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CAPITOLO SECONDO
Le Prime Prove
Istruzioni e realtà: l'occupazione di Massaua
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Oltre ai timori militari per un insuccesso africano vi era un altro elemento, assolutamente decisivo, nelle vicende di quei giorni: laperlomeno apparente , a giudicare dai documenti - assenza di un momento di sintesi della politica coloniale italiana a livello di presidenza del Consiglio dei Ministri.
Le ricerche che, anche dal punto di vista della storia diplomatica, hanno ricostruito i precedenti e le primissime mosse del colonialismo italiano , hanno già ricordato questa assenza: nella preparazione come nella prima conduzione politica o nell 'o rdinaria amministrazione del presidio di Massaua erano rilevanti (e co me tali sono stat i conservati) i dispacci di Mancini o di Ricotti ma praticamente mai quelli di Depretis 1 La presidenza del Consiglio pare abbia fatto invece sentire la sua voce, attraverso i deliberata del Consiglio dei Ministri, solo nei momenti più drammatici, o in quelli che apparissero tali. A fine dicembre '84, al momento del definitivo assenso britannico; a febbraio 1885, quando si trattava di riorientare l'intera politica italiana per Massaua; ad aprile, per la decisione di aprire una sosta (non solo estiva) nell'attività di irraggiamento e di proiezione esterna delle forze militari stanziate a Massaua; a settembre, quando si procedette al varo di una politica coloniale più cauta ed alla sostituzione dell'allora comandante del presidio, Saletta, con un militare più tranquillo. Queste furono, nel1885, le occas ioni in cui tis riunì il Consiglio dei Ministri 2 con all'ordine del giorno la politica coloniale (ed in cui riuscì ad imporre una certa cautela e a far vale- re quella sua certa riluttanza al colonialismo) 3.
1 Per runi cfr. BATIAGUA , La pn·ma guerra d'Africa, cit., p . 172.
2 Secondo quanto risulta anche da AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alle date Citate.
Ma tra una riunione del Consiglio ed un'altra, l'attività dei Ministri sembrava svolgersi quasi autonomamente e senza controllo, talvolta anche secondo logiche- e verso mete- tra loro contraddittorie.
Il problema dovette in qualche modo essere presente a Depretis stesso, o perlomeno doveva riconfermarlo nella sua convinzione per cui la Presidenza del Consiglio- in forma di Ministero, di Segreteria di Stato od altra - necessitava in Italia di più solide basi istituzionali. Non a caso egli - che già aveva provato a far passare nel governo ed alla Camera queste sue idee nell876, nell881 e nel1884 - avrebbe tentato ancora, proprio nei mesi della spedizione di Massaua, di realizzare un più centralizzato controllo sull'attività dei vari Dicasteri 4 .
Se questo fosse stato possibile già nel 188 5, forse alcune delle più evidenti contraddizioni della politica coloniale italiana (tra indirizzo diplomatico ed indirizzo militare , per esempio) avrebbero potuto essere evitate. Si potrebbe dire che ciò sarebbe stato solo una 'razionalizzazione' amministrativa, che pure non avrebbe eliminato i contrasti politici di fondo: ma sembra che la prima spediz ion e coloniale italiana avesse avuto bisogno anche di questo. Nel frattempo (in mancanza di quelle riforme amministrative o di una più decisiva volontà politica di Depretis di intervenire personalmente nella conduzione dell'impresa di Massaua) il filo della politica coloniale italiana doveva continuare a dipanarsi immutato.
Era così questo lo scenario politico-istituzionale che si lasci ava alle spalle la missione per il Mar Rosso, quando essa partì da Napoli il 14 gennaio 1885, con destinazione ufficiale Assab.
Le vicend e del viaggio (dall'Italia a Suez prima, e a Suakim poi) sono già sufficientemente note per dovervi fare ancora dettagliati riferimenti 5. Al momento della partenza forse solo Caimi 6, il Contrammiraglio che avrebbe dovuto prendere il Comando nella zona , sapeva che lo scopo vero non era Assab bensì Massaua. In ogni caso egli, conformemente alle disposizioni ricevute, fece sostare il convoglio nel porto 'inglese' di Suakim, dove poté ricevere le ultime istruzioni. Queste parlavano di Massaua, e Saletta poté presto prendere co noscenza dei reali scopi della missione cui era destinato. Quali Istruzioni politiche e diplomatiche, in verità, il colonnello ebbe modo di consultare - e quali invece gli giunsero più tardi - è ancora cosa non perfettamente sicura. Ceno non poté prendere visione del testo integrale del messaggio ministeriale e più probabilmente, essendo Suakim allora una stazione telegrafica, l'ultima prima di inoltrarsi nel tratto più meridionale del Mar Rosso, si può ritenere che Saletta ne conobbe la versione ridotta , riassunta a mezzo telegram ma 7• Per quanto riguarda invece le istruzioni militari (seppure anche in questo caso non si può essere del tutto ceni sulla base di quali documenti il colonnello realizz ò la sua occupazione di Massaua) si può ragionevolmente pensare che la sostanza di queste gli fosse già chiara a seguito dei ripetuti contatti avuti prima della partenza con il Ministro della Guerra e con lo Stato Maggiore 8 . Quest'ultimo, solo in data 3 febbraio, aveva steso le ultime e definitive ' Istruzioni Militari per il Comandante Superiore a Massaua'
3 Uno studio puntuale sul ruolo della politica coloniale nel pensiero e nell'azione di Depretis è ancora da venire, nonostante le pagine di GIGLIO, La politica africana di Agostino Depretis, cir. A suo tempo Giampiero Carocci aveva scritto che cper il Depretis le spese militari erano spese improduttive , che minacciavano la faticosa integrità del bilancio e solleticavano pericolosi amor propri c: interessi sez ionati:. all'interno della classe dirigente. E che il colonialismo (in Italia cnon ( ) tant o determinato da un cccesso di produzione o dalla necessità di trovare nuovi mercati, quanto, all'opposto, dalla miseria») fu c imposto al rilu ttante Dcpretis:.. CAROCCI, Agostino Depretù e la politica interna da/1876 al1887, cit., p. 399 e p. )93. Cfr. anche G. TALAMO, La formazion e politica di Agostino Depretis, Milano, Giuffré, 1970.
4 Cfr. E. ROTELLI, La prmdenza del Consiglio dei Ministn·. Il problema del coordinamento dell'amministrazione centrale in Italia 1848-1948, Milano, Giuffré, 1972, p. 99 c: sgg , e p 131; CALANDRA , Storia dell'amministrazione pubblica in Italia, cit., p. 14) e sgg.; ed anch e GHISALBERTI, Stona costituzionale d 'Italia 1849 - 1948, cit., p. 169.
9. Se anche Saletta non le avesse effettivamente le tte a Suakim o poco dopo, è ceno che eg li ne conosceva già il senso.
Le Istruzioni Militari risentivano ancora d eli' incertezza di fon- do sui reali scopi della missione, ed infatti prospettavano beo tre possibili operazioni completamente divergenti tra di loro. Ma dalla loro lettura traspare, sia pure ancora non esplicitamente definito, un elemento nuovo. Lo Stato Maggiore, i militari, infatti, sospettosi nei rapponi con i diplomatici fino a quando di spedizioni coloniali si era solo parlato (per T ripoli, per l'Alto N ilo), dovettero poi sentirsi in un ceno senso rassicurati quando la spedizione per Assab -Massaua fu realmente preparata e avviata. In quei giorni, appena precedenti (e sempre più in quelli seguenti) la partenza da Napoli del contingente, si dovette diffondere negli ambienti militari dirigenti un clima nuovo e più gagliardamente fiducioso: alla fine, questa spedizione coloniale si faceva!
Cfr. Storia militare della Colonia Eritrea, cit., p. 77 e sgg.
6 Nonostante l'ordine ufficiale risulta essere stato spedito il 2 febbraio (dr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data del 2 febbraio 1885). come si è visto, già dall'S gennaio Caimi (o comunque chi, della Marina militare, fosse stato destinato a tenere il Comando delle forze navali del Mar Rosso) sapeva da comunicazioni riservate del Ministero della Marina che la meta della spedizione era Massaua e non Assab (cfr. ivi, v. 44, 8 gennaio 1885, R.ù.m, Brina Caimi).
7 Questa pare anche l'opinione di GIGUO, L'impresa di MtJJsaua 1884-1885, cit., p. 71.
8 Quelli del gennaio 1885. ma anche quelli della primavera 1884. Anche se questi. tesi alla pianificazione di una spedizione per T ripoli, dovevano prevedere l'impiego (al contrario della spedizione per Massaua) di un cpiù consistente nerbo di truppe•. AUSSME, Volumi En'trea, v. U, 16 febbraio 1885, Saletta a Ricci, allegato a 9 marzo 1885, Cosenz a Ricotti.
9 Cfr. ivi, v. 2, alla data del 3 febbraio 1885; e ivi, v. 43, 3 febbraio 1885, Cosenz a Ricotti (in risposta a 30 gennaio, Ricorri a Cosenz).
Sta qui la ragione per cui superate le prime diffidenze e le iniziali cautele, le Istruzioni Militari (sia pure ancora solo implicitamente) -ed in seguito lo stesso Capo dello Stato Maggiore dell'Esercito in persona - si mostrarono più sensibili a prospettive espansioniste anche ardite ed avanzate: nell'ottica di una espansione coloniale italiana che dalle coste del Mar Rosso avrebbe dovuto spingersi al più presto all'interno dell' Mrica. Ecco perché le Istruzioni Militari si dimostravano in parte inadatte per eccesso alla reale composizione del Corpo per Massaua (che rimaneva pur sempre un piccolo contingente di solo tre battaglioni, peraltro inviati in tre successive riprese) 10 In esse si giungeva a prospettare anche ipotesi politico-militari che per lungo tempo dovevano rimanere impraticabili per le forze italiane in Mar Rosso (e la cui realizzazione completa poté infatti effettuarsi, all'interno di condizioni completamente mutate, in una situazione più favorevole all'Italia, solo molto tempo dopo) 11.
Comunque fosse stato, le Istruzioni del febbraio prevedevano tre discinte fasi della presenza militare italiana nella zona. Una prima, detta di 'stabilimento difensivo', che doveva limitarsi alla conquista di Massaua; una seconda detta di 'stabilimento offensivo in terraferma', che implicava uno sbilanciamento della presenza militare verso il retroterra di Massaua, con la costruzione di una 'testa di ponte' (di dimensione non ancora precisata, ma forse comprendente anche i primi lembi dell'altopiano che sovrastava il pono e che in qualche modo sembrava necessario poter controllare per garantire la sicurezza militare e le vie di rifornimento idrico della cittadina); ed una terza eufemisticamente detta di ' ricognizione topograficamilitare' di cui ancora non venivano stabiliti gli obiettivi, ma che rivelava la nuova disponibilità dello Stato Maggiore a quelle che Mancini aveva chiamato 'puntate verso l'interno dell'Africa'.
81-84.
Anche solo con una prima occhiata ad una cartina geografica (e Saletta ricordava polemicamente che la prima che poté vedere gli fu fornita, durante il suo viaggio nel Mar Rosso , solo nelle immediate prossimità di Massaua) si possono fare alcune considerazioni.
La prima fase, apparentemente, non avrebbe costituito alcuna difficoltà per gli italiani, se l e autorità egiziane si fossero arrese o consegnate a quelle occupanti: in tal caso le autorità militari italiane (e specificatamente quelle navali, dal momento che il baricentro del presidio sarebbe stato così concenuato sull'isolotto di Massaua, sulla tozza penisola di Gherar e sull'iso l otto di Taulud) avrebbero dovuto mantenere il possesso del solo porto.
La seconda, qualora dall a prima vi si fosse voluto passare (ma le stesse Istruzioni specificavano che ciò era «su bordinato al parere de l Ministero:.) , non avrebbe esposto il contingente a pericoli di sorta qualora , olue alla collaboraz ione delle autorità egiziane , gli italiani avessero potuto avvalersi di una benevole accoglienza di quelle tribù che abitavano nel territorio appunto tra Massaua , Saati ed Ailet (ed in tal caso il baricentro del presidio non avrebbe potuto essere, come anche la sua denominazione ufficiale diceva, altro che terrestre). Ma questo era più facile sperarlo che ottenerlo. In questa seconda ipotesi, comunque, il dispiegamento del potenziale militare italiano su una più vasta area avrebbe ponato con sé la necessità di rinforzi e difficilmente non avrebbe potuto preludere ad ulteriori avanzamenti in territorio africano.
La terza fase, infine, era quella più dichiaratamente offensiva ed anche a prima vista mal si conciliava con la limitata forza del concingente di Saletta. Ma ch e la presenza di questa terza ipotesi nel dispaccio di Istruzioni non fosse puramente simbolica lo dimostra il fatto che proprio questa terza fase era quella in realtà più dettagliatamente specificata. Si prevedevano così diverse linee di operazione. Una, in direzione sud-ovest, mirava invece verso il Sudan, secondo la direttiva (Keren-) Cassala-Khanum e ipotizzava quindi una spedizione militare italiana verso la guarnigione inglese, in difficoltà appunto nella capitale sudanese in mano ai mahdisti. Un'altra, in direzione nord-nord-ovest, avrebbe ponato i militari italiani a Suakim, o per rilevare la cittadina una vo lta che la guarnigione britannica si fosse ritirata o per aggiungere le truppe italiane a quelle inglesi nella difficile opera di repressione del moto mahdista. Tra queste ipotesi, le Istruzioni precisavano che la più probabile sarebbe stata quella di raggiungere Cassala attraverso tre 'balzi', da Massaua a Senait, da lì a Keren, e da Keren finalmente a Cassala 12 .
Non si può quindi negare che queste istruzioni, di cui Saletta (quand'anche non avesse potuto conoscere la lettera) certo interpretava lo spirito, concedesse ro non poco alle suggestioni di Mancini per una 'pun tata ' militare italiana verso l'interno (o, come egli diceva , 'a duecento chilometri dalla costa': seppure ce ne sarebbero voluti almeno 300 per arrivare a Cassala) 13. Come d'altra pane è difficile credere che l'ipotesi della 'ricognizione topografico-militare', pur nell'ince nezza del suo reale scopo (contro l'Etiopia? contro i mahdisti? a puro sostegno dell'Inghilterra? da soli?), avrebbe potuto attuarsi con il 'piccolo' contingente di Saletta.
Il quadro del Comando militare, intanto, andò delineandosi. Secondo disposizioni ricevute da Roma, infatti, il Contrammiraglio Caimi, che si fregiava del massimo grado tra i militari presenti, aveva il Comando della Spedizione. Il colonnello Saletta, invece, già al comando del rinforzo di truppe 'destinate ad Assab', era incaricato di occupare Massaua e di detenervi il solo Comando Superiore delle Truppe colà distaccate, nonché il Comando della Piazza e dei suoi dintorni quale suprema autorità civile e militare 14 .
Il fatto che Saletta, e non Caimi con i suoi marinai, fosse incaricato di occupare Massaua era già un mutamento dell'originario pia- no (e comportava una oggettiva rival utazione delle truppe dell'Esercito e dei loro compiti, rispetto a quelle della Marina Militare). Ma ciò che alla lunga sarebbe stato causa di maggiori contraddizioni era p roprio quell'evidente sovrapporsi di cariche impropriamente definite - Comando della spedizione, delle truppe, della piazza- che avrebbe poi creato non poche difficoltà allo svolgimento anche della normal e amministrazione della prima colonia politico-militare italiwa. Che Caimi poi mantenesse formalmente il Comando della Spedi zione anch e quando il bari centro della colonia accennava ad allontanarsi irreversibilmente dal mare era cosa difficile da sostenere, anche dal solo punto di vista militare . l5 Cfr. BATIAGLTA , La prima guerra d 'Africa , ciL, pp. 180 -1 83 , e D EL BO CA , Gli italiani in Africa orientale. Dalf'uniki alla marcia su Roma , ci t ., p 18 7
12 Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 43, 3 febbraio 1885, Cosenz a Ricotti. Ad indicazione eli quanco lo Stato Maggiore tenesse a questo piano e di quanto esso volesse essere dettagliato e operativo, sta il fatto che Cosenz non vi lesinava nemmeno le note tecniche e pratiche. Tra l'aluo, il Capo deUo SME meticolosamente indicava l 'utilità che una ferrovia 'sistema Lattigue' (con piccoli carri, su monorotaia, a trazione animale) avrebbe potuto rivestire nel trattO Massaua-Senait (cioè nel primo uarro di scalata verso l'altipiano abissino).
13 Già BAITAGUA , Lapn'maguerra d'Africa , cit., pp. 190-192, lo aveva intuito.
14 li problema, che appare chiaro anche ad una prima lettura delle dimostrazioni date alle autorità in loco, viene stranamente taciuto in varie ricostruzioni. Cfr. Italia in Africa, Il governo dei tem'tori d'oltremare, Roma, 1970. In questo volume, opera del noro 'Comitato', o con superficialità, o per ignoranza, o per volontaria apologia , è costruita infatti a questo (limitato ma significativo) proposito la tab. IV, Cronologia della Colonia En'trea , in cui non si fa cenno del contrasto Caimi-Salerra del 1885. ma si designa il solo colonnello co m e cii comandante supremo delle truppe italiane in AfriCb dal 5 febbraio 1885 al 13 novembre 1885: cosa che non è vera. Punroppo non pare possa trattarsi eli una svista tipografica: anche nel testo il contrasto tra le amministrazioni militari della Guerra e della Marina è taciuto. Cfr. rispenivamente, ivi, p. 417 e pp. 6-7 (nonché p. 213).
Ma a Roma non si prestò molta attenzione a questo aspetto, che poteva apparire solo tecnico-militare, di fronte al cumulo di problemi po l itici e diplomatici che la conduzione dell'occupazione coloni ale andava via via sollevando.
Fu quindi con quel tipo di istruzioni militari, e con quella struttura di Comando , che Massaua fu occupata dagli italiani.
Sal etta, quando la sera del S febbraio si avvicinò alla costa di Massaua, si trovava in una situazione obiettivamente non facile e che in qualche modo rifletteva le velleitarie ambizioni e i limiti del nascente colonialismo italiano.
Comandava un piccolo contingente militare , aveva da poco visto una approssimativa carta geografica del punto che andava ad occupare, conosceva solo le linee generali delle Istruzioni politiche e milit ari assegnatagli (le quali, peraltro, quand'anche avesse potuto leggerle per intero, gli avrebbero detto molto più su quello che allora non poteva fare - la 'ricognizione topografica' verso Cassalapiuttosto che su quello che avrebbe dovuto fare- impadronirsi di Massaua - ). Poteva forse, al massimo, sperare nel col. Che rmside e - per lui -n eli' aiuto della potenza britannica: ma anche questo non semp re sarebbe poi stato possibile durante e dopo la presa di Massaua.
All'interno di questa occupazione l'elemento decisivo non fu tanto , come talvolta è stato fatto notare 15, il presentarsi di alcune impreparazioni tecniche - peraltro comprensibili alla luce delle complesse vicende che avevano mutato l'originaria destinazione del Corpo guidato da Saletta - quanto il carattere stesso che il colonnello italiano volle dare al presidio di Massaua.
Egli, infatti , non si limitò all'occupazione di quel ristretto lembo di terra e di sabbia su cui sorgeva Massaua (cosa che avrebbe legittimato la definizione di 'stabiliment o difensivo') ma fece occupare anche i due fortini, este rni alla cittadina, di Otumlo e di M'Kullo (Monkullo) . L'op erazio ne (a proposito della quale lo stesso Saletta disse che egli l'aveva ponata a termine «sebbene l 'occupazione potesse allora sembrare imprudente») 16 dava al presidio di Massaua una caratteristica di maggiore sicurezza da eventuali scorribande di tribù locali (e forse rivelava quell'intimo timore di un insuccesso 'contro i negri ' che già abbiamo visto presente tra i militari italiani). Ma evidenziava anche una tendenziale predisposizione militare di Salett a a proiettare la forza italiana al di là di Massaua, verso le alture, verso quella che era stata chiamata 'fase di stabilimento offensivo in terrafe rm a'.
L'importanza di questo dispiegamento di forze voluto da Saletta assunse poi una maggiore importanza, alla l uce delle diverse difficoltà che la presenza italiana dovette da subito affrontare a Massaua.
Prima di tutto la resistenza passiva, se non il vero e proprio ostruzionismo , delle autorità egiziane. Come sappiamo, Mancini aveva ottenuto da Londra l'assenso ad una presa italiana di Massaua ma non un'autorizzazione a sostituire completamente i rappresentanti (militari e politici) del Cairo: era questo, come si ricorderà, il prezzo della questione istituzionale e del cosiddetto 'condominio'. Non sappiamo quanto le autorità militari italiane (centrali e locali, cioè a Massaua) fossero a giorno di questa situazione 1 7, ma conosciamo perfettamente l 'i nsofferenza- partico l armente di Saletta - per questo aspetto che in realtà dimezzava il potere co l oniale italiano in loco.
Un esem pio significativo di tutto ciò era stato dato sin dal giorno successivo l'occupazione. Caimi, in quanto Comandante del Corpo, aveva o rdinato al rappresentante a Massaua del governo egiziano che fosse concessa una adeguata ospitalità al Comando delle forze terrestri italiane. Il governatore egiziano , invece, volle concedere p er il Comando militare italiano una sola delle tante stanze del ' Palazzo t6 AUSSME, Carteggio En"trea , racc 9, fase. l, p. 25. delle autorità' di Massaua, che egli occupava e che intendeva persistere ad occupare in segno di una continuità di dominio. La cosain fondo - poteva anche non interessare direttamente Caimi che come tllltti gli ufficiali di Marina risiedeva a bordo della sua nave, ma il colonnello Saletta. Forse anche per tali motivi, Caimi accettò la sistemazione proposta dagli egiziani.
17 Certo talvolta la disinformazione dei politici non aiutava più distesi rapporti con i militari Mancini arrivò a proporre a Ricotti che , per una cprima fase•, Salerta in quanto Comandante della Piazza di Massaua fosse e rimanesse subordinato all'autorità politica e militare britannica del col. Chermside ! Proprio quando invece $aletta, auto· nomamente, stava facendo avanzare la linea di difesa.
Ciò parve invece umiliante a Saletta. Il quale, all'alba della mattina seguente, mandò una mezza compagnia dei suoi bersaglieri ad occupare il Palazzo delle autorità, che divenne da allora - tutto quanto - la sede fisica della massima presenza militare italiana in colonia 18.
Ma la questione del Palazzo era, se vogliamo, puramente simbolica. Purtroppo non fu che la prima di una lunga serie di schermaglie, di screzi, di piccole ma continue ostilità egiziane contro gli occupanti militari italiani: ostilità che intralciarono- e ritardarononon poco lo stabilirsi di un pieno potere 'coloniale' italiano su Massaua 19. Quello che contava nella vita della cittadina ed agli occhi dei suoi abitanti era infatti proprio la quotidiana, continua inframmettenza egiziana negli affari di competenza di Saletta o che comunque potevano ricadere sotto la giurisdizione di un 'autorità che avesse voluto dirsi occupante. A questo proposito, scriveva con precisione qualche mese dopo il generale Ricci, che (come vedremo) sarebbe stato inviato a Massaua per una importante ispezione: disgraziatamente sino ad ora [aprile 1885] il possesso di Massaua non è per noi completo; e, come accanto al la bandiera italiana si alza l'egiziana, si è che al fianco del nostro Comando militare ve ne ha uno egiziano. Ecco un punto che non si dovrebbe mai perdere di vista ( ... ) 20
Il rammarico di Ricci consisteva nel fatto che «ragioni di convenienza ed altre i mpedirono che nello sbarcare a Massaua si facesse come si è fatto a Beilul» 21 : evidentemente l'azione di forza di Ttucco rimaneva per Ricci e per i militari italiani un modello.
18 La vicenda era in parte nota da Storia militare della Colonia Eritrea, cit , p. 78. Cfr. anche AUSSME, Carteggio En'trea, racc. 9, fase. l , p. 27.
!9 L'impaziente Saletta era massimamente irritato da queste resistenze che lo costringevano ad andare avanti, cdi giorno in giorno , sempre temporeggiando:.. lvi, p. 28.
20 AUSSME. Volumi Eritrea, v. 11, Relazione del T G. Ricci sull'ispezione passata alle truppe dislocate sulle coste del Mar Rosso.
21 Ibidem.
Lo stesso Saletta ne era cosciente: passata qualche settimana, quando venne il momento di stilare la prima relazione al Ministero sullo stato dei servizi d'occupazione a Massaua , egli scrisse che troppe volte le istruzioni (militari o diplomatiche) gli erano giunte con un ritardo tale che poi le aveva rese inapplicabili. L'occupazione di Massaua, ad esempio, era avvenuta secondo un ordine di fatti assai diverso da quello ptevisto in quelle istruzioni. Ciò fu causa che lo sviluppo ulteriore delle cose prendesse un indiiizzo assai più lemo e difficile di quamo si presumeva nelle Istruzioni medesime 22 .
La scansi o ne in tre fasi, prevista dallo Stato Maggiore, si era rivelata impraticabile e superflua. In parte per motivi esterni (resistenze egiziane), in parte per ragioni interne o comunque italiane (ad esempio, la decisione di Saletta di allargare la zona di occupazione prevista), la fase di 'stabilimento difensivo' non era mai esistita. Si era passati subito a qualcosa di appena più grande ( Massaua più i fortini) , apparentemente più salda verso l'esterno, ma al tempo stesso più debole internamente (condominio istituzionale).
In fondo , nonostante quanto poi avrebbe scritto Ricci , era invero successo qualcosa di simile a quanto era avvenuto a Beilul. Lì Trucco aveva trasgredito le consegne diplomatiche con un singolo, per quanto significativo, atto di forza; qui Saletta, sia pure sotto il peso di forti ed oggettivi co ndizionamenti , le aveva interpretate in maniera personale e larga. Ma se a Beilul l'effetto era stato minore, a Massaua esso dovette durare nel tempo. In ambedue i cas i le autorità militari (prima il Ministero della Marina, poi quello della Guerra) non poterono - né ritennero di dovere - biasimare l'accaduto.
Dopo Khartum, sulla via per Keren
I primi segni di scoo rdinamento (o di autonomia dei singoli Ministeri) nella politica coloniale italiana passarono inosservati, oltre che per il fatto di essere appunto solo dei segnali - per quanto importanti - soprattutto perché la notizia dell'occupazione di Massaua arrivò in Italia insieme a quella di un'altro evento, assai più grande e rilevante per la situazione di tutta la regione dell' Mrica Orientale.
E quindi anche per il nascente colonialismo italiano.
Il S febbraio il telegrafo annunciava, infatti, insieme al colpo di mano italiano a Massaua , che il 26 gennaio Khartum era caduta in mano alla ribellione m ah dista 1 li Ministro degli Esteri, e con l ui una buona parte di coloro che erano al corrente degli eventi o che come Ricotti avevano forse iniziato ad entusiasmarsi per la prospettiva coloniale solo dopo aver visto le prime concrete mosse ed i primi risultati (e tra questi proprio la notizia dell 'avvenuta occupazione di Massaua) , non poteva rassegnarsi a che tutto fosse destinato a finire proprio quando appena si era llliZtato.
La seconda spedizione inglese di soccorso, quella di Wo lseley, era infatti arrivata troppo tardi: la guarnigione inglese, si era dovuta arrendere e la testa del Gen. Gordon era stata issata su una picca dai nazionalisti musulmani su danesi 2 .
La politica britannica nella zona si trovava così ad un bivio.
O insistere militarmeme, ad un anno dallo smacco di el-Obeid, o ritirarsi prudenremenre, per evitare che scorresse altro sangue inglese. Di fatto, la politi ca di Hewett era fallita ed il moto mahdista - era presumibile - avrebbe attinto nuove forze dalla caduta di Kharturn. Per un pezzo, quindi, il Sudan sarebbe sfuggito dalle mani di Londra.
La reazione britannica, se confrontata ali' entità della sconfitta, fu sufficientemente veloce. Considerando che anche in un'altra lontana parte del globo il grande impero inglese stava sc ric chio landonell'Afghanistan, ai confini co ll 'India , la Russia sembrava fare preparativi di guerra - il governo di Londra decideva il 26 aprile di ritirare le truppe dal Sud an e di inviarle in Asia 3. Nel frattempo, in Italia la caduta di Khartum fu semiracome una doccia fredda: tutti avevano capito che la spedizione di Massaua si era potuta effettuare solo per via della alta protezione della maggiore potenza imperiale e coloniale del mondo. Ma, ora che questa si trovava in così grande difficoltà , che cosa sarebbe potuto accadere a Massaua? Mancini, che non aveva mai rinunciato all'ipotesi di ingrandire Massaua 4 , temeva di veder fallire in un attimo tutto il suo piano.
1 Per le reazioni politiche italiane, cfr, tra l'aluo, a Desua, cl'Opinione•, 6 febbraio 1885, Senza esagerare; e ivi, 10 febbraio 1885, Guardiamoci dalle esagerazioni; per la maggioranza depretisiana , cii popolo romano», 7 febbraio 1885. Inghzlterra e Italia; ivi, Massaua nei suoi rapporti con Assab e Zeifa (dove, nonostante il titolo, si propone di occupare Keren); ivi, 12 febbraio 1885, Italia e Turchia; ivi, 17 febbraio 1885, Dopo le truppe. Cfr. anche CHIALA, La spedizione di Massaua. Narrazione documentata, cit., p. 189 e sgg.
2 Sul mahdismo cfr. A. SANT ALENA, L 'insurrezione nel Sudan, Trento, Turazzi, 1885. Qualche accenno interessante in XXX, Il movimento ùlamico e l'Italia, in cNuova antologia., a. 1906, pp. 325-333.
3 Per taluni commenti militari italiani cfr. cL'esercito italiano•, 29 aprile 1885.
4 Solo in questo senso, e cioè come aspirazioni ma mai come piani reali e concreti, appaiono comprensibili i risultati di quegli srudi. Cfr. invece GJGUO, La politica africana di Agostino DepretiJ, cit., p. 30, e ZAGHl , P.S. Mancini e il problema del Mediterraneo 1884-1885, cit., p. 111.
Da una pane, è vero, ci si poteva illudere che si riaprisse quel capitolo -su cui il Ministro aveva puntato tanto - di una possibile cooperazione militare anglo-italiana. Secondo Mancini ce n'erano tutte le condizioni: gli inglesi erano già vicini a Khanum, gli italiani erano a Massaua- da dove, secondo la Consulta, con una rapida 'puntata' si sarebbero potuti spostare dovunque fosse stato necessarioed altri ancora potevano arrivare. Bastava solo che Londra avesse accettato l'offerta italiana , e quello che non si era potuto realizzare 'per la via del Nilo' si sarebbe potuto fare a Khartum.
Dall'altra , però, si profilava la concreta possi bilità che Londra decidesse di gettare la spugna e di abbandonare - anche provvisoriamente - l' Mrica orientale: cosa che poi puntualmente avvenne.
Era anzi , si credette per qualche tempo in Italia dopo quel 5 febbraio 1885 , il momento migliore per valorizzare la propria presenza in Mrica orientale: aiutando gli ing lesi o facendo da soli.
In realtà, come apparve più chiaramente quando Londra ebbe annu n ciato il suo ritiro, quello da febbraio ad apr i le fu uno dei momenti più difficili e convulsi dell'intera storia della spedizione di Massaua. Venuta a mancare la figura (e la potenza) della grande protettrice britannica , la politica coloniale di Roma avrebbe avuto bisogno di una grande saldezza di principi ispiratori ed avrebbe dovuto mirare per un verso a conso lidare i1 proprio- per quanto limitatodominio, o- nell'altro verso- avrebbe dovuto rinunziare a tutto: ma fare ciò avrebbe anche significato perdere l'onore - non ancora conquistato ma assaporato - di ' grande potenza ' coloniale.
La mancanza di lungimiranza e di serena obiettività di larga pane della classe dirigente (molte delle successive mosse di Mancini, ad esempio, furono di nuovo ispirate al principio della ricerca del successo personale che, solo, gli avrebbe garantito la permanenza al governo) fu all'origine, invece , di più d ' uno tra gli eventi che seguirono.
Da pane sua Mancini provò di nuovo ad impegnare il governo inglese sul terreno di una cooperazione militare: perlomeno in maniera sostanziale (se non formale, come aveva richiesto i1 Consiglio dei Mini st ri ch e 1'8 f e bbrario si e ra riuni to sotto la presiden za d e ll o stesso Re Umb e no I) 5
I tenta ti vi in questo se nso d ella Cons u lta fu ron o vari e si rip e terono a d ondate suc cess ive , tra il fe bbraio ed i pri mi di m agg io di qu e l 18 85 . Sul tavo lo di Gr anv i lle, pri ma Min istro d eg li Esteri e po i Prernier , arri varono i n quel p e riod o i vari pian i itali ani. Le trattative per ciascuno di essi ebbero du ra t a di ve rsa: qualcun a impegnò le risp ett ive Cancellerie per qual che se ttimana , qual ch e altra durò lo spa zi o di un mat tino . Ma tutte ebbero esito sfa vo revole.
Dapprima , a metà del me se di fe bbraio, Manc ini cerc ò a Lond ra conse nsi p er una spedizi o ne cong iunt a pe r Cassala. Ma i nu tilmente 6.
Poi , tra ill2 e illS m arzo, la Consulta tentò di p roporre a G ranville - sempre p e r Cassala - un 'azione militare italiana «per co m o proprio », cui si sarebbe da to il via purch é Londra avesse espresso un qualche parere positivo. Il tutto con analoghi e deludenti risultati 7
5 Sul ruolo della Corona e dei circoli monarchici nella preparazione c nella conduzione della politica coloniale sarebbe necessario uno spa zio ben maggiore di una breve nota. Da tempo era stata sottolineata l ' im p ortanza di studi (ma anche la difficoltà nel d ocu mentarli) sul peso della Corona ne!Ja politica nazionale. Cfr. RAGI ONIERI , La ston a politica e socrale, ci t., pp. 1675- 168 5 . Ed anche sul te rre n o sp ecifico della ricost ruzi o n e de ll a po lit ica co loniale , vari sono stat i i suggerimenti alla ricer ca. Cfr. BATTAGU A, La prima guerra d 'Afn'ca , ci t ., p. 190 e pp. 192-193; DEL BOCA, Gli italiani in Ajma on'entale. Dall'unità alla marcia su Roma , cit ., p 184 Quello che ci ha impedito di sviluppare quamo av rebbe me r itato questo pumo è la difficoltà di reperire fonti documentarie adeguate e p recise. Qualche cenno però merita di essere fatto , rimandando il resto a future ricerche. G ià era stata indicata la permanenza della grande politica mil itar e nell ' ambito di una p rerogativa regia. Recememenrc cfr. DEL NEGRO , Esercito, Stato e soct'etli. Saggi di ston a militare , ci t. , p. 56. Per quanto rigu arda la sp edizione di Massa u a e il su o o rientam ento do p o la caduta di Khartou m - la cui n otizia gi u nse in Italia i l 5 febbraio 1885 - può essere rico rdato che ancora pn'ma d ella seduta de l Consiglio dei Ministri d e!J '8 febbraio (in cui U m beno l chiese una più vigorosa espansion e coloniale verso l'intern o dell ' Africa) ed in singolare sintonia con quella mossa del Re, già il 6 febbraio il Ministro della Guerra aveva so!Jecitato a Cosenz taluni s tudi nel senso appumo di una maggiore espansione. Cfr . AUSSME , Volumi Enirea , v. 2 , alla data del6 febbraio 1885. E come il Re sembrava dunque disinteressarsi del fatto co nc reto , politico e diplomatico, p er cui appena usciti da Massaua si sareb b e e n trati in territori o ab issino , così lo stesso Rz'cotti dimostrava di no n ca p ire e di non conoscere le condizioni d ettate dal tratta to H ew ett. Cfr. AUSS ME, Carteggio En'trea, racc. 121, fase. 11, 3 se ttem bre 1885 , Ricotti a Marselli E questo nonostante che da tempo la Consulta si fosse preoccupata di illustrar e alla Pilotta quelle condizioni (cfr tra l'altro AUSS ME , Volu mi Enlrea , v 2, alla data del 5 aprile 1885 , o AUSSME , Carteggio Eritrea, ra cc 121 , fase 6, aprile 1885 , Mancini a Rico ni ). Anche a presc indere da giudizi sull a realizzabilità o su!Ja opponunità delle mosse del Re o degli studi d e i militari , quella t empestività e quella sintonia tra U m beno l e il suo Ministro della Guerra conferman o co me, nei momenti cn'tr'ci, e b en dentro gli anni dell'Italia liberale, rimanesse operante una prerogativa reg ia ed una consonanza di intent i tra Corona e ese rci t o.
