NUMERO 66 . apr2024 . Diventiamo opportunisti!

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DIVENTIAMO OPPORTUNISTI!

Alla parola opportunista abbiamo sempre attribuito il significato negativo di “chi agisce senza tener conto di principi o ideali in modo da trarne il massimo utile”Nicola Zingarelli, vocabolario della lingua italiana.

Dobbiamo viceversa diventare opportunisti intesi come promotori di opportunità, alfieri del NUOVO, quel

NUOVO inesplorato per pigrizia e conformismo, male accolto perché richiede un diverso approccio e un faticoso impegno, malvisto perché proviene da un mondo non omologato, mal digerito perché in controtendenza rispetto al senso comune delle cose – un senso comune ormai diventato una soffocante coltre di piombo. Ci serve allora fare urgente

manutenzione al nostro modo di pensare liberandoci da una zavorra culturale che perpetua immobilismo e sterilità intellettuale. Apriamoci al NUOVO, alla curiosità sul futuro, alle forze positive e giovanili che il Paese possiede e che sono le migliori risorse di cui disponiamo. Il NUOVO è il futuro, basta col passato, di cui siamo tutti grandi esperti e saccenti evangelisti: non possiamo più vivere di una Italia che si guarda solo indietro perché appartenente alla Storia!

Fabrizio Favini

N.66
2024
APRILE
ДЕТИ (BAMBINI)

PROGETTO

Il marchio del Magazine rivoluzionepositiva riporta 3 parole che sintetizzano i 3 stadi evolutivi del sapere.

Prima parola:

INFORMAZIONE.

Troppe persone ormai si ritengono soddisfatte nella loro ricerca del sapere quando la loro fonte del sapere è la Rete. Peccato che l’Informazione attendibile si sia ormai estinta

avendo lasciato il posto alle fakenews. Fermarsi a questo stadio significa essere disinformati, superficiali, manipolabili, marginali, inaffidabili.

Seconda parola: CONOSCENZA.

Per sconfiggere le fakenews dobbiamo sviluppare un adeguato livello di conoscenza, che si costruisce con lettura profonda, ricerca,

confronto, verifica. Un grande salto di qualità rispetto a INFORMAZIONE, non vi è dubbio. Ma non basta. Ognuno di noi, con un passo ulteriore, può dare un personale contributo alla soluzione dei tanti problemi che stanno comprimendo la nostra esistenza.

Terza parola: SAGGEZZA. Significa saper essere consapevoli, ovvero dominare impulsi, emozioni, sentimenti negativi a favore

di una personale rivoluzionepositiva. Quindi adottare un comportamento responsabile, che discende dal latino res-pondus: farsi carico del peso delle cose!

Saper essere saggi, appunto, una saggezza che nulla ha a che fare con il logoro, millenario paradigma secondo il quale la saggezza apparteneva solo agli anziani del villaggio. Tutti noi possiamo/ dobbiamo tendere alla saggezza!

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Il Saggio gioisce nel donareBuddha

CAMPAGNA SOSTENITORI

Magazine rivoluzionepositiva

rivoluzionepositiva da 5 anni contribuisce con continuità e determinazione a tenere acceso un importante stimolo: la consapevolezza comune che abbiamo più che mai bisogno di innovare il nostro comportamento!

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Molte grazie!

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IL NOSTRO PERCORSO

L’universo del comportamento umano è uno dei pochi settori in cui si continua ad operare sulla scorta di abitudini e di modelli culturali in buona parte obsoleti.

Veniamo educati a soffrire per conquistarci un posto nella vita; viceversa l’educazione al benessere interiore, all’autoconsapevolezza, alla percezione di sé e degli altri ce la dobbiamo costruire da soli.

E così noi molto spesso facciamo un uso sub-ottimale delle nostre risorse personali, influenzando in tal senso la vita di chi ci sta vicino: in famiglia, in società, sul lavoro. Spesso aderiamo alla cultura della negatività, della lamentela, della critica, del rinvio, dell’immobilismo.

Altrettanto spesso siamo vittime di comportamenti autolimitanti. Sovente l’esperienza, consolidando un pregiudizio, ci

limita nella capacità di interpretare con lucidità la realtà circostante. Siamo in balìa di alibi, conformismi, abitudini consolidate e di false convinzioni.

Per rimuovere emozioni ed atteggiamenti negativi aprendo la nostra esistenza alle opportunità della vita, dobbiamo sviluppare energie costruttive e positive e un diverso approccio con noi stessi e col mondo che ci circonda.

rivoluzionepositiva ha lo scopo di aiutare, chi è interessato, a realizzare questi obiettivi.

BENVENUTI A BORDO!

Il Comitato di Redazione:

Fabrizio Favini

Edoardo Boncinelli

Roberto Cingolani

Enrico Giovannini

Gianni Ferrario

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20 06 16 12

FABRIZIO FAVINI

Esperto di innovazione del comportamento

Intelligenza Emotiva per acquisire un vantaggio competitivo e il benessere dei Collaboratori –8a parte

GIAN CARLO COCCO

EUGENIO VIGNALI

Imprenditore della consulenza e docente universitario

Come liberarci dei capi incompetenti

Esperto nella gestione dei conflitti

Il Modello OCRA: come potenziare le prestazioni organizzative dell’Azienda

NANDO PAGNONCELLI

Presidente di IPSOS Italia Intervista

pg. 28

pg. 32

Autori

Manifesto

INDICE
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Intelligenza emotiva per acquisire •un vantaggio competitivo •il benessere dei Collaboratori

8a parte

APPROFONDISCI FABRIZIO FAVINI
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Nelle 7 puntate precedenti abbiamo visto come ora più che mai dobbiamo dotarcisenza ulteriori esitazioni – di una nuova cultura, la cultura dello Sviluppo Umano e della gestione strategica del Capitale

Relazionale

Abbiamo parlato di scienza del benessere e di biologia della gentilezza, ossia di una importante innovazione comportamentale che ci permetta di affrontare la nostra vita relazionale con soddisfazione, consapevolezza, motivazione, responsabilità, successo.

E abbiamo visto come questa innovazione comportamentale possiamo acquisirla solo tramite uno specifico Piano di Apprendimento che non ha nulla a che vedere con l’intelligenza cognitiva, bensì con lo sviluppo della nostra Intelligenza Emotiva

Sempre riferendoci allo specifico Modello Comportamentale

• Come sviluppare Percezione e Pensiero Come gestire le Trappole della nostra

proseguiamo ora con qualche riflessione su COME GESTIRE

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7 IL PRIMATO DEL PRIMATE

COME GESTIRE STRESS ED ANSIA

Prima di tutto diamo evidenza delle conseguenze economiche che il fenomeno STRESS produce al mondo delle aziende.

