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3.5 Il caso di Torino

3.4 La cremazione durante il Fascismo

In particolare, i dati evidenti del Fascismo sono lo scioglimento delle logge massoniche

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che porta in sonno la loro attività, il potente sodalizio tra Mussolini e la Chiesa

(soprattutto dopo i patti lateranenzi), l’impossibilità propagandistica della cremazione dovuta alla soppressione della libertà di stampa e l’emanazione di leggi razziali che di

fatto porterà alla messa in fuori legge dei lasciti degli israeliti al finanziamento delle

attività crematorie (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,214).

Seppure tra difficoltà, il quadro iniziale lascia una resilienza forte nel movimento

crematorio. Nei primi del Novecento il boom dei cremati si ha nel 1920. Il successivo

ridimensionamento non tocca le percentuali femminili. Si arriva a circa 500/600 ogni

anno. Nel 1929 (anno dei Patti Lateranenzi) il totale delle cremazioni eseguite in Italia

dalle origini arriva a sfiorare le 11.000 unità. La firma del Concordato del 1929 segna

una stretta legislativa alla concessione della cremazione, tuttavia le associazioni

proseguono la loro attività riuscendo anche nell’ottobre 1936 ad organizzare a Torino il congresso nazionale della Federazione italiana per la cremazione, ricordiamoci poi

che in un periodo di forte conflitto, una città antifascista come Livorno nel periodo

1919-1945 passa ad un 5,90 % di cremati a fronte dell’1,41% del periodo 1885-

1918.(Conti in Sonetti:2007,15) Il totale dei cremati tra il 1919 e il 1945 è di 3156 in

cui ben il 20% dei cremati risulta essere stato impegnato in attività direttamente

riconducibili alla vita portuale della città oltre a questo dato circa 1400 vengono

dichiarati con professioni che si possono inserire nella categoria del proletariato

urbano. (Sonetti:2007,73).

Questi fatti hanno conferma anche sulla scena torinese, dove la pratica cremazionista

attecchisce tra gli operai delle grandi fabbriche (Filippa:2001,98)

Questo sarà indice di un forte segnale di resistenza, in particolare perché la legislazione

fascista tende a complicare l’autorizzazione alla cremazione dei ceti medi in quanto, a differenza dell’inumazione, il testo unico del 1934 prevede che oltre alla presenza

dell’estratto legale di disposizione testamentaria, bisogna allegare una sorta di accertamento ermeneutico da parte dell’ufficiale di Stato civile, per assicurarsi che sia chiara la volontà. Ciò significa che i due riti non sono equiparati né sul piano legale né

su quello dei costi amministrativi: per l’inumazione si tratta di espletare una semplice pratica burocratica, per la cremazione occorre seguire un percorso lungo e costoso,

visibilmente scoraggiante. A ciò si aggiunge il Regolamento del 1942 in cui il rito della

cremazione è fortemente osteggiato. (Filippa, 2007:65). Tutto ciò parte dalla base della

regressione dei Patti Lateranenzi al monopolio della chiesa in materia di morte. Per il

Fascismo ciò sarà anche una legittimazione per espellere la dottrina atea e materialista

che aveva connotato l’atteggiamento Risorgimentale. (Filippa:2001,64). Mussolini intanto ingloba nella sua propaganda la lotta per l’igiene rovesciandone il suo significato simbolico, quello che era il positivismo dell’era crispina diviene strumento di superiorità razziale e viene elevata a scienza dell’economia nazionale. (Filippa: 2001,62). Intanto alle logge massoniche subirono profondi attacchi soprattutto nei

confronti dei massoni fiorentini e delle sedi di Torino, Pistoia, Lucca, Livorno, Siena,

Bari, Ancona e Venezia che vengono saccheggiate e distrutte. (Filippa:2001,105). Ciò

però, a partire dal 1942 farà da collante per compattare le fila del Partito d’azione in

cui si riconoscono molti sostenitori del movimento cremazionista, per la loro

formazione laica, aderiscono o hanno aderito alla massoneria. (Filippa:2001,110).

