglie con altri cespiti di ricerca L’unico segnale di miglioramento, ha rilevato l’istituto di statistica, si è osservato in termini relativi per le persone anziane sole (dal 10,1% all’8,6%): hanno un reddito da pensione, anche per gli importi più bassi adeguato alla dinamica inflazionistica.

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La storia

La valigetta, le carte, la baracca: Franco lotta, lavoricchia e spera Franco è il prototipo del commesso viaggiatore. Spigliato, distinto, perennemente vestito con giacca blu e pantaloni chiari. Talvolta la cravatta. E un paio di scarpe scure – non si distingue perfettamente il colore – ormai consunte, ma diligentemente spolverate e lucidate. Franco non abbandona mai una valigetta, dove tiene insieme tutta quella che chiama genericamente “documentazione”. Che in realtà contiene una moltitudine di elementi cartacei: documenti di lavoro, il diploma di ragioneria, ricette mediche, una cartina di Genova e alcuni libri... Tutti oggetti apparentemente scollegati tra loro, in realtà uniti da un triste e inesorabile filo conduttore. Vi spiego il perchè. Franco è sempre stato un rappresentante, venditore, agente per diverse aziende. In gamba, come si dice in gergo; stimato e apprezzato da datori di lavoro, colleghi, clienti. Per tanti anni ha svolto questo lavoro, che lo appassionava. Ha cominciato per caso, invitato da un amico a partecipare a una selezione di personale. E non ha più smesso, mettendo tutto se stesso nell’attività. Rendendosi disponibile anche per trasferimenti, in Italia e all’estero. Rinunciando a creare legami stabili, a costituire una famiglia. Ma la solitudine non lo ha mai spaventato. Anzi, negli anni si è ritagliato il proprio spazio di tranquillità. Senza troppe interferenze con l’esterno, con relazioni affettive e di amicizia perlopiù fugaci e selezionate. Originario di Genova, vi è tornato dopo una lunga assenza per motivi di lavoro. È tornato perchè si è ammalato. Seriamente. E ha dovuto far ricorso a costosissime cure, all’estero. Ora le sue condizioni sono stabili. Ma non può più lavorare come prima. Le sue finanze si sono prosciugate e vive con la sola pensione di invalidità. È crollato in un profondo abisso di depressione. Dal quale sta riemergendo. Non vuol coinvolgere alcun familiare in questa situazione, anche perchè i rapporti con i parenti sono piuttosto freddi. Perciò, come ha sempre fatto, ha deciso di andare avanti da solo. Ha curato tutte le pratiche sanitarie, si è trovato un alloggio di fortuna, arrotonda con piccoli lavori di para-manovalanza. Perchè è conosciuto, riconosciuto e apprezzato dagli abitanti del quartiere: quando hanno bisogno, lo chiamano. Così, nonostante tutto, è riuscito a crearsi una rete di solidarietà e sostegno. Si è adattato a fare qualsiasi cosa compatibile con le sue condizioni di salute. Franco è sempre intento a leggere, documentarsi. Su ogni argomento. «Può sempre essere utile», è il suo refrain. Dice che ci sono momenti, nella vita, talmente bui che non si vede via d'uscita. Ma che ad un certo punto succede sempre qualcosa che ti risolleva, o comunque si presenta una possibilità di tirarsi su. Questa sua speranza è cresciuta nel corso del tempo anche grazie agli operatori e ai volontari che gli sono stati vicino. Franco cammina spesso; spesso lo si incontra in giro, sembra sempre che debba prendere un treno o qualcosa di simile. È pensieroso, impegnato, trafelato. Si è riappropriato della sua città, Genova. E si sta riappropriando della fiducia in sé. Niente sarà più come prima; ma la sua strenua lotta lo ha tenuto in vita. Un giorno forse si presenterà anche a casa di suo fratello maggiore e gli racconterà tutto quello che gli è accaduto in questi anni. Tutte le peripezie, le peregrinazioni, le fatiche. La tremenda paura di non farcela. La povertà. Forse gli racconterà tutto questo. Gli racconterà che mangia alla mensa dei poveri e vive in una baracca sul limitare di un bosco. Forse. E si presenterà così com’è: spigliato, distinto, perennemente vestito con giacca blu e pantaloni chiari. Forse con un sorriso un po’ più pallido. Forse. Stefano Neri ottobre 2013 scarp de’ tenis

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Basta Soltanto fare il primo passo Matteo Terzi, milanese, dal 2010 gira il mondo con un camper e una chitarra. Canta per strada la sua musica. «Ho imparato che la normalità è la gente buona»

di Daniela Palumbo

Ho imparato «sulla mia pelle che per essere felici non bisogna cercare di essere supereroi. Il vero supereroe è chi cerca di essere “Soltanto” se stesso

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Nel 2010 Matteo Terzi diventa Soltanto (www.soltanto.net) e se ne va in giro per il mondo a cantare la sua musica. On the road. La sua vita diventa una chitarra, una tenda e la musica. Gli incontri, il suo pane quotidiano. Oggi Matteo ha 28 anni, dopo aver girato l’Europa è tornato a casa, ma solo il tempo di mettere in piedi la vendita del suo primo album di inediti – con i brani registrati in cantina – grazie a Musicraiser, sito di crowdfunding grazie al quale ha già venduto oltre 25 mila copie del suo cd (Le chiavi di casa mia), ed è ripartito. Adesso è in giro per l’Italia, dopo aver girato soprattuto Spagna e Francia. «Non ho mai pensato di lasciare per sempre Milano – racconta –; qui ho tutti i miei affetti, genitori, fratelli, gli amici più cari... Il mio partire era soprattutto figlio della voglia di cercare un’alternativa. Appena finita l’università mi sono detto: “Tempo per tornare qui e ritrovare un Mi muovo con un piccolo camper del lavoro onesto ce ne sarà sempre, ma ora 1985, che fortunatamente continua a è il momento di provare a cercare la mia reggere. Il sostegno arriva soltanto dalstrada. Costi quel che costi”». le offerte che ricevo nella custodia della chitarra quando suono. Matteo, cosa cercavi, e cerchi, nella vita sulla strada, on the road? Chi è il musicista (o i musicisti) che ami? E perché? Non lo so, so solo che fa parte di me. Farne a meno sarebbe come alzarmi Ce ne sono molti, sono cresciuto a pane una mattina dal letto e non avere più un e Oasis, ma amo molto anche i Coldbraccio. play, Niccolò Fabi, Cesare Cremonini... se devo sceglierne uno, però, dico Damien Rice. Le sue canzoni hanno un In tempi di crisi la tua scelta per qualtrasporto emotivo intensissimo, e quecuno appare folle... sto è ciò che io amo della musica... poPer me è folle vivere la propria giovinezza dietro a una vita che non ti piace, ter raccontare e raccontarsi qualsiasi senza nemmeno aver cercato un’alteremozione, senza bisogno di doversi nativa possibile. spiegare a parole. La tua scelta come è stata accolta dalla tua famiglia? Sono stato fortunato. In famiglia nessuno ha cercato di ostacolarmi. Anche se certo non sono i genitori più felici del mondo, sapendo il proprio figlio in viaggio in autostop per l’Europa, munito soltanto di una chitarra... Insomma, non mi hanno nemmeno incoraggiato. Come ti muovi e come ti sostieni economicamente, in giro per l’Italia e l’Europa?

Tu stai girando il mondo, che umanità racconterai quando ti fermerai? Da quando ho cominciato a viaggiare ho potuto constatare che la normalità è la gente buona. Siamo abituati a pensare che il male sia dietro l’angolo, che dobbiamo avere diffidenza verso chi non conosciamo, ma non è così. Certo, non viviamo nel mondo delle fate, ma se si viaggia con accortezza e senza andarlo a cercare, è difficile che sia il male a venire da te, tutt’altro... Là fuori è pieno di persone che sono pronte a condi-


testimoni

Musicraiser, dischi grazie al crowdfunding Si chiama Musicraiser ed è una piattaforma di crowdfunding dedicata al mondo della musica, lanciata nell’ottobre 2012. In pratica si tratta di una raccolta fondi on line, attraverso cui un gruppo o un singolo artista chiedono ai navigatori, potenziali sostenitori, di finanziare un progetto (produrre un disco, girare un video, realizzare un tour). In cambio, i finanziatori, avranno una ricompensa (si va dalla prevendita del cd, ad autografi, cene con gli artisti, ingressi a concerti). Fondatore di Musicraiser è Giovanni Gulino, cantante del complesso “Marta sui Tubi”.

videre le nostre storie e partecipare alle nostre emozioni, basta soltanto fare il primo passo. C’è solidarietà fra le persone che come te vivono la strada? Ho conosciuto moltissimi artisti girovaghi trovando sempre, o almeno nella maggior parte dei casi, apertura e grande voglia di condivisione. Di episodi ce

ne sono tanti: da Lione a Montpellier, da Tarragona a Valencia, da Ferrara al Cilento ho incontrato decine di artisti lungo la strada, con cui sono nate improvvisazioni musicali straordinarie, piene di vita e di energia. Quando pensi al tuo futuro, come lo immagini? Duro, ma sincero. Perché hai scelto “Soltanto”? Perché è quello che ho imparato sulla mia pelle. Per essere felici non bisogna cercare di essere dei supereroi, perché il vero supereroe è chi cerca di essere “Soltanto” se stesso. Con paura, ma con più coraggio. Come va la vendita del cd? Credo che a breve dovremo fare una ristampa. Nella vita on the road c’è un’idea di libertà, un ideale romantico non sempre percorribile. Libertà: cos’è per te?

La strada come palco Una bella immagine di un concerto on the road di Matteo “Soltanto” Terzi

Non sono un fanatico della libertà, intesa come indipendenza da tutto e da tutti. Mi accontento di poter decidere ogni mattina come migliorare la mia vita senza imposizioni da nessuno. Quando torni a Milano, hai un nido dove riposare? Sì, un piccolo monolocale sui navigli che ho in affitto con Alessandra, la mia fidanzata. In una scelta come la tua, c’è anche un rifiuto. Il tuo “No” è per l’industria della musica? O è per la vita “ferma”, imbrigliata nella banalità...? Il mio “No” è per le cose fatte male, finte, non spontanee. Per tutto il resto sono sempre aperto e disponibile.

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milano Strutture per l’infanzia: la città risponde meglio della media italiana alla fame di posti. Ma l’elenco dei problemi resta lungo

Un posto al nido, miracolo a Milano Como Il centro diurno L’Incontro compie cinque anni: aiuto, ascolto, relazioni Torino Francesco e Luciano, il viaggio è un teatro con i buchi e su due ruote Genova La città vuole pedalare, ma il bike sharing ha le gomme sgonfie Vicenza Il Profilo della creatività, sartoria interculturale tra riparazioni e abiti da sposa Firenze Nuovo Help Center, dalla stazione è possibile ripartire Rimini Figli della scelta difficile: diagnosi di trisomia, ma l’aborto non è obbligato... Napoli Enzo uno di noi, cosiddetti “ultimi”: camminiamo con la tua canzone Salerno Bici, orti e altre idee: “Orizzonti” innovativi per una città vivibile Catania Emanuele non cede: la fattoria “bio” e sociale resiste alla mafia

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di Daniela Palumbo A metà settembre erano più di mille le famiglie che non avevano trovato posto nei nidi d’infanzia di Milano nella fascia di età da zero a tre anni. La fascia da sempre più critica, in termini di offerta educativa, anche perché i nidi non rientrano nell’obbligo scolastico. Eppure rappresentano un servizio fondamentale per le famiglie nelle quali lavorano entrambi i genitori. L’Unione europea raccomanda una “copertura nidi” del 33% rispetto al numero di bambini le cui famiglie richiedono il servizio: l’Italia (dati Istat 2013) raggiunge la misera quota del 13,5%. E ogni regione fa storia a sé: la performance migliore è dell’Emilia Romagna (quota di copertura, 26,5%), la peggiore della Calabria (dove i posti nido coprono il 2,5% della domanda). La Lombardia fa un po’ meglio della media nazionale: 17,5%. A Milano, fra nidi e scuola dell’infanzia (materna), l’offerta è circa 33 mifanno domanda al comune per l’inla posti: il comune copre il 73% della dogresso. Da quel giorno, l’estate divenmanda complessiva (per le materne la ta una lunga attesa: a giugno la prima copertura è quasi totale). Gli educatori graduatoria, a luglio una seconda torche lavorano nelle 174 scuole materne nata. E poi ancora a settembre. Il set(21 mila iscritti) e nei 100 nidi a gestione tore educazione del comune pubblicomunale diretta (6 mila posti) sono ca man mano le graduatorie aggior2.900. Quest’anno le richieste di ingresnate dei bambini in lista d’attesa. Il so ai nidi comunali sono state oltre 7.700.

Niente nido, niente lavoro Per le donne che lavorano, il nido è un servizio indispensabile. Il bisogno è tanto acuto, che le famiglie sono disposte a pagare una quota che arriva a superare gli 800 euro mensili per accedere ai nidi privati, qualora i bambini non trovino posto in quelli comunali (dove la retta più alta è di 465 euro). D’altronde, se non hanno alternative – ovvero, nonni e tate – le famiglie sono obbligate a rivolgersi ai privati. Pena, la perdita del lavoro della donna. Anche quest’anno, come ogni anno, i numeri delle liste di attesa (ovvero i bambini che non sono stati accettati nei nidi comunali, ma nel caso di rinunce vengono “ripescati”) hanno fatto discutere. Il rito delle graduatorie per i nidi d’infanzia e le materne inizia a maggio, quando le famiglie


scarpmilano tempo di completare la verifica delle rinunce di chi aveva il posto assicurato, nonché delle accettazioni dei posti da parte delle famiglie in lista di attesa. Quest’anno, a giugno erano 3.300 le famiglie finite in attesa per nidi e materne. A metà settembre, solo riguardo ai nidi, la lista di attesa contava ancora oltre mille posti. Eppure quest’anno le richieste di ingresso al nido erano aumentate considerevolmente: 400 in più. La lunga lista d’attesa è colpa della crisi: le famiglie che portavano i figli al nido privato si sono ricredute, perché diventa difficile spendere quasi mille euro al mese. E così per il comune è ancora più difficile far quadrare i conti.

Liste di attesa “fasulle” Ai genitori che (in estate) protestano o si disperano perché non rientrano nei posti assegnati, dal comune arriva sempre la stessa risposta: le liste di attesa sono destinate a svuotarsi nel giro di pochi mesi. In effetti, la prima grande tranche di rinunce è fra giugno e settembre, ma poi la lista si svuota ancora nei primi mesi autunnali. Perché si svuotano le liste di attesa? Succede che molte famiglie rinunciano al posto assegnato (a causa di trasferimenti, ma anche perché tantissime famiglie fanno domande a due nidi contemporaneamente, prassi lecita), ma

L’esperienza

“Sottosopra” all’Isola, ad aprirlo ci hanno pensato le mamme È tutto merito di Ugo. In un salone al piano terra di una palazzina a vetri di via Confalonieri a Milano, quartiere Isola, alcune mamme spostano mobili e spazzano il pavimento. Mettono in ordine e preparano quello che diventerà, da qui a poche settimane, un nuovo spazio per i loro bimbi, pensato come un asilo nido: si chiamerà “Sottosopra sos”. «Chi è Ugo?», chiede una ragazza di 30 anni. «È il figlio di un anno di Maddalena, che è rimasto fuori dal nido comunale per via della residenza non milanese dei suoi genitori. Sua mamma Maddalena, che fa l’illustratrice, non sapeva dove metterlo. Così abbiamo raccolto altre mamme e ci siamo inventate un nido tutto nostro», le risponde Emanuela, 33 anni, diploma magistrale, laurea in conservazione dei beni culturali, master in curatela dell’arte e diversi corsi di didattica museale per bambini alle spalle. In altre parole: l’educatrice del nido, e cofondatrice, insieme a Maddalena, di questo spazio alternativo. «Un giorno la mia amica è venuta da me – rievoca Emanuela –: Ugo non era stato accettato nelle liste d’attesa dei nidi comunali milanesi, per via della residenza, ma anche perché, essendo sua madre una libera professionista, si dava per scontato che lei avesse del tempo per curarlo. In realtà una libera professionista tante volte non ha nemmeno abbastanza soldi per pagare un nido privato: un mese sai quanto prendi, quello dopo chi lo sa...». Maddalena è socia di Medionauta, associazione di promozione culturale di sole donne di Milano, la quale aveva a disposizione all’Isola uno spazio in affitto dal comune. «Ed è così che è nato Sottosopra – continua Emanuela –: Medionauta ha dato a noi il salone che, a sua volta, ha in uso dal comune, e noi ci facciamo un nido, e risolviamo i problemi di tante mamme. Siccome l’affitto che l’associazione paga al comune è basso, noi di Sottosopra possiamo permetterci rette umane, poco più alte di un nido comunale, molto più basse di uno privato». Infatti, se in una struttura pubblica la tariffa mensile può aggirarsi in media sui 300 euro e arrivare al massimo a 465, in una privata va dagli 800 ai 1.000. Invece la quota chiesta da Sottosopra (non ancora definitiva) pare possa attestarsi intorno ai 350 euro, non sopra i 400. «Conterremo al massimo i costi – spiega l’educatrice –. Un esempio? Costituiremo con tutte le mamme dei bambini frequentanti un’associazione di sole donne, così da poter usufruire di contributi e partecipare a bandi. E per il pasto abbiamo deciso che facciamo tutto in casa. Due mamme a turno cucinano per i piccoli e portano la pappa qui. Hanno firmato una liberatoria che mi consente, in quanto educatrice, di distribuirlo. Questi sono costi in meno. Il mio stipendio netto poi sarà di mille euro, 1.500 con i contributi». Sottosopra sos in realtà formalmente non è un asilo nido, ma un laboratorio creativo permanente aperto ogni giorno per i bambini da sei mesi in su. «Burocraticamente fare un nido standard è complicato – spiega Emanuela –: devi avere un arredamento di un certo tipo, determinati spazi, il bagnetto a una certa distanza. Un laboratorio permette di avere maggiore libertà. Si tratta comunque di una piccola realtà autogestita da genitori, che in Italia è innovativa: da quando abbiamo cominciato, il tam tam è stato talmente intenso che ci stanno scrivendo mamme da tutta Italia per sapere come abbiamo fatto, e poterlo replicare anche loro». Cinque bambini: questo è il tetto massimo di frequentanti che Sottosopra sos si è posto (anche perché il rapporto educatrice bimbi deve essere cinque a uno per legge). Si amplierà, con l’aggiunta di un’altra maestra, se il numero degli iscritti nel corso del tempo aumenterà. Intanto, si bada a definire con cura il progetto didattico: in questo asilo gestito da mamme, proprio loro saranno protagoniste anche delle scelte educative, grazie a colloqui mensili, in gruppo e individuali, con Emanuela. «Vogliamo che con ciascun bambino ci sia un rapporto personalizzato, rispondente alle sue esigenze e caratteristiche – conclude Emanuela –, nonché alle necessità della famiglia». Stefania Culurgioni ottobre 2013 scarp de’ tenis

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scarpmilano sono anche molte le famiglie in lista di attesa che, richiamate dal comune, nel frattempo hanno provveduto diversamente e rinunciano all’assegnazione tardiva. «Questo significa che tantissime famiglie non sanno fino a settembre inoltrato, quando il lavoro è già ripreso – afferma Stefania Leone, uno dei genitori del coordinamento Chiedo Asilo, che si regge sul volontariato dei genitori –, se i loro figli avranno o meno un posto al nido. E come fanno ad aspettare, se il lavoro ricomincia? Molte di loro nel frattempo si sono già rivolte ai privati, con un esborso enorme di risorse economiche. Altre hanno chiesto ai nonni, sfiniti dalle loro plurime esperienze di babysitteraggio coi nipoti. E quante madri hanno dovuto rinunciare al lavoro perché non avevano queste soluzioni e non potevano pagare il privato? Di fatto, a parte le domande duplicate o i trasferimenti, la lista di attesa si svuota perché i genitori non possono stare in attesa per tanto tempo. Il lavoro non aspetta. È il disservizio che sposta la domanda sul privato».

Poche educatrici, cibo dubbio Nel cahiers de doléances dei genitori non ci sono però soltanto le dinamiche di svuotamento delle liste d’attesa. Ci sono tanti fattori diversi a penalizzare le famiglie, benché gli stessi coordinamenti dei genitori riconoscono che sulla gestione attuale del settore educazio-

Mamme sottosopra Emanuela è l’educatrice del laboratorio aperto all’Isola

ne del comune pesano l’eredità delle amministrazioni passate e soprattutto i tagli imposti dallo stato per contenere i costi, i quali risultano spesso insormontabili anche per gli amministratori ricchi di buoni propositi. Ad ogni modo, un primo elemento che inficia la qualità del servizio è la mancanza di copertura dei posti da educatrice. «Le cosiddette Doa (Dotazione organico aggiuntivo), ovvero le

Il caso

Dai genitori non solo accuse: «Bello incontrare la diversità» Ci sono anche le note positive, nella gestione dei nidi milanesi, evidenziate dai genitori di Chiedo Asilo. «Finalmente – elenca Stefania Leone – i bambini che non hanno la residenza anagrafica possono entrare nei nidi di Milano. Basta la residenza comunale. Per noi, e per l’equivalente coordinamento “La materna che vorrei”, è un valore: ci fa piacere che i nostri figli incontrino la diversità, crediamo che crescere senza conoscere le differenze sia riduttivo. Inoltre, abbiamo lavorato bene insieme al comune sul ripristino del bacino di utenza: sono tornati a essere favoriti gli inserimenti dei bambini che richiedono il nido vicino a casa, soprattutto quando si hanno fratelli che vanno negli stessi plessi scolastici. Al di là della comodità – che si traduce in qualità di vita – si afferma e si rinsalda il principio della mobilità sostenibile. Va detto poi che il comune ha cominciato un lavoro sulle scuole per togliere l’amianto: nessuno l’aveva mai intrapreso. Inoltre finalmente è stata fatta una mappatura seria di tutti gli istituti scolastici di Milano che contengono amianto. Per alcune scuole i lavori sono già iniziati, per le altre abbiamo fiducia che il percorso iniziato non si fermi».