6 Cfr. GIG LI O , L'imp resa di Massaua 1884-1885, ci t., p. 119 e sgg.
Qualche giorno dopo, il 23 marzo, Mancini, dal momento che nel loro piano complessivo di ritiro gli inglesi avrebbero abbandonato anche Zeila e Harrar, propose a Londra di permettere alle truppe italiane di avvicendarsi con quelle britanniche in quei ricchi territori a metà strada tra Massaua e l'Etiopia. La trattativa per tale ipotesi si trascinò per più di un mese e mezzo, accendendo nel responsabile degli Esteri una grande speranza di riportare un successo politico che sarebbe stato incommensurabilmente più grande di quello di Massaua s. Lo stesso ambiente militare fu più volte sollecitato a fornire al riguardo piani e previsioni 9. Ma poi tutto si rivelò una sona di b/uffinglese (il 5 maggio Granville propose addirittura a Roma di accordarsi per Zeila con la Turchia, cioè con la potenza maggiormente danneggiata e più indignata per la presa italiana di Massaua!). Ma già a metà aprile, poco prima della pubblica dichiarazione inglese di abbandono del Sudan, si era capito che non ci sarebbe stato nulla da fare.
Acutamente, da Londra, l'ambasciatore italiano Costantino Nigra aveva scritto allo stesso Mancini che «essa [ringhilterra] si rifiuta assolutamente a qualsiasi accordo e qualsiasi impegno dopo Khanum e all'occorrenza vuole poter lavarsene le mani» 10 E, quando tutta la convulsa opera di Mancini ebbe incontrato la fine che si era meritata, Nigra sentenziò in un suo rapporto al Ministro che «era da prevedersi che noi non avremmo ottenuto nulla di chiaro» 11.
Per quanto riguarda il versante italiano dell'azione di Mancini, è interessante sottolineare come questi credesse possibile spostare a suo piacimento il possibile teatro di operazioni militari del Corpo d'occupazione di Massaua, all'interno di una vastissima area geografica che andava dalle coste del Mar Rosso all'Eritrea, dal Sudan allo Scioa e all'Harrar.
Ma durante ed a causa di questi successivi fallimenti diplomatici, la posizione personale del Ministro degli Esteri si andava rapidamente indebolendo. Appena passate le nuvole della caduta di Khartum, e scioltosi come neve al sole il primo tentativo (tra quelli qui ricordati) per Cassala, il 'Popolo Romano' organo di stampa fedelissimo a Depretis già scriveva:
7 Cfr. ivi, p. 133 e sgg.
8 Cfr. ivi, p. 133.
9 Cfr. AUSSME, Volumi En'trea, v. 2 , alle date del 12, dell3 e del21 marzo 1885.
1° Cfr. GIGUO, L'impresa di Massaua 1884-1885, cit., p. 151.
11 lvi, p. !)).
La verità è che, co me più volte annunciammo, per ora non si tratta di altre spedizioni, ritenendosi che con questo ultimo invio possa essere sufficiente la forza necessaria a garan tire i poni occupati e guarnire i punti della costa( ... ) . Ed è app unto per constatare il fabbisogno richiesto dalla situazione, che il Ministero invia un Generale dello Stato Maggiore (si trattava, co me detto e come vedremo meglio, d i Agostino Ricci, comandante in seconda del CSM) il quale dopo aver ispezionato i luoghi potrà dire se occorra per avventura di meglio rafforzare i presidi: ma fino a che il Generale Ricci non avrà compiuta la sua missione il parlare di nuove spedizioni equival e a tirare a ind ovinare 12
Si rifletta sul fatto che Ricci non tornò (e non sarebbe potuto tornare) prima del9 aprile; che una qualsiasi spedizione militare avrebbe necessitato del tempo (almeno qualche settimana) per essere allestita; che a partire dalla fine di aprile (ed al massimo dalla metà di maggio) la zona intorno a Massaua diventava inagibile per il fortissimo calore tropicale. Si rifletta su tutto questo e si capirà che Depretis, convincendo Ricotti ad inviare Ricci in ispezione, aveva già implicitamente sconfessato tutto quell'agitarsi di Mancini e tutti i suoi ' piani', come aveva già pra t icamente deciso che sino al prossimo autunno non ci sarebbe stato nessun allargamento del presidio di Massaua.
Questa interpretazione trova ancor maggior fondamento se si presta fede ali' indiscrezione raccolta in quei giorni dall' ambasciatore inglese a Roma Lumley, uomo di solito molto bene informato ed autorità diplomatica romana tra le più importanti, secondo cui già dal 24 febbraio - e cioè dal giorno successivo alla pubblicazione sul «Popolo romano» dell'ammonimento sopra ricordato - «Si era formata una combinazione per ottenere da Depretis le dimissioni di Mancini, con la promessa di votare lo schema di legge sulle concessioni ferroviarie senza ulteriore opposizione» 13, schema di legge cheè bene averlo presente - costituiva an cora in quei giorni il maggior cruccio politico-parlamentare del presidente del Consiglio.
La sorte di Mancini. insomma, era segnata. E di fatti egli fu costretto a lasciare il Ministero a giugno, quando però già a fine maggio era stato pesantemente battuto in Parlamento. Mancini fu una vittima di quello stesso meccanismo che proprio egli - talvolta da cii popolo romano:., 23 febbraio 1885, Fem'ere e colonie solo - aveva messo in moto. Gettatosi con foga sulla via di un'espansione italiana, era rimasto invischiato nei suoi stessi tentativi e aveva voluto legare la sua sorte a troppi e troppo rapidi successi coloniali. Se era stato ' l'uomo giusto al posto giusto' (sia pure con tutti i limiti pesantissimi che abbiamo visto) per Massaua, era diventato l'uomo 'sbagliato ' dopo la caduta di Khartum. I suoi 'piani', già sufficientemente noti e qui solo ricordati , non misuravano solo le velleità e i sogni dell'uomo politico (o di una parte della classe dirigente cui apparteneva) ma anche la reale debolezza del primo esperimento coloniale italiano e della sua preparazione diplomatica .
D'altra parte i fantastici 'piani' diplomatici di Mancini non erano stati gli unici ad essere avanzati da parte italiana in quel lasso di tempo che seguì alla caduta di Khartum.
Più costantemente, e più silenziosamente, anche gli ambienti militari già in quei primi giorni di presenza a Massaua organicamente andavano esprimendo una 'loro' linea di espansione .
Ma qui il discorso deve essere diverso.
Se i piani di Mancini si basavano solo su ipotetiche ed improbabili alleanze internazionali (e rispondevano più, come si è visto, ad esigenze politico personali che a specifici interessi del presidio di Massaua) l'interesse verso la regione di Keren che in più occasioni fu manifestato da autorevoli esponenti del mondo militare (Cosenz, Ricotti, Saletta) aveva due caratteristiche: partire da alcune 'necessità tecniche' del presidio appena conquistato, contare solo sulle proprie forze (e cioè sulla forza del contingente militare italiano). Se la prima di queste due caratteristiche, ambedue assenti dai 'p iani ' di Mancini, stava ad indicare quanto Massaua - da sola - fosse tutt'altro che autosufficiente, la seconda doveva rivelarsi indiscutibilmente un limite, e di fondo. Come si poteva credere- cosa che pure semb ra avessero fatto Cosenz (con più convinzione) e Ricotti - che la ' potenza' italiana avrebbe potuto affermarsi grazie alla sola forza militare?
Avevamo già accennato, durante l'esposizione dei preparativi per Massaua, ad una sorta di 'delusione' militare per il carattere 'minore' che la spedizione era andata assumendo, a confronto di altre più impegnative ipotesi affacciatesi in precedenza. Ma abbiamo anche ricorda to come , dopo la partenza del primo contingente per il Mar Rosso e poi più chiaramente dopo la notizia della avvequta occupazione di Massaua , si era potuto notare n ello stesso ambiente una certa 'ripresa di interesse' per gli sviluppi militari della prima impresa coloniale.
Questo secondo atteggiamento era significativamente dimostrato proprio dalla diffusione dei programmi (e dalla rilevanza annessavi dai militari) per una eventuale occupazione militare del fresco e ricco altipiano sovrastante la conca di Massaua che, dal nome della tribù che vi si era installata, prendeva il nome di 'paese dei Bogos' 14 .
Le carte indicavano che il centro maggiore di tale regione era costituito da Keren sulla via per Cassala, ed era bagnato dalle acque della Anse ba.
Keren era già nota ai dirigenti italiani militari: il suo nome (seppur ancora nell'incerta grafia di 'Kehren') era comparso in uno studio di Cosenz inviato da Ricotti a Man cini quando quest'ultimo pensava ancora possibile, appena dopo la caduta di Khartum, un 'azione militare combinata anglo-italiana 15. E già allora, in un altro contesto, Cosenz aveva dimostrato di apprezzare positivamente la via che peJr Keren menava fino a Khartum.
A questo proposito, sia pur aprendo una sorta di digressione, vale la pena accennare un attimo a quello studio di Cosenz 16. Lo studio era stato commissionato dal Ministro degli Esteri con la proposta di prendere in esame, due ipotesi: un'azione militare italiana che, partendo da Suakim, si fosse spinta nell'interno «fino a due o tre giornate di marcia», oppure una spedizione che (da Suakim o da Massaua o da tutt'e due le località) si fosse offensivamente indirizzata ve rso la capitale del Sudan.
La 'memoria' del Capo di Stato Maggiore, in realtà , guardava con un certo scetticismo alle ipotesi proposte da Mancini (e che infatti non furono prese, come si è detto, in grande considerazione a Londra). È oggi interessante, semmai, leggerla soprattutto perché disegna abbastanza fedelmente le preoccupazioni degli ambienti militari italiani.
Cosenz pareva temere in primo luo go la scarsissima conoscenza del teatro di operazioni: scrisse infatti che i dati che si hanno sulle condizioni del Sudan e sugli avvenimenti che in esso :si svolgono da due anni [la rivolta rnahdista] sono così scarsi ed incompleti, che lo studio relativo ad una nostra possibile azione in quel paese , sul quale non si era portata finora una attenzione, non può fare a meno di riuscire in molta parte deficiente .
14 Cfr. ERliCH, Ethiopia an d Eritrea During the Scramble for Africa: A Politica/ Biography of Ras Alula, 1875-1897, cit., p. 213.
15 Ci riferiamo di nuovo a AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data del6 febbraio 188:5. Cfr. anche MCR, Carte Mancini, se. 709, fase. l, doc. 8, 28 febbraio 1885, Ceechi a Mancini; ed ivi, doc. 9, 18 marzo 1885, Cecchi a Mancini.
16 Cfr. il testo pubblicato in ZAGHI, P.S. Mancini e zJ problema del Mediterraneo 1884-1885, cit., pp. 175-178.
Temeva inoltre il clima africano, e soprattutto la sua stagione estiva «singolarmente micidiale», e si chiedeva quali mezzi potesse mai l' I talia fornire alle sue truppe per ovviarvi, se anche il presidio (britannico) l asciat o a Suakim, «nonostante la larghezza con la quale gli inglesi sogliono provvedere alle loro truppe, ebbe durante la stagione estiva una proporzione di ammalati tale da corrispondere agli effetti di una forte epidemia» 18.
Il Capo di Stato Maggiore pareva infine temere la specifica natura dell'avversario, nella prospettiva - per l'Italia nuova- di una guerra coloniale . Nel caso in esame si trattava delle bande mahdiste comandate da Osman Digma, che appunto erano attive anche intorno a Suakim; ma in generale le riflessioni di Cosenz dovevano risultare applicabili a grande parte delle guerre coloniali: guerre che non si risolvevano con battaglie in campo aperto «contro forze regolari», ma che assumevano il carattere dì «guerre insurrezionali» (e qui vi è chi ha voluto vedere, nelle parole del Capo di Stato Maggiore una sorta di ricordi autobiografici del Cosenz garibaldino).
Queste forze non cost ituiscono g ià un corpo regolarmente costituito e permanentemente riunito. Con Osman Digma sta soltanto un piccolo nucleo di forze, che formano , per così dire, gli avamposti dell'insurrezione di fronte a Suakim. Ma non appena le t ruppe [britanniche) che muovono per attaccarlo escono dalla piazza e si dirigono verso le mooragne da esso occupate, le tribù vicine accorrono alla chiama ta e vengono a schierarsi attorno a quel nucleo, per disperdersi di bel nuovo dopo il co mbattimento, tenendosi però sempre pronte ad accorrere ad una nuova chiamata 19.
Nonostante questi timori militari e t ornando al nostro esame degli interessi e dei piani per Keren, va però notatO che vi era una sostanziale diversità tra il ruolo che si annetteva al controllo italiano di quella località nel primo studio di Cosenz (dove Keren aveva solo un'importanza di punto tattico intermedio lungo una via di comunicazione che portava all'obiettivo strategico) e il ruo l o invece che esso pareva avere assunto durante il mese successivo alla presa di Mas- saua (cioè di vera e propria specifica importanza, per la sua collocazione geografica). L'utilità militare del possesso italiano del paese dei Bogos e dell'altipiano era evidente: Massaua sarebbe stata completamente sicura, questa volta non solo dalla parte di mare (settore di . interesse della Marina) ma anche da quella di terra; oltre, ovviamente, al fatto - secondario ma non trascurabile- che le truppe avrebbero potuto usufruire di una migliore e più fresca sistemazione, in cui riprendersi - a turni - dali' insopportabile caldo della conca di Massaua.
17 lvi, p. 175.
18 l vi, p. 176 l9 lvi, p. 175 e p. 176. Su questi passi aveva già posto attenzione BATIAGLIA , La prima guerra d'Africa, cit., pp. 191 -1 92 .
La preoccupazione dei militari per l'ingrediente stagione estiva africana, sia detto per inciso, non deve infatti essere sottovalutata nell' analisi dei possibili moventi di un indirizzo strategico come quello che si andava affermando e che pareva puntare direttamente sull'altipiano. Oltre alle parole di Cosenz sopra riportate va notato che addirittura il primo dei punti del 'Progetto di Istruzioni', che il Ministero della Guerra aveva steso per il Generale Ricci e per la sua ispezione sui presidi del Mar Rosso, diceva appunto che è probabile che la prova maggiore per la quale dovranno passare le nostre truppe in Mar Rosso sia quella della entrante stagione estiva, che potrebbe avere una dannosa influenza sulle loro condizioni sanitarie 20 ed il secondo richiedeva a Ricci la determinazione di «un sito, più arieggiato» 21 di Massaua, dove poter far ricoverare le truppe. Il paese dei Bogos con Keren era indubbiamente il più vicino ed il più invitante.
Se questo era vero, non sappiamo però quanto i militari italiani si rendessero conto del fatto che uno stabilimento degli italiani a Keren avrebbe avuto un indubbio carattere spiccatamente offensivo e- particolarmente in quei primi giorni di presenza militare sul Mar Rosso - avrebbe potuto assumere un aspetto di grande minacciosità per tutte le popolazioni della zona e per lo stesso Impero etiopico. Una
20 AUSSME, Volumi Eritrea, v. 11, 20 febbraio 1885, Ris. ma Pers., Ricotti a Ricci cosa era infatti che gli italiani 'venuti dal mare' si fossero limitati a sostituire gli inglesi a Massaua; una totalmente diversa era invece che questi nuovi occupanti, da soli pochi giorni messo il piede sul territorio africano, si fossero addirittura spinti oltre le creste che circondavano Massaua per affacciarsi sull'immenso altipiano etiopico.
21 Ibidem. Le aspirazioni ad un 'paese dei Bogos italiano' erano poi destinate ad avere una buona stampa. Dopo Dogali, nell'attesa della spedizione 'di rivincita', il tema fu risollevato in vari interventi. Ci fu così chi sostenne - di nuovo - che era ciodimostrabile:ol'acclimatamento degli Europei in uno dei climi più caldi del mondo• (cioè Massaua), a meno che non si fosse occuparo anche- per l'appunto- l'altopiano dei Bogos. Cfr. G. FARALLI, Le mzlizie coloniali. Osservazioni, Firenze, Tip. Cooperativa, 1887 (il parere di Faralli si voleva 'scientifico': egli era il direttore della rivista «<drologia e climatologia medica.).
Questo secondo aspetto, 'espansionistico' , doveva ceno essere chiaro a Saletta che per primo sollevò la questione di Keren. Le stesse prime istruzioni militari ricevute dovevano averlo spinto a credere che la via di Keren era quella più probabile: proprio questo ne era infatti , come si ricorderà , l'aspetto più minutamente dettagliato. Ma, come queste stesse Istruzioni recitavano, con Keren il possesso italiano avrebbe assu nto il carattere di 'stab ilimento offensivo in terraferma '
Ecco perché, praticamente da subito, Saletta iniziò ad inviare a Roma richieste di mano libera per Keren. La sua stessa prima Relazione sulle modalità dell'occupazione di Massaua vi faceva esplicito riferimento 22
A Roma queste richieste di Saletta arrivarono proprio quando nell'ambiente militare si sare bbe potuto notare quella 'ripresa di fiducia' sulle reali possibilità della spedizione in Mar Rosso, cui abbiamo già fatto riferimento. Lo stesso Ministro della Guerra vi era in qualche modo coinvolto. Dapprima , quando le prime Istruzioni Militari vennero redatte, la Pilotta si era riservata di annotare che queste furono poi mandate al Ministero [degli Esteri] con lievi modificazioni tendenti specialmente ad accentuare la convenienza di non accingersi al camfo uincerato sulle alture [di Keren J se non quando si avranno maggiori forze 3.
Ma nei giorni invece in cui arrivò la prima Relazione di Saletta era lo stesso Ricotti a vedere come possibile una espansione italiana verso Keren e a sollecitare u n parere in merito al Ministero degli Esteri 24, al Capo di Stato Maggiore 2 5 ed al Generale Ricci, allora in mission e di ispezione i n Mar Rosso 26.
22 AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data del 21 febbraio 1885 (data di amvo della relazione sull'occupazione di Massaua) e poi alla data del 20 marzo 1885 (data di arrivo della richiesta di istruzioni di Salerta , inviato invece già il 28 febbraio da Massaua).
2 3 lvi, v. 43, 3 febbraio 1885 .
24 lvi, v. 44 , 10 marzo 1885 , Ris. , Ricotti a Mancini.
25 Cfr. ivi, v. 2 , alla data del 6 febbraio 1885.
26 Cfr. ivi, alla data del l O marzo 1885.
Più entusiasticamente di tutti rispose Cosenz, il Capo dello SME. Cosenz, che pure aveva firmato un paio di mesi prima quella assai cauta Memoria sulle difficoltà di una spedizione in Africa orientale, ammetteva di aver «cambiato un po' idea» 2 7 . E faceva seguire un dettagliato piano di operazioni.
La questione per Cosenz sembrava apparire tutta e solo tecnica. Cinque-sei battaglioni, tre batterie d'artiglieria, uno squadrone di cavalleria , una compagnia di zappatori ed una sezione telegrafioea del Genio: tutto questo e non più di dieci dodici giorni e Keren sarebbe stata italiana.
Ma il pensiero di Cosenz andava più in là. Keren, come forse in cuor suo pensava anche Saletta da Massaua, non era utile da sola: si doveva così andare sino a Cassala. Ed anche per questo Cosenz aveva già pronte le cifre. Quattrocento cammelli (tutti gli effetti di trasporto avrebbero dovuto essere d'ora in poi 'cammellati '), otto-novemila uomini per la spedizione vera e propria, sei-settemila per la guardia delle linee di operazioni, il tutto articolato in scaglioni di truppa che avrebbero dovuto marciare separati ed incolonnati, pronti però a riunirsi in caso di inferiorità numerica di fronte al nemico. Per andare a Cassala erano in sostanza necessari 647 ufficiali, 16.689 soldati, 1.111 quadrupedi: una divisione 'rinforzata', quasi mezzo Corpo d'Armata. Ecco l'obiettivo militare italiano del prossimo autunno, secondo Cosenz. Tutto ciò, comunque, concludeva il Capo dello SME, «Sarebbe grandemente agevolato qualora sin dalla primavera venisse occupato Keren» 28 .
Apparentemente insomma vi erano molte condizioni perché Keren (la cui guarnigione inglese, secondo sicure informazioni, sarebbe stata smobil itata in breve tempo) potesse essere inserita nei piani dei militari italiani : un interesse del Ministro della Guerra, una richiesta del Comandante locale, un piano dettagliato del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito.
Ma Cosenz, forse non volendo, aveva fatto un errore: aveva co llegato troppo immediatamente Keren con Cassala.
Infatti, proprio in quei giorni, come abbiamo visto, Mancini aveva ricevuto da Londra un deciso diniego a qualsiasi azione italiana verso Cassala 29. E se di ·cassala, operativamente, non si sarebbe più parlato, che senso avrebbe avuto Keren? Certo è che a metà marzo tutte le più alte autorità militari parevano favorevoli ad una qualche azione verso il paese dei Bogos.
Si era ad un punto di svolta? Ma è proprio in questo scenario che torna ad emergere la personalità di Ricotti.
Oltre a Ricci che (sentendo in quei giorni il vero 'polso della situaz ione ' a Massaua) aveva risposto all'interrogativo su Keren con uno documentato e deciso 30, fu infatti proprio Ricotti che avvertì la pericolosità di quell'obiettivo: forse al corrente della negativa conclusione degli abboccamenti avuti da Mancini con Londra, forse riprendendo quel suo personale e caratteristico distacco da imprese coloniali ed africane che sarebbero costate all'amministrazione militare 'spese e sforzo' (distacco che, come si è visto, aveva contraddistinto l'operato del Ministro della Guerra sin dai primissimi giorni della preparazione della spedizione) , Ricotti iniziò a dubitare. Il piano di Cosenz (Keren, ma poi anche Cassala) gli dovette parere eccessivo. Insieme a Depretis, il novarese fu, tra i responsabili della gestione dell'impresa coloniale, uno dei pochi a capire- sia pure dopo una iniziale 'ripresa di fiducia' conseguente alle primissime realizzazioni (presa di Massaua, etc.) - quanto radicalmente era cambiato o doveva cambiare nella politica coloniale italiana dopo la caduta inglese di Khartum.
Se Mancini rincorreva i suoi disegni di affermazione personale , se Cosenz cedeva alle lusinghe di una ardita spedizione, Ricottiche pure non era stato all'inizio contrario ad un allargamento del presidio da Massaua a Keren - rifiutò poi assolutamente di mettere il suo suggello di Ministro della Guerra a imprese eccessive: le quali, oltre a presentare il pericolo di una distrazione di ingenti forze militari dall'Italia e dai suoi interessi continentali, avevano il grande difetto di non essere sostenute dalla 'grande potenza' cui in molti modi gli italiani dovevano essere debitori della loro presenza in Mar Rosso. Fino a quando in zona c'erano stati gli inglesi, si poteva anche sperare in qualcosa di più: adesso che si erano ritirati (o che comunque se ne stavano andando) si trattava al massimo di consolidare quello che c'era. Forse Ricotti avrebbe ancora appoggiato qualche proposta per Kereo, ma, visto che quelli che adesso sostenevano necessario andarci volevano trascinarlo addirittura in Sudan, opponeva il suo rifiuto.
È interessante notare come il suo pensiero, pur partendo da sponde diverse, veniva a coincidere con quello del presidente del Consiglio. In un appunto, scritto di getto dal Ministro della Guerra in margine al piano di Cosenz per Keren-Cassala, si legge
Mi pare veramente eccessivo il numero delle bocche da fuoco. In ogni occasione sopra questa marcia progenata non si prenderà nessuna determinazione senza aver prima sentito il parere del Geo. Ricci. Appena avuto quel parere, che sarà verso la metà di aprile, bisognerà trattare la questione in Consiglio dei Ministri 3l_
Ormai la decisione di Ricotti era di fatto già presa. L'unico 'piano' o obiettivo organico, che l'ambiente militare italiano aveva autonomamente espresso in quei giorni, veniva così a decadere.
L'idea di Keren, che non era durata lo spazio di un mattino come certi 'piani' di Mancini e per cui- in un determinato momento -si erano schierate tutte le più alte cariche militari, si fermava, per il sopraggiungere degli eventi (Khanum) e soprattutto per il freno imposto dal Ministro della Guerra. E non si dimentichi il fatto che ad azioni simili non poteva non andare il favore di Umberto I (che, presiedendo personalmente il Consiglio dei Ministri della sera dell'8 febbraio, aveva anzi richiesto una maggior audacia coloniale per la 'potenza' italiana).
A sostenerla ancora per qualche tempo rimasero Saletta da Massaua, che vi faceva riferimento in vari dispacci e che continuava a chiedere rinforzi militari 32 (che gli venivano concessi in poco od in nulla), e Cosenz.
Sia pure come in una parentesi, per concludere, è infatti opportuno ricordare come più volce il Capo dello SME ricordò al Minisuo della Guerra la via per il paese dei Bogos. A fine marzo 33 e poi in aprile 34 egli chiese a Ricotti, di cui già conosceva la maturata oppo- sizione a Keren, se invece non fosse stato per caso favorevole ad un'espansione non più nel paese dei Bogos ma nella regione del Mensa, sempre allo scopo di stabilirvi «una possibi l e stazione estiva» per le truppe, «pel caso non si ritenesse conveniente occupare fin da questa primavera Keren come punto di panenza ad ulteriori operazioni» 35. Ma Ricotti non defletteva e, siccome anche il paese dei Mensa era sempre sulla via per Cassala (e comunque il suo trovarsi sull' altipiano avrebbe condotto assai probabilmente un'eventuale azione militare italiana a scontrarsi direttamente con i rappresentanti locali dell'Impero etiopico), egli non fece altro che lasciar decadere le proposte del Capo dello SME 36.
31 AUSSME, Carteggio En'trea, racc. 57, fase. 21, appunto manoscritto di Ricotti a margine di 16 marzo 1885, Ris.mo Pers., Cosenza Ricotti.
32 Il 19 febbraio 1885 era giunta a Roma la richiesta di Saletta di almeno quattro battaglioni e di una batteria di Attiglieria da montagna; il 21 febbraio la richiesta era di una batteria di Artiglieria da campagna e di qualche mitragliatrice; il9 aprile Saletta voleva che gli fossero inviati 50 uomini del Genio e 50 dell'Artiglieria (più gli ufficial.i) nonché sei pezzi di Artiglieria: inoltre subordinava l 'occupa.zione di Arhlo alla concessione di un battaglione di Fanteria c di uno squadrone di Cavalleria. Cfr. AUSSME, Volumi En'trea, v. 2, alle date ricordare.
33 Cfr. AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 57, fase. 20. 28 marzo 1885, Cosenza Ricotti.
34 lvi, l aprile 1885, Cosenza Ricotti.
Il Ministro della Guerra, se disse infine no a Keren, tanto più si oppose agli altri 'piani' di Mancini che pure in quei giorni continuavano a pervenirgli . Ad esempio, quando Mancini, con l'assenso del Capo dello SME, chiese al Ministro della Guerra di pronunciarsi su una possibile operazione italiana verso il Sudan (che la Consulta voleva proporre a Londra) 37, Ricotti la bollò nella sua risposta a Mancini come «una sped i zione di grande importan za la quale prometterebbe d'altronde effetti politici e commerciali di ben poca importanza» 38 Se invece ci fosse stato il consenso britannico e operando invece noi su Cassala e gli inglesi contemporaneamente da Suakim su Berber e da Dongola su Khartum , allora la cosa sarebbe pratica e ragionevole. Tuttavia anche in quel caso essa non sarebbe scevra da gravi difficoltà ed esigerebbe una spesa certamente non inferiore ai quaranta milioni di lire 39.
Ricotti si rendeva conto che Londra non sarebbe stata d'accordo su questo ennesimo 'piano' di Mancini e che una spedizione italiana isolata «sarebbe stata un'impresa oltremodo malagevole e sotto l'aspetto militare imprudente» 4o.
Ecco quindi che non può essere sottovalutato il più responsabile atteggiamento che Ricotti (in qualche modo insieme a Depretis) prese, almeno a panire dalla metà di marzo 1885, nella conduzione della politica colonia le italiana e che trovò la sua prima chiara espii- cazione nella questione di Keren. È indubitabile che il suo intervento e le sue idee contribuirono decisivamente ad impedire al presidio di Massaua di andare incontro- sin da allora- a brutte sorprese. In questo senso, va aggiunto che ad una tale posizione di Ricotti non erano estranei motivi di politica interna. A quella data, oltre allavorìo segreto di Mancini o di Cosenz, c'era solo un ambiente politico che sosteneva a spada tratta la necessità di rendere più gagliarda l'azione coloniale italiana: l'opposizione parlamentare crispina 41 . E come Ricotti fosse avverso a Crispi lo abbiamo già sufficientemente messo in luce.
Ibidem.
36 Cfr. ivi, 7 aprile 1885, Ricotti a Mancini.
37 Cfr. GIGLIO, L 'impresa di Massaua 1884- 1885 , cit. , p. 142 e sgg.
3S AUSSME, CarteggioEn'trea, racc. 57, fase. 21,7 aprile 1885, Ris.moPers., Ricotti a Mancini.
39 lvi. 40 lvi.
Un'ultima riflessione merita di essere fatta su questa 'via per Keren' dei militari italiani, sinora così poco conosciuta.
Keren ed il paese dei Bogos non erano località qualsiasi nello scenario abissino. Come abbiamo visto, il trattato Hewett le aveva concesse al Negus d'Etiopia in cambio di unasupervisione ed una garanzia di una sicura evacuazione delle truppe anglo-egiziane dal Sudan. Ed il Negus le aveva volute proprio perché con Keren e con Cassala egli avrebbe potuto controllare la 'porta' del Sudan. Era quindi pensabile che le avrebbe cedute senza reagire al nuovo occupante italiano?
Se la 'via per Keren' era in vari aspetti diversa dai 'piani' di Mancini, per il suo ignorare i fondamentali cardini diplomatici che interessavano quell'area geografica e per quel suo sottova lut are la pericolosità di una collisione politica o militare con l'Etiopia, vi era invece in più modi rapportabile.
L'Italia sapeva ancora troppo poco di quanto in realtà era accaduto o accadeva in quella parte dell'Africa in cui aveva voluto indirizzare la sua prima espansione coloniale. La sua politica non poteva non risentirne .
Eppure, già qualche anno prima, c'era stato chi aveva consigliato le autorità diplomatiche di informarsi maggiormente e più accuratamente sulle dinamiche di quell'area.
In un interessante rapporto al Ministro degli Esteri, il Cav. Giovanni Branchi aveva scritto:
Quello che però si ignora anche alla costa, ed a fortiori in Europa, si è l'espansione graduale e costante che la potenza del Re di Abissinia ha ottenuto in quesli ultimi anni 42.
41 ar. BOCCACCIN1 , La PenJarçhia e l'opposizione fil trasformismo, cit., p. 127. 42 Branchi era stato il Regio Console in Abissinia. Cfr. la pubblicazione riservata Missione in Abissinia d el R. Console Cav. Giovanni Branchi (1883), Roma , Tip. del Gabineno del Ministero degli Affari Esteri, 1889. La citazione è dalla p. 38, alla data del 30 giugno 1883. Una copia io AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 127, fase. 2.
E fu proprio nella Etiopia (direttamente o indirettamente) che i piani di espansione italiana andavano ad unare.
'Raccoglimento coloniale': e Saati?
Il reale problema che si era apeno per l'Italia colla presa di Massaua e - soprattutto - con la decisione inglese di ritirarsi dalla zona era se Roma avrebbe potuto reggere da sola il peso di un eventuale scontro colle forze etiopiche. Ma l'Etiopia rimaneva allora , agli occhi dei protagonisti, ancora lontana sullo sfondo. Così, quel problema appariva ai protagonisti italiani in forma affatto diversa: in che modo e sino a che punto l'Italia avrebbe potuto estendere e consolidare il suo presidio di Massaua?
A dare una risposta a quel problema stava provando a modo suo Mancini con i suoi 'piani' , ma con i risultati che conosciamo; ci avevano provato i militari , prima di imbattersi nella forte opposizione di Ricotti a farsi trascinare su quella via che , ponando a Keren, rischiava di coinvolgere il presidio di Massaua e l ' Italia in uno scontro diretto con la forza etiopica o con la rivolta mahdista.
Così, sembrando per il momento accantonata l'aspirazione a ' grandi' piani, per chi in ogni modo aveva bisogno di affermare l'onore della 'potenza' italiana, non rimaneva che la carta della 'piccola' espansione, del consolidamento del presidio attraverso un successivo ma lento avanzamento della sua linea di difesa militare 1
In fondo, era stata proprio questa la via indi cata e praticata da Saletta sin dall ' inizio con la sua occupazione dei fortini di Moncullo e di Otumlo. Inoltre , si pensava , questo tipo di espansione del perimetro dei possedimenti italiani nel Mar Rosso avrebbe potuto realizzarsi forse senza bisogno di ricorrere ogni volta alla ricerca di un assenso diplomatico britannico, che si faceva invece sempre più improbabile, come Mancini andava accorgendosi a sue spese; e una tale espansione avrebbe potuto concretarsi facendo uso delle sole truppe presenti allora a Massaua , visto il crescente sfavore con cui il Ministro della Guerra andava vedendo le 'grandi' imprese del Mar Rosso.
Quesro tipo di espansione , però , in mancanza di reali novità e miglioramenti nelle trattative tra Roma e Londra a proposito della st,essa Massaua, lasciava intatta la più grossa incertezza dell'occupazione italiana del porto abissino: la questione del condominio istituzionale tra Egitto e Italia 2 .