Per quanto riguarda gli ebrei, alcuni suicidi eclatanti sceglieranno la cremazione: è il

caso del giornalista Emilio Foà a Torino all’indomani della promulgazione delle leggi razziali (Filippa:2001,94), stessa sorte tocca al radical-socialista e massone Angelo

Fortunato Formaggini, editore modenese. All’età di sessant’anni si getta nel vuoto dalla Torre Ghirlandina di Modena il 29 novembre 1938 , verrà cremata il 1 dicembre

dello stesso anno nella forma strettamente privata imposta dal Regime, alla presenza

della moglie e di pochi amici malgrado la notizia avesse fatto scalpore (Filippa,

2001:92).

In questi anni, l’appartenenza delle donne a società crematorie sale al 38%, solo il 23,5% è cattolica ( Filippa, 2001:93).

A Torino, il 1938 è anche l’anno in cui in segno di scherno al partito fascista, i soci

della So.crem scelgono di contraddistinguersi con assembleare un distintivo sociale da

portare all’occhiello con un gagliardetto su sfondo a smalto verde, “ottemperando a un desiderio della maggioranza dei soci” (Filippa, 2001:92).

3.5 Il caso di Torino

Se finora abbiamo cercato di procedere in ordine cronologico, sondiamo qui alcune

variabili a cerchio concentrici. Torino, altro caso principe della storiografia della

cremazione, è concentrata sullo studio degli anni 1880-1920, ma ci permette di sondare

ulteriormente il fenomeno delle minoranze religiose che con il fascismo saranno meno

tollerate, ebrei ma anche protestanti e valdesi.

Si noti che Torino risulta essere un polo aggregativo di persone residenti anche fuori

dalla città.

Vi è una presenza di soci nella zona di Pinerolo e naturalmente delle valli valdesi. Non

mancano in ogni caso presenze anche da zone assolutamente decentrate come il

cunense ed addirittura le valli cuneensi. Delle 1423 cremazioni da noi prese in

considerazione 130 sono su residenti fuori città: 92 in provincia di Torino, 15 in quella

di Cuneo, una decina nel biellese – che continua a gravitare evidentemente su Torino

nonostante la presenza di una società e di un’ara crematoria a Novara – e altrettanti

nell’astigiano e nell’alessandrino, anche qui nonostante la presenza della struttura di

Asti. (Comba,Nonnis Vigilante, Mina: 55,1998).

Tra i soci l’80% è costituito da cattolici, il 7,8% da protestanti, il 9,6% da israeliti e una minoranza ancor più piccola da persone che si dichiarano atei o liberi pensatori,

per quanto riguarda le donne: oltre il 12,7% di esse risulta protestante, l’11,3% israelita a fronte di un 73% di cattoliche; per i maschi le rispettive appartenenze risultano del

6,5%, 9,1%, 82,7%!, ancora più interessante e per certi versi sorprendente è verificare

il rapporto tra uomini e donne all’interno delle singole appartenenze: tra i cattolici l’82% dei cremati sono uomini, il 18% donne, tra gli ebrei uomini sono il 76%, le donne il 24%; tra i protestanti il rapporto percentuale è di 67 a 33. (Comba, Nonnis Vigilante,

Mina: 30,1998).

Caratterizziamo più da vicino queste presenze: i protestanti, per lo più di origine

svizzera, giungono a Torino nel Settecento come commercianti. Vi sono anche i valdesi

che predicano in prima e in italiano che espande il numero di convertiti, sempre più

coinvolto in un evangelismo anticlericali o dall’impegno organizzativo delle missioni inglesi e americane. (Comba, Nonnis Vigilante, Mina:31,1998).

La presenza ebraica comincia a nutrire un atteggiamento morbido nei confronti della

cremazione (teoricamente vietata dall’ebraismo ortodosso), grazie alle tendenze riformiste che influenzano i rabbini americani. Quindi a differenza del Concistoro

rabbinico di Torino del 1885 che contempla il rito dell’interramento, la Conferenza centrale dei rabbini americani del 1892 ammette la cremazione ed infatti a Torino, la

prima cremazione ebraica documentata avviene nel 1893. Nel 1916 ben 10 delle 60

cremazioni compiute a Torino sono di ebrei; nel 1922 ben 12 su 60! (Comba, Nonnis

Vigilante, Mana: 1998,31-32), quanto alla base sociale, le cremazioni ebraiche

aumentano a mano a mano che la pratica si estende ai ceti proletari della popolazione.