Lo stress è una situazione di prolungata tensione che riduce l’efficienza sul lavoro e può causare un cattivo stato di salute (fonte: Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro - EU OSHA).

Collaboratori soddisfatti e prestazioni di livello. Infatti, i Collaboratori che provano soddisfazione e motivazione per quello che fanno sono quelli che lavorano per obiettivi e che investono proprie energie discrezionali negli aspetti più creativi e sfidanti.

Un atteggiamento positivo può essere insegnato ed applicato lavorando sulla consapevolezza e sull’intelligenza emotiva dei Collaboratori.

decisivi dato che è impossibile portare a termine una transazione senza attivare una relazione, un rapporto di comunicazione, un aspetto emotivo. E la qualità delle relazioni in una organizzazione ha un impatto diretto sulla qualità delle sue performance.

Numerose ricerche in neuroscienze dimostrano una precisa correlazione tra

aumenta l’energia ed eccita la creatività, sviluppando la ricerca del continuo miglioramento.

Lo stress è il prodotto del circuito delle negatività, che deriva in particolare da:

• insoddisfazione / demotivazione / insicurezza

• frustrazione

• contrarietà

• conflitto.

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Lo stress produce l’ormone detto cortisolo, con i conseguenti effetti negativi sul nostro sistema biologico:

• ipertensione

• inefficienza del sistema immunitario

• iperglicemia

• insonnia

• perdita di memoria: non a caso il cortisolo viene chiamato il detersivo dei ricordi.

Ne consegue che quando siamo sotto stress vengono ostacolate le nostre capacità di:

• apprendere

• concentrarsi

• reagire in modo lucido, flessibile e creativo

• progettare ed organizzare il lavoro in modo efficace ed efficiente (disfunzione cognitiva). E l’insensibilità di un Capo riduce l’efficacia del Collaboratore.

Per aiutare le persone a contenere lo stress emotivo, il Leader socialmente intelligente utilizza:

• incoraggiamento

• positività

• empatia che, ricordiamolo, costituisce una leva economicamente rilevante!

In sintesi, il buon Capo favorisce la sicurezza, il cattivo lo stress.

Parliamo ora di ANSIA, strettamente correlata allo stato di stress. Infatti, analogamente allo stress, l’ansia paralizza i nostri processi cognitivi. Le conseguenze sono:

• caduta dell’attenzione. Imprecisione o totale incapacità nel mettere a fuoco informazioni e pensiero

• annebbiamento della prontezza mentale. L’azione ne risulta inibita

• pensieri ristretti. Incapacità ad esplorare alternative

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IL PRIMATO DEL PRIMATE

• difetti di memoria. Incapacità di ricordare avvenimenti nei loro dettagli e a collegarli.

Un tipo di ansia in crescente diffusione nelle aziende è l’ansia sociale, ossia la dipendenza dal giudizio altrui. Non dimentichiamo che nostra è una cultura che premia ed incoraggia la ricerca di approvazione.

Alcuni esempi di chi ricerca approvazione, ossia di comportamenti autolimitanti:

• modificare il nostro atteggiamento perché qualcuno ci disapprova

• edulcorare un’affermazione per non farsela rifiutare

• fare evidenti cenni d’assenso anche se non si è d’accordo

• non essere capaci di dire di no

• adulare una persona per sentirsi accettati

• sentirsi depressi o ansiosi quando l’altro dissente

• sentirsi mortificati se l’altro manifesta un’opinione contraria

• scusarsi di continuo per farsi approvare in ogni momento

• tentare di impattare sugli altri simulando la conoscenza di una cosa che si ignora con l’obiettivo di farsi omologare dal gruppo

• comportarsi da anticonformisti per richiamare l’attenzione su di sé.

In definitiva, più si ha bisogno di approvazione e più si è manipolabili.

Vediamo quindi le principali disfunzioni nel rapporto interpersonale che l’ansia sociale comporta:

• difficoltà a fare le proprie richieste. Ci si aspetta che gli altri capiscano da soli. Siamo preoccupati per il loro giudizio. Ci creiamo aspettative in tal senso, che vanno deluse (e con esse si incrina il rapporto). L’unico modo per equilibrare il rapporto è di fare la nostra richiesta

consapevoli che possa essere accettata come rifiutata. In quest’ultimo caso dobbiamo essere disponibili a gestire l’eventuale conflitto

• difficoltà a rifiutare le richieste altrui. Questa paura è dovuta al timore di essere giudicati negativamente dagli altri. Il loro giudizio ci preoccupa. Chi interagisce con persone di questo tipo sa bene che il loro “sì” potrebbe voler dire “no”. Costoro si defilano dall’impegno preso aspettandosi che l’altro capisca. In buona sostanza, la volontà degli altri viene prima della propria

• stress di adattamento alle esigenze altrui. Il dover costantemente adattare il proprio comportamento per andare incontro alle esigenze altrui è molto stressante. Ogni volta che si esprime la propria opinione ci si chiede se è sbagliata e si inizia a cercare di cogliere i segnali non verbali dell’altro per capire se è d’accordo o no. Questa costante tensione genera ansia

• incapacità a gestire il Team. Quando una persona giunge a continui compromessi con se stesso per compiacere l’altro finisce con lo sviluppare tante “personalità” e ruoli sociali quanti sono i suoi interlocutori. Che succede quando si trova a gestire il rapporto con un Gruppo? Il problema può diventare esplosivo. Ecco perché la persona passiva privilegia gestire le relazioni individuali rifuggendo da quelle di gruppo.

L’ansia è frutto dell’immaginazione e non della realtà. Pertanto si volatilizza alla luce della consapevolezza e, conseguentemente, del comportamento responsabile.

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Come liberarci dei capi incompetenti

APPROFONDISCI
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1. IL FASCINO DELLA PERSONALITÀ NELLA RICERCA DEI LEADER

Il recente libro di Chamorro-Premuzic: “Perché tanti uomini incompetenti diventano leader?” contribuisce a svelare l’inconsistenza della diffusa convinzione che i leader vincenti, in grado di portare al successo le imprese di ogni genere, si caratterizzino per tratti di personalità che consentano loro di ottenere risultati eccellenti.

Eppure la personalità è un costrutto sviluppato dalle teorie psicologiche di origine filosofica e dalla diagnostica clinica, nato con il fine di indagare le problematiche e le espressioni della mente umana. Esso appare oggettivamente lontano dal mondo delle imprese e dei comportamenti organizzativi.

