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intervento di Ferruccio Resta

Sono il Rettore di quarantacinquemila studenti. Come potrei non essere ottimista verso il loro futuro? Lo sono per definizione! Ogni giorno incontro ragazzi che si mettono in gioco, che hanno voglia di reagire ai problemi, che affrontano le sfide della loro generazione.

Ma quali? È innegabile che stiamo vivendo una delle trasformazioni più radicali di tutti i tempi. Dalla stampante 3D ai sistemi biometrici, dall’auto a guida autonoma ai droni, dalle tecniche olografiche ai robot, la tecnologia sta modificando profondamente e irreversibilmente le nostre vite, i nostri orizzonti e le nostre professioni. Una trasformazione che non risparmia le attività delle imprese e, ovviamente, neppure il mercato del lavoro al quale si affacciano i nostri figli. Una trasformazione accompagnata da grandi opportunità e da alcuni rischi. Pericoli che in parte possiamo definire “normali”, perché già vissuti e superati con l’introduzione dell’automazione all’interno delle fabbriche, e in parte del tutto nuovi.

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Al centro della rivoluzione introdotta dalle tecnologie digitali è, senza ombra di dubbio, la possibilità di reperire e di gestire una grande quantità di informazioni. I cosidfdetti “big data” hanno la capacità di cambiare radicalmente i grandi processi economici, quelli professionali e quelli comportamentali. A tale proposito, qualche anno fa al Politecnico di Milano abbiamo avviato un laboratorio, “Urbanscope”, pensato per studiare i flussi di dati all’interno dello spazio urbano. Abbiamo analizzato il traffico web, quello telefonico e i social media, Twitter in particolare, per disegnare diverse mappe della città: la Milano che parla inglese (rilevando la presenza di stranieri), quella della mobilità e degli spostamenti urbani, quella delle abitudini comportamentali e di acquisto, quella dei grandi eventi... Mappe che sfruttano le potenzialità del digitale per progettare scenari e politiche di precisione nell’interesse pubblico. Tuttavia, per farlo e per farlo correttamente, vanno ridefinite le modalità di interazione tra chi progetta le politiche e chi analizza i dati.

Oggi, sempre di più, è necessario riflettere su come utilizzare questa grande mole di informazioni a nostro vantaggio e su come sviluppare servizi di precisione in settori chiave, come l’energia, la medicina, i trasporti, ma non solo… Pensiamo alla gestione dei beni culturali o al trattamento delle immagini o agli aspetti giuridici. A breve, non ci sarà storico, critico dell’arte o giurista che non avrà una solida conoscenza dell’utilizzo di queste tecnologie; neppure un medico o un traduttore che ne rimarrà immune. Non ci sarà professione che non verrà impattata dalla pervasività della tecnologia. Allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere che se molti lavori potrebbero scomparire nel giro di pochi anni (che ne sarà del radiologo o dell’interprete?), altri, quelli che si fondano sul rapporto umano e sull’empatia (l’assistente sociale, l’infermiere, lo psicologo…), viceversa, sopravvivranno ancora più forti nel rapporto con la tecnologia, là dove l’algoritmo non può sostituirsi alla comprensione umana.

È quindi fondamentale capire e decidere in quale direzione ha senso investire le nostre risorse e le nostre energie in termini di formazione del capitale umano. Se da un lato, è necessario disporre rapidamente di figure altamente specializzate, dall’altro dobbiamo anticipare soluzioni a lungo raggio. Esistono quindi esigenze alle quali abbiamo cercato di rispondere inserendo nel circuito universitario le cosiddette “lauree professionalizzanti”, pensando di aver risolto il problema. Ma così non è se manca un progetto formativo consistente e coerente e, soprattutto, un progetto di inserimento nel mondo del lavoro. Esistono poi esigenze e soluzioni che non richiedono risposte immediate, ma che hanno bisogno di una formazione superiore e di un maggiore investimento nell’educazione post laurea (laurea magistrale e dottorato di ricerca).

