Cuore Biancorosso n° 04

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SCUOLA CALCIO Franco Gianangeli: “Che soddisfazione veder crescere questi ragazzi”

N° 4 - 18 Ottobre 2015

BATTICUORE Maceratese-Massese Quel lungo inverno del ’69

“Dura solo un attimo, la gloria” l’autobiografia del grande Dino Zoff

Daniel Vorrei essere più cattivo per fare più goal

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C.SO CAVOUR - MACERATA



editoriale

CARO AMICO, TI SCRIVO... OMAGGIO A BRUNO BATTISTA

È

ormai trascorso più di un mese da quando il nostro amico Bruno ci ha lasciati. Tuttavia, girando per la città, mi capita ancora di vedere i suoi manifesti funebri. Ci siamo incontrati spesso negli ultimi di tempi e, nonostante i segni evidenti della malattia, Bruno raccontava Massimo con l’entusiasmo di sempre il suo calcio, i suoi ragazzi, i suoi progetti. CLEMENTONI Puntualmente chiedeva della sua amatissima Rata e, come sempre, era prodigo di consigli e suggerimenti. Fu proprio lui, tanti anni fa, a coinvolgermi in questo progetto. Posso dire che, se oggi sono il team manager della Maceratese tornata nel calcio professionistico, lo debbo alla sua smisurata passione, al suo inesauribile entusiasmo, al suo immenso amore nei confronti della città e del calcio cittadino. Prima nella Polisportiva Macerata 90, dove ebbi la fortuna di conoscere un altro grande uomo come Massimiliano Barboni, poi nella Maceratese verso la quale fui letteralmente spinto da Bruno. Quanti anni sono passati da allora. Sempre al suo fianco nelle giovanili biancorosse, accanto a questo grande maestro che è stato, oltre che un tecnico bravissimo, un uomo in grado di fare ogni cosa all’interno di una società calcistica. Competenza, capacità organizzative, idee, carisma e, soprattutto, una immensa passione. Quanti tornei Velox organizzati insieme. Quante nottate vissute a preparare, allestire, organizzare al meglio questa importante manifestazione calcistica giovanile che ha dato a tutti – soprattutto ai giovani calciatori – enormi soddisfazioni. Con pochissimi mezzi abbiamo messo i ragazzi nelle migliori condizioni possibili per farli giocare al calcio, farli divertire, farli crescere. Poi, come spesso accade nel mondo del calcio, le nostre strade si sono divise. Ma la nostra amicizia, la fiducia reciproca, la sua competenza mi hanno sistematicamente indirizzato verso scelte a volte difficili ma sempre vincenti: Bruno Battista è sempre stato per me più di un amico, un vero fratello sempre in grado di suggerirmi la soluzione di fronte ad ogni ostacolo. Mi mancherai caro Bruno, mancherai a tutti coloro che amano questo sport, a tutti coloro per il quale sei stato un riferimento sicuro ed affidabile. Di certo avrò ancora bisogno del tuo aiuto e magari cercherò ancora di romperti l’anima perché, come ti dicevo sempre, se sono qui, è tutta colpa tua!

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DANIEL La cattiveria?

Può essere una virtù

Lo vediamo correre, spingere, segnare, colpire di testa. Ma in elegante camicia bianca e pantaloni blu, non l’avevamo ancora mai visto. Incontro con il super attaccante della Maceratese che vorrebbe diventare più cattivo per fare ancora più goal. E a noi consiglia di vedere un film… di Nazzarena Luchetti 4


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uando s’incontra Daniel Kouko, ivoriano, 25 anni, si percepisce una timidezza profonda e quell’umiltà che caratterizza le grandi persone. Non è uno che parla molto e lo fa con cautela quasi con pudore. L’abbiamo convinto ad accantonare jeans e maglietta nera per posare con un nuovo look. “Mai vestito così se non alle feste di matrimonio”, rivela. E quando incomincia a prenderci gusto decidiamo di parlare poco di calcio, tema su cui viene assillato da tutti, e molto di altro.

Daniel bel cambiamento. E’ bastata una camicia per trasformarti in modello “Fare il modello non mi si addice. Però mica male…” (si guarda allo specchio compiaciuto). Solo che non è che puoi andare tutti i giorni vestito così. Mi sento più tranquillo con jeans, tuta e scarpe da ginnastica”. Però così chic potresti essere invincibile anche con le donne “Non lo so. Per adesso sono solo. Si vede che non sono così invincibile”. Non hai una fidanzata? “Ce l’avevo, ma è finita da poco”. Che cosa cerchi in una donna? “Che mi sappia prendere e mi accetti per quello che sono. Una donna tranquilla, capace di darmi serenità”. Da quanto il calcio fa parte della tua vita? “Da sempre. Ho iniziato a 10 anni, in Costa D’Avorio, sulle strade della mia città. Poi mio padre mi ha fatto venire in Italia per giocare a livelli più importanti. Mi ritengo fortunato, non è facile giocare nei professionisti, soprattutto se sei extracomunitario”. Soddisfatto della squadra attuale? “Sì. Anche se qualche differenza c’è. 5


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Non basta giocare bene. Vicino alla porta bisogna essere più duri

Lo scorso anno c’erano ragazzi un po’ più giovani. La squadra attuale è formata da giocatori più esperti, più grandi che hanno magari una famiglia quindi è difficile uscire insieme. Forse l’anno scorso facevamo più gruppo proprio perché eravamo più giovani. Sono molto attaccato agli amici e il distacco un po’ l’ho sofferto. Indubbiamente a livello tecnico la squadra è migliorata perché c’è gente di categoria. Abbiamo un buon capitano: Faisca è un’ottima persona, ci incoraggia a fare sempre meglio”. Con Ganci e Fioretti come ti trovi? “Sono bravissimi. Non nego che quando la Presidente decise di rinnovare la squadra, la mancata riconferma dell’attaccante D’Antoni un po’ di dispiacere me lo ha provocato. La stimo

