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Pescatori d’Italia. Le reti restano a riva

La marineria di Rimini è composta per oltre l’80% da pescatori di Lampedusa. Che oggi, per contenere i costi, scelgono di tornare a sud

Riviera troppo casa, l’Atlantic inverte la rotta di Angela De Rubeis Bernardo ha 62 anni. È originario di Lampedusa ma vive a Rimini da 15 anni. Comanda l’Atlantic, una bella imbarcazione bianca e blu, portata da Lampedusa in Romagna una decina di anni fa. Ma dopo appena cinque anni ha deciso di tornare giù, percorrendo la rotta inversa. Quello dell’Atlantic non è la sola “migrazione di ritorno” nella marineria di Rimini, composta per più dell’80% da pescatori originari della piccola isola siciliana. Negli ultimi cinque anni è toccato al Kennedy, al Giacomo Maria (attraccato al porto romagnolo da oltre trent’anni), al Dearpa e all’Andrea Padre. Una vera e propria moria. Un impoverimento progressivo del settore, che coinvolge tante barche a conbduzione famigliare e un bel pezzo di economia locale. Quello ittico è un settore che nella provincia di Rimini conta circa 200 imprese attive, 100 imbarcazioni attraccate nel solo porto di Rimini e 500 pescatori. Il mercapiù insostenibile aumento del carburanto all’ingrosso della città, il più grande te – con più di un anno di anticipo rispetdella provincia, ogni giorno fa scorrere to alle imprese industriali e dell’artigiasui suoi rulli 12-13 mila quintali di pescanato. to. Numeri indicativi dell’importanza del Dietro ai numeri, però ci sono le persettore. Che la crisi però non ha risparsone. Intere famiglie che hanno vissuto miato, investendolo anzi – complice gran parte della loro vita attorno a una l’impoverimento delle risorse ittiche barca, oggi sono di fronte a scelte e dividell’Adriatico, ma soprattutto il sempre sioni traumatiche. I capifamiglia, in linea

di massima, tornando a Lampedusa, mentre i figli – nati e cresciuti a Rimini – preferiscono rimanere, pur apprestandosi ad abbandonare un lavoro e una tradizione di famiglia durati decenni. «Io ho 18 anni – racconta Simone Colapinto, erede di una famiglia di pescatori –, sono nato a Rimini e ho sempre vissuto qui. Qui ci sono i miei amici, qui

Sulle rive del padre Po prospera Nei fiumi italiani si pesca solo per sport e per diletto. Le attività sono state riconvertite, di Maria Chiara Grandis

Prima il Po si è ammalato. Poi sono scomparsi i pesci, soprattutto le specie autoctone. Alla fine se ne sono andati anche i pescatori. Oggi nei fiumi italiani non si pesca più per mangiare, ma solo per sport: dei 220 mila tesserati Fipsas (Federazione italiana pesca sportiva e attività subacquee), 190 mila sono pescatori di fiume e la metà è residente in Lombardia. «La mia vita è sempre stata legata al grande fiume, quando ero piccolo con mio nonno pescavamo con le reti: anguille, alborelle e pesci gatto facevano parte della nostra cucina», ricorda Vitaliano Daolio, 56 anni, che da 14 gestisce un pescaturismo a Motta Baluffi, nel cremonese. «Dipende dall’inquinamento se il fiume non è più quello di prima, anche se questa realtà fa paura».

16. scarp de’ tenis febbraio 2013

Gli anni Settanta e Ottanta sono stati i più bui. «Poi sono stati costruiti i depuratori e la situazione è migliorata, da una decina di anni il Po è tornato alle sua colorazione naturale, non ci sono più odori strani né sostanze sospette a pelo d’acqua, ma la diossina e i diserbanti cancerogeni non si vedono a occhio nudo...». Come Vitaliano, perciò, le nuove generazioni di pescatori si sono convertite al turismo: gestiscono i porticcioli e accompagnano i turisti a pesca. «Il turismo fluviale purtroppo è in mano all'illegalità, perché qui lo stato è assente. Sul fiume ci sono una quindicina di attività come le mie, ma sono tutte abusive, anche se


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