Contrariamente a noi, la scuola tedesca ha un progetto organico e strutturato. La Hochschule prepara figure professionali specializzate per mezzo di un corpo docente adeguatamente formato e attraverso un rapporto molto stretto con il settore industriale. Diversamente l’università segue un approccio più teorico e meno applicativo. Sono queste due dimensioni frutto di esigenze diverse da parte del mercato che, in particolare dal nostro punto di vista, richiedono un nuovo approccio e l’ideazione di nuovi percorsi formativi. Attualmente il docente universitario italiano non è in grado di fare formazione professionalizzante, perché, a sua volta, non è stato formato in tal senso. Non possiamo pensare di risolvere il problema partendo dall’ultimo anello della catena: la questione non riguarda solo l’università, ma risale lungo l’intero processo della formazione, ad iniziare dalla scuola primaria e secondaria.

Dal canto loro, tutte le più grandi università del mondo stanno ragionando su ciò che accadrà da qui ai prossimi 20 o 30 anni e rimettendo in discussione quelli che, fino a ieri, erano dei punti fermi. Sta cambiando il rapporto tra docente e discente, in una dimensione interattiva e di scambio; stanno scomparendo le cattedre dalle aule per far spazio a tavoli multimediali e componibili per consentire il lavoro in gruppo; sta aumentando la formazione a distanza e l’importanza attribuita alle abilità relazionali e al pensiero critico, nella consapevolezza che l’ingegnere non è solo, ed esclusivamente, colui che costruisce ponti o progetta auto, ma è un cittadino in ascolto della collettività, capace di venire incontro a bisogni sempre più complessi.

Ovviamente, i contenuti formativi seguono lo stesso corso e vengono ripensati per dare risposte credibili e affidabili agli studenti, alle imprese e alle famiglie, partendo da alcuni grandi macro temi. È recente la notizia dell’accordo stretto tra il Politecnico di Milano e l’Università Bocconi per il nuovo corso di laurea magistrale in Cyber Risk Strategy and Governance, che combina le competenze tecniche e di gestione rispettivamente dei due atenei. Abbiamo poi aperto una laurea in Mobility Engineering, in collaborazione con 13 imprese del settore, che partecipano loro stesse alla definizione dei percorsi formativi. È infatti sotto gli occhi di tutti come il concetto stesso di mobilità sia completamente cambiato, al punto tale che non basta più la visione del tecnologo, ma, di concerto, serve l’esperienza del sociologo e dell’urbanista. Se poi parliamo di auto a guida autonoma non escluderei il filosofo, tradizionalmente chiamato a riflettere su questioni etiche che sfuggono a qualsiasi algoritmo. Decisioni etiche che sono alla basa delle scelte di chi è alla guida. Infine, non possono mancare il food e la medicina tra le più grandi sfide dei prossimi anni.

Chiudo ricordando che il Politecnico di Milano si è tanto battuto per la docenza in lingua inglese non di certo per marginalizzare l’italiano (come qualcuno ha sostenuto), bensì per garantire e promuovere un ambiente aperto al mondo. I nostri ragazzi, abituati a viaggiare, a confrontarsi con Paesi e culture diverse, non possono essere chiusi all’interno di recinti. Dobbiamo capire che saranno più competitivi se conoscono le lingue, se sono capaci di muoversi fuori dall’Italia con la necessaria disinvoltura, se trovano più opportunità a casa loro, perché, non dimentichiamolo, l’internazionalizzazione parte dalle nostre città.

Se poi riuscissimo, sfruttando la potenza dei dati e delle tecnologie di ultima generazione, a realizzare una formazione di precisione, che tenga conto delle attitudini e delle passioni del singolo studente, questa sarebbe, a tutti gli effetti, una grandissima sfida; un motivo di soddisfazione per tutti, perché significherà che avremo reso un grande servizio ai nostri figli. Per questo stiamo potenziando gli ascolti, analizzando i flussi dei nostri studenti e le loro abitudini per capire se incontrano difficoltà, se si stanno annoiando, se hanno una caduta di stimoli. A loro va la nostra completa attenzione, a loro il nostro impegno e la nostra cura per poter continuare a guardare al futuro con ottimismo.

Ferruccio Resta

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