Immediatamente dopo la caduta di Khartum, temendo che un qualche colpo di mano dei militari a Massaua peggiorasse il tono delle relazioni anglo-italiane (dalle quali invece tanto Mancini sperava), si spedirono altre Istruzioni a Caimi e Saletta 3.
Queste ordinavano di «evitare tutto quanto possa suscitare intempestivamente una controvers ia diplomatica qualsiasi», di osservare scrupolosamente le norme del trattato di Hewett, di «mantenere relazioni benevoli» con le tribù indigene confinanti e soprattutto di «non rinnovar nulla nell'ordinamento presente dei vari servizi» 4
Questa dichiarata volontà di congelamento e di conservazione però non risu l tava esente da talune contradditorietà. La stessa direttiva diplomatica, ad esempio, determinava che tale indirizzo di conservazione istituzionale andasse perseguito in ogni caso, tranne quellonon meglio precisato - «di necessità assoluta o di evidenza di mig lioramento» 5.
Questo tipo di contraddizioni coinvolgeva anche Saletta, cui ricadevano in larga parte compiti di natura politica come di natura m ilitare. Ricotti , infatti, scriveva al Comandante delle truppe esortandolo ad «essere conciliante con la guarnigione egiziana» ma anche «ad operare con risoluzione ove sia necessario o si presenti qualche pericolo» 6.
Saletta, che già aveva sollecitato il Ministro ad una chiara presa di posizione riguardo la questione del paese dei Bogos 7 e che già in diverse occasioni aveva avuto modo di dimostrare il suo marcato e spigoloso carattere, doveva certo rirnanerne contrariato. In mancanza di istruzioni precise in tema di contegno con le tribù viciniore (aspetto questo che gli pareva decisivo), seccato dal comportamento contraddittorio di chi gli ventilava spedizioni verso l'interno ma poi gli negava anche quei pochi battaglioni che - secondo il colonnello - erano necessari ad una 'forte difesa' della Piazza di Massaua, Saletta inviò il 28 febbraio una vera e propria «Domanda di istruzioni:. 8 . Io particolare il Comandante di Massaua chiedeva chiaramente maggiori delucidazioni su cosa si fosse voluto significare a Roma per «operazioni a tre-quattro giornate di marcia:. con le forze allora disponibili a Massaua: secondo quanto lo stesso Saletta aveva telegrafato qualche giorno prima, si trattava del raggio della difesa della piazza? di quello più ampio delimitato dai forti (m a qui si trattava sempre di qualche ora di marcia, al massimo )? o di una vera e propria mossa offensiva (casomai verso l'Abissinia)? Da Roma , invece , gli arrivava quella solita risposta che il colonnello tanto pareva non gradire: «temporeggiare:. 9.
2 «Il trattato Hewett, infine, diveniva ben presto il pomo della discordia». GIANNI, Italia e Inghilterra alle porte del Sudan: la spedizione di Massaua {1885), cit., p. 97 (il volume di Angelo Gianni è in larga parte la sua tesi di laurea, condotta sotto la guida di Carlo Morandi).
3 AUSSME, Volumi Entrea, v. 2, alla data del 6 febbraio 1885.
4 lvi, v. 44, 6 febbraio 1885, Ris.mo, Mancini a Ricotti.
5 lvi, v. 2, alla data del 6 febbraio 1885.
6 lvi, alla data del 22 febbraio 1885.
7 lvi, alla data del 21 gennaio 1885.
Un tale indirizzo, inoltre, contrastava anche con le difficoltà della stessa delicata vita quotidiana del presidio di Massaua e dell'incerto equilibrio di poteri di due Stati che non piaceva a Saletta. Un equilibrio reso più difficile , oltre che dalle resistenze e dali' ostruzionismo delle autorità egiziane, dalla stessa particolare composizione della popolazione. 397 famiglie, 5. 026 abitanti (ovviamente, esclusi gli italiani) così ripartiti: 3.302 massauini, 358 arabi , 468 sihani , 235 abissini, 146 daokali, 275 sudanesi, 30 indiani, 25 turchi, 15 armeni oltre ad un centinaio circa di europei lO. Con una tale varietà etnica anche la semplice politica dell ' ordine pubblico esponeva Saletta e gli italiani ad una grande e seria difficoltà; tanto più che, come scrisse poi lo stesso colonnello, in mezzo a questo inuicato labirinto di interessi locali, la nostra occupazione aveva destato un'impressione diversa, speranze negli uni , irritazione negli alui, soddisfazione in taluni , io rutti un senso di diffidenza e di sospetto 11 .
In questo scenario e tra tante difficoltà, sarebbe forse stato meglio consolidare definitivamente il presidio di Massaua, piuttosto che attendere a nuove espansioni il cui stesso retroterra (Massaua appunto) poteva rischiare di esporre a pericoli le forze italiane.
Invece, e (come è stato acutamente notato) anche «per placare l'opposizione e l'opinione pubblica nel paese, le quali attendevano
8 lvi, v. 44 , 28 188:> , Salena a Ricotti.
9 Cfr. anche ivi , v 2 , alla data del 22 febbwo 188:> impazienti ulteriori 12 , visti i deludenti risultati delle trat· tative con Londra circa le 'grandi' mete (Sudan, Harrar, etc.), Mancini decise di dare il via ad un cauto ampliamento del dominio italiano 13. Lo scopo era quello di arrivare a cont rollare alcune località lungo la costa da Massaua ad Assab, località di cui si era parlatoanche se vagamente - nelle prime trattative con Londra a proposito di Massaua. Trattandosi di località costiere, il peso dell'operazione sarebbe gravato sulla Marina e su Caimi, che però sarebbero stati coadiuvati da Saletta e dai suoi soldati 14.
10 Dati tratti da un censimento fano svolgere da Saletta. Cfr. ivi, v. 43, 7 ottobre 188:>, Ricotti a Mancini, che allega 14 settembre 188:> , Salena a Ricotti .
11 AUSSME, Carteggio En'trea, racc. 9. fase. l, p. 4:>.
La prima, e la più imponante, di queste località era Arafali. La sua collocazione, in fondo alla baia di Zula (o Zulla) assicurava il controllo della baia stessa ed allargava il cerchio della presenza militare italiana. Vi fu quindi stabilito un presidio di forze militari, dell'esercito 15.
Fu poi la volta di Arkiko che, con il suo fortino posto nelle vicinanze di Massaua, contribuiva alla difesa del porto maggiore. Anche in questo caso, dopo l'occupazione effettuata da una compagnia di marirtai, la località fu presidiata da soldati del!' esercito. In occasione dell'occupazione, però, le forze italiane avevano miracolosamente schivato un ceno pericolo: il pugno di forze egiziane che ancora tenevano il fortino, costituite da una banda di irregolari al soldo del Cairo, non essendo state avvertite esattamente del!' arrivo di forze italiane (e dell'opponunità 'diplomatica' di arrendersi), volsero contro queste i loro canno ni Stavano per aprire il fuoco contro il repano di soldati italiani- che, armati di soli moschetti, dovevano occupare la postazione - quando un provvidenziale ordine del loro comandante, tale Aga (connivente con gli italiani), impedì che si consumasse una tragedia. Saletta, in seguito, premiò questo Aga conferendogli il grado di Capo dei bashibazouk italiani 16.
Questo tipo di operazioni seppure 'dirette' dalla Marina venivano di fatto a estendere il raggio d'azione di Saletta e del! 'Ese rcì to, l 5 Per le decisioni roioisreriali cfr. AUSSME, Volumi En'trea , v. 2 , alla data del 17 marzo 1885. Il villaggio fu occupato il lO aprile 1885 Cfr. anche Storia militare della Colonia En'trea, ci t. , p. 91. rendendo sempre più complicato il tema delle reciproche attribuzioni tra Comandanti locali delle due forze armate e ormai illogica la definizione di $aletta quale Comandante ddla (sola) piazza di Massaua.
12 GIGUO, L'impresa di Massaua, cit., p. 81.
13 Cfr. anche ZAGHI, P.S. Mancini e il problema del Medite"aneo 1884- 1885 , cit. p. 111.
14 Cfr le reazioni e il giudizio di Saletta in AUSSME , Carteggio Entrea , racc. 9, fase 11, p 41.
16 Cfr. AUSSME , Carteggia En'trea , racc. 9, fase. l, p. 55.
Nel frattempo, va ricordato che Saletta aveva sollecitato un parere circa le sue idee di arrivare a controllare Keren 17 . Da Roma arrivò il parere contrario del Ministro 18, ma a Massaua arrivava anche l'eco di altre voci, più favorevoli, come quella dello Stato Maggiore.
Comunque, una politica di 'piccole' annessioni, di azioni di forza calib rate, si riteneva a Roma, non avrebbe dovuto preoccupare le altre potenze (Francia, Gran Bretagna, Russia) interessate al Mar Rosso. Ed infatti così fu. Rischiavano però di provocare in Italia aspettative ed attese eccessive 19.
Così, già alla fine di marzo, Depretis, attraverso il soli to «Popolo romano», aveva ammonito che le guerre coloniali d'oggi non si possono più fare con i criteri di una volta , quando cioè i popoli barbari o semiselvaggi erano armati di picche e di lance di legno, e bastava un buon cannone o quattro scariche ben dirette di due o ue battaglioni per disperderli( ... ) Con il mare alle spalle non c 'è mtlla da temere( ... ) Ma se un giorno per avventura gli avvenimenti portassero a dover prendere altre decisioni (cioè un'espansione per terra), converrà tener conto delle lezioni che ci offrono gli altri e non avventurarsi io un'impresa , anche se limitata , senza largheggiare in precauzioni , per quanto si rifletta a forze e mezzi materiali 20 .
Con queste paro le sembrava che Depretis volesse ulteriormente restringere -per allora- l'ambito di qualsiasi politica coloni,ale italiana alla sola Massaua. '
In questo senso Depretis non era isolato.
17 Cfr. ivi, p. 39 e sgg.
18 Qualche forma di rapporto (anche se non stretto e frequente) tra Saletta e Cosenz, senza il passaggio intermedio di Ricotti , dovette esserci anche in quei primi mesi.
19 Ovviamente , esula dalla nostra ricerca uno studio delle reazioni dell ' opinione pubblica all ' avvio della prima espansione coloniale. Non crediamo però che queste, tranne qualche raro caso, furono poi determinanti per il concreto indirizzo della politica del Governo (o, meglio, della Consulta e della Pilotta). Nonostante si sia talvolta tentato di applicare ai rapporti tra Governo ed opinione pubblica, nel 1885 e a proposito della spedizione di Massaua, una sorta di modello adano più alle funesti 'radiose giornate' che alle vicende appunto del 1885, la nosrra impressione è che -particolarmente in quei primi mesi di espansione coloniale italiana e poi un po' in tutte le vicende della 'spedizione di Massaua', almeno flno a Dogali- il primo policy-making coloniale italiano si svolse prevalentemente nel chiuso delle stanze della Consulta (e della Pilotta).
20 cii popolo romano:., 28 marzo 1885, Politica coloniale.
Ormai conveniva con lui, come abbiamo visto, anche Ricotti. Ed in quei giorni anche il generale Ricci, di ritorno dalla sua ispezione a Massaua, aveva avuto modo di poter dire la sua. Invece di sostenere le opinioni di chi avrebbe voluto una più ardita politica coloniale, il Comandante in seconda dello Stato Maggiore - in questo probabilmente in contrasto con le idee del suo diretto superiore Cosenz - proponeva in una sua Relazione a Ricotti a ddir ittura il principi o (politico e niente affatto militare, difensivo e per niente offensivo) di contrarre un'alleanza- anche se temporanea- con il Negus.
L'occupazione di Massaua ha insospettito grandemente il Re d'Abissinia, e da lettere del Nareni che mi furono mosuate a Massaua , appare la preoccupazione prodotta in lui da tale stato d ' animo del Re Giovanni. Bisogna assolutamente dissipare questa diffidenza, se vogliamo essere solidamente stabiliti a Massaua. Nella mia mente un ' alleanza con l'Abissinia , come è possibile farne una con quel paese , dovrebbe , nel momento anuale , essere l ' obiettivo della nosua politica; più tardi poi si vedrà che cosa convenga di fare 21
Infine va not ato che proprio in qu e ll e settimane si andavano accumulando gli insuccessi di Mancini , e quindi si andava ulteriormente indebolendo la sua posizione politica personale e le sue mire espansionist ich e.
Era così in questo quadro generale, te nuto conto anche dell'approssimarsi dell'estate e della molto probab ile sosta nelle operazioni militari che comunque essa avrebbe comportato, che il governo di D epretis pareva orientarsi verso un rac cog lim ento ed una stasi nell'azione coloniale.
A metà aprile il Ministero della Guerra emanò alcune 'Norme speciali di servi zio per le truppe distaccate in Africa' 22 mediante le quali veniva costituito il Comando Superiore delle truppe italiane io Mrica (Comando que sto che, pur con competenze es clusivamente limitate alle truppe dell'Esercito, comportava per chi lo avesse rivestito una denominazione che, co me ammis e poi lo stesso Saletta, cdata al Comandante Militare del! 'Es ercito, doveva ferire la suscetti- bilità del Comandante le forze navali:.) 23. In quella stessa occasione fu deciso che il Comandante Superiore avrebbe avuto cle attribuzioni di competenza dei Comandanti di Divisione:., cosa che dava a Saletta le funzioni non più di colonnello ma di generale.
21 AUSSME, Volumi Eritrea , v. Il , 19 aprile 1885, Ri cc i a Ricotti , Relazione , con allegato D ocumento D. 'Le n ostre col onie nel Mar Rosso '.
22 Cfr. cGiornale militare ufficiale •, 19 aprile 1885, atto n. 51. Erano già pronte da qualche giorno. Cfr AUSSME , Volumi Eritrea , v. 2, alla data del 17 aprile 1885. Furono poi comunicate ufficialmente alla Marina solo dopo quasi una settimana. Cfr. ivi, alla data del 22 aprile 1885 .
In quegli stessi giorni il Consiglio dei Ministri veniva riunito e si accordava su una 'stretta' per l'azione coloniale.
Ricotti faceva riferimento a quella riunione quando scrisse a Saletta annunciandogli (vagamente) che «condizioni speciali», che pure «per ora non si possono prevedere», avrebbero potuto consigliare di climitare le nostre forze di occupazione ad un solo battaglione sussidiato di una sola compagnia di Artiglieria e di una del Genio, col concorso di qualche nave da guerra». Poi, più chiaramente, Ricotti scrisse che ci l Governo [era] d'avviso che l'occupazione di Massaua [dovesse] rivestire un carattere esclusivamente difensivo» e che vi erano «pochissime probabilità di dovere operare da Massaua nell'interno verso Keren e Cassala» non solo subito, io primavera, ma anche cnella ventura stagione autunnale:. 24
Per Saletta, che ancora solo qualche giorno prima avrebbe voluto andare a Keren, una comunicazione come questa equivaleva ad una sconfessione. Il piano di una stasi coloniale appariva inoltre dettagliato e predisposto in modo da interessare non solo Massaua, ma tutti i distaccamenti italiani della costa del Mar Rosso. Per Beilul, per la cui occupazione erano ancora impegnate un certo numero di forze militari italiane, ad esempio, si pensava di costruire qualche opera di fortificazione col «concetto di poter mantenere quel punto con forze limitate e ciò allo scopo di poter ridurre in seguito quel distaccamento a mezza compagnia» n.
La po litica, 'responsabile' e di contenimento, di Ricotti sembrava insomma aver evidentemente avuto la meglio sui fantastici 'pialli' di Mancini. Ma poteva essere un 'successo' solo apparente.
Per praticare questa politica di raccoglimento (in un momento in cui l'attesa dell'opinione pubblica era assai viva) 26 ci sarebbe vo-
23 Cfr. AUSSME, Carteggio Enlrea, racc. 9. fase. l, p. 67.
24 Questa citazione e la precedente sono traete da AUSSME, Volumi Eritrea, v. 43, 13 aprile 1885, Ris.mo, Ricotti a Saletta.
2 ) lvi, v. 2, alla data del 17 aprile 1885.
26 Anche nella società civile, sia pure in forme differenziate (ed ancora da precisare oggi con ricerche specifiche e documentate), cresceva l'interesse per gli affari africani. Questo aveva anche risvolti, individuali, curiosi. Tra le ca rte della Presidenza del Consiglio si trovano ancora incartamenti di pratiche riguardanti richieste di singoli cit- luto forse una grande omogeneità della classe dirigente politica ed una ferrea opera di controllo da parte di Depretis e dalla sua Presidenza del Consiglio. Ma queste due condizioni non esistevano. Per il momento Depretis dovette accontentarsi di aver scongiurato, con gli ammonimenti sulla scampa della fine di marzo e con la 'stretta' di metà aprile, i pericoli derivanti da quella 'grand e' espansione che Mancini pareva minacciare, con quei seg reti contatti con gli ambienti diplomatici londinesi. Ma non poteva fe rm are i meccanismi avviati per la 'piccola' espansione.
Il 'raccoglimento', q u indi, rischiava di essere una politica proclamata ma non praticata.
Questo rischio (che da una pane avrebbe reso meno credib ile la vo lont à co lon iale itali an a negli ambienti dip lomat ici delle Cancellerie europee e dall'altra avreb be contribuito a disorientare la quotidiana conduzione amministrativa e politi ca dei presidi da pane dei Comandanti militari locali) era in qualche modo aggravato dalla presenza di altre contraddizioni nelle stesse Istruzioni impartite dai Ministeri che quel 'raccoglimento' doveyano gestire.
In generale, si potrebbe dire che questo era uno degli effetti politici del disorientamento provocato, nella classe dirigente italiana, dalla decisione britannica di ab bandonare il Sudan senza per questo vole r aiutare la 'piccola' It a lia a prendervi il posto che era stato della stessa Inghilterra. D isorientamento che lasciava la neo na ta politica coloniale italiana senza il grande scudo protettivo al cui riparo aveva dapprima creduto poter all'occorrenza ripararsi.
Depretis, e con lui forse una buona parte della classe dirigente italiana (se si escl udono Man cini per motivi personali, Crispi e l' opposizione crispina per motivi puram ent e politico-parlamentari e taluni settori- ma non tutti - dell'opposizione più conservatrice per motivi ideo logici di ' grandezza ' e 'onore' dello Stato), vedeva con chiarezza che mancavano all'Italia le energie economiche, politiche e sociali perché fosse avviata una grande campagna di espans ione coloniale 2 7. Le ene rgie militari, da part e loro, fo rse si sarebbero po- tadini per pratiche varie. Tra queste , quella di un ceno Perosini Costantino che scrive, con la calligrafia incerta dell'uomo comune , a Deprecis per ottenere cun impiego qualsiasi in Africa.. ACS , Presidenza del Consiglio dei Mini.stn·, b. 56 , f. 57, 16 febbraio 1885. tute trovare: ma il Presidente del Consiglio, come molta altra pane del personale politico della sua generazione, era forse propenso acredere che l 'Ese rcito sareb be stato più utile in Italia o comunque su l fronte europeo-continentale che su quello , lontano, coloniale.
27 Cfr. H. ERLICH, Ethiopian an d En.trea During the Scramble for Afnea: A Politica/ Biography ofRas Alula, 187.5-1897, Michigan -Tel Aviv, Michigan State Univ. & T el Aviv U niv ., 1982, pp. 2 -3. Contrariamente a quamo fatto sinora con opere non italiane , citeremo più volte il volume di Erlich.
D'altra parte, anche a presc indere dalle politiche e dagli orientamenti personali , non erano molti gli s pazi per una espansione coloniale in quei mesi nel territorio alle spalle di Massaua: la forza del mahdismo non accennava a scemare e la crisi dell'Impero etiopico non era an cora consumata.
Comunque fosse , il ' disorientamento ', o quantomeno l'osc illazion e, è ad esempio ben visibile in tutti i più imporranti dispacci che Ricotti inviò nelle settimane successive a Saletta.
In un documento qui già ricordato, dopo aver minacciato la verticale riduzione del presidio di Massaua , e con esso la fine di qualsiasi espansione colonial e italiana in Mar Rosso , il Ministro della Guerra si affrettava ad aggiungere che cuna tale eventualità, giova ben affermarlo, non entra per ora nelle idee del Governo» 28. E continuava : anzi nulla osta che al presente, finché non vi sia a prevedere seri attacchi di numerose forze nemiche , si conservino gli attuali distaccamenti nei forti avanzati, o si possano anche occupare Arkiko e Arafali , od eseguire qualche ricognizione od ese rcitazione di marcia nei dintorni di Massaua verso l'interno. Tutto questo però non deve per nulla compromettere la difesa di Taulud e di Gherar 2 9.
Più tardi , il 23 aprile, Ricotti scriveva a Saletta che compito pri oritari o era «no n estendere l 'occupazione di Massaua ma limitarla a scopo commerciale» 30 . Ma , come già qualche giorno prima, a questo seguiva immediatamente la 'c orrezione':
Ciò non toglie che l'andamento della politica potrebbe modificare nuovamente quella situazione, donde quelle alternative e quelle co n traddiz io ni che rendono difficile la posizione del Comando di Massaua , ma che pure bisogna accettare come conseguenza di fatti d'ordine su periore 3 1
Infine, il15 maggio, a prop osit o della fondamentale questione di co me mantenere il co ntroll o italiano sui foni avanzati ( Moncullo
28 Citiamo ancora da AUSSME , Volumi En'trea, v. 43 , 13 aprile 1885, Ris .mo, Riconi a Saletta.
29 Ibidem e Otumlo) che Saletta aveva deciso di occupare sin da quando sbarcò sulla costa del Mar Rosso, il Ministro della Guerra ammetteva implicitamente di non sapere cosa dire.
30 lvi, v. 2, alla data del 13 aprile 1885.
3! Ibidem .
In merito ai foni staccati, si reputa pericolosa l'occupazione permanente di quelli che non siano in grado di resistere ad un colpo di mano, mentre dall'altra parte si riconosce che il loro sgombero potrebbe presentemente tornare di grave danno al prestigio della nostra autorità e della nostra forza 32 .
La contraddizione, ed il disorientamento, parevano toccare tutti i campi di interesse di una politica coloniale. Sul delicato tema della politica da seguirsi con le tribù indigene, nello stesso giorno, furono ordinate addirittUra due cose diverse, a secon da che si scrivesse al Comandante del presidio di Assab o al Comandante Superiore delle truppe italiane in Mrica. Al primo si scriveva di tenersi interamente estraneo ai privati dissidi ua gli indigeni c: che [si doveva) intervenire con la truppa solo nel caso che bande provenienti dall'interno tentino un attacco di viva forza 33, mentre al secondo veniva ricordato essere dovere delle truppe intervenire sempre a proteggere gli indigeni che siano posti sotto la nostra protezione da qualsiasi parte provenga l'attentato alle loro persone o alle loro proprietà 34.
Nella vacanza di un indirizzo superiore chiaro e preciso era inevitabile che l 'auto rità che alla fine si sarebbe imposta era quella locale; nel nostro caso il Comando di Saletta. Esemplarmente, a proposito della questione ora ricordata dei fortini, lo stesso Ricotti ammetteva:
Non avendosi dati sufficienti per giudicare in proposito con piena conoscenza di causa, il Ministero lascia al colonnello Saletta di prendere quelle determinazioni che crede rà più ofportuoe , pur tenendo presente i criteri principali che gli vennero comunicati 3 .
Il largo spazio di manovra che doveva venire a Saletta, parados- salmente, proprio dalla politica di 'raccoglimento' della primavera '85, si può ricavare anche dalle contraddizioni in cui era caduta più volte la politica ministeriale nei confronti di quella che avrebbe dovuto essere la 'politica indigena' del presidio di Massaua. Proprio nelle settimane successive alla decisione del Governo Depretis di contenere l'espansionismo italiano entro il perimetro di Massaua, dovevano infatti venire da Roma al colonnello italiano alcuni dei più calorosi incoraggiamenti ad un'azione «dura ed efficace» contro il 'brigantaggio' che dal punto di vista dei militari italiani «infestava» le contrade intorno a Massaua 36.
32 lvi, v. 2, alla data del 15 maggio 1885.
33 lvi, alla data del 4 maggio 1885.
34 Ibidem.
35 lvi, alla data del 15 maggio 1885.
La reale motivazione di questi inviti era chiara: non si poteva lasciare in una inattività completa un presidio militare che arrivava ad essere fone nel suo totale di più di tremila soldati. Se il miraggio dei 'grandi' piani doveva essere svanito, se anche la fase della piccola espansione sembrava essersi frenata (anche se, come vedremo, non era proprio così), non rimaneva altro che dare il via ad una campagna di ordine pubblico africano o, come si sarebbe detto qualche decennio dopo, di ' polizia coloniale'. Tra l'altro, il15 maggio, Ricotti scriveva a $aletta: più di un occupante militare straniero) pretendesse di dettar legge a modo suo in terra non propria? E cosa fare, infine, se un'azione italiana contro una banda locale od una piccola tribù avesse potuto non piacere al Ras od allo stesso Negus etiopico? Eppure, di questi gravi e formidabili problemi, non si trova traccia nelle cane e negli atti di Saletta.
Se si presenta l'opportunità, dia pure senza riguardo delle buone lezioni ai predatori ed aggressori di qualunque specie e razza 37, anche se poi, conscio dei grandi spazi che così dicendo egli veniva ad offrire al colonnello, lo ammoniva a ricordare come «un insuccesso, quali sarebbero l'eccidio o la prigionia di qualche nostro ufficiale o di qualche nostro piccolo drappello potrebbe bastare per trascinarci ad una guerra offensiva nel centro dell'Africa» 38, che era appunto quanto Depretis , Ricotti e il governo allora non volevano.
Ma quali fossero le discriminanti da tenersi tra le turbolenze di qualche tribù, le razzie di rappresaglia di qualche banda beduina, le azioni di rivolta di una turba di rnahdisti e le malversazioni dei 'veri briganti' non erano mai specificate. E , soprattutto , cosa si sarebbe dovuto fare se dietro quella vaga definizione di 'brigantaggio ' abissino si fosse celato qualcosa del concreto risentimento proprio di una riconosciuta autorità politica locale, di un Ras etiopico- ad esempio - come Ras Alula, che non accettava che Saletta (per lui niente 36 Ibidem.
37 lvi, v. 43, 15 maggio 1885, Ris., Ricotti a Saletta. 38 Ibidem.
Forse per la prima volta da quando era arrivato a Massaua, il colonnello, che tanta opinione aveva di sé e che tanto aveva sperato in una 'grande' espansione militare italiana verso Keren, vedeva aprirsi di fronte vasti spazi di manovra.
Se anche nell'occupazione di Arafali non si volesse vedere un qualche effetto della sua continua azione di spinta (si ricordino a questo proposito le continue richieste di uomini e di materiali che il colonnello aveva fatto giungere a Roma da quando era stato nominato Comandante della piazza di Massaua), si deve riconoscergli un notevole sprezzo del pericolo nella ricognizione a Saati ed Ailet che egli compì per vari giorni consecutivi nell'aprile 1885 39_
Lasciato l'ufficio di Comandante Superiore al suo vice, Saletta si diresse verso Saati per controllarvi la realizzabilità di un'occupazione italiana del villaggio abissino, situato a sole due ore dal confine tra la zona di Massaua e quella più propriamente etiopica del paese dei Bogos. Quindi svoltò verso Ailet, ormai in territorio etiopico 40; sulle pendici delle alture che cingevano Massaua saggiò lo stato delle forze militari abissine che ancora tenevano quella postazione. Infine si diresse ad Amba.
La ricognizione in terreno nemico era stata certamente rischiosa per l'inesatta conoscenza dei luoghi (il gruppo perse più volte la strada maestra) e delle popolazioni. La pericolosità della cavalcata, non specificatamente autorizzata dal Ministero e che - nel caso avverso di un'imprevista imboscata - avrebbe potuto persino privare il presi-
39 dio di una delle due massime cariche militari, venne poi ricordata da Saletta in questi orgogliosi termini:
La descrizione più dettagliata si ha in AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 9, fase. l, p. 52 e sgg.
40 Saletta doveva rendersi conto di aver oltrepassato il conflne ua territorio massauino e territorio etiopico (sia pur così imprecisamente definito dal trattato Hewett), Poco credibile appare quanto egli scrisse poi, a sua giustificazione, al Ministro della Guerra accusando «<a mancanza di una carta anche approssimativamente esatta» sui confmi abissini. AUSSME, Volumi Entrea, v. 43, 23 aprile 1885, Ris., Saletta a Ricotti. Era una questione, comunque, che Saletta avrebbe dovuto aver presente, perché strutturale ed inuinseca ai rapporti coloniali del tempo tra potenze colonialiste e stati africani. Su questo tema, cfr. S . BONO, Le frontiere in Africa. Dalia spartizione coloniale alle vicende più recenti (1884-1971), Milano , Giuffré, 1972.
Con ciò [la ricognizion e su Saaci ed Ailet) io assunsi soltanto su me stesso tutta la responsabilità della mia decisione e delle conseguenze che ne sarebbero potute venire 41 .
Di fatto la ricognizione di Saletta su Saati ed Ailet apriva una nuova strada di espansione per il presidio dj Massaua. Se, dopo l' immediata occupazione del febbraio, era parso che dovesse essere la Marina a far compiere i primi passi del colonialismo italiano in Mar Rosso (anche se poi era sempre l'Esercito a vedersi alla fine gravato di nuove responsabilità), dopo la ricognizione di Saletta (e la nascita concreta - per così dire - dell'obiettivo di Saati che ne doveva conseguire) avrebbe dovuto essere l 'Esercito a sostenere l'onere e l'onore delle ulteriori occupazioni italiane.
Saletta sembrava aver bene scelto anche i tempi di quello che poteva essere un disegno a cui pensava da tempo. Il disorientamento della politica coloniale italiana dopo la notizia della caduta di Khartum, se pure imponeva di non superare i limiti di una 'piccola' espansione (non era ancora venuto il tempo per andare a Keren , insomma) lasciava un certo spazio ai Comandanti militari locali. In questo senso (se pure il controllo di obiettivi come Saati o Ailet poteva trovare in sé qualche giustificazione tecnica) non va dimemjcato che essi si trovavano pur sempre sulla via di Keren.
In quei giorni, così, il colonnello aveva inviato al Ministero della Guerra una relazione in cui si accennava alla utilità di un'occupazione di Amba e di Saaci 42 Aveva poi scritto in merito anche al Negus 43. Infine, in uno scambio di lettere di ordinaria amministrazione con Ras Alula , Saletta annunciò anche al capo locale abissino la sua intenzione di occupare Saaci: questi, da pane sua , rispose riaffermando i suoi diritti e dimostrando di non dare troppo peso alle parole del colonnello 44
41 AUSSME, Carteggio En'trea, racc. 9, fase. l, p. 53.
42 Cfr. ancora AUSSME, Volumi Eritrea, v. 43, 23 aprile 1885, R.i.r., Saletta aRicorri.
43 Cfr. ibidem.
44 Il carteggio, con gli originali delle risposte di Ras Alula, in AUSSME, Volumi Eritrea, v. 44 , 5 maggio 1885, Saletra a Ras Alula; 11 maggio 1885 , Ras Alula a Saleua; 12 maggio 1885, Saletta a Ras Alula; 13 maggio 1885 , Ras Alula a Saletta; 14 maggio 1885, Ras Alula a Saletta; 27 maggio 1885, Salena a Ras Alula; 28 maggio 1885. Ras Alula a Saletta; 5 giugno 1885, Salerra a Ras Alula. Per la vicenda, cfr. anche DEL BOCA, Gli italiani in Africa on'entale. Dall' unità alla marcia su Roma, cit., p. 208.
In questa situazione , il 9 maggio Saletta fece occupare Amba da una compagnia di bersaglieri (che poi verrà ritirata) e da una cinquantina di irregolari indigeni, armati e assoldati a Massaua, destinati a presidiare la località 45.
In quegli stessi giorni egli si mise in contatto con il rappresentante inglese Chermside e riuscì ad ottenere che gli irregolari egiziani che in quel momento stavano tenendo militarmente la località di Saati passassero al soldo degli italiani 46
A questo punto, e con poca fatica, sembrava che la strada verso Saati fosse apena.
Il 'piccolo piano' di Saletta di avanzare la linea di difesa di Massaua non più lungo la costa ma verso l'entroterra abissino poteva dirsi avviata. Il colonnello avvertiva il rischio cui esponeva il presidio, estendendo il perimetro della zona di occupazione militare italiana proprio all'approssimarsi della stagione estiva? Pensava che anche un piccolo ma significativo allargamento dell'occupazione italiana avrebbe potuto insospettire il Rase, per lui, lo stesso Negus? Forse. Ma più probabilmente, con lo stesso sprezzo del pericolo (o, meglio, sottovalutazione del rischio reale) che aveva dimostrato nella sua cavalcata su Ailet, Saletta dovette credere che una politica dei fatti compiuti Ili avrebbe impressionati ed avrebbe fatto apprezzare anche in quelle contrade la 'potenza' italiana.
Ma qualcosa fermò invece Saletta. Ed anche la presa di possesso di Saati fu cosa che si realizzò in realtà solo a metà.
A dissuadere il colonnello dalla sua azione fu forse proprio una rinnovata turbolenza delle tribù locali 47 che dovevano aver avvenito questa nuova attività militare dell'occupante. O forse gli stessi inviti alla moderazione ed al raccoglimento che continuavano a giungergli da pane del Ministero della Guerra. Proprio Ricotti aveva scritto che la ricognizione su Ailet «non [era] stata ispirata ai dettami della necessaria prudenza» e che in linea di massima era contrario all'occupazione di Amba e Saati e che per gli stessi forti avanzati si riservava di far cadere sulle spalle del colonnello qualsiasi responsabilità 4s.
Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data dell9 maggio 1885 (data di am·vo del telegramma inviato da $aletta).
46 Cfr. Storia militare della Colonia En"trea, ci t., p. 94.
47 Cfr. AUSSME, Volumi En.trea, v. 2, alla data del 9 giugno 1885. Salma, in un rapporro giunto al Ministro della Guerra in quella data, parlava di Beilul come fosse cquasi prigioniero il presidio colà distaccato:o
48 Cfr. ivi, alla d-ata del 15 maggio 1885.
La volontà (di Depretis o di Ricotti, o di tutti e due) distasi e di raccoglimento coloniale doveva inoltre essersi fatta più decisa proprio in quei giorni in cui Saletta iniziava a muoversi, se si arrivò a parlare di abbandonare Moncullo, Otumlo e Arkiko e forse anche di demolire lo stesso fortino di Otumlo.
Contro questo, in notevole sintonia con le azioni di Saletta, si era nel frattempo schierato il Capo di Stato Maggiore. In una lettera al Ministro della Guerra in cui riconosceva necessario concedere al colonnello una più lata autonomia («il Comandante Superiore delle truppe in Mrica deve considerarsi come il Comandante di una piazza in tempo di guerra») 49 , Cosenz si opponeva a qualsiasi arretramento dalla nuova linea difensiva. E, con tono incisivo, scriveva delle popolazioni delle coste del Mar Rosso che «quella è gente che non stima e rispetta altro che la forza ed ha il massimo disprezzo della debolezza» 50_ Non si era ancora alla sottovalutazione di De Robilant dei 'quattro predoni' , ma vi si era pericolosamente vicini.