Su cosa si intende per carattere e personalità non è stata raggiunta una visione condivisa e scientificamente supportata dei cosiddetti tratti della personalità. I tratti dovrebbero rappresentare disposizioni permanenti nella mente di una persona, ai quali ricondurre gli aspetti fondamentali delle sue espressioni.

2. CAPI INCOMPETENTI

Moltissimi capi d’azienda e manager di elevata responsabilità che vengono selezionati, scelti e cooptati utilizzando spesso i test di personalità - o, addirittura, impiegando la grafologia - risultano spesso incompetenti e forniscono risultati scadenti.

Anche i cacciatori di teste spesso indulgono in approcci basati, oltre che sul curriculum e sui risultati raggiunti nelle precedenti esperienze, sulla personalità dei candidati.

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PRIMATO DEL PRIMATE
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Malgrado siano stati selezionati e scelti o cooptati sulla base di generici tratti della personalità, molti degli attuali capi d’azienda e manager di elevata responsabilità spesso non risultano in grado di fornire i positivi risultati che ci si aspetterebbe da loro.

Un tale insuccesso deriva certamente da un diffuso sistema clientelare, ma deriva anche dalla condivisione e applicazione di inadeguati sistemi di selezione

Prevalgono, in proposito, tratti quali l’autostima elevata (che rasenta il narcisismo), la spiccata attenzione alla personale autorealizzazione (che rasenta la smodata ambizione), la spietata determinazione a raggiungere, a qualsiasi costo, obiettivi sfidanti, il protagonismo abbinato all’orientamento ossessivo al potere, l’elevata predisposizione al rischio che tende a tramutarsi in azzardo, il fascino comunicativo in grado di coinvolgere emotivamente sfociando nella manipolazione.

Spesso questi tratti di personalità vengono raccolti in forma positiva e definiti ”carisma”

- o più semplicemente “talento” - che denota una qualità ai confini della magia tipica di figure emblematiche come l’uomo solo al comando o addirittura l’uomo del destino.

Ma anche il concetto di leadership e le qualità del leader vengono utilizzati come una sorta di “mantra” che basta evocare per definire, in modo indiscutibile, le persone più adatte al comando, dimenticando che i contenuti della leadership risultano una sorta di etichetta molto dibattuta che varia enormemente nel tempo e nelle situazioni.

Gliaspettieticiedivaloricondivisideicandidati a posizioni di comando (un tempo, almeno a parole, considerati importanti) attualmente non vengono presi in considerazione come se, ad esempio, il rispetto degli altri fosse un elemento marginale, molto meno importante della personalità del leader. Si diffondono manager che rendono la vita professionale (e non solo) un inferno ai loro collaboratori ostacolandone la produttività e lo sviluppo delle competenze. Manager “simpaticamente cattivi” astutamente rivolti all’incremento del profitto nel brevemedio termine e portati a tralasciare lo sviluppo delle risorse professionali (cioè il sempre più trascurato capitale umano) e gli obiettivi strategici di medio-lungo termine.

Questi individui, che guidano orgogliosamente le organizzazioni in modo spietato, sono in grado di originare disastri di proporzioni enormi - si pensi alla Enron, alla Lehman Brothers, all’Alitalia e al Monte dei Paschi di Siena - anche perché hanno la prosopopea di credere di essere la persona giusta al posto giusto.

E se pensiamo ai disastri originati dalle bolle speculative, che si ripetono in continuazione (l’ultima è stata quella dei “sub-prime”), chi li ha prodotti se non top manager e politici incompetenti e presuntuosi?

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3. NECESSITÀ DI UN CAMBIO DI PARADIGMA NEI CONTENUTI DEL “COMANDO”

Se nella individuazione dei top manager si continua ad esaltare il protagonismo rispetto alla profonda competenza, fatta di conoscenze e di capacità necessarie per governare sistemi organizzativi sempre più complessi, i fallimenti non potranno che continuare anche in futuro.

Coloro i quali sono incaricati di ricercare e presentare i manager più adatti (con formule spesso “esoteriche”) e coloro che decidono di acquisirli, si basano diffusamente su questi 2 indicatori, entrambi di notevole criticità:

• i tratti della personalità incentrati sulla sicurezza di sé piuttosto che sulla comprovata competenza caratterizzata anche dal pensiero critico, dall’apertura mentale, dal confronto dialettico e dalla disponibilità di mettersi in discussione. In altre parole, si preferisce la baldanza alla saggezza;

• l’accettazione che i candidati alle posizioni di vertice appartengano alla quasi prevalente cerchia maschile (o, se donne, che manifestino tratti tipicamente maschili) e che abbiano dimostrato nelle loro precedenti esperienze quel piglio che si riassume nel “carisma”, nel “talento” o nella generica “leadership”: cioè un fascino che riesce emotivamente a dimostrare che sulla persona si può contare in quanto “vincente”. Questo aspetto è avvalorato dalla rassicurante esperienza maturata e certificata dai risultati raggiunti, ma non da come sono stati raggiunti. Chamorro-Premuzic si pone una domanda scomoda: perché è così difficile per le persone competenti, ma non aggressive e di “personalità non prorompente”, emergere in posizioni di vertice?

4. I CONTENUTI DEL PARADIGMA DEL COMANDO EFFICACE BASATI SULLA VALORIZZAZIONE DELLE COMPETENZE E SUL COINVOLGIMENTO

Per risolvere la pericolosa situazione che abbiamo qui rappresentato l’unica strada percorribile è il ricorso alla verifica preliminare delle effettive competenze necessarie per svolgere attività di guida e coordinamento di complesse compagini organizzative (non solo private, ma anche pubbliche). Occorre ricordare che le competenze sono composte da due aspetti fondamentali che risultano tra loro complementari e inscindibili come le facce di una medaglia: le competenze tecniche, definite hard skiIl, e le competenze comportamentali, definite soft skill.

È ovvio che le competenze non risolvono totalmente la questione dell’affidabilità delle persone al comando. Possiamo confermare che le persone competenti risultano molto più affidabili di quelle con “personalità” in quanto maggiormente vincolate dal riconoscimento della loro professionalità, che per essere acquisita ha comportato impegno e sacrificio.

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Modello OCRA: come potenziare le prestazioni organizzative dell’azienda

EUGENIO VIGNALI

APPROFONDISCI
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Nel sempre mutevole panorama della consulenza organizzativa emerge come elemento di innovazione il modello di Analisi del Rischio di Conflitto Organizzativo (OCRA - Organizational Conflict Risk Analysis), recentemente rilasciato sul mercato.

