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Appendice I. Raccolta di interviste qualitative

Appendice I. Raccolta di interviste qualitative

Le cause della caduta del comunismo in U.R.S.S. Lo scopo di questa raccolta, che sarà, temo, molto frammentaria, è di farmi un’idea sul contributo che ha avuto l’atteggiamento, l’opinion e le aspirazioni della popolazione, nell’evolversi e nell’esito di questo drammatico evento. Dopo aver letto molti libri, che parlavano del rallentamento della produzione economica in U.R.S.S., della stagnazione, del ritardo dello sviluppo tecnologico rispetto al mondo capitalistico, del peso insostenibile della corsa agli armamenti in gara con gli USA ecc. Sono giunta alla convinzione che una delle cause principali che hanno portato alla caduta del comunismo nell’Unione Sovietica e nei paesi del patto di Varsavia stia nell’atteggiamento dei popoli interessati a questo fenomeno. Forse potrebbe trattarsi della causa determinante. Per concludere lo studio sulla caduta del comunismo, ho deciso di fare alcune interviste qualitative su questo soggetto. Comincio da alcuni russi che ho conosciuto al centro “Italia Russia Lombardia” che molto gentilmente si sono offerti di collaborare con me. Credo che questa intervista sarà un Focus purtroppo non parlo il Russo.

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Intervista a Natascia (mercoledì 6 ottobre 2004) Ecco fatta la mia prima intervista qualitativa. Ad aspettarmi, a parlare con me c’era solo Natascia. È un’insegnante di russo, che ha fatto studi universitari ad Odessa, sua città natale. Tendeva a parlare soprattutto delle condizioni attuali del suo paese: corruzione, disprezzo dei poveri, abbandono dell’infanzia, soprattutto a causa dei genitori alcolisti. Gli ex funzionari del partito sono ora proprietari delle fabbriche, sindaci, arricchiti a tutti i livelli, corrotti, viziosi, ostentano volgarmente la ricchezza e disprezzano vistosamente i poveri. Tornando in patria le è capitato di vedere in una scatola di cartone il cadavere di una donna, che per ore nessuno si curava di portar via. In un negozio ha saputo che si trattava di una ex cliente dallo stesso negozio, una professoressa universitaria caduta nella più assoluta miseria. Un’altra volta ha visto un prete ortodosso tirare un secchio d’acqua su un mendicante. L’orrore per la ricchezza del clero, per i traffici illeciti che esercita, e per la sua mancanza di carità, hanno suscitato in Natascia il desiderio di farsi cattolica. Parlando della caduta del comunismo della dissoluzione dell’Unione Sovietica, mi ha detto che le autorità e i mezzi di informazione sostenevano che con la fine del comunismo e con la separazione dell'Ucraina dall'U.R.S.S. sarebbe stato più facile giungere alla democrazia e soprattutto operare le successive riforme. La popolazione è stata convinta con la massima facilità. È stato fatto un referendum che ha sancito la separazione dell'Ucraina dall'U.R.S.S. Richiesta se avesse provato disagio o addirittura riprovazione nei confronti dell'ideologia e della prassi sociale del proprio paese, prima che si arrivasse alla crisi finale, Natascia ha parlato di piccoli episodi di corruzione, nell'ammissione degli studenti all'università e del contegno altezzoso delle alte cariche del partito e del sindacato ed anche di piccole vessazioni esercitate sulla gente comune da chi deteneva l'autorità. Il fatto che a Mosca si trovassero nei negozi generi che a Odessa mancavano le sembrava un'ingiustizia. Che alla sede centrale del P.C.U.S. il buffet fosse fornito di ogni ben di dio le pareva uno scandalo. L'esistenza di negozi riservati alle autorità e agli stranieri con generi introvabili altrove le sembrava più un'opportunità che un'ingiustizia. Quando le ho chiesto un ricordo lieto della sua vita mi ha parlato della sua infanzia. I genitori erano onestissimi e rispettati da tutti. Il padre ingegnere in una fabbrica, la madre ragioniera

nella stessa fabbrica. La casa bella e spaziosa, con una vigna nel cortile. Le sue compagne di scuola venivano tutte a giocare in casa di Natascia, in assenza dei genitori che erano al lavoro. Il maggior divertimento era la vasca da bagno, un raro privilegio a quei tempi. Facevano il bagno tutte insieme felicissime. Natascia era però rimasta scioccata quando aveva visto la casa di una sua compagna di scuola: una misera baracca, dove ogni famiglia viveva in una sola stanza, con un cucinino a cherosene nel corridoio comune e dove anche i servizi erano in comune. Un altro sintomo di disagio: in casa si parlava di certe notizie, che non dovevano uscire dalle mura domestiche. Un particolare agghiacciante. La mamma di Natascia era figlia di contadini; con l'avvento del comunismo aveva avuto la possibilità di diventare ragioniera. Quando aveva avuto un impiego lavorava in un posto dove tutti gli impiegati stavano in una grande sala. Quando arrivavano la mattina guardavano se mancava qualcuno, perché spesso i colleghi sparivano per sempre, prelevati dalla polizia segreta. In questo modo è scomparso anche l'amore della mamma di Natascia. Più tardi mi sono ricordata altre due cose che mi ha detto Natascia. Per adesso funzionano bene le biblioteche di Odessa: perché ci lavorano delle persone anziane che svolgono bene il proprio compito, accontentandosi di una piccola paga. Quando queste persone non ci saranno più, sarà assai difficile sostituirle. Quando Gorbačëv ha dovuto decretare lo scioglimento del partito comunista russo, Natascia e tutti gli altri erano curiosi di vedere che atteggiamento avrebbero avuto le loro colleghe iscritte al partito, che da anni le umiliavano con piccole angherie e con il loro senso di superiorità. Una di queste iscritte, il giorno successivo alla fine del partito, si è presentata al lavoro tutta vestita di nero.