C’è qualche ebreo che lavora nella finanza ma la maggior parte commercianti inseriti in una rete diffusa (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,33).

Un dato significativo è la scelta di donne che si fanno cremare anche oltre la scelta dei

propri coniugi. Un’emancipazione di mogli in contrasto con la posizione del capofamiglia sono scelte di israelite ed espressione di un ambiente intellettuale ultra-

elitario. Un caso emblematico per tutti: Nina Stella Lombroso De Benedetti, moglie di

Cesare Lombroso. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,54).

Tra i protestanti invece non mancano nomi riconoscibili dell’imprenditoria cittadina: i

Caffarel, i Talmone, i Rostan, i Leumann, i Peyrot per citare i più noti (Comba, Nonnis

Vigilante, Mana: 1998,33).

Nella Torino industriale, a differenza di Milano (città con cui Torino gode di una

tutorship particolare), l’élite urbana, decisamente poco rappresentativa della struttura

sociale complessiva.

Tra il 1906 e il 1910 la categoria degli impiegati rappresenta il 26%, nel successivo

1911-1915 sale al 29%; tra il 1916 e il 1920 raggiunge il 32%. La quota percentuale di

libere professioni e professioni minori, assestata rispettivamente sul 5,7 e 3,4% nel

quinquennio 1906-1910, passa a quello successivo rispettivamente al 3,5% al 8,5%

invertendo, e non solo, la reciproca rilevanza rispetto all’insieme. professioni: medici, ingegneri, avvocati, chimici, giornalisti, pubblicisti poi mano a mano compare qualche

geometra, ragioniere, agente di cambio; vale la pena di notare che le uniche tra donne

– tra le poche che siano ascritte all’interno di una condizione professionale – inserite

in questa fascia sono tutte levatrici; nella peraltro poco consistente categoria degli

artigiani colpisce la frequenza di mestieri in qualche modo legati alla carta stampata;

dai tipografi ai compositori ai legatori. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,33-34).

Non manca una correlazione interessante, tra i cremati molte unità sono frutto di morti

suicide, 58 su 1423, di cui 51 uomini e 7 donne, di età e di estrazione sociale la più

varia…una variabile questa che alimenta l’ingerenza ecclesiastica di questa pratica in

una città che poi è un faro di Risorgimento e Massoneria. (Comba, Nonnis Vigilante,

Mana: 1998,34).

Curiosamente, alla So.crem afferiscono anche associazioni e categorie professionali: i

primi sono i membri della Società monte decessi tra impiegati ferroviari, nel 1896;

l’anno successivo è la volta della Fratellanza artigiana; nel 1900 si iscrivono la Associazione generale degli operai e la Società di mutuo soccorso tra militari in

congedo. Le adesioni più numerose si hanno tuttavia dopo la metà del primo decennio

del secolo: parecchie società di mutuo soccorso che aggregano categorie abbastanza

particolari di lavoratori: i tipografi, i fonditori di caratteri, gli operai pittori, i decoratori,

i parrucchieri, i dazieri. Nel 1905 aderisce la Federazione lavoratori dello Stato, poi

mano a mano l’Associazione generale degli impiegati e quella degli impiegati civili di

Torino; ancora associazioni e cooperative di consumo tra ferrovieri. Nel 1905 si iscrive

anche la Federazione socialista “affinché i compagni iscritti alle singole sezioni

possano divenire soci di questa società”; ma nel 1908, dunque a tre anni di distanza, le ricevute per l’iscrizione ritirate dalla federazione di Corso Siccardi sono appena 26. E a dieci anni di distanza dalla iscrizione la Associazione generale degli operai –nonostante una propaganda abbastanza serrata – è riuscita a portare appena una

ottantina di soci, incluse con ogni probabilità i network familiari (soprattutto nella sfera

ebraica). La prevalenza delle associazioni di categoria del pubblico impiego – in forte

crescita numerica proprio in questi anni e non solo nel caso torinese - e di settori

altamente professionalizzanti, ma di impronta ancora tipicamente artigianale, del

lavoro manuale è inequivocabile. Con il 1914-1915 la fase di iscrizione da parte di un

pur ristretto, quantitativamente e qualitativamente, panorama associazionistico può

dirsi in ogni caso conclusa. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,50).

