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Foto REUTERS/Marcelo del Pozo (courtesy of INSP) - Spedizione in abbonamento postale 45% articolo 2, comma 20/B, legge 662/96, Milano

L’INTERVISTA

NICCOLÒ FABI: «CANTO L’ELOGIO DELLE PICCOLE COSE»

la le del i s n e Il m

www.scarpdetenis.it ottobre 2016 anno 21 numero 205

LE STORIE DI GIANNI MURA MINORANZE OPPRESSE. E IL GIOCATORE NON SI ALZA PER L’INNO

strada

INCHIESTA SONO TANTI. E IL NUMERO CRESCE IN MANIERA ESPONENZIALE. SONO I CAREGIVER, GIOVANI “COSTRETTI” AD ASSISTERE UN PARENTE FRAGILE ALL’INTERNO DELLA FAMIGLIA. DANNO PROVA DI DEDIZIONE, MA SACRIFICANO STUDIO, TEMPO LIBERO E FUTURO

La cura Giovani in ostaggio



EDITORIALE

Via dalla strada Una casa per gli homeless

LA PROVOCAZIONE

Terremoto L’impegno Caritas per le popolazioni colpite dal sisma di Luciano Gualzetti direttore Caritas Ambrosiana

di Stefano Lampertico [

@stefanolamp ]

L’annuncio del Ministro è arrivato durante la mostra del cinema di Venezia. Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, ha scelto il Lido, uno dei luoghi più chic e in del Paese, per annunciare – contrappasso quasi innaturale – il primo bando

no. E nel bando – altra buona notizia – potranno entrare anche i beni sequestrati alla criminalità organizzata, così da poter ospitare senza dimora anche nelle case che furono dei boss di mafia, ‘ndrangheta e camorra. Il passaggio dalla strada alla casa, per un senza dimora, è un passaggio chiave, che nella maggior parte dei casi riporta con sé la ricostruzione di legami e relazioni. Per questo l’annuncio del Ministro assume un significato molto importante, anche al di là delle cifre stanziate. Perché finalmente si prova, si cerca, si tenta di dare una risposta concreta ai bisogni di gravi emarginati e senza casa.

Il Ministro Poletti annuncia a Venezia il piano per l’housing sociale; per il finanziamento di progetti di housing sociale #homelesszero a favore di persone senza qualcosa si muove. fissa dimora, da realizzare nel Per molti triennio 2016-2019. Una buona notizia. Il bando homeless si apre dovrebbe essere online proprio la prospettiva mentre Scarp va in stampa. E dodi poter avere vrebbe ricalcare ed essere in sintonia con la campagna #homelesuna casa. szero realizzata dalla Federazione Italiana degli Organismi per Un altro annuncio ha E con essa, le Persone Senza Dimora fatto breccia nel cuore di relazioni (fio.PSD) e patrocinata proprio molti in questo mese di e nuovi legami

dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali. A disposizione del bando ci saranno circa 50 milioni di euro, di cui 25 milioni a valere sul Programma operativo nazionale (Pon) - Inclusione Sociale e 25 milioni a valere sul Fondo per gli aiuti europei agli indigenti (Fead), ripartiti in base alla concentrazione del fenome-

settembre. Madre Teresa di Calcutta è santa. La suora

dei poveri, icona storica di chi sceglie di stare con gli ultimi, è ancora nei cuori di tante persone. Che hanno ricevuto un aiuto, che l’hanno incontrata, che hanno incrociato il suo sguardo, che le hanno stretto una mano. Per rimanere nel tema dei diritti degli ultimi, troppo spesso negati, non perdete per nessun motivo la storia che Gianni Mura ha scritto per noi e che trovate più avanti nel giornale.

contatti Per commenti, idee, opinioni e proposte: mail scarp@coopoltre.it facebook scarp de tenis twitter @scarpdetenis www.scarpdetenis.it instagram scarpdetenis

Sostegno alle popolazioni, ascolto dei bisogni, aiuti alle famiglie in difficoltà e attenzione alle fragilità. E soprattutto un impegno – quello Caritas – che superi l'emergenza e che sia prezioso nella ricostruzione. Su queste linee si articolerà l'intervento a sostegno delle famiglie colpite dal terremoto. Per far fronte alle prime necessità, sono presenti dal giorno stesso del sisma, gli operatori delle Caritas diocesane colpite, in particolare di Rieti e Ascoli Piceno. Accanto a loro, e a nome di tutta la Chiesa Italiana, è già intervenuta la presidenza della Conferenza episcopale italiana, che ha disposto lo stanziamento di 1 milione di euro. Caritas Italiana, dal canto suo, ha reso immediatamente disponibili 100 mila euro per ciascuna delle due Diocesi più colpite. Anche Caritas Ambrosiana ha contribuito da subito con una stanziamento iniziale di 50 mila euro. In queste prime settimane numerose persone hanno dato la loro disponibilità a recarsi nei territori colpiti. In questa prima fase, e questa è una caratteristica dell’impegno Caritas nelle emergenze, è importante stare dietro le quinte. Caritas Italiana sta ragionando sulle modalità di sostegno diretto che si renderanno evidenti nella fase in cui, superata l’emergenza, il ruolo della Caritas potrà tradursi in aiuto diretto alle famiglie e sostegno a progetti più strutturali. Sarà allora importante nella prima fase l’ascolto dei bisogni effettivi, soprattutto delle fasce più vulnerabili. Non mancheranno gli interventi di supporto alla ricostruzione. E infine non mancherà il contributo concreto al rilancio socio-economico e delle opportunità di lavoro finanziando progetti di microimprenditoria, cooperativistici e di agricoltura sociale. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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SOMMARIO

Quando il futuro è un’ipotesi. Inchiesta sugli adolescenti caregiver Un’inchiesta dura, quella di copertina. Storie di giovani, giovanissimi, adolescenti, costretti a rinunciare al proprio futuro perché impegnati nella cura di una persona a loro vicina, quasi sempre un genitore, o un familiare. Storie che colpiscono, per la loro durezza, per

le conseguenze che portano con sé. Storie vere, storie di vita. Scarp è anche, e soprattutto questo. Un’occasione per incontrare storie così. Storie che spesso si scontrano con la legittima aspirazione di ciascuno a immaginare il proprio futuro, a poter fare scelte libere da condizionamenti, a potersi insomma costruire una vita propria, libera da vincoli o legacci. All’interno del giornale ospitiamo anche una bella intervista a Niccolò Fabi, con l’elogio delle piccole cose che fanno bella, appunto, una vita.

Sono tanti i contenuti di qualità di questo numero. A partire dalla riflessione di Piero Colaprico, reduce dall’inchiesta condotta per Repubblica, in Sicilia sul “barcone dei naufraghi”, disperso e ritrovato poi nel canale di Sicilia con centinaia di persone morte a bordo, disperati in cerca di futuro, donne, bambini. Abbiamo sottoscritto l’appello lanciato proprio da Repubblica per avere a Milano il barcone dei naufraghi. Sarebbe memoria e contrappasso tangibile di un’epoca, come questa, fatta di muri e di estranei.

Dopo i temporali non viene più il sereno c’è poca minestra, poterla spartire con qualcuno che sai c’è anche il telefono...

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rubriche

servizi

PAG.7 (IN)VISIBILI di Paolo Lambruschi PAG.9 IL TAGLIO di Piero Colaprico PAG.11 PIANI BASSI di Paolo Brivio PAG.12 LE STORIE DI MURA di Gianni Mura pag.14 LA FOTO di Romano Siciliani PAG.20 LE DRITTE di Yamada PAG.21 VISIONI di Sandro Paté PAG.55 VOCI DALL’EUROPA di Ronnie Convery PAG.61 CALEIDOSCOPIO PAG.65 SCIENZE di Federico Baglioni PAG.66 IL VENDITORE DEL MESE

PAG.22 L’INTERVISTA Niccolò Fabi, il cantore delle piccole cose PAG.24 COPERTINA Caregiver. Costretti a prendersi cura PAG.32 DOSSIER Rifugiati. Il bello di accogliere in famiglia PAG.36 L’INTERVENTO Una delega, tre nodi: sarà la volta buona? PAG.40 SOLIDARIETÀ L’altro calcio. La sfida di Besate e dei suoi profughi PAG.42 IL PROGETTO Palazzo Oikos: il condominio diventa solidale PAG.44 TORINO Musica, la sfida di MITO per la città PAG.46 VICENZA Scarp rilancia. Poesia e arte davvero per tutti PAG.47 VENEZIA Cambia il welfare: «Non si può solo pretendere» PAG.49 VERONA In cammino, l’avventura che fa crescere PAG.50 RIMINI Badanti. La richiesta supera l’offerta PAG.52 SUD Al ristorante sociale di Salerno a cena con 1 euro PAG.56 VENTUNO La salvaguardia del pianeta alla conferenza sul clima Cop22 PAG.62 NAPOLI La bellezza del Seminario e della meglio gioventù

Scarp de’ tenis Redazione di strada e giornalistica via degli Olivetani 3, 20123 Milano tel. 02.67.47.90.17 fax 02.67.38.91.12 scarp@coopoltre.it

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Scarp de’ tenis ottobre 2016

Direttore responsabile Stefano Lampertico Redazione Ettore Sutti, Francesco Chiavarini, Paolo Brivio

Segretaria di redazione Sabrina Montanarella Responsabile commerciale Max Montecorboli

Redazione di strada Roberto Guaglianone, Antonio Mininni, Lorenzo De Angelis, Alessandro Pezzoni

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Foto Insp, Reuters, Romano Siciliani Disegni Sergio Gerasi, Gianfranco Florio, Luca Usai, Loris Mazzetti


da

lla stra sile de

Il men

aforisma di Merafina La scuola Tema: “La vita è bella se condita con la minestra”. Generazione persa, il sole fuori dalla finestra, si rompe il silenzio... riprende la corrida, avanti un’altra vittima Il tweet di Aurelio [Il bonazza

@aure1970 ]

(Repubblica) - Nuova ondata di sbarchi, 5 mila migranti in arrivo sulle coste siciliane

Cos’è

Il mare singhiozza migliaia di esseri umani. La terraferma fatica a digerire.

Scarp de’ tenis è un giornale di strada noprofit nato da un’idea di Pietro Greppi e da un paio di scarpe. È un’impresa sociale che dà voce e opportunità di reinserimento a persone senza dimora o emarginate. È un’occasione di lavoro e un progetto di comunicazione.

a, va beh, ne faremo a meno .. non si sa mai

Dove vanno i vostri 3,50 euro L’uomo a metà - tributo a Enzo Jannacci

Vendere il giornale significa lavorare, non fare accattonaggio. Il venditore trattiene una quota sul prezzo di copertina. Contributi e ritenute fiscali li prende in carico l’editore. Quanto resta è destinato a progetti di solidarietà.

Per contattarci

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TOP 15

Spesa pubblica per cultura 1 2 Fonte: Istituto europeo di statistica - dati 2011

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22 Progetto grafico Francesco Camagna Sito web Roberto Monevi Editore Oltre Soc. Coop. via S. Bernardino 4, 20122 Milano Presidente Luciano Gualzetti

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Islanda Estonia Lettonia Lussembrurgo Slovenia Ungheria Olanda Spagna Slovacchia Repubblica Ceca Polonia Norvegia Danimarca Cipro Italia

Registrazione Tribunale di Milano n. 177 del 16 marzo 1996 Stampa Elcograf Spa Verona Arretrati Su richiesta al doppio del prezzo di copertina

7,4% 5,0% 4,2% 4,0% 3,7% 3,5% 3,5% 3,3% 3,0% 2,9% 2,9% 2,9% 2,8% 2,8% 1,1%

Direzione e redazione centrale - Milano Cooperativa Oltre, via degli Olivetani 3 tel. 02.67479017 scarp@coopoltre.it Redazione Torino Via San Massimo 31/C, presso Spazio Laboratorio tel. 3200454758 scarptorino@gmail.com Redazione Genova Fondazione Auxilium, via Bozzano 12 tel. 010.5299528/544 comunicazione@fondazioneauxilium.it Redazione Verona Il Samaritano, via dell’Artigianato 21 tel. 045.8250384 segreteria@ilsamaritanovr.it Redazione Vicenza Caritas Vicenza, Contrà Torretti 38 tel. 0444.304986 scarp@caritas.vicenza.it Redazione Venezia Caritas Venezia, Santa Croce 495/a tel. 041.5289888 info@caritasveneziana.it Redazione Rimini Settimanale Il Ponte, via Cairoli 69 tel 0541.780666 rimini@scarpdetenis.net Redazione Firenze Il Samaritano, via Baracca 150/e tel. 055.3438680 samaritano@caritasfirenze.it Redazione Napoli Cooperativa sociale La Locomotiva via Pietro Trinchera 7, tel. 081.446862 scarp@lalocomotivaonlus.org Redazione Sud Caritas diocesana, Salita Corpo di Cristo, Teggiano (Sa) tel.0975 79578 info@caritasteggianopolicastro.it

Consentita la riproduzione di testi, foto e grafici citando la fonte e inviandoci copia. Questo numero è in vendita dal 25 settembre al 28 ottobre

www.insp.ngo ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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(IN)VISIBILI

La casa, prima risposta di contrasto alla grave emarginazione La casa, come prima soluzione, nelle sperimentazioni avviate in Italia di Paolo Lambruschi e negli altri Paesi può dare risposta In silenzio, 510 persone senza dimora in due anni alla domanda hanno avuto una casa. Se- di reinserimento condo i dati diramati dal progetdi una certa fascia to Housing first Italia coordinato dalla fio.PSD, la Federazione na- di bisogno zionale degli organismi che aiutano gli homeless, sono 343 gli adulti accolti cui aggiungere 167 figli delle famiglie accolte. Stiamo parlando di una iniziativa già avviata negli Stati Uniti, in Canada e in diversi Paesi europei e che ha varato una sperimentazione in dieci regioni (Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Calabria e Sicilia). Gli enti che partecipano al network – comuni, enti ecclesiastici o religiosi, cooperative sociali – sono 53. Sono 154 le famiglie accolte.

Questo dato positivo non deve far dimenticare quelle che gli esperti chiamano multi problematicità forti e che portano sulla strada anche in Italia: la perdita di reddito, casa e lavoro sono gli aspetti di disagio predominanti e coinvolgono almeno 8 accolti su 10; assenza di reddito o reddito insufficiente, assenza di lavo-

ro o precarietà, senza tetto e senza casa risultano le problematicità specifiche più rilevanti. Problemi di salute, di socialità, di famiglia e di scolarità coinvolgono metà degli accolti. Ma un dato va sottolineato: il 47% degli adulti coinvolti nei programmi concorre con proprie entrate o dei propri familiari alle spese del progetto personale. In due anni 60 persone sono uscite con successo. Qual è la novità? Che

l’abitazione diventa il primo gradino di questo progetto, «il punto di partenza e non l’obiettivo finale di un percorso di contrasto», come dicono i responsabili.

scheda

Paolo Lambruschi è nato a Milano nel 1966. Lavora ad Avvenire, come capo degli interni, dopo essere stato per tanti anni inviato. Ha diretto Scarp de’ tenis e il mensile di finanza etica Valori. Nel 2011 ha vinto il prestigioso premio giornalistico “Premiolino” per le inchieste sul traffico di esseri umani nel Sinai.

Si tratta di un interessante stimolo al nostro sistema di welfare mentre parte il reddito di cittadinanza e mentre le politiche di contrasto della marginalità risultano poco sostenibili e servono idee nuove a costi bassi. La casa come prima soluzione, nelle sperimentazioni avviate in Italia e in altri stati europei può dare risposta alla domanda di reinserimento di una certa fascia, dicono gli esperti. Non è il caso di

spingersi troppo in avanti, ma a chi storce il naso si può ricordare che i senza dimora, gli invisibili, non sono una comunità omogenea, in questi anni la platea si è talmente allargata fino a colpire fasce che si ritenevano al sicuro. Ma la

sormontabile. Troppo care le rate del mutuo per chi perde un lavoro e quindi la perde. Troppo cari gli affitti per chi resta senza reddito. Per loro la possibilità di vivere in un’abitazione con agevolazioni è un volano per ripartire. Poi c’è chi è precipitato sulla strada a causa di problemi psichiatrici e dipendenze e ha bisogno di recuperare il rapporto con se stesso prima di tutto e poi la capacità di vivere in una casa. Ben venga dunque il pragmatismo della fio.PSD che mette attorno al tavolo enti pubblici e privati e affronta con intelligenza problemi nascosti e dimenticati.

Vale la pena, a proposito di problemi nascosti e dimenticati, di ricordare che almeno 430 mila persone, all’80% stranieri, il resto italiani, sono sfruttati dai caporali nelle campagne italiane. Lavorano in nero, sottopagati, con orari quasi raddoppiati rispetto al contratto, vittime di violenze e soprusi. Molti sono senza dimora costretti a vivere in tuguri e baraccopoli, chiamati ghetti. È in arrivo una legge per contrastare questa piaga, ma un’altra estate è andata portando con sé, come 70 anni fa, i diritti dei braccianti.

casa è per molti un problema inottobre 2016 Scarp de’ tenis

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IL TAGLIO

Il barcone dei naufraghi in cerca di un porto a Milano Naufraghi. Senza Joseph Conrad a raccontare com’è andata. Onde, ma non ci sono là in mezzo Il vecchio e il mare, non c’è nessun ragazzo che aiuta a catturare il marlin, solo i pescicani incombono allo stesso modo. Il ricordo di Piero Colaprico

scheda

Piero Colaprico (Putignano 1957), giornalista e scrittore, vive a Milano dal 1976. È inviato speciale di Repubblica, si occupa di giustizia e di cronaca nera. Ha scritto alcuni romanzi, tra cui Trilogia della città di M. (2004), vincitore del Premio Scerbanenco. Una penna tagliente. Come questa rubrica che cura per Scarp.

di Ismaele aleggia, ma sembra infilarsi nella pancia di Moby Dick, come Giona, come Pinocchio. Il mare, per molti, significa avventura. E avventura doveva essere: anche per qualcuno che salì sul barcone e rimase là, al suo posto, rannicchiato, nonostante salissero sempre più persone. Il ragazzino, che sotto la maglietta aveva nascosto la pagella, di cui era orgoglioso. La trentenne, che su facebook balla e sorride. Un gruppo di contadini, che si sono legati un sacchetto con la terra che hanno lasciato alle spalle, la terra arida, che non li ha nutriti, la terra bastarda dalla quale si stanno allontanando. Il bambino piccolo e la madre. Ma quanti sono a salire? E come possono starci tutti? Se lo saranno chiesto, stretti uno accanto all’altro, i più fortunati sulla tolda, i più disgraziati in fondo, più giù nella stiva, al di sotto del vano motore, nel buio martellamento dei pistoni, nelle sentine. Eppure, si parte: «Dimmi, o luna: a che vale al pastor la sua vita, la vostra vita a voi? Dimmi: ove tende questo vagar mio breve, il tuo corso immortale?».

Il barcone si stacca dalla riva, si va verso la grande costa della Libia, si naviga contro vento, finché il 18 aprile 2015, come fosse un sasso, a 70 miglia dall’Africa, affonda e l’acqua si chiude come un coperchio. Ci vuole tempo per individuarlo, tempo per capire che cosa fare, perché all’improvviso si sente il bisogno di fare qualche cosa e nes-

Il ragazzino con la pagella sotto la maglia. La ragazza che su facebook balla e sorride. Il contadino, con un sacchetto della terra che non l’ha nutrito, legato alle caviglie. Ma come fanno a starci tutti? suno sa dire con precisione da che cosa nasca questo bisogno: altri barconi sono affondati, e altri affonderanno, ma il 27 giugno di quest’anno finalmente il barcone viene agganciato dagli incursori della Marina Militare a 370 metri di profondità, viene sollevato dal fondale marino e innalzato verso la luce, verso il velo azzurro della superficie. Aria.

I morti sono ancora là. Almeno settecento. E il barcone dei morti naviga nel Mediterraneo, per attraccare in una base della marina a Melilli. L’odore, il colore,

l’aspetto della morte diventa indimenticabile: ma noi siamo i vivi e voi siete i morti e tocca a noi – dicono pompieri, marinai, medici, semplici che obbediscono – agire. Resti umani. Prelevati, uno a uno. Messi nei sacchi, chiusi nei camion frigoriferi. Decine di giovani universitari italiani, tutti che si specializzano in anatomopatologia e in antropologia, i nostri figli, armati di li-

bri e di cuore, si mettono a disposizione di Cristina Cattaneo, medico legale della Statale. Autopsie. Ricerche. Scienza. Perché solo così,

mettendoci le mani e i bisturi, piano piano, i morti cominciano ad avere un nome. Un’età. Un passato. E cominciano a essere sepolti nei piccoli cimiteri siciliani. Loro, africani e asiatici, che con noi non c’entrano nulla. Non c’entrano con il barocco e i gelsi, l’Etna e il catarratto, ma che ci fanno qui, questi morti, questi naufragati? Che cosa vogliono? E noi che cosa vogliamo da noi e da loro? È da domande come queste che nasce un’idea per parlare ai vivi: «Perché non conservare il barcone recuperato dal fondo del mare con i corpi di circa settecento naufraghi? E, allora, perché non portarlo a Milano?». Abbiamo cominciato a parlarne quest’estate, su Repubblica Milano abbiamo raccolto un po’ di firme, e questo desiderio non si sta spegnendo. Le persone più diverse hanno sentito e raccontano questa strana storia, del barcone dei morti che forse parte per un ultimo viaggio. Forse per entrare in un museo che possa parlare di diritti civili e di medicina legale, di «scene del crimine» come sono nella realtà e della fragilità dei nostri corpi, così pieni di vita e sempre così vicini alla morte, tanto da dimenticarcene. Il sin-

daco, il prete, il professore, il medico, il giornalista vogliono che il barcone arrivi davvero, pensano che in quest’epoca di muri e di estranei serva un contrappeso. Serve dire: ma in questo guscio di noce c’erano forse 900 persone morte? E quale forza, quale debolezza, li ha mandati per il mare? Che cosa vedono, nell’Italia e nell’Europa, che noi non siamo più capaci di vedere? ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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PIANI BASSI

Parlo ma non discrimino, c’è speranza nel regno... “Rifugiati” vs. “clandestini” su Google Trends

Mettere sotto accusa il “linguisticamente corretto”, di Paolo Brivio

variante e condizione del politicamente corretto, sembra essere diventato uno sport di società. In molti, autorevoli commentatori e anonimi surfisti dei social, se la prendono, raramente con qualche ragione, perlopiù spandendo esuberanti dosi di livore, contro chi cerchi di osservare e diffondere un uso accurato, temperato e rispettoso delle parole, al fine di scalfire

espressioni popolari e magari secolari, ma portatrici insane di stigmatizzazioni e discriminazioni.

l’autore Paolo Brivio, 49 anni, si è appassionato ai giornali ai tempi dell’università. E ha coniugato questa passione-professione con l’esplorazione dei “piani bassi” della nostra società. Direttore di Scarp dal 2005 al 2014, oggi fa il sindaco: pro tempore, perché rimane “giornalista sociale” in servizio permanente effettivo

Così, continua a essere assai praticato il lancio di strali contro l’impiego del termine “migranti”, ormai prevalente, nella comunicazione pubblica, per definire i protagonisti dei flussi che spostano, qua e là per il globo, ingenti masse di umani. Eppure dovrebbe apparire evidente a tutti che definire qual-

cuno migrante non equivale, in nessun modo, a farne un ritratto forzatamente e strumentalmente positivo: il participio presente designa chi si trasferisce da un punto all’altro del pianeta, senza ipotecare che sia per forza angelo, senza escludere che possa essere demone. Mentre par-

larne come di un clandestino, significa catalogarlo a prescindere come violatore di leggi, in definitiva un criminale. Calpestando la realtà, anche giuridica, dei fatti. E soffiando sul fuoco dell’intolleranza.

Pessima alternativa Insomma, l’uso delle parole è tutt’altro che neutro. Per questo conviene che sia responsabile. E per questo sorprende e incoraggia constatare che (come mostra il grafico proposto dall’associazione Carta di Roma – www.cartadiro-

Il linguisticamente, anticamera del politicamente corretto, è spesso sotto accusa. D’altronde, i media italiani, parlando di “migranti”, hanno dimostrato che l’uso onesto della lingua sortisce effetti positivi sulle tendenze sociali. Ecco perché Scarp utilizza “persone senza dimora”

ma.org) nelle ricerche degli utenti italiani del motore Google il ter-

mine “rifugiati” abbia soppiantato, nella parte finale del 2015, i ben più pericolosi e ambigui “clandestini” ed “extracomunitari”. Difficile pensare che a questo risultato sia estranea «la progressiva evoluzione del linguaggio e dei temi» che, secondo Carta di Roma, ha contraddistinto, dal 2013 in poi, il racconto di flussi e sbarchi fatto dai media italiani, centrato ora su un nuovo «obietti-

vo: la ri-umanizzazione delle vittime che, tramite il racconto

delle loro storie, cessano di essere numeri per ridiventare persone». Dunque, c’è speranza. Anche nel regno caciarone, cinico e distorsore dei media classici e dei nuovi social.

