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II.5 La fine della N.E.P. Il I piano quinquennale. La collettivizzazione della campagna
giungere, sia pure in una lontana prospettiva, all’estinzione dello stato.
II.5 La fine della N.E.P. Il I piano quinquennale. La collettivizzazione della campagna
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Alla fine degli anni Venti la Russia venne a trovarsi isolata sul piano internazionale, mentre il pericolo che i grandi paesi industrializzati le muovessero guerra si faceva sempre più concreto. Nel novembre del 1925 il trattato di Locarno ravvicinava Francia e Germania, poneva fine alle lacerazioni fra le nazioni europee divise dalla guerra mondiale e segnava l’isolamento dell’Unione Sovietica. Un colpo di stato nel 1926 aveva portato al potere in Polonia Piłsudski, nemico dichiarato dell’U.R.S.S. Si alzavano voci che invocavano una crociata europeo contro il comunismo. Tutta la borghesia europea, che aveva sconfitto il proletariato nel proprio paese e teneva saldamente in mano il potere, considerava il bolscevismo come il peggiore dei mali da combattere con ogni mezzo. Stalin, con altri dirigenti del governo, del partito e delle forze armate, percepiva, con grande preoccupazione, il pericolo di aggressione contro la Russia. Questa fu la ragione che spinse Stalin a rompere l’alleanza con Bukharin, che era uno dei creatori della N.E.P. e sostenitore di un progetto di democratizzazione. Stalin si alleò con la sinistra per lanciare il progetto dell’industrializzazione forzata, necessario e vitale per far raggiungere il più rapidamente possibile alla Russia il livello delle grandi potenze europee nel campo dell’industria, soprattutto pesante, e degli armamenti. Era ugualmente necessario che lo stato avesse il controllo dei rifornimenti di vettovaglie e uomini, senza dipendere dalla volontà dei contadini46 . Il progetto dell’industrializzazione forzata richiedeva ingenti risorse. Non si poteva sperare che queste risorse venissero donate spontaneamente dai paesi industrializzati, perché la reazione aveva trionfato ovunque. La possibilità di ottenere crediti dall’estero era scarsissima, perché come si è detto una delle prime decisioni del governo rivoluzionario al potere era stata quella di denunciare il debito estero. Le risorse per l’industrializzazione forzata dovevano essere reperite nella Russia stessa, imponendo al popolo enormi sacrifici: i contadini sarebbero stati le vittime principali di questa politica. Nel 1927 Stalin abbandonò la politica della N.E.P., che, benché non priva di difetti, aveva ben funzionato, per volgersi all’intensificazione dell’offensiva contro i Kulaki, tornando ad elementi dell’economia di guerra e alle requisizioni di grano e derrate nelle campagne.
46 Losurdo 2008, spiega la politica dell’industrializzazione forzata e della collettivizzazione delle campagne con la necessità di difendere il paese minacciato nella sua esistenza dalle grandi potenze capitaliste.
