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MA CHE BEL CASTELLO!

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MODELLISMO

MODELLISMO

Ostia Antica Medievale e Rinascimentale. Un

Ostia Antica. Prima di entrare nell’area archeologica è una rocca poderosa, il Castello di Giulio II. Attorno, è un piccolo borgo medievale: mura antiche circondano poche case a schiera, tre strade, una piazza una chiesa. Il borghetto è quasi sconosciuto: i turisti ci capitano quasi per caso, attratti più dalle rovine di Ostia Antica che da questa piccola città seminascosta dal castello di Giulio II. Eppure ha una lunga storia altrettanto interessante. Di fronte al castello, è la chiesa di sant’Aurea, cattedrale di Ostia Antica. Oggi si presenta con forme della fine del 1400, ed è costruita probabilmente sulla tomba di Aurea, martire ad Ostia nel III secolo dopo Cristo: seppellita qui, perché qui in età romana doveva essere una grande necropoli, esterna alla città vera e propria. Per cui prima vi si seppellisce la Aurea, poi sulla tomba di lei si costruisce la chiesa, certamente in piedi alla fine del IV secolo dopo Cristo. Attorno alla cattedrale nasce la città medievale di Ostia e tutta la zona da necropoli (città dei morti) diventa un piccolo centro abitato (città dei vivi), un villaggio certamente molto meno esteso della grande città di Ostia di età romana, ma non per questo meno importante. Gregorio IV, papa tra 827 e 844, la fortificherà e la chiamerà con il suo nome: Gregoriopoli. Gregoriopoli diventerà un avamposto sulla strada di Roma, punto di passaggio obbligatorio per chi volesse arrivare in città, via fiume. Più di seicento anni dopo sarà necessario presidiare ancora meglio la zona con il Castello di Giulio II. Austero, imponente, tutto in mattoni, con una grande torre circolare e un fossato, è costruito da Giuliano della Rovere (poi Giulio II) tra 1483 e 1486. Nasce fortezza sulla riva del Tevere, perché il fiume passava esattamente ai suoi piedi, dove oggi corre la strada moderna. Nel 1557, un’alluvione cambia il corso del fiume e quel castello resta a secco: e si trasforma in una prigione. Potrebbe raccontare tante storie, quel castello. Scegliamone una, l’ultima legata alla difesa di Roma nella metà del XVI secolo.