30. scarp de’ tenis ottobre 2013

educatrici che sostituivano le colleghe assenti garantendo la copertura del servizio, sono diminuite drasticamente e questo pesa – spiega Stefania Leone –. In un nido della zona 8, nell’anno scolastico passato, ci sono stati 110 “smistamenti”: vuol dire che i ragazzini sono stati ammassati in aule diverse, parcheggiati in attesa delle madri. Perché quando le maestre si ammalano non vengono sostituite». La mensa è un altro dei nodi critici ereditati dalle giunte passate: i genitori della commissione mensa sono in perenne lotta con Milano Ristorazione, che rifornisce le mense delle scuole comunali. «È cambiato ben poco, anche con i nuovi vertici – commenta la Leone –. Le lamentele riguardano la scarsa qualità delle materie prime. Inoltre, i genitori chiedono da anni il biologico sulla tavola delle mense, ma il bio che arriva nei piatti dei bambini è ancora residuale. E i ripetuti episodi di ritrovamenti di “corpi estranei” nei piatti dei bambini non giovano certo a distendere il clima con Milano Ristorazione».

Poca partecipazione Anche i rapporti con il comune, in ogni caso, non sono idilliaci. «Siamo delusi – ripete Stefania –: c’è uno svuotamento del ruolo della rappresentanza dei ge-


nitori. Avremmo voluto uno scambio propositivo per il quale non c’è spazio. È vero, questa giunta ha istituito la rappresentanza cittadina (dalle Unità educative cittadine sono stati eletti due rappresentanti dei genitori per ogni zona di Milano, 18 persone che dovrebbero funzionare da interfaccia tra i genitori e le istituzioni, ndr), ma se poi le decisioni ci arrivano dall’alto senza possibilità di scambio, a cosa serve?». Rispetto a questo tema, di altro avviso è l’assessore all’educazione, Francesco Cappelli: «Lo scambio fra questa amministrazione e i genitori c’è ed è proficuo. Un esempio su tutti sono i nuovi criteri di assegnazione del nido: sono stati studiati proprio insieme ai genitori e alle Rappresentanze, per andare incontro alle esigenze delle famiglie che hanno potuto scegliere la sede più vicina a casa, consentendo così una migliore distribuzione territoriale delle assegnazioni». Evidentemente però qualcosa ancora non funziona, l’esperienza di Stefania come genitore è lampante. Primo giorno di nido della sua bambina. Via

Faravelli, zona 8, di Milano. «Inizio settembre. Arriviamo e troviamo il nido chiuso. C’è solo un cartello: “Nido inagibile”. Da tempo avevamo infiltrazioni di acqua nelle aule. Nessuna comunicazione da parte dei servizi educativi, nemmeno alle nostre rappresentanti. Altri genitori ci dicono dove portare i bambini, in un nido del quartiere. Ma quando iniziano i lavori? Non è dato saperlo. E quando i bambini torneranno nel loro nido? Nemmeno questo ci è stato detto. Siamo contenti che finalmente la scuola verrà resa agibile, ma trovo assurdo non sapere né quando, né tantomeno se inizieranno i lavori».

Esempi virtuosi da seguire Assodato che soldi non ce ne sono per fare tanti asili nido e coprire tutte le richieste, i rappresentanti dei genitori hanno chiesto all’assessore Cappelli di seguire esempi virtuosi: «Ci sono strutture che sarebbero agibili con pochi soldi e, come è successo a Reggio Emilia, potrebbero diventare nidi gestiti in convenzione con l’amministrazione. Oppure si possono dare le strutture in co-

modato d’uso, ma dal comune nessuna risposta», sintetizza Stefania Leone. Ultima nota, le fasce di reddito. A Milano sono quattro, a Torino undici. La quota mensile di accesso al nido è stabilita dal comune: sotto i 6.500 euro di reddito annuali il nido è gratuito, da 6.500 a 12.500 euro la quota mensile è di 103 euro, fino a 27 mila euro è di 232 euro, oltre i 27 mila sono 465 euro mensili. «Ciò vuol dire – fa notare la rappresentante del coordinamento Chiedo Asilo – che chi percepisce 27.500 euro l’anno paga uguale a chi ne guadagna 150 mila. Ci deve essere una rimodulazione delle fasce di reddito, perché chi guadagna di più deve pagare di più. Anche perché l’evasione fiscale comporta che molti iscritti ai nidi (i dati parlano del 40%, ndr) dichiarano il falso e sono esenti dalla rata mensile». La posizione dell’assessorato all’educazione su questo delicato aspetto l’ha ribadita lo stesso assessore Cappelli: «Attualmente esistono una serie di esenzioni per i redditi più bassi. Al momento la rimodulazione della fasce di reddito non è prevista».

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Carlo, finito ai margini, prigioniero dell’alcol. Dall’inferno è tornato. Come tanti. Grazie all’associazione fondata da Ermanno Azzali 45 anni fa

La strada è solitudine, la Cena è amicizia di Sandra Tognarini «Ero molto innamorato di mia moglie. Mi piaceva soprattutto guardarla mentre dormiva. Sarei rimasto così, a guardarla, in silenzio, per ore. Ma dopo la nascita dei nostri due figli, lei ha iniziato ad allontanarsi da me. Mi sentivo davvero solo. Ho trovato un solo amico: l’alcol. Ho perso ogni contatto con la realtà e non pagavo più l’affitto di casa». Carlo (il nome è di fantasia, per motivi di privacy) lavora nel trasporto pubblico. È ormai tornato dall’inferno, grazie all’aiuto della “Cena dell’Amicizia onlus” che incontra, accoglie e reinserisce nella società persone in condizione di grave emarginazione sociale, in particolare uomini e donne senza dimora. Il suo cuore sono i volontari: studenti, lavoratori e pensionati. L’associazione è nata nel maggio 1968, quandi operatori profesdo a Città Studi un gruppo di amici si sionali. fermò di fronte a una panchina e invitò Ma torniamo a Carlo a cena un “barbone”. Un invito che si che, per risolvere il problema rinnova da 45 anni. relativo alla morosità, si rivolse a una finanziaria per avere un prestito. La crisi in cui era caduta la sua famiglia Non solo volontariato era solo all’inizio. Prima i figli furono Oggi Cena dell’Amicizia coniuga entuallontanati dai genitori, perché gli assiasmo e professionalità, grazie all’asistenti sociali accertarono che in quel zione dei volontari, ma anche al lavoro

momento Carlo e la moglie non erano in grado di occuparsene, poi quest’ultima riuscì ad appropriarsi dei soldi avuti dalla finanziaria per saldare l’affitto arretrato e se ne andò di casa. Arrivò quindi lo sfratto.

Libero dall’alcol «L’assistente sociale ha iniziato ad avere fiducia di me dopo che ha visto che sono riuscito a stare tre mesi senza toccare alcol. È stata dura non vedere i miei figli per molto tempo. Non avevo amici e a

Anniversario con amici, ricordando Ermanno Il 24 ottobre, dalle 19.45 in via Lattanzio 60, presso la parrocchia San Pio V, si festeggiano i 45 anni della Cena dell’Amicizia. L’associazione, tra i sodalizi che appoggiarono la nascita di Scarp, è nata a sua volta con una cena. E con una cena intende festeggiare oggi, invitando gli amici e tutti coloro che desiderano conoscere meglio le sue attività. Sarà una serata di ricordi, festeggiamenti e progetti: si guarderà alla storia dell’assocciazione, ricordando Ermanno Azzali (nella foto), fondatore e cuore della Cena, di cui ricorre il decennale della comparsa, e si festeggeranno i traguardi raggiunti. La serata ha un costo di 20 euro. Per prenotazioni: comunicazione@cenadellamicizia.it

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Solidarietà che persevera Un’immagine di una cena storica. In alto un laboratorio al centro diurno


volte fermavo la gente per strada per chiedere se potevo scambiare qualche parola con loro. Poi ho conosciuto i volontari della Cena dell’Amicizia ed è stato tutto diverso. Adesso sono convinto che anche se fossi nel deserto mi sentirei circondato da tante persone». Se stai bene, in effetti, è tutto più semplice. «Certo, ho avuto delle ricadute nell’alcol, anche subito dopo l’ingresso in associazione, ma poi ho smesso. Sono dodici anni che non bevo. E ho potuto riavere una casa in affitto dal comune. Non ho nemmeno festeggiato, per evitare la possibilità di bere. Vivo giorno per giorno, senza pensare di avercela fatta definitivamente. Posso ancora migliorare, se dovessi darmi un voto beh... un sei e mezzo. Non mi posso permettere né di stare giù di morale né di essere euforico. E vado avanti senza prendere pillole. Forse mi piacerebbe avere qualche complimento per essermi tirato su, ma troppi complimenti mi danno fastidio. Adesso vedo i figli, che sono tornati con la mia ex moglie, di tanto in tanto. E amici e parenti mi danno una mano per la casa. Essere diventato volontario di Cena dell’Amicizia mi piace molto, come anche donare il sangue. Posso confrontarmi con qualsiasi persona, con coraggio».

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L’attività

Oltre 16 mila pasti ogni anno, aiutate più di 1.500 persone

Una realtà come quella della Cena dell’Amicizia non si può ridurre a numeri. Ma i numeri aiutano a capire la portata dell’esperienza. La quale è caratterizzata da 16.500 pasti preparati ogni anno, 90 ospiti accolti ogni settimana, 101 volontari (per 12 mila ore annuali di servizio), 4 équipe multidisciplinari, 10 operatori professionali, 2.200 colloqui annuali. Così, dal 1968, sono state circa 1.500 le persone aiutate e seguite. Spesso con esiti positivi: l’80% degli ospiti accolti dal 2009 sono stati reinseriti nella società. Infine, il 92% delle entrate è destinato ai (seguenti) servizi operativi. Cena del Martedì: il servizio “storico”, dove ospiti e volontari si ritrovano alla stessa tavola a condividere non solo cibo, ma anche tempo, parole, amicizia; accoglie circa 35 persone senza dimora, anziani soli, persone con disagio psichico e da dipendenze, presso la parrocchia San Pio V, in via Lattanzio 60. Centro notturno maschile: nato nel 1989 come risposta ai problemi di chi non ha un tetto; accoglie 12 uomini in età lavorativa, con un programma personalizzato di recupero e riconquista dell’autonomia; si avvale dell’opera di volontari e operatori professionali in via Val di Bondo 15, quartiere Comasina. Centro notturno femminile: aperto nel 2002, accoglie 8 donne in difficoltà e le aiuta a riprendersi la propria vita. Opera in via Spadini 15, quartiere Comasina.

Centro diurno: aperto nel 1997, accompagna ogni giorno 15 persone gravemente emarginate nel recupero di competenze relazionali, sociali e lavorative attraverso laboratori e attività artistiche, in via Val di Bondo 15.

Appartamenti protetti: nei ventuno appartamenti gli ospiti, seguiti da volontari e da uno psicologo, completano il percorso di recupero e sperimentano l’indipendenza nel quartiere Molise-Calvairate. Spazio espositivo: riaperto nel 2011, vi sono esposti gli oggetti realizzati da chi partecipa al progetto “Artigianaltro” in via Bezzecca 4.

Sportello Donna: in virtù dell’esperienza acquisita nell’ambito dell’esclusione femminile, è stato aperto nel 2012 uno sportello per riconoscere, sostenere e accompagnare le donne a rischio di emarginazione, con il duplice scopo di prevenire il disagio e supportare le persone in percorsi di reinserimento sociale; lo sportello è connesso a tutti i servizi della Cena dell’Amicizia, ma è anche un luogo di confronto e reciproco sostegno per tutte le organizzazioni che a Milano si occupano delle prospettive e delle specificità di genere, dell’emarginazione e dell’esclusione; il servizio è all’interno del più ampio progetto di coesione sociale “Comasina C’Entro”, attivo in piazza Gasparri, ed è aperto il mercoledì mattina. ottobre 2013 scarp de’ tenis

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Impazza il boogie alla balera dell’Ortica Nella sede del dopolavoro ferroviario si divertiva, nel dopoguerra, mezza Milano. Poi il decennale oblio. Riaperta da un anno, è una viva memoria della città che fu

di Alberto Rizzardi Poche cose hanno la capacità di riportare indietro la mente. Un’immagine, una canzone, un sapore, forse un incontro. Ma è difficile trovare qualcosa che riesca a farlo, unendo tutte queste componenti. Eppure un luogo c’è e per trovarlo, a Milano, non bisogna neanche fare troppa fatica, perché è esattamente dov’era trenta-quarant’anni fa: in zona Lambrate. Anzi, per l’esattezza nel quartiere Ortica, che del fu comune di Lambrate è stato frazione, poi annessa nel 1923, reso celebre dal verso di una tra le più ricordate canzoni dell’Enzo Jannacci degli inizi, che cristallizzò in un testo dal sapore quasi verista e cabarettistico le goffe gesta di una banda di ladruncoli. All’Ortica, attorno alla chiesetta stazionale dedicata ai Santi Faustino e Giovita, ai più nota come Santuario della Madonna delle Grazie, si sviluppò, da Un ballo d’altri tempi metà Ottocento in poi, un contesto urDue immagini serali della balera di Lambrate. bano che deve molto alla sua natura di A destra, il titolare Antonio Di Furia importante snodo ferroviario della città, con la piccola stazione di Lambrate attiva fino al 1931 proprio accanto alla chiesa. Non pensiate all’omonima odierna stazione ferroviaria o alla relativa fermata della metropolitana. Niente di tutto ciò. Della vecchia stazione rimane oggi ancora in piedi quello che un tempo fu il fabbricato viaggiatori, ora abitato da privati dopo anni d’incuria e abbandono.

sudamericani. Fino al 2002, quando il cancello del civico 78 di via Giovanni Antonio Amadeo chiuse i battenti. Riaprirà solo dieci anni dopo, grazie alla caparbietà e alla passione di un abruzzese trapiantato a Milano, Antonio Di Furia, che si è buttato nella nuova avventura coinvolgendo la moglie Rita e le due figlie Veronica e Martina. «Venivo a ballare qui negli anni Set-

Rinata dalle macerie Quell’area, di proprietà delle Ferrovie, per anni è stata la sede, vibrante e animata, del dopolavoro ferroviario, dove i pomeriggi e le serate trascorrevano tra partite a scopa e scala quaranta, gare di bocce, un buon bicchiere di vino e un giro di ballo. Poco importava che fosse un valzer, una mazurka o un tango. Era l’occasione per scaricare le fatiche di una giornata o una settimana di lavoro, incontrare amici e sopportare meglio la routine che una vita di duro lauràa e risicati danèe imponeva. Ma alla balera dell’Ortica non venivano solo i ferrovieri. Ci arrivava tutta Milano e molti venivano anche da fuo-

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ri città, come ricorda Gino Reggiani, memoria storica del dopolavoro ferroviario e custode della sede e dell’anima dell’Ortica: «Spesso non c’era nemmeno posto per sedersi. Si ballava solo liscio, ma la Balera veniva presa d’assalto ogni giorno, compreso quello di chiusura, il martedì. Non importava. Se non c’era l’orchestra, si ballava ugualmente, arrangiandosi con il jukebox». Dopo la morte dello storico proprietario, a metà degli anni Novanta, la gestione passò in mano a un gruppo di

tanta – racconta Di Furia –, poi qualche anno fa ci sono passato davanti per caso e mi ha fatto male vederlo chiuso e abbandonato». Così, su suggerimento di un amico, dopo un lungo corteggiamento alle Ferrovie e la solita infinita e snervante trafila burocratica, Di Furia è riuscito a ottenere la gestione della “sua” balera. Sono seguiti diciotto mesi di duro e quotidiano lavoro per ripulire e ripristinare gli ampi spazi della struttura. Poi, nel giugno 2012, la tanto attesa riapertura. Con i tavoli che tornano a


scarpmilano ospitare le animate partite di carte, la bocciofila, il bar e la pista da ballo, risistemata e lustrata a dovere. L’atmosfera oggi è quella di un tempo. Niente concessioni al design, nessuna strizzatina d’occhio alla Milano da bere e alle sue moderne declinazioni, neanche il minimo stravolgimento dell’impianto originale. Questa era e rimane una struttura familiare, nel senso più ampio e poetico del termine. Un luogo che omaggia, riprende e rispetta la tradizione e che, oggi come allora, è frequentato da persone in là con gli anni, ma anche da famiglie e tanti, tantissimi giovani, in cerca di qualcosa di diverso.

Cibo sano, prezzi popolari «Vengono perché sono stufi dei soliti aperitivi – afferma Di Furia –. Qui mangiano bene, non il solito buffet: diamo loro piatti genuini, caserecci e a un prezzo abbordabile». In effetti la più grande novità rispetto al passato è la trattoria della balera, affidata alle mani della signora Rita: «Essendo io emiliana, propongo alcuni dei piatti della tradizione delle mie parti, come le lasagne, che mi vengono bene. E sono anche parecchio apprezzate...». Ma la cucina propone anche brasato con polenta, pasta e fagioli, bocconcini di pollo, arrosti, svariati primi e piatti della tradizione milanese, come la cassoeula e la trippa. Costo per una cena? 15 euro per un primo, un secondo e un contorno; 10 euro per il solo secondo e contorno. Acqua, vino e caffè (a volontà) sono inclusi. Birra, bibite e amari, invece, si ordinano e pagano a parte. Tra i tavoli corrono veloci le figlie di Di Furia, Veronica e la futura mamma Martina, entrambe con anni di studio anche all’estero alle spalle, ma ormai calate nella parte, senza ripensamenti, di membri di questa grande, allargata famiglia dell’Ortica. Si mangia quel che il menù propone, ma la qualità delle portate e il suo rapporto con il prezzo valgono la scelta. «È un locale aperto al pubblico ma con prezzi da circolo», sintetizza papà Di Furia. Niente colazioni, pranzi e aperi-

tivi. Qui si cena soltanto. La balera apre alle 14 e la scelta la spiega il titolare: «Tutt’attorno ci sono locali storici, che da una vita sono il punto di riferimento per il quartiere. Non volevo andare a rubare loro i clienti. E così, rispettandosi a vicenda, si è diventati amici. Siamo come un piccolo paese».

Atmosfera d’altri tempi L’atmosfera, girando per la balera, suggestivamente illuminata da corredi di luci gialle natalizie, è accogliente e genuina. Sembra di essere immersi in una sagra paesana d’antan, una festa che coinvolge tutti ma che non è mai caotica, disordinata e chiassosa. È piuttosto un aggregatore di vissuti, un collante tra persone e generazioni, una sperimentazione di presente e futuro in chiave vintage. Mica bruscolini. Il piatto forte resta comunque sempre la balera vera e propria, un punto di riferimento – ormai – per gli appassionati del liscio e della musica da ballo di Milano e dell’hinterland. Qui in estate si danza quasi tutte le sere con orchestre dal vivo. Il

martedì è la serata dedicata al boogie woogie. Sul palco l’orchestra di Sandro Rossi, tra i musicisti più apprezzati dai “boogisti” di mezza Lombardia. Non solo boogie, ovviamente, in via Amadeo. Il programma, nel corso dell’anno, propone anche corsi di ballo, serate a tema, concerti speciali, come quello recente di Bobby Solo, Il quale, a dispetto di ciò che il trentenne medio potrebbe pensare, non richiama solo i nostalgici. «È stato qualcosa di eccezionale e sorprendente – ammette Di Furia –. C’erano mille persone e tre diverse generazioni tutte assieme a cantare e ballare. Abbiamo riunito il nonno, il figlio e il nipote». È stata la dimostrazione più concreta di un bisogno reale, che in molti avvertono: quello di riscoprire la natura più vera delle cose, di ritornare a un passato che, anche se non vissuto, è comunque parte di noi e di quel che siamo oggi. Se i corsi e ricorsi storici di vichiana memoria sono realtà, la balera dell’Ortica è il passato ma anche il futuro. Intanto, però, è il presente e va già bene così. Un consiglio: andateci in tram (la linea 5 ferma poco distante) o in bicicletta. Godrete di un assaggio di vera milanesità che ripaga di molte diffuse milanesaggini.