Intervista a Olga (lunedì 11 aprile 2005) Venerdì scorso sono andata a casa di Carlo Bertelli e ho intervistato sua moglie Olga, originaria di Rostov sul Don. Questa signora crede nella metempsicosi. Circa nel 1976, quando aveva una ventina d'anni, si è convinta di essere vissuta a Genova in una vita precedente. Si è messa in corrispondenza con studiosi genovesi di storia. In questo modo ha conosciuto Carlo, l'ha sposato e si è trasferita a Genova, abbandonando la patria per sempre. Il mio interesse per questa persona, sta nel suo sentirsi completamente estranea, fin dal 1976, alla società in cui viveva. Da notare che la sua famiglia era colta, in buone condizioni finanziarie e ottima sotto ogni aspetto. Anche nel corso degli studi e del conseguimento della laurea in lettere, Olga non aveva incontrato nessuna difficoltà. Da dove veniva dunque questo senso di non appartenenza alla società in cui viveva? Nonostante le sue tendenze artistiche, nemmeno la musica russa le piaceva. Ho cercato di scoprire la causa del venir meno del suo senso di appartenenza alla sua società di origine. Olga non riesce a spiegare questo rifiuto della patria che con quel che lei chiama «karma». Si rifugiava nei sogni per sfuggire al grigiore della vita quotidiana. Olga mi ha però parlato della corruzione crescente: i burocrati accumulavano ricchezze con la frode, i giovani entravano nel partito solo per far carriera. I suoi genitori erano iscritti al partito perché, per il loro lavoro di giornalisti erano obbligati a esserlo. Parla di uno zio idealista e comunista fervente, che dirigeva una scuola di partito. È sempre rimasto povero. Quando è morto tutti lodavano la sua onestà: «Ecco un vero comunista!». Ma chi l'ha sostituito non era onesto come lui. Parlando delle cause della caduta del comunismo mi dice:

«La gente, prima della caduta del comunismo, aveva: casa, riscaldamento, acqua gratis o ad un prezzo irrisorio. Aveva ottime scuole gratis per i propri figli. Gli ospedali e le cure mediche erano anch'essi gratuiti, ma qui cominciava ad entrare la corruzione: la gente ricoverata in ospedale pagava sottobanco per essere curata bene e doveva portarsi i lenzuoli da casa. Anche le persone che si trovavano negli ultimi gradini della scala sociale, come le lavascale, potevano vivere senza privazioni e senza preoccupazioni. La gente era malcontenta perché vedeva l'ingiustizia dei privilegi dei burocrati. Costoro potevano accedere ai negozi riservati ad acquistare i generi di consumo migliori e più ricercati. La gente comune per avere la merce più desiderata e rara doveva fare sempre lunghe code oppure recarsi a Mosca. Gli addetti ai magazzini nascondevano la merce migliore e se la scambiavano fra loro. Solo alla fine del mese, dovendo completare le vendite, tiravano fuori la roba imboscata e così provocavano le code. La gente era stanca di tutto questo. Secondo Olga nemmeno Lenin andava bene perché non ammetteva che la gente la pensasse diversamente da lui. L'ultima cosa che mi ha detto è stata che fino a qualche anno fa fra la gente della sua provincia c'era molta solidarietà come fra i contadini. Si trattava infatti di gente che veniva dalla campagna. Adesso anche questo spirito di solidarietà è svanito.

Intervista a Irina, ucraina (23-4-2005, a Bologna, in casa di mia sorella Anna) Prima della caduta del comunismo in U.R.S.S. (Irina dice che per lei si deve parlare della fine dell'Unione Sovietica) vi era una grande differenza fra la possibilità di acquistare generi pregiati nelle città e quella di acquistarli nei paesi. Anche nelle zone di confine con Ungheria, Romania e Polonia era più facile trovare questi generi pregiati che nel resto dei paesi. Inoltre in queste zone privilegiate gli stipendi erano un pochino più alti, a parità di prestazioni. Questa situazione creava malcontento. Nelle zone di confine era più facile recarsi all'estero e poi esercitare commercio dei beni acquistati all'estero. Questa situazione creava del malcontento. Irina dice che il livello di istruzione della gente era molto alto e che tutti ascoltavano radio estere ma non approfondisce l'argomento. Durante il tentativo di colpo di stato del 19-8-1991, Irina abitava a 10 km. dal posto di villeggiatura di Gorbačëv. Ha avuto l'impressione che non fosse successo nulla. I moscoviti che erano in Crimea (l'80% dei villeggianti in Crimea provenivano dal resto dell'U.R.S.S.) erano preoccupatissimi per la notizia del golpe e scappavano verso le loro case alla massima velocità. È stato molto difficile allontanare Irina dal racconto delle sue attuali vicissitudini. Nell'Ucraina occidentale i russi erano malvisti da sempre. Tale regione ha fatto parte dell'U.R.S.S. dal 1939 (Trattato Molotov-Fon Ribbentcop). Durante l'ultima guerra è emersa, in una regione dell'Ucraina, la figura di un filosofo, contrario al bolscevismo e vicino ideologicamente al nazismo, si chiamava Parabanda. Costui si accorda coi tedeschi contro la Russia, aduna dei gruppi armati con cui combatte l'esercito russo. Vuole l'indipendenza del suo paese. Nelle regioni occupate dai tedeschi e dagli uomini di Parabanda vengono uccisi quanti si erano dichiarati favorevoli all'U.R.S.S. Quando i russi respingono i tedeschi, comincia la strage dei partigiani di Parabanda.