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È la fine dell’estate del 1556. L’imperatore Carlo V rinuncia al suo impero a favore dei suoi figli: a Ferdinando I spetta il titolo di imperatore, nonché i domini ereditari di Casa d’Austria e le corone di Boemia e Ungheria. A Filippo II il titolo di re di Spagna, le colonie d’America, i regni italiani di Milano, Napoli, Sicilia e Sardegna. E assieme all’Italia, Filippo II eredita una bella gatta da pelare: un’altra guerra con la Francia. Una guerra dichiarata da un vecchio nemico della casa di Spagna, il papa Paolo IV Carafa. Naturalmente teatro della guerra è ancora una volta l’Italia. E, sul palcoscenico di questa grande storia, noi andiamo a trovare alcune comparse, recuperando fatti e personaggi solo apparentemente minori. Al servizio dell’impero di Spagna combatte Fernando Alvarez de Toledo, appena un poco più noto alla storia come il duca d’Alba. Nel 1556 con le sue truppe invade lo Stato pontificio, tentando di arrivare fino a Roma. E, per arrivare a Roma, anche Alvarez de Toledo deve passare per Ostia. Fernando Alvarez de Toledo risale il corso del Tevere e trova di fronte a sé quel castello di Giulio II costruito una settantina di anni prima in riva al fiume. Parola di Alessandro de Andrea, cronista di guerra contemporaneo agli avvenimenti raccontati: “Una gagliardissima muraglia, con due alte e fortissime torri per fianchi, quella di verso Tramontana rotonda, posta quasi sù l’acqua, l’altra all’incontro quadra, ambedue con spesse bombardiere, con un fosso d’acque non molto profondo sotto la muraglia.” Il duca d’Alba, allora, decide di muovere contro la rocca di Ostia il 23 ottobre del 1556 al comando di tremila armati, prevedendo un assedio lungo e difficile. Dentro la rocca è un giovane capitano trasteverino, Orazio dello Sbirro, al comando di 114 fanti romani. Viveri a sufficienza, una fortezza imponente, ma poche munizioni: su questo poteva contare dello Sbirro e su questo doveva contare dello Sbirro trovandosi di fronte i tremila armati del duca d’Alba. Affacciandosi dalla rocca di Ostia al mattino del 23 ottobre, Orazio dello Sbirro vede il corso del Tevere e – soprattutto – vede un brulicare di spagnoli nella pianura di Ostia, accanto alle rovine della città di età romana. Per sette giorni Orazio dello Sbirro vede costruire fortini con palizzate di legno, per sette giorni vede tendere un ponte di barche sul fiume, per sette giorni vede piazzare cannoni con la bocca rivolta verso il suo castello, consapevole del fatto che da quel castello dipendeva la difesa di Roma e del papato. Per sette giorni dello Sbirro può solo vedere: le munizioni sono scarse e vanno impiegate per resistere all’assedio, in attesa che ne arrivino delle altre. Da parte sua il duca d’Alba, non sapendo quale fosse la forza effettiva del suo rivale, prepara un’offensiva per vincere la battaglia e – se possibile – chiudere tutta la guerra: prendere Ostia significava prendere Roma e prendere Roma voleva dire battere il papa. Per cui, organizza le squadre, studia come attaccare il castello, chiama Bernardo Buontalenti da Pisa a costruire le fortificazioni e il ponte di barche. Il primo novembre del 1556 comincia a far bombardare a cannonate la rocca di Ostia. I muri potenti resistono e da dentro nessuna risposta se non qualche archibugiata sui soldati spagnoli, inevitabilmente a segno. Dopo quindici giorni di assedio e più di mille tiri, si apre una breccia in uno dei due torrioni, lasciando intravedere una cavità. Gli spagnoli esultano e si preparano ad entrare. Ma Orazio dello Sbirro, immaginando il tipo d’assalto, sa come rispondere. All’interno della cavità nel torrione fa costruire una barricata con botti, terra, mattoni lasciandovi feritoie rivolte verso la breccia aperta dalle cannonate spagnole. Trecento soldati del duca d’Alba vanno verso il fossato e cominciano ad entrare nel torrione. E se fino a quel momento nessuno dei castellani aveva sparato un colpo, ora è il finimondo: chi riesce ad entrare viene accolto a fucilate al pari di chi è rimasto fuori. La barricata voluta da Orazio dello Sbirro funziona egregiamente. C’è sconcerto nell’accampamento spagnolo. Non si riesce a comprendere la strategia degli assediati: prima lasciano danneggiare il castello e poi rispondono tutto in una volta. Sta di fatto che il duca d’Alba conta più di trecento morti. Si decide per un secondo assalto, questa volta co- mandato da un capitano: Alvaro d’Acosta. Parola di Alvaro d’Acosta, registrata dal solito Alessandro de Andrea: “Niente è difficile all’huomo, ogni volta, ch’ei si disponga à volerlo fare. Noi siamo al cospetto di tanti occhi aperti, non solamente della nostra natione, ma della straniera ancora”. È il 17 novembre del 1556 quando d’Acosta, dopo aver parlato, tenta di entrare nella rocca d’Ostia con i suoi uomini. Stessa tattica di avvicinamento per guadagnare la breccia nel torrione e stessa fine degli altri assalitori. Altri trecento morti: d’Acosta, con una palla nella gamba, morirà di cancrena. E a complicare le cose ci si mette anche una batteria del duca d’Alba che, per coprire le spalle alla squadra d’assalto, spara una bordata verso il castello colpendo castello e squadra. Le pallottole, si sa, non hanno occhi. Il duca d’Alba chiama gli uomini a ritirata: in due giorni ha perso un terzo della sua forza: pensa seriamente a lasciare l’assedio, non sapendo come avere ragione su una guarnigione che spara poco, ma quando spara, spara bene. Ma nel frattempo Orazio dello Si decide per un secondo assalto, volta co spara, spara bene. Ma nel Orazio dello