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Tetraedro


storie di via brambilla La Casa è soprattutto luogo di incontri: relazioni, prima che assistenza

Le chiacchierate di Matteo, volontario senza ruolo di Paolo Riva

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ATTEO HA 43 ANNI, FA L’ARCHITETTO, HA UNA MOGLIE E DUE FIGLI, vive poco lontano

dalla Casa della carità e, dal giugno 2012, ne è diventato un volontario. Che ruolo ricopre? Nessuno. Cosa fa di preciso? Apparentemente niente. Raccontata così, la sua sembrerebbe un’esperienza negativa. E invece interpreta il suo personaggio proprio come in via Brambilla ce lo si aspetta: semplicemente conoscendo le persone che abitano la Casa e, se ne hanno voglia, instaurando con loro un rapporto sincero e disinteressato, sotto lo sguardo vigile degli operatori. Dei circa cento volontari che gravitano intorno alla fondazione, molti si occupano di alcuni servizi in maniera specifica, continuativa e fondamentale. La Casa però è grande e lo spazio per instaurare relazioni infinito. Matteo ha trovato il suo. «Mi ricordavo della fondazione per le sue battaglie in favore dei rom – ricorda –. Così, ho scritto, ho conosciuto la responsabile dei volontari Iole, l’ho trovata simpatica e ho iniziato». Matteo trascorre alcune sere tra gli ospiti dell’accoglienza maschile, tra cui diversi giovani egiziani. In particolare, lui ha conosciuto meglio degli altri Mina e Ibrahim. «All’inizio leggevamo il giornale insieme – ricorda –. Serviva per migliorare l’italiano, erano arrivati da poco». Ora la lingua non è più un ostacolo e Matteo fa con entrambi delle grandi chiacchierate, dando consigli, scherzando, spiegando cose nuove dell’Italia, oppure ascoltando i racconti dei ragazzi sui loro paesi d’origine. «Di loro mi ha colpito il coraggio con il quale affrontano le tante difficoltà della vita. Qualcuno potrebbe considerarla incoscienza, ma per me è coraggio vero», dice, aggiungendo subito dopo che un giorno vuole andare a trovarli a casa, in Egitto. Nell’attesa, ha organizzato per i ragazzi qualche gita fuori porta. La prima al Museo della scienza e della tecnica di Milano, di cui “Ibra” ricorda le dimensioni del sommergibile Toti. La seconda a Torino, per vedere il nuovo Juventus Stadium, ma anche il Museo Egizio. «Io ero al massimo passato di fianco alle piramidi in auto», riflette Mina che viene da una zona rurale nel sud del paese e, una volta in Italia, è diventato un acceso tifoso bianconero. «In estate – spiega con un sorriso Matteo – ho più tempo libero: la famiglia è partita per il mare a giugno e io sono rimasto in città. Anche per questo, sono venuto spesso a cena qui per “Regaliamoci speranza” (regaliamocisperanza.tumblr.com) e devo dire che ci voleva. Ha dato morale a tutto l’ambiente». Tra luglio e agosto, infatti, incontri, concerti, dibattiti e giochi hanno coinvolto gli ospiti e hanno fatto della Casa un punto di socialità per il quartiere e la città. Nonostante la crisi. L’iniziativa, tra gli altri, ha visto ospiti anche Roberto Vecchioni, Lella Costa e il sindaco Giuliano Pisapia, e si è chiusa il 31 agosto. Matteo, a cenare con Mina, Ibrahim e i tanti altri ospiti nel cortile della Casa, alla fine ci ha portato tutta la famiglia.

«Di Ibra, Mina e gli altri ragazzi mi colpisce il coraggio vero con il quale affrontano le tante difficoltà della vita»

www.casadellacarita.org

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latitudine como Il centro diurno Caritas: dall’aiuto d’emergenza alla tessitura di relazioni

Cinque anni di Incontro, si cambia e si cresce insieme di Salvatore Couchoud

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OMPIE CINQUE ANNI IL CENTRO DIURNO “L’INCONTRO” DI COMO, luogo di accoglien-

za e di socializzazione voluto dalla Caritas diocesana, con la collaborazione della parrocchia della Città Murata, per le persone sole, senza dimora, stranieri e italiani che vivono ai margini della società. E li compie nel migliore dei modi, riorganizzandosi e attrezzandosi in vista delle sfide presenti e future, con un occhio all’esperienza del lustro appena trascorso e un altro rivolto alle mutate esigenze di un’utenza divenuta assai più stanziale di qualche anno fa, quando si andava in via Giovio solo per chiedere aiuto tempestivo e immediato. «Siamo finalmente riusciti a superare la fase puramente assistenziale del dare risposta ai bisogni immediati – spiega la responsabile del servizio, Cecilia Gossetti –, per passare alla costruzione di rapporti significativi dal punto di vista personale e relazionale. Ecco perché abbiamo dedicato tempo ed energie alla formazione di un’èquipe di volontari chiamata a misurarsi sul terreno dell’ascolto, essendo questo il senso e la vera forza del centro diurno». In tale quadro evolutivo, com’è ovvio che sia, i cambiamenti sono all’ordine del giorno. E uno dei problemi persistenti è proprio quello di restare al passo con la mobilità incessante delle situazioni, senza perdere la bussola e soprattutto senza trascurare il ruolo e il peso di quanto è già stato fatto. «Il numero degli ospiti rimane nel complesso stabile, intorno alle quaranta presenze fisse – aggiunge Cecilia –. Ma è radicalmente mutato il carattere generale di tali presenze, resosi più consapevole e partecipativo che in passato. Il cambiamento ha investito soprattutto la componente maghrebina, che di fronte al volto arcigno della crisi ha rinunciato anche alle residue ipotesi di trovare un lavoro e sta ora progettando il rimpatrio nelle terre d’origine». É così che uno degli ospiti “storici” del centro, il tunisino Alì Lazrag, per un breve periodo anche venditore di Scarp de’ tenis, ha potuto ottenere un contributo per il rimpatrio assistito a casa, dove è stato “reintegrato” in quel ruolo di capofamiglia abbandonato vent’anni fa, quando venne in Italia per lavorare. «Altri suoi connazionali presto lo seguiranno – conclude Cecilia Gossetti –, se sapranno vincere quel sentimento di sconfitta e di umiliazione che affiora quando si tratta di tornare fra la propria gente dopo essersi “arresi” alla crisi italiana ed europea. D’altra parte, poiché ogni medaglia ha il suo rovescio, aumenta il numero di coloro che in via Giovio hanno trovato vere amicizie, un gruppo in grado di ascoltarli, talvolta anche l’anima gemella. A riprova del fatto che si cresce insieme, o non si cresce affatto».

«I maghrebini, sotto i colpi della crisi, progettano il rimpatrio: non è un’umiliazione. E intanto c’è chi trova amici, e l’anima gemella...»

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torino Francesco e Luciano, da Palermo a Torino con due biciclette e le marionette. Per far divertire i piccoli e vedere l’Italia da vicino

Il viaggio è un teatro con le ruote di Vito Sciacca Immaginate, in un giorno d’estate, di partire da Palermo con due biciclette e un teatrino di marionette portatile, e con essi di risalire tutta la penisola, fermandosi in paesi e città incontrati durante il viaggio per allestire spettacoli per grandi e piccini: è quanto hanno fatto due ragazzi poco più che ventenni di Torino, Francesco e Luciano, i quali hanno percorso circa 1.400 chilometri portando in giro per l’Italia il loro spettacolo itinerante, nella migliore tradizione del teatro di strada. Li incontriamo al “Cecchi point” (in via Cecchi, a Torino), uno spazio un tempo adibito a officina comunale e che attualmente ospita vari laboratori (ciclomeccanica, sartoria, falegnameria, elettronica ecc.), aperto alla partecipazione del quartiere e della città, gestito da un gruppo di associazioni, e base operatila tenda – spiegano i ragazzi –. Il microva dei due giovani artisti. teatro è un progetto nato da Luciano e «Siamo partiti il 23 giugno con due Teresa, una nostra collaboratrice, ed è biciclette di tipo “Graziella”, una delle costituito essenzialmente da uno spetquali trasportava la scatola-teatro di 80 tacolo di marionette di piccole dimenper 50 centimetri, mentre l’altra era un sioni, dotato di fondali intercambiabili tandem che serviva a portare le massee scenari, che può essere visto attraverrizie necessarie a effettuare il viaggio e so quattro buchi posti sul suo fondo.

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Nonostante la sua apparente semplicità, questo teatro possiede una raffinatezza non indifferente: tramite uno scomparto amovibile dà allo spettatore una visione prospettica, e possiede perfino un sistema di luci di ribalta, assicurate da led alimentati da piccoli pannelli solari. Il tutto all’insegna della trasportabilità e rigorosamente autocostruito».

Spettacolo in viaggio sul viaggio Ulteriore raffinatezza, il tema dello spettacolo è il viaggio. In particolare il “come partire”: narra infatti la storia di un personaggio che vorrebbe viaggiare ma non riesce a decidere quale mezzo impiegare, finché quasi casualmente


scarptorino

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Il microteatro è uno spettacolo di marionette di piccole dimensioni, dotato di fondali intercambiabili, che può essere visto attraverso quattro buchi posizionati sul fondo. Semplice, ma raffinato

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scopre la bicicletta e si ritrova viaggiatore. Una metafora della loro stessa impresa, effettuata rifiutando coscientemente, in un’epoca high-tech, l’uso di biciclette ad alta tecnologia, che forse avrebbe reso il percorso meno faticoso ma indubbiamente l’avrebbe snaturato. Quando facciamo notare che diventa difficile concepire una tale distanza percorsa con simili biciclette, per di più a pieno carico, Luciano ribadisce che è stata una scelta voluta: «Innanzitutto volevamo dimostrare che era comunque possibile, poi va detto che simili mezzi attiravano l’attenzione. E questo è fondamentale per degli artisti di strada...». Lo spettacolo era essenzialmente diretto ai bambini, giacché i fori d’osservazione erano posti a un metro d’altezza, ma non è stato infrequente che anche adulti s’inginocchiassero per guardare. Lo spettacolo, del resto, era effettuato secondo i canoni dei vecchi cantastorie: si fa tap-

pa in un paese, si allestisce la scena e si dà inizio alla rappresentazione. L’accoglienza è stata fantastica ovunque, soprattutto nelle località del sud. «Dalle melanzane ripiene offerte a fine spettacolo, alle cene, alle colazioni offerte appena svegli, è stata un’esperienza incredibile, in cui abbiamo raccolto un calore e una simpatia indescrivibili. Persino in zone critiche, frequentate da coloro che normalmente vengono definite come “brutte persone”. Beh, anche loro con noi si sono comportate invece da “belle persone”». La storia di questo viaggio, insomma, è una storia non comune, narrata con semplicità. Come semplici sono i motivi che hanno spinto i due giovani a ideare e attuare l’impresa: «Da ragazzo correvo in bicicletta e di professione costruisco marionette – racconta Luciano, stringendosi nelle spalle –: abbiamo solo unito le nostre passioni». Ma alla fine ne è valsa la pena? «Economicamente – rispondono quasi all’unisono – siamo andati in pari». In sostanza, «vi siete pagati la vacanza?». Danno un'occhiata a una delle biciclette sulla quale è montato il teatrino, parcheggiata lì vicino. E, forse pensando a quei 1.400 chilometri pedalati in due mesi, uno di loro esclama: «Beh, chiamarla vacanza mi sembra un po’ troppo. Anche se abbiamo vissuto momenti indimenticabili…».

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La rondine

La

Il 14 luglio abbiamo vissuto una grandinata violenta. Un’oretta da incubo per i senzatetto. Uscito dal metrò, nessuno parlava. Tutti guardavano la natura scatenata. In cento metri a piedi eri massacrato, eravamo in acqua fino alle caviglie. Allora ho girato la testa e ho visto una rondine gettata per terra, camminava nell’acqua col ghiaccio, sicuramente aveva perso il suo nido, i suoi piccoli. Non capiva il disastro, era in pericolo. Era bagnata, raffreddata, ho deciso di prenderla. I colpi di ghiaccio sulla testa le facevano male, l’ho coperta con la maglietta. Un po’ di caldo le ha fatto bene e ha finito di tremare. Ho pregato un amico marocchino di ospitarla per la notte, doveva riprendersi e io avevo un gatto. Alla mattina sono passato sotto i portici per incontrare l’amico. «Al mattino l’ho messa sul balcone, la rondine ha volato. Si è ripresa, c’è l’ha fatta! La mia bimba, tu lo sai che mi ha detto? Papà domani mi porterai un’altra rondine?».

Gheorghe Mateciuc

Teatrino itinerante La scatola su due ruote di Francesco e Luciano ha ammaliato mezza Italia

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genova A quattro anni dall’avvio del servizio, i numeri sono quelli di un flop. La città è verticale, ma il sistema ha molte falle

Il bike sharing ha le gomme sgonfie di Paola Malaspina Era partito, nel 2009, con grande entusiasmo e slancio d’intenti, tra una campagna pubblicitaria intensiva del comune – promotore dell’iniziativa – e molte felicitazioni delle autorità di ogni parte politica. Nonostante le non trascurabili difficoltà, le mille salite e discese del territorio urbano, l’assenza di piste ciclabili e infrastrutture adeguate, il bike sharing genovese era nato come un progetto importante, per (ri)lanciare la mobilità sostenibile in città: una sorta di parallelo con l’ormai collaudato car sharing, utile per la gestione del problema inquinamento e la riduzione dei nodi critici del traffico metropolitano. Eppure, se per le automobili il sistema ha dato risultati più che adeguati, anche in termini di soddisfazione dell’utenza, lo stesso non può dirsi per le bici a noleggio. L’insuccesso dell’iniziativa è un dato ormai conclamato: a fronte di un indei veicoli. Una sorta di bici “anti-Gevestimento iniziale ingente (circa 1,5 nova”, con tanto di aiutino alla pedalata, milioni di euro, stanziati dal comune e per andar su e giù per circonvallazioni, dal ministero dell’ambiente, per l’acstradoni e viali. Con mille problemi di quisto dei mezzi e la realizzazione delle funzionamento, però, perché le bici infrastrutture) i risultati, in termini di rielettriche richiedono manutenzione e cavi e numero di utenti, sono imbarazrevisione costante, mentre a Genova il zanti. Come comunicato dal consiglio parco bici già dopo pochi mesi versava comunale (e confermato da Genova in condizioni disastrose, con veicoli in Parcheggi, la società di gestione del sertutto o in parte inutilizzabili e colonnivizio), gli abbonati a oggi sono solo cirne disastrate. Il tutto sotto gli occhi delca 300, e il numero degli utilizzatori efla cittadinanza; i problemi del bike shafettivi è notevolmente calato nell’ultimo ring a Genova sono stati segnalati in diquadrimestre. E nell’intero 2012 l’incasversi spazi sul web, tra cui il blog Genoso dell’iniziativa si è attestato a 1.147 euva Mappe e il gruppo facebook Open ro, evidenziando, di fatto, come solo Genova, fondato per discutere di prouno sparuto nugolo di “affezionati” abgetti e iniziative per la città, di digitale e bia scelto di rinnovare di mese in mese di dialogo tra cittadini e istituzioni ai la tessera a scalare da 40 euro. tempi del web. C’è poi un altro grave problema che ha afflitto il decollo della mobilità a due Pochissimi gli utenti ruote nel capoluogo ligure: la totale asI motivi della disfatta? Da una parte, la senza di piste ciclabili. Pare quasi un paconformazione del territorio non è di radosso, ma l’iniziativa del bike sharing certo incoraggiante. Genova, città vertiè partita prima di qualunque intervencale per eccellenza, è un vero percorso a to significativo sulla ciclabilità urbana: ostacoli per il ciclismo in città; proprio in città non solo non esistono percorsi per questo, sono state scelte le cosidriservati alle bici, ma molte strade di dette bici a “pedalata assistita”, vale a diflusso “quotidiano” sono interrotte dai re mezzi semi-elettrici, con alimentacantieri per l’ampliamento della rete zione collegata a un perno da incastrametropolitana. Così, in un traffico cittare in un’apposita colonnina di ricarica, dino congestionato, in cui a stento si posizionata nel luogo di stazionamento

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riescono a far rispettare le corsie di bus e filobus, chi affronta il tragitto su due ruote dev’essere un ciclista motivato, consapevole e, naturalmente sicuro del proprio mezzo. Anche per questo, le bici su strada a Genova non mancano, ma sono per lo più mezzi privati, di proprietà dei loro guidatori, che ne seguono con attenzione la manutenzione.

Ciclisti, mai fai da te Ad ammettere che le cose non vanno è il consigliere comunale Manuela Cappello: «Manca totalmente la manutenzione di Genova Parcheggi. L’utente abituale, quello a cui era primariamente rivolto il servizio, ha finito per comprarsi una bicicletta, per avere un mezzo su

Due ruote in crisi Bici e paline per la ricarica: ma il bike sharing a Genova non decolla


scarpgenova cui contare veramente, per il suo percorso da casa all’ufficio». Insomma, pare proprio che le difficoltà dell’esperienza di bike sharing non siano, di fatto, imputabili a un disinteresse dei genovesi rispetto ai temi della ciclabilità urbana: negli ultimi anni, d’altronde, gruppi come Anemmu in bici a Zena (Andiamo in bici a Genova) o il Cicloriparo del circolo Arci Belleville hanno raccolto entusiasmo e un numero crescente di consensi, facendosi carico del compito di educare i ciclisti o aspiranti tali a una guida consapevole: uso di bici con cambio di marce, utilizzo di tragitti urbani collaudati, niente eroismi e sfide con gli automobilisti. Con un calendario di eventi che non ha conosciuto sosta neanche durante la pausa estiva (con incontri all’aperto, aperitivi “ciclabili, spazi vari di condivisione delle proprie esperienze), i gruppi privati di ciclisti genovesi hanno provato e stanno riuscendo a dimostrare che, volendo, in bici si può andare anche nella poco ciclabile Genova. Di fatto, il loro entusiasmo contagioso cerca di sopperire alla carenze degli interventi delle autorità locali. «Affrontiamo volentieri l’avventura di diffondere la passione per la bici da città e insegnare le regole più importanti – spiega Giacomo Revelli, tra i fondatori del Cicloriparo –. Abbiamo anche

Il libro

“Dato il posto in cui ci troviamo”: voci dal carcere, mondo dei sassi Si è svolta a Genova il 17 settembre la presentazione del libro Dato il posto in cui ci troviamo. Racconti dal carcere di Marassi, curato da Claudio Bagnasco e pubblicato dalla casa editrice Il Canneto. All’incontro con l’autore, interessante e informale, erano presenti Alessandra Ferraro, presidente dell’associazione La Tortuga, Salvatore Mazzeo, direttore della casa circondariale di Marassi, Giovanni Salamone, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, e gli “artefici” veri e propri dell’opera, cioè i detenuti, autori delle testimonianze contenute nel libro. Claudio Bagnasco, voce giovane del panorama locale, classe 1975, scrittore e saggista, si è proposto di raccogliere le loro voci, partendo dal presupposto che i carcerati, «spesso dimenticati e demonizzati, vivono in una condizione di separazione estrema, che rende difficile comunicare con chi è all’esterno. Questo volume si propone di abbattere questo muro di silenzio e di far uscire fuori queste voci». Voci semplici, dirette, dure, che raccontano l’umiliazione della vita dietro le sbarre senza sentimentalismi o giri di parole, come una foto in bianco e nero ricca di contrasti: «Due porte carraie si chiudono, sei in un altro mondo. Il mondo dei sassi. Io sono un sasso», recita una delle prime testimonianze. Eppure in questi contrasti, nella durezza dei “sassi” si trova ancora la limpidezza della verità che si fa poesia, la forza di raccontarsi. La speranza, forse, in un domani migliore.

creato uno spazio fisico dove fare manutenzione alla bici, scambiare pezzi di ricambio, rendere il mezzo sicuro e utilizzabile. Ma anche le istituzioni devono fare la loro parte e cominciare a rapportarsi diversamente con i ciclisti. Creare percorsi protetti e praticabili, promuovere l’educazione stradale sono passi da fare nell’immediato, indispensabili».

Il futuro: che fare? In tutte queste iniziative nate “dal basso” pare dispiegarsi un potenziale importante per il futuro della città, una risorsa critica per la gestione del problema dell’inquinamento e per una migliore organizzazione del traffico; il progetto bike sharing va dunque ugualmente accantonato? In occasione della Settimana per la mobilità sostenibile, a metà settembre, il comune si è ritrovato a dover fare una riflessione sul tema. In occasione dell’evento europeo, l’assessorato alla mobilità, che pare volersi impegnare in un rilancio dell’iniziativa, ha presentato due novità nell’ambito della mobilità sostenibile: 400 nuove ra-

strelliere per biciclette, pari a 800 posti bici in più, e 30 nuove bici per il bike sharing. Inoltre, chi voleva provare i servizi di car sharing e bike sharing, ha potuto acquistare gli abbonamenti a prezzi scontati, anche più del 30%. «La Settimana europea della mobilità sostenibile è stata un’occasione per valorizzare forme di mobilità alternative a quella privata – ha detto l’assessore alla mobilità, Anna Dagnino –. L’amministrazione comunale ha aderito a questo appuntamento, realizzando a costo zero, grazie alla collaborazione di municipi, aziende e associazioni, una serie di iniziative di sensibilizzazione sul tema dedicate ai cittadini». Lo sforzo è stato senz’altro incoraggiante, ma di piste ciclabili e percorsi protetti, per ora, si continua a non parlare. Nella piccola piazza antistante il metrò di Genova Principe, le bici del bike sharing sono sfiorate dalle prime foglie autunnali in caduta. Sono ancora lì, attaccate alla loro colonnina, in attesa di un destino migliore: un progetto che le valorizzi, una strada sicura su cui poter sfrecciare.