Questo nuovo paradigma nella valutazione del rischio integra in modo fluido variabili umane e strutturali, aprendo la strada a una nuova era nella definizione delle strategie più efficaci di intervento in diversi ambiti consulenziali.

Al cuore del modello OCRA c’è un profondo riconoscimento della natura complessa delle interazioni all’interno degli ambienti organizzativi e dell’influenza del fattore umano in ogni processo, sociale, decisionale e produttivo.

La sovrapposizione di culture ed elementi

personaliconfattoristrutturaliqualipolitiche, procedure e ruoli, rende ogni differenza e contrapposizione ancor più significativa poiché le dinamiche del conflitto finiscono con l’imporsi sulle logiche lavorative, creando una lacerazione fra individui, fra i gruppi e con l’organizzazione, con ricadute disfunzionali sia a livello personale, sia organizzativo nel suo complesso.

Tali conseguenze comprendendo, fra le altre, effetti sul benessere psicologico, assenteismo, malattia, turnover, tempo sprecato e una miriade di costi diretti e indiretti.

Per indagare tale complessità, OCRA ha utilizzato un approccio di meta-ricerca, analizzando studi internazionali di psicologia organizzativa, gestione dei conflitti e organizzazione aziendale. Ciò ha permesso di identificare 60 fattori primari di rischio e di potenziale causa di conflitto all’interno di un’organizzazione, che costituiscono la base del test organizzativo OCRA.

I fattori esaminati comprendono elementi quali cultura organizzativa, politiche, gerarchia, stile di leadership, sistema di controllo e così via come pure aspetti individuali dei Collaboratori quali cultura d’origine,valori,personalità,ecosìvia.Ilrischio di conflitto deriva dall’interconnessione di tutti i fattori presenti, che definiscono nel loro insieme il panorama organizzativo.

Ad esempio, un’organizzazione fortemente orientata all’innovazione potrebbe aumentare il rischio di conflitto per la reazione negativa al cambiamento da parte delle persone coinvolte. La gestione proattiva del cambiamento può ridurre tale rischio, ma l’elevato grado di

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burocratizzazione interna può ostacolare gli interventi mentre la presenza di forme di sostegno individuale può avere un impatto positivo in un quadro sempre più ampio di reciproco influenzamento fra i vari fattori organizzativi ed individuali.

Questa visione sistemica è dove OCRA si distingue, offrendo un livello di lettura delle informazioni che va oltre la semplice valutazione del rischio complessivo di conflitto.

OCRA si pone dunque non tanto come strumento di previsione di eventi disfunzionali, quanto piuttosto come faro che promuove una consapevolezza più profonda delle sfumature organizzative e del sistema di gestione delle risorse umane. Una lente attraverso la quale le organizzazioni possono valutare la propria efficacia nella gestione dei potenziali conflitti e promuovere una cultura che mette i Collaboratori e le loro relazioni al centro di ogni processo decisionale e produttivo.

Entrando più in dettaglio nel modello OCRA, il test principale basato su 60 fattori di rischio è il nucleo di un ecosistema di strumenti in continua evoluzione e destinati ad aumentare. Al momento, vi si aggiungono il test per i team, basato su 10 fattori di rischio specifici per i gruppi di lavoro, il modello di analisi delle relazioni organizzative MATRIX, e l’analisi dell’efficacia delle strategie di intervento STAR, basata sul profilo di rischio che emerge dal test OCRA.

Il modello OCRA è primariamente rivolto a Professionisti desiderosi di portare la propria consulenza a nuovi livelli di precisione e impatto. Questo modello non solo valorizza ma ottimizza la strategia di intervento, aiutando a identificare con precisione le aree maggiormente a rischio e a ridurre proattivamente il potenziale conflitto e i suoi effetti disfunzionali, contribuendo

alla creazione di organizzazioni resilienti e performanti.

Questi i principali vantaggi per le diverse aree di consulenza.

GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

L’ottimizzazione dell’efficienza diventa un risultato più tangibile quando i consulenti HR utilizzano OCRA per identificare aree a rischio di conflitto, allocare strategicamente le risorse e prendere decisioni più basate sui dati. Il coinvolgimento e la performance dei Collaboratori aumentano mentre si sviluppa una cultura del lavoro positiva e collaborativa che li pone al centro di ogni processo decisionale e produttivo.

GESTIONE DEI CONFLITTI SUL POSTO DI LAVORO

Per i Consulenti specializzati nella gestione dei conflitti, OCRA fornisce un quadro di riferimento per l’erogazione di servizi su misura per le specifiche esigenze delle Aziende clienti. Ciò aumenta l’efficacia e consente di ottimizzare l’allocazione delle risorse con interventi più strategici.

ANALISI DEL CLIMA ORGANIZZATIVO

OCRA è una bussola per migliorare il clima interno affrontando gli aspetti che maggiormente riducono la collaborazione e la comunicazione e, di riflesso, il benessere dei Collaboratori. Ridurre il rischio di conflitto alla radice promuove un ambiente di lavoro più aperto, collaborativo e armonioso.

GESTIONE DEL RISCHIO

I responsabili dell’analisi e della gestione del rischio hanno a disposizione uno strumento completo per identificare potenziali rischi associabili ai conflitti interni, allineando le pratiche di gestione dei conflitti con i requisiti

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di governance tutelando la posizione legale e reputazionale dell’organizzazione.

CONTROLLO FINANZIARIO

Per i Controller finanziari, OCRA è utile nell’identificare i possibili effetti diretti e indiretti dei conflitti sul conto economico dell’Azienda, migliorando la sua governance e fornendo elementi oggettivi per decisioni più efficaci. OCRA consente anche una maggiore consapevolezza degli asset intangibili collegati alle risorse umane.

DUE DILIGENCE NELLE FUSIONI E ACQUISIZIONI

Nel contesto delle fusioni e acquisizioni, OCRA diventa un partner strategico identificando fattori di rischio che possono ostacolare la collaborazione delle compagini lavorative, aiutando a preservare

IL PRIMATO DEL PRIMATE

gli elementi positivi di ciascuna, con ciò garantendo un’integrazione più fluida.

SICUREZZA SUL LAVORO

In questo ambito OCRA individua i fattori di conflitto che possono generare pericoli per la sicurezza dei Collaboratori. La prevenzione dei conflitti è considerata come intervento prioritario anche per la riduzione dello stress lavoro-correlato.