Parabanda finisce la sua vita nella Germania Ovest.

Intervista a Silvia Lupieri (15 ottobre 2007) Sono andata a Milano a passare una giornata con una amica di mia sorella Anna: Silvia Lupieri. Silvia è stata a Mosca dal 1965 al 1967. Volevo farmi raccontare da lei la sua esperienza moscovita, tra la fine del governo di Chruščëv e l'inizio .di quello di Brenziev. Silvia si era laureata in fisica all'università di Milano con una tesi in fisica nucleare e desiderava specializzarsi sui reattori nucleari. La sua vita a Mosca si è svolta per la maggior parte del tempo all'interno dell'università. L'università di Mosca (M.G.U.) è un grandissimo grattacielo, costruito su una collina, fuori dalla città. Vi si gode una bellissima vista sulla città e sul fiume. Nell'N.G.U. gli studenti frequentano le lezioni, studiano, hanno le biblioteche, possono fare i loro acquisti negli spacci che vi si trovano, possono praticare gli sport, dormono in piccole stanze, mangiano alla mensa o si fanno da mangiare nella propria stanza. In questo modo le occasioni di partecipare alla vita della città sono poche. Silvia ha alcuni ricordi sgradevoli della sua vita in Russia. Aveva l'impressione che ci fossero delle spie in giro per l'università e ha motivo di ritenere che nel miniappartamento che condivideva col marito vi fossero installati dei microfoni. Pensa che a lei a suo marito avessero dato un appartamento con i microfoni perché suo marito aveva dichiarato di essere giornalista. Silvia ricorda inoltre di aver patito la fame, perché il cibo era scarso e inadatto a chi veniva dall'Italia, inoltre per accedere alla mensa era costretta a fare lunghe code. Se cercava di comprare qualche cosa da mangiare fuori dall'università, i negozi erano brutti, molti prodotti alimentari non c'erano e l'orario di apertura spesso era incompatibile con i suoi impegni di studio. Anche nello studio le difficoltà non mancavano. Silvia era stata ammessa ai corsi post-laurea con il grado di aspirante. Le lezioni erano tenute in russo, anche i libri erano scritti in russo, mentre lei cominciava appena a prendere le prime lezioni di russo. Il livello della preparazione dei laureati russi, aspiranti come lei, era molto superiore a quello dei laureati italiani. I professori erano molto buoni e disponibili, consideravano Silvia un'alunna promettente e la incoraggiavano a studiare e dare esami di fisica quantistica relativistica per portarsi al livello degli altri: lavoro lungo e durissimo. Silvia avrebbe preferito seguire il genere di specializzazione che aveva intrapreso in Italia: la realizzazione pratica dei reattori nucleari. Non sapeva e nessuno le spiegava che in Russia questo genere di studi era coperto dal segreto militare. Tutti continuavano a consigliarle di seguire studi di fisica teorica, le applicazioni pratiche forse sarebbero venute dopo. Silvia, scoraggiata, finì per rinunciare alla borsa di studio e tornò in Italia dove, con molto profitto, si dedicò all'insegnamento. Durante la permanenza a Mosca Silvia ebbe modo di vedere bellissimi spettacoli teatrali. Ebbe un rapporto bellissimo con la sua insegnante di russo, con cui strinse una amicizia, che mantenne anche dopo essere tornata in Italia. Questa insegnante era una giovane signora, entusiasta della Russia e del comunismo. Era piena di fiducia nel futuro. Ammetteva che la repressione fosse una cosa orribile, ma con Chruščëv era stata pressoché eliminata e presto sarebbe stata eliminata del tutto. L'insegnante di russo aveva invitato Silvia a casa sua. Viveva in un appartamento

piccolissimo: due stanze e servizi, ci viveva col marito, la figlia e i genitori e ne era soddisfattissima. Diceva: «Sì, l'appartamento è un po' piccolo ma rappresenta un gran miglioramento da quando stavamo in più famiglie in una casa con servizi e cucina in comune e una sola stanza a nostra disposizione». La bambina era anch'essa felice e voleva studiare per diventare puericultrice. Il marito dell'insegnante di russo aveva pregato Silvia di portargli dall'Italia libri di critica al sistema sovietico. Nella facoltà di fisica dell'università, l'unico ambiente russo che aveva frequentato abbastanza a fondo, Silvia non aveva mai notato corruzione o favoritismi e disonestà. Al contrario aveva avuto l'impressione di grande rigore morale. Girando per Mosca aveva osservato che i bambini erano degli esseri privilegiati, più che in ogni altro posto al mondo. Anche i più piccoli giravano tranquillamente da soli per Mosca e gli adulti cedevano loro i posti a sedere negli autobus e nel metrò e li trattavano come propri figli. Silvia ricorda come un incubo le code fatte nei negozi, specie se si trattava di comprare qualche genere alimentare raro e ambito (es. pomodori).

