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Prefazione
Prefazione
Perché mi sono messa nell’impresa, per me assai difficile e faticosa, di scrivere questo saggio? Cercherò di spiegarlo. Fin da ragazzina le mie simpatie andavano ai comunisti, anche se del comunismo sapevo molto poco. Da studentessa fuori corso, partecipai alle manifestazioni del 30 giugno 1960 a Genova, poi mi iscrissi all’A.N.P.I. ed infine al P.C.I. Non ho mai studiato e approfondito i testi del marxismo e del leninismo, ma leggevo i giornali, ascoltavo la radio, andavo alle manifestazioni, seguivo le conferenze e partecipavo attivamente alle azioni volte a sostenere: l’U.R.S.S., Cuba, la guerra di liberazione combattuta dal popolo vietnamita contro gli Stati Uniti e tutti i movimenti di liberazione dei popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina. Quando all’inizio del 1991 l’Unione Sovietica è implosa mi sono molto meravigliata, ma non ne ho affatto sofferto. Troppi miti avevo visto cadere nel corso della mia vita per non essere corazzata contro una nuova delusione! Contrariamente a quanto pensavano gli altri, ero convinta che la fine dell’Unione Sovietica fosse una catastrofe ed ero certa che, prima dell’avvento del governo di Gorbačëv e della perestrojka, la gente vivesse meglio nell’U.R.S.S. che nel mondo così detto libero, dove imperava l’economia di mercato. Ritenevo e ritengo tuttora che sia necessario studiare le cause e lo svolgimento dell’implosione del regime sovietico, prima di ripartire verso la costruzione di una società ideale, dove non ci sia oppressione di un popolo su un altro popolo, né lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Proprio come ad un alpinista che voglia raggiungere una vetta ancora inviolata, è necessario studiare le cause delle catastrofi che hanno travolto le cordate di quanti hanno tentato l’impresa prima di lui. Del tutto impreparata a compiere questa impresa, volevo evitare di mettermi a studiare per acquisire la preparazione necessaria. Avevo pertanto pensato di rivolgermi ai grandi intellettuali dell’ex partito comunista e di convincerli ad affrontare tutta la parte storica ed economica relativa a questa impresa. Io mi sarei limitata a mettere a loro disposizione la mia scarsa preparazione scientifica, per realizzare calcoli statistici, i grafici, ecc. Mi sarebbe piaciuto molto che si costituisse un gruppo di lavoro: io avrei seguito le discussioni e fornito i contributi di cui sarei stata capace. Sarebbe stato bellissimo se questo gruppo di lavoro fosse diventato un gruppo di amici con cui intrattenersi piacevolmente. Mi rivolsi, per questo scopo, ad Alessandro Natta: persona onestissima, grande intellettuale, teorico del marxismo-leninismo, fedele a Stalin e alla linea del partito comunista sovietico. Nell’estate del 1993 Alessandro Natta si trovava in una sua casa di campagna vicino al
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Melogno, io ero in villeggiatura in un alberghetto ai Giovetti, sopra Calizzano. Mi sembrò una buona occasione per andare a cercarlo. Molto intimidita e spaventata dalla mia stessa audacia, andai a trovarlo. Natta era circondato da una simpatica compagnia di amici. Era piegato in due da dei gravi disturbi di tipo reumatico.1 L’idea di uno studio sulla caduta del comunismo in Russia non lo interessò affatto. «Il comunismo in Russia prima c’era, ora non c’è più», disse con aria allegra, come se parlasse di un gioco di prestigio ben riuscito «non c’è bisogno di studiare un bel nulla!» Delusa e scoraggiata, cercai di trovare altri collaboratori per il mio progetto, ma, forse perché mi rivolgevo a personaggi di sinistra, nessuno aveva voglia di partecipare alla mia impresa. Era come chiedere ad un medico di assistere all’autopsia di un suo paziente! Ormai mi ero affezionata a questo mio progetto e, poiché sono molto ostinata, mi decisi ad andare avanti da sola. Per acquisire, almeno in parte, la cultura necessaria, seguii per un paio di anni le lezioni di economia politica all’Università di Genova. Per me lo studio dell’economia politica era faticoso e difficile, ma andai avanti coraggiosamente, finché mi accorsi che l'economia politica insegnata all'Università era molto inaffidabile: infatti contrabbandava per risultati scientificamente certi, conclusioni ottenute con un metodo che di scientifico non aveva assolutamente nulla. Gli economisti di cui parlavano buona parte del professori universitari, fanno uso con