SOSTENIBILITÀ

Per coloro che si occupano della sostenibilità dell’Impresa OCRA contribuisce all’impatto sociale, allinea le iniziative con i valori organizzativi, favorisce il coinvolgimento degli Stakeholder e protegge la reputazione sociale dell’Azienda.

In conclusione, il modello OCRA si pone non solo come uno strumento di analisi ma come un catalizzatore per un cambiamento positivo nelle dinamiche organizzative e trasforma la prevenzione e gestione dei conflitti da un processo reattivo ad un impegno proattivo e strategico

I Professionisti che utilizzano OCRA nella propria attività hanno l’opportunità di ottimizzare i propri servizi, migliorandone l’efficacia e il ritorno per il Cliente che vede benefici significativi: da un miglioramento del clima interno e delle prestazioni a significativi risparmi di costi.

Il modello OCRA non riguarda solo la gestione dei conflitti; ci aiuta a traghettare la cultura organizzativa verso un futuro più sostenibile.

Eugenio Vignali

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Intervista a Nando Pagnoncelli

Presidente di IPSOS Italia

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Presidente Pagnoncelli, lei è molto noto per essere uno dei principali attori nazionali nel settore dei sondaggi e delle ricerche demoscopiche, attività che svolge da 39 anni. Una domanda di fondo: quanto sono influenti i risultati dei sondaggi? Chi sono i più frequenti committenti/ fruitori del suo lavoro?

L’esperienza è davvero lunga e ho avuto il privilegio di potermi occupare di questo settore di attività nella fase in cui si è affermato nel nostro Paese.

Chi sono i committenti più frequenti? Innanzitutto il mondo delle imprese, trattandosi di vere e proprie ricerche di mercato realizzate con obiettivi molto diversi. Ci sono ricerche volte a misurare la soddisfazione dei consumatori, ricerche sull’innovazione del prodotto prima di essere lanciato sul mercato dato che un’azienda non si può permettere di rendere disponibile un prodotto con il rischio che questo non incontri aspettative, bisogni, desideri spesso latenti dei consumatori a cui sono rivolti. Parlo poi di ricerche sull’efficacia della comunicazione pubblicitaria, tese a testare l’idea creativa, la realizzazione della campagna per poi verificare ex post l’impatto della campagna stessa, il suo gradimento.

Poi ricerche sulla reputazione aziendale, altro aspetto importantissimo in decisa crescita in quanto è cambiato significativamente il concetto di responsabilità sociale dell’impresa nei confronti della società con i suoi diversi portatori di interesse, ossia non soltanto i clienti e i consumatori ma anche i propri dipendenti e collaboratori. Inoltre, ma non ultima, la consapevolezza della responsabilità nei confronti dell’ambiente, dei territori in cui le aziende operano e le responsabilità nei confronti degli azionisti.

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Nell’ambito delle ricerche ci sono anche altri committenti, come ad esempio le istituzioni e la politica. Queste ricerche tendono a voler ascoltare non il consumatore bensì il cittadino per conoscerne le opinioni, i suoi bisogni e le sue aspettative. Sono iniziative che possono in qualche modo contribuire al miglioramento complessivo della nostra società, utili a verificare se e quanto i cittadini hanno capito e come valutano un provvedimento legislativo o una riforma, oppure se ci sono degli elementi poco chiari o che richiedono interventi di comunicazione da parte dell’istituzione stessa per migliorare la familiarità del provvedimento adottato. In definitiva, la politica, per ragioni di consenso, ha bisogno dei sondaggi per conoscere l’opinione pubblica e le dinamiche sociali. Il sondaggio rappresenta quindi uno strumento di conoscenza che si rende necessario a fronte di una maggiore fluidità delle opinioni rispetto ai tempi in cui la fedeltà di voto e l’appartenenza politica erano decisamente più forti, quasi granitiche.

Poi c’è una terza importante categoria di committenti, costituita dai corpi intermedi, dai mondi associativi. Sono realtà non profit, rappresentatedaassociazioniditipodatoriale come Confindustria, Confartigianato, Confcommercio, CNA, Confagricoltura, come pure da associazioni sindacali. Solitamente richiedono ricerche sulla loro immagine, sulla loro reputazione, esattamente come nel caso delle aziende, ma con l’obiettivo di poter in qualche modo giocare un ruolo nel dibattito pubblico, nel dibattito sociale, oltre alle ricerche per conoscere lo stato di salute dei rapporti con i propri associati o iscritti oppure per capire come attrarne di nuovi. C’è infine un’altra categoria di possibili committenti di ricerca, che è il settore dei mezzi di informazione. Esso può riguardare trasmissioni radiofoniche o televisive

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piuttosto che una testata giornalistica allo scopo di misurarne il livello di lettura o di ascolto radiofonico, televisivo, di fruizione del mezzo.

Ora, ritengo opportuno sottolineare che chi fa questo mestiere deve essere guidato da etica, deontologia come pure da capacità di innovazione e di rigore metodologico. In un mondo che cambia rapidamente, in una società che è sempre più complessa da analizzare è necessario disporre di strumenti che siano in grado di individuare nel modo più corretto possibile le opinioni, gli atteggiamenti, i comportamenti. Quanto all’etica è fondamentale mantenere la più assoluta neutralità rispetto al proprio lavoro, indipendentemente dal tipo di ricerca ma, a maggior ragione, nel caso dei sondaggi elettorali e di opinione. Ad esempio nella messa a punto di un questionario si devono evitare domande tendenziose, si deve cercare di aggirare possibili rischi che derivino da un atteggiamento inconsapevole che molti esprimono - quella che noi chiamiamo la desiderabilità sociale - che porta alcune persone a rispondere in un modo che non corrisponde esattamente al loro pensiero, magari per evitare una brutta figura o per

voler dare una buona immagine di sé. Per questo motivo ad esempio, le domande dirette che riguardano comportamenti riprovevoli talora generano risposte non autentiche.

Ora vengo alla seconda parte della domanda: quanto sono influenti i risultati di un sondaggio?

Fin dall’inizio mi sono posto il problema di evitare che ci fosse un utilizzo strumentale del sondaggio che è diventato sempre più uno strumento di comunicazione, di propaganda, talora di manipolazione. Dobbiamo pensare che il sondaggio di opinione è uno strumento che ci consente di capire quali sono le opinioni dei cittadini rispetto a un tema. Ora, se i risultati di un sondaggio vengono utilizzati in modo strumentale, noi non possiamo impedirlo perché la responsabilità è in capo a chi lo comunica o lo diffonde.

Per quanto ci riguarda, noi non dobbiamo in nessun modo adulterare una realtà attraverso le lenti del sondaggio.

Per realizzare una ricerca demoscopica mediamente quante interviste fate?