Intervista a una giovane signora che gestisce un negozio di prodotti russi, a Bologna, vicino al mercatino della Bolognina (30 dicembre 2008) La sera del 30 dicembre 2008, il negozio era vuoto e questa giovane e graziosa signora ha acconsentito a parlarmi dei suoi ricordi del tempo della fine dell'U.R.S.S. A quel tempo la giovane viveva a Rostov, sul Don, sua città natale, e aveva 17 e poi 19 anni. Dopo gli 11 anni di scuola obbligatoria essa lavorava in un magazzino. All'epoca di Gorbačëv, i russi cominciarono, anche nelle città di provincia come Rostov, a portare abiti eleganti provenienti dall'estero, che all'inizio si potevano acquistare solo a Mosca, ma che più tardi arrivarono anche in provincia. Ai tempi dell'U.R.S.S. c'era lavoro per tutti. I negozi e le imprese cercavano operai e impiegati. I negozi esponevano lunghe liste dei posti di lavoro che avevano disponibili e stentavano a trovare il personale che gli era necessario. Nelle imprese, negli uffici e nei negozi il personale era in soprannumero: in 10 facevano il lavoro che avrebbe potuto fare una persona sola. Ogni lavoratore doveva arrivare puntualmente al lavoro e rimanere sul posto di lavoro le ore stabilite, ma poteva impiegare il tempo a chiacchierare, a fumare o a fare quel che voleva. Intanto Gorbačëv aveva condonato tutti i debiti che i paesi esteri avevano con l'U.R.S.S. Grandi feste celebrarono questo evento. Ma al contrario i paesi esteri esigevano i loro crediti dall'U.R.S.S. Poi improvvisamente tutte le fabbriche dell'U.R.S.S. divennero obsolete, con macchinari vecchi. Le fabbriche, le industrie cominciarono a chiudere. I disoccupati non trovavano lavoro. Anche la giovane donna da me intervistata si trovò a dover cercare un posto di commessa in un negozio. Giunta davanti al negozio che cercava una commessa, si accorse che c'era una lunga fila di giovani ragazze, che aspettavano che una di loro venisse scelta per quell'unico posto. Le aspiranti aspettavano a lungo, in mezzo alla neve, che era assai alta. Disgustata la nostra giovane se ne andò senza aspettare. Essa, nel periodo peggiore e tragico seguito alla fine dell'U.R.S.S., avendo pratica di commercio, riuscì a cavarsela perché andava a comprare e rivendeva la merce più ricercata. Mi ha raccontato una cosa che l'aveva colpita dolorosamente: nel frattempo era diventata madre di una bimba, una volta si era recata con la figlioletta al parco e aveva visto dei

pensionati, persone anziane assai perbene, che correvano a raccattare le bottiglie vuote di birra, che dei giovani gettavano in terra. I poveri pensionati raccoglievano le bottiglie per poterle rivendere per pochi centesimi. Le pensioni, all'epoca di Eltsin venivano pagate con molti mesi di ritardo. Gli stipendi e le pensioni erano resi miseri dalla svalutazione. La mia interlocutrice si è messa poi a parlare di Putin. Il governo di Eltsin aveva segnato il periodo più nero per la Russia. Con l'arrivo di Putin alla presidenza, tutto era migliorato. In particolare, se le pensioni venivano pagate con più di 10 giorni di ritardo, i cittadini potevano sporgere denuncia. Stipendi e pensioni aumentavano seguendo la crescita della svalutazione. Era possibile acquistare una casa facendo un mutuo presso le banche: il mutuo poteva venir pagato con comode rate anche in 30 anni. La mia gentile intervistata si lamentava del fatto che una commessa di negozio, dopo la fine dell'U.R.S.S., doveva lavorare molto di più di prima ed era obbligata a dar sempre ragione ai clienti, anche quando essi avevano torto.

Intervista a due fisici lituani, marito e moglie, che lavorano a Vilnius (Bologna, sabato 9 ottobre 2010) Il marito, Eugenio La caduta del comunismo è dovuta alla centralizzazione totale. Ogni decisione veniva presa a Mosca, anzi al Cremlino. Tranne che nel campo del piccolissimo commercio, tutte le iniziative per la produzione venivano trasmesse dall'alto. Anche adesso il passato regime ha lasciato nella popolazione una forte mancanza di iniziativa personale. Il regime comunista aveva molti aspetti positivi. Eugenio della guerra 1941-1945 non ha il minimo ricordo. Era nato troppo tardi per averla vista di persona. I genitori, i parenti, i conoscenti non gliene avevano parlato mai! Anche quando col XX congresso del P.C.U.S. Chruščëv ha denunciato i delitti di Stalin, c'è stata la fine del culto della personalità e dai campi e prigioni del Gulag sono tornati molti prigionieri e molti anche fra quelli già morti sono stati riabilitati: Eugenio non ne ha sentito parlare da nessuno. Il terrore regnava sovrano! Ai bambini veniva insegnato a scuola e dai media la storia del buon piccolo pioniere: «Il piccolo pioniere denunciava il padre anticomunista e il padre veniva messo a morte!?». Eugenio è nato in un paesino di campagna a 25 km da Vilnius. Si poteva andare a Vilnius con l'autobus, ma lui non ci andava quasi mai. I genitori di Eugenio erano anticomunisti e appartenevano a una famiglia di agiati agricoltori. Furono colpiti dalla collettivizzazione della terra nel 1939, quando col patto MolotovRibbentrop la Lituania cadde sotto l'influenza sovietica. Nel 1946 ci fu la grande repressione, con grandi deportazioni in Siberia. Il padre di Eugenio aveva temuto di venire anche lui deportato e si era preparato alla partenza. Ad una domanda sul periodo di Andropov, Eugenio mi risponde che il governo di Andropov è durato assai poco e poca è stata l'influenza positiva che ha avuto. Con l'avvento di Gorbačëv in U.R.S.S. finalmente il popolo lituano ha parlato! Qualcuno ha finalmente potuto comprare un'automobile! Qualche mese prima della caduta del comunismo, Gorbačëv era venuto a Vilnius per presenziare ad un congresso di scienziati ed è rimasto molto stupito di sentire che tutti volevano l'indipendenza dall'U.R.S.S. Tutti! Gorbačëv è andato nei kolkos e anche lì tutti volevano l'indipendenza. Tutti!