grande disinvoltura di formule e diagrammi di tipo matematico, ma quando vi introducono i dati sperimentali non tengono in alcun conto dell'incertezza (errore statistico) che questi dati necessariamente contengono, che viene trasmessa ai risultati finali ed alle conclusioni a cui si giunge. Vedevo inorridita i professori tracciare sulla lavagna dei grafici dove i dati sperimentali erano rappresentati da puntini, mentre avrebbero dovuto essere rappresentati da delle crocette (più probabilmente da dei crocioni). Nemmeno il fatto di giungere, con questo metodo, a risultati del tutto contrastanti con la realtà, scoraggiava il professore che ci teneva le lezioni. Infatti con l'applicazione di queste teorie, un professore, una mattina, aveva dimostrato che se una città ricca commercia con una città povera in regime di libero scambio, entrambe le città accrescono la loro ricchezza. Poi ci aveva raccontato che un intraprendente studente degli Stati Uniti era andato a vedere cosa succedeva nella realtà e aveva scoperto che con uno scambio commerciale di questo tipo la città più ricca accresce la sua ricchezza mentre quella più povera si impoverisce sempre più. Stanca e scoraggiata mi sono messa a seguire dei corsi sociologici, meno fuorvianti e molto più facili e divertenti. Nello stesso tempo mi sono messa a leggere tanti libri che trattavano
1 Il clima del Melogno era il peggiore per lui.
della storia della Russia, dell'Unione Sovietica, di Stalin, della guerra 1940-1945, del dopoguerra e della caduta finale del sistema sovietico. Ho poi cercato in tutte le opere di Karl Marx i riferimenti sull'avvento della rivoluzione comunista vittoriosa e su come avrebbe dovuto essere la società dopo la vittoria della rivoluzione. Nella vastissima opera di Marx, che confesso di aver letto pochissimo, questo argomento occupa uno spazio estremamente ristretto. La scelta di Marx di non approfondire il tema della futura società comunista è perfettamente giustificata: non si può anticipare uno studio scientificamente valido su avvenimenti futuri. Anche Marx riteneva che i suoi studi sociali ed economici fossero scientificamente validi2 . Anarchici, socialisti, socialdemocratici e rivoluzionari appartenenti a varie correnti di pensiero, contemporanei di Marx, descrivevano quale avrebbe dovuto essere la società dopo la vittoria della rivoluzione. Una società completamente egualitaria, senza classi sociali, dove ciascuno avrebbe lavorato secondo le sue capacità per il bene comune e avrebbe ricevuto secondo i suoi bisogni. La proprietà individuale sarebbe stata abolita e non ci sarebbe stato il denaro. (Tutta questa parte del programma era già stata realizzata perfettamente nelle riduzioni dei gesuiti in Sud America, per il periodo di 150 anni in cui queste comunità erano riuscite a sopravvivere). Ma nel progetto di società futura dei comunisti, degli anarchici e di tutti i rivoluzionari c'era dell'altro: l'abolizione di ogni tipo di autorità di un uomo su un altro uomo e l'estinzione dello stato. Nella società post-rivoluzionaria non ci sarebbe più stato sfruttamento e miseria, il lavoro volontario di tutti avrebbe portato il benessere ovunque e le guerre non avrebbero più avuto alcuna ragione di esistere. Con le estinzioni degli stati non ci sarebbero più stati né confini né frontiere. Durante il corso della sua lunga vita, Marx aveva ripetutamente assistito agli esiti tragici delle lotte con cui il proletariato aveva provato a combattere il capitalismo, o anche solo a migliorare le proprie condizioni di lavoro. Infine Marx aveva assistito alle stragi con cui si era conclusa l'esperienza della Comune di Parigi. Il ripetersi di queste tragedie aveva modificato le idee di Marx su come doveva essere la rivoluzione che avrebbe aperto la strada al comunismo e sulla forma di governo che doveva seguire immediatamente alla rivoluzione vincitrice. La rivoluzione avrebbe dovuto necessariamente essere sanguinaria: «Le armi al popolo!» Alla vittoria della rivoluzione non sarebbe seguito immediatamente l'avvento del comunismo. Sarebbe stata necessaria la dittatura del proletariato. I governi borghesi, secondo Marx, avevano la funzione di opprimere i molti a vantaggio dei
2 Riman e Labucevski avevano perfettamente chiarito quale sia la validità scientifica della geometria e in genere di tutte le teorie ipotetico-deduttive e quali ne siano i limiti quando queste discipline vengono applicate alla soluzione di problemi pratici.