Buone prassi professionali possono alimentare corrette percezioni popolari. Scarp, nel

suo piccolo, sul fronte dell’homelessness, non si stancherà mai di sca-

vare, con l’espressione “persone senza dimora”, la pietra del pregiudizio e dell’indifferenza che grava su chi non ha casa e vive per strada. L’alternativa è tornare al vecchio vocabolo “barboni”: sicuramente più icastico, ma meno onesto e rispettoso. E non c’è bisogno di spiegare perché... ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Simone Manuel e Colin Kaepernick Storie di sport e di razzismo latente

di Gianni Mura

Due storie con tratti simili. La ragazza nera che vince i 100 metri stile libero a Rio e il giocatore di football americano che si rifiuta di alzarsi all’inno. Sullo sfondo il razzismo latente

Il San Josè Mercury News non fa parte delle mie abituali letture, quindi non posso giudicarne, in assoluto, la serietà. Non altissima, se stiamo a un episodio che ha suscitato molto clamore. I fatti: la nuotatrice Simone Manuel, 20 anni, texana di Houston, università a Stanford, vince a Rio i 100 metri stile libero ex aequo con la canadese Penny Oleksiak, 16 anni. Per entrambe è l’esordio olimpico. Il loro tempo (52”70) è il nuovo record olimpico. Simone tornerà dal Brasile con due medaglie d’oro e due d’argento. Dal 1984

un’atleta Usa non vinceva i 100 stile libero. In più, Simone è la prima afroamericana a vincere una medaglia d’oro nel nuoto. Ci sareb-

bero tutti gli estremi per un bel titolo personalizzato. Aggiungiamo, anche se non ha importanza (ma per molti giornalisti pare di sì) che Simone è anche una bella ragazza, dal sorriso contagioso.

Questo il titolo del San Josè Mercury News: “Michael Phelps condivide una notte storica con un’afroamericana”.

scheda

Gianni Mura è nato a Milano nel 1945. Giornalista e scrittore. Su Repubblica cura la rubrica Sette giorni di cattivi pensieri, nella quale – parlando di sport, s’intende – giudica il mondo intero. In questa rubrica racconta invece le storie di sport che, altrove, faticherebbero a trovare spazio.

Fioccano le proteste. Tra le prime, quella di un redattore del giornale, Tim Kawakami, che twitta: «Questo titolo è orribile. È il mio giornale e potrei trovarmi nei guai per averlo detto, ma è davvero un titolo orribile». Sui social network gli aggettivi più usati sono disgustoso e vergognoso. Il giornale corre ai ripari scusandosi “per il titolo insensibile” e capovolgendolo: “Simone Manuel

di Stanford condivide una notte storica con Michael Phelps”. In Messico, nel ’68,

chiesero al grandissimo saltatore Bob Beamon: come mai i neri so12 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Simone Manuel ph: REUTERS/Lucy Nicholson (courtesy of INSP)

no eccellenti in atletica leggera, basket, football, pugilato, e nessuno nel nuoto? E lui: «Rifatemi la domanda quando i neri avranno libero accesso alle piscine». Simone Manuel è la risposta. E ne è consapevole: «L’oro non è sol-

tanto per me, è dedicato agli afroamericani venuti prima di me, a chi mi ha detto di insistere, a chi crede di non potercela fare, e invece non deve perdere la speranza». In Messico, nel ’68,

fecero cronaca e storia i pugni chiusi nei guanti neri. Smith, Carlos, la solidarietà del bianco Peter Norman. Una storia che ho raccontato su Scarp. Un’altra, forse meno nota, riguarda la ginnasta cecoslovacca Vera Caslavka, morta da poche settimane, la racconterò un’altra volta in queste pagine. Ora preferisco rima-

nere nel contesto della discriminazione razziale, del razzismo più o meno laten-

te negli Usa, anche se un afroamericano siede alla Casa Bianca. È un caso di cui si discute molto da una costa all’altra degli Usa, nasce dal mondo del football americano.

È il caso Kaepernick.

In ginocchio per protestare

Colin Kaepernick, 29 anni, è quarterback dei San Francisco 49ers. Come saprete, prima di ogni evento sportivo negli Usa viene eseguito l’inno nazionale, The star spangled banners e tutti (atleti, spettatori) si alzano in piedi, molti appoggiando la mano sul cuore. Prima del

match amichevole con la squadra di Green Bay, Kaepernick è rimasto seduto.

Non se ne sono accorti in tanti, finché uno spettatore non ha diffuso l’immagine di Kaepernick seduto. Spiegazione: «Mi rifiuto

di alzarmi e mostrare orgoglio per un Paese che oppri-


LE STORIE DI MURA

ph: REUTERS/Orlando Ramirez-Usa Today Sports (courtesy of INSP)

me la gente di colore e le minoranze. Questa presa di posizione per me è più importante dello sport che pratico. Se mi girassi dall’altra parte sarei un egoista. Ho visto corpi per le strade, a terra, e i responsabili di quegli omicidi andare in ferie, senza pagare le conseguenze per avere assassinato uomini disarmati».

Kaepernick si riferisce all’ondata di vittime afroamericane per eccessivo zelo della polizia. Da qui il movimento Black Lives Matter, cui hanno dato appoggio cestisti famosi come LeBron James e Carmelo Anthony. Pochi giorni dopo, a San Diego, altra amichevole di preparazione al campionato Fnl. Durante l’inno Kaepernick è inginocchiato. Il suo gesto è stato imitato a Oakland da Jeremy Lane, cornerback dei Seattle Seahawks. Sul web si vedono tifosi dei 49ers dare fuoco alla maglia rossa numero

7, quella di Kaepernick, sulle note dell’inno nazionale. Donald Trump lo ha invitato ad andarsene altrove: «Se questo Paese non gli piace, se ne cerchi un altro». Pronta replica di Kaepernick :

Mi rifiuto di alzarmi e mostrare orgoglio per un Paese che opprime la gente di colore e le minoranze. Non sono antiamericano. Questo è il mio Paese, amo l’America e la sua gente

«Non sono antiamericano. Questo è il mio Paese, amo l’America e la sua gente. Ecco cosa mi muove, la voglia di un Paese migliore». Tra gli

insulti più frequenti, “traditore”. Altri lo accusano di protagonismo: come può lui, con un conto in banca di milioni di dollari, parlare di discriminazione razziale? Facile la risposta: «Parlo anche per quelli che non hanno voce». Curiosamente, Kaepernick subisce attacchi da afroamericani «perché è poco nero». Sentite Rodney Harrison, già giocatore di football, oggi commentatore televisivo: «Io sono nero, Kaepernick no. Non ha vissuto quel che ho vissuto io sulla mia pelle». In effetti, Kaepernick è poco

nero. Nero era il padre biologico, di cui nulla si sa, già fuori casa prima che Colin nascesse. Bianca la madre biologica, Heidi Russo, siciliana d’origine. Ebbe Colin a 19 anni, non aveva i mezzi per mantenerlo. All’età di sei settimane Kaepernick fu adottato da una coppia di bianchi, spesso presente alle sue partite. Heidi, sua madre, vive a Denver e lavora come infermiera. Non si sono più visti. Scritti, sì. Nel dibattito è entrato anche Obama: «A volte le proteste sono confuse e fanno arrabbiare la gente, ma continuo a preferire i giovani impegnati, non gli indifferenti che si tirano da una parte. Credo all’onestà di Kaepernick e penso che il suo atteggiamento porti a discutere di un problema molto serio». Eroe o traditore, Colin Kaepernick ha già fatto sapere che la sua protesta continuerà nella gare di campionato. Sempre che i 49ers non rescindano il contratto. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Nella notte del 24 agosto tre violente scosse di terremoto hanno colpito le province di Rieti, Ascoli Piceno, Perugia e Fermo, causando molti morti, numerosi feriti e sfollati, danni ingenti e il crollo di numerose abitazioni e di alcune chiese, in modo 14 Scarp de’ tenis ottobre 2016


LA FOTO

di Romano Siciliani

Come donare Caritas Italiana conto corrente postale n. 347013 bonifico bancario su Banca Popolare Etica, via Parigi 17, Roma – Iban: IT 29 U 05018 03200 000000011113 specificando nella causale “Terremoto Centro Italia”. È possibile contribuire anche tramite altri canali, tra cui: online (causale "Terremoto centro Italia"). Tutti i dettagli sul sito www.caritasitaliana.it Caritas Ambrosiana C.C.P. n. 000013576228 intestato Caritas Ambrosiana Onlus - Via S.Bernardino 4 20122 Milano. C/C presso il Credito Valtellinese, intestato a Caritas Ambrosiana Onlus IBAN: IT 17 Y052 16 01631 000000000578 C/C presso Banca Popolare Etica, intestato a Caritas Ambrosiana Onlus IBAN: IT 86 E 05018 01600000000101545 Specificare sempre la causale: “Terremoto Centro Italia”. È possibile contribuire anche tramite altri canali. Tutti i dettagli sul sito www.caritasambrosiana.it.

particolare nei centri di Accumoli (Rieti), Arquata e Pescara del Tronto (Ascoli Piceno) ed Amatrice (Rieti). Caritas Italiana ha attivato sin dai primi giorni successivi alla tragedia la rete della solidarietà, insieme con le Caritas diocesane ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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IN BREVE

europa Giovani In Italia dati preoccupanti di Enrico Panero Nell’Unione Europea (Ue) i giovani rappresentano circa il 17% della popolazione, cioè quasi 90 milioni di persone con età compresa tra i 15 e i 29 anni. Una fascia piuttosto ampia in cui cambiano le attività, passando dall’istruzione alla formazione fino al lavoro. Almeno in teoria, perché il passaggio al lavoro resta piuttosto difficoltoso come dimostra la quota di disoccupazione giovanile under 25, mediamente intorno al 19% nell’Ue e al 21% nella zona euro (rispetto all’8,6% e al 10,1% della popolazione generale) ma con percentuali che raddoppiano in Paesi come Grecia (50,3%), Spagna (43,9%) e Italia (39,2%). Una situazione preoccupante, perché compromette il futuro delle nuove generazioni europee a punto tale che in molti casi sopraggiunge la rassegnazione. Il dato più inquietante è infatti quello dei milioni di giovani che non studiano, non si formano e non lavorano, i cosiddetti Neet (Not in education, employment or training). Mediamente a livello europeo sono circa il 17% dei giovani di 20-24 anni e quasi il 20% tra quelli di 25-29 anni. Mentre però nel Nord dell’Ue si registrano generalmente percentuali inferiori al 10%, come per la disoccupazione, sono gli Stati membri mediterranei a destare maggior preoccupazione. Riguardo i Neet l’Italia su tutti: con il 31,1% detiene il triste record nella fascia d’età 20-24 anni e, quel che è peggio, si segnala come il Paese dell’Ue dove negli ultimi 10 anni questa quota è aumentata di più: si è passati da un giovane su cinque a quasi uno su tre. L’Italia, purtroppo, non è un Paese per giovani.

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La notte dei senza dimora in diocesi di Vicenza. A Bassano il 22 ottobre Per il quinto anno consecutivo in Diocesi di Vicenza si terrà la La Notte dei Senza dimora. L’evento nato a Milano una

popoli, a cura del Sermig (ovvero aperitivo con storie di persone senza casa), la cena Aggiungi un posto a tavola, poi il concerto degli Idraulici del Suono (per informare e far conoscere le situazioni di povertà estrema), e infine il sonno condiviso con volontari, persone senza fissa dimora e cittadini in Piazza della Libertà. Eventi col-

legati vi saranno anche a Lonigo e Arzignano. La notte dei senza dimora vuole attirare

notte avrà la sede principale a Bassano del Grappa il 22 ottobre. Previsti diversi ap-

l’attenzione della cittadinanza sui problemi legati a chi non ha più niente. Infatti, senza casa significa anche senza residenza anagrafica, ovvero senza diritto a previdenza, salute, voto, e tutti i diritti di cui normalmente noi tutti godiamo come cittadini.

puntamenti fin dal pomeriggio: la merenda dei

facebook la notte dei senza dimora-rete di vicenza

quindicina di anni fa in occasione della Giornata mondiale di contrasto alla povertà oggi è diffuso in tutta Italia. Nella Diocesi vicentina la

street art Il castello di Zak, invisibile al mondo Cormano, Milano. A pochi passi dall’autostrada c’è un vecchio capannone abbandonato, una fabbrica in disuso che è diventato un laboratorio di street art. Ad abitarlo è un signore di 60 anni, Zakaria Jemai, conosciuto come lo zio, o semplicemente Zak. Algerino, una storia di homeless alle spalle. Faceva il cuoco sulle navi da crociera, ha moglie e due figli. Si è ritrovato in strada, da solo, e ha cominciato a vivere dentro la ex fabbrica. Da un paio di anni Zak accoglie gli street artist nel suo castello. E l’ex capannone ha cominciato a essere un luogo dove gli artisti di strada vanno a creare. Ma lui non fa entrare tutti, solo quelli che valgono: capisce da pochi tratti se vale la pena conservare le tracce di un artista. Spesso lo zio scopre nuovi talenti e li incoraggia a creare. Dentro i piani del castello di Zak oggi c’è un tesoro.

on

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Chiquita, la moglia di Calvino, regala la fantasia ai bambini

La normativa non è adeguata al territorio

Fogli di viaggio è un progetto sulla lettura. Della voglia dei bambini di esplorare il mondo attraverso le parole di scrittori che portano lontano. Ma mancavano i soldi per acquistare i libri. Il giornalino della scuola ha annotato questa mancanza evidenziando l’impegno dei bambini nel realizzare 150 libri di cartone messi in vendita per finanziare la (povera) biblioteca. Pochi giorni dopo è arrivata la telefonata di Chiquita Calvino, ovvero Esther Judith Singer, detta appunto Chiquita. La moglie 91 enne dello scrittore ha chiamato la scuola elementare Giovanni XXIII di Padova, dicendo che voleva regalare alla scuola tutta la sua biblioteca: 110 mila libri dove certo non mancano quelli di Calvino. Chiquita all’inizio non è stata creduta, nella scuola si pensava a uno scherzo. Ma è tutto vero. I bambini avranno di che viaggiare con la fantasia.

Alessandro Martelli è ingegnere sismico, presidente del Glis (Istituto dell’associazione nazionale italiana di ingegneria sismica). In un’intervista ha dichiarato che l’80 per cento dei fabbricati delle zone ad alto rischio sismico, in Italia, non potrebbero reggere un terremoto come quello che ha distrutto Amatrice e altri paesi del centro Italia. Secondo l’esperto, il patrimonio edilizio italiano, soprattutto nelle zone di grande pregio storico, è vecchio e non è in grado di sostenere i terremoti. Anche perché, ha aggiunto, non ci sono norme davvero stringenti sulla prevenzione e messa in sicurezza delle case antiche. Inoltre, i contributi dei Comuni, quando ci sono, sono pochi e arrivano con il contagocce. Per quanto riguarda le nuove costruzioni invece, solo dopo il terremoto del 1981, in Irpinia, venne introdotto l’obbligo del rispetto di norme antisismiche per le costruzioni. Ma spesso i costruttori non le rispettano. Invece, se ben eseguiti - dice lo studioso - le nuove costruzioni sarebbero sicure.


[ pagine a cura di Daniela Palumbo ]

In mostra a Venezia due progetti fotografici che indagano la narrazione dei territori

Fino all’8 gennaio 2017 alla Casa dei Tre Oci, sarà possibile visitare due mostre fotografiche di grande interesse. Le sale dello spazio veneziano sull’isola della Giudecca si apriranno alle rassegne di due artisti, entrambi membri dell’agenzia fotografica Magnum: “René Burri. Utopia”, curata da Michael Koetzle e Denis Curti, e “Ferdinando Scianna. Il Ghetto di Venezia 500 anni dopo”, curata da Denis Curti. Quest’ultima in particolare è frutto del lavoro fotografico realizzato su incarico della Fondazione di Venezia in occasione del Cinquecentenario della fondazione del Ghetto ebraico a Venezia, per raccontarne la storia secolare. Info www.treoci.org

pillole homeless Un adesivo per condividere la rete di solidarietà

mi riguarda Parole fuori, il rap che salva Come un mantra, come un augurio. I nove brani rap dei giovani detenuti sono nati dentro il carcere di Monza. Ne è nato un album – Quando Uscirò – autoprodotto, per aiutare i detenuti a inventarsi un futuro diverso, registrando i loro testi e le musiche dentro l’istituto. Il tentativo infatti è quello di poter far nascere (grazie al crowfunding) una sala di registrazione nel carcere, dove i detenuti possano registrare in autonomia gli album. «Sono stato sempre convinto che ogni uomo abbia diritto a una seconda opportunità. L’hip hop l’ha data a me e ora io cerco solo di trasmettere quello che questa cultura è destinata a fare: proiettare le persone verso qualcosa di più, di migliore», ha detto Kiave, alias Mirko Filice, rapper 35enne originario di Cosenza, con il quale i ragazzi hanno seguito il laboratorio. “Gli errori sono stati incatenati barricati/ si viene sempre e solo giudicati e condannati/ i pregiudizi della gente/ mi lasciano totalmente indifferente”, grida Mario Mof nella canzone Gli Errori una delle nove tracce ascoltabili all’indirizzo bit.ly/ParoleOltreIMuriAlbum.

Le Carillon è un’associazione attiva nell’undicesimo arrondissement di Parigi. Ha escogitato un sistema capace di migliorare la vita delle persone senza casa. Sulle vetrine di alcuni negozi del quartiere ci sono degli adesivi con strani simboli: un rubinetto, una tazza fumante, un forno a microonde, un cellulare, un orecchio. Ogni disegno corrisponde a un servizio che il negoziante mette gratuitamente a disposizione per i senza dimora del quartiere. Il rubinetto indica la possibilità di trovare dell’acqua, la tazza fumante quella di bere qualcosa di caldo, il forno a microonde quella di poter scaldare cibi o bevande, il cellulare quella di ricaricare apparecchiature. Un senza dimora che ha avuto un piccolo incidente può andare a medicarsi in una delle farmacie dove è esposto l’adesivo col kit di pronto soccorso. I negozi in cui è possibile utilizzare il bagno sono più di dieci e in alcuni è possibile fare la doccia. Info facebook/lecarillon

Vicenza. Una scelta di civiltà per tutta la città I cittadini residenti a Vicenza avranno la possibilità di dichiarare la volontà di donare organi e tessuti in sede di rilascio o rinnovo della carta d’identità nel l’ufficio anagrafe del Comune. La città ha infatti deciso di aderire al progetto pilota regionale “Carta d’identità – Donazione organi”, volto a sensibilizzare e a informare la popolazione sul tema, per aumentare gradualmente il bacino delle persone potenzialmente donatrici. In pratica, al momento del rinnovo, il cittadino sarà invitato a compilare e firmare un modulo per esprimere il consenso o il diniego alla donazione degli organi. Sarà poi l’ufficiale d’anagrafe a trasferire telematicamente l’informazione tramite una procedura informatizzata al Sistema informativo trapianti (Sit) del Ministero della salute.

Milano. Anffas compie 50 anni e guarda al futuro Il Manifesto di Milano è il documento approvato durante l’assemblea nazionale della storica associazione che tutela i diritti delle persone disabili. I punti del manifesto sono cinque: i diritti delle persone con disabilità vanno sempre, dovunque e comunque rispettati e garantiti; le famiglie delle persone con disabilità devono essere sostenute e tutelate per il miglioramento della loro qualità di vita; l’inclusione sociale deve essere declinata nell’ottica del “curare le comunità per curare le persone”; i servizi per le persone con disabilità devono essere riorientati per mirare al potenziamento delle loro abilità ed avere come fine la piena inclusione sociale e partecipazione attiva nella comunità. Anffas appartiene al variegato mondo del terzo settore e in quanto tale si impegna a operare nel pieno rispetto delle regole e in regime di trasparenza. Info www.anffasmilano.it

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IN BREVE

La scuola Penny Wirton nasce a Roma nel 2008 da un’idea di Eraldo Affinati e di Anna Luce Lenzi. Dal 2015 è anche a Milano. (foto Pio Tarantini)

Da Taormina a Venezia, il sociale è protagonista Michele Ferraris Gli invisibili devono uscire dall’ombra dell’indifferenza. Lo sanno bene la fio.PSD e i suoi oltre 110 Soci, che da 30 anni si occupano concretamente di azioni mirate a contrastare il fenomeno dell’emarginazione delle persone senza dimora, non solo attivamente attraverso il reperimento di un’abitazione, ma soprattutto tramite lo studio del fenomeno e da qualche tempo è avvalorata anche dalla collaborazione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. È per questa ragione che la federazione in questi mesi, ha colto la grande occasione della 62esima edizione del TaorminaFilmFest (11 giugno 2016) e della 73esima Mostra del Cinema di Venezia (3 settembre 2016), per puntare i riflettori sulla problematica dei senza dimora anche attraverso il lancio della campagna di comunicazione sociale #HomelessZero. A Venezia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, Giuliano Poletti presente con la presidente della fio.PSD, Cristina Avonto, oltre a presentare gli spot della campagna #HomelessZero, cui hanno prestato volto e voce numerosi attori (oltre Richard Gere anche Susan Sarandon e Iain Glen e molti attori italiani), ha anticipato che entro il 15 settembre sarà pubblicato sul sito del Ministero il primo Bando per finanziare progetti di housing per i senza dimora da realizzare nel periodo 2016-2019. www.homelesszero.org

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TRE DOMANDE

La scuola per stranieri Penny Wirton anche a Milano di Daniela Palumbo

Laura Bosio è una scrittrice e una editor ma soprattutto è una persona che ha uno speciale modo di accogliere le persone, ha un sorriso gentile e grande capacità d’ascolto. Laura è piemontese ma risiede da tanti anni a Milano e ha deciso di regalare alla città che l’ha accolta una scuola come lei, speciale. La Penny Wirton, scuola che insegna italiano gratuitamente e su base volontaria, agli stranieri. L’ idea nasce dello scrittore romano Eraldo Affinati e da sua moglie, Anna Luce Lenzi, che nel 2008 hanno iniziato a Roma questa avventura. La scuola di Roma, prima, le altre scuole in diverse parti d’Italia, poi. Ora la Penny Wirton è anche a Milano, grazie a Laura Bosio. La sollecitazione è venuta da Eraldo nel giugno dello scorso anno – ricorda la scrittrice il cui ultimo lavoro è Da un’altra Italia, insieme a Bruno Nacci, per Utet -. A settembre 2015 ho trovato i locali grazie a don Giuseppe Grampa, parroco di San Giovanni in Laterano, nei locali di via Pinturicchio 35, dove saremo essere presenti dal prossimo settembre, il mercoledì e il venerdì dalle 15 alle 17. La caratteristica principale della scuola è l’insegnamento “uno a uno”, ossia tra insegnante e allievo, che in questo modo può essere seguito a partire dal livello di conoscenza della lingua. Oltre a non essere organizzata in classi, la scuola non richiede iscrizione formale e accoglie allievi per tutta la durata del corso. Per l’insegnamento mettiamo a disposizione i volumi scritti per la Penny Wirtonda Eraldo e Anna Luce sulla base della loro esperienza.

Chi sono gli insegnanti volontari? Abbiamo cominciato nel dicembre del 2015 e nel giro di pochi mesi abbiamo accolto più di quaranta allievi, potendo contare su una cinquantina di insegnanti volontari: Milano risponde con generosità a queste iniziative. Sono insegnanti, impiegati, avvocati, architetti, ingegneri, fisici, giornalisti, scrittori, persone che lavorano nel mondo editoriale, pensionati, con cui abbiamo formato un gruppo solido e motivato. E naturalmente chi vuole aggiungersi è benvenuto. Tra i progetti nuovi c’è l’ospitalità del Liceo Scientifico Einstein, dove saranno gli stessi studenti del liceo a diventare insegnanti degli immigrati, assistiti da alcuni di noi, e quella del Liceo Artistico Orsoline, che il sabato mattina ospiterà allievi della Penny Wirton. Studenti del Liceo Marconi si faranno insegnanti volontari in via Pinturicchio nell’ambito della Attività di Alternanza Scuola Lavoro. Anche il Laboratorio Formentini per l’Editoria ci ha offerto ospitalità. È l’idea di una “scuola diffusa”, a disposizione del maggior numero di persone in varie zone e realtà cittadine. Pensa anche lei, come Affinati, che gli intellettuali devono “sporcarsi le mani”, devono essere semi che fanno crescere altri semi, con l’agire dentro la società? A proposito dell’essere semi, mi viene in mente una frase di Van Gogh: “Sento con tutte le mie forze che la storia dell’uomo è come quella del grano; anche se non saremo piantati nella terra per germogliare, non importa: saremo macinati lo stesso per diventare pane”. La Penny Wirton è presente su Facebook alla pagina Penny Wirton Milano. Tel. 3273939282. pennywirtonmilano@virgilio.it.


