
4 minute read
intervento di Pietro Ichino
In Italia si rileva da più parti l’esistenza di una grande quantità di posti di lavoro che restano scoperti principalmente per mancanza di persone dotate delle attitudini e capacità professionali necessarie per ricoprirli. Le aziende cercano ma il mercato del lavoro non riesce a metterle in contatto con persone dotate degli skill richiesti.
La valutazione del numero delle situazioni di skill shortage è di circa 500mila posti di lavoro disponibili ma che restano scoperti.
Advertisement
Il Rapporto periodico Excelsior – Unioncamere ci dice che situazioni di skill shortage si verificano in tutti i settori della nostra economia. Esso censisce oltre 100mila posizioni, individuate una per una, rilevate attraverso le inserzioni e le richieste presentate alle agenzie, ma si ritiene che per ciascuna situazione censita ce ne siano almeno altre tre o quattro non censite. Il problema, dunque, è molto ampio e generalizzato.
Per altro verso, sappiamo che in Italia si stipulano milioni di contratti di lavoro ogni anno. In Lombardia disponiamo degli studi condotti da Francesco Giubileo che ci dicono non solo che in un anno a Milano sono stati osservati uno per uno 108mila nuovi contratti di lavoro ma di ciascuno di questi sappiamo in quale settore, in quale azienda, e in quale zona della città è stato stipulato. Il problema è che per chi si affaccia sul mercato del lavoro tutta questa domanda di lavoro esistente, vasta e articolata, non è visibile o lo è con grande difficoltà.
Questo difetto di informazione colpisce soprattutto il lavoro giovanile. I nostri giovani non dispongono delle informazioni necessarie e dei canali di accesso al lavoro. Il giovane non dispone di alcun vero servizio di orientamento, sia scolastico che professionale.
Nei Paesi del centro-nord Europa questo servizio funziona per davvero: ogni adolescente che esce dalle scuole medie – inferiori e superiori – viene preso in carico da un advisor o addirittura da un task group che ne traccia il bilancio sia delle competenze che delle aspirazioni e, in relazione a queste, vengono indicati al giovane i percorsi praticabili anche in termini di formazione ulteriore più idonea ed efficace.
In base a cosa l’advisor od orientatore può indicare i percorsi efficaci? Il sistema rileva a tappeto il tasso di coerenza tra la formazione impartita da qualsiasi centro di formazione funzionante con denaro pubblico e gli sbocchi occupazionali.
Questo tasso di coerenza è il dato senza del quale l’orientamento scolastico e professionale non può esistere.
In Italia questo dato non viene rilevato e, quindi, non è disponibile. Solo se si dispone di questo dato è possibile realizzare quello che il Contratto Collettivo dei Metalmeccanici del 2017, per la prima volta in Italia, ha sancito istituendo il diritto soggettivo del lavoratore a una formazione efficace, dove questo aggettivo significa che chi entra in un determinato percorso ha una probabilità misurata e conosciuta di accedere ad un posto di lavoro coerente con la formazione impartita.
Se manca il dato del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi occupazionali effettivi, la formazione può anche essere egualmente efficace ma non è oggetto di un diritto soggettivo perché, non essendoci l’informazione necessaria, il rischio di sbagliare strada è molto elevato.
In mancanza di queste informazioni troppi nostri adolescenti compiono le scelte decisive per il loro futuro con la testa nel sacco. E non per colpa loro, ma perché le generazioni precedenti non hanno predisposto i servizi indispensabili per agevolare il passaggio dalla scuola al lavoro.
Quando il tasso generale di disoccupazione è del 10% e quello giovanile è del 32% è evidente che questo gap non è la conseguenza del difetto della domanda bensì in larga parte di un diritto di informazione, formazione o mobilità di cui soffre l’offerta, ossia di chi si affaccia per la prima volta sul mercato del lavoro.
Per darvi un’idea degli effetti di questa gravissima mancanza nel nostro sistema di un servizio di orientamento scolastico e professionale degno di questo nome, pensate che in Svezia nel 2010 secondo un’indagine dell’Eurobarometro condotta sugli adolescenti di tutta Europa e citata qualche tempo fa da Maurizio Ferrera, alla domanda ti attendi un lavoro con contenuto di attività manuale? la risposta è stata SI’ nel 40% dei casi. E in Svezia quell’anno il 42% degli ingaggi effettivamente avvenuti prevedeva una attività manuale! Il dato fornisce l’immagine di una generazione perfettamente informata e consapevole di ciò che l’attendeva.
In Italia, alla medesima domanda, ha risposto SI’ solo il 5% dei ragazzi. Questo dato ci fornisce l’immagine di una generazione di adolescenti completamente disinformata sul mercato del lavoro sul quale stanno per affacciarsi. Questo spiega perché la nostra disoccupazione giovanile sia così alta.
Dobbiamo ben distinguere tra formazione vocazionale, che ha una sua funzione ma ha anche dei limiti gravi dal punto di vista della coerenza tra la formazione stessa e gli sbocchi occupazionali, e la formazione mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti. Il finanziamento pubblico dovrebbe essere per la maggior parte destinato alla formazione che risponde a questo requisito.
D’altra parte, se non esiste misurazione e pubblicazione del tasso di coerenza tra formazione impartita e sbocchi effettivi, la selettività del finanziamento pubblico – di enorme entità, parliamo di miliardi, per metà provenienti dal Fondo Sociale Europeo – evidentemente è molto difficile da praticare.
La formazione efficace può e deve diventare un diritto soggettivo sia del disoccupato che del lavoratore occupato che intenda cambiare posto di lavoro: il poter disporre con facilità di percorsi di formazione efficace, cioè della quale si conoscano le buone probabilità di dare accesso a occupazione coerente con il suo contenuto, diventa così un fattore di maggiore forza contrattuale del lavoratore anche sul piano individuale.
Per attivare l’indispensabile monitoraggio della qualità dei servizi di formazione di cui si è detto, occorre disporre di una Anagrafe della Formazione Professionale analoga a quella istituita per il sistema scolastico presso il MIUR.
I dati dell’Anagrafe della Formazione dovrebbero poi essere sistematicamente incrociati con quelli delle Comunicazioni Obbligatorie del Ministero del Lavoro: si otterrebbe così, per ciascun corso di formazione finanziato col denaro pubblico, quel tasso di coerenza che in Italia oggi manca del tutto e che dovrebbe invece essere obbligatoriamente pubblicato da ogni centro di formazione sul proprio sito web e su tutte le proprie pubblicazioni.
Tutto ciò finora non è stato fatto non perché non lo sappiamo fare – abbiamo strumenti e know-how più che sufficienti – bensì per un motivo molto semplice: il sistema della formazione non gradisce di essere messo sotto stress, di essere censito, di essere valutato. E i nostri policy makers privilegiano gli interessi degli addetti alla formazione rispetto agli interessi degli utenti.
Pietro Ichino