pochi. La dittatura del proletariato avrebbe esercitato l'oppressione dei molti sui pochi. La funzione della dittatura del proletariato sarebbe stata quella di sopprimere la classe dominante di industriali, grandi proprietari agricoli, banchieri e la pletora di funzionari, impiegati, militari e poliziotti che sosteneva la detta classe dominante. Non si trattava di eliminare fisicamente proprio tutti costoro, ma era necessario che scomparissero come classe dominante. Dolo dopo che la dittatura del proletariato avesse svolto questo compito, si sarebbe giunti all'estinzione dello stato e alla realizzazione del comunismo. Marx, al pari degli anarchici, riteneva che immediatamente dopo la vittoria della rivoluzione il denaro avrebbe smesso di circolare ed il valore delle merci sarebbe stato calcolato in base al numero di ore socialmente necessarie per produrle. Dopo aver letto molti libri sull'argomento che mi interessava, mentre continuavo a cercarne e leggerne degli altri, cominciai a scrivere il mio saggio. Per dare un ordine alla materia che volevo trattare, scelsi il criterio cronologico che mi parve il più congeniale alla mia cultura ed alle mie capacità. Contemporaneamente avevo intrapreso la raccolta di interviste qualitative, fatte a quanti potevo incontrare, che avessero vissuto in prima persona l'esperienza del comunismo nell'U.R.S.S. e della sua fine. Questa attività mi era stata suggerita da un corso di sociologia applicata che stavo seguendo all'Università. Le interviste qualitative contengono spesso notizie del tutto inaspettate. Le più interessanti sono quelle fatte a persone provenienti dall'immenso e remoto mondo della campagna sovietica. Dopo aver scritto come meglio potevo la storia dell'U.R.S.S., dalla I Guerra mondiale all'implosione finale del regime sovietico, dopo aver letto tutti i libri che ho potuto trovare sull'argomento, sempre con la massima attenzione alle cause che possono aver aperto la strada al crollo finale, ecco arrivato il momento di verificare se, prima della caduta del comunismo, la gente vivesse meglio nell'Unione Sovietica che nel mondo capitalista (la mia ipotesi iniziale!). Con mia delusione, non trovai nessuno disposto ad aiutarmi a raccogliere ed elaborare i dati statistici necessari a questa verifica. Finalmente, grazie all'aiuto di gentilissime bibliotecarie e di gentili bibliotecari, ho scoperto nella biblioteca Amilcare Cabral di Bologna un libro francese che mi è stato utile: L'état du monde. Annuaire économique et géopolitique mondial. In questo libro sono riportarti i dati statistici che riguardano il benessere ed il tenore di vita dei vari popoli del mondo verso la fine degli anni '80: speranza di vita, mortalità infantile, possibilità di accesso alle cure mediche, alfabetizzazione, grado di istruzione3 e numero di
3 Le statistiche che riguardano il grado di istruzione della popolazione indicano gli anni che i giovani trascorrono frequentando le scuole, non quello che vi imparano. Ciò che ne limita in parte la validità. Ricordo che uno dei miei amici, per far apprendere ai suoi bimbi una lingua straniera, assumeva come babysitter
libri pubblicati, ecc. Per elaborare questi dati finalmente in mio possesso è necessario l'uso del computer. Mi sono messa alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarmi e finalmente mi sono rivolta ad un mio lontano cugino che lavora come tecnico alla facoltà di ingegneria, Marco Galiani. Miracolosamente tutto è cambiato: per mio cugino sono una persona importante, la figlia del professor Lelli, ricordato con grande stima ed affetto da tutti. Marco Galliani mi ha aiutato, con entusiasmo e competenza. Mentre elaboravamo le statistiche, chiacchieravamo piacevolmente evocando vecchi ricordi di famiglia fra caffè e pasticcini. Il risultato di questa indagine statistica è quello che avevo intuito fino dall'inizio: prima dell'avvento della perestrojka, la gente viveva meglio nell'U.R.S.S. che nel mondo libero! Eccomi giunta alla fine del lungo lavoro. Spero che esso possa essere utile a chi voglia ritentare l'impresa di attuare il comunismo nel mondo. Il tragico fallimento di un'impresa non significa che questa non possa essere realizzata con pieno successo. Basta pensare ai tentativi di volo umano senza l'ausilio di un motore. Quanti hanno tentato come il leggendario Dedalo ed il figlioletto Icaro di volare come gli uccelli! Hanno costruito delle specie di ali, se le sono applicate alle braccia e, attrezzati in questa guisa, si