IN BREVE

Il Cirque du Soleil porta Varekai per la prima volta in Italia

Nel cuore di una foresta, sulla cima di un vulcano, esiste un mondo straordinario dove tutto è possibile. Un mondo chiamato Varekai. Dal cielo scende un giovane uomo solitario, e così ha inizio la storia di Varekai. Paracadutato all’interno di una magica foresta, in un mondo caleidoscopico popolato da creature fantastiche, il giovane uomo intraprende un’avventura assurda quanto straordinaria. In questo giorno ai confini del tempo, in questo luogo dalle pure possibilità, inizia un incantesimo ispirato alla vita ritrovata e ai meravigliosi misteri del mondo e della mente. Il ter-

mine Varekai significa “ovunque” nel linguaggio rumeno dei gitani —i nomadi universali. Il Cirque du Soleil porta Varekai per la prima volta a Milano dal 20 al 23 ottobre, a Firenze dal 27 al 30 ottobre, a Bologna dal 3 al 6 novembre, aTorino dal 10 al 13 novembre. Diretto da Dominic Champagne, Varekai rende omaggio all’anima nomade, allo spirito e all’arte della tradizione circense, e alla passione infinita di coloro che arrivano al sentiero che porta, appunto, “ovunque”. Dai circa 20 artisti di strada di cui la compagnia era composta al suo inizio nel 1984, il Cirque du Soleil, che ha base in Quebec, oggi conta 4 mila lavoratori, di cui oltre 1.300 artisti di oltre 50 nazionalità diver-

se. Il Cirque du Soleil ha portato gioia e meraviglia a più di 160 milioni di spettatori in oltre 400 città di tutti i continenti. I biglietti per gli spettacoli di Varekai sono disponibili su www.cirquedusoleil.com, www.livenation.it e www.ticketone.it.

L’omaggio a Pino Daniele nel museo della pace di Napoli In via Depretis, a Napoli, il museo della Pace contiene dodici percorsi emozionali. Un viaggio dentro i ricordi che sollecitano le emozioni. Fra questi, l'omaggio a Pino Daniele. Un intero piano infatti è dedicato al cantautore napoletano: qui è possibile rivivere i momenti più importanti della sua vita artistica. Pino Daniele Alive è un itinerario per ricordare le varie sfaccettature del personaggio e della sua musica. Il ragazzo del blues e le hit da classifica, il performer ineguagliabile e a volte scontroso, con l’ironia del napoletano verace e l’orecchio finissimo dell’artista globale. Pino Daniele era soprattutto un musicista, cantante per caso e superstar per incidente di percorso. Con la sua voce dolce e ruvida allo stesso tempo ha dato a Napoli la certezza di essere migliore di quello che appariva. Info fondazionemediterraneo.org

Info www.cirquedusoleil.com

LA STRISCIA

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LE DRITTE DI YAMADA

Ristorante Lumaca Esordio boom per Ito Ogawa

Tornare a casa dal lavoro e scoprire che il tuo fidanzato ha portato via tutto ma proprio tutto - dalla vostra casa, lasciando solo le sue chiavi poggiate sul pavimento del soggiorno vuoto: questo è l’abbrivio de Il ristorante dell’amore ritrovato, fortunato e stra-venduto esordio letterario di Ito Ogawa, giovane scrittrice e musicista giapponese. In questo Ristorante Lumaca (così il titolo originale in giapponese), la Ogawa mi ha cattu-

rato facendomi quasi visualizzare l’unica mossa mentale e di reazione che la protagonista poteva fare, nel vuoto rimbombante della sua casa-cuore: riempirla, poteva solo riempirla di qualcosa. Quel “qualcosa” glielo proietta proprio il suo cuore: è il ricordo del “tramonto con la luce arancione del sole calante” che ogni sera l’avvolgeva ai fornelli mentre cucinava per il suo fidanzato. Che non ha portato via “solo” tutti i mobili: le ha soprattutto sottratto gli utensili preziosi – comprati poco alla volta e scelti con cura – che le servivano per cucinare professionalmente anche a casa: Ringochan (questo è il nome della protagonista) infatti lavora nella brigata di cucina di un ristorante etnico di Tokyo. Nell’incredula drammaticità del momento, Ringo-chan di soprassalto si ricorda di un altro tesoro. Apre lo sportello del vano del contatore del gas e lo vede lì, “buono buono ad atten-

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Un fidanzato che scappa dalla vostra casa portandosi via tutto e lasciando solo le sue chiavi poggiate sul pavimento. Parte da qui il racconto di Ito Ogawa, giovane musicista e scrittrice giapponese

il libro Il ristorante dell’amore ritrovato di Ito Ogawa

Nel suo nuovo libro l’arcivescovo di Manila, card. Luis Antonio Tagle riflette sulla realtà delle migrazioni – con pensieri di teologia e il racconto di esperienze personali – e chiede una maggior coscienza e impegno dei cristiani nell’accogliere migranti e profughi: “Non possiamo dimenticarci di quanto sta succedendo. Gli uomini, e tra loro i politici, devono agire. La Chiesa pure. Sono nostri fratelli. I migranti sono persone, non numeri”.

derla al buio”: un recipiente di terracotta, appartenuto alla sua amatissima nonna (che l’aveva iniziata alla cucina), con dentro un nukadoko. Ringo svita il coperchio e “il contenuto era intatto, così come lo aveva lasciato quella mattina dopo averne preso una porzione e averci passato sopra il palmo della mano per livellarlo”. (Il nukadoko è una pasta fermentata di crusca di riso. Si prepara mescolando la crusca tostata con acqua, alga konbu e sale e lasciando fermentare. Va rimestato quotidianamente a mani nude, ndr). A pezzi e senza più la voce che si è silenziata per il dolore, Ringo prende posto su un autobus notturno per fare a ritroso la strada che l’aveva portata via dalla casa materna, dieci anni prima.

Luis Antonio Tagle I migranti sono miei fratelli EMI, euro 5

Pierre e Marie e il senso della vita La storia di un incontro fra Pierre Fauré, un contabile che lascia Parigi per trascorrere un mese in Provenza dal suo amico François, e di Marie che un giorno appare nella sua stanza. Un “povero animale malato” che François ha trovato sul ciglio della strada nell’estate del ‘40 e ha salvato dal manicomio. Con lei scoprirà il senso della vita.

Dal momento che le sparisce la voce e comunica con gli altri con blocchetto e matita, il suo modo di “parlare” al lettore diventa puro e lineare. Senza preoccuparsi di dover trasformare in parole quello che sente, concentra le sue forze sul progetto che più le sta a cuore: mette su un piccolo ristorante in cui cucina menù speciali per pochissime persone di cui vuole conoscere, per tempo via mail, motivazione ed eventuali richieste. Il suo “Lumachino”, luogo fatato, regalerà ai clienti di uscire diversi da come sono entrati. La stessa Ringo-chan, in seguito ad altri due eventi che la segneranno, sarà chef e cliente allo stesso tempo: anche lei beneficerà di se stessa, consapevolmente lontana anni-luce dal vuoto di dove l’abbiamo conosciuta.

Gajto Gazdanov Ritrovarsi a Parigi Fazi Editore, euro 15

Intrighi nel mondo del pallone

[ a cura di Daniela Palumbo ]

testo di Yamada

I migranti, miei fratelli

La squadra degli investigatori Sellerio tesse trame gialle con intrecci polizieschi, tutte rigorosamente dentro i campi di calcio dove le storie umane non mancano. Smascherano intrighi, e il racconto diventa denuncia sociale. AA.VV Il calcio in giallo Sellerio, euro 14


VISIONI

Una scena di Vallanzasca – Gli angeli del male di Michele Placido. Film milanese di Scendi c’è il cinema del mese di agosto.

Esiste l'uomo perfetto? No. Qualcosa di nuovo, di Cristina Comencini. Una storia di donne, con Micaela Ramazzotti e Paola Cortellesi. Lucia e Maria si conoscono da sempre, ma sono molto diverse. Una sera Maria incontra l'uomo perfetto, bello e sensibile. Dopo quella notte sorprese ed equivoci costringeranno le due amiche a guardare la vita in modo più leggero.

Scendi in cortile che c’è il cinema

«Non c’è nessuna forma d’arte come il cinema per colpire la coscienza, scuotere le emozioni e raggiungere le stanze segrete dell’anima». La pagina facebook di Scendi c’è il cinema cita Ingmar Bergman, diffonde i programmi, organizza le proiezioni, recluta volontari e in alcuni casi trova anche generi di conforto per i veri appassionati di cinema. Ad agosto fette di anguria gratis al posto del salatissimo popcorn dei multisala. L’ambizione, è evidente, non manca. Il progetto è del

2012 e grazie al Laboratorio di quartiere Giambellino Lorenteggio e altre associazioni legate alla zona 6 di Milano, cerca di fare uscire la gente da casa e stimolare la vita di quartiere. «L’iniziativa – si legge ancora sulla pagina social ufficiale è finalizzata all’aggregazione e alla coesione sociale all’interno dei quartieri popolari coinvolti. Scendi c’è il cinema è un cinema all’aperto ma soprattutto un percorso di partecipazione: sono le case popolari e i suoi abitanti che si aprono alla città e mostrano tutta la ricchezza e la forza che hanno i quartieri di periferia». Dalle locandine alla programmazione, dai film ai canali di

Polvere, periferie abbandonate e tante pareti spoglie, da una parte. Alcune intraprendenti associazioni di quartiere, dall’altra. Con tanta voglia di fare il risultato è una serie di proiezioni nei cortili di Milano, ma il progetto è trasformare la città in un grande cinema sotto le stelle

il film Scendi c’è il cinema Rassegna di cinema all’aperto nei cortili delle case popolari della zona 6 (Giambellino - Lorenteggio) di Milano.

E poi il sogno si avvera Il grande giorno è un film di Pascal Plisson, autore di Vado a scuola, film di grande successo. Il regista torna sul tema delle vite difficili di tanti bambini del mondo raccontando sogni e speranze di quattro ragazzi provenienti da paesi poveri. Per anni i protagonisti attendono il giorno speciale che cambierà le loro vite.

grammazione estiva 2016 si chiude con una geniale accoppiata di film a km zero. Nella splendida cornice dell’Ippodromo di San Siro, ingresso libero e gratuito, sono stati proiettati Entroterra Giambellino del collettivo Immaginariesplorazioni e Vallanzasca – Gli angeli del male di Michele Placido sulla carriera criminale di Renato Vallanzasca. Da recuperare, il secondo: l’inseguimento in Giulietta nei tunnel vicino la Stazione Centrale, le fughe notturne in Bovisa e la strage di Piazza Vetra, in realtà girata ai giardini di via Palestro, sono delle grandi scene di cinema. Chissà che anche da quelle parti presto non si possa dire ad alta voce: “Scendi c’è il cinema”.

La speranza soffre, ma non si arrende mai

[ a cura di Daniela Palumbo ]

di Sandro Paté

comunicazione, tutto è orgogliosamente vintage. L’ispirazione è il quartiere Giambellino, quartiere popolare di difficile riqualificazione che, pur con gli appartamenti sfitti e la graduale riduzione dei servizi per le persone in difficoltà, cerca strenuamente il modo per non tagliare fuori nessuno. L’obiettivo dichiarato è quello di far rifiorire la grande risorsa delle periferie milanesi degli anni dell’immigrazione dal sud: la solidarietà. Negli ultimi tempi, non a caso, su grande schermo: Mustang, Pride, Svegliati Nedma anche MynameisAdil, Innome del figlio, Taxi Teheran. La pro-

Il più grande sogno è il racconto di un uomo fragile in cerca di futuro. Il regista Michele Vannucci fa recitare Mirko Frezza nella parte di se stesso: ex criminale romano, a 39 anni vuole cambiare vita. Eletto presidente del comitato di quartiere in cui vive, Mirko riesce a sognare: fa funzionare la mensa per i poveri e costruisce un orto dove far lavorare ex-detenuti come lui. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Dopo il successo della tournée con Max Gazzé e Daniele Silvestri, Niccolò Fabi racconta a Scarp de’ tenis il suo nuovo album, Una somma di piccole cose

Niccolò Fabi Il cantore delle piccole cose di Daniela Palumbo foto di Shirin Amini

Il cantautore romano si racconta. «La malinconia è un tratto genetico. È salvezza e condanna perché è ciò che rende meraviglioso un dramma e drammatica una gioia». 22 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Il suo ultimo album, il nono della sua carriera, nasce da un processo di sottrazione. Il cantautore romano, Niccolò Fabi, ha abbandonato il rispetto assoluto alle regole commerciali, agli arrangiamenti sofisticati e agli stili convenzionali. È emerso lui, con la sua voglia di raccontare quella somma di piccole cose che sono la spina dorsale di quelle eterne. Una somma di piccole cose è stato scritto e registrato in una casa colonica a Campagnano, vicino Roma. Nel verde, nel silenzio, vicino al camino, alle formiche e all’odore delle foglie in autunno. Fabi ha composto le musiche ispirato dal genere più vicino a lui: con il registro del cosiddetto indie-folk americano, nutrendosi dei suoi eroi musica-


li di sempre, come Neil Young ma soprattutto Sufjan Steven e Bon Iver. Segni di appartenenza che non obbediscono a esigenze di classifica, né ai passaggi in radio e televisione. Eppure, quel parlare intimo e il pudore dell’autenticità, hanno incantato e convinto. Il disco della maturità per Fabi? In realtà non credo che esista un disco della maturità. In fondo tutti sono dischi della maturità relativa al periodo in cui lo scrivi. Per me, almeno, è stato così. La differenza più evidente rispetto agli altri è la mancanza di preoccupazione verso il giudizio degli altri. Non che mi importasse di come sarebbe stato accolto il mio lavoro, ma di fatto tutte le persone che pubblicano hanno gradi di preoccupazione e aspettative diverse e vivono l’attesa del giudizio degli altri in modo differente. In questo album mi sono sentito più libero, avevo più sicurezza, e quindi ho potuto prendermi la libertà di scrivere esclusivamente per me stesso. Con meno preoccupazione delle bocciature, delle promozioni della critica e del pubblico. Con meno ansia da classifica, insomma. Soprattutto, ero meno interessato, rispetto ad altri periodi, a soddisfare le aspettative altrui. Mi sono bastate le mie. Quali erano i giochi dell’infanzia nel tuo quartiere? Nel quartiere dove sono nato, i Parioli, a Roma, non c’era tanto la consuetudine di andare a giocare fuori, per la strada. Però c’erano i parchi, due bellissimi parchi, Villa Borghese e Villa Ada, ancora oggi polmoni verdi della città. E lì sì che giocavo, quando mi portavano, soprattutto nei giorni di festa, ma non solo. Gio-

In questo disco mi sono sentito più libero, avevo più sicurezza e quindi ho potuto prendermi la libertà di scrivere esclusivamente per me stesso

cavo ai classici giochi all’aperto: calcio, pallavolo, nascondino. La mia socialità l’ho vissuta in mezzo al verde, più che sulla strada vera e propria. La somma delle piccole cose importanti, quali sono nella tua vita? Il titolo si riferisce in particolare all’importanza di ogni singolo elemento di un organismo. A partire dal corpo, fino alla società, fino alle scelte che facciamo ogni giorno, concorrono all’equilibrio generale. Le piccole grandi scelte private che facciamo ogni giorno lasciano un segno anche se non sempre ce ne rendiamo conto. Dentro le cose più grandi. Ha perso la città è una delle canzoni dell’album. Roma è un po’ il simbolo di questa canzone che racconta le metropoli contemporanee, città che hanno perso il senso di comunità. Roma è un simbolo, non solo perché è la capitale. Anche se poi le metropoli si somigliano sem-

L’INTERVISTA pre di più negli stili di vita. Ma in qualche modo Roma si assume l’onere e l’onore di rappresentare il nostro Paese. Anche se è vero che non tutti si riconoscono in Roma: l’Italia è frammentata, ma insomma Roma ci rappresenta nel bene e nel male come italiani. E Roma stessa è tante cose, è così grande che è un contenitore di anime diverse. Io abito in Trastevere e lì c’è ancora, per certi versi, un senso di comunità. Ho abitato in altri quartieri e mi è capitato di non sapere i nomi di chi abitava accanto a me. Vite parallele che non si incontrano. Ma Roma è anche la città dove avverti di essere in troppi. E forse la tensione fra le persone nasce anche da questo. Sull’auto, sulla metropolitana, in ambulatorio, in pronto soccorso, a Roma si vive in coda. Sono nate le “rivoluzioni” nelle code romane. A prendere il pane o pagare il bollettino alla posta: ti trovi accanto l’altro, sei vicino, hai la stessa impazienza, la stessa rabbia. E certe volte viene fuori. La sensazione dei romani è quella di doversi allontanare dalla folla, è una reazione quasi fisica, ti senti soffocare. La malinconia è un sentire che ti appartiene. Come a molti artisti. Come ci convivi? La malinconia è un tratto genetico, fa parte del Dna, lo ereditia-

scheda Niccolò Fabi (maggio 1968, Roma) ha alle spalle nove progetti discografici, una raccolta e numerose e importanti collaborazioni artistiche, la più recente quella con i compagni e amici Max Gazzè e Daniele Silvestri. Negli anni ha lavorato sul rapporto tra parole e musica. Impegnato nel sociale, il cantautore continua attivamente la collaborazione con l’Ong Medici con l’Africa – Cuamm

mo. È qualcosa che diventa naturale, fa parte di te. Per me è salvezza e condanna perché è ciò che rende meraviglioso un dramma e drammatica una gioia. Tutto sommato è più una salvezza perché mi ha salvato tante volte, ma certe volte la odio perché mi distrugge la leggerezza della gioia. Devi conoscerla e così la controlli, ci fai pace. La malinconia poi è asociale e questo ritrarsi ci permette di fare una pausa, di guardare le cose con occhi diversi, forse con più partecipazione, maggiore comprensione. Per fortuna, al di là di tutto, ho la musica e le parole, sono strumenti indispensabili per non farla implodere. Anche se in realtà nel malinconico cronico è difficile che arrivi la depressione come passo successivo, non c’è quasi mai l’estremismo. Infatti, la gioia non è mai gioia piena, ma anche il dolore forse non è mai dolore fino in fondo. E questo ti salva. Parole di Lulù (www.paroledilulu.it) è l’associazione che hai fondato in ricordo della figlia Olivia, che non c’è più dal 2010. Il progetto che hai scelto di finanziare quest’anno è un grande parco giochi nel Rione Tamburi, a Taranto, accanto alle ciminiere dell’Ilva. Sono stato a Taranto il primo maggio, a cantare, e certe cose ti restano dentro. Anche perché quell’area è un simbolo, il simbolo di una scelta malefica che hanno dovuto fare i lavoratori, una scelta di sopravvivenza economica, anche se rimanere lì per lavorare vuol dire spesso ammalarsi e mettere a rischio la tua famiglia. Ma chi può giudicare e dire cosa è meglio? Il parco a misura di bambino spero possa contribuire a rendere meno dura la vita in quel quartiere, solo questo.

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COPERTINA

REUTERS/Marcelo del Pozo (courtesy of INSP)

In Italia ben 169 mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni (pari al 2,8% della popolazione di questa fascia d’età) si prendono cura di adulti o anziani fragili. Secondo altre stime il numero sarebbe dieci volte maggiore. E in costante aumento

Sono tanti. E il loro numero cresce in maniera esponenziale. Sono i cosiddetti adolescenti caregiver, ragazzini e ragazzine costretti ad assistere un genitore fragile. Teenager sacrificati alla famiglia, perché i soldi in casa sono troppo pochi per pagare un badante. Ma anche perché, quando un padre o una madre non sono più in grado di lavorare non c’è altro da fare: sacrificano lo studio, il tempo libero e il loro futuro

Costretti a prend

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Caregiver ndersi cura ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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COPERTINA

di Stefania Culurgioni

Alba, che a 15 anni faceva da mamma a sua madre, bipolare. La sua vita un inferno, in balia degli alti e bassi della donna a cui faceva da infermiera e da valvola di sfogo. Viola, che a 17 anni correva dietro alla sua mamma alcolista: era lei a svegliarla al mattino, lei a raccoglierla da terra, ubriaca. Paola, 16 anni appena, una madre malata di tumore e lei a dividersi per anni tra la scuola e il lavoro per tenere in piedi la famiglia. Sono tre storie che abbiamo scelto di raccontare su Scarp anche se ce ne sarebbero molte di più. Parlano di un mondo segreto e durissimo, quello dei cosiddetti adolescenti caregiver, ragazzini e ragazzine costretti a diventare im-

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provvisamente adulti per assistere un genitore fragile. Teenager sacrificati alla famiglia, perché i soldi in casa sono troppo pochi per pagare un badante. Ma anche perché, quando un padre o una madre non sono più in grado di lavorare e i risparmi sono stati erosi, non c’è altro da fare: devono pensarci loro. Sacrificando lo studio, il tempo libero, loro stessi. Fenomeno in crescita È un fenomeno minore, ma per la prima volta quest’anno è venuto a galla ed è stato descritto in tutte le sue sfaccettature in due ricerche. La prima è quella del gruppo Crc, un network di 91 associazioni, coordinato da Save the Children Italia, che dal 2000 si occupa di studio e tutela dei diritti dei minori in Italia: il suo nono Rapporto annuale è de-

dicato proprio alla condizione degli adolescenti. La seconda è invece quella di Care2Work realizzata con il contributo dell’Unione Europea e di Programma Erasmus+: una ricerca specificamente dedicata alla figura dell’adolescente badante; analizza tutte le implicazioni che una responsabilità così grande può avere sui giovani adulti che assistono familiari non autosufficienti o fragili. E poi ci sono i numeri: quelli attestati dall’Istat (Istituto nazionale di statistica) nel 2011, nel rapporto “La conciliazione tra lavoro e famiglia” da cui emerge che in Italia 169 mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni (pari al 2,8% della popolazione di questa fascia d’età) si prendono cura di adulti o anziani fragili. E quelli di un’indagine minore, ma non meno importante, realizzata su 228 stu-


LA STORIA

Paola, costretta a fare da mamma alla propria madre Quando la malattia diventa una sorta di prigione

Per molti ragazzini contribuire alla cura di un adulto rafforza l’autostima e rende i giovani caregiver più maturi e responsabili dei loro coetanei

La mamma di sua madre. Paola si osserva allo specchio ed ecco quello che vede. Ma pensarci troppo aprirebbe in lei una crepa di terrore. Meglio lasciar perdere e tornare ad occuparsi di tutto, con la “t” maiuscola. Ecco la storia di una adolescente di diciassette anni, oggi una ventenne con gli occhi e l’esperienza di una donna, che fino a pochi anni fa è stata la caregiver di sua madre, la colonna portante della sua famiglia. La sua testimonianza emerge da Faresalute, una onlus di Merate (centro della provincia di Lecco) che si è inventata i gruppi di mutuo aiuto per teenager con genitori oncologici. È lì che Paola ha potuto raccontare il suo inferno quotidiano e trovare amici che capivano di cosa stesse parlando, con il supporto di una psicologa che le ha dato una mano a gestire emozioni, tempo ed energie. Paola infatti ha una mamma che ha scoperto di avere un brutto tumore al seno: è stata operata, deve fare delle pesanti terapie, ha bisogno di aiuto. Il padre non c’è, era già stato allontanato da casa perché violento. La ragazza, che frequenta un istituto d’arte, deve fare tutto da sola: torna da scuola alle due di pomeriggio, studia fino alle cinque, alle sei lavora in un panificio dove fa chiusura (in questo modo mantiene lei e la madre), la sera si occupa della casa. «All’inizio la sua emozione predominante era di sentirsi persa nel mondo – racconta Daniela Rossi, la psicologa dei gruppi che si appoggiano, con Fa-

resalute, all’ospedale Leopoldo Mandic di Merate il supporto che le è arrivato dagli altri ragazzi figli di genitori oncologici l’ha aiutata però a ritrovare fiducia e speranza nella vita». Gli adolescenti come Paola, che si ritrovano a dover essere adulti prima del dovuto, sono spesso schiacciati dalle paure ma sviluppano allo stesso modo una specie di forza, di determinazione tenace e molte competenze. «Paola stringeva i denti ma a scuola il suo rendimento calava – continua la psicologa –, lei non voleva parlare agli insegnanti di quello che stava vivendo. L’ho fatto io per lei. Adesso è diventata una donna, ha trovato lavoro, usa l’arte per aiutare anziani non autosufficienti». Avere un genitore gravemente malato quando si è così giovani apre tante domande su se stessi: “Cosa farò se rimango senza mia madre?”. Quello che aleggia, in loro, sempre è la paura della morte. «Nei gruppi cerchiamo di lavorare sull’idea che se sei stato in grado di supportare il genitore malato finora, sarai in grado di supportare sempre anche te stesso – aggiunge Daniela Rossi –: fare le cose giorno per giorno, restare nel qui e ora, ecco di cosa parliamo». Stefania Culurgioni Retesalute telefono 039 5916596: www.retesalute.net - info@faresalute.net

REUTERS/Michaela Rehle (courtesy of INSP)

denti delle scuole medie inferiori e superiori nel Comune di Carpi (Mo) nell’ambito del progetto Europeo Toyac (Together for young adult carers) da cui è emerso che il 13,6% dei partecipanti vive con almeno una persona disabile o malata da tempo (prevalentemente un genitore o un nonno) e che il 19,8% presta un livello di cura di intensità “alta” o “molto-alta”. Un muro di silenzio Dietro a queste ricerche e a questi dati si nascondono, spesso avvolte da un muro di silenzio e vergogna per la propria condizione e per la propria famiglia, storie di ragazzini sofferenti ma anche, incredibilmente, forti e tenaci. Sofferenti perché soli con loro stessi: è noto che i legami familiari di oggi sono sdruciti, che le reti primarie di pa-

