
6 minute read
cristiani a confronto
funeraria e del declino dei suoi effetti gotici dell’immagine della morte.
Anticipiamo che la cremazione nei termini moderni in cui la concepiamo oggi, vede
Advertisement
l’utilizzo del primo forno crematorio a Milano nel 1876.
Prima di un’indagine operativa, introdurremo in questo capitolo un’analisi delle fasi
del mutamento di scenario che hanno in qualche modo agevolato questa accettazione.
Cominciamo la nostra analisi dunque con uno sguardo critico alle radici cristiane ed
ebraiche della tradizione europea per poi concentrarci su scenari delle società tipiche
dell’ascesa borghese del Sette-Ottocento, tema caro ai classici della sociologia di cui
possiamo riconoscere fenomeni di individualizzazione, secolarizzazione, progresso,
scoperte scientifiche che dovrebbero in qualche modo farci familiarizzare con la pratica
crematoria.
1.1 Le radici religiose europee: sfidare la morte e negare la morte. Dogmi ebraici
e cristiani a confronto
Con il declino delle società di età classica di Greci, Romani ed Etruschi che
vedevano la cremazione come un fenomeno diffuso e purificatore, l’avvento del monoteismo e delle religioni abramitiche ne fece un tabù relegando i cadaveri alla
sepoltura. Eppure a ben guardare, Ebraismo e Cristianesimo con i loro rispettivi
continuum di credenze e agire sociale portano a esiti diversi. Su queste due culture
si basano i narrative framework delle costruzioni del pensiero psicologico
dell’Europa.
Seguendo l’intuizione della teoria di Franz Borkenau (in Cavicchia Scalamonti,
1984: 131-135), segnaliamo e analizziamo i due approcci di queste culture:
- sfidare la morte
- negare la morte
L’approccio sfida alla morte che prevale nella civiltà ebraica in cui è più concreta
una somiglianza mitica con l’età classica, si assume che:
L'antichità classica è scomparsa mentre la civiltà ebraica è sopravvissuta in
un'epoca completamene diversa e, anche se con esitazione, ha adottato le
credenze di base di quest'epoca, incluso l'immortalità bensì la gloria futura
ed il dominio del mondo di Israele.
La soluzione del problema per l'Ebraismo, fu il trasferimento
dell'immortalità dall'individuo alla comunità. La parallela soluzione
Ellenica fu la celebrazione della gloria eterna dell'individuo, l'eroe che
sopravvive alla morte con la sua forma.
La concezione di We Society dell’immortalità nella comunità piuttosto che nel
singolo, ben si approccia con un accento sul mondo terreno e concreto piuttosto
che nella credenza di un universo ultramondano e di una salvezza sperata. La
salvezza è dunque già compiuta nella sopravvivenza del popolo in sé, il che
dovrebbe lasciare la morte del singolo sullo sfondo e il concentrarsi nella
concretezza della vita terrena per perpetuare la sopravvivenza della comunità.
Questa sarà anche la chiave, la tesi forte, su cui poggia la rielaborazione del lutto
della Shoah.
A titolo esemplificativo, un midrash del Berechit-Rabba, un’interpretazione rabbinica sulle origini del mondo, ci dice che Iddio provò a creare il mondo
fallendo ventisei volte, fallendo sempre. Egli vi riuscì solo alla ventisettesima,
pronunciando poi queste stupefacenti parole: Speriamo che regga!
Parole straordinarie e terribili perché riportano nella coscienza ebraica il segno
dell’insicurezza radicale, della costante precarietà storica. (Cavicchia Scalamonti,
1984:40)
Di fronte a tale modo di vedere più che di angoscia in senso stretto, l’ebraismo risponde con un riempimento della vita terrena attraverso azioni pratiche e umane
come la cultura come segnale di vita e presenza. Essa nasce proprio rimuovendo
o accantonando o negando la consapevolezza della morte come strumento
antimnemonico per dimenticare quello di cui gli umani sono consapevoli, cioè la
coscienza della morte del singolo (Bauman 1995: 43). Una morte del singolo che
nella cultura ebraica è accettata e minimizzata.
In contrapposizione a questa narrazione del mito greco-ebraico della sfida alla
morte, la negazione della morte cristiana raggiunge un grado di ossessione della
morte, colmato soltanto dalla credenza di una vita nell’aldilà al pari del culto
dell’antico Egitto.
Come nota Smart (in Cavicchia Scalamonti 106: 84)il Cristianesimo ereditò dal
culto zoroastriano il concetto di immortalità dell’anima da cui molti cristiani dei
primi tempi concepirono la resurrezione come in un futuro prossimo. Ma quando
ciò non si concretizzò, divenne naturale adottare la credenza in un’anima
immortale e di una vita ultramondana. Ciò quindi è stata la base di narrazioni
cristiane con approcci all’al di là che sono più o meno calcati a seconda dei gradi di intensità o secolarizzazione dei vari esiti del Cristianesimo (cattolico, luterano,
calvinista, ortodosso, etc).