sono lanciati da una torre sfracellandosi al suolo. Fino a che gli studiosi stabilirono che mai un uomo avrebbe potuto imitare il volo degli uccelli, perché il rapporto fra la capacità muscolare ed il peso corporeo è molto più piccolo nell'uomo che negli uccelli. Questo ragionamento era sbagliato. Con la capacità muscolare delle ali un uccello può innalzarsi in volo, ma non può affrontare la lunga trasvolata di una migrazione. Il piccolo corpo non può contenere l'energia necessaria a compiere il lungo viaggio e neppure a sostenerlo in aria per il tempo necessario. Gli uccelli migratori, come i falchi che vediamo sostare alti nel cielo, non sfruttano l'energia muscolare ma le correnti ascensionali dell'aria ed il vento. Anche gli uomini hanno potuto volare senza l'ausilio di un motore quando hanno imparato a fare altrettanto. Oggi, con gli alianti, gli sportivi percorrono tranquillamente grandi distanze. Forse anche la leggenda di Icaro si riferisce, come spesso accade, ad un avvenimento reale. Spero sinceramente che, dopo un'attenta riflessione ed approfondito studio storico, un nuovo tentativo di realizzare il comunismo abbia successo!
Le riduzioni dei Gesuiti Un primo esempio di costruzione di una società diversa, equa, solidale, dove non ci fosse lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, di cui ho avuto notizia, è quello delle riduzioni dei Gesuiti
fanciulle straniere provenienti da un paese altamente civilizzato. Tutte queste giovanette avevano una istruzione post elementare, ma, con grande divertimento dei bimbi, non sapevano cosa fosse Roma, dove fossero le Alpi e ritenevano che il cervello si trovasse nella pancia.
in America Latina nel XVII secolo, nelle regioni del Rio della Plata, del Paranà, dell'Uruguay e del Paraguay. Il periodo di vita di queste missioni (riduzioni) dei Gesuiti va dal 1610 al 1770: circa un secolo e mezzo. Lo scopo perseguito dai Gesuiti, con l'istituzione delle riduzioni, era quello di convertire gli indigeni al cristianesimo, con particolare riguardo alle tribù dei Guaranì, particolarmente inclini ad accogliere gli stranieri. Oltre alla finalità di salvare le anime degli indigeni con la conversione, i gesuiti avevano quella di sottrarli alla durissima schiavitù alla quale portoghesi e spagnoli li sottoponevano. Le riduzioni erano villaggi fortificati, che col tempo si svilupparono fino a diventare delle cittadine. Qui gli indigeni vivevano al riparo sia dalla precarietà della vita nella foresta, sia dalle razzie da parte di altre tribù, sia dalle bande di portoghesi e spagnoli che sterminavano l'intera popolazione e facevano schiavi gli uomini validi. Nel periodo del loro massimo sviluppo, le riduzioni erano trenta, con un totale di 150.000 abitanti. I Guaranì che entravano nelle riduzioni passavano da un livello di vita paragonabile a quello dell'età della pietra a quello delle più progredite cittadine europee del tempo. Le riduzioni erano infatti molto più ricche, ordinate, e popolose degli insediamenti portoghesi e spagnoli presenti in quell'epoca nell'America Meridionale. L'organizzazione sociale creata dai Gesuiti nelle riduzioni può essere considerata la realizzazione di un'utopia. Nelle riduzioni non circolava denaro. La terra, il bestiame, gli strumenti di lavoro erano proprietà comune. Ognuno lavorava secondo le sue capacità e e secondo le necessità della comunità. Ognuno riceveva secondo i suoi bisogni: vecchi, vedove ed orfani compresi. La ricchezza delle riduzioni era costituita dal bestiame, allevato in grande quantità, e dai frutti di una agricoltura molto progredita4 . Sotto la guida dei Gesuiti, i Guaranì, molto dotati per la musica, impararono a costruire e suonare alla perfezione tutti gli strumenti musicali dell’Europa barocca. Gli strumenti musicali costruiti dai Guaranì, insieme ad altri prodotti dell’artigianato,venivano esportati anche in Europa. La figura dominante di ogni comunità era un gesuita, parroco e suprema autorità civile e religiosa. I Guaranì di ogni comunità eleggevano fra loro l’alcalde che era anche capo dell’esercito. Gli eserciti delle riduzioni avevano il compito di difendere le comunità dai razziatori portoghesi e spagnoli ed erano in grado di battere eserciti di europei altrettanto e più numerosi
4 I Gesuiti erano riusciti a coltivare perfino gli alberi del mate, importandoli da regioni impervie e pressoché inaccessibili. Il tè di mate è ricercatissimo in America Latina ed il commercio della foglia di mate è molto redditizio.