Questo voltafaccia gli suscitò contro il malcontento dei leader del partito e dell’apparato statale favorevoli a Bukharin, ma Stalin, nella sua lotta dissimulata e tenace per il potere, aveva messo nei posti chiave uomini a lui fedeli e riuscì a prevalere. Nel marzo 1928, posto termine alla politica della N.E.P., Stalin lanciò il primo piano quinquennale, per trasformare nel più breve tempo possibile la Russia, paese agricolo ed arretrato, in una grande potenza industriale e per collettivizzare l’agricoltura. All’inizio del primo piano quinquennale, Stalin non prevedeva che una collettivizzazione molto limitata dell’agricoltura, ma le misure prese in questo senso, benché modeste, incontrarono una dura resistenza della maggior parte dei contadini. I rapporti fra la campagna e la città peggiorarono. Dura fu la risposta di Stalin che dichiarò: «Non possiamo, col pericolo di guerra (c’era allora la prospettiva di una aggressione giapponese) sopportare che la campagna ci tenga la rivoltella puntata alla tempia» e dette ordine di collettivizzare il 40% della terra con rigore amministrativo47 . Di qui partì la guerra contro i contadini, con incalcolabili perdite di uomini, vettovaglie, beni e servizi, deportazioni di massa e la conseguente morte di milioni di cittadini sovietici di tutte le nazionalità. Per realizzare l’industrializzazione forzata la campagna avrebbe dovuto fornire grano e vettovaglie in cambio di nulla; fino a quando l’industria nascente non sarebbe stata in grado di fornire alla campagna, in quantità apprezzabili, i prodotti industriali che le erano necessari. La guerra contro i contadini si accanì ferocemente anche contro la loro cultura. Nell’autunno 1928 si scatenò un vero e proprio terrore antireligioso. In ogni villaggio la collettivizzazione si accompagnava alla chiusura della chiesa locale. Le icone e gli altri oggetti di culto venivano bruciati, chi tentava di opporsi veniva deportato. Tutti i monasteri, che erano aziende agricole modello, furono chiusi. Milioni di monaci furono deportati in Siberia. Chiese, monumenti e icone di inestimabile valore artistico vennero distrutte. Fra i religiosi le vittime furono decine di migliaia. Durante la guerra civile erano stati uccisi tutti i vescovi. I membri della chiesa ortodossa, che negli anni ‘20 erano 60.000, nel 1941 si erano ridotti a 6.665. Fra i religiosi uccisi c’erano anche i preti cattolici, i mullah musulmani e i rabbini. La persecuzione religiosa ebbe tregua solo quando, nel gennaio 1930, il papa Pio XI invitò tutti i credenti a pregare per i credenti perseguitati in Russia e proclamò il 16/3/1930 giornata di preghiera collettiva per i martiri della fede nell’Unione Sovietica. L’iniziativa del papa ebbe un enorme successo; vi aderirono tutte le chiese cristiane di qualunque confessione. L’opinione pubblica esigeva in tutto il mondo la rottura dei rapporti
47 Lewin 2003.
diplomatici con l’U.R.S.S. Stalin fu costretto a fermare il terrorismo antireligioso e il giorno prima del 16/3/1930 fece pubblicare sui giornali la condanna degli eccessi antireligiosi. Con il più sfacciato uso della menzogna, Stalin dette la colpa alle sole autorità locali degli eccessi antireligiosi. La soppressione della religione segnò la sconfitta della cultura contadina. Scomparvero anche le ultime tracce dell’obscina, l’antica struttura sociale della campagna, che i socialisti rivoluzionari avevano sognato divenisse il modello della futura società socialista. Se la guerra alla religione subì un colpo di arresto, non fu così per la guerra contro i contadini che si opponevano alla collettivizzazione della terra. I contadini, che erano la grandissima maggioranza della popolazione, intrapresero a loro volta una vera guerra contro lo stato48; i kulaki erano i più combattivi. Se venivano costretti ad entrare nei Kolchoz, fattorie collettive statalizzate, sterminavano il loro bestiame, piuttosto di vederlo diventare proprietà dello stato. I contadini erano destinati alla sconfitta, perché incapaci di darsi una organizzazione. Furono costretti ad entrare nei Kolchoz, a lavorare gratis in cambio della speranza di sopravvivere. I prodotti agricoli andavano consegnati allo stato. In caso di cattivi raccolti sarebbero stati i contadini e non le città a soffrire la fame. Solo più tardi ad ogni famiglia contadina venne data la possibilità, all’interno dei Kolchoz, di coltivare e gestire in proprio un piccolo appezzamento di terra e di possedere alcuni animali da cortile. La collettivizzazione della terra fu un colpo terribile per la produttività dell’agricoltura, una delle cause della carestia che, nell’inverno 1932-1933 colpì l’Ucraina meridionale, il nord del Caucaso e le regioni del Volga. I più colpiti dalla guerra dello stato contro la campagna furono i kulaki. Nel 1930 fu istituita una commissione per risolvere il problema dei kulaki: nel febbraio dello stesso anno il governo approvò un decreto che divideva i kulaki in 3 categorie: I categoria: coloro che erano disposti a collaborare col governo: costoro non potevano venire a far parte delle fattorie collettive (i Kolchoz) e venivano esiliati nella regione in cui abitavano; II categoria: quelli che non collaboravano e venivano esiliati in regioni lontane e inospitali e privati di mezzi di sussistenza; III categoria: erano i kulaki considerati ribelli al governo: questi dovevano venire fucilati immediatamente e indiscriminatamente. Il totale dei kulaki classificati in questa terza categoria è stimato fra i 5 e i 7 milioni.