Ma nonostante la difesa di Cosenz, a Saletta, quindi, non rimaneva altro che consolidare l'esistente con le varie necessarie opere di difesa, a cui fu atteso in più riprese tra il maggio e il giugno 51, collaudare la capacità militare dei suoi soldati con esercitazioni tattiche e persino con una prova generale di attacco nemico su Massaua 52 e rinsaldare qua e là lo spirito bellico dei suoi ufficiali. Il tutto nell' attesa delle grandi calure estive.
A Saati, in qualche modo, anche se di nuovo in 'condominio' come a Massaua, si era arrivati. Ma il disegno più generale di Saletta (arrivare a Saati per andare avanti) era fallito. Intanto il seme era stato gettato: una politica coloniale in Abissinia non si sarebbe potuta fare solo sulla costa (mercè la Marina) ma anche verso l'interno, e grazie all'Esercito. L'obiettivo di Saati, importante quando non si poteva andare subito a Keren, era nato.
Chi vi era stato, in quella località utile per la sosta delle carovane, aveva scritto che «a Saati non vi sono capanne, non è quindi un paese , è semplicemente una sorgente incassata in un buco» 5 3 _ Chi
49 Cose nz aveva scritto alcuni «concetti su lla condotta da tenersi nei presidi d'Africa». Volumi En'trea, v. 44 , 21 maggio 1885, Cosenz a Ricotti. 'Concerti' sui quali forse Riconi espresse qualche critica. Cfr. ivi, 28 maggio 1885, Ricotti a Cosenz.
50 Ibidem aveva da tempo fatto rilev are la costante pericolosità della mancanza di un accordo tra etiopici ed italiani sulla questione dei confini, aveva anche dimostrato che il possesso di Saati non avrebbe obbligatoriamente risolto la questione a favore degli italiani. Il cav. Maissa, soStituto Commissario Civile a Massaua , lo aveva sc ritto a chiare lettere al suo superiore al Ministro degli Esteri. Ed illustrando gli scarsi risultati che si sarebbe ro potuti conseguire anche con una ' Saati italiana' aveva concluso il suo rapporto con le parole: «Colp irà Vostra Eccellenza come rimaniamo strozzati da quella pane• 54.
5! lvi , v. 4, 19 maggio 1885 e 5 giugno 1885 .
52 Cfr. AUSSME, Carteggio Enirea, racc. 9. fase. l , p. 78.
53 NEGRI, Massaua e dintorni , cit., p. 30.
Ma intanto, in una mani e ra od in un'altra si andava a Saari. Seppui paradossalmente di pochi chilom etri , l'Etiopia era più vic ina. E a Massaua si era sempre in 'con dominio ' .
La pn·ma ordinaria amministrazio ne coloniale
Massaua , una volta occupata, non si teneva solo presidiandon e le strade od il porro: andava anche amministrata . Infatti Salettatra i tanti problemi politici e militari che gli si ponevano - doveva fare anche il 'governatore' . E qualsiasi raccoglim e nto implicava un maggior lavoro amministrativo.
Gli affari più propriam ente militari non erano i soli su cui Sale tta potesse così portare in quei giorni il suo interesse.
In mancan za di una più precisa definizione della struttura politica ed istituzionale del presidio d'occupazion e italiano (ed in presenza soprattutto di alcune tendenze 'interventiste' dello stesso Saletta in qualsiasi settore deJla vita ammini strat iva massauina ), il colonnello si trovava ad affrontare - il più dell e volte senza pre cise istruzioni - i più svariati aspetti della vita quotidiana coloniale in Mrica.
Attraverso le sue cane si può così gettare un approfondito sguardo sul reale andamento della vita della prima co lonia italiana 1
Parlando di Ailer, poi , Maissa ammoniva correttamente sul fatto che esso cè oggi presidiato dagli abissini, e non potremo occuparlo senza aperta rorrura col Negun. Cit. in V. MANTEGAZZA, Da Mas.saua a Saati. Narrazione della spedizione de/1888 in AbiSiinia, Milano, Treves, 1888 , p. Xll.
1 Un esame esa uriente della vita ammi nis t ra tiva d i quei prim i mesi a Massaua richiederebbe un più va riegato apporto documentario rispetto a quello che la documentazione militare da sola può offrire. Eppure, dalla lettura di queste cane, emerge già con chiarezza l 'impreparazione, le incenezze c le difficoltà (anche a livello locale) del primo colonialismo italiano. Con un analogo taglio di indagine, per l'es perienza britannica e con un occhio al complesso di quella amministrazione coloniale (non solo militare) cfr.). CEli, Bn'tish Colonia/ Administrati'on in the ltfid-nineteenth Century. The policy-making process, New Haven, Yale Universicy Press, 1970.
In questo senso non interesserà tanto vedere, qui, come Saletta poi dirimesse effettivamente le varie ed ingarbugliate questioni che gli si presentavano, quanto piuttosto dare una prima occhiata alle questioni stesse, ai problemi in quanto tali, alle comp licazioni 'normali' della prima amministrazione coloniale ed a come vi si avvicinava una amministrazione straordinaria militare.
Il punto caratterizzante di tutta la congerie di problemi amministrativi dei primi mesi pare riassumersi, come vedremo, nella mancata soluzione dell'affare del 'condominio', mentre la principale delle difficoltà che Saletta dovette affrontare non era forse tanto da ricercarsi nei problemi che aveva di fronte quanto nello scarso aiuto (o addirittura nelle contraddittorietà dell e istruzioni) che gli veniva da Roma. La capitale, e in questa lo stesso Ministero della Guerra , si presentava quindi agli occhi del colonnello come un superiore avaro, che pretendeva ottimi risultati senza però metterlo in condizioni di poterli raggiungere e senza fornirgli univoche indicazioni. A sua volta, vista da Roma , l'attività amministrativa di Saletta appariva incerta, talvolta azzardata e tale da mettere a repentaglio la stessa sicurezza del presidio coloniale. Per l' incenezza deIl' amministrazione coloniale italiana c'erano inoltre molte altre spiegazioni: c'era il disorientamento della generale polt'tica coloniale (cui, però, il colonnello credeva di poter mettere qualche riparo con la sua logica mziitare dei fatti compiuti); c'era la disattenzione politica italiana ai temi complessi di una politica di occupazione di un territorio africano (il dibattito politico di quei mesi, in Italia, si era ristretto all'alternativa espansione/raccoglimento e aveva del tutto trascurato gli aspetti amministrativi ed istituzionali, pure inediti e importanti per una potenza che faceva le sue prime prove coloniali); c'era il prevalere nella stampa, n eli' opinione pubblica e tra i responsabili della stessa politica coloniale, di interessi più immediati e specificatamente parlamentari (si avvicinava la crisi di Gabinetto del giugno '85, che doveva condurre Depretis , attraverso il licenziamento di Mancini, a fare un altro passo verso Destra) 2 • Ma nessuna di que ste spiegazioni può giustificare l'assoluto stato di impreparazione in cui era tenuto Saletta.
2 Cfr. Storia del Parlamento italiano, v. VIli , La sinistra al potere, cit., p. 387
E si noti che, erano varie le questioni (minori ma imporranti, quando si pensi che si trattava del primo tentativo coloniale italiano) che lo impensierivano. La mancata soluzione di quei problemi siripercuoteva inoltre sull'andamento dei rapporti tra il colonnello e il suo Ministro - già increspati per la questione di Keren -e certo non contribuivano a migliorarli. Saletta, lasciato arbitro della situazione, si dovette sentire isolato. La questione delle attribuzioni personali e reciproche dei Comandanti delle forze terrestri e marittime, per esempio, chiamava direttamente in causa i due diversi Ministeri della Guerra e della Marina. Questo tema, già delicato sin dai giorni dell'occupazione, era stato risollevato dal quasi contemporaneo rimpatrio del Contrammiraglio Caimi 3 con la riorganizzazione dei servizi militari sul Mar Rosso dipendenti dal Ministero della Guerra. Ricotti aveva scritto in quell' occasione al Ministro della Marina che era «cessato quel periodo nel quale la flotta doveva non solo concorrere ma avere ali' eventualità la parte principale nelle operazioni» 4 e che quindi, comunque fosse stato impostato il problema per l'innanzi, il Comandante Superiore delle truppe avrebbe dovuto essere considerato come la massima autorità della colonia. La cosa fu solo apparentemente accettata dalla Marina, che qualche giorno dopo scrisse alla Pilotta specificando che il precedente scambio di note andava inteso (e di fatto stravolto) nel senso di assegnare al Comandante Superiore la responsabilità sull'interno del possedimento italiano ma di lasciare al Comandante le forze navali quella sul litorale s. Come vedremo, il non essere stati precisi su questo punto, forse sperando che non si sarebbe presentato il caso di un conflitto di competenze, lasciò deteriorare la situazione sino a rendere insanabile il dissidio tra le due autorità militari di Massaua. Dissidio che già doveva sentirsi in modo acuto nel giugno quando Saletta si era lamentato con Ricotti che «l'autorità superiore italiana in Massaua [era] la marittima» 6. La questione della direzione della dogana di Massaua era un'altra 'pratica' che doveva assillare Saletta per tutti i mesi della sua permanenza in colonia e che il colonnello dovette lasciare irrisolta al mo- mento del suo richiamo in patria. La dogana era un'istituzione importante perché costituiva l'unico introito economico garantito della colonia 7: il suo funzionamento era previsto dal trattato Hewett, che aveva regolato i rapporti tra l'Abissinia e il protettorato inglese sull'Egitto.
3 Cfr. AUSSME, Carteggio Entrea, racc. 9. fase. l, p. 75.
4 AUSSME, Volumi Eritrea, v. 43, 22 aprile 1885, Ricotti a Brin.
5 Cfr. AUSSME, Volumi Entrea, v. 2, alle date del 2 e del 3 maggio 1885.
6 lvi, alla data del24 giugno 1885 (data di amvo del dispaccio da Massaua aRoma).
Per via del 'condominio' la direzione della dogana era rimasta in mano egiziana e in essa aveva dei forti interessi personali un influente cittadino greco di Massaua, tale Marcòpoli, il cui favore politico era decisivo nello svolgimento dell'ordinaria amministrazione della cittadina. Per la dogana, e perché essa cadesse in mano italiana, si fronteggiavano due soluzioni. O il penetrarvi gradatamente, inserendo progressivamente funzionari italiani e conquistandosi la fiducia e l 'appoggio del Marcòpoli, soluzione questa caldeggiata dal Ministero degli Esteri e dall'incaricato italiano di affari al Cairo (che a tale scopo pareva avere avuto abboccamenti con gli ambienti governativi egiziani) 8; oppure il destituire d'un tratto il greco , al limite accusandolo
7 La documentazione conservata presso l' AUSSME è costellata da comunicati o dispacci di parte militare o diplomatica tn proposito. Non spetta a noi analizzare la convenienza economica a breve o a media scadenza della colonia italiana di Massaua. Si può intanto ricordare come, qualche anno più tardi, una Commissione d'inchiesta sull'Eritrea denunciò pubblicamente la scarsa dimensione dci profitti commerciali, quando scrisse che «insignificante è l'invio di merci da Massaua in Italia , c poche quelle che, nonostante la franchigia, l'Italia manda alla sua colonia.. Per quanto riguarda il periodo da noi preso in esame, si rifletta sul fatto che nel1886 (quando una maggiore calma c tranquillità nei rapporti del presidio con le popolazioni abissine circostanti avrebbe pure potuto facilitare c stimolare il commercio italiano) furono recapitate a Massaua dall'Italia merci per sole L 591.231, mentre il valore delle merci provenienti da altri paesi saliva già a ben 10.205.231. Cfr. Relazione generale della Regia Commissione d'lnchie· sta sulla Colonia En"trea, Roma , Tip. Mantcllatc , 1891, p. 56. Eppure, come anche venne serino, «il solo modo di rendere popolare in lralia la polittca africana è quello di renderla uùb. V. NAZA.RI, La colonizzazione dei nostri possedimenti in Africa, Casale, Cassone, 1891, p. 3. Uno srudio in proposito è ancora da fare. Si può così solo avanzare qualche ipotesi. Una pouebbe essere quella che vede come lo stesso governo, all'inizio non sepl?e e non volle incoraggiare le sia pur non numerose iniziative di pcnetrazionc economtca italiana a Massaua. Nelle carte della Presidenza del Consiglio si crovano varie richieste incvase di piccole ditte italiane che avrebbero voluto avviare una qualche attività economica sulle coste del Mar Rosso. Cfr. tra le altre, ACS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, b. 58, fase. 122, 10 luglio 1885; ivi, b. 19, fase. 6, 24 novembre 1885; ivi, fase. 38, 8 febbraio 1886, c cos1via. Ma soprattutto, a sconsigliare l'iniziativa privata, già in quei primi anni, dovette essere in ultima analisi l'ingombrante monopolio militare nella gestione coloniale in loco. «( )la natura stessa della nostra prima occupazione di Massaua, co n forma esclusiva dt militare )?Ossesso, ci obbliga a procedere nell'impianto della Colonia con una serie di 'ripieghi ( )•. NAZARI, La colonizzazione dei noJtri possedimenti in Africa... , cit., p. 11. Per il periodo successivo cfr. RAINERO, I primi tentativi di colonizzazione agricola e di popolamento deii'En"trea (1890·1895), cit.
8 Era la cosiddetta 'soluzione Stcfanoni', dal nome del funzionario civile italiano che avrebbe dovuto dirigere la dogana di Massaua, secondo questo ordine di idee .
(cosa non difficile visti i suoi inuicati e multiformi interessi) di ostacolare la presenza italiana, soluzione più cara agli ambienti militari e a Saletta personalmente 9 . L'osci llare tra queste due solu zioni, od anc he il non poterne seguire almeno una ma con decisione, doveva ceno diminuire il prestigio di Saletta a Massaua in quanto Comandante delle forze occupanti, ed aumentava la sua irritazione. Un'altra questione, quella del commercio delle armi con g li abissini, non vedeva allineati il Ministero degli Esteri con quello della Guerra. Gli Esteri , attraverso i vari esploratori che si erano avvenmrati in quelle regioni (e principalmente , tra loro , attraverso il conte Antonelli), avevano stabilito buoni contatti con sultani e ras della zona, spesso interessati all'acquisto di armi anche non recentissime né in buono stato. In questo senso, esploratori e avventurieri anche italiani avevano ripemtamente tratto ottimi vantaggi dallo sme rcio di moschetti e vecchi fucil i . L'occupazione italian a, se da una pane aveva offetto a tali individui più ampie occasioni di guadagno, aveva insospettito il Ministero della Guerra per questi passaggi di armi in grande quantità: esse avrebbero pomto essere usate , in qualche sciagu rata occasione , anche contro le stesse truppe italiane . Nel maggio 1885 , ad esempio, il Comandante del presidio di Assab, aveva scoperto, e immediatamente riferito al suo Ministero , che - prima dell' arrivo delle truppe di occupazione nel febbraio - funzionari (civil i) dell'amministrazione della Consu lta si erano serviti di Reali Carabinieri (cioè militari) per addestrare le popolazioni dei Danachili all'uso di Wetterl y e Remington provenienti clandestinamente dall'Italia 10. Il fatto aveva provocato una dura condanna da pane della Pilotta 11 e ripemti tentativi di sminuire, ma non di negare, del Ministero degli Esteri 12.
Anche le questioni giudiziarie intralciavano l 'ope rato di Saletta e stavano lì a ricordare ai responsabili deJJ 'espansione coloniale la delicatezza dell'assetto istituzionale di Massaua. Il 'condominio' rendeva difficile, o impossibile, anche la soluzione di piccoli fatti di ordinaria amministrazione. Esemplare il caso d eU' arresto a Beilul di un arabo, imputato dell'omicidio di un suo connazionale. Il problema era: chi poteva giudicarlo? L'autorità locale abissina e cioè l'Anfari di Aussa? Ma questo avrebbe voluto dire che l'autorità effettiva a Beilul era quella 'i ndigena'. Meglio allora consegnarlo alle autorità egiziane: ma gli italiani non occupavano Beilul (seppure in condominio coi sudditi del Khedivè) sin dal gennaio di quell'anno? Doveva quindi essere cosa della giustizia italiana: ma allora in base a quale cod ice di diritto giudicarlo? In base a quello civile ordinario o a quello militare? E in questo ultimo caso, si sarebbero applicate le norme del tempo di pace o quelle, straordinarie e più severe, proprie del tempo di guerra 13?
9 Per la posizione di Saletta, cfr. AUSSME, Carteggio En.trea, racc. 9. fase. l, p. 78 e sgg. Non era la prima volta che autorità civili e autorità militari venivano a contrasco su lle coste del Mar Rosso. Già nell e primissime settimane dopo l'occupazione, l'autorità consolare a Massaua si era !agnata direttamente col Minimo degli Esteri per il comportamento dei militari Cfr. AUSSME, Volumi En.trea, v. 2, alla data del 31 marzo 1885. Questo aveva comportato una dura reazione della Pilotta (cfr. ivi, alla data del 2 aprile 1885 ), cui però la Consulta rispose difendendo l'operato del rappresentante civile degli Esteri a Massaua , cav. Pestalozza.
1° Cfr. ivi, v. 2 , alla data del 13 maggio 1885 (data di am·vo del rapporto panico da Massaua il 23 aprile 1885).
11 Cfr. ivi, alla data del 15 maggio 1885.
12 Cfr. ivi, alla data del 17 maggio e del 30 giugno 1885.
Il Ministro della Guerra, sottolineando il doppio aspetto politico e giuridico della questione, giudicava la cosa «gravissima per le conseguenze politiche e giuridiche che potranno derivare dal precedente che sarà stabilito• 14.
La pratica così si trascinò a lungo. Il Ministero degli Esteri, durante l'interim di Depretis (e la concreta direzione di Malvano in quanto segretario generale), disse essere il tutto di competenza della giurisdizione militare 15, ma il Ministero deUa Guerra rispose che in linea di principio tale giurisdizione aveva vigore per i" civili solo in caso di «gue rra vera dichiarata• 16. Ma era giunto il momento di dichiarare lo stato di guerra a Massaua e in colo nia? L'Avvocato Generale Militare, richiesto di un parere, sostenne essere possibile accostarsi a quanto successo a Beilul per mezzo degli articoli del codice penale comune e della procedura ordinaria, affidando il caso ad un ufficio istruttore italiano di Assab 17. Tutti , insomma , sembravano voler lavarsene le mani. Alla fine, dalla Consulta arrivò l'assai moderato e dilatorio consiglio di restituire l'imputato all' Anfari di Aussa, scansando così la complessità della situazione 18 ; in questo senso pare si dovette scomodare addirittUra il governo, che sospese qualsiasi provvedimento di parte italiana contro l'imputato 19.
I3 Cfr. ivi, alla data del 9 luglio 1885.
14 Cfr. ivi, alla data del 13 luglio 1885 .
I) cNon rimane quindi che la giurisdizione militare, non potendosi esercitare una regolare giurisdizione civile in un territorio che è bensì occ upato, ma non legalmente annesso•. lvi, alla data del 21 luglio 1885.
I6 Ibidem.
!7 lvi, alla data del 3 agosto 1885.
Due diverse impostazioni (quella diplomatica e quella militare) a riguardo dello stesso tema erano presenti, oltre che a Roma, anche sulle rive del Mar Rosso dove il Comandante militare del presidio di Assab riteneva il fatto di competenza della giustizia militare zo, mentre il Commissario civile della stessa località avrebbe preferito consegnare l'imputato all' Anfari di Aussa 21 . E dai documenti pare che alla fine risultasse applicata proprio questa ultima soluzione. Nel frattempo, e ancora prima della torrida estate, anche la base del Corpo di spedizione coloniale cominciava a dare i primi segni di incertezza, a fornire a Saletta le prime preoccupazioni. I diari militari registrano, per esempio, nel maggio alcuni tentativi di diserzione 22 e tal uni casi di grave indisciplina 2 3. I casi, pur non sorprendenti, presentavano in territorio coloniale alcuni aspetti delicati. Come si sarebbe potuto risolver! i? Mantenere nelle loro unità (e cioè in Mrica) i soldati turbolenti o, peggio, disertori avrebbe potuto corrompere e degradare la necessaria saldezza militare delle compagnie; condannarli avrebbe rischiato di incrinare l'immagine dell'esercito occupante nei confronti degli 'indigeni'; richiamare i soldati in patria, come acutamente commentavano ambienti del Ministero della Guerra, avrebbe potuto «forse tornar loro cosa gradita ed anzi eccitare altri a mettersi in analoghe condizioni» 24.
Per finire, come se non bastasse, Saletta con il suo carattere «duro come un acciaio non temperato» 25 non tollerava che dalla madrepatria o addirittura dallo stesso territorio posto sotto il suo comando l9 Cfr. ivi, alla data del 23 agosto 1885. potessero avviarsi verso l'Italia indiscrezioni 26 o campagne giornalistiche contro il suo operato. Fino a che un più organico sistema di norme non fu varato, iniziò la lotta tra gli astuti corrispondenti e la ferrea censura, che veniva praticata soprattutto in loco. Ma i giornalisti italiani che si avventuravano a Massaua spesso riuscivano ad avere la meglio.
18 Cfr. ivi, alla data del 21 agosto 1885. Eppure si era sostenuto qualche giorno prima che, praticamente, in colonia si poteva fare qualsiasi cosa! «Fino a quando non sia possibile defmire stabilmente le condizioni territoriali di Beilul occorre considerarlo quale territorio militarmente occupato, con quella maggior larghezza di corollari giuridici che è consentita dalla circostanza che, malgrado il preesistente dominio egiziano, non ha [sic] mai esistito e non esiste a Beilul traccia di istituzione civile:.. lvi, alla data dell'8 agosto 1885 .
2° Cfr. ivi, alla data del 17 ottobre 1885.
21 Cfr. ibidem.
22 Cfr. ivi, alla data del 23 maggio 1885. Ma il fatto era del 18 aprile 1885.
23 Ibidem.
24 Cfr. ivi, alla data del 25 maggio 1885.
25 Cfr. CHIESI, NORSA, Otto mesi d'A/n'ca, cit., p. 26.
Era questo il caso, per esemp io , di Belcredi, corrispondente per «<l seco lo » di Milano e la «Tr ibuna» di Roma (ambedue quotidiani della Sinistra), che sfuggì nel1885 addirittura ad un mandato di espulsione dalla colonia. Saletta, secondo il resoconto che il colonne llo inviò al Ministero della Guerra a metà aprile, aveva personalmente riconosciuto (n el corso di un suo spostamento per via mare su una nave della Marina Militare italiana) il giornalista, nonostante questi si fosse travestito da inserviente. Insospettito, il Comandante italiano condusse allora un 'inchiesta, da cui si sco prì che Belcredi aveva ricevuto il permesso d 'imbarco da uno degli ufficiali della Marina; infine, dal Ministero della Guerra, partì in data 21 luglio la decisione di espellere il corrispondente. Ma ques.ti riuscì in qualche modo ad avere notizia del provvedimento. Quando Saletta, il 25 luglio, fece per arrestarlo (tre mesi dopo i primi sospetti , ma solo quattro giorni dopo la decisione ministeriale) si scoprì che Belcredi era a quella data g ià ad Alessandria d 'Egitto pronto a rimpatriare col suo 'prezioso' carico di indiscrezioni ed informazioni esclusive 27!
Inoltre nessun accurato controllo poteva arrestare la pubblicazione della quantità di lettere anonime che i militari stessi spedivano o facevano comunque arrivare da Massaua ai giornali italian i o di cui questi ultimi venivano in qualche modo a conoscenza 28.
È stato acutamente scritto che la diversità fondamentale tra il compito affidato ai militari i n territorio nazionale in tempo di pace ed il ruolo che essi dovevano svolgere nei territori coloniali, o comunque extrametropolitani, risiederebbe nella più larga sfera di attribuzioni che questo secondo teatro imponeva loro. In sostanza nel loro passare da 'ge neral i' a 'proconsol i ' 29.
26 Emblemacico il caso del rappono che Salerta inviò al Ministro della Guerra circa la sua ricognizione su Saaci ed Ailet. NeiJo stesso giorno in cui esso pervenne alla Pilotta, una sua copia veniva pubblicata da cL' Opinione». Cfr. ivi, alla data del15 maç-gio 1885. Più spesso le indiscrezioni e le critiche erano ospitate dai giornali pemarch1ci.
2 7 Cfr. ;,;, alle date ricordate
28 Rivelatore un esame delle annate de cL ' esercito italiano:., per co mprendere le dimensioni del fenomeno.
29 HOWARD, u forze armate, cit., p. 285.
La questione è complessa, ed un suo studio in merito anche alle prime esperienze coloniali italiane in Mar Rosso comporterebbe l'esame di aspetti amministrativi, giuridici e politici non tanto di breve quanto di lungo periodo che qui non è 11ostra intenzione sollevare. Un esame anche di quegli aspetti dell'espansione coloniale italiana potrebbe comunque contribuire a superare le oleografie e le visioni di maniera del colonialismo italiano, nonché a demolire quell'interpretazione etico-politica- talvolta ancora operante nella nostra storio grafia coloniale- che cerca a tutti i costi di vedere (anche quando non ci fu) nella storia coloniale italiana un ceno «se ntimento di mitezza e umanità che l'Italia portava anche dove non doveva. 30.
In merito alle prime esperienze politico-amministrative di Saletta, non pare proprio che la questione vada affrontata in base ad una sua presunta 'umanità' od alla sua 'mitezza', ma casomai in termini di chiarezza politica e di razionalità amministrativa, che ambedue mancavano alla Massaua dei primi mesi. E non sembra che si debba nemmeno scomodare l'impegnativa deftnizione , dal vago suono pretoriano, di 'proconsolato': che anzi, più di quello di 'proconsole', per un Saletta che non riusciva a far condannare un assassino, né a far cessare un pericoloso traffico d ' armi sarebbe più adatto il termine di protagonista e vittima di una politica coloniale incerta e 'dopp ia'.
Era un'incertezza che sarebbe durata non poco.
Caldo africano e polemiche mtlitan.·
Se da un lato , già in quei giorni a Massaua , le ' piccole' questioni amministrative dovevano chiamare in causa i grandi problemi politici che avevano segnato la prima spedizione coloniale italiana , dall' altro le grandi difficoltà o i rilevanti dissidi che interessavano le massime autorità militari del presidio non potevano non minare il prestigio personale degli stessi Comandanti che la stavano conducendo.
Chiusa per decisione del Governo (e per riconosciuta irrealizzabilità) la via a 'grandi' espansioni, interrotta per volere di Depretis e di Ricotti (per il comparire di proteste abissine) anche la via dei
30 Dietro tanta storiografia ha operato questa ingiustificatamente benevola definizione del colonialismo italiano di B. CROCE, Storia d 'Italia da/1871 a/1915, Bari, Laterza, 1928 (ed. cons. 1977). p. 119
'piccoli' ingrandimenti come Arafali, Arkiko e Saati, non rimaneva al presidio di Massaua che attendere l'estate.
La stagione estiva 'singolarmente micidiale', come la aveva chiamata Cosenz , era di per sé pericolosa come una grande battaglia. A ciò si aggiungeva il fatto che proprio durante, o poco dopo, l'estate sarebbe venuto il momento di sostituire le truppe allora distaccate a Massaua con altri, più fres chi contingenti di leva.
Durante l'estate, come era stato previsto, non ci sarebbero dovute essere occasioni di impiego militare per le truppe: ma la Stagione calda segui va un periodo in cui le più alte autorità militari locali della Marina e dell'Esercito erano state incaricate (o avevano comunque svolto) ed avevano creduto in due diverse direttive di proiezione esterna del potenziale politico-militare di Massaua, una lungo le coste ed una verso l'interno. Chiamarle due linee di espansione coloniale è ancora troppo presto, perché abbiamo visto che si integravano e convivevano (a Roma e a Massaua), ambedue frutto di quel disorientamento della po l itica coloniale italiana seguito alla presa di Kharrum da parte dei mahdisti. Ma era pensabile una loro pacifica coesistenza? era pensabile cioè che il governo, che pure aveva optato per il 'raccoglimento', continuasse a fare oscillare la sua politica coloniale tra due prinàpi diversi, se non proprio tra un principio ed una pratica tra loro contraddittori?
Molto probabilmente , come lo stesso Ricotti aveva sc ritto il 13 aprile a Saletta, il governo non aveva in quel momento trovato l'accordo su una linea di politica coloniale di lungo respiro, ma si era trovato unanime solo su quella di brevissimo periodo: rimanere dove si era già, casomai fare picco lissimi passi in avanti, «finché non vi sia a prevedere seri attacchi di numerose forze nemiche:. 1
Ma una line a come questa cerro si metteva a rimorchio degli eventi, non si proponeva di guidarli. E quegli eventi, in sostanza le proteste degli abissini (del centro e della periferia d eli' impero etiopico) per la invadenza degli italiani sul loro territorio, non si fecero attendere. Al Negus e a Ras Alula, già sospettosi di una presenza italiana a Massaua, non dovette piacere che Saletta volesse controllare anche Saati.
L'occupazione italiana di Massaua costituiva già di per sé una violazione del trattato Hewett , che aveva parlato - per il porro abissino- solo di etiopici, egiziani ed inglesi; la presenza di truppe ita- liane (o comunque al soldo degli italiani) a Saati spostava poi di fattO il fronte militare dell'occupazione a sole due-tre ore dal confine etiopico sancito da quel trattato. Per la popolazione abissina e per i suoi governanti questo doveva essere troppo 2
Ma, ancor prima del pericolo delle bande e de ll e tribù (se non addirittura dello stesso Impero etiopico), a Massaua stava arrivando il caldo.
Nonostante che, come si è visto, le autorità militari centrali si fossero preoccupate del fattore climatico sin dalla fase preparatOria della spedizione, va notato che poi a questa preoccupazione iniziale non corrispose nel passare dei mesi una adeguata azione amministrativa. Le truppe italiane affrontarono così il torrido clima estivo del l So parallelo di Massaua con lo stesso equipaggiamento pensato per il 42 o parallelo di Roma. Le «Norme spec iali di servizio per le truppe distaccate in Mrica» del 19 aprile 1885 non avevano in sostanza preso in esame la questione , e solo con la disposizione ministe riale del 3 1 luglio si provvide ad adeguare il vestiario 3. Anche tutto il precedente interessamento ministeriale per alcuni modelli inglesi e francesi di elmetti coloniali, da far poi costruire in Italia, pare si fosse risolto in un nulla di fatto 4 L'im preparazione infine giocava brutti scherz i anche ai massimi dirigenti militari e faceva confondere anche l'esperto generale Ricci il quale, al ritorno dalla sua ispezione sulle coste del Mar Rosso, riteneva paragonabili (e sopponabili) i venti caldi di Massaua a quelli della mediterranea costa tunisina 5.
Appena sbarcato, Saletta si era accorto della gravità del problema costituito dal rifornimento di acqua potabile e ceno l'aver dimenticato in Italia le due cassette mediche per l'analisi dei liquidi non lo aveva aiutato 6. Per il ghiaccio qualche cosa era stata fatta, con l'installazione di due potenti macchine refrigeratrici sopra due navi. Al baraccamento si poté pensare qualche giorno dopo l'occupazione e furono raggiunti, soprattutto grazie al lo spirito di adatta-
2 Cfr. ERJ.J.CH, Ethiopia an d Eritrea Aming the Scarmble for Africa , ci r., p 89 bilità delle truppe italiane, taluni risultati 7; ma anche il ripetuto desiderio di trovare qualche forma dì accantonamento sulle alture di Keren dimostra che ancora molto rimaneva da fare. Le tOmbole 8, i festeggiamenti per le ricorrenze natali dei sovrani regnanti e l'attenzione per il lavoro delle 'madame' 9, attività queste tutte ben curate, non dovevano poi riuscire a riequilibrare lo stato d i disagio dei soldati.
3 «Giornale militare ufficiale», 31 luglio 1885, atto n. 125.
4 Cfr. AUSSME, Addetti militan· Francia, racc. 4, 2 gennaio 1885, Ris.; e ivi, 5 gennaio 1885, Ris.
5 Ricci definì il soffio torrido e impetuoso del Khamsin «SOpportabile», aggiungendo: cfano che ebbi a constatare personalmente io stesso nell'estate dell864 in alua pane dell'Africa.. Ma e rano le coste della Tunisia (e non quelle del torrido Mar Rosso) quelle in cui il generale aveva fano la sua prima esperienza africana Cfr AUSSME , Volumi En"trea, v. 11, 19 aprile 1885, Ricci a Ricotti, Relazione.
6 Cfr. AUSSME, Carteggio En"trea, racc. 9. fase. l, p. 22.
Tutto questo, comunque, sembrò come collassare al sopraggiungere della stagione estiva. I termini generali della questione sono già noti: Saletta in una sua relazione del12 luglio scriveva di comandare un presidio di cui un terzo era convalescente e i rimanenti due terzi deperiti 10 ed inabili ad una qualsiasi azione militare.
La forza militare italiana nel Mar Rosso era intanto passatacon le tre successive spedizioni di truppe che si erano susseguite dal gennaio al marzo - dalle poche unità del distaccamento di Assab a 806, poi 968 e quindi 2.491 elementi. Con successivi rinforzi e rirnpiazzamenti, alla data del6 giugno, il presidio di Massaua radunava
12) ufficiali e 2. 950 so ldati , quello di Assab rispettivamente 30 e 559, per un totale di 3.6)) unità 11 .
Una percentuale altissima, vicino alla metà, fu toccata dalle tipiche malattie e dai gravi disturbi che il clima tropicale spargeva tra gli organismi indeboliti dei soldati 12.
Ma anche più delle cifre degli ammalati e dei ricoverati in infer- meria o alJ' ospedale coloniale, sono indicative quelle dei rimpatriati, cioè dei malati più gravi. Tra il 10 giugno e il 19 ottobre, data in cui gli effetti sanitari anche indiretti della lunga estate africana si poterono considerare esauriti, ben 373 erano stati i militari costretti addirittura a rimpatriare in Italia perché giudicati inguaribili a Massaua: cioè più di un decimo dell'intera forza ope rante 13. Poco meno di un soldato ogni dieci e poco più di un ufficiale ogni cinque non potevano guarire sulle coste del Mar Rosso: e a questi, come si è detto, andavano aggiunti tutti quei militari che quotidianamente si recavano in infermeria o che comunque dovevano essere dispensati dai servizi. il tuttO sino a comporre l'allarmante quadro descrittO dalla relazione di Saletta. n Cfr. wi, fase 3. l) Cfr. AUSSME , Volumi Eritrea. v. 4, parte prima, 23 giugno 1885. l6 Cfr. ivi, 19 lugli o 1885 e 16 agosto 1885.
7 Lo ricordava anche BATIAGLIA, La prima guerra d 'Africa, cit., p. 210.
8 lvi, p. 213.
9 Cfr. ivi, le fotografie tra p. 448 e p. 449.
IO Vi si accennava già in ìvi, p. 209.
11 Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea , v. 4.