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vicenza Un laboratorio interculturale di sartoria. Dalle riparazioni agli abiti da sposa: ci si scambia saperi, si esce da vite difficili

Profilo, insieme si cuce speranza di Cristina Salviati Quando a mettersi insieme sono una modellista come Katharina Hoch e una sarta come Giovanna Binotto, diventata nel tempo un’imprenditrice del riciclo e del solidale, il risultato è una sartoria multiculturale, che confeziona capi unici, si mette in rete con le realtà microartigianali locali, e insegna il lavoro a donne di provenienze diverse. È nata così la sartoria “Profilo” della cooperativa Nova, sostenuta dalla Caritas diocesana vicentina, un laboratorio dove signore rom e sinte si mescolano a sarte vicentine e a tirocinanti di altri paesi. Sotto la guida esperta di Katharina, che ha lavorato in un atelier di alta moda a Monaco, specializzato in abiti da sposa, le donne disegnano e tagliano modelli unici, e confezionano di tutto, dai vestitini estivi coordinati per mamma e bambina, all’abito elegante, ai giacchini ultima moda, ai corpetti con applicazioni di ricami. Nella bottega ci si scambiano i saperi. C’è Marisa, esperta di ricamo “manomacchina”, di cui il nostro giornale ha già scritto tempo fa. Anzi, è stato prosempre usato la macchina da cucire». prio il nostro articolo su Scarp a farla coC’è poi chi ha lavorato nei laboratonoscere e contattare dalla cooperativa ri orafi e sa piegare i metalli a ogni tipo Nova. “Mani di fata”, l’avevamo definita di applicazione, oppure li rielabora e fa nel titolo, e questo è il soprannome con saltar fuori orecchini, spille, bracciali, cui la chiamano a Profilo. Ci sono poi pochette, borse con applicazione di tante altre donne: Marija, Brenda, Maganci, cerniere, bottoni, linguette di latrian, Ivonne, Cinzia, Sabrina, Diana e tina, e chi più ne ha più ne metta, in Cena. Marija cuce da sempre: «Una volun’esplosione di creatività e fantasia ta nelle nostre case bisognava imparare che si sviluppa dallo stare insieme. a fare un po’ di tutto – racconta – e io ho «Lavorando si parla, ci si confronta –

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spiega Giovanna –, emergono nuove idee. Chi è appena arrivato comincia da lavori semplici, come ritagliare pezzetti di stoffa per confezionare un tappeto o una borsa. Chi è un po’ più esperto infila e annoda i ritagli nella trama. La manualità e le capacità aumentano e si passa a imbastire, poi a cucire. Si fa filò, ci si amalgama. E intanto si impara, si cresce nel lavoro».

Da laboratorio a impresa Giovanna ha alle spalle l’esperienza di un progetto in Brasile, “Di mano in mano”, e qui a Vicenza si muove per riproporre quello stesso stile di lavoro. «In America Latina ho collaborato a realizzare un’impresa artigianale, che da piccola è diventata grande, producendo capi di vestiario, ma anche oggettistica e accessori. Ci si avvaleva della collaborazione di botteghe impiantate nelle favela, una stanza e via, un gruppo di donne partiva a realizzare pezzi che poi noi assemblavamo. Proprio qualche giorno fa, qui a Profilo c’erano alcune signore americane e senza usare parole abbiamo potuto mostrare come sappiamo lavorare, con spirito di squadra. Stavamo preparando delle borse e da una stanza della Caritas, qui di fronte, è arrivata Diana con le braccia cariche di manici per borse. Dalle sue mani sono passati alle nostre per completare il lavoro». Una catena di montaggio, insomma, dove però non si subisce l’alienazione, ma si inventa, si migliora, si impara a conoscersi. E a trattare con i clienti. Ogni creazione viene realizzata con materiale di riciclo, il più possibile. Ma anche con ciò che proviene da donazioni di forniture in esubero o inutilizzate. Katharina ci mostra con orgoglio


scarpvicenza il magazzino: «Ci sono temi e colori che non si trovano più: tutta stoffa pregiata, lane e cotoni di ottima qualità, che rischiavano di essere buttati perché nessuno sapeva come usarli». «In effetti non compriamo quasi niente, nemmeno il filo – rincara la dose Giovanna –; più si sparge la voce e più abbiamo la possibilità di scoprire tesori nascosti nelle case o in aziende che stanno per chiudere».

Mani di fata Partito come semplice laboratorio per donne rom e sinte, Profilo sta diventando un’impresa di alta sartoria

Un negozio che fa moda Lo stesso accade per le doti delle future sarte. Sono persone che hanno alle spalle storie di grande difficoltà e disagio, ma quando una di loro riesce a far emergere un talento, una capacità insospettata, acquista valore ai propri occhi, si fa coraggio ed esce dal guscio. È successo così anche alle donne rom e sinte che, pur gelose della propria cultura e tradizione, arrivano in bottega e mostrano alle altre di aver indossato abiti inusuali o accessori mai utilizzati prima. La sartoria ha anche aperto un negozio: il via vai di clienti che chiedono di tutto – dalla semplice riparazione al modello personalizzato, fino al vestito da sposa (in questo periodo se ne stanno realizzando tre) – è continuo. Profilo partecipa a diverse sfilate di moda: a quella annuale della cooperativa di riciclaggio Insieme, a quelle per promuovere stili di vita alternativi (in primavera se ne è svolta una a Schio, organizzata dai giovani della Caritas). E poi sagre, feste dei popoli, fiere di Legambiente, addirittura, di recente, il Festival biblico di Vicenza, dove in collaborazione con La Roccia di Scampia, con Fatto e Rifatto della cooperativa Insieme e con l’artista Agata Keran si è condotta un’intera settimana di iniziative: laboratori per bambini, convegni, incontri, esposizioni. «Al Festival abbiamo venduto bene – sorride Giovanna –, ma soprattutto ci siamo fatte conoscere da molte persone che adesso vengono in negozio per acquisti o riparazioni». E ancora c’è da fare. Profilo non si ferma: si ampliano le relazioni con l’esterno, si entra in contatto con un’artigiana che fa orecchini di carta, gruppi di donne che confezionano scialli di lana, giovani ingegneri che insegnano a usare il computer per disegnare modelli. Giovanna e Katharina prendono nota. Chissà dove arriveranno...

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Il progetto

Al lavoro donne di tanti paesi, il risultato è un negozio frizzante Profilo è un laboratorio di sartoria interculturale, dove si confezionano abiti originali, su misura, addirittura vestiti da sposa, si eseguono riparazioni e si realizzano accessori. È un progetto della cooperativa Nova, promosso dalla Caritas diocesana vicentina, con finalità di promozione umana e di inclusione di donne in condizioni di disagio economico o sociale. Profilo accoglie le donne per trasmettere competenze e favorirne l’inserimento lavorativo, mettendo al primo posto la relazione tra persone diverse e la reciproca conoscenza con la comunità vicentina. L’esperienza e la professionalità delle due sarte coordinatrici del progetto sono il perno di un progetto educativo capace di una formazione di alto livello. Nato come laboratorio di sartoria per l’emancipazione di donne rom e sinte, Profilo è divenuto un vero e proprio laboratorio d’intercultura: l’avviamento al lavoro è aperto oggi anche a italiane e migranti di diversi paesi, con particolare attenzione alle giovani. Profilo punta a favorire lo scambio e la comunicazione, offrendo la possibilità di costruire relazioni attraverso la condivisione di spazi e obiettivi concreti. Il risultato è un negozio frizzante e colorato, pieno di prodotti curiosi, simpatici e creativi, accanto a realizzazioni di alta sartoria: è aperto ogni mattina (9-13) dal lunedì al venerdì e il pomeriggio (14-18) dal martedì al venerdì, in contra’ Torretti 65 a Vicenza. INFO tel. 345.3684883 – sartoriaprofilo@gmail.com – www.caritas.vicenza.it ottobre 2013 scarp de’ tenis

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L’iniziativa di solidarietà con i senza dimora tocca quest’anno sei comuni. In piazza la Biblioteca Vivente. E poi si dorme...

La Notte si fa in sei, racconti e condivisione di Cristina Salviati Cosa c’è di più poetico che immaginare i giovani sotto un cielo di stelle? Sono proprio i giovani il motore della Notte dei senza dimora, che quest’anno a Vicenza diventa iniziativa di respiro provinciale. Guidati dalla Commissione giovani della Caritas diocesana vicentina, quelli che per l’occasione sono stati battezzati “Giovani della notte” si stanno impegnando in sei comuni: Arzignano, Bassano del Grappa, Lonigo, Schio, Valdagno e Vicenza. Il loro obiettivo è fare in modo che La notte dei senza dimora si trasformi in simbolico abbraccio tra cittadinanza e persone che vivono ai margini. L’occasione sarà sabato 19 ottobre, data prossima a quella (17 ottobre) della Giornata mondiale di lotta alla povertà: nelle piazze delle sei località vicentine arriveranno gruppi di ragazzi e di ospiti delle strutture di accoglienza, di volontari e operatori, per raccontare storie e suonare canzoni, mostrare fotografie e distribuire volantini al fine di far conoscere, za, all’interno dei Giardini Salvi, sarana chi ancora non sa, la situazione di sono collocati i banchetti di tutti i servizi litudine ed emarginazione vissuta da per persone senza dimora, di altre especoloro che insieme alla casa hanno rienze di solidarietà, dei laboratori del perso tutto. A partire dal rispetto della liceo artistico, oltre alle installazioni comunità in cui vivono. “Quelli dell’Ultimo”, tra foto, video e giocolieri. A Lonigo, in piazza Garibaldi, ci saranno tanti angoli di storie, una squaStorie della Biblioteca vivente dra di lettori e narratori per raccontare Filo conduttore dell’iniziativa sarà la le storie di Scarp; inoltre 200 persone sa“Biblioteca Vivente”, raccolta di storie ranno ospiti della “Cena dei Popoli” di emarginazione e povertà che i Gioproposta dal Sermig, sezione di Vicenvani della Notte hanno raccolto nei ricoveri, nelle parrocchie e nei centri d’ascolto Caritas. In ogni luogo verranno raccontate in modo diverso: a Valdagno la biblioteca sarà “viaggiante”, di locale in locale, per avvicinare le persone all’ora dell’aperitivo. Ad Arzignano per raccontare sono state scelte le “penne” locali, giornalisti e scrittori di tutta la vallata si sono dedicati a raccogliere testimonianze sul tema “Come è cambiata la mia vita accanto a chi soffre”. A Bassano del Grappa, Schio e Vicenza tanti giovani, a gruppi, hanno incontrato persone senza dimora e raccolto aneddoti, sensazioni, pensieri. Nelle varie città risuonerà l’appello “Se mi vieni vicino, ti racconto chi sono”. A Bassano ci saranno musiche e artisti di strada in piazza Libertà. A Vicen-

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za: non un desco qualunque, ma la possibilità di mettersi in gioco e provare sulla propria pelle cosa significa non avere niente da mangiare. Il programma, infine, prevede anche l’esibizione della milanese Barboon Band, accompagnata da una testimonianza dell’associazione “Clochard alla riscossa”, nella piazza del comune a Valdagno. Nel capoluogo, invece, l’ospite d’onore sarà Antonio Pigafetta, l’intrepido marinaio vicentino che nel Cinquecento circumnavigò gli oceani per ritrovarsi al ritorno, in patria, senza soldi e senza casa: a richiamare l’attenzione sull’eroico personaggio sarà l’installazione di Alberto Salvetti. Due gruppi musicali, l’Orchestrada di Padova e Pig’n’Out di Vicenza, arricchiranno la serata e si fermeranno solo per lasciare spazio al “Diario di Strada” della redazione vicentina di Scarp.

Notte insieme ai senza dimora E alla fine, proprio a Vicenza, la buona notte sotto le stelle. Da tutta la provincia, come già successo lo scorso anno, arriveranno giovani e meno giovani per dormire insieme con cartoni e sacchi a pelo, tra le aiuole dei Giardini Salvi, cullati dal video di Alberto Salvetti “Il volto di una gabbia”. A tutte le persone che parteciperanno la Rete Territoriale di inclusione sociale, che ha ideato un evento così originale, rivolge l’invito a recuperare e donare vecchie coperte per chi quest’inverno sarà costretto a dormire in strada.

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Vicenza sotto le stelle Un momento della “Notte” 2012. INFO www.caritas.vicenza.it – www.cosep.it FACEBOOK nottesenzadimoracittàdivicenza


firenze L’Acisjf da un secolo lavora con le persone emarginate a Santa Maria Novella. Ora gestisce l’Help Center voluto da Enel e Fs

Dalla stazione si può ripartire di Leonardo Chiarelli e Andrea Cuminatto C’è un servizio di accoglienza rinnovato e potenziato, per gli homeless di Firenze. Il binario 2 ospita infatti l’Help Center della stazione di Santa Maria Novella (nella foto), progetto di solidarietà dedicato alle persone senza dimora, nell’ambito dell’iniziativa nazionale “Un cuore in stazione”. L’Help Center di Firenze è stato approntato grazie ai contributi messi a disposizione da Enel Cuore, la onlus di Enel, e delle Ferrovie dello Stato, che hanno concesso in comodato d’uso gratuito i locali all’associazione Acisjf – Protezione della Giovane di Firenze, la quale opera alla stazione di Firenze dal lontano1902. Acisjf lavora per aiutare tante persone a recuperare una vita dignitosa. Per garantire il servizio, ha creato, nel corso degli anni, un team di volontari, medici, insegnanti e professionisti di vari settori del sociale, che si mettono a disposizione di chi ne ha bisogno. Il punto di riferimento e l’anima del nuovo Help Center, che ospiterà le iniziative di Acisjf e offrirà nuovi servizi, è Adriana Barbecchi Grassi. «Il nostro obiettivo di fondo è riuscire a entrare in comunione con l’altro, in senso fraterno – spiega la responsabile –. Di libertà, uguaglianza e fraternità è impregnato lo spirito dell’Acisjf. Riteniamo fondamentale soprattutto quest’ultimo aspetto, per realizzare una convivenza tra le tante culture presenti anche qui, nella stazione ferroviaria di una città turistica come Firenze. La vocazione originaria dell’associazione era prestare assistenza alle donsapevolezza ci spinge a dedicare lone, ma noi oggi ci dedichiamo a tutti, perro una particolare attenzione». ché sono in tanti a chiedere aiuto». La vocazione originaria, comunque, Maria e Lilli sono risalite riemerge con un’attenzione speciale. Sono esperienze toccanti quelle che «Siamo molto sensibili alla situazione passano per il binario 2. Per esempio delle donne in difficoltà – prosegue quella di Maria, che insieme a suo fiAdriana Barbecchi Grassi –: sono persone glio si è rivolta al centro d’ascolto per fragili, sole, spesso reduci da esperienze chiedere aiuto. Attraverso il servizio, di violenza e abbandono. Le donne, anè riuscita a trovare un impiego e a che quando vivono in strada, hanno un mettere ordine nella sua vita, dopo maggiore bisogno di creare un rapporto trascorsi di violenza e vagabondagdi serenità con l’ambiente che le circongio, ritrovando la dignità che crededa. Anche perché sono spesso accompava di aver perso e riuscendo a offrire gnate da figli, che non devono vivere il dial bambino e a se stessa una nuova sagio di una vita ai margini. Questa conpossibilità.

E poi c’è la storia di Lilli, ragazza nigeriana che ha avuto la fortuna di incontrare Adriana e gli altri volontari alla stazione di Firenze. Arrivata in Italia con la promessa di un lavoro, si è affidata a persone che l’hanno presto coinvolta in un giro di prostituzione. Lei un giorno è riuscita a ribellarsi e a scappare dai suoi aguzzini, prendendo il primo treno che partiva dalla stazione di Prato. «Giunta a Firenze – ricorda la signora Adriana Barbecchi Grassi – con i vestiti che era stata costretta a indossare (spiccava una parrucca bionda incollata alla testa) la ragazza, vergognandosi delle sue condizioni, ci ha messo un po’ a venire da noi. Però, per fortuna, la voglia di ricominciare e il disperato bisogno di aiuto alla fine hanno prevalso sulla vergogna. Insieme ai volontari, ha intrapreso un percorso verso un destino migliore». Tra gli strumenti che l’Help Center di Acisjf cerca di offrire, c’è la conoscenza della lingua italiana, sostanzialmente sconosciuta a molti homeless stranieri. Poi si fa anche un percorso di educazione civica: occasione per apprendere regole del contesto in cui si è inseriti, ma anche, è la conclusione, «grande aiuto all’emancipazione degli immigrati, che così non restano relegati ai margini della vita cittadina».

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rimini Un bambino tanto atteso. La diagnosi che spaventa. Ma la coppia può essere sostenuta: l’aborto non è l’unica opzione

Luca, il figlio della scelta difficile di Alessandra Leardini Ogni volta che Giuseppe e Daniela vedono quel bambino di quasi 5 anni, furbo e vispo, che “costringe” la nonna ad andare a dare da mangiare alle galline o “spinge” la sorella in cucina per fare assieme la ciambella, finiscono per sciogliersi e abbandonarsi a un tenero sorriso. «È Luca che guida tutti, non c’è niente da fare», esclama il papà, con l’orgoglio che solo un genitore può esprimere. Poco importa se al loro “cucciolo” è servito un po’ di tempo in più, rispetto ai coetanei, per parlare o integrarsi con gli amichetti della materna. «Le maestre ci avevano detto che i primi giorni non partecipava alle attività, stava in un angolo a guardare i compagni. Poi, all’improvviso, ha iniziato a integrarsi. E oggi si impegna in tutto. Luca parte solo quando è sicuro», sorride ancora Giuseppe. Eppure il pensiero suo e della moglie va spesso a cinque anni fa, a come sarebbe stata la loro vita se solo avessero fatto “quella scelta”. La diagnosi di trisomia 21 era arrivata come un fulmine a ciel sereno. La figlia maggiore, Elena, aveva già 14 anni. Dopo la nascita della bambina, non erano più riusciti ad avere figli: Luca non avrebbe potuto essere più desiPrimo giorno felice, derato. Inizialmente Giuseppe e Daniedopo una vita di dolore. la avevano deciso di non fare lo screeTi guardo, ning prenatale, nonostante l’età ginein quei tuoi occhi non resta cologicamente avanzata di Daniela. Poi, più nulla del dolore hanno saputo. E hanno dovuto decideche hai sopportato, re. ma solo una nuova luce che illumina il tuo viso. Ora puoi ricominciare a vivere, Vite stroncate puoi amare, Vite stroncate ancora prima di nascere, puoi sognare, perché “diverse”. Con il progresso tecperché oggi nologico, aumenta la possibilità, per è il tuo primo giorno felice, due futuri genitori, di conoscere il loro e mai lo dimenticherai. piccolo fin dalle prime settimane di geÈ per ciascuno di noi stazione. Si ammira sullo schermo del questa poesia, ginecologo la creatura che prende a poper chi porta con sé co a poco forma, se ne scopre il sesso, la tristezza soprattutto ci si accerta che tutto vada da molto tempo, per chi la porta per il meglio, dal punto di vista della sada sempre. lute. L’aumento dell’età media delle È per ciascuno di noi madri, però, accresce i rischi che qualquesta poesia, cosa vada storto. In taluni casi, il properché prima o poi blema è una malattia, in altri una arriva per tutti, malformazione, in altri ancora la trisoil primo giorno mia 21 o sindrome di Down. in cui si è felici. Dati nazionali dicono che il 2,6% Maria Di Dato degli aborti vengono effettuati dopo la

Primo giorno felice

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dodicesima settimana, cioè per rischi di salute o malformazione del feto. Impossibile, ancora oggi, dimenticare il caso della madre che, nel 2007, all’ospedale San Paolo di Milano, perse due gemelle nel tentativo di eliminare quella con “il cromosoma in più”. I risultati dell’amniocentesi parlavano chiaro, ma tra il referto e il giorno dell’aborto passarono tre settimane, durante le quali le gemelle si scambiarono di posto nella pancia. I medici intervennero sulla bambina sbagliata, e a seguire eliminarono anche quella (probabilmente) con trisomia 21.

Diagnosi che condannano All’ospedale “Infermi” di Rimini le diagnosi prenatale di sindrome di Down


scarprimini sono in aumento: quattro nel 2010, cinque nel 2011, sei nel 2012 e sette nel primo trimestre 2013. Come spiega la dottoressa Elisa Facondini, che lavora all’unità operativa di ostetricia-ginecologia, con il compito di sostenere i futuri genitori al momento della diagnosi prenatale, tutte le coppie hanno deciso di interrompere la gravidanza. I bimbi con trisomia 21 nati negli stessi anni sono invece tutti casi in cui non era stata effettuata alcuna diagnosi prenatale, «o per la giovane età della madre o per valori personali della coppia»: cinque nel 2011, quattro nel 2012, due nel primo semestre 2013. Questi dati sono l’effetto culturale della “sindrome del figlio perfetto”? «Ci sono due elementi su cui riflettere – spiega la psicologa –: da un lato, assistiamo a un cambiamento socio-culturale, d’altro canto, matura una genitorialità che dà sempre più importanza anche alla fase di gestazione. L’ecografia oggi è un momento fondamentale per i genitori. La realtà descritta riduce alcune caratteristiche del bambino immaginario: sesso, peso, lunghezza, vivacità. E difficoltà. Ciò può facilitare l’investimento affettivo o, al contrario, renderlo molto più complicato». Quelli che erano in altri tempi annunci possibili solo alla nascita, oggi lo sono fin dai primi mesi di gravidanza. «La cosa più faticosa, nella diagnosi pre-

Percorsi di aiuto

Crescere insieme è bello: un bimbo non è la sua malattia L’Ausl di Rimini, nel 2004, ha elaborato, in collaborazione con Crescere Insieme, associazione di genitori di ragazzi con sindrome di Down, il documento “Percorsi clinici e abilitativi per persone con sindrome di Down”. Il testo descrive l’attivazione di quattro percorsi: dal momento della diagnosi ai 18 mesi, dai 18 mesi ai 3 anni, dai 3 anni ai 14 anni, dai 14 anni all’età adulta. «Si è quindi costituita un’équipe multiprofessionale, in collaborazione con le associazioni rappresentanti delle famiglie», spiega la dottoressa Elisa Facondini. L’Ausl ha dunque dato vita a un gruppo di prima accoglienza, formato delle figure professionali perinatali (neonatologo, ginecologo ostetrica, infermiera professionale, psicologo, fisiatra, genetista, assistente sociale) interne all’ospedale; a fianco di questa risorsa, se la coppia lo richiede, viene attivato anche un sostegno da parte dei genitori dell’associazione. L’équipe ha il compito di coordinare e organizzare i rapporti con i diversi referenti istituzionali, di attivare la rete dei servizi e offrire non solo una corretta informazione, «ma soprattutto creare le condizioni perché ci sia una precoce progettualità, basata sui bisogni e le esigenze della famiglia, fornendo gli adeguati supporti (prenatale e postnatale)». L’obiettivo è non lasciare solo nessuno di fronte a una scelta comunque drammatica. E nemmeno, ove prevalga la decisione di proseguire nella gravidanza, di fronte a un’esperienza genitoriale che si prospetta irta di difficoltà, anche se carica di generosità

natale, è il fatto che la possibilità di diagnosticare una malattia tende a non permettere il rapporto genitore-feto: l’attenzione viene posta sulla malattia, non sul figlio – prosegue la dottoressa Facondini –. La diagnosi costituisce per i genitori un vero e proprio evento traumatico. La violenza del dramma può generare uno stato di confusione e impotenza. La coppia non sente più, non capisce ciò che le viene detto, malgrado venga ripetuto il contenuto della comunicazione nel corso di diverse spiegazioni tecniche. Le parole rimbalzano sulla storia personale o giungono a risvegliare lontane paure, le anomalie del feto provocano una ferita profonda…».