molto, comunque, soprattutto per il grande impegno. Non è facile fare quello che fa”. E il rapporto con il Mister? “Diciamo che adesso mi apprezza (lo dice sorridendo). Non pensava che potessi arrivare a giocare come sto facendo ora. Solo alla fine del ritiro mi ha fatto capire che potevo stare bene in questa categoria”. Qualcuno dice che potresti andar bene anche per una categoria superiore… “E’ il sogno di tutti arrivare ai massimi livelli nella propria professione. Per ora mi trovo benissimo nella Maceratese. Sia nella società che nella città”. Qual’ è la squadra del nostro Campionato che temi di più? “Indubbiamente la S.P.A.L. Ha vinto tutto, è forte. Per noi, comunque è fondamentale accumulare subito un po’ di punti, così stiamo un po’ più tranquilli”. La squadra di serie A che apprezzi? “Ho sempre fatto il tifo per la Fiorentina. Fin da piccolo, andavamo con gli amici allo stadio: non ci perdevamo una partita”. Un fenomeno nel calcio? “Mi piace molto Borja Valero. E’ incredibile come non perda mai una palla. Difficile essere come lui e arrivare a quel livello”. A parte il talento, che altro occorre per arrivare a quel livello? “Tanto allenamento, molta serenità e umiltà. E in campo un po’ di cattiveria, soprattutto davanti alla porta. Una qualità che a me, per ora, manca. Dovrò lavorare anche su questo”. La qualità che invece non ti manca ? “Non mollo mai. E poi sono generoso e molto altruista. Se qualcuno ha bisogno, io ci sono sempre”.

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Il peggior difetto? “Sono un pò menefreghista, molte cose mi lasciano indifferente. E anche permaloso. Una storia che ti ha commosso? “Il sapore della vittoria”, un film con Denzel Washington. E’ la storia vera di una squadra di football americano degli anni ’70. Un film contro il razzismo: un allenatore di colore riesce a costruire una squadra formata da giocatori bianchi e neri e portarla alla vittoria. Uniti si vince sempre. Un bel film, fa riflettere. L’ultima volta che ti sei emozionato Per un evento familiare. I miei si sono separati quando avevo 5 anni e si sono entrambi rifatti una famiglia. Siamo partiti dalla Costa D’Avorio e ho seguito mio padre a Firenze per andare a vivere con la sua nuova compagna e i miei fratelli (Daniel ha tre fratelli, di cui uno calciatore nella serie D e un altro atleta). Mia madre è rimasta a vivere in Costa D’Avorio e avevamo perso i contatti. Così poco tempo fa mio padre

Chi è Daniel Kouko Nato a Abidjan (Costa d’Avorio) il 28 dicembre 1989. Ha esordito nella serie D italiana nella stagione 2008/2009 con la maglia del Montevarchi, realizzando 9 reti. Successivamente si è trasferito al Città di Castello, al Fiesole-Caldine e allo Scandicci prima di approdare alla Maceratese la scorsa stagione. Con la maglia biancorossa ha disputato 30 partite e realizzato 14 reti, risultando il capocannoniere della squadra degli “invincibili” del 2014/2015.

è ritornato là, è riuscito a rintracciarla e a farsi dare il suo numero di telefono. Quando l’ho sentita, dopo tanto tempo, è stata un’ emozione forte, un piacere immenso. Se non avessi giocato a calcio? Forse avrei fatto l’architetto. Mi piace disegnare, a scuola ero bravo. Poco tempo fa ho accompagnato a Berna un mio amico, che gioca nella Young Boys svizzera. E’ una città bellissima, pulitissima con le case tutte ordinate: un’architettura meravigliosa. Daniel Kouko indossa abiti di Bulli e Pupe store, Corso Cavour, Macerata.

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7A GIORNATA Domenica 18 Ottobre 2015 ore 14.30

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opo aver assaporato la gioia della serie cadetta per la prima volta nella sua storia, il Teramo calcio è stato dapprima retrocesso in serie D poi, grazie alla sentenza di secondo grado della Corte d’Appello Federale della FIGC, definitivamente riammesso in Lega Pro con sei punti di penalizzazione. La parabola vincente del Teramo ha inizio dopo il fallimento avvenuto nel 2008 e la conseguente radiazione dalla serie C2: trascinati dai gol dell’indimenticato ex biancorosso Mario Orta, i “diavoli” stravincono il campionato di Promozione e, nella stagione successiva, anche quello di Eccellenza. La permanenza in serie D dura solamente due anni perché il Teramo è protagonista nel girone F del campionato 2011/2012, vinto dopo un testa a testa con Sambenedettese e Ancona. Conquistata l’ammissione alla nuova Lega Pro unica grazie al 3° posto della stagione 2013/2014, l’anno dopo il Teramo sorprende tutti e, grazie ai gol della coppia Lapadula-Donnarumma (44 segnature in due), vince il campionato con un turno di anticipo e approda in serie B. La gioia dei tifosi teramani si spegne quasi subito: una intercettazione telefonica, infatti, mette in luce una combine organizzata prima della trasferta di Savona dove il Teramo si era assicurato i tre punti necessari per vincere matematicamente il campionato.

IVAN SPERANZA

TERAMO CALCIO 1913

GIUSEPPE LE NOCI attaccante

LA ROSA PORTIERI: Alessandro Tonti (1992), Davide Narduzzo (1994), Alfredo Cannella (1998). DIFENSORI: Errico Altobello (1990), Simone Brugaletta (1994), Nebil Caidi (1988), Luca Cecchini (1993), Tommaso D’Orazio (1990), Marco Perrotta (1994), Stefano Scipioni (1987), Ivan Speranza (1985), Davide Vitturini (1997). CENTROCAMPISTI: Stefano Amadio (1989), Simone Calvano (1993), Diego Cenciarelli (1992), Alessandro Dipaolantonio (1992), Matteo Loreti (1994), Antonio Palma (1994), Lorenzo Paolucci (1996). ATTACCANTI: Victor Da Silva (1995), Giuseppe Le Noci (1982), Simone Monni (1996), Stefano Moreo (1993), Mirko Petrella (1993). ALLENATORE: Vincenzo Vivarini

L'opinione di Giulio Spadoni L’ossatura della squadra è costituita da quei 7/8 giocatori che lo scorso anno hanno vinto il campionato di Lega Pro per cui la società ha lanciato un forte segnale di continuità. Dal portiere Tonti al difensore Speranza, al centrocampista Amadio, il potenziale è veramente notevole. Manca la coppia d‘attacco che era veramente fortissima tanto che sia Lapadula che Donnarumma stanno facendo bene anche in serie B, ma chi è stato chiamato a sostituirli è sicuramente

all’altezza: ad eccezione di Le Noci che è un veterano della categoria, gli altri attaccanti sono molto giovani ma di sicuro avvenire. Ovviamente il TERAMO in questa fase sta pagando pesantemente la partenza ritardata causata dall’incertezza relativa a quale campionato avrebbe disputato e, di conseguenza, questo primo scorcio di campionato è ancora in chiaroscuro ma sono convinto che, nel corso della stagione, sarà tra le protagoniste nella parte alta della classifica.