Il numero varia in modo davvero molto ampio a seconda del contesto e del tipo di ricerca. Quindi il sondaggio d’opinione può variare da 1.000 a 500.000 interviste. Ma se ne possono fare anche meno, purché il campione sia estratto con metodo probabilistico e sia rappresentativo della popolazione adulta. Cosa intendo per rappresentativo? Significa che all’interno del campione vengono rispettate le giuste proporzioni per distribuzione di genere in classi di età, di titolo di studio, di area geografica, di tipo di comune (piccoli, medi e grandi comuni). E così via. Inoltre, molto dipende dalla disponibilità di investimento del Committente.

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Ad esempio, ci sono ricerche sull’occupazione in Italia che realizziamo per conto di ISTAT, basate su 100.000 interviste, mentre la ricerca sul risparmio delle famiglie italiane si basa su 30.000 interviste. La ricerca per misurare i livelli di ascolto radiofonico si basa su 130.000 interviste, considerando che le radio in Italia sono tantissime, sono centinaia e per ciascuna siamo chiamati a fornire dati di ascolto affidabili, perché da questi dipendono gli investimenti pubblicitari.

E, ancora, se si vuole misurare la soddisfazione dei clienti di una banca a livello di singola filiale, le interviste sono decine di migliaia. In definitiva, il numero di interviste dipende da quale è il livello di dettaglio di analisi a

cui si vuole arrivare.

Italia, capitale europea delle fake news. Come è possibile arginare il devastante fenomeno? E il sondaggio, avanzato strumento democratico, come è possibile sottrarlo alla strumentalizzazione politica?

Prima di tutto, cos’è una fake news? È una notizia completamente inventata. Su questo tema sono stato ascoltato da una commissione del Senato che mi ha interpellato per avere il punto di vista dell’opinione pubblica in materia. In IPSOS abbiamo fatto una ricerca importante sulle fake news, che ha evidenziato alcuni elementi su cui tutti dobbiamo riflettere.

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Su cos’è una fake news, credo siamo tutti d’accordo. Ma una notizia esagerata è una fake news? Una notizia strumentalizzata è una fake news? Ora, rientra nel diritto di espressione la possibilità di porgere la notizia nel modo in cui uno ritiene più opportuno farlo. È inevitabile che si debba fare una riflessione: se è possibile sanzionare le notizie totalmente inventate è molto difficile intervenire dal punto di vista legislativo sulla seconda tipologia, che non è meno pericolosa della prima. Proviamo a immaginare quello che sta avvenendo in Ucraina e a Gaza. La prima vittima della guerra è la verità, diceva Eschilo. Ripensiamo a cosa è successo e cosa si è detto durante la pandemia a proposito dei vaccini. Sull’argomento spesso circolavano notizie totalmente inventate riguardo ai possibili problemi che i vaccini avrebbero potuto causare. Ci siamo resi conto che in quel contesto non eravamo attrezzati per arginare le notizie fasulle. Seconda considerazione. Gli italiani pur considerando grave il problema delle notizie fasulle ritengono che riguardi più gli altri che se stessi, come se l’individuo si sentisse vaccinato rispetto alle fake news. Alla domanda “secondo lei gli italiani sanno

distinguere le notizie fasulle?” il 73% ha risposto “no”. Alla domanda successiva “Lei è in grado di distinguere le notizie fasulle?” il 59% ha risposto “sì”.

L’ultimo dato interessante sulle fake news affiora quando noi chiediamo: “Quando lei entra in contratto con una notizia fasulla, cosa fa?”. Risposta: “ La faccio girare a tutti i miei amici per dire loro che è fasulla e per metterli in guardia”. In realtà è un modo per propagare la notizia fasulla. Allora, come si può arginare il problema? Ci vogliono, a mio parere, da un lato, provvedimenti legislativi che sanzionino coloro che diffondono le notizie inventate. Viceversa, per quella tipologia di notizie esagerate e strumentalizzate temo che non ci siano molti strumenti. Ritengo infatti che sia estremamente difficile trovare un rimedio perché ancora una volta torniamo al tema della deontologia e dell’etica.

La seconda parte della domanda è se è possibile sottrarre il sondaggio alla strumentalizzazione politica.

Normalmente ci si deve attenere ai principi di correttezza professionale; ma se parliamo di competizione politica, anche il sondaggio diventa uno strumentoquando non una clava - da agitare di fronte all’avversario per far passare l’idea che la maggioranza la pensa in un certo modo legittimando la propria parte politica. Ma in democrazia la maggioranza decide anche se non sempre ha ragione. A ben pensarci in una delle più famose consultazioni popolari - Gesù contro Barabba - sappiamo che cosa ha voluto la maggioranza, ma forse qualcuno di noi ha il dubbio che non sia stata la decisione più giusta.

Dal 2004 lei insegna Analisi della Pubblica Opinione all’Università Cattolica di Milano Secondo lei come mai spesso l’opinione pubblica ha della realtà una percezione

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assai distante dalla realtà stessa? La ricerca demoscopica ci può aiutare a contenere questa distorsione percettiva?

Nel 2014 il gruppo IPSOS promosse un ciclo di ricerche realizzate in 14 Paesi per misurare la distanza tra la percezione delle persone intervistate e la realtà. Ponemmo domande molto semplici: “Secondo lei quanti sono gli stranieri presenti nel suo Paese? Quanti sono i disoccupati? Quanti sono gli anziani? Quanti sono.. ?”.

Misurando il livello medio delle risposte del campione di intervistati di ciascun Paese e confrontandolo col dato censuario, emerse che l’Italia era il Paese che mostrava la distanza più ampia tra percezione e realtà. Ad esempio, secondo gli italiani gli stranieri presenti in Italia rappresentavano il 30% della popolazione, contro il dato reale del 9%. Sui disoccupati la percezione fu del 40%, contro il dato reale del 10,4% dell’epoca. Le persone di oltre 65 anni fu del 48%, contro il dato reale del 23%.

I mussulmani presenti in Italia furono stimati al 20% contro il dato reale del 3%. E potrei continuare con tutta una serie di altri indicatori che in parte ci fanno sorridere, ma che invece ci devono preoccupare e indurci a riflettere.