Secondo L’Istat in Italia 169 mila ragazzi tra i 15 e i 24 anni (pari al 2,8% della popolazione di questa fascia d’età) si prendono cura di adulti o anziani fragili. Ma secondo altre stime il numero reale sarebbe 10 volte maggiore

rentela si sono allentate rispetto ad una volta (fenomeno spesso complicato dalle separazioni e dai divorzi). Ma anche forti, come spiega più avanti Licia Boccaletti, coordinatrice della cooperativa Anziani e non solo, di Carpi in provincia di Modena. È lei infatti a spiegarci che per molti ragazzini

contribuire alla cura di un adulto rafforzi l’autostima, faccia diventare i giovani caregiver più maturi e responsabili dei loro coetanei e li aiuti a sviluppare numerose competenze tecniche e trasversali che i ragazzi possono valorizzare, ad esempio nel momento della ricerca di un’occupazione. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER

LA NORMATIVA

Italia ancora indietro nel riconoscimento dei diritti dei caregiver L’Italia è tra i Paesi europei che più si affidano alla cura familiare per prestare l’assistenza ai membri familiari anziani e disabili. Nonostante ciò, soltanto da alcuni anni il termine caregiver ha iniziato a far parte del dibattito pubblico e, ancora oggi, i familiari adulti caregiver non godono di alcun riconoscimento. Se dunque gli adulti “che si prendono cura di familiari non autosufficienti”, rinunciando spesso ad una vita lavorativa e sociale, non sono considerati, figuriamoci quando si tratta di adolescenti. Però la Legge 10 dicembre 1997, n. 425 (Disposizioni per la riforma degli esami di Stato conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore) dice che il consiglio di classe, nella scuola superiore, ha la facoltà di attribuire nello scrutinio finale un credito per l’andamento degli studi a compensazione di situazioni di svantaggio familiare o personale dell’alunno. Insomma, le sue fatiche peseranno positivamente sul suo voto finale. C’è poi una sentenza del Tribunale di Napoli (01/2005) che stabilisce che la Legge 104/1992 è valida anche per gli studenti. In pratica, la legge prevede il diritto alla fruizione di tre giorni di permesso mensile al lavoratore che assiste quotidianamente un familiare con handicap in situazione di gravità. Ebbene, per la prima volta questa sentenza ha equiparato agli adulti anche gli studenti. In qualche modo, dunque, questa sentenza “protegge” i caregiver studenti considerando il loro impegno alla pari di quello di un familiare che lavora. Daniela Palumbo

Sono Alba E la mia mamma è bipolare di Daniela Palumbo

Quando la malattia mentale distrugge la vita di una famiglia intera. Un abisso in cui si precipita e si resta da soli 28 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Alba (il nome è di fantasia) aveva 15 anni quando la madre ebbe l’esordio psicotico della malattia mentale dalla quale non uscirà più. La madre di Alba è bipolare. «I miei genitori si erano appena separati e il giudice stabilì che io sarei andata a vivere con mia madre». Con il passare del tempo la vita per Alba diventò un inferno. «Avevo paura di tornare a casa dopo la scuola – racconta –. Mia madre era stesa sul letto, nel buio totale, in cucina non c’era niente di pronto da mangiare. Minacciava di togliersi la vita se fossi andata a scuola, lasciandola sola. Vivevo sempre con la paura e un senso di pericolo per gli scatti di rabbia improvvisi. Non stavo più bene a casa ma neppure con gli altri perché mi vergognavo e non dicevo quello


IL CONVEGNO

I caregiver sono sempre di più e sempre più giovani: tanti bambini anche piccolissimi si fanno carico di famigliari

Ricerche condotte nel Regno Unito hanno rilevato come l’età ̀ media di questi giovani sia di 12-17 anni. Però si sta registrando un aumento di giovanissimi, di età compresa tra i 4 e i 7 anni

Durante il convegno Prendiamoci cura di me, organizzato a Rimini dal centro studi Edizioni Erickson, è intervenuta Helen Leadbitter, dell'associazione inglese, The Children's Society (www.youngcarer.com ). La ricercatrice ha evidenziato come in Inghilterra da più di venti anni le associazioni (ma non solo) si occupino di ricerca, sensibilizzazione e sviluppo di progetti a favore dei giovani caregiver e delle loro famiglie. In particolare, la Leadbitter ha illustrato il progetto Include, promosso da The Children's Society in collaborazione con i servizi pubblici e il terzo settore. Include lavora per promuovere buone pratiche finalizzate a fare in modo che bambini e ragazzi non si trovino nella condizione di dover prestare un’assistenza inappropriata e trovino il sostegno di cui hanno bisogno per vivere un’infanzia positiva. Include punta a cambiare concretamente la situazione dei giovani caregiver e delle loro famiglie. Come? Promuovendo la collaborazione tra operatori sociali, insegnanti e personale sanitario, per realizzare soluzioni che tengano in considerazione i bisogni dell’intero gruppo familiare. Attualmente, l'associazione inglese è impegnata nel programma Making a Step Change for young carers and their families: un progetto di

rete fra diverse organizzazioni che mirano, attraverso un lavoro congiunto, a promuovere interventi legislativi e linee di indirizzo unitario rispetto ai caregiver. Le ricerche condotte nel Regno Unito hanno rilevato come l’età ̀ media di questi giovani sia di 12-17 anni. Ultimamente però, secondo la ricercatrice, si registra un aumento di giovanissimi, di età ̀ compresa tra i 4 e i 7 anni,chiamati a prendersi cura della famiglia. É un impatto particolarmente forte delle responsabilità di cura sui ragazzi tra i 16 e i 25 anni proprio al momento di passaggio all’eta ̀ adulta, al mondo del lavoro e all’università ̀. Le ricerche sul ruolo dei bambini e dei giovani che si prendono cura dei loro familiari hanno mostrato, ha sottolineato Helen Leadbitter, che si tratta di un fenomeno globale, diffuso in tutto il mondo (Becker 2007, Evans e Becker 2009). Info www.childrenssociety.org.uk Interessante è il video (youtube) prodotto dall'associazione Young carer revolution dal titolo: Gli insospettabili, Unusual suspects in cui diversi adolescenti raccontano la loro storia di caregiver.

LA STORIA

che accadeva in casa mia». Anche la scuola cominciò a diventare un problema. «Quando iniziai a prendere le prime insufficienze, io, che ero sempre stata una studentessa modello, nessuno dei miei professori venne a domandarmi se ci fosse qualcosa che non andava». Tso come unica soluzione Il padre le stava vicino e insieme tentarono più volte di far ricoverare la madre che era sempre più ingestibile. «La paziente deve rivolgersi a noi di propria volontà», rispondevano nelle strutture. Quando, per un provvedimento del giudice tutelare richiesto da mio padre, andai a vivere con lui, mia madre iniziò ̀ lo sciopero della fame e della sete. Ridotta pelle e ossa, fu sottoposta a Tso (trattamento sanitario obbligatorio, NdR) e rico-

verata nel reparto psichiatrico dell’ospedale. Poi fu trasferita in una clinica psichiatrica per altri tre mesi. Alla fine crollò anche mio padre. Lo trovai seduto sulla balaustra del balcone dell’appartamento al quarto piano dove vivevamo. Fu ricoverato e lo curarono per una grave depressione. Fui io a occuparmi di mia madre, dal comprarle il necessario, alle visite in reparto, al rapporto con i medici. E non ero ancora maggiorenne». In seguito i genitori di Alba tornarono insieme e, negli anni successivi, la madre ebbe altre due gravi ricadute con conseguenti ricoveri. «Fino all’ultimo episodio, quando avevo 30 anni, quello che, al colmo della disperazione ma anche del desiderio di reagire, mi ha portato ad aprire il blog: “Mia madre è bipolare” per raccontare il mio vissuto, condividerlo con al-

tri come me e trovare soluzioni esplorando la situazione negli altri Paesi».

Nei “momenti davvero no” mia madre era capace di dirmi cose orribili, con una crudeltà che non le apparteneva. Sapevo che era la malattia a parlare, ma quelle parole mi facevano male perché venivano dalla persona che amavo di piu ̀

Una vita quasi normale Oggi Alba è una donna di poco più di 30 anni che sta riacquistando, grazie a una terapia psicologica e alla sua forza personale, una vita quasi normale. È impegnata a fianco di associazioni nel cercare di cambiare le leggi italiane che non tutelano i giovani caregiver. Con il suo blog vuole dare sostegno a chi le scrive raccontando storie come la sua. Ma i ricordi che si affollano nella sua mente sono ancora tanti e la sofferenza ha vita lunga. «Nei “momenti davvero no” mia madre era capace di dirmi cose orribili, con una crudeltà che non le apparteneva. Sapevo che era la malattia a parlare, ma quelle parole ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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mi facevano male perché venivano dalla persona che amavo di piu ̀. C’erano poi le giornate buone. Era di nuovo “la mia mamma”. E allora ce ne andavamo in bicicletta e facevamo pic-nic in mezzo agli alberi. Era bellissimo. Questa alternanza, tra madre-buona e madre-cattiva, ancora oggi mi provoca molta sofferenza e si riflette nelle relazioni con gli altri». Il suo carico di caregiver si è notevolmente ridotto, perché Alba ha potuto aiutare la madre a comprendere il suo disturbo e ad assumersi le responsabilità. «Se si instaurasse subito una collaborazione tra pazienti, familiari e servizi in sinergia con la comunità allargata (vicinato, scuola, posto di lavoro, chiesa, ecc.) in cui essi sono inseriti, si eviterebbero situazioni drammatiche». Info Contatto Onlus www.mybluebox.it

REUTERS/Marcelo del Pozo (courtesy of INSP)

DOSSIER

«I giovani rischiano di estraniarsi dalla società» di Daniela Palumbo

Licia Boccaletti lancia l’allarme: «In Italia le responsabilità legate alla cura familiare sono il primo motivo di inattività dei giovani tra i 15 e i 29 anni» 30 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Quasi un terzo dei giovani fra i 18 e i 29 anni non lavorano, non studiano, non ricevono formazione. Sono i cosiddetti Neet (not in education, not employment, or training). Il dato è noto. Meno conosciuto è il rapporto molto stretto fra Neet e giovani caregiver. Lo spiega Licia Boccaletti che lavora come coordinatrice dei progetti internazionali della cooperativa Anziani e non solo, di Carpi (Mo), che da anni promuove interventi a supporto delle persone con responsabilità di cura familiare (www.giovanicaregiver.it). «Secondo il report pubblicato dal programma Garanzia Giovani il portale di accesso a lavoro e formazione per i giovani sotto i trenta anni, finanziato dal Ministero del Lavoro – le responsabilità collegate alla cura familiare sono il primo mo-

tivo di inattività dei giovani italiani tra i 15 e i 29 anni. Quando si parla di caregiving familiare si sottovaluta l’impatto che può avere sulle opportunità di accesso alla formazione superiore o al lavoro, per i ragazzi». Licia Boccaletti è autrice, insieme a Elena Mattioli e Federica Mazzocchi, di una indagine sui giovani caregiver realizzata nell’ambito del progetto Care2Work, finanziata con il contributo della Ue e di Programma Erasmus+: “I giovani con responsabilità di cura in Italia”. In Italia la problematica dei giovani caregiver è poco conosciuta... Non solo, il fenomeno è anche sottostimato. Una ricerca che abbiamo condotto nel territorio del modenese su un campione di oltre 200 ragazzi, ha mostrato indici di cura di familiari da parte dei giovani pari a circa il 20% dei partecipanti. Esiste


LA STORIA

Viola che accudiva la madre alcolista: «Ora sto bene. Ma ci sono voluti anni»

Molti di questi ragazzi soffrono di depressione ma anche di ansia, che si genera soprattutto quando si pensa al familiare solo e alla possibilità che possa sentirsi male durante la propria assenza

«Mi sono presa cura di mia mamma per anni. Dovevo svegliarla al mattino per far sì che andasse al lavoro e che mi portasse a scuola, anche se a volte succedeva che non mi accompagnava lo stesso. A volte sono andata con mio nonno a recuperarla al lavoro perché non tornava più a casa. Certe sere le ho gettato dell’acqua fredda sul viso per essere sicura che fosse viva quando la trovavo sdraiata per terra sul pavimento di casa, ubriaca. Avevo sempre paura che potesse farsi del male e di non rivederla più. Sì, sempre pensieri negativi, e questa è una caratteristica che mi porto ancora dietro nonostante da anni frequenti un gruppo di aiuto». Questa è l’intensa testimonianza di Viola (nome di fantasia), una delle tante adolescenti che ogni settimana partecipano agli incontri di Alateen, un gruppo di Milano. Alateen aiuta i figli degli alcolisti e fa parte di Al-Anon: l’associazione è nata in America negli anni ’50 e ora è diffusa in tutta Italia con l’obiettivo di ridare forza e speranza ai familiari ma anche ai bevitori problematici. Come Viola sono tanti gli adolescenti che si prendono cura dei loro genitori, in un’inversione di ruoli che crea forti disequilibri: i figli diventano madri e padri degli adulti, con un carico di responsabilità eccessivo che, nel tempo, provoca angoscia e ansia e impedisce ai ragazzi di sviluppare serenamente la propria emotività. «Questa inversione di ruoli ha segnato la mia personalità – continua Viola, che per anni è stata la caregiver di sua madre – tendo spesso ad assumere questo atteggiamento di infermierina con gli altri ma devo rendermi conto che io, prima di tutto, devo avere cura di me stessa. Grazie al gruppo sto imparando a volermi bene, e anche prima che mia mamma smettesse di bere ero riuscita a stare meglio: non si tratta di menefreghismo ma di una corretta distribuzione dei ruoli. Ora sto bene, mi faccio coccolare da mia mamma, come è giusto che sia, e di questo non dirò mai sufficienti grazie all’associazione».

Info Numero verde 800.087.897 www.al-anon.it.

INTERVISTA

un sommerso che l’Istat non rileva. Tutte le ricerche dicono inoltre che si tratta in prevalenza di ragazze – ma non mancano i maschi – e che i ragazzi stranieri hanno il doppio delle probabilità di essere caregiver rispetto a un coetaneo autoctono. Un dato che oggi incide sul fenomeno è la parcellizzazione delle famiglie, con nuclei familiari sempre più piccoli in cui sono pochi i soggetti che possono assumersi responsabilità di cura. Aggiungerei poi alcune vulnerabilità sociali (come la disoccupazione crescente e il senso di precarietà che colpisce molti adulti) che possono sfociare in depressioni a forte impatto sulle famiglie e che si sommano alle problematiche di carattere fisico o psichico. Qual è l’impatto psicologico sui giovani e come si traduce nella loro vita? Soffrono di depressione ma anche

I ragazzi vogliono svolgere un ruolo nella cura della persona cara: per affetto ma anche per placare l’ansia. Bisogna offrire strumenti: gruppi di mutuo-aiuto, interventi psico-educativi, attività formative o sostegno psicologico

di ansia e preoccupazione, ad esempio rispetto al fatto che il familiare possa sentirsi male mentre loro sono assenti. Altre conseguenze possono riguardare l’isolamento sociale e l’esposizione a rischio di bullismo, fino a conseguenze fisiche come scarso sonno, problemi alla schiena, malesseri psicosomatici. Gli impatti possono inoltre riguardare il rendimento scolastico, fino all’abbandono precoce. Ma le conseguenze non sono solo negative: può essere un’esperienza anche gratificante e positiva purché il carico di responsabilità non sia eccessivo e non precluda la crescita evolutiva dei ragazzi e le opportunità di transizione verso l’età adulta. Come è percepita dal giovane caregiver la domanda di bisogno che gli viene dalla propria famiglia? Nella maggior parte dei casi i ragazzi

vogliono svolgere un ruolo nella cura della persona cara: per affetto ma anche per placare l’ansia. Di rado mi è capitato di sentire qualcuno dire di essersi sentito costretto a svolgere questo compito. Il problema è come questo avviene, che sostegni il ragazzo riesce a trovare dentro e fuori la famiglia e a che cosa è chiamato a rinunciare. Ci sono sostegni in Italia per i caregiver adolescenti? In ambito nazionale abbiamo ancora poche esperienze. Si dovrebbe agire su più fronti, offrendo da un lato supporti pratici: servizi di assistenza che possano sollevare dalla cura materiale, sostegno in ambito scolastico; dall’altro garantendo strumenti per gestire la loro situazione attraverso gruppi di mutuoaiuto, interventi psico-educativi, attività formative o, quando necessario, un sostegno psicologico. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER

Rifugiati Il bello di accogliere in famiglia di Marta Zanella

È stata la piccola Emma a convincere mamma Giulia e papà Giovanni a prendersi cura della famiglia di Franklin e Joyce, due piccoli rifugiati. Così, complice una parrocchia milanese, si è formata una famiglia allargata 32 Scarp de’ tenis ottobre 2016

A volere fortemente che la famiglia Chiavarino aprisse la porta di casa è stata Emma, 9 anni. Quando i bambini decidono di essere generosi a volte la fanno fin troppo facile, di certo senza stare a pesare i pro e i contro sulla bilancia. Ma in questo caso Chiara e Giovanni, i genitori di Emma, invece di frenarla hanno assecondato il suo slancio e hanno deciso di buttarsi in questa avventura. Così, da qualche mese, Emma si trova con due “cuginetti” in più, come li considera lei: Joyce, di tre anni, e il piccolo Franklin, che oggi ha 14 mesi. «Io lavoro nel sociale e mia figlia ha sempre sentito parlare di progetti di accoglienza in famiglia. Da tempo ci chiedeva che anche noi vivessimo un’esperienza di questo tipo – racconta mamma Chiara –. Un giorno il prete della parrocchia ha proposto al nostro gruppo famiglie di accogliere e accompagnare alcuni rifugiati». Hanno sondato le disponibilità


I DATI

Ben 70 mila le richieste di asilo nel 2016: solo il 37% quelle che sono state accolte

Due momenti dell’accoglienza ai rifugiati organizzata per tutta l’estate all’oratorio di Bruzzano. (foto Francesco Falciola)

di ciascuno, e alla fine si è creata una cordata in cui un paio di nuclei hanno dato la disponibilità più ampia in termini di presenza, mentre altri si sono offerti per necessità più mirate, come il prestito di lettini e passeggini.

Il nostro ruolo è stato quello di aiutarli a orientarsi. All’inizio abbiamo deciso dove fare la spesa, come trovare le offerte, abbiamo steso insieme delle liste delle cose che non avevano e avrebbero potuto servire loro. Ma abbiamo fatto tutto sempre insieme, mai sostituendoci: in questo modo hanno potuto iniziare a costruire le loro conoscenze

Esperienze condivise I Chiavarino sono diventati quindi una delle famiglie tutor del progetto “ProTetto – Rifugiato a casa mia”, promosso dalla Caritas Ambrosiana con l’obiettivo di creare modelli virtuosi di accoglienza diffusa e di integrazione, attraverso la reciproca conoscenza tra persone rifugiate e famiglie disposte ad accogliere e accompagnare all’autonomia. E così Clarissa, Lawrence e i piccoli Joyce e Franklin sono entrati nella loro vita. «Il nostro ruolo è stato quello di aiutarli a orientarsi, soprattutto in città e nel nostro modo di vivere. All’inizio abbiamo deciso dove fare la spesa, come trovare le offerte, abbiamo steso insieme delle liste delle cose che non avevano e avrebbero potuto servire loro – spiega Chiara ricordando i primi giorni di affiancamento –. Li abbiamo accompagnati allo sportello lavoro, ci siamo occupati insieme delle domande e dell’iscrizione al nido e alla scuola dell’infanzia. Ma abbiamo fatto tutto questo sempre insieme, mai sostituendoci: e così hanno potuto iniziare a costruire le loro conoscenze». Clarisse è scappata dal Congo

Uno su venti. Solo uno su venti. Nel nostro Paese soltanto il 5% dei richiedenti asilo ottiene lo status di rifugiato. C’è poi un 13% che ottiene invece il permesso di soggiorno per protezione sussidiaria (dura 5 anni e viene rilasciato a chi rischia di subire un danno grave nel caso di rientro nel proprio Paese). Infine un altro 19% riceve la protezione per motivi umanitari. Solo il 37% di chi fa richiesta ottiene, dunque, un qualche tipo di protezione (era al 61% nel 2013 e nel 2014, al 41% nel 2015 ). A fronte di una decisa impennata delle richieste di asilo (ben 70 mila da inizio anno e le proiezioni indicano che si supereranno le 100 mila. Furono 26 mila nel 2013, 63 mila nel 2014 e ben 83 mila nel 2015. ) il numero di domande respinte è aumentata in maniera esponenziale fino a toccare il 63% nei primi otto mesi del 2016. Una vera e propria stretta di vite quella messa in atto dalle 40 commissioni territoriali del dipartimento delle libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno, che decidono in base a interviste individuali se concedere o meno lo status. Basti pensare che solo nel 2012 tre richiedenti asilo su quattro ottenevano il permesso di rimanere in Italia. Nei primi sei mesi del 2016 oltre 34 mila stranieri hanno dunque ricevuto un foglio di via con l’obbligo di lasciare il nostro Paese entro dieci giorni oppure, cosa che fequentemente accade, entrare nel girone dantesco della clandestinità. Tra i richiedenti asilo la nazionalità più rappresentata è quella del Pakistan ( 7.161 domande presentate nei primi sei mesi del 2016). A seguire Nigeria (6.869), Gambia (3.648), Senegal (2.746) e Costa d’Avorio (2.478). Relativamente pochi, invece, eritrei (1.912) e siriani (590) questo perché si tratta principalmente di persone che transitano soltanto nel nostro Paese e che scelgono di non registrarsi da noi per non incorrerre nelle maglie di quanto previsto dal cosidetto Dublino due (regolamento che impedisce di presentare una domanda di asilo in più di uno stato membro e prevede che la domanda la esamini lo Stato in cui il richiedente ha fatto ingresso ufficiale nell’Unione). A giugno 2016 sono 125.487 i migranti e i richiedenti asilo presenti nei centri di accoglienza in Italia. Numeri ben lontani da una invasione dunque. Secondo il ministero dell'Interno 91.151 sono ospitati nelle strutture temporanee (Cas, Centri di accoglienza straordinaria), 14.250 nei centri di prima accoglienza e negli hotspot, mentre 20.086 sono inseriti nello Sprar (Sistema per richiedenti asilo e rifugiati). In virtù di questi numeri è facile intuire come l’accoglienza dei richiedenti asilo nel nostro Paese continui ad essere ancora gestita in maniera del tutto emergenziale tramite le prefetture, utilizzando strutture spesso improvvisate tendopoli, container o caserme. Ma non è tutto. Così come denunciano Medici senza frontiere sono almeno 10 mila i rifugiati e i richiedenti asilo che sopravvivono al di fuori del sistema di accoglienza. Si tratta di fantasmi, arrivati in Italia non via mare e quindi non immediatamente inseriti in percorsi di accoglienza, costretti a vivere in palazzi occupati, baracche, accampamenti di fortuna se non per strada, come accadeva anche in pieno centro a Milano. Senza luce né gas, senza un’assistenza istituzionale né la possibilità di accedere a cure mediche. Ettore Sutti ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER diversi anni fa, mentre Lawrence è nigeriano. Si sono conosciuti in Sudan, dove lei lavorava come biologa e lui come architetto. In Italia sono arrivati separatamente, prima lei, con la primogenita e il pancione, e qualche mese più tardi li ha raggiunti anche il marito. Quando hanno ottenuto lo status di rifugiati, qui a Milano, hanno trovato in fretta lavoro: entrambi come ausiliari delle pulizie. Come dei parenti «Hanno lavorato molto, fin da subito, così è capitato molte volte che andassimo noi a prendere i bambini all’asilo, e li tenessimo nel pomeriggio e per la cena, fino a quando i genitori non finivano il turno di lavoro e potevano tornare e riprenderli. Proprio come si fa con una sorella che ti chiede una mano, e tu tieni i nipotini finché ce n’è bisogno. Non è stato un impegno gravoso. Abbiamo considerato bene cosa potevamo dare senza snaturare la nostra famiglia. Ed è accaduto che, in un certo senso, anche loro ci hanno accolti nella loro storia. È davvero una relazione di scambio». Scambio avvenuto anche con le altre famiglie della parrocchia: Clarisse, che è cattolica, la domenica partecipa con i figli alla messa dei bambini, nella centralissima parrocchia “bene” di San Vincenzo al Prato, e al momento di condivisione con un caffé organizzato per le famiglie subito dopo. Al momento abitano in uno spazio della parrocchia riadattato per l’accoglienza, ma stanno cercando un appartamento in affitto tutto loro. Il progetto di accompagnamento targato Caritas formalmente finirà a novembre, ma le relazioni che si sono create, invece, resteranno. «Ormai sono entrati nella nostra vita – chiude Chiara, – come dei lontani parenti venuti a vivere vicino a noi. Il legame si è rafforzato, l’amicizia continua».