difensore

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scuola calcio Sicurezza, istituzioni, società e il significato vero della partita

Se un bambino ci fa ritrovare il buon senso P

di Nazzarena Luchetti

artita del 10 ottobre Ancona – Maceratese: sofferta, avvincente e di carattere. Al fischio dell’arbitro per la fine del match, ci alziamo dai nostri posti in tribuna esultando per il pareggio ottenuto. Un bambino si dirige verso la presidente Tardella, si ferma davanti a lei, le stringe la mano dicendole: “Complimenti presidente, bellissima partita”. Ecco, in questo gesto, in queste quattro parole c’è tutta la bellezza del calcio, la sua spettacolarizzazione, il suo valore educativo, al netto di tutti i vari filoni di inchieste che lo coinvolgono, delle aste per i diritti tv “turbate”, delle società che non fanno buon uso dei loro soldi o delle dubbie operazioni finanziarie per abbellirne i bilanci. Ma i bambini queste cose non le sanno. Loro sono innamorati del calcio vero, quello che diverte, che ti prepara alla vita senza corromperti. Per questo le parole del bimbo meritano un’analisi. “Complimenti”: un’espressione carezzevole e di affetto nei confronti di chi investe tempo, energia, soldi per creare più valori e opportunità di lavoro e divertimento. Congratularsi con chi si assume la responsabilità, riconoscendo che le cose ben fatte sono il frutto di un duro lavoro a vantaggio di tutta la collettività, è quasi un dovere. Non solo, gli apprezzamenti spesso aiutano a sopperire alla mancanza di interventi economici istituzionali, ai ritardi burocratici a qualche striscia sul campo non troppo evidente prima di una partita. Spiace dirlo, purtroppo la città dimostra poco apprezzamento nei confronti di una realtà sportiva che è riuscita a conseguire grandi risultati in così poco tempo: non si spiegherebbe altrimenti il mancato buon gusto per non aver invitato, ad un festival sportivo come l’Overtime, la presidente di una delle più importanti società di calcio della Regione. Senza nessuna pretesa di persuadere qualcuno, certe circostanze richiedono il dovere di comportamenti appropriati. Ritorniamo all’analisi. “Presidente”: una carica che richiede responsabilità e coraggio, non facile per tanti motivi tra cui quello di fare scelte impopolari ma necessarie. Un presidente che sappia parlare con tutti: tifosi, sicurezza, istituzioni. “Bellissima”: perché la verità è che il calcio, nonostante tutto, è lo sport più popolare, praticato e ammirato del mondo, che fa battere il cuore come pochi altri. Che poi

non sia anche, o non più, moralmente ammirevole è altra storia. “Partita”: nel suo significato più vero: una competizione che genera divertimento collettivo e non una partita “commerciale oggetto solo di contrattazione”. Ecco perché un bambino ci riporta al valore del calcio che è pur sempre un gioco ma richiede atteggiamenti appropriati. L’unico criterio di valutazione rimane il buon senso, che è qualcosa di cui tutti siamo dotati, anche se a volte sembra scarseggiare. Non richiede molte riflessioni, ma di usarlo quando necessario come unica risposta in tutte quelle situazioni che aiutano a semplificare la vita e a renderla più scorrevole. Un esempio è quanto sta accadendo allo stadio ogni volta che si gioca in casa: un continuo rimpallo di critiche e competenze tra gli addetti alla sicurezza, che lamentano la scarsa collaborazione dei tifosi, dei tifosi, che accusano la sicurezza di eccessivo rigore, delle Istituzioni e dei vertici della Lega che rimproverano di non applicare alla lettera le leggi. E così succede che, per scongiurare episodi di calcio violento, non si faccia prevenzione, ma una vera e propria mutilazione della parte più autentica del calcio che è quella di andare a vedere semplicemente una partita allo stadio. Con il rischio che alla fine rimangano solo i controllori a controllarsi tra di loro. Ognuno con le proprie ragioni e le proprie repliche. Con buona pace di nessuno e lo scontento di tutti. Beninteso che una dura legge è sempre meglio dell’assenza di regole, l’invito, accorato, è quello di usare il buon senso che, probabilmente, tutti hanno ma, come diceva il Manzoni “se ne sta nascosto per paura del senso comune”.

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La scuola dei piccoli calciatori L’allenatore Gianangeli: “Vedere la crescita di questi ragazzi è motivo di grande soddisfazione”.

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rocedono con entusiasmo le attività della scuola calcio della Maceratese che in queste settimane ha realizzato una serie di iniziative come l’incontro con la psicologa dello sport Barbara Rossi che ha il compito di affiancare gli allenatori nella formazione degli allievi da un punto di vista psicologico e relazionale. Successivamente gli incontri coinvolgeranno anche i genitori per analizzare le varie dinamiche della formazione. Entro il mese di ottobre ci sarà anche un incontro con l’allenatore della prima squadra Cristian Bucchi, un confronto tecnico per comprendere e migliorare le capacità tattiche e motorie, con l’obiettivo di elevare lo standard qualitativo. Infine, con l’inizio del nuovo anno, verrà affiancata, a quelle esistenti, una nuova figura, quella del nutrizionista per far capire ai giovani allievi l’importanza di una sana alimentazione. “Alla base di tutto c’è un grande entusiasmo”, dice Franco Gianangeli, “Andare in campo sempre col sorriso e divertendosi: questo è il consiglio che rivolgo anche agli altri allenatori perché prima di essere dei bravi tecnici devono essere degli educatori”. La società quest’anno ha registrato un boom di iscritti con oltre 450 allievi, compresi quelli del settore giovanile. “Merito della forza trainante della prima squadra ma anche dell’organizzazione che funziona”. “Il vivaio promette bene: Piccoli amici e Primi calci stanno svolgendo attività formative, Pulcini ed Esordienti conducono attività che li vedono primeggiare, nonostante affrontino gare con squadre avversarie al limite di età”, spiega Gianangeli che conclude, “il percorso formativo fa in modo che a prevalere siano soprattutto il divertimento e la passione e non il risultato a tutti i costi”. Per quello, infatti, c’è tutta la vita davanti. Chi è Franco Gianangeli 43 anni di San Paolo di Jesi, è allenatore e responsabile del settore giovanile della Maceratese. In passato ha allenato, tra le altre, la Reggiana e il Taranto e prime squadre come Vigor Senigallia. E’ la sua prima stagione nella Maceratese calcio. 14


scuola calcio

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L’arbitro Canova, lo scippo Maceratese - Massese e la furia dei tifosi biancorossi