Ma allora, quali sono i motivi alla base di questa distanza tra la percezione e la realtà? Le motivazioni per cui la distanza è così rilevante sono almeno tre. Il primo motivo, molto serio, è il livello di istruzione che in Italia è ancora davvero basso: siamo al quant’ultimo posto tra i paesi OCSE per percentuale di laureati tra 25 e 64 anni (19% contro il 37% della media OCSE). E anche riguardo alle competenze (linguistiche, matematiche, ecc.) siamo agli ultimi posti in Europa; è uno scenario che dovrebbe indurci a riflettere. Il secondo motivo è un aspetto che ha a che fare con il prevalere

delle emozioni sulla razionalità. Quando veniamo interrogati su un fenomeno che ci preoccupa, siamo portati inconsapevolmente a dilatarne la portata, quasi a voler in qualche modo esprimere la nostra preoccupazione per quel fenomeno. Basti pensare al tema degli omicidi: secondo due italiani su tre gli omicidi in Italia sono aumentati ma in realtà sono diminuiti in modo rilevante, però la nostra paura ci porta a dire che sono tanti e che sono in aumento: nel 2019, prima del covid, furono 317, nel 2021 sono stati 295; mentre nel 1991 furono 1.197, di cui il 37,5% per mano della criminalità organizzata; negli USA dove la popolazione è 6,5 volte superiore rispetto alla nostra, nel 2021 gli omicidi sono stati pari a 21.500, cioè 73 volte il numero degli omicidi perpetrati in Italia; nella sola Chicago (che ha una popolazione simile a Roma) nel 2021 sono stati 797, quasi il triplo degli omicidi in Italia.

Vengo al terzo motivo, la cosiddetta dieta mediatica: viviamo in un’epoca nella quale siamo immersi in un ecosistema mediatico molto ricco, molto articolato, dove ognuno di noi può scegliere tra numerose fonti informative rispetto alle generazioni precedenti. E un’opportunità straordinaria, ma analizziamone alcune dinamiche: la televisione mantiene una sua forte centralità; c’è un calo progressivo, molto forte, della carta stampata; c’è la crescita esponenziale di Internet, sia come accesso ai siti di informazione che come social network. Tutto questo come incide sull’informazione?

Prevale un’informazione di primo livello, molto superficiale, ancorché immediata. Ci limitiamo ai servizi del TG (che durano al massimo 90 secondi), ai titoli dei notiziari radio o a quelli dei giornali. Complici le fonti algoritmiche, entriamo in contatto solo con alcune notizie, ignorandone altre (magari più importanti). I social ci inducono a confrontarci solo con le persone che la

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pensano come noi (il cosiddetto effettobolla), il che ci porta a rafforzare i nostri pregiudizi e le nostre percezioni. Tutto ciò investe anche temi di grande complessità, dai conflitti in essere alle transizioni che dobbiamo affrontare (energetica, ecc.). Ecco quindi il paradosso: siamo più informati ma meno consapevoli, siamo più frequentemente in contatto con le informazioni ma siamo meno capaci di analisi, di senso critico, di discernimento.

Di tutte le persone che lei ha intervistato, quali l’hanno maggiormente impressionata? Perché?

È un po’ difficile fare un consuntivo in quasi quarant’anni di attività. Faccio viceversa un cenno al mondo dei giovani perché molto spesso la lettura che si dà di loro è stereotipata: sono chiusi, apatici, non hanno voglia di fare sacrifici. E così via. È una lettura errata, ingenerosa, eccessivamente severa.

È importante osservare come l’universo giovanile, che è molto articolato, non possa essere considerato come un’unica categoria. Categorizzare, anche in tal caso, è una tendenza molto frequente da parte nostra, senza riflettere che

tutti i gruppi sociali sono attraversati da molte differenze, da molte specificità. Per quanto riguarda i giovani, pensiamo al tema della loro partecipazione alla politica. Se guardo i numeri, osservo che tra i 18 e i 24 anni abbiamo registrato in Italia il più alto tasso di astensione elettorale alle elezioni politiche del 2022. Da un lato prevale il tema della frammentazione identitaria da cui deriva che la politica, a differenza dal passato, è un frammento dell’identità, e nemmeno il più importante; dall’altro c’è un concetto di politica che è assai diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti, ossia è una politica considerata lontana dalla vita di tutti i giorni dei giovani, è giudicata autoreferenziale. Ciò non significa che i giovani non partecipino alla vita sociale, basti pensare alla mobilitazione per temi quali l’ambiente, la violenza di genere o i conflitti. Ma questa partecipazione è considerata da molti giovani distinta e distante dalla politica.

Se lei fosse chiamato a evidenziare i 5 più importanti punti di forza del nostro Paese, quale sarebbe la sua classifica?

Ci sono, come dire, aspetti per i quali chi vive oggi in Italia non ha particolari meriti, ma che sono tratti importanti e importanti punti di forza. Partirei dal patrimonio culturale e paesaggistico del nostro Paese. Sono aspetti profondi che hanno a che fare con la nostra storia, con la nostra identità. Poi c’è il secondo aspetto che mi sembra importante: il capitale sociale rappresentato dalle oltre 360.000 organizzazioni non profit che operano nel Paese, dai 6,6 milioni di volontari. A costoro si aggiunge un dato importante: oltre un italiano su due effettua una donazione a sostegno di un progetto umanitario. E potremmo continuare ricordando le persone che si mobilitano per aiutare le persone colpite da calamità naturali come terremoti o inondazioni, la

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straordinaria realtà della protezione civile che è nata proprio in Italia.

Quindi il capitale sociale in Italia è una cosa di cui dobbiamo davvero essere molto, molto fieri.

Un terzo aspetto, che riguarda lo spirito imprenditoriale: solo il 20% degli italiani sa che siamo il secondo Paese manifatturiero d’Europa, dopo la Germania. E che nel nostro Paese operano più di quattro milioni di imprese. Un quarto elemento importante, dopo patrimonio culturale e paesaggistico, capitale sociale e spirito imprenditoriale riguarda un aspetto che viene molto riconosciuto agli italiani: il problem solving che vuol dire capacità di ingegnarsi per trovare soluzioni, anche di fronte a situazioni complesse.

E l’ultimo aspetto che mi piace sottolineare è la nostra attenzione crescente ai temi della sostenibilità, in particolare ambientale. Cito solo un dato: siamo il primo Paese in Europa per raccolta differenziata dei rifiuti. Noi abbiamo oltre l’80% di raccolta differenziata, ossia 30 punti in più rispetto alla media dei 27 Paesi europei. Questa situazione di eccellenza è nota solo al 10% degli italiani; il 51% non ci crede perché guarda le immagini dei rifiuti nelle grandi città, per esempio Roma o Napoli. A dimostrazione che purtroppo non siamo nemmeno in grado di valorizzare i primati di cui disponiamo. Ecco, tutto sommato penso che dovremmo essere fieri dei primati, largamente ignorati o ignoti agli italiani, che contraddistinguono un Paese di cui molto spesso noi parliamo male: una ricerca internazionale da noi iniziata nel 2016, e che continuiamo ad aggiornare ogni 2-3 anni, dimostra che l’Italia è molto più apprezzata all’estero di quanto non lo sia dagli italiani stessi.