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Un momento dell’emergenza siriani alla stazione Centrale di Milano. Nonostante l’intervento del Comune molte cose non hanno funzionato

Trattati come bestie Ed Ahmed è andato via di Paolo Riva

In fuga dalla guerra con la sua famiglia è arrivato a Roma in aereo. Ma poi è stato ospitato in strutture fatiscenti e pericolose. Poi la strada

Ahmed parla con trasporto. Alza la voce. Si innervosisce e, a un certo punto, i suoi occhi si arrossano e si riempiono di lacrime. Ha il viso provato quest’uomo sulla cinquantina. E ha in corpo una grande rabbia, un risentimento forte, un astio nei confronti del nostro Paese. Ahmed, infatti, che viene dalla Siria, in Italia ci è arrivato in aereo dal Libano, con la promessa di una nuova vita, lontano dalla guerra che da anni insanguina il paese mediorientale, ma anche dal campo profughi in cui viveva nello stato vicino, uno di quelli che ospita il maggior numero di rifugiati siriani. Invece no. Nonostante lui e la sua famiglia siano stati portati a Roma con un programma dell’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni che ha evitato loro il pericoloso viaggio via mare, non hanno trovato nulla di quanto speravano nel nostro Paese. «Siamo stati male. In posti brutti e, poi, per strada – prosegue Ahmed, mostrando sul telefono le immagini dei giorni trascorsi alla


5%

125.487

Numero dei richiedenti asilo in Italia che hanno ottenuto lo status di rifugiato

Migranti e richiedenti asilo presenti nei centri di accoglienza in Italia

IL PUNTO

A Bruzzano un modello possibile: «Tutta la bellezza di accogliere» Il progetto, iniziato il 22 luglio, si è ufficialmente concluso il 2 settembre e i locali dell’oratorio di Bruzzano sono ritornati alle consuete attività. Ma l’accoglienza dei profughi, in realtà, non è finita. Quel pezzo di Milano che con i suoi residenti, la società civile, il volontariato ha scelto di impegnarsi e di vivere l’estate nel segno dell’accoglienza, è rimasta ancora a disposizione per dare ospitalità a due famiglie: una mamma afgana con i quattro figli e una mamma pakistana con i suoi due ragazzi. E se i primi, dopo alcuni giorni, hanno scelto di proseguire il loro viaggio verso la Germania, i secondi sono stati adottati dal quartiere. È il secondo anno di fila che la parrocchia Beata Vergine Assunta di Bruzzano, insieme alla Fondazione Casa della carità, ha aperto le sue porte per un progetto di accoglienza estiva, temporanea e gratuita dei profughi: in totale, 42 giorni durante i quali, dall’oratorio

San Luigi sono passate 365 persone, in gran parte donne e bambini, di 13 nazionalità differenti. A sostenerle, oltre 100 volontari del quartiere insieme a operatori sociali, mediatori culturali e medici della Casa della carità. Nello spirito di gratuità che, per volere del Cardinal Martini è uno dei valori fondanti della Fondazione, l’iniziativa non ha previsto alcuna convenzione e nessuno stanziamento di fondi pubblici. Tutti i costi sono stati sostenuti dalla Casa della carità stessa, che ha lanciato una raccolta fondi straordinaria chiedendo il sostegno di tutti i suoi donatori, dei cittadini milanesi e delle aziende, come Milano Ristorazione che ha fornito i pasti.

LA STORIA

Secondo un rapporto pubblicato da Medici senza frontiere almeno 10 mila richiedenti asilo e rifugiati in Italia vivono al di fuori del sistema di accoglienza, in condizioni di precarietà e marginalità, senza alcuna assistenza istituzionale e con scarso accesso alle cure mediche

stazione Termini della capitale –. I bambini, che sono piccoli, hanno sofferto molto. Troppo. Non è bastato quello che hanno visto in Siria. Sono davvero arrabbiato con l’Italia. Non pensavo che venissero trattate così delle persone che scappano dalla guerra». Eppure questo, purtroppo, succede molto spesso. E se quello di Ahmed è un caso davvero eclatante, molti altri all’apparenza meno clamorosi si nascondono da Nord a Sud dello Stivale. Secondo un rapporto pubblicato da Medici senza frontiere lo scorso aprile, infatti, almeno 10 mila richiedenti asilo e rifugiati in Italia vivono al di fuori del sistema di accoglienza, in condizioni di precarietà e marginalità, senza alcuna assistenza istituzionale e con scarso accesso alle cure mediche, in decine di siti informali sorti spontaneamente lungo la penisola. Troppi ancora Fuori campo Il rapporto, intitolato significativamente Fuori campo è stato realizzato nel corso del 2015, ma la situazione quest’anno potrebbe essere addirittura peggiorata, a causa di un numero di arrivi molto

simile a quello dell’anno precedente. «Abbiamo visitato edifici occupati, baraccopoli, casolari, parchi e stazioni ferroviarie, in aree rurali ma anche in centri cittadini, e abbiamo documentato una realtà disarmante, pressoché ignorata dalle istituzioni – racconta Giuseppe De Molam uno dei ricercatori di Msf –. Uomini, donne, bambini, persone vulnerabili che sono fuggite da situazioni drammatiche e avrebbero ogni diritto a ricevere assistenza, vivono in condizioni deplorevoli». E, appena ne hanno la possibilità, abbandonano il nostro Paese. Proprio come ha fatto Ahmed. «Dopo quel che abbiamo passato, non voglio più restare in Italia», spiegava poche ore dopo essere arrivato a Milano, all’hub nelle vicinanze della stazione Centrale prima e all’oratorio di Bruzzano poi. A nulla sono valse le rassicurazioni e l’impegno degli operatori sociali. Ahmed non ha voluto sentire ragioni. «Ho una sorella in Germania e, anche se non so in che città si trovi, voglio raggiungerla. Per dare un futuro ai miei figli e nipoti». Pochi giorni dopo, è ripartito. Buona vita Ahmed.

RELOCATION

Pochissimi i richiedenti asilo ricollocati A luglio 2016 sono 3.056 i richiedenti asilo ricollocati in altri Paesi Ue (843 dall'Italia e 2.213 dalla Grecia), a fronte dei circa 160 mila trasferimenti previsti dal piano entro settembre 2017. La denuncia arriva da Save the Children. Gli accordi prevedono il reinsediamento, dall'esterno dell'Ue agli Stati Membri della Ue, di oltre 22 mila persone. Finora, però, il provvedimento ha riguardato solo 8.268 e soltanto 802 rifugiati siriani sono stati spostati dalla Turchia in seguito all'accordo Ue-Turchia. Critiche anche sui rimpatri forzati o volontari che, troppo spesso, non proteggono i più piccoli dal rischio di ritornare in Paesi per loro poco sicuri, come Afghanistan, Iraq e Somalia, dove potrebbero essere respinti dalle proprie comunità o reclutati all'interno di gruppi armati. Save the children chiede anche di porre fine alla detenzione dei minori nei centri di detenzione, come quelli attualmente presenti in Grecia, offrendo opportunità di accoglienza in strutture alternative. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER Il sosteg l’inclusione attiv primo passo solo non ba sconfiggere la po Serve un r d’incl

Una delega, tre nodi: sarà la volta buona? di Cristiano Gori

Da settembre è partito il Sostegno per l’inclusione attiva. Ma, soprattutto, il parlamento deve completare l’esame del disegno di legge sul contrasto della povertà. Verso il Reddito d’inclusione: strumento che può rivoluzionare il nostro welfare. A condizione che… 36 Scarp de’ tenis ottobre 2016

I prossimi mesi rappresenteranno un momento cruciale per il welfare nel nostro Paese. In questo periodo, infatti, giungerà a compimento l’iter parlamentare del disegno di legge delega sul contrasto della povertà, parallelamente all’approvazione della nuova legge di stabilità. La delega disegnerà la nuova misura contro la povertà in vigore a partire dal 2017, mentre la stabilità indicherà le ulteriori risorse messe, almeno per ora, a disposizione, oltre a quelle già stanziate. Il Sostegno per l’inclusione attiva (Sia) – operativo da settembre – costituisce infatti una misura transitoria che nel corso del prossimo anno sarà assorbita in quella prevista nella legge delega. Quest’ultima dovrebbe costituire la vera risposta. Duplice discontinuità Per mettere a fuoco la posta in gioco conviene fare un passo indietro. Fino allo scorso anno, i governi (sia quelli di centro-destra che quelli di centro-sinistra) avevano sempre


L’INTERVENTO

tegno per ttiva è un so ma da basta per povertà. n reddito nclusione

Sia, mix virtuoso per l’inclusione ma ora servono i fatti A luglio, ogni anno, l’Istituto nazionale di statistica ci ricorda a che punto è la povertà. Per molti anni il dato di povertà relativa è rimasto sostanzialmente stabile. Addirittura, le cosiddette “crisi congiunturali” producevano il paradossale effetto statistico di ridurla, dal momento che la ricchezza complessiva si attenuava per un po’. Tutto questo prima della grande depressione del 2008, che ha segnato una cesura negativa rispetto al passato. Infatti a luglio l’Istat ci ha ricordato che la crisi ha picchiato duro e che le condizioni di povertà assoluta hanno la cattiva abitudine di non sparire da sole. Anche per queste ragioni l’avvio, nel mese di settembre, del Sostegno per l’inclusione attiva (Sia), misura di lotta alla povertà prevista dalla legge di stabilità 2016, è una buona notizia.

Ragionevole incrementalità

In Europa solo l’Italia, insieme alla Grecia, è priva di una misura nazionale universalistica – destinata cioè a chiunque si trovi in tale condizione – contro la povertà assoluta, ovvero la mancanza di risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita definito dall’Istat “minimamente accettabile”

dichiarato preoccupazione per gli ultimi, espresso l’intenzione di sostenerli e poi volto lo sguardo altrove. Da quando, infatti, all’inizio degli anni Novanta, la necessità di migliori politiche contro la povertà è divenuta palese, gli esecutivi susseguitisi avevano attivato perlopiù misure temporanee – sperimentazioni e una tantum –, per loro natura incapaci di modificare il nostro welfare. Peraltro, allorché è stata introdotta una prestazione stabile come la social card, si è trattato di un esiguo sostegno per pochi indigenti, che ancora oggi impegna solo 230 milioni di euro annui. Il risultato è che in Europa solo l’Italia, insieme alla Grecia, è priva di una misura nazionale universalistica – destinata cioè a chiunque si trovi in tale condizione – contro la povertà assoluta (ovvero la mancanza di risorse economiche necessarie per conseguire uno standard di vita definito dall’Istat “minimamente accettabile”). L’ultima legge di stabilità ha segnato una duplice discontinuità positiva rispetto al passato. Una ri-

Il Sia prevede l’erogazione di un sussidio economico a nuclei familiari in condizioni di estremo disagio, nei quali siano presenti minorenni, connesso a un progetto di attivazione sociale e lavorativa. I comuni e gli ambiti territoriali, infatti, dovranno poi definire un progetto personalizzato. Il quale verrà costruito dai servizi sociali in rete con i servizi per l’impiego, i servizi sanitari e le scuole, nonché con il privato sociale. L'obiettivo è il superamento della condizione di povertà e la graduale riconquista dell’autonomia. L’auspicio è che il Sia diventi una misura stabile per il contrasto alla povertà, superando la logica assistenziale e categoriale, attraverso la riorganizzazione dei servizi sull’intero territorio nazionale, così come delineato nel disegno di legge delega sul contrasto alla povertà. Intanto, circa 750 milioni di euro vengono attivati nel 2016 per offrire reddito a un target di famiglie stimato in oltre 290 mila nuclei, circa un milione di persone. Con il Sia ci troviamo di fronte a un mix, una volta tanto virtuoso, di risorse e accompagnamento sociale. Rimangono alcuni nodi. Anzitutto quello delle risorse: quelle disponibili raggiungeranno – al massimo – un quarto del target costituito dalle persone che, in Italia, vivono in povertà assoluta. Inoltre per il momento si tratta ancora di una misura tecnicamente categoriale, poiché non è rivolta a tutta la popolazione in povertà assoluta. Si può accettare questa contraddizione, ma solo in una prospettiva di una ragionevole incrementalità; vale a dire, si cominci pure dalle famiglie con minori, ma per raggiungere tutti i poveri assoluti. Il secondo nodo, grave, è rappresentato dai cosiddetti “differenziali regionali” in termini di servizi sociali e per l’impiego. Per supportare i comuni, il governo ha messo in campo le risorse europee del Piano operativo nazionale per l’inclusione, attraverso bandi non competitivi per progetti di rafforzamento operativo dei servizi. Le risorse – 1 miliardo 70 milioni di euro per i prossimi sette anni – non sono tali da colmare gap ultradecennali tra territori. Ma è importante avviare un processo di attivazione locale, che vada nella direzione di una decrescita progressiva della disuguaglianza di opportunità. D’altro canto, il Sia non è solo una nuova misura, ma un modo diverso di concepire la lotta alla povertà, che rende necessario un cambio deciso di mentalità. Si tratta di sviluppare logiche di integrazione non solo istituzionali, ma di alleanze territoriali, realizzando schemi di nuova governance sussidiaria, ancora inediti nelle pratiche del governo di questo processi.

Cercare e indicare soluzioni Non sarà facile. Inefficienze, false partenze, strumentalizzazioni e resistenze saranno il contesto nel quale questo avvio si concretizzerà. È necessario però difendere questa prospettiva, cercando e indicando le soluzioni durante l’attuazione della misura. È giunto il momento (per istituzioni, burocrazie e soggetti sociali) di assumersi responsabilità fattive. Francesco Marsico ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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DOSSIER guarda i finanziamenti: è stato compiuto uno sforzo senza precedenti, che mette a disposizione 1 miliardo aggiuntivo a partire dal 2017. Aggiungendo a questi fondi altri già disponibili per sperimentazioni e misure diverse, si raggiunge una cifra intorno a 1,5 miliardi di euro annui. L’altra discontinuità tocca la progettualità: non si prevedono più provvedimenti temporanei, bensì azioni strutturali, poiché 1,5 miliardi sono assicurati per gli tutti gli anni a venire. Mentre il Sia dispone di 750 milioni, 1,5 miliardi costituiscono la dotazione per la misura definitiva disegnata dalla delega, insieme agli eventuali fondi ulteriori stanziati dalla nuova legge di stabilità. Il contributo dell’Alleanza Presentata dal governo lo scorso febbraio, prima della pausa estiva la delega ha completato il suo iter alla Camera, mentre dopo l’estate lo comincerà al Senato. Nel passaggio alla Camera, il testo è migliorato rispetto alla versione iniziale e l’Alleanza contro la povertà (rete di cui Caritas Italiana è tra i promotori e a cui aderiscono 36 tra le principali sigle dell’associazionismo e del non profit italiani, NdR) ha lavorato a tale obiettivo. Il contributo dell’Alleanza è stato variamene riconosciuto, tra la altro nella decisione dell’aula di denominare la nuova misura Reddito d’inclusione, scegliendo di riprendere il nome della proposta dell’Alleanza (Reis – Reddito d’inclusione sociale, appunto). Durante il passaggio alla camera, l’Alleanza ha incontrato numerosi soggetti istituzionali e politici: il governo, le relatrici e i principali attori politici coinvolti, a cominciare da M5s e Pd. Con tutti ha avuto luogo un confronto molto puntuale e approfondito sul merito della normativa, in un clima di ascolto sostanziale. In un’epoca di antipolitica crescente, pare un punto da valorizzare. Servono altri 5,5 miliardi Anche se il testo è stato migliorato rispetto alla versione iniziale, rimangono da sciogliere tre nodi decisivi. 38 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Bisogna prendere da subito impegni precisi, che definiscano con chiarezza il welfare che si intende costruire negli anni a venire

In primo luogo, occorre dare una risposta a tutti i poveri. Gli stanziamenti disponibili permettono di raggiungere non più di un milione di persone, appartenenti a una specifica categoria (famiglie povere con figli). Si dovrebbe, invece, ampliare progressivamente l’utenza, così da

LA SCHEDA

Oggi il Sia, domani il Rei: concetti e numeri Sia – Sostegno per l’inclusione attiva, è operante da settembre. Misura transitoria, dal 2017 sarà assorbito dalla misura prevista nella legge delega (in discussione in parlamento) Rei – Reddito d’inclusione, misura definitiva che dovrà essere disegnata dalla legge delega 750 milioni di euro – dotazione per il Sia, che dovrebbe servire per oltre 290 mila nuclei famigliari (circa un milione di persone) con minori e segnati da povertà assoluta 1,5 miliardi di euro – dotazione annua già disponibile per il Rei (più eventuali fondi ulteriori stanziati dalla nuova legge di stabilità) 7 miliardi di euro – dotazione annua di cui (secondo l’Alleanza contro la povertà) la misura definitiva dovrebbe arrivare a disporre, al culmine di un percorso incrementale, per supportare tutti i poveri assoluti in Italia (4,6 milioni nel 2015)

arrivare a coprire tutti i circa 4,6 milioni di individui in povertà assoluta, indipendentemente dal loro specifico profilo anagrafico e sociale. Lo stanziamento sinora disponibile ammonta a 1,5 miliardi annui, mentre per raggiungere chiunque sia in povertà ne servono altri 5,5. Non si tratta di arrivarci in un anno, ma di progettare un percorso di incremento di risorse che permetta di farlo in tre o al massimo quattro anni. Bisogna poi fornire ai poveri gli strumenti per progettare una vita diversa. Sono i percorsi di inserimento, realizzati localmente, che danno la possibilità di costruire nuove competenze e di organizzare diversamente la propria esistenza. A tal fine, bisogna compiere sui comuni e sugli altri attori del welfare locale un forte investimento, che riguarda il finanziamento statale dei loro servizi, così come la messa in campo di un’adeguata strumentazione per sostenerne l’operato. Infine, è necessario disegnare il futuro. La delega prevede un Piano nazionale, che porti a raggiungere tutti i poveri: non sono state sinora indicate le risorse e la tempistica per attuarlo. Il punto è prendere da subito impegni precisi, che definiscano con chiarezza il welfare che si intende costruire negli anni a venire.



L’altro calcio Allenare alla vita: la sfida di Besate e dei suoi rifugiati di Generoso Simeone

La cooperativa sociale La tua isola oltre a garantire corsi di italiano e inserimenti lavorativi per i richiedenti asilo, ha scelto di attuare un progetto educativo attraverso la pratica del calcio 40 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Trenta chilometri da Milano, in direzione sud-ovest. Poco lontano dal fiume Ticino, non distante dall’abbazia di Morimondo. Per arrivarci, strade strette in mezzo ad abbondanti campagne. Una volta arrivati, villette a schiera intorno a un piccolo centro storico di edifici bassi, alcuni a corte, e una piazza su cui si affaccia la chiesa di San Michele, fra alberi e stemmi viscontei sui muri. A Besate, paese ai confini dell’area metropolitana milanese e che dieci anni fa risultava il comune più ricco d’Italia, vivono 2 mila abitanti nella quiete di una tradizione agricola che ti impone silenzio e pensieri. Il centro polisportivo di Besate disvela un importante punto di aggregazione per la comunità. Campi da calcio, tennis e pallacanestro sono ben tenuti e fanno da sfondo ai pensionati che giocano a carte ai tavolini del bar, alle mamme che tengono d’occhio i bambini su scivoli e altalene, agli adolescenti che pro-


SOLIDARIETÀ

scheda

Due momenti dell’allenamento dei giovani richienti asilo al centro sportivo di Besate. Un modo alternativo per integrare gli stranieri che vivono in Italia

vano a darsi un tono tra smartphone e smorfie. Un po’ più in là, due squadre miste di ragazze e ragazzi giocano a beach volley su un campo in sabbia. Lavorare con i profughi Alle cinque del pomeriggio arrivano loro. Il sole è ancora alto e fa caldo in questi giorni di inizio settembre. Sono 25, sono tutti giovani e sono neri. Sono profughi. L’allunaggio a Besate più di un anno fa. «Ciao Mohamed», è il sorprendente saluto di un bambino a uno di loro. «La cooperativa sociale che si occupa di questi profughi, La tua isola, sta lavorando molto bene. I ragazzi seguono corsi di italiano seri e di alto livello. Grazie alla collaborazione con il Comune, la cooperativa propone anche diverse attività di volontariato, tra cui la pulizia delle strade e l’accompagnamento a piedi dei bambini a scuola. È per questo che qui i piccoli conoscono e salutano i profughi». A parlare è un 28enne padovano chiamato dalla cooperativa sociale La tua isola ad attuare

con i profughi un progetto educativo attraverso la pratica del calcio. Si chiama Michele Bianchi e dallo scorso febbraio trascorre tre ore al giorno, per quattro giorni alla settimana, con i ragazzi ospiti a Besate. «I nostri sono allenamenti veri e propri. Il riscaldamento lo lascio gestire a loro, poi facciamo esercizi e giochi con la palla». Una scuola di vita Prima della partitella finale c’è il momento educativo. Michele divide i ragazzi in gruppi e li fa discutere su un tema specifico. In questi mesi hanno affrontato tanti argomenti, dalle loro storie di vita alla loro attuale condizione di richiedenti asilo. Non sono mancate questioni più generali come l’educazione, la salute, il rapporto uomo-donna, le differenze culturali e la religione. L’ultimo giorno della settimana c’è il confronto fra gruppi nel quale i rappresentanti riferiscono a tutti gli altri. Oggi la discussione è sullo sport. In un buon italiano, ma comunque con la fatica di esprimersi in una lingua di cui non si è figli i profughi lascia-

Michele Bianchi non è un operatore sociale come gli altri. È cresciuto nelle giovanili del Padova fino alla squadra primavera, poi un girovagare in compagini di serie D. «Giocavo sulla destra, esterno basso in un 4-4-2, ma ero in grado di tenere la fascia anche in un 3-5-2. Riuscivo a mantenermi, a pagare l’affitto e a vivere come un qualsiasi ragazzo della mia età con un lavoro normale. A 23 anni tutto ciò non mi bastava più. Sentivo addosso la banalità di una vita da calciatore e stavo perdendo di vista valori, sogni, ambizioni. Mi sono iscritto all’università e dopo la laurea ho proposto le mie idee e i miei progetti ad alcune ong. Una ha creduto in me e sono partito per il Kenya». Michele nel 2015 ha fondato The small now, associazione che realizza progetti sociali legati al calcio e negli anni è stato in Zambia, in Argentina, in Paraguay, è tornato a Nairobi. Si è occupato di bambini di baraccopoli e favelas, di ragazzi di strada e di ragazze abusate. Ovunque ha portato gioco e, insegnando calcio, ha aiutato le persone, soprattutto i giovani, a superare ostacoli e a vivere al meglio delle proprie possibilità. Proprio come sta facendo a Besate. www.thesmallnow.org Facebook the small now onlus

no lì frasi come: «Non è facile stare sempre a mangiare e dormire. Con Michele possiamo fare attività, essere in forma e dimenticare i problemi». Oppure: «Lo sport fa bene al corpo e alla testa. Ci dà salute e non diventi velocemente vecchio». Si va anche fuori tema per interloquire con l’intruso giornalista. «Vogliamo ringraziare il popolo italiano per tutto quello che fa per noi. Ci ha dato l’ospitalità e ci ha dato Michele» Oppure: «Vorrei che tutti in Europa sappiano che non siamo persone cattive. Tanti pensano che siamo brutti. Ma non è vero. Tutti noi abbiamo un obiettivo. Vogliamo fare una professione o studiare. Vogliamo solo una possibilità». Competenze per la vita Michele chiama questo momento le life skill. Sono le “competenze per la vita”, vale a dire un insieme di capacità acquisite tramite insegnamento o esperienza diretta e usate per gestire le difficoltà quotidiane. Attraverso i momenti di confronto si sviluppa un’interazione delle abilità di ognuno e ciò produce importanti risultati comportamentali: si impara a risolvere problemi, a prendere decisioni, ad acquisire senso critico, a crescere in autoconsapevolezza, a migliorare le capacità relazionali. Il calcio è lo strumento scelto da Michele per coinvolgere e mobilitare i giovani. Perchè lui è anche uno che il calcio lo conosce. Ha militato in diverse squadre di serie D. Poi nel 2015 ha fondato The small now, un’associazione no profit che realizza progetti sociali legati al calcio. «Nel nostro gruppo non tutti amano il calcio – conclude Michele –, però partecipano alle attività e si sentono coinvolti. Uno di questi è Mohamed. Ci ha detto di non aver mai preso a calci un pallone. Ora è uno di quelli che giocano meglio. I bambini lo salutano anche perché lui ha fatto il volontario nei centri estivi. Nel suo paese d’origine, il Mali, era un maestro elementare». ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Palazzo Oikos: il condominio diventa solidale di Alberto Rizzardi

Al piano terra c’è M’Ama Food, il servizio di catering ideato per sostenere donne rifugiate. Negli altri piani ci sono appartamenti destinati a persone o comunità con bisogni diversi: disagio abitativo, mancanza di lavoro o disabilità 42 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Òikos in greco significa casa, ma anche, in senso esteso, famiglia. Il termine è arrivato fino a noi come prefisso: quell’eco- alla base, per esempio, della parola economia, letteralmente “amministrazione della casa”. Questa, però, non vuole essere una lezione di grammatica, piuttosto il racconto di una bella sfida lanciata a Milano. Oikos è, infatti, anche il nome di un condominio solidale dove si ricomincia a vivere. Siamo nel quartiere Greco, zona nord-est della città, a pochi metri dal Refettorio Ambrosiano, progetto pensato dall’Arcidiocesi e da Caritas Ambrosiana per Expo 2015 che è rimasto come lascito alla città dopo la chiusura dell’Esposizione universale. Tutto è partito nel 2010 da una vecchia casa di ringhiera di proprietà della Curia da tempo inutilizzata: l’idea iniziale era elaborare vari progetti che potessero aiutare le fasce più deboli della popolazione. Poi l’intuizione di don Giuliano, parroco di San Martino in Greco: perché, invece, non privilegiare un unico progetto, che magari riunisca tutti gli altri, da realizzare nella stessa palazzina? Detto, fat-


IL PROGETTO ze con disabilità lievi, pronti a sperimentare la vita lontani dai genitori o senza l’assistenza continuativa degli educatori come nelle comunità tradizionali. Questi alcuni dei volti e delle storie in quel di Greco.