IL LUNGO INVERNO DEL ’69

Alberto Prenna 18


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di Alessandro Savi

l campionato di serie C girone B 1968/69 segna la retrocessione in D della Maceratese dopo i fasti dell’anno precedente, contrassegnato dalla mancata promozione nella serie cadetta. Nel 1970 i biancorossi conquisteranno nuovamente la terza serie calcistica, ma la tribolatissima stagione 68/69 merita di essere raccontata perché è proprio nel corso di quel campionato che lo stadio Helvia Recina ha subito una esemplare squalifica di ben sette giornate. Tale provvedimento risale ai fatti del 19 gennaio del 1969 quando, di fronte a 4000 spettatori, si sfidavano Maceratese e Massese. Protagonista assoluto dell’incontro era l’arbitro, il signor Canova di Milano: un nome che ogni sportivo biancorosso ricorderà a lungo. Al 27° del primo tempo i toscani passavano in vantaggio con Colombo che calciava direttamente a rete un calcio di punizione di seconda: Canova incredibilmente convalidava il gol. Da quel momento in poi la partita si connotava come un assedio incessante dei biancorossi allenati da Sergio Morresi alla ricerca di un pareggio che sarebbe stato meritatissimo. Al 15° della ripresa un tiro-cross di Zimerle, ribattuto dal portiere apuano Trevisan, finiva proprio sui piedi di Attili che doveva solamente spingere il pallone in rete. Trevisan, ormai battuto, afferrava entrambi i piedi del biancorosso che finiva a terra per il più sacrosanto dei calci di rigore: Canova, incredibilmente, faceva segno di proseguire. Alberto Prenna, bandiera di quella maceratese, conserva ancora un ricordo nitido di quel giorno nonostante sia trascorso quasi mezzo secolo: “Per me fu una giornata particolare perché avevo giocato a Massa Carrara qualche tempo prima, dunque sentivo la partita con forte intensità. Quel rigore non fischiato lo vivemmo come un incubo, era nettissimo ma l’arbitro non lo vide proprio”. A fine gara alcuni tifosi si resero protagonisti di un comportamento antisportivo che il giornalista Alberto Girolami definì come “profondamente lesivo nei confronti della proverbiale reputazione di sportività e di accondiscendenza ad ogni sopruso arbitrale del tranquillissimo pubblico maceratese”; al triplice fischio, infatti, un gruppo di spettatori riuscì ad abbattere la rete di recinzione e ad aggredire l’arbitro che evitò il pestaggio solo grazie alla strenua difesa delle forze dell’ordine e, soprattutto, dei dirigenti e giocatori biancorossi. Tra questi, Alberto Prenna che protesse Canova come un vero e proprio scudo umano: “Venne giù la rete della gradinata e fu un gran parapiglia. Ricordo bene che corsi verso l’arbitro per proteggerlo e accompagnarlo nel tunnel che conduce agli spogliatoi. Ricordo di aver preso diversi pugni alla schiena da parte di coloro che volevano colpirlo. Alla fine mi ringraziò”. Canova rimase assediato nel suo spogliatoio fino a tarda sera e riuscì ad evitare la folla inferocita uscendo travestito da agente di polizia. Molti anni più tardi, Prenna e Canova si sono incontrati di nuovo: “E’ accaduto circa quindici anni fa a Milano, nel periodo in cui lavoravo per il Milan. Fu proprio un dirigente dei rossoneri a presentarci. Lui mi riconobbe subito liquidando l’episodio con un lapidario “sono cose che capitano”. Non mi pare fece una gran carriera come arbitro e smise poco dopo i fatti di Macerata”. La Maceratese uscì a pezzi da quella partita. Il campo venne infatti squalificato fino al 30 aprile e la squadra fu costretta a cambiare stadio ogni domenica fino al 4 maggio. Il mancato incasso fu di circa venti milioni di lire, un danno economico importante per una società già provata dai tanti debiti accumulati.

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La formazione della Maceratese: Capponi, Ciappelloni, Fammilume, Prenna, Attili, Olivieri, Caposciutti, Peronace, Cittadini, Ciarlini, Zimerle. Allenatore: Morresi.

Al centro, Alberto Prenna prima della partita Maceratese-Massese

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In trasferta

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8A GIORNATA SIENA domenica 25 ottobre, ore 17,30

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Mi parla Siena. E mi commuove E quanto somiglia Macerata alla città del Palio

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pur mi commuove. E con Mario Luzi, pensandoci, sento che “mi parla Siena”. Scusate confratelli di colori calcistici se ritrovandoci in Piazza del Campo a rimirar la torre del Mangia, il palazzo civico che contiene quel fresco di assoluta bellezza e di altrettanto assoluto monito che sono l’allegoria del buono e del cattivo governo pittato da Ambrogio Lorenzetti, la Fonte Gaia mi viene un moto di remota appartenenza. Siena è un’ostrica che contiene perle di assoluta bellezza, impenetrabile ai più che non abbian sangue indigeno. Come imperscrutabili sono le ragioni del Palio a chi non sia nato in contrada o ne sia stato adottato. Siena esiste in una sua doppiezza: ha un’apparenza splendente che sono le sue tante, addirittura troppe, dotazioni d’arte che l’hanno fatta qualificare patrimonio mondiale dall’Unesco (questa piccola provincia conta altri tre siti Unesco: Pienza, San Gimignano e la Val d’Orcia: un primato mondiale!) e un suo animo vagamente cupo, quasi trasognato che comprender nol può chi nol pruova per dirla con Dante. In questo è somigliante a Macerata, che appare accogliente e poi è resistente, che è esplicita nel bello quanto ascosa nell’animo. Ma le similitudini potrebbero andar oltre. Una la propone la cronaca: pensate alla mesta rabbia senese per le vicende del Monte dei Paschi, la grande mamma di tutto ciò che Siena è stata negli ultimi sei secoli, e a quelle non dissimili di Banca Marche. Pensate alla storia. C’è un gemellaggio ultracentenario tra Siena e San Ginesio dacché 300 esuli ginesini, sostenitori dei Da Varano e i papisti con carità cristiana li cacciarono, a metà del ‘400 trovarono rifugio nell’allora fiera Repubblica della Balzana. A ricordo di ciò il Sindaco di Siena è cittadino onorario di San Ginesio. Ma lungo sarebbe l’elenco dei motivi di comunanza. Vi devo far da Cicerone tra tanto bello. Venendo dallo stadio imbocchiamo via dei Banchi Nuovi e ci troviamo di fronte alla maestà di Rocca Salimbeni e ancora più avanti, osservata la sede dell’Accademia Chigiana, ecco piazza del Campo. Lasciata sulla sinistra si prosegue per arrivare in piazza del Duomo. E’ quella chiesa un capolavoro assoluto, imperdibili sono il museo diocesano e soprattutto il Santa Maria della Scala, il fu spedale oggi immenso museo e istituzione culturale tra le più prestigiose d’Europa. Lì vicino per i fedeli c’è la casa di Santa Caterina. Tanto altro di bello c’è da vedere ma le righe qui sono poche. E allora mettiamoci a tavola.