A cura di Fabrizio Favini

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Nel mondo del management consulting da 50 anni, è consulente esperto di innovazione del comportamento, facilitatore e formatore per lo sviluppo del talento in Azienda. Migliora il rendimento del capitale umano

FABRIZIO FAVINI

favorendo la crescita di soddisfazione, motivazione, selfengagement, produttività.

Utilizza le neuroscienze per favorire l’acquisizione delle competenze sociali indispensabili

a modificare i comportamenti non più funzionali alla crescita sia dell’Individuo che dell’Azienda.

Oltre a numerosi articoli, ha pubblicato i seguenti libri: La Vendita di Relazione

(Sole 24ORE); La vendita fa per te (Sole 24ORE); Scuotiamo l’Italia (Franco Angeli); Comportamenti aziendali ad elevata produttività –Integrazione tra stili di management e neuroscienze (gueriniNext).

Editore di rivoluzionepositiva. com, Magazine On Line orientato al nuovo Umanesimo d’Impresa per la sostenibilità sociale, economica ed ambientale dell’Impresa stessa.

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AUTORI

È Presidente della Time to Mind

SA con sede a Lugano (società internazionale che gestisce una piattaforma telematica di Assessment e sviluppo multilingua (www.timetomind. ch) e docente alla Facoltà di Economia

GIAN CARLO COCCO

dell’Università telematica e-Campus di Economia del Capitale Umano e di Neuroscienze applicate all’organizzazione. È iscritto all’Albo degli Psicologi. Dal gennaio 1993 a tutto il 2006 è stato Presidente e fondatore della

società di consulenza IdeaManagement. È stato Presidente del Consorzio Costa Smeralda e docente della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi. La sua ultraquarantennale carriera professionale si è svolta prima in qualità di

manager aziendale, poi in qualità di imprenditore nella consulenza d’impresa e infine nell’insegnamento universitario. Ha pubblicato 25 libri nel campo del management, dell’organizzazione e del neuromanagement.

Gli ultimo libri pubblicati presso l’editore Franco Angeli sono: Time to Mind, Governare l’impresa con il capitale umano, Neuromanagement, Intelligenze manageriali, Life Management e Gestire un’Associazione.

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Dopo un decennio presso una realtà multinazionale lascia la carriera aziendale per dedicarsi alla libera professione come consulente alle

EUGENIO VIGNALI

imprese. L’interesse per la dimensione umanistica del mondo produttivo lo porta a integrare la propria formazione con competenze di counseling e coaching

neuro-relazionale e a restringere il proprio campo di intervento alle dinamiche interpersonali e alla gestione dei conflitti in ambito lavorativo, che affronta attraverso

la formazione e lo sviluppo delle competenze individuali. È coautore del libro I quattro passi per creare una relazione considerando il conflict management

come opportunità di crescita personale. È uno degli ideatori della certificazione Conflict-Positive Organization e del metodo OCRA - Organizational Conflict Risk Analysis.

AUTORI
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NANDO PAGNONCELLI

Da 39 anni

ricercatore sociale e di mercato è presidente di IPSOS, società leader in Italia nel settore delle ricerche demoscopiche.

Insegna “Analisi della

pubblica opinione” presso la Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Cattolica di Milano. È Consigliere di amministrazione di ISPI (Istituto per gli Studi di Politica

Internazionale), membro del Consiglio Direttivo e del Comitato Esecutivo di Touring Club Italiano e del Comitato Scientifico della Fondazione Symbola nonché del

Comitato Editoriale del web magazine Inpiù. Collabora con Giovanni Floris al programma Di Martedì e cura la rubrica settimanale Scenari del Corriere della Sera. È

autore di saggi su argomenti di attualità sociale. Nel 2019 ha pubblicato con Mondadori “La Penisola che non c’è. La realtà su misura degli italiani”

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Perché Rivoluzione

Positiva?

Un nuovo

Magazine On Line: informazione, conoscenza, saggezza.

Con l’enorme disponibilità di informazioni, resa possibile dalla tecnologia, la nostra vita è diventata molto più veloce e molto più distratta. Abbiamo creato i presupposti per cui il nostro cervello è meno preciso, fatica di più a concentrarsi. Perdiamo il focus attentivo sui problemi, divaghiamo mentalmente, siamo intermittenti e discontinui nel nostro modo di pensare e, quindi, nel nostro comportamento.

Siamo passanti frettolosi e distratti la cui soglia di attenzione dura 8 secondi; siamo meno concentrati dei pesci rossi che arrivano a 9, ci dicono gli esperti. Siamo diventati bulimici di informazioni, emozioni, immagini, collegamenti, suoni. Divoriamo il tutto in superficie senza gustare, approfondire, riflettere.

Oggi chi non si ferma a

guardare non vede; chi non si ferma a pensare non pensa.

Riscopriamo allora il piacere - o la necessitàdi riflettere, di pensare, di soffermarci per capire meglio dove stiamo andando per essere più consapevoli del nostro tempo, complesso e complicato, e del nostro ruolo, umano, sociale e professionale.

Se condividete queste nostre riflessioni, siete invitati a partecipare ad

una iniziativa virtuosa resa possibile dalla combinazione dei saperi e delle esperienze umane e professionali di un manipolo di Pensatori Positivi, profondi, competenti e sensibili interpreti del nostro tempo, che hanno deciso di contribuire a questo Progetto. Ad essi si uniscono autorevoli Testimoni Positivi. A tutti loro il nostro grazie! di cuore.

Il Comitato di Redazione:
MANIFESTO STUDIO BETTINARDI BOVINA DOTTORI COMMERCIALISTI E REVISORI CONTABILI STUDIO BETTINARDI BOVINA Dottori Commercialisti e Revisori Contabili Galleria Unione, 1 - 20122 MILANO, ITALIA Tel: +39 02 805 804 210 - Fax: +39 02 936 602 65 Via Bacchini Delle Palme, 1 - 37016 GARDA, ITALIA Tel: +39 04 562 703 11 studio@studiobettinardibovina.it
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Fabrizio Favini Edoardo Boncinelli Roberto Cingolani Enrico
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ALL’AUTORE
FAVINI:
HOMO RESPONSABILIS INTERVISTA
FABRIZIO
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