Per quanto riguarda l’appartenenza alla massoneria gli affiliati raggiungono il 44,7%

sul totale dei soci maschi, la mediazione della loggia non esaurisce affatto i suoi effetti

nella fase di gestazione organizzativa o nei primi anni di vita della società. Tra i soci

massoni e non: tra gli affiliati i professionisti 50%, gli impiegati il 18%, i commercianti

11%. Tra i profani i professionisti minori che costituiscono il 16%, gli impiegati il

23,3%, i commercianti il 6,9%, gli artigiani – inesistenti o quasi tra gli affiliati –sfiorano il 10%. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana: 1998,51).

Per quanto riguarda i verticismi, il caso di Torino risulta significativo per il suo ruolo

ingegneristico – fondativo e di coordinamento – del movimento massonico italiano da

cui prende origine il Grande Oriente Italiano e dove nascono molti politici nazionali di

spicco dei primi governi con un orientamento sempre spostato a Sinistra, a Torino

ancora si aggiravano nell’ambiente massonico personaggi della schiera cavouriana come Govean e Buscalioni (il primo attivo come drammaturgo, il secondo dedicatosi

a complessi disegni di politica internazionale.) Tuttavia la grande maggioranza dei

massoni italiani attivi politicamente si collocava nella Sinistra, o addirittura

nell’Estrema. E non può essere indifferente per loro il fatto che, dal 25 marzo 1876 al

9 febbraio 1891, i presidenti del consiglio furono tre massoni: Depretis, Cairoli, Crispi;

il primo dei quali iniziato nella loggia Dante Alighieri di Torino e ancora investito di

cariche istituzionali. Una circostanza di tal genere, unitamente alle posizione

ministeriali di altri massoni, non mancherà certamente d’influire sull’attivismo

dimostrato negli anni seguenti dalle logge torinesi, che a loro volta riprenderanno a

moltiplicarsi.

Ma questa culla culturale ha origine anni prima. (Comba, Nonnis Vigilante, Mana:

1998,192). L’impulso viene dagli sviluppi della seconda guerra di indipendenza

iniziata il 26 aprile 1859. L’8 ottobre 1859 si tiene a Torino la riunione istitutiva della loggia Ausonia, i cui fondatori sin dall’inizio si proposero di “riunirsi alla gran famiglia massonica”, svolgendo a tal fine “diligenti ricerche di altri fratelli organizzati e dell’esistenza di un Grande Oriente Italiano”. Il 20 dicembre dello stesso anno i fratelli

dell’Ausonia decidono di erigere la loro stessa loggia in Grande Oriente Italiano. Dopo

due anni, il 26 dicembre 1861, si riunisce, sempre a Torino, la “Prima Costituente Massonica Italiana”, vi saranno rappresentate logge di Torino, Mondovi, Genova, Firenze, Pisa, Livorno, Macerata, Ascoli, Cagliari, Messina, Il Cairo, Alessandria

d’Egitto, inoltre una loggia clandestina di Roma: si sarà realizzato così un evidente parallelismo fra il processo di unificazione dell’Italia e quello della massoneria italiana.

Ne risulta che il primo intento pedagogico della risolta massoneria italiana è

l’insegnamento dell’Unità come premessa di qualsiasi progresso e di qualsiasi azione filantropica. Già un mese dopo l’inizio della guerra contro l’Austria, il 20 maggio, l’anziano patriota eletto a capo dell’ausonia, Livio Zambeccari, aveva scritto una

lettera a Camillo Cavour, citando come referente La Farina e proponendo di formare

un corpo di volontari per la lotta allo straniero; ma il ministro annotava a margine:

“Non occorre”. Senonché, dopo aver dato le dimissioni nella notte fra l’11 e il 12 luglio, a conclusione del tempestoso colloquio di Monzambano con il re, Cavour, libero ormai

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