Con la caduta del comunismo in Lituania tutto è successo in senso quasi sempre positivo, ma anche qualche cosa di negativo c'è stato. Qualcosa è cambiato, qualcosa no. Le scuole e gli ospedali, il servizio sanitario, erano meglio col comunismo. Dalia (moglie di Eugenio) È nata a Danea, piccola città della Lituania di 30.000 abitanti a 100 km da Vilnius. Anche a lei nessuno ha mai parlato della guerra e neppure del XX Congresso del P.C.U.S. Il terrore regnava sovrano. La radio trasmetteva l'esempio del bravo piccolo pioniere che denunciava alle autorità il padre anticomunista. Il padre veniva poi messo a morte?! Nessuno parlava davanti ai bambini. Anche adesso nelle campagne lituane è rimasto il terrore: i contadini cedono senza proteste la propria terra ad un amministratore che desidera appropriarsene. Il governo di Andropov non aveva cambiato nulla. Gorbačëv aveva cercato di cambiare l'economia. Con lui c'era la libertà e l'inizio di un certo libero mercato. Finirono le requisizioni (senza pagare) di prodotti agricoli nelle campagne. Nasceva nel paese la speranza di indipendenza economica. Col regime comunista, se un contadino non consegnava il grano (alle autorità governative) veniva ucciso. Non esisteva lavoro privato. L'economia andava a rotoli. La distribuzione nel mercato era inefficiente: ora una merce, ora l'altra venivano a mancare. Quando i rappresentanti del partito comunista lituano si recarono a Mosca davanti al parlamento sovietico e chiesero l'indipendenza dal partito comunista dell'U.R.S.S., fu uno shock enorme per tutti i presenti. Il partito comunista lituano divenne indipendente. L'indipendenza fu accompagnata da grande gioia popolare e grandi feste. Ma arrivarono a Vilnius i carri armati sovietici e furono uccise 11 persone e furono occupate da russi invasori radio e televisione. Il giorno dopo da Vilnius le autorità hanno chiesto aiuto in tutte le lingue. Gorbačëv ha dichiarato di non sapere nulla dell'invasione delle forze armate russe. La repressione russa è durata un solo giorno. Alla prima domanda sul perché della caduta del comunismo, Dalia ha risposto con sicurezza che si tratta di una ragione economica.

Intervista a Rita Safiullina (marzo 2012) Rita è originaria di un villaggio sui monti Urali nella regione della città di Ufa. Rita è tartara, la sua famiglia sarebbe di religione musulmana, ma né a scuola né a casa, prima della caduta del comunismo, Rita non ha mai sentito parlare di religione. A scuola le insegnavano a credere nel comunismo e nell'Unione Sovietica: questa fede la rendeva orgogliosa ed entusiasta. Per andare a scuola Rita doveva percorrere a piedi circa 2 o 3 km di strada. Quando passava, coloro che lavoravano nei campi la conoscevano e la salutavano. La scuola era dotata di una buona biblioteca, i libri erano gratuiti, anche la scuola superiore e l'università erano gratuite. Tutte le attività sportive e artistiche erano gratuite e venivano incoraggiate. Gli scolari oltre a studiare dovevano occuparsi anche seriamente di lavori agricoli. Ogni classe doveva coltivare un appezzamento di terreno e, nel periodo in cui i lavori nei campi erano più impegnativi, gli scolari lasciavano gli studi per aiutare i contadini dei Kolchoz, per circa un mese. La scuola era anche severa. Se il fazzoletto rosso da pionieri non era ben stirato, gli scolari erano puniti. Tutte le settimane gli scolari venivano radunati nel cortile: tutte le classi. Gli scolari che

avevano preso cattivi voti venivano rimproverati pubblicamente e dovevano giustificarsi. Periodicamente, come si trattasse di un gioco, gli scolari facevano delle esercitazioni militari. Suonava la sirena, coloro che in 2 minuti non erano riusciti a mettere la maschera antigas, venivano esclusi dall'esercitazione perché considerati già morti. Gli altri sparavano con i kalashnikov, vere raffiche di proiettili: fermi in piedi, correndo e sdraiati in terra. Le ragazze si esercitavano anche con bende e materiale sanitario a curare i feriti. Il padre e la madre di Rita erano operai in una grande fabbrica di farina (un mulino?). I bambini non possedevano giocattoli. I vestiti erano solo quelli dei magazzini di stato: poco eleganti e tutti uguali. Si poteva avere un solo paio di scarpe all'anno e bisognava tenerle da conto. C'erano tante statue di Lenin e di Stalin. Gli sposi dopo la cerimonia di nozze portavano fiori alla statua di Stalin. Fra la gente c'era chi si arricchiva rubando, ma per paura di essere scoperto, conduceva una vita molto modesta e viveva in case più brutte di quelle degli altri. All'epoca di Gorbačëv, con la crisi la fabbrica di farina non poteva più pagare gli operai, distribuiva loro della farina. La farina era assai commerciabile perché poteva essere trasformata in vodka. Negli ospedali non c'erano più medicinali. Ma in campagna nessuno patì mai la fame. Con la caduta del comunismo tutte le statue di Stalin sono state distrutte, quelle di Lenin no. Si sono costruite dappertutto moltissime chiese cristiane e moltissime moschee. Coloro che si erano arricchiti rubando e che nascondevano le loro malversazioni vivendo come se fossero più poveri degli altri, dopo la caduta del comunismo, si misero ad ostentare allegramente la loro ricchezza. Rita ebbe gran dispiacere della fine del comunismo, della fede e dell'orgoglio negli ideali che le erano stati inculcati a scuola. Non sa fare alcuna ipotesi sul perché l'U.R.S.S. sia implosa. Ritiene che Lenin sia stato assassinato.