12 Cfr. ivi. I daci sulle vittime sono, purtroppo, assai meno precisi (anche se ceno più elevati di quelli esposti in Parlamento da Ricotti). ln AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 62, compaiono vari tentativi di computo totale. Si trovano così le cifre di 40 decessi nell885 (di cui 30 dunnte l'estate e 3 suicidi) (cfr. ivi, fase. 7) cui andrebbero però aggiunti altri quattro, arrivati moni a Napoli di rirorno da Massaua. Ma altri registri parlano di 46 decessi, solo per Massaua (cfr. ivi, fase. l). Nel 1886, se i decessi di Massaua erano 'scesi' a 21 (ma l'entità del comingenre era quasi stato dimezzato, rispelto all'anno precedente), i soldati arrivaci moni a Napoli dopo la traversata erano addirittura 13 (cfr. ivi, fase. 3). Tristemente interessante la documentazione riguardante il caso occorso a Massaua ad un giovane di leva. Alle autorità militari, che affermavano che il giovane si era tolto la vita, il padre del coscrino aveva indirizzato un memoriale in cui invece sosteneva essersi trattato di un assassinio maturaro all'interno dell'ambiente militare di Massaua. T u tta la questione fu messa a tacere: niente trapel9 sulla stampa. Persino una Commissione Militare d'inchiesta nominata all'uopo non riusa bene a chiarire gli oscuri risvolti della vicenda. Cfr. ìvi, fase 2.
Il Paese, dal canto suo, non venne messo a conoscenza della reale entità de ll a situazione sanitaria, nonostante, specialmente durante i caldi mesi dell'estate, si fossero diffuse le più pessimistiche voc i .
Anzi: Ricotti assicurò più volte in Parlamento che la situazione era sotto controllo o addirittura migliore che in Italia 14 La gravità della situazione sanitaria si evidenziava invece senza necessità di commenti.
La saldezza del presidio di Massaua, inoltre, stava in quei giorni per essere scossa anche dall'operazione dei congedi e delle sostituzioni nella truppa. Per queste, le prime disposizioni ministeriali erano datate 23 giugno: individuavano in ottobre il mese in cui tale ricambio avrebbe dovuto essere comple t ato per quanto riguardava le truppe e prevedevano per gli ufficiali e sottufficiali una permanenza minima a Massaua di due anni 15.
Ma l'acutezza della condizione sanitaria dovette incidere su tali propositi. Durante luglio e agosto si ripeterono gli inviti del Min istero al Colonnello Saletta a largheggiare nella concessione dei congedi per i soldati, soprattutto se ammalati l6. Poi, il 4 agosto fu presa la decisione (visto l'alto numero di rimpatriati per malattie) per cui nessuno - nemmeno tra gli ufficiali - avrebbe potuto permanere sulle coste del Mar Rosso più di due estati consecutive 17.
14 Cfr. AA.PP ., Camera, Legisl. XV, sess. unica, Discussioni, tornata del4 aprile 1886.
17 Cfr. ivi, 4 agosto 1885.
Nel frattempo erano state prese in esame le modalità secondo cui effettuare il congedo della classe 1863 da Massaua: da una relazione del Segretario Generale Marselli al Ministro apprendiamo che era possibile scegliere: o l'uso normale e ripetuto delle navi della Marina Militare e di quelle della Navigazione Generale Italiana che facevano scalo in quei lidi, oppure l'utilizzo in un unico viaggio di una potente nave militare (o meglio di un piroscafo all ' uopo noleggiato sul libero mercato, visto che nessun legno militare poteva da solo soddisfare le esigenze dell'esercito di spostare in breve tempo quasi quattromila so ldati nei due sensi) 18.
Probabilmente sì sarebbe preferito compi ere il congedo con navi statali ma l'emergenza sanitaria non lasciò di fatto alternative al pronto e veloce traspono dei militari. Fu così che le necessità delle forze armate si sposarono ancora una volta cogli interessi delle grandi compagnie armatoriali (anche se persino queste furono incapaci di evitare l'ennesima avarìa che ritardò il compiersi dell'operazione) 19. Comunque in due mesi, dal21 agosto al19 settembre, 1786 militari furono congedati e sostituiti con altri soldati di leva. Al 31 ottobre i presidi di Massaua e Assab tornavano a contare - dopo la lu nga pausa estiva- rispettivamente 3.171 e 514 elementi alloro attiVO.
La battaglia con il caldo africano (che era costata anche la vita al vice di Saletta, il colonnello Putti , che in un momento di sconforto durante la sua lunga malattia si era gettato in mare dalla naveospedale) era finita. Nonostante la si fosse temuta sin dall'inizio della spedizione, in sostanza i l presidio vi era giunto impreparato. L'efficacia militare di Massaua, peraltro scompaginata dal movimento di truppe dovute a congedi, si era annullata nella stagione estiva sino a ridurre la prima co lonia italiana ad un grande ospedale di febbricitanti. Eppure fu proprio prima della fine dell'estate che, colle proteste abissine per la presenza militare italiana a Saati, si sarebbe fatto minacciosamente sentire - co me vedremo - lo spettro di un colpo di mano di Ras Alu la su Massaua.
Nonostante tutto ciò, quella del caldo non era l'unica battaglia che venne co mbattuta in quelle settimane a Massaua . Mentre i so ldati e gli ufficiali affrontavano la canico la , i loro Comandanti militari si affrontavano con accuse di ingerenza reciproca e ricorrevano per via gerarchica ciascuno contro l'altro.
Abbiamo già detto dell'incongruenza di cene istruzioni militari e della possibile sovrapposi zione delle cariche e abbiamo già ricordato (o l tre i caratteri spigolosi degli ufficiali incaricat i di reggere i Coman di) le responsabil ità d i t ipo pol itico o m iniste riale. Vale a d esso la. pena ri p ercorrere la vicenda saliente di quel contrasto di cariche e di competenze (e cioè il conflitto Noce-Saletta) secondo quanto i documenti stessi ci narrano.
La riorganizzazione dei presidi africani del l 7 aprile era stata resa, senza toccare le questioni po litiche del condominio istituzionale italo-egiziano, a concedere in loco un più largo spazio alla decisionalità e all'influenza dell'Esercito - e attraverso di esso- al Ministero de ll a Gue rra. Ma, di fatto, la Marina non aveva accolto passivamente tale disposizione: la sostituzione del Contrammiraglio Caimi per motivi di salute coli' Ammiragl io Noce (effettuatasi l' 8 aprile) era stata solo apparentemente una concessione a tale punto di vista 20 Inoltre, nonostante il parere espresso da Ricotti, la Marina Militare non aveva affatto terminato il suo com p ito nel Mar Rosso; anzi, l' occupazione dell'isola Dahl ak p rospicente Massaua (occupazione, prima ispirata e poi sconsigliata da Saletta, effettuata il 9 giugno) 21 e la missione compiuta dal18 al29 giugno 1885 lungo la costa tra Massaua e Assab (in cui, quando fu possibile, fu consegnata ai capivillaggio una bandiera italiana e promessa una protezione m ilitare) 22 parevano aver dato nuova dignità alla presenza marittima in co lon ia, prima di questo messa in ombra dell'allargàmento della sfera d'influenza terrestre operato da Saletta nelle settimane appena precedenti. In realtà, cosa si dovesse fare di questi punti della costa solo «moralmente occupati» non era ben definito; d'altra pane gli ambienti della Marina deplorarono polemicamente che cla direzione del
2° Cfr. Storia militare della Colonia Entrea, cit., p. 90 e sgg.
21 AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data del 9 giugno servizio politico militare fosse interamente affidata al comando delle truppe•. Finiva così che, anzi, la Marina preferiva disimpegnarsi e non accrescere, coll'occupazione di porti e baie tra Assab e Massaua, il proprio controllo su zone e in ambito cche non sono di sua esclusiva competenza o che non possono mai essere ben definiti • 23. la situazione predisponeva quindi facilmente allo svilupparsi di incomprensioni e di rancori: quando poi, come nel caso di Saletta e Noce, ci fosse stata di mezzo una questione politica sostanziale (espansione coloniale lungo le coste o verso l'interno) e fosse mancato l'intervento chiarificatore dell'autorità politica o amministrativomilitare superiore, la miscela non poteva non essere esplosiva.
22 Lo stesso Brio non voleva alcun aiuto da parte dell'esercito in questa missione che, più che un protettorato , voleva stabilire un «semplice indizio di presa di possesso:. lvi, alla data dell'li maggio 1885. Le navi della Marina toccarono il 23 giugno Edd, il24 Madir, il 26le isole Hauakil, il 28 Machanile di fronte a Zula. ln ognuna fu innalzata la bandiera italiana e sparate le tradizionali ventuno salve di cannone: il tricolore veniva innalzato su un pennone in loco e poi lasciato in custodia ai capi-villaggi o locali. Non sempre però runo andò bene. Alle isole Hawakilcla bandiera fu innal zata durante la sola funzione della proclamazione del protenorato e poscia ritirata a bordo, essendosi il capo dei notabili dimostrato poco soddisfatto dell'offerta più che generosa fattagli da Marchesi (Comandante della nave da guerra 'Esploratore', incaricata della missione) per custodirla:>. Storia militare della Colonia Eritrea, cit., p. 93.
La querelle tra i Comandanti locali dell'Esercito e della Marina, infme, era complicata dalle stesse improprie definizioni gerarchiche. Noce era ammiraglio (e quindi a buon diritto rapponabile in grado ad un generale di divisione dell'Esercito) e Saletta era solo colonnello, e quindi subordinato. Sull'altro versante, oltre che al suo carattere freddo ed orgoglioso, Saletta si appellava invece alle misure ministeriali del 17 aprile che gli concedevano se non il grado almeno le attribuzioni di Comandante di Divisione; e, secondo questa interpretazione, pari in grado a Noce.
L'incidente che risollevò in maniera definitiva la questione fu l'allontanarsi di Saletta (per un giorno) dal presidio d i Massaua senza averne prima dato formale comunicazione a Noce. Questi, risentito dell'autonoma decisione del Comandante Superiore delle truppe, gli scrisse in un messaggio riservato:
Da oltre un mese che mi trovo in queste acque ho sempre atteso che la S. V. mi riferisse sull'andamento dei vari servizi affidati alle sue cure ma mentre ho rilevato che mi diresse molte lenere per scopi secondari come l' accomodamento di instrumenti musicali, le richieste d'acqua , d 'olio, di vino ecc. alle quali si sarebbe potuto provvedere verbalmente , ha poi omesso totalmente di riferirmi sulla pane più impottame cioè quella relativa aJia missione politico-militare che le è affidata 24
23 AUSSME, Volumi Entrea , v. 45. 9 luglio 1885 , Noce a Brin. Sorvolano, o sottovaJutano, queste problematiche sc ritti come quelli di G ALMAGIA, L 'elemento politico-diplomatt"co-coloniale nelle campagne oceaniche della R. Manna dalla fondazione del Regno all'occupazione di Massaua {1861- 188.5}, in Atti del III Congresso di studi coloniali, v. IV , Firenze, 1937 pp. 68 -85; o di G. FIORA VANZO , G VITI, L'opera della Marina, cit .
24 AUSSME, Carteggio Eritrea , racc. 44, fase. l , 23 luglio 1885, Ris., Noce a Saletta.
Era la goccia che doveva far traboccare il vaso. Dopo questa messa in stato d'accusa, sia Noce sia Saletta si affrontarono da dietro le loro personali interpretazioni delle istruzioni loro impanite, senza concedere nulla l'uno all'altro. Il tono irritato e irritante con cui si scrivevano può essere spiegato solo con la reale imponanza che i due Comandanti annettevano al dissidio. Saletta rispose così a Noce che non sentiva di avere nei confronti dell'Ammiraglio alcun obbligo, né militare né personale, avendo egli - pur colonnello - le attribuzioni di Comandante di divisione 25. Noce, che invece vedeva pur sempre in Saletta un subordinato, ribadiva alla risposta del colonnello la superiorità gerachica del «maggior grado» 2 6. Saletta, con parole degne del suo altero carattere, replicava: «Farò come crederò più opportuno» e allargò, non richiesto, la questione tra i due singoli militari al rapporto generale tra le due forze armate scrivendo che non si sentiva di essere accusato dal momento che «per prove di riguardo fu sempre più largo l'Esercito di terra che non la Marina>>. Aggiunse poi che era disposto a prendere insieme a Noce accordi e concetti, ma non ad accettare ordini 27.
Il dissidio aveva raggiunto un punto di non ritorno e i due Comandanti fecero ciascuno ricorso ai superiori ministeriali. Noce scrisse al Ministro della Marina, che non si sentiva «di più a lungo tollerare l'indisciplina e l'insolenza di un inferiore». Aggiugendo che secondo il suo parere le istruzioni ricevute fossero «in urto» con quelle assegnate al colonnello dell'Esercito, Noce rassegnò il mandato 28 Altrettanto fece Saletta nella sua missiva al Ministero della Guerra: le sue argomentazioni erano numerose e (il colonnello ne faceva una questione generale e non solo di grado) si rifacevano alle diverse difficoltà incontrate nella sua opera di amministratore e governatore della colonia 29. Le campagne giornalistiche in patria, la questione delle dogane, e persino affari vecchi di mesi, come quello di certe 'lance a vapore' ritenute e poi concesse dalla Marina , o assai recenti, come un preteso scarso aiuto delle forze di mare prestato a quelle di terra in occasione della occupazione di Arkiko: tutto pareva a Saletta avere a che fare col dissidio tra lui e Noce.
2 5 Cfr. ivi, 23 luglio 1885, Rù., Saletta a Noce.
26 lvi, 24 luglio 1885, Ris. , Noce a Salecta.
27 lvi, 25 luglio 1885, Ris., Saletta a Noce.
28 lvi, 26 luglio 1885, No ce a Brin.
29 Cfr. ivi , 27 luglio 1885, Ris., Saletta a Ricotti.
A Roma ceno ci si allarmò per questo conflitto tra i due massimi personaggi della colonia ma se si esclude un breve comunicato della Pilotta in cui si invitava Saletta alla prudenza e al rispetto degli o rdini superio ri 30, non si volle forse gettare altra benzina sul fuoco del dissidio. Si provò così a lasciar sbollire da sé la cosa: in realtà, qualche provvedimento andava comunque preso.
Da una parte, l 'insorgere del dissidio non migliorava la posizione e la considerazione in cui, perlomeno al Ministero della Guerra, era tenuto il dinamico Comandante Superiore delle truppe. Ma era pur sempre in gioco l'onore dell'Esercito, si pensava alla Pilotta. Dall'altra, dalla parte della Marina, si difese a spada tratta l'Ammiraglio ed il suo operato. Il Ministro Brin arrivò a chiedere da Roma esplicitamente quello che neppure Noce da Massaua aveva osato reclamare: «il conservare nell'attuale posizi one il colonnello Saletta sarebbe asso lutamente inconciliabile con le leggi militari e con il buon andamento del servizio:. 3 1 , scrisse Brin a Ricotti.
La questione si era fatta davvero troppo grossa per un governo che aveva dichiarato di volere addirittura un raccoglimento coloniale. Qui i problemi rischiavano di venire non dagli ab issirU , ma dagli stessi militari italiani.
L'epilogo ufficiale fu un rimprovero militare inflitto al colonnello, l'obbligo per lui di andare dall'Ammiraglio per presentargli le scuse e l'ordine di mutare il suo «irriguardoso contegno:.. In un telegramma congiunto inviato a Saletta dai due Ministri della Guerra e della Marina, a quasi un mese dall'incidente che aveva dato origine alla polemica, si legg e:
Il Ministero della Guerra disapprova il contenuto e la forma delle due lettere or. 355 e 347 scritte dal Colonnello Saletta al Contrammiraglio Noce [le lettere da noi citate) e gli infligge un rimprovero. Il Ministro della Marina invita l' Ammiraglio ad indicare al Colonnello Saletta le informazioni che gli debbono periodicamente essere comunicate Il Ministro della Guerra ordina al Colonnello Saletta di fornire all ' Ammiraglio rune le informa:zion che gli saranno domandate e di soddisfare altresì alle sue prescrizioni 32
E il Ministro della Guerra ordinava in un suo telegramma a Saletta:
30 AUSSME, Volumi Eritrea , v. 2 , alla data del 28 lug l io 1885.
31 AUSSME , Carteggio Eritrea , racc. 44 , 18 agosto 1885 , Ris a lui sol o, Brirt a Ricotti
32 lvi, 23 agosto 1885, Brirt e Ricotti a Saletta .
In conseguenza rimprovero contenuto telegramma N. 1026 si presenti Ammiraglio per manifestargli rincrescimento per sue lettere N. 355 e 347 non abbastanza deferenti 33.
Saletta era quindi rimasto sconfitto. Voleva questo dire che era stata battuta la sua persona od anche il suo progetto (che era poi quello per cui pareva spingessero i tempi) per una 'piccola' espansione coloniale italiana verso l'interno? Pareva esservi una certa doppiezza nel fatto per cui Saletta venisse disciplinariamente biasimato proprio quan do politicamente le sue idee cominciarono a realizzarsi .
In realtà troppe cose, anche all'interno dello stesso presidio coloniale di Massaua (dal carattere di Saletta al ruolo dato all'esercito con il 17 aprile, allo spazio lasciato ai Comandanti locali negli ultimi mesi prima d eli' estate, allo stesso presidio di Saati), spingevano per un lento ma deciso allargamento della presenza militare italiana verso l'interno.
E già qui, nell'atto amministrativo e discip l inare, in quel telegramma del solo Ricotti, c'era qualcosa che pareva suonare in maniera diversa rispetto a quello congiunto Ricotti-Brio.
C'è infatti una certa differenza tra il definire le lettere di Saletta due documenti 'non approvabili' come diceva il rimprovero RicottiBrio e l'imputarle di essere solo 'non abbastanza deferenti ' come diceva il Ministro della Guerra nel suo telegramma, quasi la mancanza di Saletta verso Noce fosse solo una questione di cortesia. Il rimprovero di Ricotti pareva insomma assai più dolce di quello che i due Ministri insieme avevano inviato a Saletta: come se l'Esercito fosse assai poco disposto a farsi giudicare - e condannare - dalla consorella Armata. Infatti, lo stesso giorno e all'insaputa del collega Minist!I:O della Marina, Ricotti inviò al colonnello un telegramma siglato «Particolare» che così suonava:
Ricordi che la punizione che esigenze disciplinari gerarchiche mi impongono infliggerle non può menomare alta stima che ho di lei per suo carattere, per sua capacità e per modo con cui ha sapuro organizzare i vari servizi e mantenere ferma la disciplina delle truppe . Affezionato suo Cesare Ricotti 34 .
Dal rimprovero il Ministro passava così (per mezzo della solidarietà d'arma e dello spirito di corpo) quasi alla lode del subordinato Saletta. Certo nessuno elogio diretto al tipo di intraprendenza mili- lvi, 23 agosto 1885, Ricotti a Saletta. lvi, 23 agosto 1885, Part., Ricotti a Saletta. tace del colonnello o alle vere e proprie sue operazioni militari come occupazioni e ricognizioni , ma ceno quasi un incoraggiamento a seguitare la strada intrapresa. E lo spirito di corpo doveva trovare anche altri sostenitori, se è vero , come pare, che proprio in que ll e settimane abb ia scritto a Saletta- militare dell'Esercito accusato da un militare della Marina - anche il Capo dello SME, in una lettera dal co lonn e llo poi conside rata «assai lusinghiera» 35.
Purtroppo, così facendo i dicasteri militari (se salvarono l'onore di Corpo) non colsero l'occasione, pure infelice, di riesaminare la questione delle competenze delle diverse autorità militari in colonia. Ma non era tutta loro la respon sab ilità .
Nonostante perlomeno il Ministero della Guerra avesse ua l 'aprile e il maggio espresso con chiarezza quali fossero i suoi concetti per l'immediato futuro della politica colonial e ital iana nel Mar Rosso, ancora interrogativi e fantasie potevano essere suscitati in merito a non meglio precisate spedizioni verso l 'interno.
Appena uscita da una crisi governativa ris oltasi proprio con l 'estromiss i o ne dalla compagin e esecutiva del Ministro degli Esteri, e per il momento affidato questo dicastero ad un interim, l 'estate del 1885 non era il momento migliore per una definizione delle politiche d'espansione africane del Regno di Umberto I.
Fatto sta però che già a settembre fu presa la decisione di sostituire Saletta. La motivazione ricorrente nella stampa (non quella ufficiale, che si ri assum eva in un anodino 'richiamo per cessato servizio') era che per dare prestigio e autorevolezza ai presidi coloniali italiani era necessario che questi fossero diretti.
Diversi erano gli elementi che questa risollevava. Per primo, il fatto che ancora non si poteva dire conclusa la discussione politica all'interno del governo, e della classe dirigente, sulla prospettiva da dare alla politica colon iale italiana ed al presidio di Massaua. Ma su questo aspetto ritorneremo con più attenzione fra poco. Secondo , che le tendenze verso un allargamento del!' influenza italiana verso l 'interno sembravano essersi aggiudicate un aluo successo. Terzo, che ancora una volta i reali problemi della vita quotidiana della prima colonia (in questo caso i disagi delle truppe per il clima e per gli spostament i dovuti ai conged i) fossero dovuti passare in second'ordine di fronte a questioni derivanti da un'insufficientemente chiara ed univoca politica. Quarto, che i dissi di tra i più alti ufficiali (che tanto avevano nuociuto in altre e più gravi occasioni al prestigio delle forze armate già nelle guerre dell'indipendenza) tornavano così a ripresentarsi anche in territorio coloniale.
Erano, questi, elementi di varia imponanza.
Il dato preoccupante era che si fossero presentati tutti insieme , a soli pochi mesi dal primo avvio di una politica coloniale italiana, ancora prima che 'gli indigeni', gli abissini, avessero avuto il tempo di farsi vivi e di presentare le loro rimostranze per l'occupazione militare italiana. Come abbiamo già visto, nel marzo la voce ufficiosa del Ministero della Guerra aveva paventato l'ipotesi di un disastro militare italiano 'contro i Negri ' : punroppo se ne andavano facendo evidenti le possibili ragioni.
Capitolo Terzo
Verso Dogali
Un segnale sottovalutato: l'ultimatum di Ras Alula
Passata la primavera e sbollite le prime euforie 'colonialiste', Massaua doveva attirare in genere assai poco l'attenzione della classe dirigente italiana: sia dal punto di vista della 'ordinaria amministrazione' (che pure come abbiamo visto incontrava difficoltà e sollevava problemi di non poca importanza), sia da quello della definizione generale della politica coloniale italiana.
La nostra narrazione si era interrotta con l'aprirsi della pare n tesi estiva, prima della quale il dato caratterizzante dell'atteggiamento governativo era stato il disorientamento, cui era seguita la concessione (di fatto) del più largo spazio di manovra ai Comandanti militari locali, ed t·n primis a Saletta.
Dopo di allora la situazione in verità non parve migliorare.
Con il giugno, per mezzo di una crisi ministeriale, veniva sostituito Mancini: al suo posto Depretis avrebbe poi chiamato Robilant 1
Come abbiamo visto a suo tempo, l'allontanamento di Mancini non avveniva unicamente a causa del comportamen to contraddittorio tenuto (e dei troppo scarsi risultati ottenuti) sul terreno della politica coloniale, ma trovava la sua piena spiegazione nella più generale insoddisfazione per la posizione diplomatica italiana nel conce rto europeo. Ma se questo è vero, è d'altra pane indubbio che il fallimento di tutti i 'piani' coloniali di Mancini aveva decretato la necessità di una sua sostituzione.
Dal canto suo Robilant, autorevole esponente di quell 'ambiente conservatore verso cui Depretis voleva spostare l'asse della sua maggioranza parlamentare, prometteva- a differenza di Mancini- un maggior interessamento per le questioni continentali, le sole su cui l'ex-ambasciatore a Vie nna consid era va possibil e far cresc ere e consolidare un prestigio dell'Italia come 'gran de potenza' 2 . E, come Robilant , anche i setto ri più autorevoli d e lla Desua parlamentare andavano in quei giorni considerando con una cena suffic ienz a il presidio di Massaua e l'imponanza che Man cini a veva vo luto annettergli. Un quotidiano del calibro de «L'opinione» aveva scritto chiaramente che
1 Cfr. Stona del Parlamento italiano, v. VIII, La Sinistra al potere, cit., p. 389 , e ivi, v. IX, Tra Crispi e Giolitti, cit., p. 12; e GIGUO, L'impresa di Massaua 1884-1885, cit., p. 156.
Massaua, se non c'è l'occasione di operare cogli inglesi in foni imprese, le quali ci diano una delle tante chiavi del Mediterraneo african o, non rappresenta che un pericolo politico senza il compenso di un qualsiasi vantaggio commerciale 3.
Nonostante qu este perentori e asserzioni, però, proprio su quel terreno co loniale che si era rivelato fatale per Man cin i , non ci fu per il momento alcun sostanziale riorientamento della politica italiana.
In pane per via del fatto che Depretis fu cos tre tt o da Robilant (che tardava a concedere il proprio assenso alla sua ste ssa nomina a Ministro deg li Esteri) a reggere la Consulta con un interim che du rò più di un trimestre 4 , la correzione di rotta che l 'avve nto di un uomo nuovo agli Esteri avrebbe potuto significare si fece attendere.
L'in ten'm di Depretis non soddisfò le attese di quanti avrebbero voluto una più chiara politica italiana verso il Mar Rosso. Del Presidente del Consigli o era no ta la prudenza politica e la moderazione che lo re ndevano costi tuzionalmente avverso ad assumere vincolanti impegni in territorio africano ) . Lo stesso Depretis aveva reso pubblico l'orientamento diplomatico che avrebbe seguito nel suo t'nterz'm agli Esteri con un lungo anicolo su «<l popolo romano » in cui si premurava di ri cordare a tutt i - p o liti ci, diplomatici e militari - come la «nostra modesta posiz ione nel co ncen o europeo» 6 non doveva l asciare spazio ad avventure colon iali. Si poteva così legittimamente presumere che Depretis avrebbe cercato di ricon durre il presidio di Massa ua alla so la occupazione del pono a puri ftni commer- ciali, come pure il governo aveva dichiarato di volere, nell'aprile. Ma anche il Presidente del Consiglio preferì non impegnarsi in vicende africane. Visto anche che ormai l'unico a reclamare una politica colo niale più decisa era rimasto - oltre a qualche ambiente militare- il solo Crispi , l'anziano Presidente d el Consiglio non si senti va certo invogliato a calarsi in quel complesso intrico di questioni diplomatiche internazionali e di problemi politici e militari che l' affaire co loniale portava con sé.
2 Cfr. CHABOD, Storia della politica estera italiam1 dal 1870 al1896, p. 691 e p. 696.
3 cL'Opinione», 22 giugno 1885, Assab o Mauaua?.
4 Scarsi a questo proposi to gli accenni di CAROCCI, Agostino D epretù e la politica interna dal1876 a/18B7, cit., p. 594.
5 Superficiale l'analisi io GlGUO. La politica africana di Agostino Depretù, cit., p. 19.
6 eli popolo romano», 2 luglio 1885, La soluzione della crisi.
Così, in realtà , J'intenm trascorse senza che fosse fatto niente. Troppe dovevano essere le forze (po litiche , diplomatiche, militari) che non erano disposte ad arretrare di un centimetro dalle posizioni guadagnate in Mrica tra tutti i pericoli e co n tutte le difficoltà prima ricordate. ' Bandiera issata, non si ripiega mai' 7 : questo era il ritornello che cominciava a circolare, già a pochi mesi dalla nascita della politica co loniale italiana.
A Depretis sarebbe bastato che Massaua non creasse problemi grossi durante il suo t'nten·m, e poi tutto sarebbe stato affare di Robilant. In questo senso, anzi, una certa autonomia veniva di fatto concessa al Ministero della Guerra ed al suo responsabile, tenendo conto che durante la stagione estiva il massimo problema sarebbe stato quello di mettere i l più possibile al sicuro dal caldo le truppe del presidio.
Si rimandava quindi per l'ennesima volta di discutere l'utilità e le prospettive di un possedimento coloniale dal perimetro difensivo ormai così sb ilanciato verso l'interno (Saa ti) e non più basato sul possesso della costa, come pure il governo aveva voluto. Intanto cose importanti , anche se non appariscenti, stavano accadendo a Massaua.
Saletta, dal canto suo, aveva tentat o di consolidare la sua posizione personale nel presidio, ce rcand o di ottenere una qualche sorta di attribuzione di 'carta bianca' da parte del Ministro della Guerra.
Già prima dell'esplosione del dissidio con Noce, il colonnello aveva tentato la via delle dimissioni unilaterali ed 'a sorpresa' per saggiare la disponibilità di Ricotti a ' rein vestirlo', casomai con qualche più lata attribuzione politico-militare. Non è improbabile che Saletta, che era riuscito a controllare il posto di Saati, pensasse ancora alle alture ed alla via per Keren che così calorosamente aveva so- stenuto in primavera s. Nei primi giorni di luglio, cogl iendo l'occasione di u na ennesima campagna giornalistica della stampa pemarchica contro la conduzione della politica co lon iale da parte di Ricotti e di Saletta, accusati anche di imp re parazione nell'affrontare il peso della stagione est iva africana, i l colonnell o - inaspettatamentechiedeva l'esonero d eH' incarico.
Sentendosi di non aver mancato, trovandosi impotente ed esautorato di fronte alla calunnia trionfatrice della pubblica stampa, che non ammette alcun freno, egli [Saletta] chiede ed insta presso il Ministero perché venga sostituito nel Comando delle truppe in Africa 9.
In verità la reazione del colonnello e ra spropositata. Saletta era se mpre stato duro con i giornalisti e ceno non dovettero piacergli quegli attacchi mossigli proprio quando eg li stava affrontando la 'battaglia del caldo'. Ma è ovvio che questa richiesta di esonero, impossibile ad essere acco l ta, e che avrebbe crea to di fatto queJl' incidente politico che proprio Depretis aveva mostrato di non voler sul terreno co lonial e durante il suo interim, doveva nascondere qualcosa. Lo stesso Ministro della Guerra si dimostrò «sorpreso per l'importanza data da Saletta a qualche comunicato giornalistico» 10. E forse intuendo qualcosa nella manovra di Sal etta, Ricotti, che aveva a suo tempo detto l'ultima parola (negativa) sui progetti per Keren , si affrettò a telegrafare che - nonostante le campagne d i stampa -a $aletta «dove-
8 L'occupazione di Saati nel giugno 1885 fu emblematica dei limiti del colonialismo italiano. Fu effettuata io un momento di massimo disorientamento della politica co loniale del Governo, condotta grazie ad una notevole autonomia dei comandanti militari locali (Saletta), realizzata senza ricercare alcun accordo con la potenza etiopica. Ma, soprattutto, ancora una volta, fu resa possibile solo grazie alla supervisione cd al consenso dei britannici (nel caso specifico, dell'autorità inglese locale, il col. Chermside, forse ancora prima di quella superiore e politica, londinese). Fu grazie al benvolere di Chcrmside che, giunto il momento della evacuazione degli irregolari egiziani che tenevano quella posizione , una parte di questi passò al soldo italiano. Saletta, dopo qualche tempo, forse illudendosi che ormai Saati era divenuta di fatto italiana, fece costruire alcune costruzioni in murarura e sostituire quegli irregolari ex-egiziani con altri irregolari assoldaci direttamente dagli italiani a Massaua. Ma su questa seconda fase della presa di possesso italiana di Saati torneremo più tardi. Cfr. Storia militare della Colonia Eritrea, cit., p. 94. È difficile rendersi conto di quante complicazioni, da una manovra apparentemente così precaria e assai poco 'eroica' avrebbero potuto verure.
9 AUSSME, Volumi En"trea, v. 2, alla data dell'8 luglio 1885.
IO lvi, alla data del 9 luglio 1885 va bastare la fiducia che gli dimostravano i suo i superiori:. 11
Ricotti, quindi, non era disposto a mutare in nulla le istruzioni che Saletta aveva a suo tempo ricevuto, e che pure questi in qualche occasione aveva oltrepassato (la questione Saati era esemplare). Al colonnello non rimase così che rinunciare qualche giorno dopo alla sua richiesta; adducendo come pretesto l'acutezza della situazione sanitaria e la «malattia:. che aveva ponato a fme prematura il suo stesso vice 12 , il colonnello rimaneva Comandante Superiore delle Truppe in Mrica, ma di altre e più vaste istrUZioni non si poteva nemmeno parlare.
Prima che dal presidio italiano, però, le principali novità dovevano venire in quei mesi proprio dalle popolazioni abissine.
La calma intorno a Massaua si andava di giorno in giorno deteriorando. Il Comando Superiore era se mpre più impensierito dai pericol i di scorrerie e di puntate offensive dei ribelli mahdisti 13; qualsiasi spedizione di civili italiani verso l'interno dell'Abissinia veniva sconsigliata 14 . Qualsiasi individuo sospetto di aiutare i 'predoni' veniva duramente punito: un abissino, capo di una carovana che trasponava cereali (che pure solo si supponeva destinata ai 'briganti'), per aver tentato di l asciare Massaua se nza l'autorizzazione delle autorità occupanti, venne condannato ai lavori forzati 15.
Ma non si trattava di episodi isolati: tutto il mese di agosto fu segnato dagli allarmi lanciati da Saletta a Roma. Il colonnello scrisse al Ministero della Guerra per segnalare l'utilità che qualsiasi carovana fosse sco nata da truppe italiane l6, per sotto lineare il perico lo dei predoni 17 , per ric ordare ai suo i superiori che - per via del caldo e della rinnovata turbolenza della zona - dovevano considerarsi interrotte le manovre di istruzioni che sino ad ora erano state condotte l 2 lvi, alla data del 15 luglio 1885.
11 Ibidem . Da militare a militare , Ricotti scrisse qualche giorno dopo a Salena che , in verità, aveva fano male a prendersela così ramo per qualche attacco dei giornali pen· rarchici e della sinistra. eGli apprezzamenti poco benevoli che provengono da certi straci sociali - sentenziava Ricotti a proposito delle accuse dei giornali democratici e 'operai' al colonnello - tornano maggiormemte ad onore e sono quasi sicura prova del retto operare di coloro che intenderebbero colpire•. Che era un po' un ragionamento da ancien regime. lvi , alla data del 17 luglio 1885.
13 Cfr. ivi, alla data del l agosto 1885.
14 Cfr. ivi, alla data del 4 agos to 1885
Cfr. ivi, alla data del 29 agosto 1885 .
16 Cfr. ivi, alla data del 14 agosto 1885
17 Cfr. ivi, alla data del 15 agosto 1885 al di fuori del perimetro di Massaua 18. Infme, nell'ultima settimana di agosto, Saletta comunicava allarmato che una grossa banda di 'predoni' (più tardi si seppe che erano uomini di Ras Alula) aveva effettuato una scorreria nei pressi di Ua-à, a pochissimi chilometri da Massaua 19: e non molto lontano le truppe del Ras stavano battendo la regione del Goggiam alla ricerca di mahdisti.
Fu in questo complesso e pericoloso scenario, che proiettava le sue ombre sino a quasi le porte di Massaua, che da Saati si ritirarono gli irregolari egiziani (poi passati in forza al Comando italiano) e vi rimasero solo truppe irregolari direttamente al soldo degli italiani. Già questo era un mutamento che, per quanto apparentemente di scarsa importanza, doveva risultare agli abissini un segnale sufficientemente esplicito dell'interesse di Saletta per Saati.