Qui sopra il portone d’ingresso di Palazzo Oikos a Greco. Un luogo che accoglie e in cui si aiutano persone con diversi tipi di difficoltà

L’obiettivo è consentire agli ospiti di Palazzo Oikos di raggiungere un’autonomia alla fine del percorso, quindi nel tempo gli inquilini cambieranno. Gli ospiti contribuiscono parzialmente dal punto di vista economico all’accoglienza e vengono seguiti da operatori

to: da quell’idea iniziale è partito un dialogo virtuoso tra soggetti del no profit per provare a costruire qualcosa di concreto. Uno sforzo comune Nel 2012 la Curia concede il diritto di superficie sulla palazzina per trent’anni al Consorzio Oikos, formato da tre storiche cooperative sociali meneghine (Consorzio Farsi Prossimo, Cascina Biblioteca e Spazio Aperto Servizi), che quella palazzina l’ha immaginata come un condominio solidale, dove persone con fragilità diverse possano prendere fiato per poi ripartire. Una mano tesa, un faro nel pieno della tempesta. Progetto reso possibile anche dal sostegno, economico e non, di Fondazione Banca del Monte di Lombardia, Fondazione Cariplo, Enel Cuore, Comunità di Sant’Egidio e Fondazione Idea Vita. Dopo la lunga trafila burocratica e un anno abbondante di lavori, la scorsa primavera Palazzo Oikos ha finalmente aperto le sue porte ai primi inquilini. «Una parte della palazzina – spiega Francesco Abbà, presidente del Consorzio Oikos – è dedicata ad attività commerciali dal sapore sociale: al piano terra c’è M’Ama Food, il servizio di catering ideato da Farsi Prossimo per sostenere donne rifugiate, straniere perseguitate, maltrattate o fuggite da Paesi in guerra. Negli altri piani della struttura sono stati ricavati appartamenti destinati a persone o comunità con bisogni diversi, dal disagio abitativo alla mancanza di lavoro, passando per la disabilità». I primi inquilini a entrare nello stabile, ad aprile, nell’unico appartamento allora pronto, sono stati

Ramona e Florin, rom: marito e moglie, 25 anni lei e 26 lui, tre figli di 8, 6 e 1 anno, già integrati nella comunità parrocchiale. Florin lavora e ha un contratto regolare, Ramona guadagna facendo le pulizie, ma una casa, una casa vera, non riescono a permettersela. Poi è arrivata Helena: ucraina, sulla sessantina, da diciotto anni in Italia e ben inserita, una figlia di nome Alessia. Aveva un lavoro come sarta e modellista e viveva in affitto: aveva, appunto, perché poi è arrivata la crisi, con ordini in calo, ritardi nei pagamenti e anche tanta disonestà. Morale: lavoro perso, soldi finiti, sfratto, dormitorio. A Palazzo Oikosabita anche Giuseppe: è italiano, ha sessant’anni abbondanti, è senza fissa dimora, ha il diabete, ma una scorza notevole. La parte più grande dello stabile, all’ultimo piano, è, invece, dedicata alla disabilità: si tratta di ragazzi e ragaz-

Niente assistenzialismo Attenzione, niente assistenzialismo: qui l’aiuto è temporaneo. L’idea è proprio quella della sosta per rifiatare, della goccia di carburante che, in un serbatoio vuoto da tempo, possa innescare la scintilla giusta per far ripartire il motore e rimettere in moto la macchina della vita. «L’obiettivo – spiega Abbà – è consentire agli ospiti di raggiungere un’autonomia alla fine del percorso, quindi nel tempo gli inquilini saranno diversi. Gli ospiti contribuiscono parzialmente dal punto di vista economico all’accoglienza e vengono seguiti da operatori». L’intento di questo innovativo modello abitativo è duplice: puntare alla solidarietà tra vicini di casa e lavorare in rete con il quartiere. «Ci auguriamo – continua Abbà – che il mix abitativo e il dialogo costante con il territorio contribuiscano a costruire un welfare comunitario, la vera chiave per rispondere in modo puntuale ai diversi bisogni. È la sfida, in prospettiva, anche per il terzo settore: essere sempre più una realtà che sappia interfacciarsi con comunità, istituzioni e cittadini».

LA SCHEDA

Gruppi di sostegno reciproco: insieme per sconfiggere le difficoltà Come ha reagito, però, il quartiere a questa iniziativa, visto che a fine 2014, quando s’iniziò a parlare dell’ipotesi Refettorio Ambrosiano, non mancarono lamentele e polemiche da una fetta di residenti? «Per il momento l’integrazione sta funzionando: è vero, quando s’iniziò a discutere del Refettorio, anche noi eravamo in fase di ristrutturazione dello stabile e fummo un po’ uniti in questa avversione di parte dei residenti nei confronti del progetto. La soluzione è stata il dialogo: abbiamo passato intere serate a parlare con la gente, spiegando loro cosa volessimo realmente fare, e adesso devo dire che, grazie anche all’impegno della parrocchia, il clima attorno al Refettorio e a Palazzo Oikos è decisamente cambiato». ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Musica, la sfida di MITO per la città di Enrico Panero

Nell’edizione 2016 oltre ai 37 concerti che si sono svolti nelle Circoscrizioni ci sono stati altri 85 “momenti di musica” che hanno raggiunto biblioteche, scuole, mercati, carceri, ospedali, case di riposo e centri di accoglienza 44 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Utilizzare la musica per superare le barriere sociali, culturali e fisiche, aprendo ai concerti e agli abitanti dei quartieri della città luoghi non convenzionali e normalmente poco conosciuti. Questo il senso dell’iniziativa MITO per la Città, rassegna torinese che da otto anni è diventata parte integrante del festival internazionale di musica classica MITO SettembreMusica che si svolge specularmente e simultaneamente a Torino e Milano. L’idea di fondo di MITO per la Cittàè nuova e interessante per vari motivi. Soprattutto perché sono i musicisti a raggiungere il pubblico e non viceversa, come avviene normalmente. Nell’edizione 2016, ad esempio, oltre ai 37 concerti convenzionali che si sono svolti in tutte le Circoscrizioni cittadine ci sono stati altri 85 eventi musicali definiti “itineranti” dagli organizzatori,


Un momento del concerto al centro polifunzionale di via Marsigli. A destra musicisti che si esibiscono all’Istituto di riposo per la vecchiaia

Alcuni concerti erano chiusi al pubblico, data la tipologia delle strutture (carcere, hospice, centro Alzheimer), ma ben 70 hanno dato la possibilità ai cittadini di ascoltare musica di qualità in luoghi spesso sconosciuti ai frequentatori di concerti

Grabiella Bracco/phlibero a scuola di fotografia

Giuseppe Gerbasi/phlibero a scuola di fotografia

TORINO

“momenti di musica” realizzati in collaborazione con il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, che hanno raggiunto biblioteche, scuole, luoghi storici, mercati, ospedali, case di riposo, centri di accoglienza e istituti penitenziari, arrivando così anche ad un pubblico che altrimenti non avrebbe potuto godere l’offerta. Alcuni concerti sono stati naturalmente chiusi al pubblico, data la tipologia delle strutture (carcere, hospice, centro Alzheimer), ma ben 70 hanno dato la possibilità ai cittadini di ascoltare musica di qualità in luoghi spesso sconosciuti ai frequentatori di concerti perché caratterizzati da «contesti e vite che con la musica hanno rare occasioni di incontro», spiegano i promotori dell’iniziativa. Tra questi luoghi, anche servizi comunali per persone senza dimora: concerti di arpa, di archi e di fiati si sono svolti nelle case di prima accoglienza notturna di strada delle Ghiacciaie 68, via Ghedini 6 e via Carrera 181, un duo di chitarre presso il centro polifunzionale di via Marsigli 12. Eventi davvero per tutti «Abbiamo volentieri messo a disposizione di MITO per la Città alcune strutture comunali per persone senza dimora perché le consideriamo risorse per i quartieri, luoghi non “lontani” dai cittadini ma invece parte attiva della città, luoghi anche belli e con una buona acustica

per la musica che vanno conosciuti – spiega Massimo De Albertis, del servizio Adulti in difficoltà del Comune di Torino, sottolineando i «riscontri positivi registrati da parte di tutti in questi anni, sia per quanto concerne lo scambio tra le persone sia nell’ottica di avvicinare e abbellire questi luoghi». Sergio Bonino, coordinatore organizzativo di MITO per la Città, ricorda invece di essere stato colpito dalla dichiarazione di una signora ospite in un dormitorio e raccolta da Scarp in occasione di un concerto di qualche anno fa: «Diceva che si era “sentita una persona”, cosa

per noi molto bella perché l’obiettivo è proprio di raggiungere con la buona musica chi normalmente non andrebbe a un concerto per varie ragioni: economiche, sociali, fisiche, culturali. Così lavoriamo per qualcuno, portando la musica in una serie di servizi agli utenti, agli operatori e ai cittadini che vogliono partecipare, riproponendo il tradizionale “gioco della musica” basato sull’offrire musica e ricevere applausi, ma con il valore aggiunto della tipologia di pubblico». Musica come scambio La musica dunque come veicolo di scambio tra le persone, di informazioni su luoghi e risorse della città ma soprattutto di emozioni. «La musica parla all’irrazionale – osserva Bonino –, per questo durante i concerti è emozionante vedere il coinvolgimento di persone malate di Alzheimer. Supera le barriere, così un concerto di musica barocca con oboe e fagotto in carcere coinvolge detenuti nordafricani che riconoscono suoni a loro familiari. Fatta in questi luoghi, poi, accresce anche i musicisti, che si arricchiscono dal suonare in ambienti per loro nuovi, anche disturbati, in situazioni diverse dal solito e che per questo danno un diverso coinvolgimento artistico ed emotivo».

INIZIATIVE

Scene aperte ai meno abbienti, l’idea del Teatro Stabile di Torino Anche il Teatro Stabile di Torino ha avviato un’iniziativa che mira ad estendere l’offerta culturale a coloro che non possono permetterselo. In estate è infatti stato lanciato, con il sostegno della Fondazione Crt, un bando per mille abbonamenti a tre spettacoli riservati a cittadini italiani e stranieri con fascia Isee inferiore a 11.528,41 euro per nucleo familiare. Il bando, cui hanno già aderito 500 persone di cui circa 100 di nazionalità straniera, è stato appositamente pubblicizzato attraverso canali non tradizionali, spiegano i promotori: centri per l’impiego, case di quartiere, centri per il diritto allo studio, piazza dei Mestieri, canali social. «Un teatro pubblico come il nostro deve essere accessibile a tutti, è un impegno civile che vogliamo accollarci» ha dichiarato il direttore dello Stabile, Filippo Fonsatti. www.teatrostabiletorino.it ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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VICENZA

Foto di gruppo per la redazione di Scarp Vicenza in “missione” sulla Basilica di piazza dei Signori

I laboratori di Scarp Poesia e arte davvero per tutti di Cristina Salviati

In settembre sono ricominciati gli incontri della redazione vicentina di Scarp de’ tenis, le idee e i progetti erano tanti così abbiamo pensato di trovarci in un luogo dove i pensieri e i sogni potessero mettere le ali. Invece del solito posto, a Casa Santa Lucia, ci siamo “arrampicati” sulla terrazza della Basilica Palladiana in piazza dei Signori. Da lassù si vede tutto il centro di Vicenza e ogni volta non possiamo fare a meno di notare come questo monumento splendido divida nettamente in due la città. A nord i palazzi signorili che, nella loro gara a chi costruisce più in alto, impediscono la visione. A sud quella che in passato erano le case delle classi meno abbienti con costruzioni modeste e popolari. Qui lo sguardo spazia ovunque e

Si chiama Scarp accompagna il progetto che prevede di portare persone senza casa al cinema e a vedere delle mostre 46 Scarp de’ tenis ottobre 2016

si può stare a fantasticare, come abbiamo fatto noi quella mattina di settembre. Altane e terrazze che sarebbero l’ideale per tanti dei nostri laboratori… Spazio alla poesia Lì abbiamo immaginato come sarebe stata la nostra collaborazione con il Club des Poètesdi Bassano in un reading di poesie sulle persone senza casa. Dalla terrazza palladiana abbiamo pensato che anche Vicenza meriterebbe un club come quello e che andremo presto a proporre alla biblioteca civica la nostra collaborazione per fondarlo. Abbiamo poi riassunto tutta l’attività come lettori in pubblico, ormai sono tre anni che giriamo in tutta la diocesi proponendo il nostro Diario di strada, reading di storie senza tetto. Abbiamo voglia di buttarci di più nella mischia e provare a collaborare con altri artisti, mettendo al servizio di altri quello che abbiamo imparato finora. L’attrice Stefania Carlesso ci ha proposto di lavorare sulle “parole che curano”, attraverso testi della letteratura e della saggistica classica;

il musicista Donato Milani ci ha mandato i testi della sua band, I Prova Zero; in gennaio incontreremo il coreografo Luciano Padovani per capire se e come potremo collaborare con lui. Ma soprattutto, lo spazio aperto qui sui tetti di Vicenza ci dice che è ora che la nostra intensa esperienza a contatto con le arti si apra anche alle altre persone emarginate e diventi un punto di riferimento più allargato. Insieme agli ultimi In realtà l’idea è già cominciata in questo 2016 con il progetto che abbiamo chiamato Scarp accompagna. Per tutto l’anno Cristina, Federica, Stefano e Tania hanno accompagnato al cinema, a teatro o in pizzeria altre persone senza casa, ospiti di Caritas o del comune di Vicenza. Ci siamo quindi impegnati a proseguire e invitato anche gli altri della redazione a diventare protagonisti in questo. Ma da quassù, in cima alla terrazza di Palladio, sogniamo soprattutto un luogo nel cuore della città, per poter spostare le nostre riunioni dove chiunque possa raggiungerci, dove i passanti possano entrare senza appuntamento, dove per conoscerci non ci si debba chiedere se e come si fa a incontrare le persone emarginate, ma sia sufficiente imbattersi nel nostro invito e mettere la testa dentro alla porta, per scoprire, naturalmente, che non c’è bisogno di nessun filtro e di nessuna scuola, ma solo aver voglia di conoscere nuove persone. La frase di invito che ci piacerebbe, al momento l’abbiamo presa “in prestito” dal Laboratorio Zanzara di Torino: “Mi stavo imbattendo nell’infinito e mi sono ritrovato qua”. http://laboratoriozanzara.bigcartel.com

La redazione vicentina di Scarp de’ tenis si incontra tutti mercoledì mattina a Casa Santa Lucia in via Pasi 8. Le porte sono aperte a tutte le persone senza casa che frequentano i servizi della Caritas o del Comune, ma anche a chi vuole solo conoscerci . Per contattare la redazione mandare una mail a scarp@caritas.vicenza.it


VENEZIA

La sfida di Venezia: ridisegnare il welfare per cercare di riattivare le potenzialità di chi è in difficoltà

Cambia il welfare: «Non si può solo pretendere» di Michele Trabucco

Assistenza sì, ma ricevendo qualcosa in cambio. Questa in sintesi la nuova linea delle politiche sociali del Comune di Venezia, che intende attivare percorsi di reinserimento e recupero sociale delle persone ai margini, senza limitarsi a erogare il minimo vitale o ad assegnare la casa popolare. La scelta fatta dal Comune di Venezia per ridisegnare le proprie strategie di politiche sociali ha suscitato un forte e vivace dibattito. «Quello che vogliamo fare –spiega Simone Venturini, da poco più di un anno a capo dell’assessorato alla coesione sociale – è un capovolgimento di fronte. Vogliamo riattivare una città che negli ultimi vent’anni si era spenta “perché tanto ci pensa il Comune”. Ora il Comune, vuoi per difficoltà economiche, ma anche per

lasciare spazio all’iniziativa privata e a quanto di buono già esiste, si è preso il compito di affiancare quel che funziona per sostenerlo e renderlo ancora più efficiente». Verrebbe da dire che è già passato un anno e il processo innovativo non è ancora visibile; ma Venturini rilancia ricordando la prossima tappa, grazie alla quale il processo prenderà decisamente corpo. Il 1° settembre è diventata infatti operativa la riorganizzazione di una buona fetta della macchina comunale. E il Comune regista applica la filosofia che rende efficace un lavoro fatto dalla panchina: l’accentramento. «È la fine dello “spezzatino del welfare” – sottolinea l’assessore – e un passo decisivo verso la sua riforma. Si tratta di una vera ricostruzione, sia dal punto di vista organizzativo, degli uffici comunali, sia dal punto di vista dei servizi erogati».

L’assessore Venturini: «Non basta dare risposte assistenziali a chi le domanda. Dobbiamo guardare alle potenzialità»

Ridisegnare il welfare «Quando sono arrivato ho trovato una direzione centrale del welfare, che ha competenza in materia di marginalità, anziani, disabili e mino-

ri stranieri. Ma i minori residenti e l’età adulta – quindi tutto ciò che riguarda il minimo vitale e i contributi economici straordinari – era di competenza delle municipalità. Per fare un ragionamento complessivo sul welfare, avrei dovuto aver a che fare con 8-9 direttori. Da qui l’esigenza di razionalizzare e di creare una maxi direzione, con un unico direttore, entrata in funzione dal 1° di settembre, che abbia finalmente un’organizzazione logica e razionale». A tutti sarà chiesto un riorientamento dell’obiettivo di fondo: «Non basta dare risposte assistenziali a chi le domanda. Dobbiamo guardare di più alle potenzialità, vogliamo accendere percorsi di riattivazione e riscatto per le persone in difficoltà. L’idea di questa amministrazione è di andare incontro ai bisogni, non di farci venire a trovare da essi, finendone travolti. L’idea è di anticipare i bisogni. Vogliamo un Comune che vada nel territorio e anticipi le esigenze, sostenendo i privati che vi danno risposta». Non solo assistenza Un esempio? Il cambio di passo, secondo Venturini, ci dovrà essere anche nelle strutture gestite dall’amministrazione comunale: «La Casa dell’ospitalità di via Spalti, a Mestre, (storica realtà di accoglienza dei senza dimora) sarà oggetto di una riforma. Non sarà più una struttura in cui si entra e si resta vita natural durante ma diventerà una specie di clinica, in cui chi avrà accesso sarà poi rimesso nelle condizioni di camminare sulle sue gambe. Perciò ci dovremo attivare non solo per fornire un letto e da mangiare, ma anche per cercare inserimenti lavorativi. Così come dovremo stimolare gli ospiti a imparare a gestirsi un appartamento da soli. Non sarà un percorso praticabile da tutti, ma bisogna creare le condizioni perché qualcuno ci provi». «Noi continuiamo a dare servizi e assistenza, ma chiediamo qualcosa in cambio. Un inquilino che paga 5 euro l’anno nella casa comunale non può venire a chiedere al Comune di tagliargli l’erba nel giardino perché è alta. Deve iniziare ad attivarsi». (grazie a Gente Veneta) ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Avventurarsi in montagna per far scoprire a ragazzi “difficili” di possedere risorse inaspettate

esattamente questa situazione. Ed è la risposta di ciascuno, attraverso l’esperienza della fiducia in se stessi, negli educatori, nella guida e nel gruppo, che viene stimolata, e che fa crescere le persone». Il percorso si è articolato in sette tappe. Una prima uscita di conoscenza, in uno scenario particolarmente suggestivo della Lessinia. La seconda ha avuto per protagonista la fatica, lungo un sentiero classico, sul Monte Baldo, per raggiungere la sua cima più famosa. Nella terza tappa i ragazzi si sono arrampicati sugli alberi, antichi maestri di fiducia e di meraviglia. Le tappe successive hanno proposto l’incontro con il limite nell’arrampicata e con l’inesplorato, nella discesa di un nevaio poco battuto. Ed infine, una due giorni sulle dolomiti, dormendo insieme in un rifugio e facendo un’escursione notturna.

In cammino, l’avventura che fa crescere di Elisa Rossignoli

Sette ragazzi, due educatori, talvolta una guida alpinistica. Sempre, la natura. Cosa salterà fuori da questo insolito mix? Lo chiediamo a Nicola Rovetti, educatore ed alpinista, che insieme ad Alessandro Ongaro (Casa di accoglienza Il Samaritano, Caritas diocesana di Verona) ha sperimentato fra luglio e settembre il progetto Itinerari di crescita. «Si tratta di una proposta di crescita personale volta alla possibilità di cambiamento. Ed è stata pensata e realizzata attraverso la dimensione dell’avventura. Avventura è andare incontro a qualcosa di sconosciuto, che può attirare ma anche intimorire. E nel modo in cui noi la intendiamo ha in sé tre ingredienti-chiave. Il primo è il contesto naturale, con l’intrinseco elemento dell’imprevisto,

Avventurarsi in zone sconosciute per stimolare il cambiamento. Questa la scommessa di Itinerari di crescita

VERONA

ma anche con tutti i suoi aspetti meravigliosi. Un po’ per la mia storia personale, di ragazzo cresciuto in campagna e che da sempre ha avuto dalla Natura le risposte più importanti, lo ritengo fondamentale nelle attività in cui si vuol favorire il contatto con se stessi. Il secondo è il tipo di impresa da compiere, che varia a seconda dei protagonisti, e ha sempre un obiettivo che ne determina le caratteristiche. Il terzo è il rischio; sempre presente e sempre da calcolare per poter riuscire nell’impresa». Nato ed implementato in collaborazione con l’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna) di Verona e reso possibile dal sostegno di Fondazione San Zeno, il progetto coinvolge un gruppo di giovani under 30, alcuni autori di reato ed altri in situazione di marginalità e a rischio di devianza. Nell’ignoto. Per crescere «Ogni cambiamento – prosegue Nicola – non muove certo dalla permanenza in zone conosciute, bensì dall’incontro anche con i propri limiti. L’avventura propone

Esperienza a tutto tondo «Tutte situazioni diverse, ciascuna speciale, ma che hanno in comune l’avvicinarsi a se stessi e agli altri, la possibilità di scoprire zone inesplorate di se, e la fiducia e l’importanza del gruppo. Tutte cose che servono anche per la crescita, ed una volta sperimentate si possono applicare ancora», conclude Nicola. I giovani coinvolti in quest’avventura hanno risposto bene, si sono messi in gioco, ciascuno a modo suo. C’è chi ha scoperto di essere in grado di farcela anche quando non l’avrebbe mai detto, anche quando sarebbe tornato indietro, ma non era possibile, e allora è andato avanti. C’è chi ha gustato la soddisfazione della cima dopo la salita faticosa, il silenzio del bosco dall’alto di un albero, lo stupore, ebbene sì, anche quello, di essere mancato al gruppo la volta in cui non aveva partecipato all’escursione. Un’esperienza da riproporre? «È quello che ci auguriamo – dice Alessandro –. In atto una valutazione del progetto, sia dal punto di vista della sua efficacia e della ricaduta che avrà sui giovani coinvolti, sia dal punto di vista degli educatori. Se la sua validità sarà confermata lo riproporremo l’anno prossimo». ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Badanti La richiesta supera l’offerta di Angela De Rubeis

L’assistenza di persone in stato di bisogno con vincolo di convivenza è un impiego molto richiesto a cui non corrisponde una disponibilità da parte di lavoratori con esperienza e preparazione. Due sportelli cercano di far collimare offerta e domanda 50 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Anche a Rimini è in costante crescita la richiesta d’aiuto da parte delle famiglie per le persone fragili che hanno bisogno di cure. Proprio per dare risposta a questo bisogno sono sorti sul territorio diversi servizi di mediazione tra domanda e offerta, anche perché non stiamo parlando di un lavoro come gli altri ma di un’occupazione che mette al centro una persona “debole”. Sono molte le riserve dei familiari, soprattutto se a proporsi come badanti sono straniere oppure uomini. Storicamente sono state le donne dell’est Europa a prendersi cura dei nostri anziani e malati: moldave, ucraine e rumene. «Oggi entrano in questo mercato anche le cubane, le senegalesi, le camerunensi – spiega la dottoressa Annamaria Semprini, professional counselor biosistemico, alla guida del servizio sportello badanti dalle Acli Provinciali –. Si tratta spesso di donne molto giovani che si sono trovate qui a fare la stagione e poi vorrebbero improvvisarsi badanti. Io che sostengo con loro dei colloqui individuali provo a spiegare che questa


RIMINI dello scorso anno. Sono oltre 800 le famiglie iscrittesi al servizio negli ultimi 5 anni (248 il totale del 2015; 218 il parziale del 2016, ndr). Un numero significativo che conferma il costante incremento della richiesta di assistenza domiciliare qualificata sul territorio. E dall’altra parte? Dall’altra parte in questi tre mesi di attività sono stati 42 i rapporti di lavoro andati a buon fine e formalizzati con l’applicazione del contratto di riferimento.