Un supporto alla vita Una gravidanza può essere interrotta, in queste situazioni, fino alla ventiduesima settimana, ma per la trisomia 21 le interruzioni avvengono generalmente prima. Già dalla dodicesima settimana, con l’esame della plica nucale, è possibile sapere se c’è qualche anomalia. In caso positivo, seguono villocentesi e amniocentesi. Le tecniche a disposizione per effettuare una corretta diagnosi

non mancano, sebbene un rapporto del Tribunale dei diritti del malato, nel 2006, abbia constatato che nel 12% dei casi la diagnosi prenatale è sbagliata. In ogni caso, una volta effettuata la diagnosi, il problema diventa come accompagnare il carico di informazioni con un adeguato supporto psicologico ai genitori. È quello che l’Ausl di Rimini cerca di fare con un percorso che prende in carico la coppia dalla diagnosi prenatale (affidandola all’ostetrica) alla comunicazione diagnostica (intervento di ginecologi e neonatologi), fino all’attivazione, su richiesta, di un’èquipe multidisciplinare che accompagni la coppia nella difficile scelta, sia nel caso opti per l’aborto, sia nel caso decida di andare avanti. «Un’atmosfera di speranza – conclude la dottoressa Facondini – incoraggia le aspirazioni e la disponibilità a rischiare posizioni di sicurezza, a impiegare vitalità e risorse. Da qui nasce la necessità di coordinare le prassi che accompagnano la nascita di un neonato con sindrome di Down, coinvolgendo ostetrici, neonatologi e genetisti, così da creare una rete che contenga e sostenga il nuovo nucleo».

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napoli All’ombra del Vesuvio non è facile spiegare il dialetto milanese. Ma Jannacci è rimasto nel cuore anche dei venditori partenopei

Enzo, uno di noi cosiddetti “ultimi” Il pensiero

di Giuseppe Del Giudice

Non costose le scarpe di gomma...

Nel 1964 il cantautore milanese Enzo Jannacci scrisse e interpretò una canzone diventata celebre e mai più cancellata dalle mente di molti. Si intitola El purtava i scarp del tennis. Era la storia di un clochard, più comunemente “barbone”. La canzone ha ispirato il titolo della nostra rivista. Le scarpe da tennis, o comunque da ginnastica, erano e sono un po’ l’emblema di chi vive per strada. La canzone ebbe un grande successo. Non prevedibile. Il tema, scottante, non era mai stato toccato prima nella musica leggera. Ci voleva coraggio. Lui lo ebbe. Erano anni in cui la canzone sociale non andava. I discografici non volevano promuovere un prodotto che aveva poche possibilità di vendere. Si faceva strada il rock ‘n ’roll, sul modello americano. La gente voleva divertirsi dopo gli anni bui e tristi della guerra. Pensate al successo di Celentano: brani semplici con tanto ritmo, tanta America e che trasmettevano allegria, una vita a “colori”: vip, belle donne, calanche fisicamente. Enzo fu tra virgoletciatori superpagati, cibi luculliani, vate un pazzo: un po’ lo era davvero, ma il canze da sogno. È ciò che la gente vuosuccesso gli diede ragione. Anzi di più: le vedere, e possibilmente imitare. Tranacque un personaggio. Di rottura, si smissioni che facevano giornalismo sedirebbe oggi. La sua trasgressione lo rio, di informazione, di cultura, si sono premiò. Il pezzo fu l’inizio di una lunga trasformate in trasmissioni di divulgacarriera. zione. Il pettegolezzo dal pianerottolo è Enzo oggi non c’è più e ha lasciato approdato in tv. Ce ne fossero, allora, di un grande vuoto nel mondo dello spetcanzoni come quelle di Jannacci: lui era tacolo. Lui il contenuto della canzone un uomo intelligente e colto, due aspetsociale lo sentiva veramente, non c’era ti che, se non si conosce bene la sua stonulla di costruito a tavolino per scopi ria, sembravano scontrarsi con la sua commerciali. La gente, il pubblico, hanaria stralunata. Il modo in cui faceva il no percepito sempre questi suoi sentimedico confermava le sue doti e le sue menti autentici. Quando si parla di belle qualità. Una bella persona: la sua “barboni”, il sentimento che predomiscomparsa ci ha segnati tutti, in partina è l’indifferenza. Non è il solito dicolare noi di Scarp: il nome del nostro scorso, è la verità. Chi vive il disagio ingiornale viene dalla sua anima e dalla teressa a pochi, tantomeno ai mezzi di sua sensibilità. informazione. La tv ci propone spesso

È la prima cosa che mi chiedono le persone che non conoscono il nostro giornale: «Come mai si chiama Scarp de’ tenis?». A Napoli è un po’ difficile capirlo subito, è il dialetto milanese, quello che Enzo Jannacci utilizzò per la sua canzone in cui raccontava dei sogni d’amore di un barbone che portava le scarpe da tennis. Tanti anni fa, all’epoca della canzone, le scarpe di gomma non costavano tanto e poi erano comode per chi non aveva una casa, stava in mezzo alla strada e veniva chiamato barbone. Jannacci era un cantante, lo hanno definito poeta degli ultimi, perché raccontava con la musica le storie di persone dimenticate da tutti e di cui non parlava nessuno. Ma non era solo un poeta, era anche un medico molto apprezzato, che faceva il suo lavoro con molta umanità. Tutta l’Italia lo ha conosciuto da bravo cantante; per me non tutte le sue canzoni erano facili, però mi è sempre piaciuta la sua ironia e quando lo vedevo in tv pensavo sempre che aveva uno sguardo buono. Ora non c’è più, ma nessuno lo ha dimenticato, in particolare noi di Scarp, attraverso il nostro giornale che ha preso il nome da una sua canzone: Enzo Jannacci è sempre presente. Maria Esposito

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Il messaggio

Sensibili verso i più deboli, camminiamo nella sua canzone Un talento di grande sensibilità artistica ha lasciato il ricordo delle sue canzoni sui temi sociali. Enzo Jannacci, grande cantautore dagli anni Sessanta fino ai giorni nostri, ci ha lanciato un messaggio: bisogna essere sensibili verso i più deboli. Oggi, ricordandolo con queste poche righe dettate dal profondo del cuore, nella sua canzone prosegue il nostro cammino. Antonio Zacco


scarpnapoli

Il silenzio e l’attesa Silenzio:

tutto è zitto intorno

non si muove una foglia sono sola nella stanza

il paralume è rotto

La scoperta

Combatteva l’indifferenza, ora è entrato nella mia vita Enzo Jannacci, il cantautore che conoscevo solo perché qualche volta lo vedevo al Festival di Sanremo, senza volerlo è entrato nella mia vita. Sono uno dei tanti venditori che lavora a Scarp e vende il giornale in tante città italiane, siamo 150 cosiddetti “ultimi” e ci sembra naturale stare in una rivista che parla di noi e che porta un nome “inventato” da un artista che scrivendo canzoni raccontava le storie di persone emarginate dalla società del benessere. Da quel che ho potuto sentire dalle canzoni di Jannacci, ho pensato che era un uomo sensibile che cercava di aiutare le persone meno fortunate. Lo ha sempre fatto parlando di loro anche a chi di solito si gira dall’altra parte. Era il suo modo per combattere l’indifferenza: Jannacci usava le sue canzoni che sono belle, colpiscono e fanno riflettere più di tanti discorsi difficili. Ciao Enzo e grazie di tutto, non volendo sei entrato nella mia vita. Domenico Capuozzo

Il ricordo

Non lo capivo ma mi rallegrava e i malati gli volevano bene Ogni qualvolta mi accingo a presentare e proporre la rivista, non posso dimenticarmi dell’autore che, per aiutare le persone emarginate dalla società civile, ha dato il nome al giornale. Non ho un ricordo nitido di Jannacci, ma voglio esprimere qualche pensiero su di lui perché sono riconoscente non solo all’artista generoso, ma anche alla persona. Me lo ricordo simpaticissimo, allegro, divertente e persino quando interpretava canzoni in milanese riusciva a intrattenermi davanti alla televisione, anche se non capivo tutto il testo. Si vedeva da lontano che era un uomo semplice ed era amato sia da chi sceglieva le sue canzoni sia dai suoi ammalati. Sono sicurissimo che i suoi ammalati gli volevano bene. Era cardiochirurgo e con le sue mani e con l’aiuto di Dio dava al bisturi un tocco magico, che rassicurava i pazienti, che sicuramente si sentivano affidati a un medico competente e amorevole. Anche grazie a lui Scarp è un lavoro che riscatta tante persone che hanno subito ingiustizie e disagi, ma io non lo ricorderò solo per questo: non lo conoscevo personalmente ma posso dire che il suo esempio ha insegnato molto a tutti noi. Massimo De Filippis

è tutto scuro intorno a me nella mente scorrono idee,

pensieri,

sensazioni

mi rintano ancor di più nel calduccio

della coperta

e penso a te

che sei lontano.

Quando ritorni amore mio?

Vieni presto

a placare

le mie angosce,

è tutto buio intorno,

la clessidra

scandisce il ritmo.

Tu amore

non sei ancora arrivato e il tempo passa lento.

Maria Di Dato

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salerno Il circolo di Legambiente si conferma tra le realtà più attive del salernitano. Con tanti progetti per tutelare il territorio

Bici, orti e altre idee per una città vivibile di Antonio Minutolo

Amico mio Vedi amico mio la vita non è sempre bella, felice e spensierata, anche un gabbiano può essere infelice. Vola sul mare, si posa su un vecchio faro abbandonato triste e solitario. Sullo stesso promontorio ha visto giorni felici, c’era un faro bianco, bello e maestoso che guardava il mare in lontananza, e che ora il tempo ha fatto suo. E dice al gabbiano: non essere triste non fare come me, va, vola via felice, vivi e ama la vita.

Massimo De Filippis

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Il circolo Legambiente “Orizzonti” da anni è attivo nel territorio di Salerno con una serie di progetti importanti. È formato da un gruppo di giovani che fanno della salvaguardia del territorio il proprio cavallo di battaglia. Da quando la maggioranza della popolazione mondiale vive nelle città, l’ambiente di queste ultime (ma anche delle campagne da cui esse traggono le risorse) è in grave pericolo. Per fortuna, grazie all’operato di associazioni ambientaliste come Legambiente, nel corso dei decenni i problemi delle città moderne, come l’inquinamento atmosferico derivante dalle emissioni di abitazioni e industrie e dalla quantità enorme di auto che circolano, o la mole di rifiuti sempre più ingombranti e così via, vengono quantomeno tematizzati, se non affrontati. A Salerno, come in tutta Italia, dobbiamo non solo alle decisioni delle amlitto richiudersi in un’automobile. Noi ministrazioni comunali degli ultimi proponiamo di noleggiare una bicicletvent’anni, ma anche alle campagne di ta e di utilizzarla per tutta la giornata. In sensibilizzazione svolte da Legambienaltre città d’Italia l’utilizzo della bici è talte (e altre associazioni), se la qualità delmente diffuso da risultare scontato. Ma l’ambiente urbano è molto migliorata. qui, a Salerno, è pratica rara». Negli ultimi anni, la città ha raggiunto il Con il progetto di bike sharing, è primato nazionale nella raccolta diffepossibile noleggiare le bici, a prezzi conrenziata: si tratta di una vecchia battavenienti (2 euro la prima ora, 1 euro per glia condotta su scala nazionale da Leogni ora successiva, 10 per tutta la giorgambiente, che a Salerno ha visto protagonista per anni il circolo locale ed è stata poi messa in pratica da giunte comunali lungimiranti.

Progetti a 360 gradi Ma Legambiente Salerno propone vari altri progetti in città. «Uno degli obiettibi – spiega Gianluca De Martino, presidente di “Orizzonti” – è promuovere e sviluppare il più possibile il concetto di mobilità sostenibile. In città il traffico è consistente, e così l’inquinamento che ne deriva. Tutti si muovono in auto, in particolare dalle periferie verso il centro cittadino e in città, anche per brevi tratti, si utilizza l’auto. Legambiente sta cercando di contrastare queste abitudini, in vari modi. Compreso il progetto di bike sharing. In una città bella e panoramica come la nostra, nelle giornate di sole primaverili ed estive è quasi un de-


scarpsalerno nata) in sette punti della città: Ostello della Gioventù nel centro storico; bar Verdi in centro; negozio Eco Evolution nel quartiere Irno; mercatino dell’usato nel quartiere San Leonardo; infine negozio Marino Bici, La Bottegaia ed Eco Bistrot, tutti nel quartiere Pastena.

Metti un orto in città Non c’è però solo la mobilità sostenibile (in cantiere anche progetti di car sharing e car pooling) tra le attività di Legambiente Salerno. «Per noi è importante – prosegue De Martino – che il territorio sia a misura di cittadino, che questi possa usufruirne nel migliore dei modi. Ed è importante utilizzare il territorio nel modo più antico che conosciamo: coltivandolo. Non è utopia pensare di dedicare all’agricoltura aree inutilizzate della città. Lo stiamo facendo con il progetto “Orti urbani”: abbiamo avuto in comodato d’uso aree incolte della città, che abbiamo messo a disposizione dei cittadini per creare orti. Abbiamo realizzato oltre venti orti nel territorio comunale, ciascuno di circa 100 metri quadrati e dato in gestione a un cittadino. In ogni orto vengono coltivati vari prodotti che il cittadino utilizza per il proprio consumo o mette a disposizione della collettività. Speriamo di estendere il progetto: vogliamo incentivare la nascita di piccole cooperative di giovani agricoltori che valorizzino i prodotti tipici, a chilometro davvero zero, coltivati in questi orti».

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Puliamo il litorale Un momento della pulizia delle spiagge organizzata a Salerno dal circolo Orizzonti di Legambiente

Esperienze

Attivi con la “Rete dei giovani”, creativi con l’“Ecobistrot” Legambiente è una delle associazioni più attive in città; ma l’associazionismo in genere è una delle forze di Salerno, per quanto non sempre tale ruolo sia riconosciuto da tutti. Alcuni esponenti di Legambiente Salerno, tra cui il presidente Gianluca De Martino, da anni hanno costituito una realtà, denominata “Rete dei giovani per Salerno”, che si prefigge di promuovere eventi, attività sociali e culturali, rivolte prevalentemente ai giovani. E il concetto di giovane è da considerare in senso lato, dato che il motto del sodalizio è “Giovani di tutte le età”... La “Rete” ogni settimana invia una newsletter a quasi diecimila salernitani, in cui sono elencati gli appuntamenti più importanti, sociali e culturali, da seguire. La Rete, inoltre, gestisce contatti con quasi tutte le associazioni della città (di volontariato, assistenza, culturali, etc.), delle quali pubblicizza finalità ed eventi. Il concetto alla base della Rete dei giovani, come di Legambiente, è l’amore e la cura per il territorio, che si sostanzia nella promozione della cittadinanza attiva. Sono tante le attività organizzate e promosse: tra queste, l’accoglienza ai turisti croceristi (decine di migliaia) che approdano a Salerno a bordo delle navi, due giorni a settimana; ancora, la pulizia di spiagge e fondali del litorale salernitano (in collaborazione con Legambiente), che coinvolge all’inizio di ogni estate centinaia di ragazzi dei centri di aggregazione della città, ragazzi spesso “a rischio”, che vengono così educati ai valori sani della tutela dell’ambiente. Significativi sono poi gli eventi organizzati per gli studenti stranieri del progetto Erasmus (varie centinaia ogni anno a Salerno), in collaborazione con le associazioni del settore. Ora la Rete dei giovani sta per lanciare un nuovo progetto: una testata giornalistica, denominata Citizen Salerno e costituita da un quotidiano on line e una web tv; argomento principale della testata (a partire dal nome, che vuol dire cittadino, in inglese) sempre la cittadinanza attiva, con particolare riferimento alle segnalazioni di disservizi da parte dei cittadini e alle idee e proposte di questi ultimi. La Rete dei giovani per Salerno e Legambiente Salerno si riuniscono solitamente in un bar ristorante nato pochi mesi fa in città, che per la sua particolarità merita una menzione. Si chiama “Eco Bistrot” ed è stato costituito da alcuni soci del circolo Legambiente di Salerno; è un ristorante, pub, caffetteria, arredato con materiale riciclato, che propone ricette a base di prodotti del commercio equo e solidale e a chilometro zero (tipici della provincia). L’Eco Bistrot è sito nel rione Pastena; “Eco” sta per “ecologico”, ma anche per “economico”: nella struttura vi è un’area dedicata alla lettura di libri e giornali, con una fornita libreria, dove è possibile effettuare il book crossing (scambio di libri) gratuito; il locale è inoltre a disposizione gratuitamente per qualunque associazione salernitana che abbia necessità di effettuare riunioni. Vi si svolgono iniziative di carattere sociale (incontri di sensibilizzazione e confronto) e culturali (cineforum a tema, sempre a ingresso gratuito, oltre a mostre di pittura o fotografiche e concerti di giovani band). Come si vede, basta poco per fare qualcosa di importante in una città; anche un semplice locale di ristorazione può diventare luogo di aggregazione e crescita sociale. E fucina di nuove idee. Basta poco per migliorare la società: basta crederci e impegnarsi attivamente. Michele Piastrella ottobre 2013 scarp de’ tenis

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catania Emanuele Feltri e la sua azienda agricola biologica combattono, in un’oasi naturale, contro i soprusi della criminalità organizzata

La fattoria non cede alla mafia di Ausilia Domenica Costanzo «Vi siete mai chiesti perchè da tre settimane scrivo i miei post la notte? Avete guardato bene la mia faccia ogni giorno sempre più scavata? Avete idea di quello che sogno non appena provo a chiudere gli occhi un attimo? Sapete che la persona che amo sopra ogni cosa mi ha lasciato probabilmente per paura? Io non sono un “eroe per caso”, io sono un uomo che sogna continuamente la morte. Io sono un uomo che ha paura e nonostante tutto questo cerco disperatamente di rimanere attaccato alla vita. Sono un uomo che crede nei valori che lo hanno reso tale. E come un buon capitano durante la tempesta tengo saldo il timone pregando Dio di riuscire a superarla». Si sfoga con queste parole, tramite un social network, Emanuele Feltri quando, rientrando nella sua azienda agricola di Sciddicuni, contrada nella valle del fiume Simeto, trova i suoi agnelli uccisi a fucilate e la macabra scena della testa mozzata di uno di essi esposta all’ingresso di casa. Chi conovita locale, che della vallata detiene il sce il linguaggio della mafia lo sa: è un controllo assoluto, utilizzandola come chiaro avvertimento. discarica a cielo aperto; infatti la zona è Emanuele è un giovane perito agrainvasa dai rifiuti tossici. Nonostante le rio siciliano di 33 anni, che due anni fa minacce subite, il giovane ha continuaha deciso di acquistare una campagna a to con tenacia a perseguire i suoi obietPaternò, nell’oasi del Simeto, provincia tivi. Nel tempo ha denunciato vari abudi Catania, sud dell’Etna, con l’intento si, come la presenza di microdiscariche di farne un’azienda agricola biologica e nell’oasi, bracconaggio, incendi mirati un centro per il turismo rurale. Subito è per creare pascolo, sostanze tossiche stato costretto a fare i conti con la malasversate nel fiume, scarichi fognari non

a norma, tombaroli che di notte prelevano dalla zona archeologica, migranti sfruttati in nero, oltre alla richiesta di pizzo nelle campagne, espressa sottoforma di “guardiania”. La vicenda di Emanuele ha suscitato grande emozione: in lui si manifesta la speranza di un futuro in cui la gente di Sicilia sia capace di ribellarsi ai soprusi della mafia e sia libera dalla paura. Per questo la redazione catanese di Scarp ha deciso di incontrare Emanuele e farsi raccontare da lui la sua storia. Emanuele quando e come nasce in te l’amore per la campagna? Fin da piccolo ho amato visceralmente la natura, la terra, le tradizioni contadine. Ma la scintilla è scattata quando ho conosciuto padre Felice Scalia, fondatore del Meg (Movimento eucaristico giovanile ) che mi ha portato a entrare in contatto con gli “ultimi”. Così nella mia mente si è delineata chiaramente un’idea: lavorare la campagna in un’ottica comunitaria e di collaborazione reciproca, vivendo dei prodotti della terra. Qual è stato il primo passo? Ho venduto il mio appartamento a Catania per acquistare un terreno nella valle del Simeto. Ho deciso di comprarlo dopo aver conosciuto ragazzi che in quella zona hanno dato vita a un’associazione culturale. Avevo il sogno di dar vita a una fattoria didattica: il fatto che il terreno si trovasse di fronte un’oasi naturalistica mi è parso perfetto. Quando ti sei accorto dei problemi della vallata? Subito mi sono accorto che l’oasi è terra di nessuno. In sostanza è una discari-

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scarpcatania ca a cielo aperto, ma nonostante il contrasto tra una natura bella e la presenza di rifiuti, ho deciso di provare a ripristinare il “Paradiso perduto“.