Inoltre, Saletta ordinò di far costruire sulle alture prospicenci la località alcune piccole casermette in murarura 20 , che avrebbero dovuto avere la funzione di ospit.are gli irregolari italiani e di aiutarli nel loro compito di osservazione sul confine abissino. E di rutto questo, puntigliosamente, volle avvertire Ras Alula.
Per Ras Alula, che come abbiamo visto in quei giorni era già impegnato nella sua guerra politica e religiosa contro i musulmani (ma poi per lo stesso Negus, quando questi venne a sapere della più stabile sistemazione degli italiani a Saati) questo era troppo.
La risposta di Ras Alula fu immediata ed altera
Mi avete detto che andrete a piantare i vostri rucul a Saati ; ciò non sta Non solo i rucul ma anche le genti che sono a Saati non debbono rimanervi ; la terra appartiene al Negus. Io non posso comandarvi. Dunque sgombrate Saati 21 n La missione diplomatica (e la demolizione dei tukul di Saati, se non la sua evacuazione) era invece assai ben vista dal Negus in persona nonché da Ras Alula, che sperava in un alleggerimento del suo ' fronte orientale' - gli italiani da Massaua - per poter dedicarsi alla decisiva lotta al mahdismo sul suo 'fronte: nord-occidentale'. Il fatto di aver disprezzato e sottovalutato i segnali di una benevola accoglienza abissina all 'i· potesi di una missione diplomatica italiana (segnali assai evidenti tra agosto e settemb re 1885) costituisce un'ulteriore aggravante del componamemo dei militari e dei politici italiani.
La minaccia di Ras Alula era grave.
Proprio in quei giorni il capo abissino aveva mostrato di volere e poter riprendere la sua guerra ai ribelli mahdisti, e per questo scopo aveva armato un consistente nerbo di truppe 22 . Avrebbe egli voluto riprendersi anche Saaci? La preoccupazione, a Massaua e poi a Roma, diveniva di colpo la nota predominante: si ripresentava il timore di un insuccesso 'contro i Negri'?
18 Cfr . ivi, alla data del 21 agosto 1885 .
19 Cfr. ibidem.
20 Cfr. Storia militare della Colonia Er-itrea, ci t., p. 20.
21 Cfr. anche DEL BOCA , Gli ilaliani in Afn'ca orientale. Dall'unità alla marcia su Roma , c it ., p . 20 9.
22 Cfr. BATIAGLIA, La pn'ma gue"a d 'Africa , cit. , pp 220-221.
L'Italia si trovava di colpo spiazzata e impreparata di fronte all' atteggiamento bellicoso ed al minaccioso ultimatum di Ras Alula. Quel poco di attività politica e diplomatica italiana di quei giorni, che non fosse stata interrotta dalle ferie estive, correva infatti su tutt' altri binari. C'era stato il timore, in quelle settimane, di trovarsi di fronte ad una manovra inglese che avrebbe potuto escludere l'Italia da un accordo diretto Gran Bretagna-Etiopia , a riguardo di Cassala 23. Si era anche assistito al ripresentarsi proprio in quei giorni di una cena divergenza di interessi e di analisi tra ambienti diplomatici ed ambienti militari, a proposito del tema cruciale dell'indirizzo da darsi a futuri eventuali rapporti italo-abissini. Nei circoli della Consulta andava prendendo piede l'idea che- sia per ostacolare eventuali piani britannici tendenti ad emarginare l'Italia dai contatti con il Negus, sia perché ormai appariva cosa di per sé sempre più necessaria - sarebbe stato utile per l a politica coloniale italiana inviare al Negus una missione diplomatica 24 . Tal e missione avrebbe potuto anche, nel migliore dei casi, risolvere la questione dei confini e chiarire meglio come dal trattato di Hewett si poteva passare alla nuova situazione politica e diplomatica rappresentata dalla presenza militare italiana a Massaua e nella zona circostante. L'idea non era ancora ben precisata ma si andava affermando. Nei circoli militari del Ministero della Guerra , invece, anche in seguito agli allarmi lanciati da $aletta nei giorni precedenti (anco ra non si sapeva nulla dell'ultimatum di Ras Alula) si riteneva che andasse co ncretizzata subito una qualche misura energica. Fosse essa la missione (che non avrebbe potuto escludere l'ipotesi , cara a Ricotti, di una riduzione degli effettivi del presidio di Massaua) o , meglio, qualche azione più propriamente militare (assicurando meglio la difesa di Massaua o scoraggiando quei 'turbo len ti indigeni', dando loro 'u na buona lezione') 2 5.
23 Cfr. ERLICH , Ethiopia and Eritrea Dun'ng the Scamble for AftUa.. , cit., p. 23.
24 Alcune (imprecise) notizie in ZAGHI, La missione Ferran· e Pozzolini in Abis· sinia, in cRivista delle co lonie italiane•, a. VII (1933) n. 9 (l'imp recisione è evident e anch e nel titolo).
La non perfetta corrispondenza tra gli indirizzi dei due Ministeri, in sé cosa non nuova ma in quei giorni più carica di conseguenze, era divenuta chiara allo stesso Sale tta. Se, dalla parte della Consulta, il co lonnello era alla fine «lasciato giudice dell'opportunità delle cose» 26, dalla Pilotta g li arrivava invece un mandato amp io ma preciso.
Per dare maggiore sicurezza alle carovane che passano per Saaci ed impedire così che il commercio devii da Massaua ed anch e per non danneggiare il nostro prestigio in quei paesi , s'invita il colonnello Salerra a vedere se non fosse il caso, contrario a quanto gli venne già telegrafato per iJ passato , di far occupare Saaci ed anche qualche altra località intermedia ua Saaci e Monkullo con distacca.men· ti delle nostre truppe . In oltre gli si dice di esaminare la convenienza o meno di stabilire un turno periodi co per le carovane da e per Saati prendendo naruralmcntc necessari accordi con il capo abissino Ras Alula 2 7 .
Nonostante le solite contraddizioni (come facevano i militari italiani ad accordarsi con Ras Alula e nello stesso tempo occupare una località posta sotto il su o controllo?) , quell o che in tale dispaccio del Ministero della Gu e rra era significativo era che, in qualche modo , Ricotti sembrava accedere all'idea di riaprire le vie per una soluzio ne mtlitare per Massaua. Piu ttosto, e prima , che l a m issione diplomatica, doveva e sse re la forza militare che occupava Saa ti a garantire i rapporti tra Massaua, il Ras e d il N egu s.
Questa divergenza t ra militari e diplomatici ebbe però per l'immediato poche conseguenze perché, dal canto suo, ci pensò Ras Alula a far saltare tutti i piani: il suo ultimatum e la minaccia militare che esso comportava sve lavano comunque la l eggerezza e la scarsa conoscenza della real tà abissina co n cui spess o venivano a Roma stes i e immaginati i ' pian i ' coloniali.
Colto il Minist ero degli Esteri in una deli ca ta fase di inten'm , quale sarebbe stato l'atteggiamento delle a ut orità italiane? La questio ne di Saati, che Saletta in qualche modo era riu scito ad occupare , diveniva di colpo quella del suo sgombero, dal momento che non si voleva che proprio d a lla politica coloniale potessero venire al governo motivi di accuse od oc casioni di polemiche: lo stesso Mancini aveva perduto appena due mesi prima il suo posto di Ministro proprio per aver vo lu to annett ere troppa importanza all ' impresa di Massaua
Da parte sua, il Ministero della Guerra aveva autonomamente iniziato a studiare la possibilità di prendere una drastica soluzione 'tecnica': dichiarare lo stato di guerra per il presidio del Mar Rosso. In questo senso era stato interessato l'Avvocato Generale Militare 28. Una tale estrema misura - oltre a riaffermare che la 'potenza' italiana non poteva essere intaccata dalle intimazioni di un 'indigeno' qualsiasi (come in fondo era visto Ras Alula) ed a risolvere taluni problemi di tipo giuridico interno ed internazionale - avrebbe portato a far considerare l'autorità militare (anche locale) quella superiore su ogni altra ed avrebbe potuto chiudere definitivamente il difficile e disonorante capitolo del condominio itala-egiziano a Massaua. Così facendo, inoltre, si sarebbe detto chiaramente a tutta l'Europa che l'occupazione italiana era definitiva e non transitoria, e che quindi qualsiasi azione militare si fosse colà voluto intraprendere (ad esempio, la stessa occupazione di Saati) sarebbe stata legittima.
Ma l'affacciarsi di una tale ipotesi bellicosa e 'militarista' non deve far credere che tra i militari (cioè tra quei pochi militari italiani bene al corrente degli eventi massauini) ci fosse univocità di giudizi.
Già tra Ministro della Guerra e Segretario Generale della Pilotta i pareri non concordavano perfettamente. Ricotti era convinto della necessità di rimanere a Massaua (ma c'era già chi lo metteva in forse?) pur essendo disposto a restituire Saati, anche se «solo dopo regolare trattato)) 2 9. Marselli, piuttosto che dall'incidente di Saati, era infastidito dali' idea della missione diplomatica, che avrebbe tolto ai militari la possibilità di poter decidere in autonomia: e in quanto Segretario Generale del Ministero della Guerra desiderava che l'eventuale personale militare dì quella missione fosse «ridotto allo stretto indispensabile» 30.
Diversa ancora era invece la posizione della Consulta. Per prima cosa si rimproverava la mossa di Saletta a proposito dell'occupazione di Saati, <<pesando su di quegli [Saletta] la responsabilità di tutto ciò che colà può accadere» 31. Ma soprattutto si sollevava il tema della missione diplomatica.
Che con una tale missione si potesse risolvere tutto, era cosa che non convinceva i militari e particolarmente Saletta. Il quale, oltre ad essere seccato da quella che lui considerava una 'intromissione' di civili (i d iplomatici) in un fatto secondo lui tutto militare (l' occupazione di Massaua e la questione di Saati), sembrava assai preoccupato dalla situazione locale. Nei giorni seguenti l ' ultimatum abissino, il colonnello aveva spedito a Roma più di un segnale di allarme circa la rinnovata turbolenza della zona: fosse il caso di una supposta ostilità tra abissini ed arkikesi 32 , di invii di armi a Ras Alula da pane del Governo egiziano 33 e di razzia di d ervis·ci a soli quindici chilometri da Massaua 34 . Tutto agli occhi di Saletta, con quella Saati ancora italiana, sembrava segnalare il pericolo per la colonia di un aumento della tensione.
28 lvi, alla data del 31 agosto, e cfr. poi alla data del 13 settembre 1885.
29 AUSSME , Carteggio Eritrea , racc. 121, fase. 11, 3 settembre 1885, Ricotti aMarselli.
30 lvi, 13 settembre 1885, Marselli a Ricatti.
31 AUSSME , Volumi Eritrea, v. 2, alla data del 2 settembre 1885.
Riassumendo, si potrebbe dire che questo era il risultato dell' ultimatum di Ras Alula: al disorientamento grande seguito in Italia alla notizia della caduta di Khartum pareva, in quei giorni di settembre, esse re subentrata una cena confusione. Si era forse intuito il grado di minaccia politica e militare costituito dall'ultimatum, ma in realtà non si sapeva cosa poter fare per evitarla.
La politica coloniale italiana si pose, anche in quei giorni, al rimorchio degli eventi. Lo 'stellone', però, aiutò ancora una volta.
Ras Alula, infatti, era in quei giorni più preoccupato di infliggere un duro colpo all'effervescenza mahdista che dell'occupazione italiana del villaggio di Saati. E fu per questo che non fece seguire, all 'ultimatum, quell'azione militare che tanto aveva impensierito Saletta 3).
Saati rimaneva così italiana, almeno per allora. E giorno dopo giorno le nubi su Massaua erano destinate, per qualche tempo , a disstparsi.
Rimaneva comunque il fatto che, di fronte al presentarsi del più grave rischio politico e militare per Massaua dal giorno della sua occupazione militare (che cosa avrebbe potuto accadere se Ras Alula con qualche migliaia di armati fosse sceso su Saati o su Massaua? E che cosa avrebbe salvato Saletta e gli italiani se davvero, oltre alle bande del Ras, si fosse mosso anche solo una parte dell'esercito del Negus, per conto del quale Alula agiva in quelle zone?), Ministero ddla Guerra e Ministero degli Esteri non erano riusciti ad intervenire né attivamente né rapidamente né concordemente .
32 lvi , alla data del 14 settembre 188).
33 lvi, alla data del 16 settembre 1885.
}4 lvi, alla data del 13 settembre 1885.
35 Ras Alula pattì nella sua campagna contro i Dervisci, ch e culminò nella battaglia di Kufit (23 settembre 1885) dopo aver lanciato i suoi ultimatum per Saati e dopo aver ricevuto da Saletta la promessa dell'invio di una missione diplomatica italiana ad Asmara e dal Negus .
Questa confusione (che ancor prima che frutto di una lotta tra vere linee colonialistiche diverse, appariva come un risultato sia della disinformazione sia de lla diversità degli interessi e degli scopi) doveva risaltare massimamente in merito alla questione dello sgombero di Saati. Se al p rimo diffondersi delle notizie sull'ultimatum abissino non dovette mancare chi lo considerasse una misura necessaria ed intelligente 36, con il passare dei giorni e coll'affievolirsi delle possibilità che Ras Alula - adesso allontanatosi dalla zona di Saati per dare la caccia ai ribelli mahdisti - decidesse di intervenire militarmente sul nuovo possesso italiano, lo sgombero di Saati andava sfumando la sua urgenza. Anzi, ent rava in gioco l'onore italiano.
Il punto di vista italiano era chiaramente e sinceramente espresso qualche giorno dopo in un dispaccio del Ministero della Guerra a Saletta .
Si scrive al colonnello Saletta che sarebbe nosuo intendimento di lasciare Saati e di limitare l'occupazione del territorio circostante a Massaua fino ad Arkiko ed a un punto a qualche chilometro da Monkullo verso Saati ( ... ) Però dopo l'orgogliosa lettera di Ras Alula relativamente alle capanne che dovevano ricostruirsi a Saati pel ricovero degli irregolari, il trattare di volontario abbandono potrebbe sembrar atto di debolezza anziché una pura condiscendenza del rutto spontanea 37.
Prevaleva quindi l'indirizzo di rimanere a Saati.
Doveva finire in una bolla di sapone il grave per icolo corso dal presidio di Massaua? Purtroppo, per la persona di Saletta, non era così.
Se anche nulla cambiò nella dislocazione delle truppe di occupazione coloniale italiana in Mar Rosso (e se anche, quindi, nulla fu fatto per venire incontro alle proteste abissine per la questione di Saati e tutto rimaneva tale e quale Ras Alula aveva dimostrato di non gradire), quello che in qualche modo venne meno negli ambienti politici fu la fiducia in Saletta. La sua immagine, già insidiata da que lle continue richieste di truppe e di materiali, non disgiunte da quella sua dichiarata tend enza ad avanzare la linea 'difensiva' del presidio militare di Massaua, era stata fortemente indebolita dal contrasto avuto con Noce nel luglio (un conuasto che aveva di fatto esposto la prima colonia italiana al pericolo di una crisi 'istituzionale'). Infine, la questione di Saati aveva definitivamente minato la sua figura di Comandante militare locale.
36 Da vari accenni pare che questa fosse l'opinione personale di Depretis. 37 AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data del 23 settembre 1885.
Tutto ciò andava coincidendo con la rinnovata insoddisfazione - militare (anche di Ricotti) ma poi politica e generale - verso il 'condominio' istituzionale a Massaua, nei cui confronti si stava consolidando la convinzione di dover d'ora in poi tenere «Un atteggiamento più risoluto• 38.
Fu in questa atmosfera di insoddisfazione per l'operato di Saletta, all'incirca al l a metà di settembre (di fatto verso la fine di quell' inten·m in cui Depretis aveva programmaticamente stabilito di non vo ler, invece, fastidi dali' Africa), che si riunì il Consig lio dei Ministri con all'ordine del giorno le nuove necessità del presidio di Massaua. L'unico risultato concreto di quella riunione fu così quello di andare, in tempi da definirsi, verso il superamento del condominio e soprattutto di procedere alla sostituzione di Saletta 39. Di fronte alla spigolosa ed irrequieta figura del colonnello fu scelta la più bonaria e quieta personalità del generale Carlo Genè, le cui uniche qualità 'col oniali' erano quelle di essere un generale (come vedremo) e di essere momentaneamente Direttore dell'I st ituto Geografico Militare di Firenze 40.
Il grado di generale serviva perché, per arrivare a l superamento del 'condominio', era necessario che fosse chiaramente stabilito quale era il militare italiano ad avere la superiorità gerarchica su tutti gli altri , fossero essi della Marina o dell'Esercito. Era infatti in questo senso che «SÌ decise di riordinare rutti i servizi del presidio del Mar Rosso e che al Maggiore Generale Genè ne [fosse] data la direzione generale, e che quindi a l ui [dovessero] far capo tutte le varie autorità che hanno interessi in quella località» 41 . Ma , a pane la nomina di Genè alla successione del colonne ll o (nomina che non esauriva ma che era solo il primo passo verso l'accentramento politico e ammini- strativo della colonia al Ministero della Guerra, come vedremo) e la decisione che non ci si sarebbe mossi da Saati, l'unico effettivo provvedimento concreto preso dal Consiglio dei Ministri del settembre era appunto la destituzione di Saletta.
38 L'espressione di Robilant, che bene sintetizza il suo pensiero , è in un suo dispaccio al R. incaricato d'affari al Cairo. De Martino. Cfr. i11i, alla data del13 settembre 1885.
39 Cfr. ivi, alla data del 19 settembre 1885.
40 Il grado di generale serviva per rendere effettiva la carica divisionale che dall'aprile i presidi di Massaua rivestivano e per poter meglio subordinare a quella carica rutti i servizi italiani, civili e militari , della Marina e dell'Esercito , presenti in colonia.
41 Cfr. ancora AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla data del 19 settembre 1885.
Proprio colui che tanto aveva fatto - anche oltre le istruzioni politiche e militari ricevute- per arrivare a Saati, doveva andarsene una volta che si era deciso a restarci.
A pane questo paradosso, rimane l'impressione che i governanti italiani credessero che la complessa situazione politica , militare, istituzionale creatasi - come abbiamo sin qui visto - a Massaua fosse risolubile con la semplice misura tecnica di perfezionare la struttura del Comando: quasi dimenticando che il pericolo maggiore corso dal presidio in quell ' ultimo mese non era dovuto ad una questione di architettura istituzionale bensì - più concretamente - al sommarsi della ormai già nota irritazione abissina verso la presenza italiana a Massaua con la nuova e radicale opposizione di Ras Alula a quella pratica militare di Sale t ta che - dal pono ai fonini a Saati - poteva ben far credere volontà espansionistiche e spinte aggressive italiane, dalla costa verso gli altopiani e contro l'Impero etiopico. Per àlleggerire il clima politico e diplomatico intorno al presidio di Massaua, praticamente , assai poco fu fatto: si sostituì Saletta, è vero , ma si rimase a Saati.
La stessa idea della missione diplomatica, come vedremo, sembrava perciò destinata a perdere sempre più di interesse agli occhi del governo e dei Ministri.
A fine settembre 1885, poco meno di otto mesi dopo lo sbarco di Massaua, magro era quindi il bilancio della ' potenza' coloniale italiana : nessuno sgombero di Saati , almeno per allora; nessun patteggiamento con gli 'indigeni' (fossero essi piccole tribù degli altipiani abissini o plurisecolari imperi dell' Mrica orientale); attendismo e nessuna considerazione d eli' importanza dell ' attività diplomatica; nessuna particolare misura militare di rinforzo del presidio italiano con truppe o servizi; sostituzione (in un momento di fatto delicato) del Comandante Militare.
Che cosa sarebbe rimasto dalla politica coloniale italiana se considerazioni politiche e strategiche (legittime dal punto di vista etiopico) non avessero fatto preferire a Ras Alula una campagna contro i mahdisti ad un colpo di mano su Saati o Massaua?
Solo dopo Dogali si sarebbe potuto apprezzare in Italia l'entità del pericolo che , tra agosto e settembre 1885, politici e militari italiani avevano eccessivamente sottovalutato.
Verso un 'nuovo' corso con Genè e Robtlant
Tra il settembre e l'ottobre 1885, oltre all'atteggiamento abissino (e contemporaneamente ad una nuova considerazione britannica della vantaggiosità per Londra di un più saldo stabilimento italiano in Mar Rosso) 1 , un altro evento doveva segnare la politica coloniale italiana. Dopo tre mesi di inten·m di Depretis, anche per il diretto intervento di Re Umberto I , la Consulta tornava ad avere uno stabile Ministro: si trattava del conte di Robilant.
Ex-ambasciatore a Vienna, Robilant non aveva mai mostrato di apprezzare oltremodo la situazione in cui i 'piani' coloniali di Mancini avevano cacciato l'Italia 2 Convinto sostenitore dell' importanza della Triplice, era certo che i problemi più grossi l'Italia li aveva sul fronte continentale, sul quale un eventuale appoggio inglese (secondo Mancini ottenibile grazie a punti di intesa con quella potenza, punti che avrebbero invece per forza di cose dovuto interessare ambiti mediterranei) non sarebbe stato di grande aiuto per Roma. Robilant, non avrebbe quindi tardato a dare a tutta la conduzione ddla politica estera italiana un tono più conservatore e più triplicista. Tutto questo fu sensibile in maniera chiara più tardi (quando, il divampare del conflitto nei Balcani minacciò di mettere in crisi l' assetto europeo in maniera assai più radicale di quanto, qualche anno prima e sotto il ministero di Mancini, avevano potuto i conflitti marittimi e mediterranei tra Francia ed Inghilterra per l'Egitto). Ma qualcosa cominciò sub ito a farsi evidente, già nei primi giorni di permanenza di Robilant alla Consulta, proprio sulla, questione coloniale.
Già nel settemb re l'Italia era parsa incamminarsi sulla via di un atteggiamento 'più risoluto' (sostanzialmente verso l'abolizione del 'condominio'). Robilant si inserì in questa tendenza e la portò con decisione alle sue necessarie conseguenze.
Già sulla questione della missione diplomatica al Negus, che avrebbe comportato che un paese 'civile' come l 'I talia riconosceva di andare a trattare con un 'sovrano africano', Robilant non sembrava entusiasta. E tra i primi suoi provvedimenti ci fu qudlo di ritardarne i preparativi di quasi due mesi 3. Sulla questione dello sgom- bero di Saati, inoltre ribadì e rafforzò il concetto che, 'per l'onore della patria', non era decoroso abbandonare quello che si era già occupato 4 . E in buona pane si dovette proprio all'azione diplomatica di Robilant ed al suo atteggiamento 'militare' se nel dicembre si poté arrivare finalmente al superamento del 'condominio' di Massaua, con il 'colpo di stato' di Genè (come fu chiamata la sostituzione del potere militare italiano a quello egiziano, ancora formalmente valido per via del Trattato di Hewett) 5.
1 Influiva, in questo senso, il mutato orientamento politico del Governo di Londra.
2 Cfr. ZAGHI, P.S. Mancini e la questione del MediteTTaneo 1884- 1885, cit., pp. 150·1)1.
3 Cfr. AUSSME, Volumi Entrea, v. 2, alla data del 7 ottobre 1885.
Tutto questo nell'accezione di Robilant era fatto non tanto per dare al presidio del Mar Rosso quella omogeneità interna e quella solidità istituzionale necessarie per andare avanti nell'opera di espansione coloniale verso l 'interno dell' Mrica, quanto per poter accantonare una volta per tutte un fastidioso problema che non prometteva nulla di molto interessante per la volontà di 'potenza' europea dell'Italia umbenina.
In conclusione - se anche il governo con la sua riunione del settembre non lo avesse già sufficientemente determinato - con Robilant agli Esteri la politica coloniale italiana doveva diventare una questione di interesse politico e diplomatico assolutamente secondario per l'Italia. Sempre che condotta militare o minacce abissine lo avessero permesso.
Nonostante questa (perlomeno decisa e chiara) impostazione politica, è comunque interessante dare uno sguardo più ravvicinato alle vicende di quel mese e mezzo in cui Saletta - avuto notizia del suo prossimo trasferimento- rimase a Massaua ad attendere Genè.
Il co lonnello non era rimasto spettatore silenzioso di fronte alle correzioni nella politica coloniale che erano andate maturando. Egli aveva avuto un peso non trascurabile nella decisione di non sgomberare Saati. E, come si vedrà, stringendo una sorta di patto d'azione con tal une tribù musulmane d eli' entroterra massauino (una mossa che Rase Negus, copti, mai gli avrebbero perdonato), avrebbe in- data del 25 settembre 1885. fluenzato in qualche modo il successivo corso degli eventi.
4 Cfr.
5 Sarebbe interessante conoscere meglio i retroscena diplomatici, italiani e b!itanoici, dell'operazione politica del 'colpo di stato' di Robilante Gené a Massaua. E vero che, dal punto di vista politico, la mossa del2 dicembre eliminava in gran parte i fastidi e gli ostacoli del 'condominio'. Ma è anche vero che - a parte questo- non mutava niente nella conduzione politico-militare del primo presidio coloniale italiano: né nei rapporti col Negus o con Ras Alula, né in quelli con le popolazioni musulmane circostanti, né nella linea militare 'difensiva' (fortini -Saati). Volle forse sembrare una prova di forza , ma lasciava inalterati tutti i principali punti di debolezza (e di pericolo) del primo colonialismo italiano.
Il colonnello aveva tempestato di rapporti tra settembre e ottobre le autorità militari della Capitale, ora accettando di differire la questione dei conflui (cui teneva molto) purché perlomeno fosse trovato un modus vi vendi con le tribù viciniore 6, ora sostenendo la necessità di mantenere Saati occupata da truppe regolari e di istituire con truppe regolari italiane vere colonne mobili lungo le carovaniere che da Massaua conducevano al villaggio occupato 7, ora prospettando gravi pericoli in caso di sgombero e lamentandosi del persistere del 'condominio' istituzionale 8
Ma - soprattutto - Saletta era «fermissimamente contrario» allo sgombero di Saati 9. Se il nucleo di tale sua convinzione era chiaramente comprensibile (tenere Saati poteva vol er dire mantenere aperta la via per gli altipiani, per Keren, ed oltre), le motivazioni con cui la argomentò con insistenza al Ministro della Guerra erano le più varie. Abbandonato Saati (pur signilicativamente e spontaneamente definito «isolato, privo di ogni risorsa all'infuori dell'acqua») 10, Salet ta sosteneva che le carovane avrebbero dovuto fare sosta a Monkullo dove invece l'acqua non abbondava e dove un qualsiasi ulteriore rifornimento idrico per le carovane sarebbe andato interamente a scapito di quello di Massaua. Inoltre, diceva , si sarebbe data una motivazione in più al Negus e agli abissini che in quei giorni mettevano in giro voc i sulla 'irrisolutezza' degli italiani 11 : proprio quando il monarca abissino cercava in più villaggi di far pressioni sulle rimanenti vestigie di governo egiz iano locale contro quei 'Naib' che in qualità di propri rappresentanti gli italiani avevano intanto collocato (e stipendiato) in posti di responsabilità ad Arkiko, Otumlo o Monkullo 12
Nella sostanza, colui che accettava più di tutti le posizioni di Saletta era il nuovo Ministro degli Esteri , conte e generale Robilant. Anzi. Se Saletta non voleva ritirarsi da Saati ma almeno credeva cosa importante discutere col Negus, nella missione diplomatica che
6 Cfr. AUSSME, Volumi En.trea, v. 2, alla data del 7 ottobre 1885.
7 Cfr. ivi, alla data del 10 ottobre 1885.
8 Cfr. t'vi, alla dara del 15 ottobre 1885.
9 AUSSME, Volumi En.trea, v. 43, 13 ottobre 1885, Saletta a Ricorri. 10 si andava profilando, di un possibile accordo bilaterale sulla questione dei confini, Robilant conveniva con il colonnello che l'onore della Patria impediva che si indietreggiasse da Saati, ma proponeva addirittura di non parlare di confini con il Negus nella missione ( quando mai si fosse fatta): forse nella segreta speranza che gli abissini avessero un giorno potuto accettare il dato di fatto dell'occupazione militare. Perché ogni cosa - aggiungeva Robilant- andava condotta <<in modo tale da preservare intiera la nostra dignità e da escludere ogni apparenza di debolezza» 13.
Chi voleva differenziarsi da Saletta, invece, proprio perché non ne condivideva la tendenza verso imprese militari impegnative e costose, era addirittura il Ministro della Guerra.
Cesare Ricotti scrisse così al collega della Consulta che, se anche i motivi politici impedivano il ritiro da Saati, i motivi militari (nella personale analisi fattane da Ricotti) dicevano invece con chiarezza quanto pericoloso doveva essere per l'Italia e per il presidio del Mar Rosso tenere quella posizione 14 . Il pensiero di un possibile colpo di mano abissino su Saati doveva aver colpito, correttamente, l'immaginazione del generale novarese: per questo motivo egli proponeva (ma alla lunga non venne poi accontentato) che a presidiare il villaggio fossero al massimo truppe irregolari. «Non saremmo costretti ad operare d'urgenza se venissero presi i Basci-bazouk», terminava il Ministro l5. Il Ministro, già seccato per i vari grattacapi che Saletta gli aveva procurato con quella sua ripetuta volontà di espansione coloniale a tutti i costi (anche 'in sedicesimo'), andava convincendosi sempre più di quella impostazione 'difensivistica' e di raccoglimento coloniale che il Governo aveva pure varato alla fine della primavera. Impostazione che Ricotti non era alieno dali' interpretare nel senso di affrettare i tempi di una drastica riduzione dell'impegno militare italiano.
Se non era quello il momento, ad un mese e poco più dall'ultimatum di Ras Alula, per parlare di riduzione della forza dell'esercito sulle coste del Mar Rosso, certo Ricotti era assolutamente convinto che quell'autunno-inverno che si andava aprendo non avrebbe do-. vuto assolutamente impegnare la politica coloniale italiana in alcuna velleità di espansione. In questo senso, come a proposito di Saati Ri- l3 lvi, 7 novembre 1885, Ris., Robilant a Ricotti. cotti si erà differenziato da Saletta e da Robilant , il Ministro della Guerra non ebbe alcuna esitazione a differenziarsi da tal uni ambienti dello Stato Maggiore.
A riprova di questo sta l'esito negativo che la Pilotta volle imporre ai timidi ma significativi tentativi di taluni ambienti militari e diplomatici di riaprire un fronte di espansione coloniale italiana che da Massaua menasse , questa volta, verso Harrar.
La cosa non era in sé nuova: già Mancini aveva tentato questa via , anche nei suoi colloqui con Londra , ma con gli esiti che abbiamo prima ricordato La ripresa autunnale d e ll o Harrar come meta coloniale italiana sembrava destinata a compiere analoghe parabole.
Tutto era panito da quella che sembrava , un ' altra volta, una disponibilità britannica. Un'imponante carica militare inglese di stanza ad Aden, il maggiore Hunter, aveva mostrato un ceno favore durante alcunj suoi contatti con militari italiani nell'estate 188 5 a proposito di una possibile occupazione italiana dello Harrar e di Zeila suo capoluogo 16. Un ufficiale italiano di St ato Maggiore era stato designato a prendere ulteriori contatti , nell ' agosto, con l' ufficiale inglese per sondare quanto nelle sue affermazioni c' era di personale e quanto invece di ufficioso 17 In ottobre, dopo la nomina di Robilant , la Consulta ste ss a richiese al Ministero della Guerra che venissero inviati due ufficiali italiani , in incognito , ne llo Harrar per sondare meglio l'attualità del piano 18.
Significativamente , invece, Ricotti negò la legittimità e l'importanza di qualsiasi ipotesi di espansione militare del presidjo coloniale. Giudicò tutto l'interessamento «non necessario:. e ironicamente propose che la Consulta inviasse essa qualche civile nello Harrar «poiché per quanto può ave r tratto con le esigenze militari di una spedizione in quella regione il Ministero possiede già daci sufficienti:. 19 . In realtà , dati ed informazioni esa tt e sull ' Africa non furo no mai troppo abbondanti alla Guerra , e il diniego di Rico tt i rive lava la sua intima convinzione che per allora la prima colonia italiana doveva rimanere quello che era , a Massaua.
Se era contrario ad espansioni coloniali (e gli eventi de il' agosto -
16 Cfr. i vi, all a data del 5 agosto 188 5.
17 Cfr. ivi, all a data del 26 agosto 188 5 settembre e di Saati lo dovevano ancor più convinto), Ricotti non era però insensibile a quella cosa vaga ma fonemente sentita che andava sotto il nome di 'onore dell'esercito' e giudicava negativo tutto quello che limitava od ostacolava l'autorità dei rappresentanti militari nel presidio del Mar Rosso. Era perciò avverso al 'condominio' italo-egiziano. Così, dopo la nomina di Genè e durante i lavori preparatori per la stesura del decreto che ne avrebbe stabilito le competenze quale Comandante Superiore italiano a Massaua, il Ministro deHa Guerra fece in modo di ottenere un'autonomia quanto più larga possibile per il nuovo Comandante militare.
18 Cfr. ivi, alle d ate del 19 ottobre e d el 25 ottobr e 1885.
19 l vi, alla data del 29 ottob re 1885. Il Ministero degli Affari Este ri fu poi costretto a soprassedere a q uesti suoi inte ressi p er lo H arrar. Cfr. ivi, a ll a d ata d el 2 n ovem b re 1885.
Dalla Marina, il cui ruolo veniva drasticamente ridimensionato, la Pilotta poté esigere la sostituzione di Noce, che con la sua anzianità di servizio - maggiore di quella di Genè, nùovo incaricato del Comando Superiore - avrebbe potuto ricreare quegli intralci che tanto avevano indispettito il colonnello Saletta 20. Dagli altri Ministeri, Ricotti poté ottenere - con l'avallo della presidenza del Consiglio 21 - un decreto di nomina di Genè con una larghezza tale di attribuzioni che prevedeva persino la supervisione personale del Comandante Superiore nelle questioni correnti e contabili delle varie amministrazioni civili italiane (Poste, eventuali lavori pubblici etc.) presenti sul territorio della colonia 22 Di cariche minori, che avrebbero potuto dare ombra alla figura del Comandante Superiore ed al nuovo corso 'più risoluto' che si voleva varare - cariche quali un richiesto (da parte della Marina) Comando Locale Marittimo di Assab -, Ricotti volle che non si parlasse neppure 23.
Ma non era con la sola - pur imponante - abolizione del condominio e con una assoluta subordinazione di ciò che fosse italiano a Massaua al Comandante Superiore dell'esercito che si sarebbe potuto rendere più stabile il presidio coloniale di Massaua (come l'ultimatum di Ras Alula aveva ricordato essere necessario) o che si sarebbe potuto estendere la zona di occupazione coloniale italiana (come pure non cessavano di richiedere alcune forze politiche e qualificati settori dell'opinione pubblica).