Aumentano le richieste per persone disposte a convivere con gli anziani di cui si prendono cura. Un lavoro difficile e molto impegnativo

Le famiglie sono più propense ad avere delle donne italiane nelle case dei loro cari. Non si tratta di una questione di discriminazione ma di cultura affine. Emerge molto la difficoltà del cibo, della lingua, di un diverso modo di fare le cose

non è un’occupazione da prendere con leggerezza. Si tratta di un lavoro duro che deve essere affrontato con la giusta professionalità. Ed è per questo motivo che appena mi trovo in queste situazioni le indirizzo verso la formazione». Le famiglie sono più propense ad avere delle donne italiane nelle case dei loro cari. «Non ne fanno una questione di discriminazione ma di cultura affine. Emerge molto la questione del cibo, della lingua, di un diverso modo di fare le cose. Di contro, le italiane non riescono a soddisfare tutte le loro esigenze. Le italiane, nel maggior numero dei casi, hanno famiglia, figli da accudire e non sono disposte a fare dei veri e propri trasferimenti. Magari lavorano anche a tempo pieno ma non la convivenza. E questo è un problema». Viola Carando, è una delle operatrici de L’Assistente in Famiglia, sportello del Comune di Rimini che supporta la persona non autosufficiente e la sua famiglia nella scelta di ricevere assistenza al proprio domicilio individuando persone competenti e referenziate. Si offre anche un servizio di collocamento mirato e di sostegno alle assistenti familiari con l’obiettivo di qualificarne il lavoro e avviare un percorso di integrazione nella rete dei servizi socio-sanitari. Dottoressa Carando, quante persone si sono rivolte a voi? Sono 119 le famiglie che tra l’1 maggio e il 31 luglio 2016 si sono rivolte per la prima volta allo sportello. Erano state 81 nel primo trimestre

Di che tipo di mercato stiamo parlando? C’è più domanda di lavoro che offerta. In controtendenza rispetto alla generica difficoltà di collocamento, quella di assistenza con vincolo di convivenza è un impiego molto richiesto a cui purtroppo non corrisponde una disponibilità da parte di lavoratori con esperienza e preparazione. Mi riferisco alla difficoltà di individuare persone in grado di svolgere con professiona-

lità quella che è una mansione delicata e molto impegnativa. Nell’ultimo trimestre sono stati 119 i nuovi iscritti, un numero leggermente inferiore allo stesso periodo del 2015. Ma la vera difficoltà sta nell’individuare personale referenziato, competente e in un’età lavorativa consona: diciamo dai 20 ai 55 anni al massimo, disponibile all’assistenza con vincolo di convivenza. I dati del periodo maggio-luglio, infatti, parlano di 101 richieste di assistente familiare a tempo pieno contro le 44 richieste di personale “a ore”; le 19 per il “solo giorno”; le 7 per la “sola notte” e le 26 per sostituzione temporanea di un altro assistente. Poi ci sono gli uomini... Quelli con esperienza provata e capacità sono molto ricercati (ma senza esperienza non li vuole nessuno) poiché in grado di gestire con minor difficoltà carichi pesanti (persone non autosufficienti) e in grado di interagire con anziani caratterialmente difficili, sia uomini che donne.

I NUMERI

Un milione assistiti dalle badanti. Sono ancora tante le “zone grigie” Delle 830 mila badanti che si stimano lavorare in Italia, molte si trovano in una situazione di lavoro sommerso. È stato calcolato che oltre un quarto (26%) lavora e, trattandosi di straniere senza permesso di soggiorno valido, risiede irregolarmente in Italia (216 mila lavoratrici); circa un terzo (30,5%), pur risiedendo in maniera regolare perché italiana o straniera con permesso valido, lavora senza contratto (253 mila); infine, vi è chi lavora in regola con un contratto, che rappresenta il 43,5% del totale (361 mila). Considerando che una fetta di queste 830 mila assistenti familiari può assistere anche due persone, in maniera più o meno intensa, il numero di anziani assistiti da una badante si può ragionevolmente stimare intorno al milione. Ci troviamo davanti a un mondo che coinvolge da una parte delle persone fragili che hanno bisogno di cura e dall’altra dei lavoratori, principalmente stranieri, alle prese con contratti e condizioni occupazionali particolari. Spesso si diffonde anche il fenomeno del lavoro nero. Una badante costa ad una famiglia (contratto base) dai 700 agli 800 euro, più 100 euro al mese circa di contributi. Non sempre le famiglie hanno le possibilità per affrontare queste spese allora puntano al part time. Un fenomeno che va contrastato anche perché crea sacche di illegalità sia da una parte che dall’altra. Molto più costosi, intorno ai 1.200-1.300 euro, i lavoratori che non accettano la convivenza ma che coprono tutta la giornata. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Al ristorante sociale di Salerno a cena con 1 euro di Stefania Marino

Si chiama Elpis ed è il primo ristorante sociale nato nella città di Salerno. Un pasto ha il costo simbolico di 1 euro. L’iniziativa è dell’associazione L’Abbraccio onlus. Elpis è stato inaugurato il 20 luglio scorso e a tagliare il nastro c’era Giuliano Poletti, ministro del Lavoro e del Welfare. «Avremo sempre bisogno di un pronto soccorso sociale. È un’iniziativa molto bella perché risponde a un bisogno e recupera uno spazio».

Il ristorante sociale Elpis, inaugurato lo scorso maggio, che offre i pasti al costo simbolico di 1 euro è stato pensato per chi vive momenti di malessere e di solitudine. C’è una regola importante che vige in questo posto: si possono consumare pasti per un massimo di tre mesi

Già, perché il ristorante sociale è nato nei locali di un’ex scuola elementare messa a disposizione dal Comune di Salerno. Matteo Marzano è il presidente de L’Abbraccio onlus. «Se la nostra iniziativa ha potuto avere inizio e svilupparsi sempre di più dobbiamo essere grati alle aziende che forniscono gratuitamente i prodotti alimentari, ai professionisti che prestano la loro opera rinunciando al compenso, agli instancabili volontari. Noi vogliamo essere un Sud che opera e che costruisce il futuro a piccoli passi ma concreti». Per

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SUD

I volontari de L’Abbraccio distribuiscono pasti durante uno sbarco a Salerno. Qui sopra il taglio del nastro con il Ministro Poletti

Qui vige la regola del “pasto sospeso”, così come accade con il famoso “caffè sospeso” di Napoli, significa coprire il costo di uno o più pasti. In due mesi è stata registrata un’affluenza media di trenta persone al giorno. È arrivato chi ha perso il lavoro, chi non l’ha mai avuto, famiglie e anziani

comprendere la storia del ristorante sociale bisogna però fare un passo indietro esattamente al giorno in cui l’associazione L’Abbraccio dà vita al “Pronto soccorso sociale” che non è altro che un modello di intervento per fronteggiare la fase acuta del disagio sociale. Porte aperte a tutti Con il contributo dell’8 per mille della Chiesa Valdese il progetto del ristorante sociale inizia a tradursi in realtà. Vengono realizzate le cucine. Viene realizzata la sala mensa. I colori grigio ed arancio riempiono le pareti. Su un lato una frase tratta dal film “Un sogno per domani”. «Noi abbiamo preso il bello e il positivo che la città ci ha offerto, dalle istituzioni, agli sponsor ai volontari – spiega Marzano –. Salerno ci chiedeva un intervento sulle nuove povertà». Il ristorante sociale ha aperto le porte a maggio scorso. A luglio è stata data ufficialità al servizio. A chi è rivolto? A chi vive un momento di difficoltà. A chi ha visto cambiare la propria condizione di vita sperimentando momenti di malessere e di solitudine. Marzano ci tiene a sottolineare: «Abbiamo voluto fare un ristorante e non una mensa per i poveri». All’inaugurazione erano presenti anche il Prefetto di Salerno Salvatore Malfi, il sindaco Vincenzo Napoli, l’assessore alle politiche sociali Nino Savastano, il Presidente della Provincia Giuseppe Canfora. Elpis che rimanda al termine “speranza” nel-

l’antica Grecia, è aperto tutti i giorni dalle 12,30 alle 15,30 e offre la possibilità di 100 pasti al giorno in due turni. Si accede tramite lo sportello di ascolto e si riceve una tessera individuale che consente di avere un pasto al costo di 1 euro per un periodo di 3 mesi. Per i minori fino a 16 anni invece il pasto è gratuito. L’accesso non avviene attraverso la presentazione di una certificazione di “indigenza”. Il ruolo di indirizzare alcune persone verso il ristorante sociale è dato alle associazioni del terzo settore, alle istituzioni, alle parrocchie. Caratteristica del ristorante sociale è il “pasto sospeso” che così come accade con il famoso “caffè sospeso” di Napoli, significa coprire il costo di uno o più pasti. In due mesi è stata registrata un’affluenza media di trenta persone al giorno. Èarrivato chi ha perso il lavoro, chi non l’ha

mai avuto, famiglie con bambini piccoli, pensionati. Ai fornelli tantissimi volontari e anche gli allievi dell’Istituto alberghiero Santa Caterina –Amendola calati in una straordinaria esperienza di scuola-lavoro. «Il ristorante sociale non è una forma di assistenzialismo – dice Maurizio Caporaso, vicepresidente de L’Abbraccio onlus – è un accompagnamento, una forma di corresponsabilità. L’utente è protagonista». C’è una regola importante che vige qui. Quella del consumare pasti per un periodo massimo di tre mesi. «Affermiamo il principio che facendo ognuno la propria parte si può uscire dallo stato di bisogno, senza arrendersi alle circostanze avverse della vita». Non solo un pasto caldo Chi arriva qui per un pasto caldo ha la possibilità di esprimere e condividere disagi e difficoltà «È una fase questa di monitoraggio dei bisogni. Garantire cibo è un primo servizio. Abbiamo attivato il servizio docce e forniamo anche vestiario. Alcune delle persone che arrivano qui dormono per strada». Poco lontano c’è la comunità per minori dove da alcuni mesi vivono alcuni minori stranieri non accompagnati sbarcati al porto di Salerno. I volontari del ristorante sociale hanno partecipato attivamente agli sbarchi di migranti verificatisi a Salerno distribuendo circa

LA SCHEDA

Fino a cento pasti al giorno. Per iniziare Il ristorante si trova all’interno della struttura dell’associazione L’Abbraccio onlus in Via Fresa,1 a Salerno. Spazi ampi, allegri e colorati messi a disposizione dal Comune di Salerno. Era una scuola elementare dismessa e con l’aiuto di tantissimi imprenditori e volontari è stata ristrutturata. La sala del ristorante può ospitare circa 50 posti e i responsabili del progetto vorrebbero cominciare a somministrare cento pasti al giorno e altri 30 che verranno consegnati alle persone indigenti. Per ora il servizio si rivolge alla zona est di Salerno ma non si esclude di allargare il servizio in base alle necessità. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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aforismi

POESIE

di Emanuele Merafina

Gioia e felicità Non sei capace di essere felice con la felicità di questo ritmo? Di lanciarti, perderti e spezzarti nel vortice di questa infinita gioia. Tutte le cose avanzano impetuose non si fermano, non guardano indietro, nessun potere può trattenerle, esse scorrono impetuose in avanti. Seguendo il ritmo veloce di questa musica incessante, le stagioni vengono danzando e se ne vanno. Colori, melodie, profumi si versano in cascate senza fine nella gioia straripante che si spande, e cessa, e muore ogni momento. Gaetano “Toni” Grieco

Crudo Erigesti il muro in un mattino. Chi ti fornì di calce e di mattoni? Chi diresse i lavori e li dirige? Io senza te, miserrima esistente, che più non appartiene a questa vita. Paurosa e indomita piccono sulla roccia apro crepe di lacrime nel tuo cuore di argilla. Aida Odoardi

A cercare la felicità Soli in un deserto di parole dove i limiti del cuore trovano un sentimento in una coscienza lasciata sola a cercare l’amore rubato da un destino. Crudele nella sorte che invita a riflettere

Vecchie periferie Panni stesi sui balconi Vecchi che camminano da soli Quanta nostalgia della vecchia periferia, della musica, delle voci tra un balcone e l’altro, dei luoghi comuni. Periferie senza strisce pedonali. L’anima Ho messo l’anima al mio cervello

in un argomento plausibile alla gioia, dove la sostanza dei sogni emigra in luoghi lontani a cercare la felicità. Armando Marchesi

La provvidenza La Provvidenza non è la gratitudine della convenienza. La Provvidenza sono le gocce di sangue della speranza divina essa le dona a chi sulla retta via cammina. La Provvidenza è l’essenza della sopravvivenza allevia la sofferenza se lottiamo facendo anche un po’ di penitenza. L’idea di un giovane volontario La Provvidenza non è un supermercato della Ronda della carità ma un di po’Milano: tutti ha accontentato.

una App contro lo spreco alimentare Ferdinando Garaffa 54 Scarp de’ tenis ottobre 2016

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VOCI DALL’EUROPA

Homeless World Cup a Glasgow: dare un calcio al proprio passato

di Ronnie Convery

Per chi vive sulla strada, non è solo la mancanza di un tetto sopra la testa a trasformare ogni giorno in una sfida. Le altre privazioni sono forse meno ovvie, ma possono mortificare lo spirito umano in modo drammatico. Vivere senza casa significa per molti vivere anche senza meta né obiettivi, senza viaggi, senza fraternità, senza competizione e senza stima. È stata questa motivazione a spingere Mel Young, giornalista scozzese e fondatore di Big Issue Scotland, a creare una versione dei Mondiali di calcio per i senzatetto. Quest’estate la Homeless World Cup 2016 ha avuto luogo nel cuore di Glasgow. Per sette giorni, George Square, la piazza più grande e più centrale della città ha ospitato tre campi di calcio e ben 80 mila spettatori che hanno sfidato il tempo per assistere al torneo. Ben 512 giocatori sono arrivati a Glasgow, ciascuno con la propria storia da raccontare, e per ciascuno di loro questo evento è stato un momento indimenticabile.

scheda Ronnie Convery, nato nel 1965, è giornalista, scrittore, personaggio televisivo e traduttore in UK. È stato uno dei pionieri per le nuove connessioni culturali tra Scozia e Italia. Ronnie mostra un particolare interesse per emigrazione, religione e scambi culturali, e contribuisce sui media di entrambe le nazioni.

Sport come cambiamento La missione di Mel Young è quella di utilizzare lo sport come catalizzatore per il cambiamento sociale, dando alle persone senza dimora le competenze, il sostegno sociale e la mentalità necessaria per riprendere le redini delle loro vite. E la formula della Homeless World Cup funziona benissimo. Valutazioni indipendenti hanno indicato che oltre il 90% dei giocatori ha una nuova motivazione nella vita dopo aver partecipato a una delle edizioni del tor-

La formula della Homeless World Cup funziona benissimo. Valutazioni indipendenti hanno indicato che oltre il 90% dei partecipanti ha una nuova motivazione nella vita dopo aver preso parte a una delle edizioni del torneo. Marine, una delle giocatrici della squadra francese: «Bello sapere che c’è qualcuno che mi stima e che crede in me. Torno in patria con uno spirito nuovo»

La cerimonia di apertura della Homeless World Cup di Glasgow

neo. Per il 77% dei partecipanti si è manifestato un cambio nella loro vita: il 45% ha trovato un lavoro a tempo pieno, il 43% ha un alloggio stabile, il 40% sta seguendo progetti di formazione a tempo pieno e il 56% di coloro che avevano problemi di dipendenza con la droga o alcol, li hanno affrontati con successo. In Italia, è la onlus Nazionale solidale ad occuparsi della selezione della squadra che partecipa al torneo, seguendo i criteri stabiliti dalla fondazione internazionale, basati su 11 categorie di disagio sociale. A livello nazionale, gli enti segnalano i più meritevoli. Il progetto mira a far vivere ai giocatori l’importanza della maglia Azzurra per gratificarli del loro impegno. Il progetto conta ormai 13 partecipazioni alla Homeless World Cup e alcune esperienze di partite amichevoli internazionali. Aperto anche alle donne La Homeless World Cup non è una manifestazione solo per gli uomini. «La prima Coppa del Mondo femminile si è tenuta a Melbourne nel 2008 ed è stata un enorme successo. Non solo per l’ottima qualità del calcio giocato, ma perché ha tirato fuori molte donne dall’ombra della loro vita di senzatetto e le ha messe sotto la luce brillante dello stadio di calcio. La gente voleva conoscere le loro storie ed alcune sono diventate eroine». Per la cronaca a Glasgow hanno vinto i messicani, sia nel torneo maschile sia in quello femminile. Ma vincitori sono tutti i partecipanti. Lo ha capito bene Marine, una delle giocatrici della squadra francese: «Bello sapere che c’è qualcuno che mi stima e che crede in me. Torno in patria con uno spirito nuovo». ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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VENTUNO

La salvaguardia del pianeta alla conferenza sul clima Cop22 I governi di tutto il mondo si riuniranno nuovamente per la ventiduesima edizione della Conferenza sul clima. Lo faranno in Africa, a Marrakech, con l’obiettivo di rendere operativo il testo approvato lo scorso anno a Parigi di Andrea Barolini

scheda

Ventuno come il secolo nel quale viviamo, come l’agenda per il buon vivere, come l’articolo della Costituzione sulla libertà di espressione. Ventuno è la nostra idea di economia. Con qualche proposta per agire contro l’ingiustizia e l’esclusione sociale nelle scelte di ogni giorno.

56 Scarp de’ tenis ottobre 2016

Era la metà di dicembre, dieci mesi fa ormai, quando a Parigi si chiudeva il sipario su quello che è stato considerato uno degli appuntamenti più importanti per la lotta ai cambiamenti climatici: la ventunesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, più nota come Cop 21. Al termine di quindici lunghi giorni di negoziati, i 195 governi presenti hanno trovato l’intesa su un testo - chiamato Accordo di Parigi nel quale si chiede di limitare la

crescita della temperatura media globale sulla superficie di oceani e terre emerse ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro il 2100, rispetto ai livelli pre-industriali. Con il tentativo, recita il documento, «di tentare di rimanere il più possibile vicini a 1,5 gradi». Il mondo, insomma, sembra aver preso coscienza degli enormi rischi che la questione climatica pone all’umanità, ed in particolare alle prossime generazioni. Ma

INFO

L’Africa in prima linea contro i cambiamenti climatici Di fronte ai cambiamenti climatici, l’Africa è il continente che rischia di pagare il prezzo più caro, assieme all’Asia e agli Stati insulari. Scorrendo l’indice di vulnerabilità globale stabilito nel 2015 dall’istituto di ricerca Verisk Maplecroft, 7 Paesi su 10 tra i più minacciati sono africani: si tratta di Etiopia, Eritrea, Sudan del Sud, Ciad, Repubblica Centroafricana, Nigeria e Sierra Leone. Se a ciò si aggiunge che il continente, il secondo a livello mondiale per dimensioni e abitanti, ospita 1,2 miliardi di persone, ci si rende facilmente conto della portata dei rischi. Eppure l’Africa contribuisce in modo insignificante alle emissioni di gas ad effetto serra. I 54 Paesi del continente, infatti, non rappresentano più del 3% del totale. Secondo il centro di ricerca GridArendal «per rendere l’idea è sufficiente paragonare le emissioni pro-capite di un cittadino medio africano a quelle di un europeo. Ebbene, quest’ultimo inquina tra 50 e 100 volte di più. Mentre rispetto ad un cittadino degli Stati Uniti si arriva a 100-200 volte di più». Inoltre, gli effetti dei cambiamenti climatici in Africa si stanno già facendo sentire. Un rapporto del Gruppo di esperti intergovernamentale sull’evoluzione del clima ha constatato all’inizio del secolo che l’82% dei ghiacci che ricoprivano il Kilimangiaro nel 1912 è scomparso. Mentre il lago Ciad copre oggi una superficie pari a solamente il 10% rispetto a quella registrata nel 1960. Senza dimenticare il fatto che numerose terre agricole sono fortemente minacciate dagli episodi sempre più duri di siccità. I dati dell’Onu ci dicono che 240 milioni di persone in Africa soffrono la fame. Di qui al 2050, sarà sufficiente un’aumento della temperatura media compreso tra 1,2 e 1,9 gradi centigradi per far sì che il numero di persone malnutrite aumenti del 25% in Africa centrale, del 50% nei Paesi orientali, dell’85% nell’Africa australe, e del 95% negli Stati dell’Ovest.


quali sono i passi in avanti che occorre fare a questo punto? Accordo, cosa resta da fare I governi di quasi tutto il mondo si riuniranno nuovamente per la ventiduesima edizione della Conferenza, la Cop 22, che si terrà a Marrakech, in Marocco, dal 7 al 18 novembre. L’obiettivo dichia-

rato del nuovo summit è quello di rendere operativo il testo approvato a Parigi. Già, perché nonostante l’approvazione arrivata alla fine del 2015, il cammino per concretizzare le politiche anti-cambiamenti climatici è ancora molto lungo. Innanzitutto, il problema è di natura giuridica. L’Accordo di Parigi, infatti, ancora non ha potuto entrare in vigore. Ciò perché, nel momento in cui questo numero di Scarp de’ tenis va in stampa, non è stata raggiunta la quota minima richiesta – pari a 55 Paesi, che rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas ad effetto serra – per poter ratificare il documento. Le

Il cammino per le politiche sul clima è ancora lungo. Non è stata raggiunta la quota minima richiesta – pari a 55 Stati che rappresentino il 55% delle emissioni – per poter ratificare tappe affinché ciascun go- il documento

verno adotti formalmente l’accordo sono infatti tre: la prima, è rappresentata dall’assenso che è stato fornito nel corso della Cop 21. A partire dal mese di aprile, poi, presso il Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite, a New York, è stata aperta la procedura di firma: sin da subito, 175 nazioni hanno dimostrato di voler accelerare i tempi, presentandosi all’appuntamento nel primo giorno disponibile (gli Stati hanno a disposizione un anno di tempo, fino all’aprile del 2017). Altri cinque si sono allineati nei mesi successivi, portando il totale a ben 180: rimangono dunque solamente un pugno di nazioni (tra le quali figura l’Arabia Saudita, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio) a non essersi di fatto mosse dalla fine della Conferenza di Parigi ad oggi. Il terzo ed ultimo passaggio, però, è in alcuni casi anche il più difficile. Si tratta della ratifica del testo, ovvero dell’approvazione dello stesso da parte delle istituzioni nazionali deputate a farlo

(nella maggior parte dei casi, i parlamenti). È qui che i nodi hanno cominciato a venire al pettine: contestualmente al primo giorno di firme, il 22 aprile scorso, solamente una ventina di Paesi hanno anche depositato i documenti necessari per la ratifica. Non stupisce il fatto che, tra questi, figurino alcuni tra i Paesi che saranno più colpiti dai cambiamenti climatici: Fiji, Belize, Maldive, Barbados, Samoa, Palau, Somalia e Tuvalu. Per gli altri i tempi sembrano più lunghi. All’inizio di settembre,

però, c’è stata una svolta positiva: gli Stati Uniti e la Cina, nel corso di un G20 organizzato nella nazione asiatica, hanno consegnato nelle mani del segretario generale dell’Onu, Ban Kimoon, i documenti necessari per avviare la procedura. Si tratta di un passaggio fondamentale, se si tiene conto che si tratta delle due economie responsabili della emissioni di quote più alte di di gas ad effetto serra a livello mondiale, e che tuttavia non ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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VENTUNO basta (vedi articolo in questa pagina, NdR).

Sulla riduzione degli effetti derivanti dal gas serra ci si aspetta, dalla Conferenza di Marrakech, promesse ufficiali dagli Stati che ancora non si sono formalmente espressi

Le promesse ufficiali Ammettendo infatti che l’accordo di Parigi possa diventare operativo prima dell’entrata in vigore della Cop 22, rimane un altro nodo fondamentale da sciogliere. Il più importante: quello degli Indc. Dietro questa sigla (In-

tended Nationally Determined Contributions) si celano le “promesse ufficiali” avanzate dagli Stati in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra. In altre parole, si dovrebbe trattare della trasposizione concreta dell’intendimento di limitare il riscaldamento globale a +2 gradi centigradi. Ebbene, questi impegni erano stati formalizzati prima dell’avvio della Confe-

Accordo di Parigi: l’esempio da Usa e Cina

Le buone pratiche non sono ancora state seguite dagli altri Paesi. Il contatore dice: manca ancora il 16 % dei Paesi che contano 58 Scarp de’ tenis ottobre 2016

renza di Parigi. Il problema è che essi non sono affatto sufficienti per centrare gli obiettivi fissati nella capitale francese: lo stesso governo transalpina aveva infatti spiegato che, sulla loro base, si arriverà a +2,7 gradi (cifra considerata anche ottimistica dalle Ong ambientaliste, che hanno calcolato un livello superiore ai +3 gradi). Il che, secondo gli scienziati, equivarrebbe ad una catastrofe. Nel corso della Cop 22 di Marrakech, dunque, uno dei primi obiettivi dovrà essere quello di rivedere tali Indc. Occorreranno, in altre parole, maggiori sforzi, soprattutto da parte di quelle nazioni che più di altre sono responsabili della dispersione nell’atmosfera di inquinanti nocivi e “climalteranti”.