Perito anti mafia Emanuele Feltri si batte per difendere la sua azienda, l’ambiente e la legalità nella valle del Simeto

Hai avuto compagni di viaggio? Inizialmente eravamo in tre, ma poi sono rimasto solo, perché sapendo della mafia rurale presente nella zona gli altri hanno avuto paura e hanno deciso di abbandonare il progetto. Qual è il sogno che ti muove? Il mio desiderio è creare un’azienda multipla: biologica (pratica di un’agricoltura attenta al territorio), zootecnica (per via dell’allevamento di asinelli ragusani, utili per la produzione del latte e per il trekking in valle), culturale (per

La parrocchia

Santa Maria del Carmelo, mi sento come tra parenti... La parrocchia Santa Maria del Carmelo si trova nel quartiere Canalicchio, alla periferia di Catania, in una zona circondata dal verde e molto tranquilla, pur essendo molto transitata dai veicoli in entrata o in uscita dalla città. Il parroco, don Francesco Leonardi (nella foto con l’autore dell’articolo) è uno di quei sacerdoti che mi fanno sentire a mio agio, ogni volta che vado a proporre la vendita di Scarp. Anche il viceparroco, don Gianluca Giacone, è molto amato dai parrocchiani, per la sua disponibilità e la sua affabilità. Ascolto le loro omelie sempre con molta attenzione per un semplice motivo: arrivano dirette al cuore, senza essere mai banali. La parrocchia è molto organizzata in ogni tipo di attività, in particolare quelle che coinvolgono i ragazzi. E in questo, entrambi i sacerdoti sono veri e propri maestri. Sono tantissime le persone che in comunità svolgono compiti importanti: c'è chi porta la comunione negli ospedali o nelle case, alle persone che non sono in grado di venire a messa. C’è chi si interessa di raccogliere fondi per iniziative importanti come la nostra, chi organizza altre attività di gruppo. Noto sempre con grande piacere che tutti rispondono a ogni genere di invito, come se fosse un’unica famiglia. Lo scorso 20 giugno, in occasione del decimo anniversario del suo sacerdozio, padre Francesco mi ha invitato. Ciò che più mi ha gratificato, oltre al gentile pensiero, è stato il fatto di seguire la messa dai uno dei posti sistemati attorno all’altare dove, oltre al viceparroco e ai vari ministri di Dio, erano seduti anche i suoi parenti. È stata una grande emozione, che porterò per sempre nel cuore, perchè sono molto legato a questa piccola ma immensa comunità, dove ci si sente come tra amici, forse tra parenti, e dove tutti hanno sempre una parola di conforto per chi è meno fortunato. Roberto De Cervo

scoprire e promuovere le tradizioni contadine) e turistica (dando vita a percorsi rurali che portano alla scoperta di paesaggi mozzafiato e a fare in modo che la valle non sia più sconosciuta e quindi abbandonata alla malavita). Mi piacerebbe sia anche sociale, ossia un’azienda che, mettendo insieme gli elementi sopra menzionati, diventi un esempio, soprattutto in un periodo di crisi economica e di valori come quella che ci troviamo ad affrontare. Le dinamiche mafiose a Paternò ti hanno colto di sorpresa? Assolutamente no. Ho avuto modo di lavorare in altre aziende rurali e, purtroppo, devo dire che la mafia è un cancro che investe l’intera Sicilia. Le istituzioni ti sono vicine? Spiace dirlo, però l’unica persona che si è impegnata per me è Mauro Mangano, sindaco di Paternò. Per il resto vi è totale disinteresse da parte delle istituzioni e, inoltre, vi sono politiche che incrementano la sfiducia degli agricoltori. Hai mai pensato di mollare? Ho avuto momenti difficili, soprattutto in seguito alle minacce subite, ma nonostante la paura non ho mai pensato di gettare la spugna, sarebbe la strada più facile. Credo in questo sogno. Ti senti un po’ eroe? Neanche un po’. Porto avanti i miei ideali e vivo la mia vita con coerenza e senza compromessi. Tutto qui.

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ottobre 2013 scarp de’ tenis

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poesie di strada Il tempo passa Il tempo passa ma non l’amore che se incomincia a camminare nel labirinto del tuo cuore non ne sa uscire più. Il tempo passa bacia la luna e il sole. Accarezza la pelle senza far rumore. Il tempo passa in questo posto buio dove ogni volta cerchi la luce che non passa più. Cerchi chi ami, ma il tempo passa. Hai una chiave, ma sei chiuso in una sfera di cristallo che non ha porte d’aprire, puoi solo guardarci attraverso e capire… capire cosa? Che il tempo passa. Il tempo passa molto lentamente, ma non fa niente, perchè alla fine del tempo ci sei tu.

Fabio Schioppa

Infinita Strada dolcezza dei sogni Come d’incanto una fata veduta, da un’altra galassia venuta; per occhi aveva due smeraldi attraverso i quali si potevano percorrere immense praterie fino a giungere al sentiero che conduceva in cima a una grande collina e come un suono d’orchestra formata da soli violini mi giungeva la sua voce dolcissima, divina, e sotto una leggera brezza il suo essere composto d’infinita dolcezza produceva un’alta cascata di puro miele riuscendo ad addolcire tutto intorno, perfino il fiele e cercando di sapere chi ella sia il mio cuore un nome mi suggeriva, il mio cuore un nome mi dettava, e tutt’ora mi detta, il nome della dolcissima Simonetta. Mr. Armonica

La strada dei sogni è fatta di luna, la vedo apparire ogni sera nascosta tra le foglie di lauro, la spio, vi balzo, così più non so che ho bianchi i capelli, mi ritrovo all’età dell’amore. È dolce riandare alla vita passata, rifare coi sogni i sogni perduti. La strada dei sogni è fatta di luna, di luce di luna sull’acqua di lago che nera d’attorno ti aspetta se appena ti fermi. M’inoltro pian piano, vi godo la gioia finita, vi spero la gioia a venire. Il pianto si perde nel nero profondo dell’acqua del lago. Ora l’ombra del monte nasconde già un poco di luna, la strada di luce si accorcia conviene ritornare. Veloce il pensiero alla vita che attende alla sponda portato sull’ultimo raggio di luna che passa sull’onda. Gaetano Toni Grieco

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ventuno Ventuno. Come il secolo nel ventunodossier Le auto ecologiche quale viviamo, come l’agenda hanno un buon mercato in Italia. per il buon vivere, come Ma anche i veicoli a basse emissioni l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. esercitano un impatto sull’aria e Ventuno è la nostra sull’ambiente. Perché le nostre città idea di economia. Con qualche proposta per continuano a restare ostili alle bici? agire contro l’ingiustizia e di Andrea Barolini l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

ventunosocietà A Milano tra i piccoli imprenditori il nome più ricorrente è Mohamed. Effetti della crisi, ma anche profonde trasformazioni in corso: qual è il peso dell’imprenditoria straniera?

21 di Marta Zanella

ventunorighe Lotta alla povertà, sperare non basta

di Francesco Marsico responsabile area nazionale di Caritas Italiana

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21ventunodossier Il mercato di veicoli ecologici è in crescita. Lenta. A basse emissioni, ibridi, elettrici: opzioni per una mobilità sostenibile

Come sarà verde la mia macchina… di Andrea Barolini

In Italia le “auto verdi” hanno buon mercato. Ma anche i veicoli a basse emissioni non sono privi di impatto sull’aria che respiriamo. E le automobili “full electric” stentano ad affermarsi, anche per gli alti costi. Intanto le nostre città risultano essere molto indietro nei confronti del resto d’Europa nel favorire le biciclette, unico mezzo davvero pulito…

60. scarp de’ tenis ottobre 2013

Potenzialità e limiti dei veicoli ecologici

Zero emissioni? Frontiera remota Basta affacciarsi alla finestra su una via trafficata delle nostre città, o dare un’occhiata ai valori dell’inquinamento atmosferico delle centraline che monitorano biossido di carbonio o polveri sottili, per intuire che la prospettiva che abbiamo di fronte è ormai tracciata. Una vera e propria rivoluzione nel modo di spostarci, per andare al lavoro, in vacanza o da qualsiasi parte, è alle porte. Alt, però: questo non significa che da domani, né dal prossimo anno, potremo dire addio ai gas di scarico e allo smog. Occorrerà capire (fattore di non poco conto!) quanto tempo le amministrazioni locali e i governi centrali – ma anche istituzioni sovranazionali, a cominciare dall’Unione europea – impiegheranno per arrivare alla stessa conclusione. E, soprattutto, per ideare e rendere operative soluzioni concrete. Ciò che è evidente, però, mobili immatricolate in Italia nel 2012 è che la transizione verso una mobilità sono tra le più basse d’Europa e – assiesostenibile è ineluttabile. me a quelle di Belgio, Danimarca, Francia, Grecia, Irlanda, Malta, Olanda, Portogallo e Spagna – si trovano già al di sotUn quintale di biossido to dei limiti fissati dalla Commissione Né i nostri centri urbani, né – soprattutto – i nostri polmoni potranno infatti pereuropea per il 2015». Un quadro che mettersi di continuare a sfruttare a lungo sembra roseo. Ma non tutti hanno avuto mezzi di trasporto che si basano su tecla pazienza di fare un piccolo calcolo. nologie vecchie ormai di un secolo. Ma – Proviamoci, partendo da un dato: la ci si domanderà – non è forse vero che media delle emissioni di biossido di carnegli ultimi decenni le evoluzioni tecnobonio (noto anche come anidride carbologiche, sia in termini di nuovi motori, sia nica) di una vettura italiana è pari a 126,2 in termini di gas di scarico (a cominciagrammi per chilometro. Basta rifletterci re dalle marmitte catalitiche), hanno un attimo: un etto e 26 grammi ogni milcontribuito in modo determinante ad le metri, senza contare che molte auto abbattere le emissioni nocive delle nooggi in circolazione inquinano molto di stre auto? Sì, è vero. Come è vero che – più di tale cifra. Immaginiamo allora una secondo il rapporto Monitoring CO2 famiglia che si sposta per andare in vaemissions from new passenger cars in the canza – poniamo – da Milano al mare EU, stilato dall’Agenzia europea per della Toscana, percorrendo 350 chilomel’ambiente (Eea) – «le emissioni medie di tri: un viaggio neppure troppo lungo. Ananidride carbonica attribuibili alle autodata e ritorno, fanno 700 chilometri. Ag-


mobilità sostenibile

giungiamone altri 100 per i piccoli spostamenti sul posto, e moltiplichiamo il totale per 126,2. Complessivamente, il viaggio sarà costato all’ambiente qualcosa come più di 100 chilogrammi di biossido di carbonio. Avete capito bene: un quintale di CO2 per un solo viaggio, di una sola famiglia, con una sola automobile. Se si allarga il discorso alle decine di milioni di viaggiatori europei, si comprendono le ragioni di chi chiede un cambiamento ben più radicale. Fin qui le notizie negative. Provando però a essere ottimisti, si può ad analizzare il modo in cui si sta muovendo il mercato “alternativo”, ovvero quello delle cosiddette “auto ecologiche”. Per prima cosa, occorre sottolineare che sulla stessa definizione di “veicolo ecologico” si potrebbe aprire un ampio dibattito. Deve essere chiaro, infatti, che tutte le auto prevedono un “consumo” e una dose di inquinamento. Persino quelle elettriche: il “carburante” che usano, infatti, deve essere stato a sua volta prodotto in qualche modo. E se immaginiamo un’auto elettrica che non produce alcuna emissione di biossido, ma che sfrutta energia prodotta da una centrale a carbone, capiamo che il paradosso è sempre dietro l’angolo, e che dunque è necessaria una strategia complessiva.

Compromesso ibrido Detto ciò, più ancora che quelle a gas metano o gpl, sono proprio le auto elettriche quelle che abbattono maggiormente le emissioni, per lo meno le nocive. In Europa, spiega ancora la Eea, nel 2012 le immatricolazioni di nuovi veicoli solo elettrici sono state 14 mila (erano circa 700 nel 2010). I risultati migliori sono stati registrati in Francia (oltre 5.500 veicoli lo scorso anno) e Germania (poco meno di 3 mila). Non stupisce che, parallelamente, una delle prime case a lanciarsi sul mercato dell’ibrido elettricobenzina (non elettrico “puro”, dunque), la Toyota, sia riuscita a vendere (a partire dal suo lancio, nel 1997) ormai ben 3 milioni di Prius, la prima auto con motore ibrido, che in città si muove in parte grazie al solo motore elettrico. Ma per quale ragione un successo così netto dell’ibrido non ha trascinato con sé anche il full-electric? La risposta è che le auto completamente elettriche presentano ancora, per gli utenti, una serie di problemi oggettivi e a volte insormontabili: le “paline” per le ricariche (i “benzinai” elettrici) sono ancora rare nel nostro paese, i tempi di ricarica elevati, le velocità spesso limitate, così come l’autonomia in termini di percorrenza. Proprio per questo, le ibride rappresentano di fatto un compromesso che, seb-

bene debba essere considerato transitorio, garantisce alcuni obiettivi minimi dal punto di vista ambientale, e va sufficientemente incontro, al contempo, alle esigenze degli automobilisti. Prendiamo ancora, a titolo esplicativo, il motore della casa giapponese (che equipaggia anche la Yaris, più piccola, meno cara e migliore per la città rispetto alla Prius). Il suo punto di forza è stato sempre quello tecnologico: per ricaricare le batterie elettriche non c’è bisogno di trovare paline disponibili, né si è vincolati ai limiti di percorrenza imposti dalle batterie. La ricarica è infatti automatica, e si aziona ogni volta che si frena o si decelera, tramite un sistema di recupero dell’energia (quest’ultima, altrimenti, schiacciando un pedale del freno tradizionale, verrebbe dissipata in calore). Il sistema che la casa nipponica ha lanciato è stato inoltre migliorato negli anni, e le sue auto ibride oggi hanno un tasso di emissioni di biossido pari a 89 grammi al chilometro (che resta comunque alto, secondo il ragionamento fatto in precedenza!).

Trend in crescita, ma… Insieme alla Toyota, un altro marchio come Ford ha ottenuto ottimi risultati nei primi mesi del 2013 per quanto riguarda i veicoli ibridi: il produttore ha già superato a livello globale le vendite del 2011 (che erano pari a 35.496 unità), segnando un +375% rispetto ai primi 5 mesi del 2012. In particolare – secondo il mensile specializzato Quattroruote – negli Usa le vendite delle Fusion ibride sono aumentate di circa il 70%, mentre quelle delle CMax ibride del 63%. Sempre negli States, solo a maggio sono state vendute 60 mila auto ecologiche (+30% rispetto al mese precedente): anche oltreoceano la Toyota resta leader del segmento, ma ottimi risultati sono stati raggiunti dalla Leaf (+319,22%) proposta da Nissan. In Francia, invece, si fa largo la Renault Zoe (100% elettrica), della quale nei primi sei mesi del 2013 sono stati venduti 2.830 esemplari (a cui si aggiungono i 1.730 della versione elettrica della Kangoo). Il trend, insomma, è in crescita: le immatricolazioni di Afv (Alternative fuel vehicles, veicoli ad alimentazione alternativa) sono cresciute in Europa del 51% tra il 2011 e il 2012. Per una volta, inoltre, l’Italia risulta essere il paese con i dati più ottobre 2013 scarp de’ tenis

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ventunodossier

lusinghieri: +85%, in gran parte però grazie alle vendite di auto a metano e gpl, che rientrano nella categoria. Si tratta dunque di un autentico boom verde? Ancora occorre essere cauti. Benché infatti – secondo i dati pubblicati dall’associazione Ruoteperaria – da inizio anno fino alla fine di giugno siano state immatricolate nel nostro paese, in totale, 6.869 vetture ibride e 402 elettriche, tale quota rappresenta ancora, rispettivamente, solo lo 0,94% e lo 0,05% del totale delle auto vendute in Italia. Di strada, insomma, c’è n’è ancora davvero molta da fare. Non a caso, il miglioramento dell’efficienza dei motori termici tradizionali (benzina e diesel), insieme alla diffusione più marcata delle auto ecologiche (nel loro complesso, non solo elettriche) ha consentito nel 2012 di diminuire l’emissione media di biossido di carbonio da parte delle auto in circolazione in Europa solamente del 2,6% rispetto all’anno precedente.

Quanto costa l’elettrica? L’analisi, dunque, indica che i veicoli elettrici o ibridi si stanno facendo largo nel parco auto italiano ed europeo, ma anche che i numeri sono ancora troppo

magri. Scarsa coscienza del problema tra gli utenti? Forse. Non si può non tenere conto, però, che oltre alle ragioni elencate in precedenza, esiste un ulteriore ostacolo allo sviluppo dell’elettrico: il nostro portafogli. Spesso, infatti, i prezzi delle auto prive del classico motore termico a benzina o diesel sono ancora troppo elevati per essere considerati concorrenziali rispetto a quelli dei veicoli “tradizionali”. Si tratta di un dato indiscutibile, che chiama in causa una volta di più i governanti (che potrebbero incentivare le tecnologie più eco-compatibili), così come i produttori, che dovrebbero “aggredire” con maggiore determinazione il mercato, spingendo sulla ricerca tecnologica. Eppure esistono già oggi casi in cui, nonostante listini non proprio economici, il mezzo elettrico può costituire un’alternativa vantaggiosa. Uno studio pubblicato a gennaio dalla rivista Altroconsumo ha infatti evidenziato che il costo di un pieno per un Ev (electric vehicle) non supera i 2-3 euro. Inoltre – sottolinea un’analisi di SuperMoney, pubblicata dal portale Rinnovabili.it – si deve considerare un risparmio del 30% sulla polizza auto, e del 100% in termini di imposte: le elettriche sono esenti infatti dal paga-

Bicicletta, questa sconosciuta

Pigrizia, distanze, città ostili: l’Italia non pedala abbastanza Un mezzo di trasporto completamente ecologico, e ancora poco sfruttato in Italia, è la bicicletta. Se, infatti, in Olanda il 27% degli spostamenti urbani – cifra record in Europa – viene effettuato pedalando, i dati del nostro paese sono davvero molto più bassi. In Danimarca, infatti, la cifra è pari al 18%, in Svezia raggiunge il 12,6%, mentre la media europea si attesta al 9,45%: percentuale più che doppia, rispetto a quella raggiunta nella penisola. Pigrizia? Impossibilità di usare le due ruote per via delle distanze percorse? O forse colpa delle amministrazioni comunali, che in molti casi non hanno di certo creato città e paesi “a misura di bici”? La verità, come spesso accade, sta nel mezzo. O meglio piccole città del nord Europa (da Turku nel mix di tutte le ragioni che ci allontaad Aalborg, da Tampere a Aarhus), che nano dalle due ruote. offrono reti di piste ciclabili superiori ai I dati sono contenuti in un rapporto 300 chilometri. di Legambiente, intitolato L’a-bici, pubMa non sono solo le realtà di dimenblicato nel 2010, nel quale si sottolinea sioni più contenute a essersi attrezzate come numerosi altri paesi del vecchio per incentivare l’uso delle bici. Un esemcontinente abbiano deciso da molto pio concreto è quello della capitale fintempo di puntare sulla mobilità non molandese Helsinki, che possiede la rete citorizzata (nonché sul trasporto pubbliclabile di gran lunga più estesa rispetto co, dal momento che spesso le due cose alle altre grandi città del continente, pavanno di pari passo). È il caso di tante

62. scarp de’ tenis ottobre 2013

ri a oltre 1.500 chilometri. Anche Stoccolma e Hannover, con circa 750 chilometri, non sfigurano di certo. E si registrano casi virtuosi anche nelle metropoli, tra le quali spiccano Vienna e Monaco di Baviera. «Anche prendendo in considerazione soltanto le migliori esperienze del nostro paese – osserva Legambiente – il confronto con le città tedesche e del Nord Europa è impari». Torino, infatti, fiore all’occhiello dell’Italia, ha una rete ciclabile che non supera i 175 chilometri, mentre Roma arriva solo a 115.