Fu comunque con alle spalle questo scenario che Genè, con un decreto firmato dal Re il 5 novembre (ma che avrebbe avuto vigo re a Massaua dal1 o dicembre), prendeva possesso della sua nuova carica il 14 novembre e con il 2 dicembre in qualità di Comandante Superiore eliminava il con dominio egiziano e proclamava l'autorità italiana (e ci oè la sua) come l 'unica autorità effettiva sul territorio di Massaua 24 .
Con queste date doveva iniziare una fase di raccoglimento coloniale, quel raccoglimento che Saletta non aveva voluto garantire e che il Governo aveva invece già deliberato più di un se mestre prima. Non tutto doveva però andare cosl liscio.
Ancora allO novembre , il Ministero degli Esteri non sapeva quali erano le reali attribuzioni militari del Co mandante Superiore delle Regie Truppe nel Mar Rosso (questa era l'esatta, lunga definizione) e ne sollecitava comunicazione essendo ciò «divenuta cosa urgentissima» 25.
E il decreto del 5 novembre? E tutti gli studi per le attribuzioni del Comandante in cui il Ministro della Guerra pareva essersi tanto impegnato? E tutta l 'i mportanza che pareva essere stata accordata a queste misure dopo l'ultimatum di Ras Alula?
E, in generale, con quale prospettiva coloniale, con quali rapporti con le tribù abissine, entro quali conftni politi ci si sarebbe mosso il nuovo Comandante Superiore?
Insomma, ancora una volta con qualche preoccupante defoillance, si apriva una 'nuova' fase della sto ria della prima co l onia italiana.
Già Roberto Battaglia, che pure aveva condotto la sua ricerca su fonti documentarie diverse da quelle da noi utilizzate , si era lamentato nel 1959 della pochezza delle informazio ni storiche disponibili per il periodo in cui Genè mantenne il comando del nuovo possedimento italiano 26 . E come lui anche Angelo Del Boca, che ha ripreso e sviluppato la ricostruz ione degli eventi coloniali anni prima avviata da Battaglia 27.
Purtroppo anche noi - pur nella nostra più specifica e circosc ritta ricerca - non possiamo che ripe tere quel rammarico. Relati- vamente abbondanti per il primo anno, le testimonianze sul periodo successivo al 1885 della spedizione di Massaua sono scarsissime, come se rutti avessero voluto dimenticare e far dimenticare quei mesi : in parte, si potrebbe dire, questa poch ezza di informazioni è anche un indizio dello scarso interesse di quelle vicende. A Massaua, dopo Saati, pochi si interessarono. Comunque tutta la documentazione che abbiamo potuto consultare conferma il trend che abbiamo descritto sinora.
24 Cfr. AUSSME, Volumi En'Jrea , v. 2 , alle date ricordate.
25 AUSSME, Volumi Eritrea, v. 43, 10 novembre 1885, Urg.mo, Robilam aRicotu.
26 BATIAGUA, La pn'ma gue"a d'Africa, cit. , p. 211.
27 DEL BOCA , Gli italiani in Africa orientale . Dall' uni/ii alla marcia su Roma, cit., pp. 216-217, che appunto non riesce a dare - su tutte le vicende massauine del 1886 - più di due pagine di stampa.
Genè era indubbiamente un altro carattere di militare rispetto a $aletta.
Se il colonnello si era sempre mostrato insoddisfatto ed esigente nei confronti delle autorità militari centrali, il nuovo Comandante, appena preso possesso della sua carica, scrisse invece al Ministero della Guerra che a Massaua «ogni cosa si svolgeva in modo regolare e soddisfacente» 28. Per tutta una lunga fase Genè si astenne dal ch iedere nuove truppe per il possedimento coloniale di sua competenza. Dodici giorni dopo il suo arrivo in colonia (un lasso di tempo che qualche mese prima era bastato a Saletta per rendersi conto dell ' insufficienza delle istruzioni ricevute , per rimediarvi con piena autonomia d'iniziativa, per chiedere l 'invio di truppe e servizi e per fare rim ost ranze al suo Ministro), quasi incredibilmente Genè scriveva a Ricotti: «Non sono ancora perfettamente in grado di completamente riferire circa a Massauv 2 9!
Persino quei civili che avevano dipinto Saletta come «freddo , riservato, contegnoso» 30, di Genè scrissero invece che è un buon uomo, in tutta l'estensione deiJa parola. È anche un distinto e colto ufficiale: ma in lui emerge troppo la qualità del carattere mite e delicato, per farne quello che secondo noi dovrebbe essere l'ideale di un generale 3 1
Con un comandante di tale stampo, Ricotti (e il governo) poteva essere sicuro che non si sarebbero ripetute a Massaua le impazienze espansive di un Saletta.
Nel frattempo anche al Ministero della Guerra, a Roma, si avviavano le pratiche per normalizzare la quotidiana amministrazione della co l onia. Fu deciso di non dare più la preferenza, nella determi- nazione e n eli' invio degli ufficiali occorre n ti per i presidi africani, a coloro che ne avessero fatto personale domanda, scoraggiando così l'avvio di una particolare forma di volontariato militare 32. Fu stabilito di interrompere il rappono con i privati dellà Navigazione Generale per rutto ciò che riguardava traspono marittimo di personale e servizi pubblici, facendo provvedere a ciò la Marina militare 33. Fu data risposta negativa al romano conte Brazzà (socio in affari del conte Antonelli) che aveva chiesto alla Pilotta di poter vendere agli indigeni scioani un grande quantitativo di vecchie armi che, a quel tempo, giacevano in utilizzate in un deposito del Ministero della Guerra 34. Pur continuando a tenere Saati (cui però non si faceva più cenno), e quindi pur mantenendo aJl'estensione della col onia il carattere che il Capo dello SME avrebbe definito di 'testa di ponte offensiva', gli italiani si apprestavano così a varare sulle coste del Mar Rosso una politica - diremmo - difensiva, da ordinaria amministrazione.
28 AUSSME , Volumi Eritrea , v. 43 , 14 novembre 1885 , Gené a Ricotti. 29 lvi, 26 novembre 1885, Gené a Ricotti.
3° CHIESI, NORSA, Otto mesi d ' Africa, cit .• p. 223. 31 lvi, p. 224.
Le pratiche tendenti alla normalizzazione della presenza militare italiana sul Mar Rosso, come le abbiamo appena ricordate, non erano slegate le une dalle altre, ma tendevano a ricomporsi in una manovra complessiva che Ricotti così delineava in un messaggio, riservato, indirizzato a Genè.
Si invita in via riservata il Comandante Superiore in Mrica a trasmettere un progetto panicolareggiato di dislocazione e di formazione dei singoli distaccamenti col criterio di avere la forza totale di essi ndotta a 2000 uomini , riservandosi il Ministero di tcadurlo in atto soltanto quando tale nomina venga ad essere consigliata da considerazioni politiche e sia indicata come opportUna dal Coman· dante Superiore 35.
Con Genè si voleva in somma allargare la strada del disimpegno militare: a questo doveva in fondo ridursi l'atteggiamento più 'deciso' vo l uto da Robilante concretizzatosi nel 'colpo di Stato' del 2 dicembre 1885.
Ecco il motivo di quella gestione del possedimento coloniale come se fosse stato un paesetto dell'Italia contadina del tempo, in cui non pare di essere in una colonia politico-militare europea in territorio africano ma in cui- anzi- tra genetliaco del Re, ricorrenza dello
32 Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 4, parte prima, 22 novembre 1885.
H lvi, 25 novembre 1885.
34 Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 4, parte terza, 2 dicembre 1885.
3) lvi, parte prima, 26 dicembre 1885.
Statuto e cinquantesimo anniversario della fondazione dei bersaglieri, «osni occasione è buona per far festa» 36.
E solo così che si può inquadrare correttamente la vicenda della missione diplomatica italiana al Negus. È questo il primo importante event o del periodo di Genè (forse l'unico, se si esclude, per un aluo verso, Dogali) e di per sé dà l 'idea della volontà politica italiana di lasciare fermo tutto l'affare africano, di non voler riconsiderare a fondo la legittimità, la consistenza e gli obiettivi di un colonialismo italiano.
Un'ambasceria guidata dal (e di fatto quasi risuetta al) generale Pozzolini , figura di militare da anni membro di società geografiche e coloniali, deputato al Parlamento per il partito moderato 37, fu inviata sulle coste del Mar Rosso: ma, dopo qualche settimana di soggiorno a Massaua, venne richiamata in patria.
Costantemente promessa a Ras e Negus sin dai primi momenti dello sbarco a Massaua, per dare dignità e regolarità ai rapporti ua l'Italia e l'Abissinia, una missione ed un contatto diplomatico si erano di fatto resi necessari dopo l'occupazione di Saati per rassicurare il Negus sulle intenzioni italiane circa i confini del suo Impero. Ma come abbiamo visto, da più pani si era premuto perché essa perd esse la sua originale impostazione e fosse ridotta sostanzialmente ad una pura ambasceria da cerimoniale, senza che essa potesse discutere e risolvere la spinosa questione dei confini, la quale veniva così lasciata in balìa della forza delle armi (o del libero spirare dei venti diplomatici in Europa). In questo senso, il ritardare cont inuamente la data della partenza della m issio n e e il nominarne responsabile non più il Comandante Superiore di Massaua (come pure si era in primo tempo pensato) ma un generale che in precedenza non era stato affatto tenero colle forme prese dall'espansione coloniale italiana, davano di per sé l'idea di quantO poco a Roma si credesse ormai nell'utilità di trattative dirette it alo-abissine.
Un tale atteggiamento diplomatico si può ricavare dagli stessi documenti ufficiali. In un primo momento, il Ministero degli Esteri, in una circolare informativa agli ambasciatori italiani, aveva dichiarato che la missione Pozzolini aveva come scopo il raggiungimento d i «un accordo soddisfacente per tutte le pani• 38. Ma più tardi la
Consulta rivelava che il Governo italiano nello inviare il generale Pozzolini presso il Negus ha per unico scopo di dissipare le diffidenze che altri credette opporruno far nascere nell'animo suo [del Negus] per l'occupazione di Massaua e, ciò ottenendo, rassicurare noi pure intorno alle intenzioni del Negus a nostro riguardo e permetterei così di ridurre la forza di occupazione entro i limiti da noi desiderati per evidenti ragioni di bilancio ( ... ) Tutte le altre voci di protettorato e altro sono assolutamente false 39
Come se questo non bastasse, i rappresentanti italiani all'estero apprendevano che (se pure si fosse addivenuti, alla corte del Negus, a parlare di confini) Pozzolini «non era munito di pieni poteri per la stipulazione di un vero e proprio trattato».
Doveva quindi destare poca sorpresa che infine, 1'8 marzo, il Ministro degli Esteri scrivesse a Pozzolini ordinandogli di fare ritorno in Italia: e questo dopo che il generale era rimasto a Massaua oltre un mese e mezzo in attesa dell'autorizzazione della Consulta ad inoltrarsi verso l'interno etiopico.
La spiegaz ion e ufficiale fu trovata da Robilant nel fatto che il Negus non aveva risposto ad una missiva diplomatica italiana che gli annunziava l'arrivo dell'inviato del Regno sabaudo; e che, avendo abbandonato l'imperatore etiopico la normale residenza per i confini meridionali del suo regno, tutto era stato fatto in modo che «la sicure zza delle persone come il successo della missione [dipendessero] unicamente dal capriccio del sovrano africano» 40.
In realtà i motivi del richiamo di Pozzolini vanno cercaci in quella deliberata volontà (di non cercare impegnative trattative diplomatiche e di lasciare tutto nello status quo) che già nell'ottobre Robilant aveva teorizzato. Influirono indubbiamente, nel senso del richiamo di Pozzolini, anche cene interessate lettere che il conte Antonelli spedì da:l suo soggiorno nella eone dello Scioa alla Consulta e che affermavano il maturare di sentimenti ostili all'Italia da pane del Negus 41 .
3S Cit. in MANTEGAZZA, Da Massaua a Saati. Na rrazione della spedizione del 1888 in Abissinia, cit., p. XXXIII.
39 Ibidem.
40 Sono parole di Robilant citate in ZAGHJ, La missione Ferrari e Pozzolini in Abissinia, ci t., p. 877.
41 Cfr. BATTAGLIA, La prima guerra d'Africa, cit., pp. 222-224. Qualche anno più tardi vi fu chi vide, nel richiamo della missione Pozzolini, che stava «cominciando in embrione la politica scioana:.. MANTEGAZZA, La guena d'Africa Firenze, Le Monnier, 1891, p. 98. Lo stesso tecnico e distaccato Melli segnalava la gravità dell'occasione
Sia per questi mouv1, sia perché in Italia andava prevalendo un'atmosfera politica di smobi litazione (si era in quei giorni nell ' attesa delle elezioni politiche o di rimpasti governativi) 42 , la prima conc reta possibilità di sistemazione del contenzioso italo -a bissino era sfu mata.
Il richiamo della missione italiana inoltre non era certo una mossa delle più avvedute, se si conside ra il fatto che prima l'occupazione di Massaua e poi soprattutto il 'colpo di stato' del 2 dicembre continuavano a suscitare ancora, all'in izi o del 1886, risentimenti diversi tra i governi europei. Anche se non gravi.
L'Inghilterra, col suo nuovo Governo conservatore, era semp re meno disposta a fare concessioni all'Italia circa le quest ioni del Mar Rosso. Il Ministro degli esteri inglese non si peritò dali' affermare al Regio incaricato d'affari italiano a Londra che coll'occupazione di Massaua e poi con il 'co lpo ' del 2 dicembre «you have given me a good dea/ of troubfe» 43. Anche l'alleata Austria sembrò appoggiare una circolare diplomatica turca in merito alla fine del condominio italoegiziano e esternò un atteggiamento poco amichevole verso l 'alleato italiano (o che a Roma fu giu d ica to comunque assai meno amiche- perdura dall'Italia, con il richiamo di Pozzoli.ni, per remare di migliorare i rapporti italoabissini. Con il richiamo della missione, così, «ormai si vide lo stato di guerra latente rra l'Italia e l'Etiopia, e l 'ottimismo del Governo non arrivava a dissipare le preoccupazioni•. B. MELLI, La colonia Entrea dalle sue origini sino al l marzo 1900, Parma, Battei, 1900 (2• ediz.). Allo stato attuale delle conoscenze non si può dire con cenezza se già allora, col 1885-86, ci fosse una linea scioana diversa e alternativa ad una linea massauaina (se non già rigrina). Certo c'erano iniziaùve personali diverse e sco/legate, ressure da interessi e legami poco chiari. Di quesù interessi, il conte Anronelli era la figura più rivelatrice. I suoi legami con la Consulta e - più direttamente - con la Corona datavano ormai da diverso tempo. Tra le molte alrre testimonianze di quei legami , si veda tra le carte dello Stesso Mancini uno scambio epistolare tra Antonelli , Mancini e Rattazzi (Segreteria parùcolare del Re) per via di una elargizione segreta- una delle tan te - ad Amonelli di 100.000 lire per non meglio precisare spese personali affrontate allo Scioa dallo stesso Amonelli e dal suo socio io affari, conte Brazzà (me rcante d'armi). Cfr. MCR, Carte Mancini , se. 648, fase. 16, doc. 9, 18 settembre 1884, Rattazzi a Mancini. Per l'azione di Anronclli, cfr. anche P. ANTONELLI, Rapporti sullo Scioa al R. Ministro degli Affari Ester-i dal 22 maggio 1883 al 19 giugno 1888, Roma, s.d. (ma 1889), pubblicazione diplomatica riservata di 18 esemplari (una copia anche io ACS , Carte Cnspi, serie Reggio Emilia, se. 9. fase. 18). vole di quello della Germania di Bismarck) 44. Il tutto in coincidenza di una congiuntura diplomatica in cui sia la Turchia (dopo la temporanea risoluzione della crisi serbo-bulgara) sia il governo egiziano (insidiato da un ennesimo tentativo britannico di riordinare le fmanze) potevano sperare di essere benevolmente ascoltati dal concerto europeo delle potenze 45.
42 La comunicazione di Robilant a Pozzolioi era dell'8 marzo 1886. A Roma, nel Parlamento, dopo vari giorni di accese discussioni finanziarie, il 5 marzo il Governo era riuscito a scansare un voto di sfiducia a suerùssima misura. E la stampa già con il 16 marzo parlava di uno scioglimento probabile delle Camere. Si andava così irreversibilmente verso le elezioni del maggio.
43 AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 152, fase. 2, 31 dicembre 1885, Nigra a Mancini (copia).
Durante i11886 il pendolo della situazione internazionale vide anche un pur debole e indiretto tentativo inglese di risolvere diplomaticamente la questione dei confmi italo-abissini, ma che non fu preso in seria considerazione dalla Consulta 46. E vide, più importante e più pericoloso, un tentativo francese di riequilibrare a vantaggio di Parigi la bilancia mediterranea con un avvicinamento diplomatico di lstambul a Parigi (in vista di un ipotetico parallelo allontanamento della Turchia dall'Inghilterra) 47. Il tentativo francese non riuscì dal momento che il colosso ottornano considerava i suoi interessi tutto sommato ben custodici dalla potenza britannica. Ma il fatto deve far riflettere, sulla delicatezza della situazione internazionale e in essa della posizione dell'Italia (come deve far riflettere, sul velleitarismo e sulla pericolosità di cene aspirazioni - politiche e militari italiane di quel tempo - ad una 'po liti ca di potenza', il fatto che quel tentativo diplomatico francese avesse fatto perno sulla diffusione da parte di Parigi di notizie riguardanti presunti preparativi militari italiani per l'occupazione della Tripolitania) 48.
Il 1886, e particolarmente l'autunno-inverno che lo concluse, fu soprattutto il periodo in cui il Regno di Umberto I cominciava a pensare al problema del rinnovo o della rifomulazione del trattato della Triplice Alleanza.
I problemi continentali, europei, erano così in quei mesi assai maggiormente rilevanti di quanto non lo fosse qualche avanzamento o indietreggiamento di alcuni chilometri (o il possesso o meno di qualche villaggio di capanne) in terra africana. Qualsiasi ipotesi che fosse diretta a 'tirare i remi in barca' a Massaua era quindi ben vista alla Consulta. Ecco perché, con Robilant che non voleva missioni o trattati fra l'Italia e i sovrani africani e 'incivili' (e con Ricotti che
44 Cfr. ivi, 4 gennaio 1886, Robilam a De l.aunay (copia).
4 già dall'aprile-maggio 1885 aveva esplicitamente fatto capire a Saletta la sua volontà di un 'raccoglimento coloniale' e che aveva richiamato il colonnello al primo apparire di pericoli militari per via di Saati) Genè poteva esser sicuro che da pane di Roma sarebbe stato fatto tutto il possibile per lasciare tranquillo lui e il lontano presidio africano.
5 Cfr ifli, 24 gennaio 1886, De Manino a Robilant (copia).
46 Cfr. ivi, 5 giugno 1886, De Manino a Robilant (copia).
47 Cfr. ivi, fase. 3, 16 sertembre 1886 (copia).
48 Cfr. ivi, 29 settembre 1886, Malvano a Robilant (copia).
Che cosa invece si voleva fare da pane del Negus, Genè credeva di saperlo ma in realtà non lo sapeva.
Impreparazione mtlitare e questioni politiche
Il disimpegno politico e diplomatico italiano (adeguato alla politica proclamata nella primavera 1885, ribadito nel settembre e reso definitivo con Genè) passava anche, a livello militare, per la via della riduzione del contingente di Massaua. La diminuzione degli effettivi militari, che era stata in precedenza da più pani avversata, cominciava così ad essere possibile 1 .
Senza grandi clamori , quasi all'insaputa dell'opinione pubblica , nel giugno 1886 il Ministero della Guerra diminuì l'organico delle truppe di Massaua, come ritirandosi 'strategicamente' di fronte all' aprirsi della seconda gestione calda.
Finalmente Ricotti aveva raggiunto il suo scopo.
L'assottigliars i della presenza militare italiana a Massaua rivelava però chiarame nte come si sottovalutasse un qualsiasi pericolo abissino. D'altra parte Genè continuava ad inviare a Roma rassicuranti rapponi. Nell'atmosfera di rilassatezza che pareva aver così avvolto la colonia italiana furono persino iniziati anche esperimenti di coltivazione agricola, richiesti a Ricotti e a Genè dal Ministero dell'Agricoltura e diretti sul luogo da personale militare 2 Tra palme e cereali nessuno pareva più pensare in colonia alla possibilità di un serio conflitto armato.
Esemplare è a questo proposito la vicenda della costituzione di drappelli di irregolari 'indigeni' sotto la bandiera italiana. Utili per la loro resistenza fisica e per la conoscenza dei luoghi, le truppe indi- gene erano per questo apprezzate e reclutate da tutti gli eserciti coloniali europei del tempo.
1 Diminuiscono di circa un migliaio (cioè di quasi due quinci). Cfr. ANGHERÀ, L 'azio ne militare n ella nostra politica colo niale, ci t., p. 1140.
2 Cfr. AUSSME , Carteggio Entrea, racc. 139, fase. 10, 19 settembre 1886 , Grimaldi a Ricotti.
I primi irregolari eritrei arruolati dai militari italiani durante il periodo di Saletta avevano però fatto (ali' inizio) una non buona impressione, come quando nel maggio 1885 un gruppo di questi aveva defezionato - armi in pugno - dal presidio appena occupato di Amba. Il colonnello non era parso molto favorevole all'organizzazione di tali drappelli, ma aveva accettato comunque, per motivi politici, quegli 'indigeni' che avessero voluto passare dalla dipendenza egiziana a quella italiana. Con il 1886, dopo il 'colpo di stato' del 2 dicembre 1885, si trattava quindi di regolarizzare la posizione di questi abissini che avevano accettato il 'soldo' italiano, nonché di allargare le loro file.
Genè, evidentemente intento ad una struuurazione pacifica del presidio, non colse la potenziale utilità di questa formazione militare che invece tanta parte aveva avuto e doveva avere nelle guerre coloniali della Gran Bretagna e di tutti gli eserciti coloniali europei. Richiesto di un parere in merito dal Ministero della Guerra già col febbraio 1886, in aprile il Comandante di Massaua ancora non si era degnato di rispondere e fu solo dopo ripetuti e autori t ari soll eciti che a novembre (dopo otto mesi!) Genè espose in una succinta relazione le sue idee a Ricotti.
Il Ministero aveva proposta una nuova organizzazione degli ' irregolari', inquadrandoli rutti o in parte con le nostre truppe, in guisa da poterli impiegare sia in unità separate sia riuniti alle truppe regolari, il che potrebbe pure permet· tere una riduzione nelle forze attuali dei presidi d·Africa 3.
Genè rispose invece che sottoporli al comando di ufficiali italiani «sarebbe [stato] rovinarli, togliere loro quella mobilità che hanno in sommo grado» e che il Comandante di Massaua considerava «il pregio esclusivo deg li irregolari» 4 . Con ciò dimostrando di non cogliere l'utilità (anche 'diplomatica' , come aveva dimostrato l'episodio di Saati) delle forze indigene , che non stava solo ne l saper correre- sotto il sole africano - più veloci degli italiani.
P robabilmente, la realtà delle forze militari italiane non avrebbe dovuto consentire tali leggerezze da pane di Genè.
Il presidio militare italiano di Massaua non era rimasto inattivo dal giorno del suo arrivo sulle coste del Mar Rosso sino alla tragica giornata di Dogali. Esso infatti, come qualsiasi altro corpo coloniale europeo, aveva affrontato le difficoltà dell'occupazione militare di territori infidi e sconosciuti, le insidie della gestione dell'ordine pubblico nei confronti di popolazioni ribelli o comunque riottose ad accettare la nuova autorità italiana, i pericoli del 'brigantaggio' e della conflittUalità endemica in quelle regioni. Ma va osservato che su molte delle operazioni militari - anche circoscritte - di questo t ipo (e di cui abbiamo trovato documentazione) pesa l'ombra dell'impreparazione o della sorpresa.
Già il 18 gennaio 1886, vicino ad Arafali un gruppo di soldati si imbatté in una banda di 'predoni' che fuggiva da una razzia. Gli italiani (forse più per la sorpresa subìta che per deliberato comando e autonoma scelta di formazione bellica) li affrontarono in 'ordine sparso' e da pane italiana non ci furono perdite più per un caso fortunato che per merito militare. Il combattimento e le scariche di fucileria erano state comunque immediate e violente.
L'essere arrivati impreparati all'incontro e l'aver scompaginato le fi l a dovette avere la sua importanza se a proposito di questo episodio militare si scomodò persino il Capo dello SME. Avuto notizia dello scontro di Arafali, in un dispaccio a Ricotti, Cosenz volle invece insistere sul concetto per cui in Africa «è molto vantaggioso tenere la catena molto serrata e sempre rincalzata da presso da sostegni in ordine chiuso» 5.
Non molto meglio andarono le cose il 3 marzo quando l'operazione, condotta da una mezza compagnia italiana, consistette in un incontro imprevisto con un gruppo della banda di Debeb sulla strada che da Monkullo ponava a Saati, in un suo inseguimento e in tiro mirato da fermo. Dopo un'ora di fuoco italiano, la banda era scomparsa ali' orizzonte ma senza lasciare perdite visibili sul terreno 6. Analogamente si potrebbe dire di una più impegnativa operazione di rastrellamento avvenuta nel villaggio di Margable, dove il 4 giugno parve si fossero rifugiati alcuni negrieri con la loro carovana di schiavi. L' operazione esposele truppe italiane e i suoi comandanti ad un grande rischio, senza peraluo permettere che fosse raggiunto lo scopo prefisso. Fatte controllare le principali uscite del villaggio da plotoni di soldati (che però così si trovarono ad essere sparpagliati in un largo raggio d'azione), l'ufficiale italiano fece immobilizzare un abissino di passaggio e tentò di fargli rivelare l'ubicazione del supposto rifugio dei negrieri. L'ostaggio, dapprima remissivo, appena fu nelle immediate vicinanze di Margable iniziò ad urlare e a divincolarsi, richiamando l'attenzione degli altri abitanti del villaggio, che con urla minacciose e lance appuntite si avvicinarono agli italiani. Dal gruppo di soldati, forse impauriti, e nonostante che l'ufficiale avesse ordinato il pied-arm (almeno questa fu la versione presentata nel rapporto ufficiale a Genè), partirono colpi d'arma da fuoco ad altezza d'uomo che tra l'altro uccisero un indigeno e ferirono una donna del villaggio all'altezza del torace. Gli abitanti di Margable, sorpresi della improvvisa e sproporzionata reazione italiana, indietreggiarono e dettero modo agli italiani, peraltro assai intimoriti dalla vivace reazione degli abissini, di lentamente ritirarsi, senza però aver scovato i ricercati negrieri 7.
5 Cfr. ivi, racc. 53, fase. 13 , 18 gennaio 1886 , Urg , Robilant a Ricotti; e ivi, 2 febbraio 1886 , Cosenz a Ricott i.
6 Cfr. ivi , racc. 51 , 3 marzo 1886.
Il l o settembre, in prossimità di Zula, reparti di truppe italiane caddero infine in una imboscata. Per questo che fu ammesso essere stato «uno scontro di qualche entità», Genè scrisse lapidariamente nel suo rapporto a Ricotti che «da parte nostra ebbimo [sic] perdite gravi» s.
I rapporti segreti militari riferiscono di altre perdite, questa vo lta tra gli irregolari, con quattro morti e cinque feriti, in un inseguimento a Ma-atali. In questo caso il tentativo dei militari italiani di soccorrere una carovana caduta nel mirino dei 'predoni', nonostante fossero inflitte loro rilevanti perdite, si scontrò con «la difficoltà dei luoghi [che] non permise che un liberamemo parziale» 9.
Tutte queste operazioni militari, che potremmo dire di ordinaria amministrazione in qualsiasi caso di occupazione coloniale, non furono forse mai molto di più che «qualche scambio di fucilate» IO.
7 Cfr. ivi, racc . 53, fase . 12, 18 giugno 1886, Gené a Ricotti.
8 lvi, fase. 14, 3 settembre 1886, Gené a Ricotti.
9 lvi, fase. 8, 18 ottobre 1886, Gené a Ricotti.
10 ANGHERÀ, L'azione militare nella nostra politica coloniale, cit., p. 679. Tra i militari italiani, quasi subito , si notò che i primi tempi dell'espansione coloniale in Mar Rosso avrebbero lasciato poco spazio ad 'eroiche' azioni belliche. «Né per ora v'è luogo a sperare che la 'modesta e casalinga' politica coloniale , in cui trovasi da poco impegnato l'onore italiano, giunga a rinvigorire nell'esercito e nella nazione l'infiac· chito spirito militare( )». Il morale dell'esercito , cit. , p. 18. Oltre a!Ja real tà dell'impossibile estensione del presidio di Massaua , quelle note erano co!Jegate anche all'episodicità, alla laconicità ed alla confusione delle notizie ufficiali. Il timore delle indiscre-
Ma pure vanno ricordate: anche per capire come Dogali, pur rimanendo un incidente, fosse qualcosa di più di un caso, e per sottolineare che non grande esperienza fu da essi tratta in quel calmo 1886 di Genè. Il quale, minimizzando l'entità degli scontri, non pare sia mai ricorso ai suoi superiori (Ministro, Capo dello SME) per ricevere il necessario supplemento di istruzioni in fatto di tattica militare in territorio africano.
Ad un diverso e superiore livello, quella che era la qualità della presenza militare italiana a Massaua avrebbe potuto essere ridiscussa anche in un'altra occasione: nei giorni successivi al massacro della spedizione Porro, quando si rinnovarono in Italia gli incitamenti ad allargare la zona controllata militarmente dagli italiani ed a 'vendicare' l'onore nazionale offeso. Ma anche in quel caso si preferì lasciare tutto nello status quo.
La spedizione Porro, panita dall'Italia pochi giorni dopo quella d i Pozzolini, con obiettivi geografici e commerciali non trascurabili, era stata annientata a Gidessa tra il 5 e il 6 aprile probabilmente per errori e incomprensioni con le tribù di cui stava attraversando il territorio 11 Il fatto, di per sé episodico seppur funesto, avrebbe potuto essere per Genè un segnale che qualcosa nell'atteggiamento degli abissini verso gli italiani stava cambiando. Ma non fu così. La tragica fine di Porro, comunque, ebbe grande risonanza in Italia, dove parve dar ragione a chi accusava di inadeguatezza e di «tirchioneria>> 12 la politica militare del governo Depretis che non era riuscito a garantire la sicurezza della spedizione italiana. L'eccidio diede così nuovo spazio alle correnti che avevano sempre cercato in colonia l'onore nazionale e che in quel momento di stallo in politica interna (si attendeva lo scioglimento delle Camere e le elezioni politiche) tornarono ad agitarsi, contro la politica coloniale governativa considerata impari alla 'potenza' italiana e sui temi della vendetta e della 'lezione' agli africani 13 zioni e delle rivelazioni da pane dell'autorità militare non aiutava la comprensione, nell'opinione pubblica, dei veri termini della partita giocata a Massaua. Evidentemente confuso dalle contraddittorie notizie ufficiali a proposito dell'importanza- nel terriro.rio massauino - di Ras Alula (capo di predoni? o bendisposto verso gli italiani?), significativamente «L'esercito italiano• tiro lava il24 maggio 1885: Chi ne capisce nulla?
11 Cfr. DEL BOCA , Gli italiani in Africa orientale. Dall'unità alla marcia su Roma, cit., pp. 224 - 225.
12 Sono parole di CHIESI, NORSA , Otto mesi d'Africa, ci t., p. 26.
13 Cfr. CARAZZI, La Società Geografica Italiana e l'esplorazione coloniale in Africa, ci t., p. 91.
Dopo che la notizia del massacro fu giunta io Italia, il Capo dello SME scrisse al Ministero della Guerra, risollevando quei temi di una possibile espansione italiana nello Harrar che erano stati già avanzati nell ' estate precedente a seguito delle affermazioni del Maggiore inglese Hunter l 4. Non conosciamo il tenore della risposta di Ricotti. Ma si può credere che essa non fu sollecita, come inoltre si può ritenere che il Ministro della Guerra abbia in quell'occasione ri petuto i suoi consueti richiami alla cautela e ai margini dei bilanc i m ilitari. Coseoz infatti fu costretto a tempestare (letteralmente) di missive il Ministro l) prima che questo si decidesse (nel giugno 1886) ad inviare al Ministro degli Esteri taluni piani da tempo preparati dallo SME per una possibile spedizione militare italiana in Harrar 16.
Il ritardo non era casuale: già qualche giorno prima i due Ministri si erano messi d'acco rdo perché la questione dello Harrar «riman[ esse] impregiudicata», cioè sostanzialmente accantonata. Robilant si accontentava di sapere ed avere dalla Pilotta e dallo SME solo «dati» e non piani precisi. Ma anche prescindendo dalla deliberazione dei due Ministri, grazie a quel voluto ritardo di Ricotti, era passato nel fra tt empo più di un mese da quando Cosenz aveva risollevato il tema dello Harrar, si era ormai alle porte dell'estate e qualsiasi azione militare avrebbe dovuto forzatamente essere rimandata.
Io realtà, sia le ipotesi militari di Cosenz sia la manovra di Ricotti erano destinate a rimanere solo segnali indicativi di due diverse tendenze, e ad avere scarsa rilevanza concreta. Infatti, il Ministro della Guerra - che da lì a poche settimane avrebbe drasticamente ridotto l'organico del corpo di occupa zione di Massaua - era assolutamente contrario alle ipotesi di Cosenz e dello SME. I potesi che (attraverso l'invio di una forte spedizione che 'vendicasse' l'eccidio di Gidessa e prendesse io qualche modo l'Barrar) tendevano a voler riaprire verso Zeila e la sua regione quell'espansione coloniale italiana che sembrava arenarsi intorno a Massaua e a Saati.
Ricotti, per essere più sicuro che Robilant non rimanesse suggestionato dai 'piani' di Cosenz, ricorse anche a mezzi poco eleganti, quali la 'correzione' dei piani stessi con l'aumento dei preventivi di n Cfr. ivi, 9 maggio 1886 , Cosenz a Ricotti; ivi, 19 maggio 1886, Ris ., Cosenz a Ricotti ; ivi, 2 3 maggio 1886, Conf, Cosenz a Ricotti; ivi, 5 giu gno 1886, Cosenz a Ricotti. di Cosenz e la sottolinearura dei rischi militari su !l'intera operazwne.
14 Cfr. AUSSME, Carteggio Entrea, racc . 175, fase. 3, l maggio 1886 , Cosenza Ricotti.
16 Cfr. tvi, 7 giugno 1886, Ris. Pers., Ricotti a Robilant .
Nel frattempo, dopo l'evacuazione delle forze inglesi ed egiziane, lo Harrar stava per avere già un altro padrone n ella persona di quel Ras Menelik, alla cui corte Antonelli stava tramando i suoi 'piani scioani' 17.
Così, qualsiasi piano militare italiano verso lo Harrar aveva perduto concretezza.
Qualcosa di quel piano - la sua impostazione strategica data al problema militare di occupare territori africani - però merita di essere ricordato, perché in qualche modo ha a che fare con il seguito della politica coloniale italiana. Si può dire infatti che fu proprio sulla falsariga di questo piano, seppure allora impraticato ed impraticabile, che sarebbe stata in seguito condotta qualsiasi grande azione militare italiana nella zona del Mar Rosso.