Intervista a Maria Balncik (marzo 2012) Maria Balncik ha circa 37 anni, è originaria di un paesino di campagna in Ucraina. I genitori di Maria erano contadini che vivevano in un Kolchoz con due figliolette. Oltre a lavorare come stipendiati nel Kolchoz, i genitori di Maria coltivavano in proprio un ettaro di terra come orto, possedevano una mucca, un vitello e animali da cortile. La madre faceva anche la fotografa e suonava la chitarra. Il padre e la madre di Maria erano due stakanovisti, avevano una vera e propria religione del lavoro. Per questa loro meritevole attività ricevevano dalle autorità: riconoscimenti, onorificenze, somme di denaro e dolci per i bambini in occasione delle feste. La mamma, per premio del suo stakanovismo, aveva potuto fare un viaggio in Polonia e aveva potuto regalare a Maria un magnifico paio di stivali: una grandissima gioia per la ragazzina, che era obbligata a portare stivali di pezza, molto più brutti di quelli delle sue compagne di scuola, perché i genitori, sempre impegnatissimi a lavorare, non avevano tempo per andare in città a comprarle abiti e scarpe migliori. I genitori pretendevano anche dalle figlie, che pure amavano teneramente, il massimo impegno nello studio e nel lavoro. Le ragazzine, anche se accusavano qualche malessere, dovevano andare a scuola. Per andare a scuola bisognava percorrere 2 o 3 km a piedi. Maria era molto studiosa e il suo rendimento scolastico era buono, ma era terrorizzata dalla scuola, perché gli scolari che facevano errori, ad esempio nelle tabelline, venivano picchiati; inoltre ogni settimana tutte le classi venivano schierate nel cortile e gli scolari che andavano male nello studio venivano svergognati e costretti a giustificarsi davanti a tutti. Gli alunni venivano impiegati anche in attività manuali: dovevano provvedere alla pulizia della scuola e venivano impiegati nei lavori agricoli.

I libri e tutto il materiale scolastico erano gratuiti, la scuola aveva una bella biblioteca, anche le scuole di grado superiore e l'università erano gratuite, così come tutte le attività culturali e sportive. Fra studio e lavoro i bambini non avevano tempo per giocare e i genitori non avevano tempo da dedicare ai figli. I bambini che venivano dalla città, quelli giocavano! Il padre e la madre di Maria erano dei grandi risparmiatori. Mettevano tutti i loro risparmi su libretti di risparmio a nome delle figlie, che, raggiunta la maggiore età, avrebbero potuto riscuotere quei soldi che, essi speravano, sarebbero stati un bel capitale. La società in cui viveva la famiglia di Maria aveva degli aspetti molto positivi. Fra la gente c'era una grande solidarietà: quando qualcuno ammazzava il maiale regalava parte della carne ai vicini. Per Maria la religione costituiva un grosso problema. La mamma era molto religiosa e le faceva frequentare la chiesa. Le pratiche religiose, dopo la guerra, non era più proibite per legge in Unione Sovietica, ma erano contrarie alla ideologia e alle direttive del partito. Per pasqua Maria partecipava alla grande e bellissima funzione notturna della chiesa ortodossa. La mattina dopo la maestra le chiedeva se era andata in chiesa, la giovanetta rispondeva sinceramente di sì e veniva aspramente rimproverata e punita: la punizione più grave era l'esclusione dell'organizzazione giovanile dei pionieri. La fine del comunismo. Con l'avvento di Gorbačëv venne limitato l'uso della vodka. Ogni adulto aveva diritto a 2 litri di vodka al mese. Il padre di Maria si lamentava di questa restrizione e non vedeva l'ora che le figlie diventassero maggiorenni: così avrebbe potuto bere almeno 8 litri di vodka al mese: i suoi 2, i due della moglie e i 4 delle figlie. Poi ci fu, del tutto imprevista dai poveri diavoli, la fortissima svalutazione del rublo. I direttori di banca e i dirigenti dei Kolchoz provvidero per tempo a cambiare in dollari il denaro che avevano accumulato, ma gli altri persero tutti i loro risparmi. Il padre di Maria andò a protestare col direttore della banca locale, senza alcun risultato. Col precipitare della crisi del sistema, il Kolchoz non aveva più denaro per pagare lo stipendio ai lavoratori e così li pagava con della farina. Ciò andava abbastanza bene, perché la farina con cui si poteva fabbricare la vodka, era assai ben commerciabile. Anche quando il sistema crollò completamente, in campagna non si patì mai la fame come in città. I dirigenti del Kolchoz, col denaro accumulato più o meno onestamente e cambiato in dollari a tempo debito, comprarono la terra e le macchine agricole e diventarono grandi proprietari terrieri. Agli operai agricoli, che lavoravano nei Kolchoz, vennero assegnati in proprietà piccoli appezzamenti di terra. Questi ultimi e con essi anche la famiglia di Maria divennero piccoli proprietari terrieri, non avevano però la possibilità di usare le macchine agricole. Per coltivare il suo piccolo podere, il padre di Maria comprò un cavallo: così la famiglia poteva campare. C'era però la difficoltà di vendere i prodotti della terra. La città era lontana, se veniva qualcuno a comprare le derrate alimentari, andava bene; se no bisognava venderle al grande proprietario, ex direttore del Kolchoz, che le pagava un prezzo irrisorio. Così vivono ancora i vecchi genitori di Maria; il papà suol dire: «Si stava meglio quando si stava peggio!».