Amsterdam, la migliore La capacità di una città di rendersi “amica delle due ruote”, inoltre, non si misura solo in termini di chilometri di piste a disposizione. La Copenhagenize Design


mobilità sostenibile

Tabella 1

Immatricolazioni nell’Ue per tipologia di motore (%) Anno

2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012

Benzina

59,2

55,5

51,9

50,7

49,4 47,3

47,4

51,1 45,3 43,4 42,9

Diesel

40,7

44,4

47,9

49,1

50,3 51,9

51,3

45,1 51,3 55,2 57,9

0,1

0,1

0,2

0,3

Afv

0,3

0,7

1,3

* Gli Alternative fuel vehicles includono le auto ibride, le elettriche e quelle alimentate a gas

mento della tassa di proprietà (il bollo) per i primi cinque anni. Superata tale soglia, ma soltanto in alcune regioni, si paga il 75% dell’imposta. Facciamo allora due conti, paragonando due auto della stessa casa: l’elettrica C-Zero e la C1 a benzina, entrambe Citroen. In termini di costi, per il carburante occorre considerare, per 100 chilometri percorsi, 1,5 euro per la C-Zero e 8,6 per la C1. Una differenza notevole, che si affianca ad altri vantaggi: gli Ev possono girare liberamente nelle zone a traffico limitato. Il che, ad esempio, in un comune come Milano, significa arrivare a risparmiare fino a 5 euro al giorno, potendo varcare senza problemi i confini dell’Area C. Discorso identico per le cor-

sie preferenziali o per i giorni di blocco del traffico, che non riguardano le auto elettriche. Queste ultime, infine, non pagano il parcheggio sulle strisce blu.

Accontentarsi dell’ibrido Occorre dunque valutare con attenzione se tali vantaggi sono in grado di compensare l’investimento iniziale, che sempre secondo Altroconsumo, è comunque compreso tra i 30 e i 40 mila euro. Di fatto, ciò che risulta è che per abbattere i costi di acquisto occorre utilizzare l’auto per almeno 200 mila chilometri. E qui sorge un altro problema: le batterie hanno una durata di vita di circa 100 mila chilometri. A quel punto bisogna perciò sostituirle, pagando fi-

3,8

3,5

1,4

no ad altri 10 mila euro. Ne sorge, ancora un volta, un monito alle autorità pubbliche, affinché si impegnino al fine di rendere la tecnologia alla portata di una porzione ben più ampia di cittadini. Nel frattempo, come detto, possiamo accontentarci dell’ibrido (si può comprare una Yaris ibrida, ad esempio, con circa 18 mila euro). Senza dimenticare, però, che se si viaggia spesso in autostrada il risparmio delle macchine elettrico-benzina è praticamente azzerato, dal momento che l’auto, oltre una certa velocità, viaggia solamente grazie al motore termico. E tenendo ben presente che le soluzioni migliori per l’ambiente restano bici, scarpe e mezzi di trasporto pubblici…

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Tabella 2

Tabella 3

Chilometri percorsi ogni giorno in bicicletta da ogni abitante

Piste ciclabili nelle città europee

Danimarca Olanda Belgio Germania Finlandia Svezia Irlanda Austria Italia Francia

Fonte: Legambiente, L’a-bici, 2010

2,6 2,3 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,4 0,2

Co., azienda di Frederiksberg, in Danimarca, specializzata nella promozione dell’uso della bicicletta, ha stilato una classifica delle città europee basandosi su una lunga serie di criteri. Tra essi, figurano la qualità e la quantità delle infrastrutture, la sicurezza, la pianificazione

2,2

(metri per 100 abitanti)

urbana, o ancora le misure di riduzione del traffico adottate. La realtà più virtuosa, secondo tale analisi, è Amsterdam, le cui infrastrutture sono considerate praticamente perfette, e che ha puntato sull’istituzione di numerose aree con velocità massima di 30 chilometri all’ora per i veicoli a motore, scelta che ha reso molto più sicuro muoversi sulle due ruote. L’unico neo, paradossalmente, è il “traffico” eccessivo di biciclette nel centro storico, che è relativamente piccolo e risulta, soprattutto in alcune ore del giorno, intasato dai cittadini in sella. Purtroppo, nella classifica del Copenhagenize Design, non figura alcun centro urbano italiano. Tra le venti città

Helsinki Hannover Stoccolma Goteborg Copenhagen Vienna Monaco Dresda Berlino Parigi Londra Milano Roma

Fonte: Legambiente, L’a-bici, 2010

297 150 95 75 70 62 57 57 20 15 5 4 4

“premiate”, invece, ci sono Parigi, Barcellona, Copenaghen, Berlino, Dublino, Tokyo, Montreal, Budapest e Rio de Janeiro.

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21ventunosocietà El sciur padrun si chiama Maometto Tra i piccoli imprenditori di Milano, Mohamed è il nome più diffuso. Sono sempre di più le aziende con titolare straniero: molte partite Iva figlie della precarietà, ma ci sono anche esperienze solide e innovative di Marta Zanella

Imprenditori a prova di crisi 233 mila le aziende in Italia con titolare straniero nel 2012, erano 167 mila nel 2007

16,4% i marocchini titolari d’azienda sul totale degli imprenditori stranieri; seguono rumeni (15,4%), cinesi (14,7%) e albanesi (10,3%)

9 i mesi di maggior durata di una piccola azienda milanese con titolare straniero, rispetto a quella con titolare italiano

quasi 1.600 le piccole aziende milanesi guidate da un Mohamed, quelle capitane da un Giuseppe sono meno di 1.400 Fonti: Camera di Commercio di Milano, Cna, Istat

64. scarp de’ tenis ottobre 2013

La notizia è di quelle leggere, che incuriosiscono e fanno colore. E che però raccontano qualcosa di profondo, trasformazioni di struttura della società italiana. Dagli elenchi della camera di Commercio di Milano relativi al 2012 è risultato che il nome più diffuso tra i piccoli imprenditori milanesi non è Francesco, né Luigi. Anche Giuseppe, che fino allo scorso anno era in testa alla classifica, è scivolato al secondo posto. L'imprenditore milanese “tipo” si chiama come il profeta (dell’islam): Mohamed. Sono quasi 1.600, infatti, le imprese individuali milanesi il cui titolare porta questo nome, 275 in più rispetto all'anno precedente. I padroncini che all’anagrafe fanno Giuseppe, primo nome italiano in classifica, sono ormai oltre 200 in meno. E tra i primi 15 nomi di imprenditori, per la prima volta spunta anche Ahmed, che rispetto all'anno precedente registra un aumento del 3%. Al quarto posto della classifica c’è il primo nome di donna

imprenditrice: è Maria. Ma anche in questo caso qualche sorpresa c’è, perché delle 1.095 che portano questo nome, quasi una su dieci è straniera. Nella top ten dei nomi delle imprenditrici meneghini compare poi anche la signora Hu, che registra un aumento della diffusione del 3% rispetto al 2011.

Imprese che durano di più Certo, quello dei piccoli imprenditori è solo uno spicchio della società. E conviene ricordare che anche tra i “comuni cittadini” registrati all’anagrafe qualche segnale si era già colto, quando in estate il comune di Milano aveva stilato la classifica dei cognomi più diffusi, nella quale, ai primi due posti, si registrava un testa a testa tra i Rossi e gli Hu. Ma al di là della curiosità, cosa sta realmente accadendo nel mondo della micro e piccola imprenditoria? «Il dato certo è che, mentre diminuiscono a causa della crisi le partite iva con


immigrati imprenditori Mohamed 1

Il laureato che posa pavimenti: «Non devo pregare per farmi pagare»

titolare italiano, continuano invece ad aumentare, anche se in modo più moderato, le imprese con titolare straniero – commenta Maurizio Ambrosini, sociologo delle migrazioni all’Università degli studi di Milano –. Il capoluogo lombardo è un caso tipico, dove il saldo tra imprese che aprono e attività che chiudono è attivo per merito degli immigrati. Se considerassimo solo le imprese con titolare italiano, il bilancio chiuderebbe in rosso». Le imprese straniere nella realtà metropolitana e nella provincia di Milano, cioè quelle con almeno il 50% dei proprietari non nati in Italia, sono oltre 34 mila, circa il 12% del totale; nel resto della Lombardia sono il 9,9% del totale, mentre a livello italiano raggiungono l’8,4%. Nel corso dell’ultimo anno, a Milano sono cresciute del 7,4%: in numeri assoluti, 2.523 imprese in più. Complessivamente occupano quasi 74 mila addetti, pari al 4% del totale degli occupati. Un altro dato è inte-

ressante è la durata nel tempo. Rispetto a quelle con titolare italiano, le imprese dei “Mohamed” ambrosiani durano in media di più (quasi 9 mesi in più), dato che addirittura raddoppia se i titolari sono marocchini, egiziani ed ecuadoregni. «Una delle cause di questa resistenza è la necessità di mantenere il permesso di soggiorno – spiega il sociologo Ambrosini. –. L'immigrato a volte si accontenta per più tempo di un'attività che galleggia appena, perché non avere un lavoro significherebbe perdere i documenti, e perché a differenza dell'italiano non ha una famiglia alle spalle che può aiutarlo ad ammortizzare un periodo di disoccupazione».

Edilizia e piccolo commercio A Milano città, come spesso accade nella galassia dell’immigrazione, il fenomeno dell'imprenditoria con passaporto straniero è più accentuato rispetto al resto della penisola. A livello

La storia potrebbe essere una tra le tante dei giovani precari in Italia, oggi. Gli studi, la laurea, la difficoltà di trovare lavoro, un contratto temporaneo dopo l’altro, pur di fare il lavoro per cui si è studiato. E poi, a 31 anni, la scelta di aprire partita Iva e provare a farcela da solo: da autonomo, imprenditore di se stesso. Eppure lui non è sicuramente il tipico giovane che ci si immagina davanti a questa descrizione. Perché si chiama Mohamed, è egiziano, e in Egitto si è laureato una decina d’anni fa, con una specializzazione che da noi è considerata poco più che un lavoro manuale. La sua formazione riguarda la posa di pavimenti, e su questo fronte è preparato. Ma nel suo paese non trovava lavoro così ha tentato l’avventura all’estero. «Sono arrivato a Milano otto anni fa e ho iniziato subito a darmi da fare nel settore, ma il mio, qui in Italia, è considerato un lavoro edile non specializzato. Insomma, in questi anni ho fatto l’operaio, praticamente sempre con contratti a termine». All’inizio si lavorava, ma dal 2008, con l’avvento della crisi, le cose sono cambiate. «I padroni hanno iniziato a pagare un mese sì e uno no, con la scusa che non c'era lavoro, che le spese erano tante. Gli ultimi anni ho fatto davvero fatica», sospira Mohamed. Il quale, otto mesi fa, ha deciso di fare da sé, ha aperto la partita Iva e si è messo in proprio, lavorando in coppia con il fratello. Tecnicamente, ora, è considerato un piccolo imprenditore. Uno dei 275 “signor Mohamed” che nel 2012 hanno aperto un'impresa a Milano, irrobustendo il nucleo dei Maometto capitani d’azienda, e la sua attività è una delle 34 mila imprese che a Milano hanno un titolare straniero. Resisterà alla crisi? La statistica dice che la sua impresa vivrà più a lungo di quella aperta da Giuseppe, ovvero da un collega di origine italiana. «Si fa sempre fatica – conclude Mohamed –. Ma almeno so che, quando il lavoro c'è, i soldi mi entrano in tasca, senza dover pregare il datore di lavoro per avere quello che mi spetta» ottobre 2013 scarp de’ tenis

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L’ETICA HA MESSO RADICI FORTI NON MANDARE IN FUMO

I TUOI RISPARMI

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immigrati imprenditori

Mohamed 2

«Io cerco di crearmelo, il lavoro. Gli italiani aspettano il principale» Con Mohamed il destino è stato benevolo. Anche se, la prima volta che lui venne in Italia, gli giocò un brutto scherzo. Aveva 25 anni, era il 1984 e a Milano arrivò per una vacanza. In tasca aveva la disponibilità data da un ottimo stipendio, davanti a sé un mese di ferie per girare il Belpaese, per poi tornare in Iraq dove all’epoca stava lavorando. Egiziano, laureato in economia e commercio al Cairo, un trasferimento per una buona proposta di lavoro nel paese allora governato da un inattaccabile Saddam Hussein, Mohamed in quei giorni di vacanza a Milano fu vittima di un incidente d’auto. La convalescenza gli rubò tutto il mese, i tempi per tornare indietro erano scaduti e per un cavillo burocratico restò bloccato in Italia. Mohamed non è uno abituato ad arrendersi alla prima difficoltà, anzi. La sua prima idea fu di ricrearsi un lavoro da noi, ma per riuscire a mettere a posto tutti i documenti ci volle del tempo. In Iraq il suo lavoro gli consentiva di guadagnare 1.200 dollari al mese, in Italia dovette arrangiarsi con quel che trovò, e l'occasione fu un posto da pizzaiolo presso un connazionale, per 400 mila lire al mese, un bel salto indietro. Ma non si lamentò più di tanto e ne approfittò per imparare un mestiere per lui nuovo, fare gavetta e “mettersi a posto”. Dopo quattro anni da dipendente, nel 1988, Mohamed aprì il suo primo ristorante, ad Affori. La sera del suo ultimo lavoro da dipendente, in pizzeria entrò una bella ragazza marocchina, amica della figlia del proprietario. Fu un colpo di fulmine. La ragazza divenne la sua prima cliente nel nuovo locale e, due anni più tardi, pure sua moglie. Da allora Mohamed ha sempre fatto l'imprenditore, cambiando locale e quartiere della città. Quello che ha oggi è il suo quarto ristorante ed è di nuovo ad Affori. Con la crisi si fa fatica, dice, è naturale che meno persone escano a mangiare. «Ma io cerco di crearmelo, il lavoro – taglia corto –. Penso che non tocchi ad altri trovare il lavoro per me, non ho mai chiesto nulla a nessuno. E così pensano tanti miei amici immigrati, molti di loro sono imprenditori. Ho però anche molti amici italiani, e loro ragionano in modo diverso: aspettano che sia il loro principale a trovare lavoro per tutti, non pensano ad arrangiarsi. Non so perché…».

italiano, gli imprenditori provenienti d’oltreconfine sono passati dai 167 mila del 2007 ai quasi 233 mila dell’anno scorso, secondo i dati elaborati dal centro studi della Confederazione nazionale artigianato, e hanno registrato, complice la crisi, una lieve flessione solo nell'ultimo anno. In larga parte sono marocchini (16,4% del totale), rumeni (15,4%), cinesi (14,7%) e albanesi (10,3%), e oltre tre su quattro si concentrano in sei regioni del centro-nord: nell'ordine, Lombardia, Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto. Lavorano prevalentemente nei settori delle costruzioni, del commercio e dell'abbigliamento.. «La parte del leone la fanno i settori dell'edilizia e del piccolo commercio. Molte di queste imprese, che spesso sono individuali o hanno al massimo un dipendente, sono in realtà bancarelle di venditori ambulanti, nei mercati, a volte addirittura senza licenza – prosegue Ambrosini –. Ma è proprio dietro quei banchi che si vede il vero cambiamento, la trasformazione rilevante. Gli italiani che diventano anziani lasciano, i figli spesso non proseguono l'attività e il banco viene ceduto a un titolare straniero. Soprattutto il commercio più difficile, quello della frutta e verdura, diventa un mestiere da immigrato». Nel caso dell'edilizia, invece, spesso si tratta di muratori che da dipendenti, dopo aver perso il lavoro, scelgono di diventare autonomi e aprono la partita iva. I dati della Fondazione Leone Moressa dicono che sono il 15% quelli che hanno scelto di mettersi in proprio dopo aver perso il lavoro. Non tutto però è conseguenza delle varie forme di precarietà che contraddistinguono il mercato del lavoro. «Ci sono comunque attività e negozi veri e propri, consolidati, aperti non per ovviare all’impossibilità di avere un posto di lavoro fisso: panetterie, parrucchieri, kebab e pizzerie. Insomma, quando si parla di questo fenomeno bisogna ricordarsi di accostarlo con una certa prudenza, e cercando di distinguere le varie manifestazioni del fenomeno. In questi numeri c’è di tutto, dagli effetti improvvisati del clima di precarietà, agli slanci di una vera e propria nuova imprenditorialità».

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ventun righe di Francesco Marsico responsabile area nazionale di Caritas Italiana

Lotta alla povertà: sperare non basta L’anno che sta per chiudersi sarà l’ultimo della Grande Recessione? Per la gran parte dei paesi dell’Unione europea sembrerebbe di sì. Tranne che per l’affannata area mediterranea, che stenta a ripartire. Il primo semestre 2014 sarà all’insegna della speranza – certamente preferibile all’incertezza degli scorsi anni – ma non di svolte significative. In effetti la speranza, per molti, non è più sufficiente, perché le risorse delle solidarietà familiari e comunitarie rischiano di esaurirsi completamente, dopo anni di logoramento crescente. La crisi ha avuto, d’altro canto, un paradossale effetto positivo: si può parlare di povertà senza essere additati come estremisti o ingenui. I ristoranti pieni o altre amenità del recente passato non sono più sufficienti per distrarre dalle condizioni di fatica di tantissimi italiani. La povertà ha riguadagnato – faticosamente – cittadinanza informativa e politica: è argomento di dibattito, emerge come questione rilevante per esponenti significativi della politica e del governo. Occorre dunque prestare grande attenzione all’esito della propostra avanzata dal governo in settembre: il varo del Sia (Sostegno per l’inclusione attiva), strumento “universale” (non categoriale) di lotta alla povertà. Bisognerà registrare se sarà davvero inserito nella legge di stabilità. in quel caso, se verrà adeguatamente finanziato. E cosa ne resterà dopo i passaggi in parlamento. La prospettiva di una possibile e graduale introduzione, nel nostro ordinamento, di una misura simile rappresenterebbe una fondamentale novità per il sistema di protezione sociale in Italia. Diventano fondamentali una mobilitazione sociale e azioni di vigilanza, che consentano la traduzione in atto, e la miglior definizione possibile, del Sia: una stagione nuova si può aprire, occorre battersi perché le misure di protezione e i diritti di cittadinanza sociale per chi fa fatica, in Italia, diventino un fatto acquisito, non un auspicio sempre reiterato.

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lo scaffale

Le dritte di Yamada Guardo questo libro che l'editore ha voluto molto rettangolare e inconfondibile, e lo associo alla luce morbida delle passate sere d'estate, quando – sul balcone – lo leggevo fino a che il tramonto lo consentiva. Boff arriva Taha svela E sera dopo sera consentiva sempre meno. al cuore del l’Egitto cristianesimo corrotto Adesso, all'ora che di solito trasmigravo in quel piccolo villaggio dei Fiordi Occidentali islandesi, potrei Leonardo Boff, Taha è un ragazzo leggere solo qualche parola senza affaticare gli occhi, ma brasiliano, padre del Cairo che il ricordo di tutte le frasi inanellate nella sera silente della teologia ama suonare la e placida del Ferragosto ancora luccica, come una lucdella liberazione, batteria. Si prende approfondisce cura del padre che, ciola testarda che ha deciso di infilarsi un golf e restare a i nuclei essenziali costretto su una baluginare per noi. della fede cristiana sedia a rotelle, Il nucleo pulsante di questi racconti di Stefànsson è, secondo la sua trascorre le dunque, un piccolo paesino islandese di quattrocento visione di teologo. giornate a spiare persone, «che vagano disorientate tra i labirintici senIl Padre Nostro, la gente con dove Gesù parla il binocolo... Una tieri dell'animo umano», si conoscono tutte, e abitano di Dio come padre mattina Taha trova in una qualche decina di case. di tutti gli uomini. suo padre a terra, Onorando la tradizione del romanzo pastorale islanL’impulso verso colpito a morte. dese, la descrizione della ruralità fatta dall’autore (che l’Altro, inteso come Niente giustizia per proprio con questo romanzo pubblicato nel 2005 si è perdono. Infine, il padre di Taha. la tensione verso Al ragazzo non aggiudicato il Premio letterario islandese di quell'anno) la Terra. «Gesù – resta che è sciolta nelle parole che ambientano le storie negli ediscrive Boff – non cercarsela da solo. fici che più catalizzano gli eventi quotidiani del borgo: parla solo di Dio Inizia un viaggio in i Macelli, la Latteria sociale, la Cooperativa, il Maglificio ma anche della un Cairo che cela e il Magazzino. Terra e delle crudeltà e vizi, ma necessità umane Taha incontrerà La sorpresa di questi racconti è l’abilità linguistica che vanno anche l’impegno di di creare, espressamente per il lettore, una sorta di presuperate insieme». chi vuole cambiare sente rivissuto nel quale gli eventi si snodano e, una società al tempo stesso, si compiono, con un che di definitivo e Leonardo Boff devastata dalla solenne che fa intravedere il senso, la portata e il destino Al cuore corruzione. del cristianesimo. che il fatto narrato ha avuto nella vita di questo o quel Mistero. Ahmed Mourad personaggio. Evoluzione. Polvere Un posto magico – questo paese – che vuole tenersi Liberazione. di diamante vivo e fare delle feste che piallino la lucidità dei presenti, Editrice Missionaria Marsilio o spiare la donna con i capelli rossi e il costume azzurro pagine 172 pagine 384 12 euro 18,50 euro che ogni giorno si immerge e nuota nel mare dei fiordi. Vuole imparare dalle serate a tema in cui l'Astronomo parla della vita e della morte e dello spazio infinitesimale tra le due realtà, o essere protettivo con Jònas,che ha avuto un inizio di vita davvero duro. Vuole tremare di paura per i fatti inspiegabili del Magazzino, o fissare nelle nostra memoria la storia struggente di Benedikt e Puridur. Sembrerebbe che da un posto così, imperversato dal clima e dal Tempo, si vorrebbe solo scappare e annusare novità, avere un po’ di tregua dal freddo, dal buio della natura, «dal suono dell’oscurità invernale che si addensa contro i vetri». E invece Elìsabet se ne esce con un «non è vero che non succede niente, il tempo cambia sempre, il cielo si muove, pare perfino inclinarsi e allora non c’è più nulla di sicuro nella vita, non c’è mai la stessa luce, qui». La mia storia preferita è quella del camionista Jakob, che parte così presto «che il sole dorme ancora quando è inverno e a volte dubitiamo che riesca sollevarsi dal profondo sopra i monti innevati per destare in noi la bellezza e il dolore». Leggevo di Jakob in spiaggia, in quel tutt'uno di salsedine diffusa – onde infrante – luce – aroma di creme solari: una commozione profonda mi ha scosso, a tradimento. La letteratura, in questo libro, è come la vita. Che regalo, che è (stato)questo libro. Luce d’estate ed è subito notte Jón Kalman Stefánsson – Iperborea 2013