dei loro. I Gesuiti gestivano il commercio delle comunità con l’esterno, tutti i rapporti con le autorità spagnole e pagavano le tasse al re di Spagna. Le riduzioni con i loro eserciti assolvevano il compito di respingere le mire dei portoghesi verso i territori dell’impero spagnolo. La popolazione delle missioni viveva in una felice e completa adesione alla struttura politica che la governava. Tale sentimento di appartenenza era favorito dalle cerimonie religiose, dalle feste e dalla musica per la quale i Guaranì hanno grandissima sensibilità. Nelle riduzioni non veniva praticata la tortura e non esisteva la condanna a morte. Per tutta la loro esistenza le riduzioni furono minacciate dai coloni spagnoli con i quali erano in concorrenza. Spagnoli e portoghesi miravano ad impadronirsi delle ricchezze delle missioni e, non sapendo spiegarsi la ragione della loro grande prosperità, pensavano che i Gesuiti fossero in possesso di miniere d’oro. I Gesuiti detenevano il governo centrale di tutti le riduzioni. Lo scioglimento del loro ordine decretato dai re di Spagna e Portogallo ed infine dalla breve di papa Clemente XIV “Dominus et Redemptor” del novembre 1772, segnò la rapida fine delle riduzioni, dopo 150 anni di esistenza. Il grande successo ottenuto dai Gesuiti fondatori della riduzione fu, senza dubbio, favorito dalla enorme ricchezza prodotta passando da una economia basata sulla raccolta e sulla caccia, vigente nei territori dove le riduzioni furono fondate, ad un’economia basata sull’allevamento e sull’agricoltura razionale e progredita. La facilità con cui i Gesuiti realizzarono una società di tipo comunista può essere cercata nella cultura dei Guaranì che, abituati a vivere in tribù, identificavano il proprio interesse con quello della propria comunità di appartenenza ed erano quindi estranei allo spirito individualista. Nelle riduzioni il pericolo di contrasti interni nella direzione e di qualunque deviazione dalle direttive che venivano dall’alto era scongiurato senza bisogno di ricorrere ad alcuna forma di repressione. Infatti nell’ordine dei Gesuiti l’obbedienza ai superiori era rigidissima e, attraverso l’obbligo per ciascuno di avere un padre spirituale, penetrava fin nelle coscienze e nei pensieri più reconditi. Per tutti i 150 anni in cui le riduzioni hanno vissuto e prosperato, esse hanno sempre presentato una struttura totalmente chiusa verso l’esterno, e non credo vi sia stato alcun tentativo di esportare questo tipo di società perfetta al di fuori delle riduzioni stesse. Cosa è rimasto della grande opera dei Gesuiti in America Latina dopo la distruzione delle missioni? Senza dubbio si deve riconoscere ai Gesuiti per lo meno il merito di aver preservato la lingua guaranì dall’oblio. Il guaranì è infatti oggigiorno la seconda lingua ufficiale del Paraguay. Ho avuto occasione durante delle giornate paraguaiane di Genova di ascoltare il superiore dei
Gesuiti, Padre Guarello, che rievocava la distruzione delle missioni. Parlò con dolore e con sdegno: «I Gesuiti in America Latina andarono con lo scopo di portare alle popolazioni indigene la cultura, la civiltà e il progresso, insieme con la fede, perché potessero essi stessi produrre col proprio lavoro i beni necessari ad una vita di alto tenore. I beni che impararono a produrre servivano esclusivamente al consumo di quelle stesse popolazioni. Veniva impedito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Tutti gli altri colonizzatori europei avevano cercato di arricchire se stessi, di depredare gli indigeni e di renderli schiavi. Per questa ragione i Gesuiti furono combattuti, calunniati e finalmente scacciati, il loro ordine fu sciolto. Le missioni furono depredate e distrutte e gli indigeni che ci vivevano felicemente furono fatti schiavi».