Duomo

L’anima senese pulsa nel minuscolo Grattacielo un bar a vin ante litteram in via Pontani 8 (tel 334 6311458) dove avrete pici, Chianti, crostini e folklore a profusione. Ottima tavola li vicino è invece l’Osteria dei Terzi in via dei Termini dove tutta la città s’incontra (0577 44329) con straordinaria enoteca e altrettanto toscanissimo menù. Terza tappa del godimento l’Osteria Le Logge dalla parte di là di piazza del Campo in via del Porione 33 (0577 48013) per un tuffo nella Siena al ragù.

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l’altro sport

Passaggi di palla. DAL CALCIO AL TENNIS a cura di Giovanni Cioverchia e Carlo Capodaglio

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ono molti i personaggi approdati al tennis da altri sport, in particolare dal calcio, che, sfruttando le notevoli doti fisiche, sostituivano spesso una tecnica non eccezionale. Uno dei primi fu Ruggero Trillini, proveniente da una famiglia che dette numerosi atleti al calcio e per molti anni presidente dell’Associazione tennis ed uno dei principali promotori della realizzazione dei nuovi campi, prima di via Dante e poi di via dei Velini. Non molto alto di statura, aveva due gambe che costituivano un motore instancabile, consentendogli di giocare a tutto campo, con una tecnica modesta, ma con un’energia agonistica pressoché inesauribile. Questo gli consentiva di giocare ad armi pari con giocatori tecnicamente più dotati, a quali riusciva a ribattere colpo su colpo, rimandando la palla “molle”, difficilmente giocabile, nel campo avversario. Famoso resta un suo incontro con un toscano, classificato ai vertici della III categoria e tra i favoriti per il titolo nazionale. Il rimandare tutte le palle di Ruggero mandò letteralmente fuori di testa l’avversario che, ad ogni campo di campo, si sedeva coprendosi la testa

con un asciugamano inzuppato d’acqua e ripeteva sconsolato: “Ma come faccio a perdere da uno che gioca così?” Ma Ruggero era uno sportivo vero, leale e generoso, e questo è un episodio emblematico. In un incontro con il CT Fano, che valeva per il Campionato italiano a squadre, Macerata perse i primi due singolari, ma vinse gli altri due, portandosi con fatica in parità; i due doppi furono vinti uno per ciascuno, portando il risultato sul 3-3, con conseguente necessità del doppio supplementare di spareggio. Con alterne vicende si arrivò alla terza partita finale e sul punteggio di 5/4 40-30 per i fanesi, la palla colpì il terreno in prossimità della riga e l’arbitro esplose in un sonoro NO. Era il punto che avrebbe assegnato la partita, lo spareggio e quindi tutto l’incontro ai fanesi! Ruggero si avvicinò al punto d’impatto della palla e, senza esitazioni, affermò che la palla era buona, consegnando così la vittoria agli avversari. Un altro personaggio proveniente dal calcio era Giusto Concetti, autodidatta del tennis sul battimuro dei salesiani, dotato di colpi tecnicamente discutibili, ma di un’efficacia devastante, soprattut-

to il dritto, che spesso in doppio andava a giocare dalla parte opposta del campo, tagliando così fuori il suo compagno. Vincitore per cinque anni consecutivi del titolo di campione italiano dei vigili urbani, riuscì a strappare una partita a Tonino Zugarelli, nel torneo internazionale Trofeo “Città di Macerata” del 1972, prima che Tonino (che avrebbe poi vinto il torneo) si rendesse conto che non era proprio il caso di scherzare, iniziando a giocare con la dovuta concentrazione. Di lui resta famoso un episodio relativo ad un incontro della Coppa Facchinetti, che lo vedeva opposto ad un più quotato giocatore di un noto circolo napoletano. Si recarono a giocare sul campo n. 2 di via Dante, adiacente alla pista di pattinaggio, il più lontano dalla sede del circolo. Tornarono poco dopo e a chi chiedeva perché non avessero giocato, il napoletano rispondeva mestamente che il palleggio preliminare era consistito in un pallonetto, una schiacciata ed una palla corta, poi Giusto aveva chiesto: “Batto?” e l’avversario si era trovato sconfitto con un punteggio (6/1 6/1) prima ancora di capire che cosa gli stesse succedendo.