Sbirro ha tutt’altri pensieri: è riuscito a tener fronte a due assedi e non ha munizioni per sopportarne un terzo. Interpreta la ritirata del duca d’Alba come una pausa per sferrare l’ultimo e definitivo attacco e immagina la furia del nemico sul castello e sui suoi soldati. Probabilmente ha paura, si sente abbando- nato dallo Stato per cui combatte e nel quale crede, ma che non gli manda munizioni e rinforzi, e decide di alzare bandiera bianca. Il 18 novembre del 1556 un duca d’Alba incredulo occupa la rocca di Ostia e imprigiona dello Sbirro e i suoi 113 fanti sotto la torre maestra. Qui moriranno di stenti in 113 e non in 114: un fante era caduto durante l’assedio. E chi vuole andare a rivedere i luoghi di questa piccola storia, vada – allora – ad Ostia Antica. Il castello è ancora là, con la sua torre maestra e i suoi torrioni. Nel 1983, scavando vicino al castello, quasi di fronte all’ingresso agli scavi di Ostia Antica, ho trovato una barca a tre metri di profondità. Una barca piena di blocchi di tufo, affondata artificialmente sulla riva del fiume Tevere che passava proprio lì, sotto al Castello tra questo e la città romana. Oggi, la barca è tornata sottoterra e forse era il ricordo, l’ultimo ricordo materiale di quel ponte di barche teso sul Tevere per espugnare il castello di Ostia. Sul punto dove era la barca affondata, c’ è una cabina della corrente elettrica e in compenso non c’è più il Tevere, che un tempo lambiva la rocca: un anno dopo l’assedio e la morte di dello Sbirro, il Tevere cambia percorso in seguito a quella alluvione e si scava un letto a due chilometri dal luogo della battaglia. Sdegnato – dice una leggenda – dalla fine ingiusta del giovane capitano trasteverino.

Umberto Broccoli, archeologo, scrittore, conduttore radiotelevisivo, già sovrintendente ai Beni Culturali di Roma Capitale, docente universitario. Libri, articoli su riviste, quotidiani e settimanali. Da sempre legato alle Forze Armate. Vive tra accademia e palcoscenico, senza dimenticare lo sport: pallavolista nel secolo

Se fosse uno slogan, diremmo che esistono donne di tutti i giorni e donne che non ti aspetti. In entrambi i casi conosceremo donne che hanno dimostrato carattere, spirito di gruppo e coraggio, e le potremo incontrare al supermercato, in una corsia d’ospedale, oppure sul campo di battaglia. Arrivano da ogni tempo, e da ogni luogo del mondo. E hanno in comune una storia da raccontare, perché ogni donna di tutti i giorni è una donna che non ti aspetti.

Donne Di Tutti I Giorni

Sei una donna abituata a lottare per il prossimo, che non si risparmia e che antepone i bisogni degli altri ai propri. Una donna di tutti i giorni che si può incontrare in ospedale o per la strada. Un’eroina moderna. Nel tuo piccolo: unica. Ti sei sposata a diciannove anni e in poco tempo hai dato alla luce i maschietti con problemi comportamentali e traumi, che avevano bisogno di mamma eroina, tu sei anche una moglie e un medico. E quando tuo marito raggiunto come medico militare per aiutare il tuo paese. Ce ne vorrebbero tante di donne come te. Ti chiami Olga, e la guerra ti ha appena uccisa.

Olga Semidyanova, 48 anni, era già considerata una persona speciale prima un’eroina prima di scendere sul campo di battaglia, perché da sempre combatteva le sue battaglie in trincea, come medico che salva vite. Per questo il passo successivo non deve esserle apparso inconcepibile, ma probabilmente è arruolata unendosi al suo popolo per respingere l’invasione russa. Ha contivano proiettili, un lavoro all’ultimo sangue. Non che Olga non lo sapesse, o suo paese aveva bisogno d’aiuto e Olga non sarebbe rimasta a guardare, non mento era imminente, si doveva ripiegare immediatamente. Olga decide di chiamano mamma. Olga è una madre, una moglie, un medico, che ha dedicato la sua vita agli altri, e per gli altri ha dato la vita.

Donne Che Non Ti Aspetti

Sei sempre stata una signora molto coraggiosa, oltre che una grande artista, scialuppe di salvataggio per attraversare il mare e tornare nella terra in cui sei

Alessandra Startari

casa, e convinto di averlo ucciso si costituisce, per poi suicidarsi in galera. Tu

Maria Lai vita dedicata all’arte del cucire, il mettere insieme, legare altri col tutto. La sua re inosservata. Può essere calpestata, ma l’immagine del cielo si ricompone ma diventa altro, qualcosa che nessuno si aspetta. Tutto sembra evocare una to accaduto nella seconda metà dell’Ottocento. C’era una casa ai piedi della montagna, e quando il costone crollò la casa venne sotterrata insieme alle tre bambine che vi abitavano. Solo una di loro si salvò, era uscita per rincorrere

Scrittrice romana, giornalista dal 2004, da oltre vent’anni si occupa di attualità e società, cercando di indagare attraverso mirati programmi televisivi ce, conduttrice e curatrice, il sistema strati sociali, e i cambiamenti che subiAutrice di diversi articoli di successo e di documentari, con lo pseudonimo Alessandra Star ha pubblicato “Come miglior narrativa d’autore. “Amorever- peva bene che non solo la montagna e il dono sacro della leggenda avevano coraggio. Si trovano tra noi, basta voltare lo sguardo e le riconosceremo.

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