Intervista all'ufficiale dei bersaglieri Pietro Crosio (18 dicembre 2010) Mi trovavo ricoverata alla clinica neurologica di S. Martino per un leggero ictus, vi ho conosciuto questo personaggio con l'aspetto di un ufficiale di grado superiore e di un eroe. Pietro Crosio era ricoverato per un ictus assai più grave del mio, è stato molto gentile con me

ed ha consentito a farsi intervistare. Pietro Crosio, durante la II Guerra mondiale, ha fatto la campagna di Grecia e poi quella di Russia, combattendo come ufficiale nel corpo dei bersaglieri. Mi ha parlato di tanti suoi ufficiali che, compromessi col fascismo, dopo la guerra si sono rifugiati in America e specialmente a Barilocio in Argentina. Mi ha raccontato anche di essere andato ad Asiago a trovare Rigoni Stern. Pietro Crosio si è trovato, con i suoi soldati sulla riva destra del Don a difesa delle postazioni italo-tedesche, quando i Russi hanno sfondato il nostro fronte ed hanno dato inizio all'operazione a tenaglia per chiudere nelle sacche i nostri soldati. Era il dicembre 1043. Crosio e i suoi uomini hanno opposto durissima resistenza allo sfondamento dell'esercito russo ma poi hanno dovuto cedere. Per un certo tempo ebbero in consegna un gruppo di prigionieri russi, con cui avevano fatto fraterna amicizia. Li hanno lasciati liberi augurando loro di raggiungere le proprie case, spesso non lontane e di salvarsi dalla persecuzione che Stalin riservava agli ex prigionieri , considerati disertori: forse la taiga li avrebbe protetti. Molte delle famiglie russe conosciute da Pietro Crosio mancavano del padre di famiglia, portato via dalla polizia. Bastava che un operaio che si era schiacciato un dito col martello imprecasse “Porco Stalin” per venire deportato. Pietro Crosio mi raccontò questa storia singolare. Nel villaggio natale dell'autore de “Il placido Don” (Michail A. Šolochov) aveva conosciuto la famiglia di un tecnico geniale che aveva inventato qualche cosa di molto importante. La sua invenzione era stata adottata, ma lui era stato messo a morte proprio a causa di questa invenzione. Le figlie erano due ingegneri. Una di queste, poiché figlia di un condannato a morte, era stata discriminata e mondata a fare l'ingegnere in una miniera di carbone. L'altra figlia faceva come tutti l'apprendistato nell'estrema Siberia. Questa storia era stata raccontata a Pietro Crosio dalla vedova dell'inventore geniale.

Intervista alla contadina Maria a sua figlia Valentina Ho conosciuto Maria e Valentina alla comunità di Sant'Egidio dove collaboro alla distribuzione dei vestiti e dei panini per i poveri. Maria e Valentina erano venute a Sant'Egidio soprattutto per farsi dare dei vestiti da vendere in Russia quando si recavano in visita al villaggio natio. Maria è nata nei primi anni '60 in un villaggio nel distretto di Penza, città su un affluente del Volga. La madre di Maria le raccontava che i tedeschi non hanno conquistato Penza semplicemente perché, essendo una città chiusa, non era segnata sulle carte geografiche. Città chiuse sono quelle dove ci sono fabbriche di armi e fabbriche ad alta tecnologia. Sugli abitanti delle città chiuse vengono esercitati controlli severissimi, chi lavora in queste fabbriche non può lasciare la città e non può avere contatti con gli stranieri, neppure dopo anni che ha lasciato il lavoro. I parenti che vengono a visitare gli abitanti debbono esibire un permesso speciale. Ancora oggi metà di Penza è una città chiusa. Prima della rivoluzione la famiglia di Maria possedeva la proprietà di un paese dall'estensione abitativa di 9 chilometri quadrati e possedeva anche una grande estensione di terra intorno al paese, con boschi e colline. Il nonno di Maria era il pope del paese. Tutta la famiglia di questi grandi proprietari era molto amata dagli abitanti per la carità che faceva. Quando c’è stata la rivoluzione i parenti di Maria non hanno lasciato la Russia, sono rimasti e vivere in un villaggio lontano 9 km. dal paese di cui erano stati proprietari. Altri loro parenti sono fuggiti all'estero e non se n’è saputo più nulla. Maria andava a scuola nel paese: la scuola era situata nell'antico palazzo dei suoi nonni.