Il raggiungimento della soglia dei 55 Stati, che rappresentino almeno il 55% delle emissioni globali di gas ad effetto serra, per l’entrata in vigore dell’accordo di Parigi, è ancora lontana. Alla metà di settembre, si sfiora solamente il 40%. La speranza è che il limite minimo possa essere raggiunto entro l’inizio della Cop 22, al fine di garantire ai negoziatori in Marocco una buona base sulla quale partire, anche dal punto di vista politico. Ma la partita è complicata.

Partiamo dagli Stati Uniti, che nel corso del G20 di inizio settembre in Cina, hanno consegnato in pompa magna al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon i documenti per la ratifica dell’accordo di Parigi. Ebbene, con tale atto il presidente Barack Obama ha impresso un’importante accelerazione all’iter, non solo per gli Usa ma anche a livello mondiale.

In blu, nella mappa, i Paesi che hanno già ratificato l’Accordo di Parigi (tra i quali Cina e Usa). In viola i Paesi che hanno sottoscritto gli accordi ma non ancora ratificati. In grigio i Paesi invece disinteressati alle politiche sul clima

Il problema è che l’inquilino della Casa Bianca ha di fatto bypassato il Senato (che difficilmente avrebbe votato il “via libera”, dal momento che la maggioranza è in mano ai repubblicani dopo le elezioni di mid-term). Il rischio concreto è – come già capitato in passato per altri provvedimenti, ad esempio nel caso del Clean Power Act - che alcuni Stati, o alcuni senatori, possano decidere di presentare ricorsi in sede giudiziaria. Il che lascerebbe pendere una pericolosa spada di Damocle sulla ratifica americana.

In ogni caso, anche ammettendo che a Washington tutto fili liscio, a due mesi dall’avvio della Cop 22, decine di Stati non hanno ancora seguito l’esempio di Usa e Cina. Mancano in particolare all’appello Paesi come l’India (che però ha promesso di ratificare il testo entro la fine dell’anno), l’Australia, la Russia, il Canada e il Brasile.


SCHEDA

La partita è complicata. L’esempio di Cina e Usa ancora non è stato seguito dagli altri Paesi “inquinanti” del pianeta, come India, Australia, Russia, Canada

Senza dimenticare il caso dell’Arabia Saudita, uno dei principali produttori di petrolio a livello mondiale, che già nel corso della Cop 21 di Parigi era uno degli ostacoli maggiori per i nego-

ziatori e che, senza sorprese, non ha ancora né ratificato, né firmato il testo dell’accordo. Per ora, il “contatore” indica inoltre che in termini di emissioni globali di CO2, nonostante la presenza di

economie “pesanti” come quelle americana e cinese, si è riusciti a superare solamente di poco la soglia del 39%. Per l’entrata in vigore manca ancora, dunque, un 16%. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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INCONTRI

LABORATORI

AUTOBIOGRAFIE

CALEIDOSCOPIO Una delle tante esibizioni on the road del gruppo milanese dei Tamrida. «L’emozione di suonare in strada è unica»

Tamrida, il bello del suonare in strada Viaggio e musica: ecco le parole chiave dei Tamrida, cinque ventenni di Milano e dintorni che si sono ritrovati, un po’ per gioco, a suonare per strada. Uno dei componenti, Francesco, racconta: «Durante questo primo anno di esibizioni abbiamo scoperto che per strada si crea un rapporto speciale con chi si ferma ad ascoltarti. Un contatto che manca quando si suona da un palco. Il nostro modo di relazionarsi con le persone, è cambiato in positivo». Tamrida significa, in sanscrito, felicità: «L’emozione che tentiamo di trasmettere a chi si ferma per ascoltarci». Ma non solo: è anche il secondo nome del capoluogo di Socotra, isola al largo del Corno d’Africa: «un luogo meraviglioso, costellato da alberi incredibili». Il repertorio del gruppo comprende rock, pop, swing , cover di Coldplay e Radiohead, il reggae di Manu Chao. Tra gli italiani, per ora eseguono Silvestri e Fabi. I brani firmati dalla band sono, invece, di genere pop-rock con influenze funky. I Tamrida hanno da poco pubblicato il loro primo Antonio Vanzillotta CD e sperano di riuscire a diffondere la loro musica nel resto d’Europa. ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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PAROLE

“Tutti i libri di don Antonio”, un racconto nato in biblioteca

La redazione di Scarp Napoli sulla terrazza del Seminario Maggiore che domina la città partenopea

La bellezza del Seminario e della meglio gioventù Prima della pausa estiva siamo andati a trovare, al Seminario Maggiore, due giovani seminaristi Enzo e Vincenzo, che erano passati a trovarci in redazione. *** Quante volte salendo i colli Aminei con l’autobus sbirciando dal finestrino mi domandavo cosa fosse quel palazzo giallo. Mai avrei immaginato che fosse un seminario che di recente abbiamo avuto l’opportunità di visitare, invitati da Enzo e Lorenzo. All’entrata c’è un busto in marmo nero dell’arcivescovo Alessio Ascalesi e appena sotto gli archi un tavolo bianco, di plastica, con una merenda ad accoglierci. A fare gli onori di casa c’era Lorenzo, alto con gli occhiali, capelli biondi e faccia da adolescente, un po’ timido ed Enzo, un tipo alto e robusto, capelli neri e occhi scuri. I nostri amici ci hanno accompagnato a visitare la struttura: prima tappa la biblioteca. Quando ho visto tutti quei libri ho fatto un respiro profondo e l’ossigeno mi arrivato al cervello. Ecco la cultura. È la vita stessa: se non ci fosse noi non ci saremmo. I nostri amici ci hanno poi invitato ad uscire sull’emiciclo a forma di ferro di cavallo e ai nostri occhi si è aperto un paesaggio unico e solare: la cupola del Buon Consiglio, conosciuta come la piccola San Pietro e sullo sfondo una distesa di mare con le sue perle, Sorrento, Ischia e Capri. Poi appena sulla destra, con la sua mole, Castel Sant’Elmo simbolo di potenza e, sotto, il monastero di San Martino. Spostando lo sguardo più a sinistra tra due alberi una vela di cristallo con i suoi riflessi acceca gli occhi: un luogo di una bellezza assoluta che accoglie la facoltà di Teologia dove i ragazzi seguono le lezioni ogni mattina. Il seminario è un luogo di pace dove si respira il silenzio e le anime si ristorano con la parola del Signore. Luciano D’Aniello

62 Scarp de’ tenis ottobre 2016

PAROLE

La serena normalità della vocazione Come nasce in questi giovani la vocazione? I seminaristi hanno trovato un loro equilibrio: pregano, studiano, giocano a calcetto, suonano, vedono le partite del Napoli. Abbiamo cercato di capire anche qualcosa in più dei loro studi: Lorenzo ama la musica sacra, a Enzo invece piacciono Luciano Ligabue e i cantautori italiani. Una vita normale. Con in più una serenità che noi non riusciamo a vivere nemmeno nel più bello dei sogni. La visita al Seminario consente una crescita interiore, un confronto, uno scontro con una realtà tanto diversa ma che fa riflettere. Non esiste un solo modo per intendere la vita. Esiste però l’esigenza di trovare un equilibrio. Questi ragazzi hanno dimostrato di averlo trovato, nobile e definitivo. Giuseppe del Giudice

La biblioteca è il posto che mi è piaciuto di più al Seminario e mi ha ispirato un piccolo racconto. «Non toccate i libri di don Antonio» gridava il garzone del libraio mentre attraversava i vicoli del paese che si presentavano sgombri di persone e cose. Don Antonio era innamorato in un modo profondo della raccolta di libri che custodiva in una camera molto ampia. Selezionati per argomento, numerati ed esposti in un certo ordine, si dilettava ad ammirarli e annusarli, affinché l’odore penetrasse nelle narici, facendolo inebriare. La biblioteca di carattere privato, bella da vedersi, esponeva libri di qualsiasi genere: dai classici ai libri di fiabe. Egli non aveva preferenze in merito agli argomenti, però nei momenti in cui era preso da un’inquietudine inspiegabile, si chiudeva nella piccola biblioteca e subiva una metamorfosi. I vicini si avvicinavano alla finestra e sgomenti osservavano il cambiamento di umore che avveniva. All’improvviso una quiete, una pace interiore si percepiva in quell’ometto di piccola statura, insignificante fisicamente ma di un’intelligenza al di fuori della norma. Sembrava inverosimile ma don Antonio dialogava con i libri facendo discorsi intelligibili. I libri erano delle sentinelle che ascoltavano il messaggio, pronti ad eseguire ciò che avevano appreso. I vicini spiavano, si preoccupavano sorpresi ma poi osservavano che tutto era tranquillo e che don Antonio, con i suoi discorsi, non faceva del male a nessuno. Sergio Gatto


NAPOLI

Oltre il cancello si coltiva la speranza Visita a un luogo sospeso, dove regnano pace e armonia. E la meraviglia di scoprire la “normalità” del quotidiano Questa mattina mi sento contento e leggero, in armonia con gli altri, con me stesso e con il mondo. Anzi, di più: mi sento in armonia con la disarmonia degli altri, con me stesso e con il mondo. La meta della mia uscita è il seminario a Capodimonte. L’attesa per l’autobus non è particolarmente lunga. Meraviglia. Il Seminario, visto da fuori, mi da una sensazione di “mistero”. Mi chiedo: cosa ci sarà in questo posto, a parte i giovani che un giorno diverranno sacerdoti? La mia curiosità è ben presto appagata, il verde cancello si apre senza far rumore. Le piante e gli alberi quasi si toccano, una sorta di inchino forse, dico forse per omaggiare l’ospite. Una luogo sospeso Inizia la visita e la prima porta ad aprirsi è quella della biblioteca, odore cartaceo, libri per di più di teologia ma anche filosofia ed enciclopedie. Qualcuno mi fa notare che alla vista di quei libri i miei occhi brillano. Passo poi nella sala giochi e con Maria mi armo di racchetta per giocare a ping-pong, quindi una partitina a calcio balilla. Ci vuole così poco per tornare ragazzini. Si aprono le altre stanze, l’ambiente è sacrale, ma non si respira aria “bigotta” né di esaltazione religiosa. I seminaristi Lorenzo ed Enzo sono discreti, non ti assillano, ti danno spiegazioni solo se le chiedi. Si sale sul terrazzo, la vista è qualcosa che la parola non può spiegare, ma che gli occhi conserveranno. Si visita la cucina grande, pulita da sembrare mai usata. Splendido il refettorio, in

verità per un momento ho rivisto il luogo dove consumavo dei pasti tanto tempo fa, ma, è bastato vedere tavoli, belle tovaglie, oliere, quadri, ed altro per nascondere la visione del refettorio nel dormitorio. Confesso che per pochi istanti ho patito quel ricordo. Si scende e si arriva alla cappella, grandi tele antiche purtroppo molte senza la firma dell’autore. Infine, la sala conferenze, finestre ed alberi che continuano ad omaggiare, le foglie si toccano e si raccontano. Adesso, mi resta il ricordo dell’ambiente visitato, le stanze, i libri, gli alberi e soprattutto la delicatezza verbale di Lorenzo ed Enzo. Sono certo che un domani diverranno buoni preti, l’ho semplicemente letto nei loro occhi. Vado via, l’autobus è lì che mi aspetta. Da non crederci. Il caldo è solo un’opinione. Aldo Cascella

SOLIDARIETA’

Scatolette, toelettatura, visite e microchip: così gli angeli di strada curano gli amici degli homeless In Italia gli animali di affezione sono circa 60 milioni, di cui 14 milioni sono cani e gatti. Molti di questi hanno come padrone una persona che vive in strada, come Bricioladue, una cuccioletta di color cioccolato e dal collare rosso che ha come cuccia il cofano della macchina di Armando che vive in strada e che si prende cura di lei. La storia di Armando si intreccia con quella dagli Angeli di Strada Villanova, rete di volontari che da quattro anni il lunedì sera distribuisce nella zona Flegrea della città di Napoli pasti caldi, frutta e dessert per persone senza dimora o che non arrivano a fine mese. L’appuntamento del lunedì non si interrompe neanche se cade di ferragosto e, grazie ad un fitta rete di parrocchie, pizzerie, pasticcerie e negozi che donano prodotti da forno e pasti caldi. Da qualche tempo, poi, novità che comincia a “farsi strada” nell’aiuto on the road, distribuiscono croccantini per chi ha con sé un cane. «Sono 12 gli homeless proprietari di cani che incontriamo – racconta il Marcello Ciucci, coordinatore di Angeli di Strada -: in un mese impacchettiamo circa 20 kg di cibo per cani. I croccantini e le scatolette che ci vengono regalati dai negozi di animali». Il gruppo ha in cantiere anche di realizzare delle docce, una barberia ed uno spazio per la toelettatura e il controllo veterinario degli amici a quattro zampe per garantire loro il microchip. Bricioladue ,il cane di Armando, è già munita di microchip e alle sue cure veterinarie provvedono i volontari. Prima di Bricioladue e per ben tredici anni, Armando è stato in compagnia di un'altra cagnolina, Briciola. Quando è morta Armando decise che non avrebbe più preso un cane ma di lì a poco gli si presentò inaspettatamente un musetto identico a quello del suo primo cane tanto da ereditare il suo nome. Per Armando, come per chiunque vive insieme ad un cane, è naturale vedere come l’animale ripaghi ogni gesto di attenzione del padrone. Per le persone senza dimora o a grave rischio di emarginazione i cani sono un’ancora di salvezza poiché evitano che cadano in comportamenti rischiosi e rappresentano un’occasione di socializzazione. Alessandra Peluso ottobre 2016 Scarp de’ tenis

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CALEIDOSCOPIO

La sinfonia del vento Nel freddo più agghiacciante, nella pioggia sussurrante, c’è la sinfonia del vento, musica pesante. Nel tremar delle finestre, nello scrosciar, le foglie degli alberi invecchiati. Un soffio volante, e magia per chi sente. Nera o bianca che essa sia, è magica sinfonia. Io lì ti ho cercato, coperto fino al capo e abbracciato al mio cappotto. Nei mari arrabbiati, nelle nuvole oscuranti, in lampi, fulmini, tempeste deliranti. Solo lì, potevi stare. Perché tu sei, la nota introduttrice del vento. Fabio Schioppa

Piccola Città Io custode dei tuoi notturni torno curvo dal giorno troppo uguale a quello di ieri a quello di domani. Cerco riparo nel tuo ventre, sperando in un po’ di caldo. Mi sento il tuo guardiano e ascolto profondamente. Ci sono i soliti lamenti di ogni notte, purtroppo non cambia… I soliti stridori di gomme, rombi d’auto che passano coi loro destini sopra. Le sirene contrastano il silenzio. Immagino le urla d’aiuto mentre gli ultimi ubriachi lasciano le loro sedi del bar. I tram oramai dormono, aspettando chi li sveglierà. In lontananza il timido fischio di un treno chissà per dove, e io divido i miei sogni coi tuoi, piccola città. Le mie paure con quelle di molte persone. Poi sento il silenzio.E’ tardi, sono stanco e invecchiato, e già schiara l’orizzonte e tra un po’ si ricomincia. Ma sono già stanco. Ivano Frare

Un “rifugio” per i senza dimora: la nuova sfida di don Leonello di Salvatore Couchoud

º Don Leonello Bigelli, sacerdote guanelliano “di frontiera”ha vissuto per quarant’anni con un’idea fissa nella mente: lottare, più che essere, dalla parte degli ultimi. Notissima a Milano per aver fondato nel 2002 e poi diretto la Casa di Gastone, centro di accoglienza per senza dimora munito della virtuosa “specializzazione” addizionale del recupero e reintegro sociale degli alcoolisti, la figura di don Leonello sta diventando familiare anche alla cittadinanza lariana. Dal novembre scorso, infatti, il sacerdote ha inaugurato nella struttura dell’Opera Don Guanella di via Tommaso Grossi uno spazio riservato agli homeless di Como, non a torto e non senza una punta vagamente polemica ribattezzato Il Rifugio, aperto tutti i giorni dalle 14 alle 17 (ma gli orari sono molto più flessibili). «L’idea di intervenire a Como per fornire un servizio simile a quello sperimentato con successo a Milano, anche se almeno per ora non ci occupiamo ancora della questione del recupero degli alcoolisti – spiega don Leonello –è nata dalla necessità di porre rimedio alla grave disfunzione venuta a crearsi con i pakistani e gli afghani che dormivano alla stazione San Giovanni, e che di giorno girovagavano in città senza meta e senza scopo. Risolto il problema più urgen-

Il freddo sta arrivando Autunno: ho più sonno Minestre di verdura, castagne, caffelatte, latte e miele, budini alla vaniglia e al cacao…. Mi rimpinzo bene bene per difendermi dal freddo durante il lungo periodo invernale, vado in letargo come gli orsi e altri animali da pelliccia: mi sveglieranno i primi raggi di sole primaverile e riprenderò la mia vita all’aria aperta nel verde dei boschi montani, curiosa e ghiotta di libertà. Silvia Giavarotti

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te, che era quello di dare ospitalità notturna a queste persone, rimaneva da sciogliere il nodo dell’emergenza diurna». Da qui l’idea del Rifugio , struttura che si affianca al centro diurno della Caritas che, dato i picchi di sovraffollamento in alcuni periodi, aveva senz’altro bisogno di un “puntello” suppletivo. «Questa esperienza rappresenta non un’alternativa, ma un riflesso del lavoro svolto dal Centro Diurno di via Giovio – dice ancora don Leonello –, con cui siamo accomunati dalla frustrazione di non essere in grado di dare risposte alle domande di tantissime persone. A Como nessuno muore di fame perché abbiamo mense in numero sufficiente, ma per troppa gente la notte è, spesso, un incubo. Ed è necessario soprattutto affrontare l’emergenza determinata dall’incremento della componente femminile del popolo dei senza dimora, perché per le donne la vita di strada è anche peggiore, non avendo la possibilità di disporre dei servizi igienici nei momenti opportuni, con le conseguenze che si possono facilmente immaginare. Proprio in questi giorni abbiamo qui a Como una ragazza incinta che dorme per strada. Occorre forse aggiungere altro?». No, non occorre. Quello che serve è invece ripensare e rimodulare le linee strategiche dell’intervento a sostegno dei senza dimora, a Como come altrove.

Rimani Io sono una rondine e rifuggo dal freddo io parto e riparto ma poi torno al mio nido sono bianco e poi nero mi si stancano gli occhi. E richiudo le ali. Tu sei tenera e calda sei di seta e di lana sei rosa e arancione e ti do le mie chiavi. Se si stanca rimani. Bruno Limone


L’intolleranza al glutine è la più famosa e conosciuta, ma solo una persona su 10 presenta qualche tipo di intolleranza

Allergie e intolleranze: solo in pochi ne soffrono di Federico Baglioni

Sono ormai tantissime le persone, e il numero sembra aumentare in maniera esponenziale, a lamentare allergie e intolleranze, soprattutto alimentari, tanto che a volte i termini vengono usati come sinonimi. Le cose stanno però diversamente.

scheda Federico Baglioni Biotecnologo, divulgatore e animatore scientifico, scrive sia su testate di settore (Le Scienze, Oggi Scienza), che su quelle generaliste (Today, Wired, Il Fatto Quotidiano). Ha fatto parte del programma RAI Nautilus ed è coordinatore nazionale del movimento culturale “Italia Unita Per La Scienza”, con il quale organizza eventi contro la disinformazione scientifica.

Vi sarà capitato sicuramente di incontrare persone che dicono di avere intolleranze alimentari, allergie o entrambe le cose. In altre parole stanno male quando mangiano alcuni cibi. Ma intolleranze e allergie sono la stessa cosa? Assolutamente no. Come suggerito dal divulgatore Salvo Di Grazia, sarebbe opportuno parlare genericamente di “reazione avversa ai cibi” quando si verifica un disturbo associato a un cibo. Le allergie alimentari sono reazioni dell’organismo: il sistema immunitario che normalmente ci difende non accetta il cibo ingerito e avvia la produzione di anticorpi, specifi-

che proteine che provocano dal vomito fino allo shock anafilattico. Le intolleranze invece non hanno a che fare con il sistema immunitario, ma sono causate dalla tossicità dell’alimento per alcuni individui, generalmente a causa di un malfunzionamento di qualche proteina che serve a digerire. Circa 3 persone su 4 sostengono di avere allergie o intolleranze, ma coloro che presentano realmente questi disturbi sono 1 su 10 per quanto riguarda le intolleranze alimentari e addirittura 1 su 100 se si considerano le allergie. C’è inoltre la percezione che allergie e intolleranze siano aumentate. Come mai?

SCIENZE

controllato. Uno dei motivi principali è che un tempo i problemi di salute erano enormemente più grandi e l’intolleranza a un particolare cibo non rappresentava il problema principale. Oltretutto una volta la varietà dei cibi nell’alimentazione era bassissima, mentre oggi possiamo disporre di quasi tutti gli alimenti in ogni momento dell’anno, aumentando la probabilità di venire a contatto con un cibo per noi “poco adatto”. Infine, non per importanza, è aumentata la sensibilità al problema: da una parte tante persone tendono a suggestionarsi dando la colpa a un cibo specifico piuttosto che magari a un cattivo stile di vita, dall’altra esistono tanti metodi per diagnosticare intolleranze e allergie. I metodi a dire il vero sono piuttosto pochi e non precisi, motivo che ha fatto proliferare tantissimi test e kit, spesso improvvisati, che non hanno alcun valore e che possono confondere ulteriormente le persone. Mai fidarsi di chi improvvisa In conclusione, se vi state chiedendo se siete allergici o intolleranti, sappiate intanto che sono due cose diverse e che ci sono buone probabilità che il problema sia altrove. In ogni caso, prima di togliere alimenti dalla vostra dieta, magari credendo di “purificarvi” come tanti prodotti promettono di fare, chiedete il parere a persone competenti, senza fidarvi di strani trucchi e rimedi che rischiano solamente di peggiorare la situazione.

Colpa dell’inquinamento Va detto che sicuramente un ambiente inquinato può accentuare problemi di allergia, così come uno stile sedentario e scorretto. Questo però non basta a spiegare questo aumento apparentemente inottobre 2016 Scarp de’ tenis

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Le persone in stato di difficoltà a cui Scarp de’ tenis ha dato lavoro nel 2015 (venditori-disegnatori-collaboratori). In 20 anni di storia ha aiutato oltre 800 persone a ritrovare la propria dignità

IL VENDITORE DEL MESE

Grazie ai soldi guadagnati con Scarp, dopo molto tempo John può chiamare spesso la sua famiglia

John Un sorriso che conquista: «Scarp mi ha cambiato la vita» di Matteo Laudiano

info I venditori di Scarp in capo alla redazione di Milano sono 48. Nella prima metà dell’anno Scarp ha venduto quasi 30mila copie in città e in diocesi, compresi 12 centri di irradiamento dove i venditori sono selezionati dalle Caritas locali

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MILANO

Un sorriso, ancor prima di parlare, e una luce negli occhi che in qualche modo hanno resistito al tempo. Parlando a voce bassa, con tono gentile, John racconta la sua storia. Il suo nome completo è John Atanga Navrongo, nato nel 1985. «Vengo dalla zona di Navrongo, a nord del Ghana – dice indicando un punto sulla cartina –. Il mio è un villaggio popoloso. Anche la mia famiglia è numerosa: ho sette fratelli». A soli 22 anni John è costretto a lasciare il suo paese natale, per via di problemi politici: un aereo lo porta in Libia, dove trova lavoro e una relativa tranquillità. Siamo nel 2007. Ma non è uno dei migliori momenti per rimanere nel Paese nordafricano: Gheddafi è ancora al potere, cadrà solo nel 2011. Dopo appena due mesi, John deve ripartire, questa volta verso l’Italia. Il nuovo viaggio si prospetta decisamente meno confortevole rispetto a quello che lo avevo portato in Africa. John sa di rischiare la vita. I racconti di alcuni amici non lasciano molto spazio all’immaginazione. Ma non ha scelta: i bombardamenti

in Libia diventano sempre più frequenti e non è più possibile rimanere. Il giovane sbarca, sano e salvo, in Sicilia. Da Catania verrà poi indirizzato a Milano. È ottobre, inizia a far freddo. John trova una sistemazione in stazione Centrale, grazie al piano freddo, l’assistenza notturna organizzata dal Comune. Comincia a girare, quindi, fra i vari centri di accoglienza: via Saponaro, via Novara e la parrocchia di San Carlo. Intanto si arrangia con lavoretti temporanei, come quello di lavapiatti. Poi, l’incontro con Scarp de’ tenis: «Mi ha cambiato la vita», dice semplicemente. La vita di John è qui, ora; non ha intenzione di tornare in Ghana. «Il mio sogno? Trovare lavoro come giardiniere e mandare i soldi alla mia mamma in Ghana. Non ci sono ancora riuscito, ma ritenterò appena possibile». Al momento quello di venditore di Scarp è il suo unico impiego. Un lavoro che gli ha permesso di guadagnare abbastanza da realizzare un altro suo desiderio: quello di rimanere in costante contatto, almeno telefonico, con la sua famiglia.




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