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l’altro sport

Il Tai Chi Chuan, la suprema arte di combattimento

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arlare di sport nel Bel Paese equivale a parlare innanzitutto di calcio. Ma è sempre bene, tuttavia, non trascurare la presenza più silenziosa, ma per questo non meno significativa, di una moltitudine di altre attività sportive o para-sportive che operano da tempo nel nostro tessuto sociale, coinvolgendo un numero non esiguo di praticanti. Tra queste un ruolo singolare è rivestito dalle discipline tradizionali cinesi. Si tratta di un mondo piuttosto variegato e frammentato, ancora non organizzato in una vera e propria federazione, ma che coinvolge un numero progressivamente crescente di praticanti di tutte le età e rivela, a ben vedere, un interesse ben più ampio, profondo e articolato nei confronti del pensiero orientale. Circoscrivendo la questione in maniera drastica, e sorvolando del tutto il tema del rapporto tra l’Oriente e l’Occidente, la nostra attenzione si rivolgerà in particolare a quell’insieme ben strutturato di tecniche psicofisiche che va sotto il nome di Tai Chi Chuan (secondo la trascrizione pinyn: Tàijíquán). Il Tai Chi Chuan (太極 拳) o boxe della suprema polarità è un’arte marziale interna che, in quanto tale, è un aspetto particolare del Kung Fu (secondo la trascrizione pinyin: Gong Fu). Il termine kung ha molti significati. E’ l’equivalente dei termini cinesi gong 功 “lavoro” e fu 夫, “abilità”, “destrezza”, ed indica, dunque, una particolare maestria raggiunta attraverso un grande e costante impegno. In questo senso il termine non fa quindi necessariamente riferimento al contesto marziale, ma è riferibile anche all’attività di un pittore, di un musicista o di un artigiano, in quanto l’eccellenza della loro opera è raggiungibile soltanto attraverso l’affinamento della tecnica, dunque soltanto attraverso il “duro lavoro”. Tuttavia, come già accennato, correntemente si usa il termine Kung Fu per definire l’insieme delle arti marziali cinesi sia Interne che Esterne. Gli elementi, che sono comunque comuni in questa partizione, sono il fondamento, anche se in diversa misura, nella Medicina Tradizionale Cinese, nella visione del mondo del Buddhismo, in quella del Confucianesimo ed infine in quella Taoismo. La condivisione dell’idea che il fine ultimo della pratica è il benessere psico-fisico, l’equilibrio del corpo con la mente e dell’individuo con gli altri esseri e con l’ambiente circostante. Infine l’esistenza di un percorso progressivo e disciplinato di pratica atto a conseguire questo scopo. L’elemento che ne scandisce la diversità invece, anche se poi la questione è molto più articolata, è il differente accento posto sull’aspetto marziale, di arte della difesa, e

su quello salutistico. Il primo più evidente nelle arti Esterne, il secondo preponderante in quelle Interne. Questo sbilanciamento ha orientato progressivamente, anche se non esclusivamente, il Tai Chi Chuan,e le arti marziali Interne, verso lo sviluppo privilegiato dell’aspetto legato alla cura della salute e alla prevenzione delle malattie. Ed è proprio in questa accezione che, soprattutto, il Tai Chi Chuan si è radicato in occidente. L’attenuarsi della componente marziale, infatti, lo ha reso disponibile e adatto a praticanti di ogni età e ha gettato, di fatto, le basi per una sua ampia

diffusione. Sono molti gli stili di tai chi chuan praticati oggi nel mondo ma, i più importanti, sono fondamentalmente cinque: lo Stile Chen, lo stile Yang, lo stile Sun, lo stile Wu e lo stile W’u. Al di là delle differenze specifiche tutti sono accomunati dai fondamenti teorico-culturali precedentemente menzionati, e da quelli che si potrebbero definire i capisaldi della pratica che si risolvono, in sintesi, nella cura dell’assetto posturale, nel controllo della respirazione ed infine nella focalizzazione della mente sull’azione. L’esecuzione delle forme, cioè di sequenze codificate di movimenti, in cui in sostanza si risolve la pratica del tai chi chuan, ha lo scopo di lavorare in maniera armonica progressiva e sinergica su questi elementi al fine di sciogliere le tensioni e far circolare quell’energia vitale che i cinesi chiamano Qi. I fluidi, lenti e ritmici movimenti che si accompagnano a continui e alternati spostamenti e piegamenti del peso corporeo danno luogo ad una sorta di danza, tanto lieve nell’esecuzione quanto letale nella sua applicazione marziale, che può essere agevolmente praticata da tutti senza limite alcuno di età. Poi la comprensione di quest’arte varia al variare della perseveranza e della profondità prospettica con cui se ne conduce lo studio. Per alcuni sarà quindi una sorta di meditazione in movimento, per altri una ginnastica dolce, per altri ancora una tecnica di salute e lunga vita o una bioenergetica dolce. Comunque, praticando il Tai Chi si impara a conoscere meglio il proprio corpo, percependone i blocchi e riattivandone i flussi, per arrivare alla conoscenza profonda di se stessi e del proprio comportamento. a cura del Centro di arti marziali e disciplina del benessere info: Kungfu.mc@libero.it 27


biancorosso

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a cura di Massimiliano Pallotti

DINO ZOFF

Dura solo un attimo, la gloria “Solo i portieri sanno cosa significa davvero il profumo dell’erba. Gli altri calciatori non ne hanno idea. Perché loro sull’erba corrono, al massimo ogni tanto scivolano oppure, oggi, si rotolano un po’. Ma il portiere no. Il portiere ci lavora con l’erba. E praticamente ogni suo gesto, ogni suo intervento finisce sempre allo stesso modo, con il naso dentro l’erba. E così, piano piano, quell’odore vegetale tanto intenso, pulito e infantile si stratifica sopra tutte le altre sensazioni, le modifica geneticamente; l’eccitazione dell’adrenalina, le nevrosi della paura, gli spasmi di dolore avranno per me sempre quell’odore. E allo stesso modo l’erba vorrà sempre dire eccitazione, paura dolore”

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remessa. Per me, piccolo portiere che si rotolava su terreni disconnessi e parcheggi male asfaltati che, con indubbia fantasia, chiamavamo campi di calcio, Zoff è stato ed è un mito indiscutibile. Al vertice del mio personale pantheon di numeri uno c’era lui e poi pochissimi altri: l’indimenticabile Gabban di quell’indimenticabile Maceratese, che se non ricordo male indossava i suoi stessi uhlsport, Jašin e Quiroga. Quindi, quando ho preso in mano questo libro ero certo che sarebbe stato sicuramente un buon libro, e non mi sbagliavo. L’uomo Zoff non era mai stato un’entità separata dal campione e anche questa volta non mi avrebbe deluso. Il suo stile sobrio, colloquiale, che non cede mai all’esaltazione della propria figura e delle proprie imprese, leggendarie a dire il vero, ci accompagna in una bella narrazione delle sue vicende biografiche. La scrittura è tanto semplice e lineare quanto profonde, sincere e pure, sono le emozioni che riesce a suscitare. Commuove la sua descrizione del focolare domestico e della sua infanzia. Il padre Mario un friulano doc, contadino silenzioso e laborioso, forgiato dalla vita nei campi. La madre Anna completamente dedita al compito di far regnare armonia e serenità nella sua famiglia. E la nonna Adelaide, il suo ‘primo allenatore’, una friulana dura come il mogano che, per farlo mangiare ed irrobustire, gli tirava le prugne in aria e lui le doveva prendere al volo. Così come commovente è il ritratto del suo amico Gaetano Scirea, di cui si considerava una sorta di fratello maggiore e a proposito del quale scrive che a ripensarci oggi, un po’ me ne vergogno, ma uno dei sentimenti che provavo per Scirea era un’inconfessabile, quanto bonaria, invidia. Lo invidiavo per la sua serenità da statua classica. La serenità è una base, una predisposizione dell’anima, un qualcosa che hai dentro e che ti porta a vedere la vita con molta speranza. Anche ciò