La strada che dal villaggio dove viveva Maria conduceva al paese non era asfaltata. Maria andava a scuola in bicicletta nella bella stagione, in inverno la portava suo padre col cavallo. La madre di Maria ha visto i soldati tedeschi solo dopo la fine della guerra. Questi soldati tedeschi erano prigionieri di guerra: erano adibiti alla costruzione delle strade. Anche la strada asfaltata che oggi collega il villaggio di Maria al paese fu costruita da loro. Nel dopoguerra le famiglie russe di quella regione avevano pochissimo da mangiare ed i bambini andavano ad elemosinare il cibo dai prigionieri tedeschi. Alcuni di questi prigionieri davano parte del loro cibo ai bambini, altri gli tiravano delle pietre. Molti di questi tedeschi piangevano. La strada che collega Samara sul Volga e Mosca fu interamente costruita dai prigionieri tedeschi; ne morirono moltissimi: un morto per ogni metro di strada costruita! Per questa ragione la strada da Samara a Mosca viene chiamata la strada delle lacrime. Uno degli zii di Maria sparì inghiottito dalle purghe di Stalin. Questo zio era un intellettuale e un comunista: di lui non si ebbero più notizie. Con l'avvento di Gorbačëv i soldi che la madre di Maria aveva risparmiato sono scomparsi con la svalutazione del rublo. Il marito di Maria ha lavorato per due anni senza ricevere lo stipendio. Con l'avvento di Gorbačëv bisognava pagare la scuola, perché la maestra si faceva pagare con dei regali dalle famiglie degli scolari e per comprare i libri occorreva un mezzo stipendio. Adesso, quando Maria torna al suo villaggio, è soggetta alla prepotenza dei militari, che possono arrivare perfino ad uccidere il possessore di una bell'automobile per impadronirsene. Era quello che prima facevano i comunisti! Vicino al paese di Maria ci sono della cave di pietra. Ai tempi del comunismo vi lavoravano i forzati del gulag. Adesso gli abitanti dicono di sentire nei boschi i lamenti degli antichi forzati. Maria mi ha raccontato anche storie che mi sembrano assolutamente fantastiche. Quando è morta Raissa, la moglie di Gorbačëv, tutte le donne battevano le mani in segno di gioia. Raissa era un'assassina: uccideva le sue cameriere per il minimo errore e ne faceva sparire i corpi. Maria riteneva sicura questa notizia, perché l'aveva appresa da un giardiniere di Raissa. Maria era convita che Gorbačëv avesse rubato personalmente tutto il denaro che il popolo russo aveva perduto durante la sua presidenza dell'U.R.S.S. Mi sembra invece credibile questa notizia: Maria mi ha raccontato di aver conosciuto un uomo che ai tempi delle purghe di Stalin era incaricato di uccidere i condannati a morte. I condannati a morte erano così numerosi, che a quest'uomo faceva male il braccio a furia di sparare con la pistola.

Io (Marcella) Ho trascorso a Mosca le vacanze di Natale del 1965: erano i tempi di Brèžnev. Ero andata a raggiungere mia sorella Anna che si stava specializzando in chirurgia. Mi ospitava il collegio universitario per studenti di medicina dove viveva mia sorella: un edificio del primo Novecento, in un quartiere chiamato Park Kuntury. Era un alloggio comodo anche se piuttosto spartano. Preparavo da mangiare nella cucina comune del collegio e facevo la spesa nei negozi del quartiere. Mosca era una città ordinata e pulita. Ottimi i mezzi di trasporto pubblico. I negozi non concedevano nulla alla pubblicità e avevano un aspetto misero. Facevo regolarmente la spesa. Il cibo era ottimo, specialmente i latticini. Buona ma tagliata molto male la carne. Ottimi i polli. Scarse e poco variate la verdura e la frutta. I nuovi prodotti alimentari a cui la gente non era abituata, ad esempio i carciofi, venivano lanciati con réclame

luminose sulla cima dei grattacieli. La gente per la strada era triste ed imbronciata e si vedevano numerosi ubriachi seduti lungo i marciapiedi. Tutti erano vestiti in modo spartano ma pulito e caldo. Tutti avevano l'aria di essere ben nutriti, i bambini specialmente. I bambini godevano di cure e di una libertà che non esistono in nessun'altra città del mondo. Sempre coccolati dalle nonne, anche in tenerissima età si spostavano tranquillamente da un punto all'altro di Mosca, anche in metrò, per andare a pattinare in qualche giardino pubblico o per soddisfare qualche altro loro desiderio. Questi bambini si muovevano in perfetta sicurezza, perché tutta la cittadinanza prodigava loro le cure parentali. Se un bambino cadeva per terra, tutti correvano a rialzarlo. Se nasceva una rissa fra ragazzini, la gente correva a separare e rimproverare i contendenti. Nei negozi i commessi trattavano i clienti in modo rude e sbrigativo. Quando il negozio stava per chiudere, uno degli impiegati si metteva sulla porta per impedire alla gente di entrare, dicendo: «Sacrit, sacrit» (chiuso, chiuso). I clienti spingevano per entrare avanzando a testa bassa, come un gregge di pecore. Il commesso li cacciava via spingendoli col pugno sul petto. In genere tutta la popolazione di Mosca pareva prendere molto a cuore l'ordine ed il buon comportamento di ciascuno. Quando mi trovavo nella necessità di chiedere la strada a qualcuno, da tutte le parti arrivava gente che si dava da fare per farmi superare le difficoltà dovute alla mia scarsa conoscenza della lingua. Nei negozi le code per essere serviti erano rigorosamente rispettate. Tutto questo indicava chiaramente un ottimo senso della socialità e della moralità pubblica.

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