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Riciclare in cucina fa bene Ogni anno gettiamo nella spazzatura 179 chili di cibo a testa, uno spreco insensato per il portafoglio e una fonte di inquinamento per l’ambiente. Ecco allora che riciclare in cucina diventa un gesto sociale. Il libro insegna l’arte di utilizzare con gusto scarti e avanzi: oltre 80 ricette con baccelli, foglie, gambi e altre parti di vegetali comunemente buttate via, e con gli avanzi del giorno prima. Per preparare piatti gradevoli. Giuliana Lomazzi Riciclare in cucina fa bene all’ambiente Terra Nuova Edizioni pagine 120 13 euro


Milano

Otto grandi cuochi per la mensa dei poveri di Opera San Francesco Anche quest’anno Opera San Francesco per i poveri onlus (in collaborazione con Identità Golose) apre le porte al pubblico per l’evento “Grandi cuochi all’Opera”, che si terrà domenica 27 ottobre 2013 presso la mensa dei poveri di viale Concordia. A preparare il pranzo benefico saranno otto grandi chef (Cesare Battisti, Mauro Brun, Bruno Rebuffi, Davide Scabin, Ugo Alciati, Emiliano Lopez e Gianluca Fusto), che porteranno in tavola il Piemonte e l’Argentina, in omaggio a papa Francesco. L’appuntamento dà l'opportunità di partecipare a un’esperienza gastronomica unica: tutti gli chef si sono messi al servizio di Osf per un giorno, offrendo gratuitamente il loro operato. Sarà possibile partecipare con una donazione minima di 100 euro a persona. I fondi raccolti verranno interamente destinati al sostegno della mensa, servizio storico di Osf, al quale ogni giorno si rivolgono migliaia di persone in difficoltà. INFO 02.49455885

Miriguarda di Emma Neri

Pensieri e immagini dal carcere, calendario per sostenere il laboratorio

Dal laboratorio di lettura e di scrittura creativa del carcere di Opera è nato un calendario, impreziosito dalle poesie dei detenuti e dalle fotografie lievi di Margherita Lazzati, professionista dell’obiettivo che anima il laboratorio. Il calendario è in 14 pagine, l’editore è La Vita Felice e il costo è 10 euro. Il ricavato delle vendite del calendario 2014 servirà a far continuare il laboratorio di lettura e scrittura creativa che si svolge da 19 anni nel carcere, e che – come si può immaginare – di questi tempi non naviga in buone acque. Il laboratorio è importante perché permette ai detenuti uno scambio di pensieri e di emozioni fra individui; è l’occasione per acquisire un linguaggio coerente, che rappresenta per chi sta dentro anche un’opportunità per rielaborare il proprio vissuto, come è accaduto a molte persone che lo frequentano da anni. INFO www.lavitafelice.it

Milano

Natura incontaminata, i cento migliori scatti al Museo Minguzzi “Wildlife Photographer of the Year” torna al Museo Minguzzi di via Palermo 11, dal 19 ottobre al 22 dicembre, organizzata dall’associazione Radicediunopercento. In esposizione

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le ultime cento immagini premiate al più prestigioso concorso di fotografia naturalistica del mondo, indetto dal Natural History Museum di Londra con il Bbc Wildlife Magazine: un premio attivo dal 1964, a cui quest’anno hanno partecipato 48 mila concorrenti di 98 paesi. La mostra dà l’opportunità di immergersi in un viaggio affascinante negli aspetti più incontaminati e divertenti della natura. Interessanti anche le sezioni Junior, con fotografi di età compresa tra i 15 e i 17 anni, tra gli 11 e i 14 anni la seconda e sotto i 10 anni. La mostra è dedicata infatti in modo particolare a dirigere l’attenzione dei più giovani verso la natura, e aggiunge un chiaro intento sociale: pone al centro del suo messaggio il rispetto della natura, l’unico modo per continuare ad avere mondi naturali come quelli fotografati, che però sono sempre più rari. Il bambino accompagnato da due adulti ha diritto a un ingresso gratuito. INFO info@radicediunipercento.it

Milano

La proposta di Marisa: due chiacchiere mentre si impara a cucinare

Spesso sono donne quelle che vanno nella bella casa di Marisa Oppizzi a imparare nuovi piatti. Perché Marisa ha inventato un nuovo modo di dare lezioni di cucina. Oltre alle ricette culinarie


caleidoscopio piene di fantasia, infatti, si sperimentano nuove amicizie e antiche chiacchiere femminili. Un bel modo di imparare a cucinare. Ogni mese il menù cambia. Anche il costo è abbordabile: 35 euro. Naturalmente alla fine della lezioni le chiacchiere continuano a tavola, dove si mangia tutti insieme. La casa di Marisa Oppizzi è in zona viale Corsica, le lezioni durano 3 ore. INFO duechiacchiereincucina@gmail.com

Milano

Comprendere la crisi e cercare soluzioni: confronto con i giovani Città dell’uomo e Casa della Carità promuovono, con la collaborazione di Comunità e Lavoro, un ciclo di incontri per giovani, dedicato all’approfondimento dei vari profili della grave crisi che ci attanaglia. L’intento è comprendere le cause, ma anche e soprattutto i possibili sbocchi di una situazione tanto difficile (anche) per il mondo giovanile. Gli incontri iniziano alle 10,30 e si chiudono alle 16,30 e si tengono alla Casa della Carità di via Brambilla 10. Ultimi due: sabato 26 ottobre si parlerà delle difficoltà del mondo del lavoro, i relatori sono Luciano Venturini e Francesco Marcaletti dell’Università Cattolica. L’ultimo incontro è previsto sabato 16 novembre con l’intervento di don Virginio Colmegna, presidente della Fondazione Casa della Carità. Don Colmegna affronterà il tema più difficile: “Le ricadute della crisi sul welfare”. INFO cristina.sampietro@casadellacarita.org

Torino

Cicatrici e guarigioni, le vittime incontrano gli autori dei reati Fino al 18 ottobre, presso la casa circondariale “Lorusso e Cutugno”, verrà aperto al pubblico un progetto teatrale dall’eloquente titolo: “Cicatrici e guarigioni”, realizzato con la collaborazione dello sportello Off del Gruppo Abele. Con l’aiuto del teatro si cercherà di elaborare le ferite del corpo e dell’anima, tramite un confronto attivo: il metodo prevede di rievocare il

reato, evento traumatico, con il suo autore. Il percorso vuole essere utile a entrambe le parti coinvolte: intende far emergere i diritti e il bisogno di riconoscimento del male subito da parte delle vittime, ma anche la necessità di ricucire lo strappo sociale che ogni reato origina e che riguarda gli autori e la collettività. Ogni serata si incontreranno una vittima e un autore di reati. Attenzione, le vittime non rivedranno gli autori dei reati che le hanno colpite, ma l’autore di un reato analogo. Un confronto tra due universi che, tranne il traumatico momento del contatto, erano diametralmente separati. INFO www.gruppoabele.org

Vicenza

L’albergo cittadino insegna a realizzare un “orto sociale” I 46 ospiti dell’albergo cittadino di viale San Lazzaro – la struttura comunale che accoglie persone senza dimora, in situazione di grave emarginazione – hanno realizzato un orto sociale. L’iniziativa è frutto del progetto “Colti in albergo”, proposto dall’associazione di volontari “Noi sulla strada” e risultato vincitore del concorso “Insieme per il nostro quartiere”, indetto da Brico Center. Gli ospiti del dormitorio pubblico avranno, grazie all’orto sociale, la possibilità di acquisire nuove competenze relative alla semina e al ciclo di crescita degli ortaggi. Ma soprattutto, l’orto sarà un’occasione di condivisione e aggregazione fra gli ospiti; le diverse provenienze non saranno un ostacolo, anzi occasione di confronto tra abitudini di coltivazione differenti. Gli ospiti inoltre saranno spronati a organizzare le proprie giornate in maniera differente e più positiva. Nel progetto è infine coinvolta anche la comunità locale: alcune persone si sono infatti rese disponibili a collaborare alla realizzazione dell’orto sociale, specie alcuni pensionati, desiderosi di trasmettere le tecniche più appropriate, al pari di alcuni pensionati assegnatari degli orti urbani cittadini, con i quali sono già previsti incontri per far acquisire agli ospiti dell’albergo i rudimenti della coltivazione. INFO www.museoluzzati.it

Pillole senza dimora

Data in Italia per Charles “Velluto nero”, l’uomo che somigliava a James Brown Nel 1962 Charles Bradley una sera venne condotto da sua sorella ad ascoltare James Brown. Aveva 14 anni: Charles rimase colpito da quella presenza e quella serata gli è rimasta nel cuore per tanti anni. Ma proprio nel 1962 è fuggito da casa e ha iniziato a suonare la musica del suo idolo. Ma le cose non sono andate bene: anni di povertà e di vita grama, lavori durissimi e giorni da homeless, la morte sfiorata in un ospedale. Finalmente, nel 1996; tutto è cambiato, è stato chiamato dalla madre di James Brown proprio per la sua somiglianza – anche nella voce – con il re del soul e da allora è diventato “Black Velvet” nei locali di Brooklyn. Qui lo ha ascoltato cantare Gabriel Roth, cofondatore della Daptone Records. Nel 2011 il primo album di Charles: No Time For Dreaming. Un successo. In aprile è uscito il secondo lavoro, Victim of Love. Bradley sarà finalmente in Italia il 1° novembre al Bloom di Mezzago (Mb), cooperativa sociale che è libreria e locale insieme. Quella del Bloom è l’unica data in programma per questo personaggio, che fa rivivere a grande musica black anni Settanta e sembra uscito da una favola dei tempi moderni. INFO info@bloomnet.org

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quattro domande a... Emilio Russo di Daniela Palumbo

Tieffe Teatro Menotti, un anno da folli. Con Scarp Fondata nel 1969 come compagnia stabile Teatro Filodrammatici di Milano, poi diventata TieffeTeatro, dal 2010 la compagnia si è trasferita al Teatro Menotti, in via Ciro Menotti 11. TieffeTeatro è così diventata la seconda realtà teatrale meneghina, dopo il Piccolo. Nella nuova sala può ospitare fino a 500 spettatori. TieffeTeatro ha scelto Scarp de’ tenis come partner sociale per la stagione teatrale che si apre a ottobre. Emilio Russo, il direttore della compagnia, nonché autore e attore della stessa, ha aperto le porte del teatro ai venditori di Scarp, che saranno presenti in occasione delle rappresentazioni del cartellone 20132014. Russo, come è nata l’idea? La Fortezza, poi De André La stagione 2013-2014 è L’attenzione al sociale è una mia costante. Ogni stagione dedicata al tema della follia. la dedichiamo a un programma di solidarietà. Abbiamo Apertura il 5-6 ottobre con scelto Scarp de’ Tenis per diversi motivi. Innanzitutto per Mercuzio non vuole morire, la storia straordinaria di un progetto sociale che dà lavoro (una scena, sopra) della e dignità agli homeless. Milano Compagnia della Fortezza (attori detenuti del carcere di è toccata in modo spaventoso dal problema delle persone Volterra). Dal 10 al 20 ottobre senza casa. Ma ci siamo sentiti legati a All’ombra dell’ultimo sole, Scarp anche per la vicinanza del giornale con Enzo testi e canzoni dal repertorio Jannacci, con il quale abbiamo lavorato a lungo, portando di Fabrizio De André. in scena un suo spettacolo. INFO 02.36592544 A sinistra, il direttore del Tieffe Menotti, Emilio Russo www.tieffeteatro.it Se dovesse raccontare il progetto di Tieffe? La nostra tradizione sono gli spettacoli basati sulla contaminazione fra musica e parole. Il nostro è un teatro che con orgoglio definisco “popolare”, ma mettendo l’accento sul fatto che ciò non significa “di bassa qualità”. Anzi, al contrario: la musica dal vivo, la narrazione cantata, a volte improvvisata, generano un rapporto più diretto con il pubblico, che si identifica subito con le emozioni che arrivano dalla musica. Oggi ci vuole coraggio a mettere in piedi una stagione in un teatro da 500 posti... Noi tentiamo di dare un segno. Ci aspettiamo tanto da questa città, profondamente attraversata nella sua storia migliore dalla solidarietà, dall’amore per la cultura e l’arte. E, a proposito di coraggio, abbiamo aperto la stagione, a inizio ottobre, con Mercuzio non vuole morire della Compagnia della Fortezza: tutti attori detenuti, provenienti dal carcere di massima sicurezza di Volterra, fra i quali anche Aniello Arena, straordinario attore protagonista del recentissimo film Reality di Matteo Garrone. Richiedere i permessi di tutti i detenuti, organizzare la logistica insieme alle forze dell’ordine... è stata davvero dura. Ma ne valeva la pena. Sono fantastici. La stagione 2013-’14 presenta dodici titoli in cartellone ed è interamente dedicata alla follia. Perché? Abbiamo messo una didascalia sulla nuova stagione: “Mi piacciono i matti perché dicono la verità molto più spesso delle persone normali”. Presentiamo spettacoli poco convenzionali: dal 10 al 20 ottobre proponiamo All’ombra dell'ultimo sole, di Massimo Cotto, storia generazionale interpretata da ragazzi molto giovani, attori e cantanti, con canzoni dal vivo tratte dal repertorio di Fabrizio De André. E poi abbiamo altre proposte di grande rilievo. Voglio citare a marzo (dal 25 al 29) la romana Orchestra di Piazza Vittorio – prima orchestra multiculturale d’Italia – con il suo Flauto Magico. E a maggio (dal 6 al 18) Il tramonto sulla pianura, vicenda ambientata in una casa di riposo, con storie tragicomiche: gli attori saranno anziani che selezioneremo in novembre al Menotti, a cui offriremo un laboratorio teatrale che li preparerà ad affrontare le scene e a rappresentare la commedia. Nel nostro piccolo anche questo progetto ha una forte valenza sociale. Aspettiamo candidati...

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caleidoscopio Genova

Una nave orienta ai mestieri del mare, opportunità per i giovani Il ruolo del mare nell’economia italiana è di tutto rispetto: 210 mila aziende operative, con 800 mila occupati nel settore. La blue economy vale 120 miliardi di euro all’anno e il 3,2% dell’occupazione del paese. Per questo motivo è nato il progetto SailOr, la “nave dell’orientamento”, che navigherà da Genova a Palermo a partire dall’11 novembre e avrà a bordo oltre 600 ragazzi degli istituti tecnici e dei licei di tutta Italia. L’obiettivo è mostrare ai ragazzi e alle ragazze che stanno per finire il proprio ciclo scolastico un’opportunità in più, ovvero il lavoro nell’ambito portuale e della nautica in generale, settori nei quali, contrariamente ad altri ambiti, il mercato del lavoro non è saturo. Il progetto SailOr intende promuovere la cultura e la conoscenza del mondo

del lavoro sul mare e nel porto, evidenziando la necessità di collegare filiere produttive e formative per la crescita del paese. I momenti di formazione a bordo sono progettati come occasioni informative, in cui i ragazzi possono avere gli elementi per valutare le diverse professioni (dai frigoristi di bordo ai gruisti, dagli ufficiali di bordo ai macchinisti). I porti e i mestieri marittimi in generale rappresentano occasioni professionali da non trascurare, in un paese che ha ottomila chilometri di costa. www.accademiamarinamercantile.it

appuntamenti gratuiti e fuoriprogramma con attività continuate dalle 8.30 alle 22.30. INFO www.segnidinfanzia.org

Mantova

Festival d’arte e teatro dedicato ai bambini e ispirato a Munch Dal 30 ottobre al 3 novembre torna a Mantova, avendo raggiunto l’ottava edizione, il Festival internazionale d’arte e teatro per bambini e ragazzi dai 18 mesi ai 18 anni. Compagnie italiane e straniere e artisti riconosciuti si esibiranno per i bambini (ma non solo), in un percorso ispirato alla pittura di Edvard Munch, in concomitanza con il centocinquantenario della nascita dell’artista. La città dei Gonzaga sarà percorsa per cinque giorni dai fili invisibili della tela del ragno, che quest’anno – nell’interpretazione grafica di Alessandro Bergonzoni, tra i protagonisti del festival – è l’animale simbolo della manifestazione. Spettacoli, laboratori, percorsi d'arte,

Vicenza

Quale reinserimento per le persone tossicodipendenti? La cooperativa sociale Cosmo, in collaborazione con il dipartimento dipendenze della Ulss 6 Vicenza, con Cisspat (Centro italiano studio sviluppo psicoterapie a breve termine) e liceo scientifico Quadri, organizza il convegno: “Quale (re)inserimento possibile? La delicata fase del reinserimento sociale: percorsi di riabilitazione socio-psico e professionale di pazienti tossicodipendenti”. Appuntamento nell’aula magna del liceo Quadri, il 17 e 18 ottobre: due giorni per approfondire e sviluppare la riflessione. La partecipazione è libera, ma è necessaria la prenotazione. INFO reinserimento@cosmosociale.it

pagine a cura di Daniela Palumbo per segnalazioni dpalumbo@coopoltre.it

Tarchiato Tappo - Il sollevatore di pesi

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street of america In 43 anni, 65 mila chilometri a piedi sulle strade dell’intero pianeta

Instancabile pellegrino George, incontra tutti e va verso il cielo di Damiano Beltrami da New York

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Messaggero in jeans: «Dio ti ama» George Walter (nella foto) per i tanti che lo conoscono è “pellegrino George”. Da oltre 40 anni percorre a piedi le strade degli Stati Uniti e di tanti altri paesi per portare un messaggio di pace, spiritualità e fede in Dio

EORGE WALTER FA PARTE DI QUEL GRUPPO DI HOMELESS AMERICANI che hanno scelto di esserlo (o sostengono di averlo scelto). E comunque non se ne sono mai pentiti. Negli ultimi 43 anni ha percorso, rigorosamente a piedi, 65 mila chilometri. Ha scarpinato in lungo e in largo attraverso l’America del nord, l’Europa, il Medio Oriente e l’Asia. Oggi il “pellegrino George”, come lo chiamano tutti, è un settantaduenne dalla barba fluente, ancora robusto e pieno di energie, che non rinuncia a macinare miglia e si rifiuta di avere una fissa dimora. Viaggia senza soldi, confidando nella generosità del prossimo. E a chi gli chiede dove è diretto risponde: «Vado in cielo». Avvolto in una cappa di jeans, con un inseparabile bastone sormontato da una croce, è partito per il suo annuale pellegrinaggio nel maggio scorso, e in queste settimane d’autunno lo sta concludendo nel ventre rurale del Midwest. «Il mio messaggio è semplice – racconta –: Dio ti ama infinitamente. Se apri il cuore al suo amore, troverai pace». Cresciuto vicino a Pittsburgh, in Pennsylvania, da ragazzo ha preso la via del seminario con l’idea di farsi prete. Eppure, dopo otto anni di formazione, non si sentiva ancora pronto. «Sono stato ordinato diacono – dice –, ma mi sembrava di avere il cuore vuoto. Per cui mi sono preso una pausa». Per qualche tempo, sul finire degli anni Sessanta, si è unito a un gruppo di hippy che sfamavano i senzatetto di Los Angeles. Poi ha frequentato in Colorado una compagnia di ragazzi che vaticinavano la fine del mondo: «Aspettavano l’ultimo giorno, ma in realtà volevano solo vivere nei boschi – ricorda –. Quando ci siamo accorti che il pianeta non era giunto al capolinea, ognuno è andato per conto suo, e io sono salito in montagna per cercare la mia spiritualità». È stato durante questi periodi di solitudine che Walter ha deciso di intraprendere la vita del pellegrino. Era il 1970, lui aveva 29 anni. S’imbarcò una mattina d’estate a New Orleans, e qualche giorno dopo sbarcò in Spagna, da dove poi proseguì a piedi fino a Gerusalemme. Spronato da quell’esperienza, nel 1973 entrò a far parte del movimento del Rinnovamento carismatico cattolico. Da quel momento, fra preghiere, saluti e strette di mano, il pellegrino George ha incontrato migliaia di persone, cattoliche, protestanti, musulmane, buddiste, agnostiche. Molti gli hanno offerto cibo, acqua, un posto per dormire. A Roma, Papa Giovanni Paolo II lo ha ricevuto in udienza privata; in Ucraina, gli abitanti di un paesino si sono accalcati in strada per ascoltare le sue preghiere; in Siberia, un uomo in motocicletta lo ha presentato a sua moglie e ai suoi sei figli. Quando non sta deambulando per il globo, George vive per brevi periodi con i frati del monastero della Santissima Trinità a Butler, in Pennsylvania. Lì si occupa di lavori domestici e della cura del giardino. Dopo tanti chilometri, George crede di avere imparato qualcosa: «Non importa – conclude – a quale stile di vita Dio ci chiama, se siamo sposati, single, sacerdoti o laici. Ciò che conta è quello che sentiamo nel cuore».

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