Prosegue quindi Borkenau che,
la mancanza di fede nella sopravvivenza lascia un vuoto che deve essere
riempito; al contrario, laddove esiste questa credenza non vi è nessun vuoto
e nessuno spazio per una regressione di tipo paranoico. (in Cavicchia
Scalamonti 1984:133)
Se, dunque, il cristianesimo giungesse ad un processo di secolarizzazione e ciò
accostasse ad una concezione di tipo sfida alla morte, ci troveremo davanti ad un
effetto revival di atteggiamenti dell’età classica, quello che effettivamente ha avuto luogo nel Rinascimento e con i Lumi (Cavicchia Scalamonti, 1984:135).
Secondo questa visione, Cavicchia Scalamonti legge in Borkenau una sorta di
entropia del Cristianesimo. Il suo elemento magico, la sua ossessione della morte:
ha completato finalmente il suo ciclo storico e conseguentemente ci dice
anche che in questa cultura vi è stata un'oscillazione verso dei valori che
sono stati caratteristici di un'epoca precedente. (Cavicchia Scalamonti:
2003:47)
C’è però un’obiezione: Cavicchia Scalamonti critica Borkenau segnalando la lacuna
che non spiega la relazione esistente tra i tipi di società e gli orientamenti stessi
(Abbruzzese, Cavicchia Scalamonti, 1992,18) e quindi non ci aiuta a comprendere se
ad esempio ci sia contaminazione tra morale ebraica e morale cristiana e se cioè
esistano sincretismi e livelli di interazione e scambio all’interno delle società tra queste
due narrazioni. Un’interazione flessibile e di una certa elasticità che non andrebbe
sottovalutata vista la stabilità resiliente delle società cristiane e la flessibilità spaziale e
dei network delle comunità ebraiche più esposte al cambiamento. Effettivamente,
possiamo ipotizzare che il movimento generi mutazione sociale. A tal proposito
Kolkowski ci segnala che (in Cavicchia Scalamonti, 1991:81) :
sacralizzare vuol dire rendere immobile (il sacro come fuga del tempo)
mentre desacralizzare vuol dire privare l’oggetto, già sacralizzato, di un plus-valore che spinge a perseguire questo valore. In questa chiave, la
credenza è il luogo della sacralizzazione, mentre il mutamento comporta
necessariamente la desacralizzazione. Quest’ultima (privatizzazione di valore) comporta indeterminazione e conseguentemente “perdita del senso
di appartenenza collettivo”, quindi anomia, nel senso di vuoto e di
distanziamento (alienazione) ri-emerso. Ciò spiega anche l’estrema difficoltà di accettazione di quei simboli il cui significante rimanda ad un
significato di “separazione” difficilmente sopportabile. Mentre
l’appartenenza, l’equivalente cioè di “stare insieme” (l’esatto contrario della separazione) è alla base della credenza e ne costituisce la sua funzione
latente.
In più (Borkenau in Cavicchia Scalamonti 1984: 129) rivela quanto un ritorno
arcaico, sia in realtà un fenomeno di post-Cristianesimo con elementi di novità.
Ciò è logico perché un revival del classico si sommerebbe agli apparati strutturali
e funzionalistici dell’era moderna con tutti i suoi effetti a valanga dovuti al
progresso tecnologico e demografico che mette in scena una realtà avanzata
rispetto all’idealtipo arcaico di base.
Ogni cultura cerca una sintesi (sfida della morte e negazione della morte)
ma nessuna sintesi dura per sempre, perché non esiste duratura soluzione
quando sono presenti simultaneamente due esperienze interiori
incompatibili. Ora quando un certo tipo di sintesi fallisce, il pendolo tra i
due estremi - dice Borkenau - tende a tornare al punto di partenza. Questo
spiega perché quando una civiltà collassa, generalmente si muove
ritornando (anche se in modo parziale) verso il diniego della morte. Questo
aspetto della cultura (il diniego) è il più profondamente radicato di tutti gli
archetipi dal momento che è, con tutta probabilità, cronologicamente legato
alla primitiva coscienza della mortalità umana. "Il collasso di una civiltà
superiore dunque comporta regolarmente un ritorno parziale verso il
diniego della morte.
Questo ritorno parziale a quale elementi di novità sarebbe associato?
Tutti coloro che negli anni ’70 e ’80 si sono occupati della morte della società moderna
e contemporanea (Luis-Vincent Thomas, Michel Vovelle, Philippe Ariès, Jean
Baudrillard, Jean Ziegler e Jean- Didier Urbain ) concordano su alcuni temi
fondamentali (Cavicchia Scalamonti: 2003: 56) :
- la scomparsa della morte dalla scena
- la medicalizzazione della morte
- la semplificazione dei riti funebri
- l’individualizzazione
- l’abbandono dei cimiteri
Riteniamo che a questi fenomeni, in cui lo spettro dell’elemento della borghesia
nascente e della razionalità sembra far da padrone, nel corso della nostra analisi ne
vadano aggiunti altri ritenuti di primaria importanza:
- l’urbanizzazione
- la divisione Stato/Chiesa
- una nuova pedagogia familiare
- la commercializzazione funeraria
Andiamo qui di seguito ad analizzarli.