48 Nel 1929, 13.794 attivisti bolscevichi inviati nelle campagne furono uccisi dai contadini (Romano 2002). I contadini deportati fra il 1930 e il 1931 furono 1.800.000 fra cui 400.000 nella regione di appartenenza, gli arrestati furono 3.900.000, i fucilati 21.000.
La dekulakizzazione ebbe aspetti atroci. I bambini cui erano stati uccisi i genitori vagavano per la campagna cercando di mendicare e di nutrirsi di corteccia d’albero. Boris Pasternak, che, agli inizi degli anni ‘30, aveva intrapreso un viaggio nelle campagne per scrivere un libro sulla vita nei Kolchoz, parla di condizioni di vita talmente misere e inumane da non trovare parole per descriverle e dice di essersi ammalato a causa dello shock subito49 . Service50 afferma che i contadini morti durante la dekulakizzazione furono 4-5 milioni. Zavlasky, che somma ai morti della dekulakizzazione quelli morti a causa della carestia del 1932-1933, parla di 10-14 milioni di morti51 . Secondo Roy Medvedev52 la deportazione dei kulaki non fu un completo sterminio: infatti dopo la II Guerra mondiale, quando fu concesso loro di tornare, molte famiglie di kulaki fecero ritorno nelle regioni di origine. Durante la guerra civile era stata la popolazione delle città a trasferirsi in campagna per trovare il cibo per sopravvivere. Durante la collettivizzazione forzata e specialmente durante la carestia furono i contadini a fuggire in città per sopravvivere. Durante la carestia del 1932-1933 il numero dei contadini affamati che radunavano le ultime forze per raggiungere le città, era tale che le stazioni erano affollate da questi miseri. Ogni mattina quelli che erano morti, e perfino i moribondi, venivano caricati su dei carri e seppelliti in fosse comuni. I soldati della milizia rossa davano la caccia ai transfughi per respingerli verso le campagne devastate. Per porre fine all’esodo dalle campagne, il governo istituì il passaporto interno nel 1932. Ogni cittadino doveva dichiarare la propria nazionalità di appartenenza. Venne così assegnata a ciascuno l’appartenenza a una repubblica dell’Unione Sovietica, con i conseguenti obblighi e privilegi. Ai contadini non venne assegnato il passaporto interno, che era necessario per ogni spostamento: essi furono così privati della libertà di movimento, che nel 1906 era stata loro concessa da governo zarista53
49 Medvedev 1976. 50 Service 1999. 51 Zaslavsky 1995. 52 Medvedev 1976. 53 Con l’istituzione del passaporto interno i contadini non possono cambiare residenza. Se una industria fa richiesta di mano d’opera, i contadini che accettano questa offerta di lavoro vengono trasferiti nella città dove ha sede l’industria. Questi contadini trasferiti in città, non godono dei diritti degli altri cittadini e non possono cambiare il posto di lavoro. N.B.: Il passaporto interno non fu negato solo ai contadini ma anche ai nobili, agli ex capitalisti e alle persone private dei diritti elettorali. Costoro furono obbligati a lasciare le grandi città per stabilirsi in piccoli centri di provincia, dove sopravvissero lavorando come impiegati.