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Come incidere sulla disoccupazione giovanile

«Gli italiani ridono della vita (…) Questo è ben naturale, perché la vita per loro val meno assai che per gli altri.» Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente de’ costumi degl’italiani (1824) Il celeberrimo articolo primo della Costituzione Italiana recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Se la prima specificazione, come pure la seconda (sia pure con po’ di fatica) non alimentano sostanziali motivi di obiezione, è invece la terza a far sì che i dubbi prendano il sopravvento. Poche parole come “lavoro”, sostantivo maschile il cui significato è “applicazione delle facoltà fisiche e intellettuali dell’uomo rivolta direttamente e coscientemente alla produzione di un bene, di una ricchezza, o comunque a ottenere un prodotto di utilità individuale o generale”, generano confusione, stupore, risentimento, rabbia. Per il lavoro che non c’è, per quello che viene negato o interdetto, per quello che viene irriso e sfruttato. Il lavoro che nonostante le trappole e le difficoltà che menti sadiche assai più che raffinate ci gettano tra i piedi quotidianamente, ci tiene a galla: nonostante tutto, nonostante noi stessi. Siamo il Paese manifatturiero dell’Unione Europea secondo solo alla Germania per quantità di merci e di beni prodotti, spesso pure di grande qualità; siamo il Paese che (incredibilmente) continua ad inventare oggetti che tutto il mondo desidera, invidia, copia e acquista; siamo il Paese che più al mondo è amato per l’idea di una dolcezza del vivere unica e inimitabile, non si sa quanto reale o mitizzata. Purtroppo siamo anche il Paese che più al mondo disprezza se stesso, i suoi talenti e le sue virtù. In particolare, il suo lavoro. Chi più di tutti paga questa situazione paradossale sono i giovani. Stretti tra l’assenza di una crescita che non c’è perché non si persegue, e di una cultura indifferente all’impegno e al talento, scelgono come molti dei loro nonni e padri la via di una nuova emigrazione che li vedrà in larga misura primeggiare in occupazioni inesistenti nel loro Paese d’origine. Quanto costa formare un laureato di valore? Quanto costa perderlo? Per quanto tempo ancora potremmo permetterci questo spreco suicida? In questo numero speciale del Magazine, dedicato ai giovani e al lavoro che bisogna inventare, trovate idee e le soluzioni di chi il problema ha il coraggio intellettuale di porselo tutti i giorni. Come affermava Ennio Flaiano, il più grande moralista del secondo dopo guerra,“La situazione è grave ma non seria”. Ogni giorno di più.

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