che è negativo. E’ molto meglio della felicità, che è effimera e devi metterla nella stessa colonna di bilancio in cui metti le delusioni. E in cui si duole del fatto che non gli è mai stato riconosciuto tutto quello che meritava. Poi Zoff ci racconta le tappe salienti della sua carriera calcistica. L’Udinese, il Mantova, il Napoli, la Juventus. La sua lunga avventura in Azzurro, i Mondiali dell’82, il profondo legame con Bearzot. Un lungo racconto costellato anche da aneddoti ‘para calcistici’, come l’amicizia con il musicista Nini Rosso, con Francesco De Gregori, e l’amore per la musica di Guccini al quale confessa che sono poemi, quelli che scrivi. Profondi e anche un po’ tristi, come sono i miei pensieri spesso. Sulla mia lunghezza d’onda. Quindi Zoff si sofferma, non celando affatto la sua profonda amarezza, sull’episodio delle sue dimissioni dalla Nazionale e, anche in questo caso, mostra di restare fedele a se stesso. Colpito alle spalle in maniera subdola e con toni volgari, offeso (…) nella sua professionalità, denigrato pubblicamente, Zoff descrive con queste umili e toccanti parole il suo addio al calcio: sono un operaio specializzato che, con passione e serietà, tutti i giorni della propria vita ha timbrato il cartellino. Undici campionati giocati di fila, mai un raffreddore, mai un infortunio. Anni e anni in panchina ad assumermi responsabilità e a metabolizzare insulti (…) se davvero sono stato un monumento, come qualcuno ancora dice, sono stato un monumento ai lavoratori. Questa è stata la mia minuscola grandezza, la mia vita, la mia dignità. No caro Zoff, non solo non mi hai deluso, ma mi hai ancora stupito. Senza effetti speciali, alla tua maniera, essendo ancora solamente te stesso. Insomma un gran bel libro, da consigliare a tutti gli appassionati di calcio e capace di appassionare anche chi, in fondo, di calcio non s’interessa. 29


Punto di vista

di

Giancarlo Nascimbeni

CAMPIONATO INTERESSANTE E PARTITE BEN GIOCATE, NONOSTANTE LA DISORGANIZZAZIONE DELLA LEGA PRO

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Per varie ragioni più volte esposte in questa rubrica, il campionato sta procedendo a singhiozzo e dalla Lega Pro non giungono segnali rassicuranti per la ricostituzione degli organi direttivi previsti dallo statuto. Il prossimo 31 ottobre scade il termine del commissariamento, salvo proroghe che appaiono, a questo punto, inevitabili, ma, ad oggi, il dott. Miele non ha proceduto né all’approvazione del bilancio 2013-2014, che ha costituito il vero motivo della sua nomina, né, tantomeno, ha convocato l’assemblea delle società che nel termine sopra indicato avrebbe dovuto nominare il nuovo consiglio direttivo. Le squadre, invece, stanno facendo il loro dovere sottoponendosi ad un logorante tour de force ed il campionato sembra di buon livello tecnico. Le società, pur prive di una guida federale adeguata, si stanno impegnando sopra le forze per rispettare i termini perentori, imposti loro dalla Lega, al fine di adempiere gli obblighi previsti, onde evitare penalizzazioni in classifica. Dura lex, sed lex Anche quest’anno, purtroppo, alla fine dei giochi, con tutta probabilità sarà la CO.VI.SOC. a determinare le classifiche finali dei tre gironi: Temo, infatti, che, per il ritardo con cui la Lega si strutturerà una volta terminato il commissariamento, le società riscuoteranno i contributi ed i diritti televisivi, sulle cui somme avevano previsto il bilancio, quando già i termini trimestrali indicati dalla Lega saranno ampiamente scaduti. Spero di sbagliare, nell’interesse del campionato, ma è doveroso da parte mia esporre questo timore. Ad aggravare la situazione economica delle società, influiscono il calendario a spezzatino ed i recuperi infrasettimanali delle partite rinviate su decisione 30

del collegio di garanzia del CONI. A farne le spese è anche la Maceratese: la partita che si sarebbe dovuta giocare in casa con il Savona in giorno festivo e con già 1.500 biglietti venduti fino al venerdì precedente, è stata recuperata mercoledi, 14 ottobre, in condizioni metereologiche proibitive (pioggia battente e nebbia) anche se il risultato vincente ha notevolmente compensato le difficoltà, per i noti motivi di ordine pubblico, di parcheggio delle auto. Gli sforzi della società e del Comune di Macerata di far comprendere a Prefettura e Questura che in circostanze come quelle, ove non è prevista alcuna presenza di tifosi ospiti, ben si sarebbe potuto consentire l’accesso delle auto in prossimità dello stadio, sono stati vani in quanto per tutto il campionato, indipendentemente dal rischio per l’ordine pubblico che presenta ogni singola gara, i provvedimenti già emanati rimarranno invariati. Una terza posizione ben meritata Tornando a parlare di calcio giocato in queste ultime settimane, si sono apprezzate le ottime prestazioni della squadra biancorossa sia nella partite casalinghe con il Pontedera e il Savona che in quella, ben più difficile, allo Stadio Del Conero di Ancona. Mi sof-

fermo su quest’ultima, per esaltare l’ottimo gioco della squadra pur su un terreno che non favoriva certo la manovra con palla a terra. Delle due contendenti sarebbe stata la Maceratese a meritare la vittoria per le occasioni avute: ho assistito a tante partite giocate dai biancorossi in Ancona, sia al Dorico che al Del Conero e mai, come sabato scorso, ho potuto apprezzare la tranquillità e la determinazione con cui la squadra ha cercato in ogni modo di imporsi sfiorando più volte la rete ed ottenendo il pareggio solo nel finale di partita. La cosiddetta zona Cesarini sembra finora contraddistinguere le partite della Maceratese: in quattro delle sei gare disputate i biancorossi hanno segnato una rete (Lupa Roma ed Ancona) o l’hanno subita (Rimini e Pontedera). E dopo il pareggio con l’Ancona, invece della vittoria che sarebbe stata meritata, la Maceratese si è posizionata in classifica al terzo posto grazie al successo della gara di recupero con il Savona. Maceratese e Teramo, gli incontri importanti A proposito del Teramo, ricordo che è stato per la Maceratese un avversario sempre ostico, in qualunque categoria l’abbia incontrato, pur se la statistica è favorevole alla nostra squadra. Le due compagini non si sono incontrate tante volte avendo esse in comune, oltre al colore della maglia biancorossa, anche altalenanti comportamenti tecnici e societari che le hanno entrambe viste impegnate per molti anni della loro lunga storia in campionati dilettantistici anche regionali. Il primo incontro fra le due squadre risale al campionato di serie C 1946-47 allorché a Teramo esse pareggiarono 2-2 e a Macerata furono i locali a vincere 3-1. Quell’anno la Maceratese aveva un organico di grande riguardo e vinse il proprio gi-


rone perdendo poi gli spareggi per la promozione in serie B. Nel campionato successivo, 1947-48, fu la Maceratese a vincere entrambe le gare con lo stesso risultato 3-2. Al termine della stagione la Maceratese fu promossa nella cosiddetta serie C di lusso che venne costituita quell’anno con la riforma dei campionati professionistici. Erano bei tempi per il calcio maceratese e molti di quei giocatori salirono nelle serie superiori o si affermarono nella stessa categoria privilegiando l’attività lavorativa a quella calcistica: tra i primi mi riferisco agli attaccanti Magnaghi, con presenze in serie A con il Milan, a Cecconi (Pro Patria – Lazio – Napoli) ed al recanatese Peppe Farina (Torino – Sampdoria – Udinese) con tre presenze addirittura in nazionale A; tra i secondi ricordo con affetto per averli conosciuti Gagliardi, Pin e Jola. Da allora Maceratese e Teramo non si sono più incontrate nel campionato di serie C unica e lo faranno dopo tanti anni domenica prossima all’Helvia Recina. Non posso, però, non ricordare alcune partite che hanno contrassegnato momenti importanti per entrambe le società nei campionati di IV Serie e Serie C/2. Nella stagione 1958-59 la Maceratese vinse il campionato salendo in Serie C, pur perdendo entrambe le partite in trasferta 2-0 ed in casa 1-2. Ricordo benissimo quest’ultima, disputata al Campo dei Pini gremito di 5.000 persone, con la Maceratese in vantaggio fino a 7 minuti dalla fine con goal di Raffaele Cutrignelli, recentemente scomparso, e poi raggiunta e superata dagli avversari. Sembrava

così svanito il sogno di salire di categoria ma la squadra era talmente forte, anche moralmente, da vincere tutte le altre partite concludendo con un punto di vantaggio sullo stesso Teramo e sul Molfetta che, nell’ultima partita di campionato, batté gli abruzzesi senza trarne vantaggio ma favorendo la vittoria finale della Maceratese che, in contemporanea, vinse in casa il derby con la Del Duca Ascoli 2-1 con reti di Giorgio Marega e di Ettore Bacaloni. Anche nel campionato di IV Serie 1969-70 la Maceratese, allenata da Tony Gianmarinaro, vinse il girone raggiungendo di nuovo la Serie C ed in quella stagione entrambe le gare si conclusero a favore della nostra squadra 1-0 a Teramo con rete di Zimerle e 5-0 all’Helvia Recina con doppietta di Peronace e tripletta di Zimerle. È significativo, e di buon auspicio, che tutti e quattro i campionati che ho fin qui citato si siano conclusi con la vittoria finale della Maceratese: non aggiungo altro per scaramanzia. Quel goal strepitoso di Pagliari Concludo i miei ricordi con la stagione sportiva 1980-81 nel corso della quale vissi, con particolare tensione in panchina, la partita che si disputò qualche settimana prima di quella rimasta nella storia contro la Civitanovese (1-0 rete di Moreno Morbiducci). Ebbene, la Maceratese in quel periodo (eravamo nel marzo 1981) aveva inanellato una serie di successi che la portarono a ridosso di Padova e Civitanovese che poi salirono in C/1. La partita con il Teramo era particolarmente sentita per vendicare la sconfitta subita 2-0

nel girone di andata ed impegnativa per la forza della squadra abruzzese. La previsione di obiettiva difficoltà fu confermata perché i biancorossi locali in vantaggio con una magnifica rete di Giovanni Pagliari furono raggiunti a metà del secondo tempo da una rete dell’ottimo avversario Paciocco, che ebbe poi un’eccellente carriera professionistica anche al Milan. Di questa partita ricordo l’abbraccio fra tutti noi della panchina e Giovanni Pagliari. Nelle pur tantissime partite da me viste come dirigente o semplice tifoso in tanti stadi d’Italia, raramente ho assistito ad una rete di così ottima fattura da parte di un calciatore: avversari saltati come birilli, compreso il portiere, e palla in rete con rara eleganza come lui solo sapeva fare. Concludo dicendo che il ricordo, che rinnova in me il disappunto unito allo stupore (ma così vanno le cose, purtroppo, nel calcio) di come sia potuto accadere che un calciatore della classe genuina e delle doti naturali, non certo comuni, come Giovanni Pagliari non abbia potuto disputare neppure una gara in Serie A, pur con una carriera agonistica di assoluto prestigio oltre che con la Maceratese anche con il Perugia, il Monza, l’Arezzo ed il Chieti. Assistendo, domenica prossima, alla partita con il Teramo, chissà che non avvenga di veder realizzato da un nostro calciatore un goal che possa assomigliare a quello di Giovanni Pagliari. Se Giovanni sarà in tribuna e si ripetesse un goal così bello di un nostro calciatore, potremmo riabbracciarci, pur da spettatori, dopo tanti anni. Registrazione Tribunale di Macerata n. 626 del 23.07.2015 Direttore responsabile Nazzarena Luchetti Redazione Alessandro Savi, Carlo Cambi, Giancarlo Nascimbeni, M. Pallotti Impaginazione e realizzazione grafica Stefano Ruffini e Nazzarena Luchetti Foto di Fabiola Monachesi Per la pubblicità marketing@ssmaceratese.it Per suggerimenti e opinioni redazione@ssmaceratese.it Stampa Biemmegraf - Macerata

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