Per estendere il dominio italiano da Massaua allo Harrar il Capo dello SME prevedeva con realismo come necessari «tre mesi di effettiva preparazione e se i mesi di operazioni verso l'interno:. lS e tre ipotesi (o fasi) a seconda: che si volesse occupare solo il capo lu ogo della provincia, che si volesse occupare il capoluogo e distaccare lungo la principale arteria di comunicazione forti presidi militari che esercitassero la loro influenza nell'interno (occupazione temporanea), o che si volesse occupare militarmente tutti i principali nodi della regione (occupa zioqe permanente). Se per la prima ipotesi si dicevano sufficienti 1000 uomini (ma in realtà ce ne erano voluti quasi 3000 per tenere Massaua sulla costa!), per le altre sarebbero state necessarie le forze di 6000 soldati, riorganizzando comp letamente il Corpo di Spedizione sul modello ingl ese 19.
17 Cfr. BATIAGUA , La prima gueTTa d'Africa, cit., p. 225.
18 AUSSME, Carteggio En lrea, racc. 175, fase. 3, 4 giugno 1886 , Ris. Pers., Cosenz a Ricotti.
19 Il piano dello SME si dilungava poi in particolari minuti di organica militare; più interessante ci pare invece riportare un brano di Cosenz scritto senza ripensamenti ma poi cancellato e non inviato a Ricotti. Mentre il piano per lo Harrar infatti presupponeva una larga fiducia sulle capacità operative delle trupp e italiane , il brano poi cancellato si soffermava sulla tattica militare coloniale e su talune carenze e insufficienze già evidenziate (secondo il punto di vista del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito) nelle prime esperienze militari operative cui era andato incontro nel 1886 il Corpo italiano di Spedizione di Massaua. A differenza della questione strategica sopra ricordata, le considerazioni dì Cosenz sulla ranica militare da adonarsi in Africa non ebbero nessuna diretta influenza (se non in negativo , anche perché vennero persino depennate dalla sua lettera al Ministro ) sul corso degli eventi. Eppure avrebbero potuto costituire un
In realtà, nonostante la buona volontà del pianificatore Cose nz , l 'Harrar non avrebbe mai potuto essere i taliano in quel rorno di mesi del 1886, a meno di non rompere le compatibilità finanziarie e politiche del trasformismo. Eppure, ciò può essere utile per riportare la nostra attenzione sul tema della mancanza di coord inamento (cioè di univoca politica) già nelle prime fasi del colonialismo italiano e imporrante spunto di riflessione Cosenz indicava infatti come necessari per qualsiasi forza armata civile operante negli insidiosi terreni africani la confidenza in se stessa, l'adozione di cene forme tattiche (quali l 'ordine chiuso e le formazioni serrate, che i progressi delle scienze militari avevano considerato superati nelle banaglie tra eserciti organizzati europei e armate indigene aveva richiamato in vigore) nonché una speciale cura nel comando del fuoco delle truppe (per evitare che queste potessero trovarsi in qualche momento del combattimento senza munizioni) al tempo stesso non può non riaprire il cap itolo deHe responsabilità.
Le raccomandazioni di Cosenz, un piccolo condensato del più disteso saggio sulla 'tattica degli italiani in Africa' che egli stesso avrebbe steso qualche tempo dopo, potrebbero apparire di poco como solo a chi non avesse sufficientemente presente che fu anche per questioni di tattica, di fuoco e di fiducia in se stessi che gli italiani andarano incontro a Dogali ed una disfatta militare tanto cocente quanto inevitabile.
Cosenz aveva quindi coscienza di alcune delle deficienze, da noi prima rilevate , deUe 'truppe coloniali' italiane di Massaua. Fano sta, però , che depennando dalla sua lettera a Ricotti il brano relativo, riteneva opporruno non insiste cvi proprio quando proponeva al Ministro della Guerra un ardito piano di espansione militare. Quasi che una politica coloniale più audace potesse fare a meno di un più adeguato suumemo militare . cUna cosa di somma imponanza- scriveva Cosenz- sarebbe inculcare nella mente dei componenti la spedizione, in modo che per essi divenga articolo di fede: la grande superio rità che deriva alle nostre truppe di fronte agli africani, armati di lance o di fucili a pietra o di armi a ripetizione di cui non sanno convenientemente servirsi, daUa superiorità del nostro armamento e dalla nostra superiorità nel maneggio delle armi da fuoco. Questa superiorità è tale che pochi uomini , purché essi non si lascino sgomentare dalla grande superiorità numerica dell'avversario, possono far fronte e riuscire vittoriosi contro migliaia di nemici. Soprattutto è importante insistere sulla necessità diprendere formazioni compalle nelle quali si possa far fronte simultaneamente da tutte le parri, e nel mantenimento di un fuoco continuo essendo le pause favorevoli ad un avversario la cui tattica consiste nel gettarsi sul nemico aU ' arma bianca. Ritengo infine che !'impiego di cartucce a mitraglia nel periodo acuto della lotta darebbe senz a fallo grandi risultati». Come vedremo , Dogali fu innanzitutto una sconfitta militare, seppure incidentale, e non sappiamo se -sul mero piano militare - la giornata avrebbe avuto un esito diverso se queste considerazio ni di Cosenz avessero potuto essere conosciute, diffuse ed applicate Rimane il fatto che deficienze militari (sollevata anche dai non smaglianti risultati delle operazioni mili tari da noi più sopra ricordate), esistevano realmente in seno al presidio di Massaua; come rimane il fano che poco o niente si fece per porvi rimedio.
Una tale considerazione, fondata su obiettiva documentazione, deve però essere collocata nel quadro più generale che le compete.
Soluzioni tecniche (come quelle stesse inuaviste da Cosenz) non sarebbero mai bastate, nella storia del colonialismo italiano , a riparare a pesanti errori politici generali. Formazioni compatte o cartucce a mitraglia non potevano rimediare all'inutile e provocatoria occupazione di Saati , né ripagare due anni di occupazione militare e di errori diplomatici (motivati , come nel caso della missione Pozzolini , e poi in quello dei ' quatuo predoni', da immotivate 's uperbie ' colonialiste).
Le specifiche responsabilità dei militari italiani erano quelle di chi, costretto per questioni di servizio e di disciplina a risiedere per lunghi mesi suHe coste del Mar Rosso, non era riuscito a farsi un ' idea dell'avversario , della sua forza e delle motivazioni che spiegavano i suoi componamenti, politici e militari.
In aggiunta a questo (e tratto caratteristico e ricorrente dei militari italiani che operarono in colonia nel peri odo da noi preso in esame , da Saletta a Genè) fu semp re quello deHa ingenua e pericolosa sottova lutazione dell'avversario africano 20: tratto questo riscontrabile in Saletta che occupa Saati senza sapere se potrà poi difendere convenientemente la stessa Massaua da un colpo di mano abissino, come in Genè che trascorre un anno e più in colonia praticament e tra esperimenti agricoli, genetliaci del Re e tomb ole per i soldati , con l ' aggravante militare - rispetto al colonneHo che lo aveva preceduto - di non obiettare alcunché quando gli vennero ridotte le truppe ma lasciati inalterati i gravi co mpiti politici e militari .
Altra, più pesante, responsabilità politica e militare hanno invece autorità co me Ricotti e Cosenz: il prim o - almenocoerente mente impegnato il più delle volte a ridurre il contingente ·e a tentare di ridimensionarlo quasi a semplice tutore deH ' ordine pubblico sul Mar Rosso (anche se questo sarebbe stato, con quei tukul a Saati , a ben vedere impossi bile) , il secondo spesso intento a disegnare piani per l ' espansione militare italiana che il più delle volte servivano (quando pure venivano utilizzati) per manovre politiche, durante il periodo di Mancini , o ad immaginare irrealizzabili miti coloniali (c ome quello per lo Harrar , negli anni di Robilant) che avrebbero abb isognat o di potenze e finanze e politiche ben più consistenti di quelle italiane degli anni di Depretis .
Altra e grave responsabilità era quella di uomini come Depretis che pure , intimamente non credendo un granché a ll 'espansionismo, permettevano che in colonia le cose andassero come andavano.
Tra tante e diverse responsabilità, si andava così dipanando il filo d ell a prima politica coloniale italiana.
Sulla via che conduce a Dogali
L'aspetto militare di tutta la vicenda colonial e italiana del1886 doveva tornare alla ribalta col mese di agosto, quando taluni segnali minacciosi vennero a turbare la quiete del torrido paesaggio africano intorno a Massaua . Piccoli avvenimenti frnùono per mettere in moto grossi eventi, a dimostrazione che molti e intricati erano i nodi già aggrovigliatisi nella politica coloniale italiana tra il 1885 e 1886 .
L'italiano Naretti era stato espulso dalla coree del Negus, dove frno ad allora aveva svolto in maniera ufficiosa la figura di rappresentante del Regno sabaudo. Se già questo doveva essere un significativo sintomo di un cambiamento dell'umore abissino nei co nfronti degli italiani, assai più grave fu la grande scorreria che Ras Alula aveva effettuato nel paese degli Habab a non grande distanza da Massaua e con completo disprezzo di tutto l'operato italiano in favore della sicurezza del commercio indigeno , delle carovane e per la repressione del 'b rigantaggio ' 1
Queste ed altre piccole cose dovettero impressionare un po' il placido Genè, che tra l'altro comandava da giugno un presidio a forze ridotte. Genè rispose all'affacciarsi della minaccia abissina solo con una serie di spostamenti nella dislocazione delle truppe, per arginare volta per volta i punti in cui egli supponeva più alto il pericolo di un colpo di mano 2 Dopo il combattimento d i Zula (di cui ab- biamo già parlato), il Comandante italiano asso ldò anche 150 irregolari.
1 Cfr. BATIAGUA, La pn'ma guerra d'Africa, cit., p. 226.
2 Cfr. AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 41, 22 gennaio 1887, Gené a Ricotti. Le vicende che precedettero e che condussero a Dogali sono in buona pane note. Per una loro sintetica narrazione ci riferiremo spesso a questo interessante documento, che è un lungo e dettagliato rapporto di Gené sulla sua attività a Massau a nelle settimane prima di Dogali . Intanto, è necessario ricordare l'elemento della costante sortovalutazione da pane italiana dell'avversario militare abissino . .:Conoscete il sistema militare in vigore in Abissinia? L'esercito è formato da una massa di briganti, i peggiori soggetti di quei paesi vi sono ascritti, il numero compensa la qualità... E. DU ILI O. L'Italia e le colonie, Torino, Stamp. Gazzetta del Popolo, 1887, p. 29. Simili sciocchezze (che, si badi bene, avevano corso anche dopo Dogali ) traducevano bene un'idea diffusa: anche se poi i singoli militari- tra cui Cosenz, come si è visto - potevano personalmente dire di avere un'idea un po' (ma non molto) più vicina alla realtà. Per la giornata di Dogali, cfr. qualche accen no anche in E. BEllA VlTA, Adua. I precedenti, la battaglia, le con · seguenze, 1881-1931, Genova, cRivista di Rom» Editrice, 1931; A. BOLLATI, Enci· clopedia dei nostrùombattim enti colonialifino al 2 ottobre 1935, Torino, Einaudi, 1936; G. DEL BONO , Da Assab a Adua, Roma , UEI, 1935. Icastico il giudizio di un critico come F.S. Merlino: cL'avvenrura militare di D ogali ha fatto onore al nostro esercito; i nostri soldati, infarti, si sono fatti uccid ere fmo all'ulrimo uomo: lo credo bene (non si veda qui alcuna irriverenza per la memoria di quei giovani manici), erano accerchiaci•. MERLINO, L'Italziz qual'è, cit., p. 42.
Infine il 23 novembre fece occupare l'importante posizione di Uà-à.
Pur impressionato , Genè non doveva ancora essere terrorizzato (come pare che divenne invece più tardi) e, confidando nella sua capacità di cont rollo della situazione, permise ad una spedizione guidata dal conte Salimbeni, e di cui facevano parte il tenente Savoiroux e il maggiore Piano (gli ultimi due vollero però celare agli abissini la loro carica militare) di dirigersi verso la corte di Ras Alula 3. Questi in realtà , venuto a conoscenza del grado militare dei due esploratori, forse insospettito e temendo una loro attività di spionaggio, fermò la spedizione e trattenne come ostaggi i suoi componenti .
La mossa di Ras Alula contribul fortemente ali' agitazione di Genè che adesso si considerava anche responsabile di aver m esso ne lle mani di un 'indigeno' alcuni importanti italiani, peraltro assai vicini agli ambienti della Corte di Re Umberto. Da qui , e dalle rinnovate voci di ostilità abissina verso gli ital iani , vennero approntate da parte di Genè tutta una se rie di misure militari che culminarono nel rinforzare tra il 6 e 1'8 gennaio 1887 il fortino di Arkiko (anche se con truppe di leva appena giunte dall'Italia) e quello di Uà-à. Così facendo, la situazione gli parve forse essere ritornata sotto il controllo .italiano e l' 11 gennaio i rinforzi furono alleggerici.
Ma già il giorno prima Ras Alula aveva indirizzato a Genè una lettera altera e decisa in cui chiedeva l o sgombero di Uà-à e di Zula. Questo era purtroppo il punto di non ritorno che Genè aveva sino allora scongiurato: un altro ultimatum abissino ad un presidio militare ital iano. Si ripeteva la situazione di Saati, ma questa volta aggravata dalle nuove turbolenze de lla zona e dalla questione Savoiroux. Non rispondere al Ras avrebbe potuto significare il massacro dell a spedizione in mano abissina; rispondere in senso difensivo avrebbe voluto dire contraddire le indicazioni della Consulta che voleva ad ogni costo difeso l'onore nazionale e militare (e particolarmente in quei mesi io cui si stava trattando il rinnovo della Triplice Alleanza); rispondere con una decisa puntata militare contro le forzeperaltro soverchianci - del Ras avrebbe rischiato di esporre il presidio e il suo Comandante ad ambedue i rischi or a ricordati. Eppure qualcosa andava fatca.
La situazione era obiettivamente difficile: Genè scelse la via della forte difesa della cerchia militare intorno a Massaua. Rinforzò di nuovo, il14 gennaio, Arkiko e Uà-à, incrementò potentemente il presidio di Saati anche con truppe italiane e con artiglieria; poi il 18 fu la volta di Monkullo e di nuovo di Arkiko. Gli spostamenti verso la linea dei forti avanzati erano stati così ingenti che rimanevano a Massaua solo cinque compagnie tra bersaglieri, genio e artiglieria. Nel frattempo, la sera del 14 e poi il 21 arrivarono altri ultimatum di Ras Alula a Genè: tutti avevano il minaccioso tenore del primo , mentre Savoiroux, Piano e Salimbeni rimanevano incatenati a Ghinda dove il Ras si era portato con truppa e fare minacciosi.
Il generale Genè, pare, non sapeva come uscire da un simile incastro.
La concitazione del comandante italiano, e al tempo stesso forse la volontà di non far apparire nella sua completezza quello che era davvero un cui de sac, doveva davvero essere grande se cene evidenti contraddizioni apparivano persino nelle sue comunicazioni coi vari Ministeri. !115 gennaio chiedeva alla Consulta «di tener pronto» un rinforzo militare (fo rse di quattro battaglioni) ma poi telegrafava che era invece «necessaire que soit prèt envoi». Il 22, dopo aver ricevuto gli altri ultimatum, richiedeva di «envoyer promptement» quanto prima richiesto, e di aggiungervi quattromila fucili Remington per armare gli irregolari indigeni 4 . Così spiega Roberto Battaglia:
Le prime spese di tale contegno le pagarono i tre malcapitati nostri emissari che furono incatenati e costretti a ribadire i termini dell'ultimatum al generale Genè: cPrima di mozzarvi il capo - disse loro Ras Alula - voglio ancora farvi una grazia. Scrivi al generale Genè che se fra tre giorni egli non si ritira da Saati io taglio la testa a tutti e vado a fare guerra contro di lui. Se io muoio non me ne impona:o. Conosciuta la minaccia , così la commentava da Roma il De Robilam, rivolgendosi al comandante superiore in Africa: «Spero che Ras Alula non commetterà tale follia, ma, ove occorrà , gli faccia sapere che se egli osa toccare un capello ai nostri tre viaggiatori, la pagherà cara. Aspetto notizie. Faccia assegnamento che, se necessario, le saranno mandati tutti i rinforzi di cui Ella potrà aver bisogno per infliggere una severa lezione:. 5.
Il Ministro degli Esteri continuava però a parlare al futuro, ma Genè in quei giorni del gennaio 1887 era incalzato a Massaua da un pericoloso presente, che presto avrebbe avuto un nome: Dogali. Come si svolsero i fatti d'arme di Saati e di Dogali è cosa nelle linee generali complessivamente nota. Rinforzata Saati, lo si munì di cdue rudimentali fortini» 6; il 25 gennaio, avvistata «una considerevole orda di abissini» sul retro del villaggio, la si spinse a battersi di fronte al forte italiano, munito di una buona anche se limitata artiglieria. Nonostante cinque morti, da pane italiana il successo fu notevole: cinque-seimila etiopici erano stati respinti con forti perdite da pane dell'attaccante. Purtroppo la situazione all'interno del fone si era gravemente deteriorata, con i viveri e le munizioni per i fucili esauriti, e fortemente ridotte quelle per le artiglierie.
4 Cfr. AUSSME, Carteggio Entrea , racc. 41 , 15 gennaio 1887, Gené a Robilam ; ivi , 15 gennaio 1887, Gené a Robilant (telegramma); ivi, 22 gennaio 188 7, Gené aRobilam.
BATIAGUA, La pn'ma guerra d 'Africa , cit. , pp 226-227.
Chiesto un rinforzo a Massaua per Saati, Genè decise di inviare una colonna di circa cinquecento soldati e di una ventina di ufficiali; la colonna comandata da De Cristoforis, che doveva partire nella notte e giungere sicura a Saati all'alba, partì invece solo al sorgere del sole. A poco più di un'ora da Saati, gli abissini, che si erano spostati dalle vicinanze del forte verso la strada carovaniera nell'attesa di cogliere al varco un'eventuale missione di soccorso italiana, avvistarono l'avanguardia della colonna italiana. Questa fece fronte al nemico e si appostò in formazione su una altura, dopo aver accostato il convoglio con le munizioni e i viveri ad un'altra.
Ma vista l' aggirabilità di quella posizione e il deludente funzionamento delle due mitragliatrici, De Cristoforis decise di spostarsi su un'altra altura retrostante. Da lì i soldati schierati in posizione di difesa aprirono il fuoco contro il nemico. Questo, invece, lentamente, accerchiava la posizione e dopo quasi due ore di estenuante manovra si gettava sui militari italiani ormai sprovvisti di munizioni e li finiva con un corpo a corpo furioso cui seguiva l'accurata e consueta spoliazione. Nonostante avesse infeno qualche perdita agli abissini, la colonna italiana era stata completamente annientata 7.
6 lvi, p. 230.
7 Non è nostra intenzione aggiungere alua carta stampata alla già sterminata letteratura sull'episodio tragico di Dogali. Gli eventi militari della giornata sono ormai abbondantemente noti e, per parte nostra, crediamo di aver già chiarito come non sì trattò (dal punto di vista politico. diplomatico, militare) di un incidente casuale. Vorremmo sottolineare qui, semmai, ad un altro livello di analisi, il dramma fatale di quei soldati di leva, di quei giovani morti nel canalone di Dogali A questo proposito torna opponuno il resoconto (sino ad oggi inedito) di uno dei pochissimi - souo la decina -scampati all'eccidio. Le parole del soldato semplice Vito Sciannarneo , se non aggiungono nuovi lumi alla ricostruzione dell'episodio , e pur confermando le varie responsabilità dei vari comandanti militari italiani, restituiscono l'atmosfera terribile di una colonna militare sopraffatta, accerchiata e annientata. cSiamo partiti quella manina poco
Come ci siamo affrettaci sul fatto d'arme, così, nell'economia della nostra narrazione, accenniamo qui solo brevemente alle questioni della 'leggenda di D ogali'; cioè alla versione patriottarda ed edulcorata che d i quel fatto d'a rm i venne data in I talia, e alla fun- prima dell'albeggiare- dice Sciannameo , classe 1865 - con fiacco le e lumi: appartenevo al plotone di esuema avanguardia( ). Si marciava quasi colla certezza di non incontrare il nemico. Nelle prime due ore di marcia nessun incidente di importanza ( )Si prosegue per un ' altra ora, quand ' ecco tornare indietro al galoppo il Ten. Comi che precedeva cogli irregolari : veniva ad avertire che il nemico si trovava sulle alture di fronte molto numeroso. Arrestatasi la colonna( ) si ordinò di cominciare il fuoco al comando a 1600 m ( ) Sentii per qualche istante i co lpi della mitragliatrice. Gli Abissini erano visibilissimi sul monte a noi di fronte: si affacciavano al suono di una campana sulla cima in grandi masse , sboccando dal versante opposto chi a piedi e chi a cavallo( ... ) in breve, scesi tutti giù dal monte in fondo alla valle, che ci separava da loro, non furono più visti coperti com'erano dai folti spini e da ondulazioni del terreno ( ... )Noi stando in quella prima posizione per due buone ore facevamo fuochi a salve dirigendo la mira su quel fumo che si levava dal terreno: ho consumato allora tutte le munizioni , tranne un pacco a pallottola e i due a mitraglia. I pochi tiri degli abissini erano molto alti , non ci facevano danno( ... ) Non c' eravamo ancora cerro accorri che il nemico ci girava di fianco e alle spalle, quando venne l' ordine di portarsi indietro a sinistra su d'una altura un po' meno elevata( ... ) Quando si cambiava la posizione, abbiamo visto i basci-bazouk [italiani) fuggire verso Monkullo seguiti dalla nostra carovana carica di viveri e di munizioni che fino ad allora si era tenuta indietro di )00 m. coperta da cene ondulazioni del terreno. Noi per punirli del loro vergognoso abbandono , volevamo far fuoco su di loro( ... ) Giunti sulla seconda altura, come per incanto, ci accorgemmo di essere circondati da tutte le parti. Il nemico non poteva essere a più di 500 m( ... ) e subito aprì un buon fuoco , ci vennero distribuite altre munizioni , a me ne toccarono tre pacchi: appartenevano queste parte ai feriti e ai morti, che cominciavano ad essere numerosi, pane alle casse portate sopra co l mulo. Ben tosto il nostro fuoco, eseguito a volontà, si fece intenso e acccleraro. Il ten. colonnello ordinava talvolta colla tromba di cessare il fuoco, ma molti continuavano a sparare perché si vedevano il nemico molto vicino lo meno di mezz'ora abbiamo consumato tUtte le munizioni: il nemico poteva essere allo ra a circa 200 m dalla pane dove io mi trovavo . Noi so ldati domandavamo al ten. colonnello( ... ) 'per amo r di Dio , dateci cartucce !' e il ten. colonnello: 'figliuoli, combattete coi sassi!' ( )Il nemico irrompeva ormai da tuue le parti: poteva essere a 50 metri quando il reo. colonnello ordinò alla baionetta. Solo una trentina noi ha potuto alzarsi per eseguire l'ordine, gli altri erano già tutti morti o feriti ( )E stata breve la lo t ta perché i nemici erano diversamen te numerosi». Il preciso ed impressionante resoconto di Vito Sciannameo, contenuto in un rapporto inviato a Genè dal Comandante del 2 • Btg. Fanteria Mrica, continua poi con la storia dell ' avventuroso ritorno verso Massaua. Caduto nell ' ultimo assalto , fintosi morto e sfuggito alla spoliazione delle vittime da pane abissina , il veotiduenne soldato italiano si incamminò verso Monkuilo , dove fu poi ritrovato e condotto a Massaua. Nella memo ria del soldato semplice- che non poteva conoscere il complicato intrico di responsabilità politiche, diplomatiche e militari che lo avevano condotto sul Mar Rosso - erano rimasti gli episodi salienti di quella giornata: la partenza ritardata (all'alba, invece che a notte fonda), la presunzione da parte dei comandanti militari di non trovare ostaco li , la sottovalutazione del nemico, alcune errate e confuse disposizioni tattiche, l'incepparsi delle mitragliatrici, la paura che attanagliò la colonna e i fuochi a volontà che consumarono in breve tutte le munizioni. La conferma , insomma, di una irresponsabile sottovalutazione degli abissini. Cfr. AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 39. zione indubbiamente compattatrice che la risonanza dell'episodio ebbe nel paese. Dogali, tra l'altro, favorì un ulteriore avvicinamento tra Stato e Chiesa 8 e la creazione di un mito nazionale che ebbe larga presa tra le popolazioni dell'Italia rurale minata dalla crisi agraria.
È stato detto che ciò che era stata per l'Italia una sconfitta militare fu mutata sul lungo periodo in una rivincita ideologica: e la definizione rende bene l'idea che si vuole esprimere 9.
A chi, piuttosto che seguire nel dettaglio gli eventi, interessasse cogliere sinteticamente quale fu il comportamento dei diversi protagonisti della spedizione coloniale, quali furono le loro reazioni ali' episodio di Dogali non potrebbe sfuggire che la condotta della Consulta, della Pilotta e del Comandante Superiore di Massaua non furono univoche: particolari e specifiche preoccupazioni, favorite anche dalla mancanza di una ricomposizione politica unitaria causata dalla crisi di governo lO, spinsero ciascuno dei protagonisti a muoversi e a sollecitare gli altri per suo conto.
Genè, in primo luogo, sentiva bruciare la sconfitta su di sé e sulla sua carriera, e temeva fortemente che la durezza che gli abissini avevano dimostrato verso i malcapitati di Dogali si potesse ripetere nei confronti degli augusti ostaggi di Ras Alula. Quindi oscillava, nelle sue missive a Roma, tra impegnativi propositi di rivincita e tanto inutili quanto immotivate minimizzazioni.
Di Robilant, in qualità di Ministro degli Esteri era costretto a prendere atto che il governo - per lo stato di crisi e forse per una sotterranea speranza che il trascorrere del tempo potesse alleggerire la situazione in loco - intendeva differire quanto più possibile qualsiasi soluzione radicale della questione, in un senso o nell'altro.
Ricotti, Ministro della Guerra, si vedeva da più parti accusato d eli' intera responsabilità e soprattutto esperiva il fallimento di una politica coloniale come la sua. Una politica durata quasi due anni, indirizzata da una parte al disimpegno e al contenimento del peso politico e militare dalla spedizione coloniale italiana ma contradditoria ed incapace (e forse anche non desiderosa) di opporsi a quelle altre, più organiche, tendenze che avevano imposto prima l'avanzamento della linea di difesa di Massaua con la presa dei fortini, poi l'occupazione di Saati, infine la vanificazione delle - già scarse - possibilità di risolvere diplomaticamente il contrasto italo-abissino. In generale, di fronte ali' opinione pubblica ed ai politici, Ricotti non era tanto il militare che si era opposto ai piani verso Keren o verso l'Harrar quanto colui che -limitando le spese coloniali e riducendo l'entità del Corpo di Spedizione- aveva autorizzato Saletta prima e Genè poi a rimanere a Saati. E Dogali era molto vicino a Saati, geograficamente e pol i ticamente. Nonostante tutto questo, Ricotti, da esperto generale capiva che qualcosa andava fatto per sottrarre il presidio dall'immobilismo e dalla paura. Così finì per chiamare di nuovo a dirigerlo quel Saletta da cui pure nel 1885 tante cose avevano finito per dividerlo.
8 Cfr. RAGIONIERl, La stona politica e sociale, cit. , p. 175 7 . 9 Cfr. BATTAGLIA , La pn·ma gue"a d 'Africa, ci r., p. 262.
IO Cfr. Stona del parlamento italiano, vol. IX , Tra Cnspi e GiolitJi, cit.
Intorno a tutti questi personaggi l 'opinione pubblica nazionale discuteva appassionatamente i temi della rivincita coloniale sugli 'indigeni'.
Con la giornata e l'eccidio di Dogali, si chi udeva così di fatto la 'spedizione di Massaua' .
Una fase nuova e più impegnativa doveva aprirsi per la politica coloniale italiana: una politica che doveva perdere assai velocemente l'illusione di poter continuare 'senza sforzo e senza spesa'.
Questo aspetto è stato più volte sottolineato dalla storiografia 11 Ma qui conviene, a noi, seguire ancora un poco il comportamento dei principali protagonisti dell'impresa italiana di Massaua, anche dopo Dogali. Per qualche giorno, per qualche settimana, quando praticamente sino ai primi di aprile sullo scenario della politica interna come in quello della politica coloniale si videro i primi importanti segru politici della nuova fase (soluzione della crisi governativa e formazione del Gabinetto Depretis-Crispi-Bertolè Viale, sostituzione di Genè con Tancredi Saletta, pianificazione e avvio della preparazione di quella che sarà poi la spedizione Di San Marzano), i principali protagonisti della politica coloniale italiana rimangono gli stessi e continuano di fatto a ragionare ed a agire come nella fase che si era invece appena chiusa.
E come si vedrà, intorno alla questione dello sgombero di Saati come a quella della liberazione degli ostaggi in mano a Ras Alula, ancora tra la fine di gennaio e l'aprile saranno le preoccupazioni di politica interna e le mosse avventate dei rappresentanti co lon iali italiani in loco a forzare l'indirizzo e la sorte del primo possedimento coloniale italiano.
Due giorni dopo il massacro di Dogali, Genè scrisse a Di Robilant illustrando quale era a quella data la situazione militare in colonia. Ritirate le truppe da Uà-à, da Arafali e da Saati, i1 presidio italiano aveva difensivamente stabilito i suoi avanposti in Monkullo, Orumlo e Arkiko (oltre evidentemente a Massaua) 12 Dopo due anni, così, si era quasi tornati alla situazione del febbraio 1885, in cui Saletta aveva messo piede in Africa. Denominato il momento come cun ben definito stato di guerra contro l'Abissinia-. (che era proprio quanto a Roma non si sarebbe voluto sentire e com unque quello che si era accuratamente tentato di evitare, esuberanze militari di Saletta permettendo , in due anni di espansione coloniale) il Comandante Superiore chiedeva l'invio immediato di alcuni rinforzi, suggeriva l' allestimento di un forre Corpo di Spedizione di 8-10.000 uomini e proponeva un largo quanto fantastico piano: rinsaldare l ' alleanza con le tribù vicine (c he poteva essere stata scossa dali' onta che aveva subìto l'onore militare italiano), riuscire in un'alleanza con i dervisci (cioè con le popolazioni musulmane e mahdi st e avverse ai copti abissini), sollevare le popo l azioni viciniori contro Ras Alula e scalzarlo dal potere , addirittura occupare il paese dei Bogos per avere lib e ra la strada verso Cassala e Kharrum. Il tutto prima della stagione delle piogge, cioè entro maggio.
Se tutto questo era di fatto irrealiscico (e chi mai, in fondo, avrebbe affidato alla direzione di un tale piano a Genè?) più veritiera risultava la desc rizione della situazione:
Ci sono, - ammetteva Genè -, per cons egu enza [di Dogali], ch iuse tutte le vie dell 'interno e non potremmo ricevere approvvigionamenti che per via di mare. E questo stato non può essere temporaneo; sino a tanto che non potremo fissare in modo sicu ro più lontani i confini, sarà impossibile essere tranquilli da pane degli Abissini, ed avere qualsiasi co municazione con l'interno in modo sicuro. In una parola noi siamo pressoché bloccaci a Massaua e ridotti ad una difesa continua ed attenta.
La maggio r baldanza abissina e la minor fede delle altre popolazioni, nostre naturali allea te [sic]. hann o per conseguenza sicura di rendere difficilissimo, seppur non vuoi dirsi impossibile, qualsiasi commercio con l'interno , unica ragione per cui Massaua possa avere qualche valore.
Così essepdo le cose, io ritengo si presenti una sola via da batte re , quella di prend e re una pronta e definitiva ri vincita 13.
Ricotti, per pane sua, inviò quei rinforzi che Genè aveva domandato (anche se non ci risulta che ne avesse mandati molti di più di quanti gliene furono richiesti) e il 17 febbraio fece dichiarare le truppe in Mrica sul piede di guerra 14. Questo non significava ancora né implicava la dichiarazione di stato di guerra del presidio né di guerra all'Abissinia, cui evidentemente qon si voleva politicamente arrivare. Ma era il segno della gravità della situazione.
Di Robilant, che pure aveva parlato a Genè di destituzione di valore del trattato di Hewett non accettava l'ipotesi del grande corpo di spedizione e anzi il18 febbraio- riferendo di talune posizioni del governo - diceva che «miglior consiglio ci parve differire ogni risoluzione definitiva-. 16.
Intanto la questione dei confini andava intrecciandosi con quella dell'onore nazionale ferito: e a Roma troppo spesso ci si interrogò sul significato che una rioccupazione di Saati avrebbe rivestito non tan to in sé (quale obiettivo di politica colo niale ) quanto in rapporto alla vicenda dei tre prigionieri (pe r la cui sorte pare si fosse preoccupato lo stesso Umberto l): e cioè- in ultima analisi- per questioni e obblighi di politica interna. Circa lo sgo mbero di Saati, ma nel se nso che si è detto, Robilant, ai primi di marzo, volle ulteriori informazioni da Genè chie dendo una «rispos ta immediata» 17. Ricotti fece altrettanto ma in modo forse da voler condizionare la risposta da Massaua lS. Fatto sta che Genè doveva temere moltissimo per la sorte dei tre ostaggi in mano abissina e rispose ch e la rioccupazione di Saati sarebbe disastrosa per i nomi prigionieri. È indispensa· bile aspettare risultato delle trattative avviate anche per vedere se le intenzioni dell'Abissinia sono realmente rivolte più ad un accomodamento che alla guerra 19.
La foga guerriera sembrava quindi scomparsa in Genè che anzi, per agevolare il rilas cio degli ostaggi, compì forse una delle sue mos- n Cfr. AUSSME, Carteggio Eritrea , racc. 41, febbraio 1887, Robilant a Gené ( telegramma). l6 Ci t. in MANTEGAZZA, Da Massaua a Saati. Nai"Tazione della spedizione del 1888 in Abissinia, cit., p. XU. l 9 Ci t. in MANTEGAZZA, Da Mauaua a Saatì. Nai"Taztone della spedizione del 1888 in Abissinia, ci t., p. XUX. se più avventate (e certo una delle meno apprezzate dai suoi superiori alla Pilotta e alla Consulta): fece restimire a Ras Alula 1000 fucili a lui destÌrlati ma sino ad allora sequestrati a Massaua dalle autorità italiane.
14 La questione di Ma.ssaua o la miuione dell'Italia in Africa, Voghera, Ti p. Gatti, 1887' p. 36.
17 Cit. in ivi, p. XUV.
18 Cfr. AUSSME, Carteggio Eritrea , racc. 41 , 8 marzo 1887 , Ricotti a Gené.
La cosa, prima ancora che indicativa della preoccupazione di Genè verso le persone di Salimbeni e compagni, doveva di fatto suonare sinistramente bizzarra a Roma e Ìr1 Italia. A Massaua si regalavano armi ai massacratori di Dogali e di De Criswforis.
Robilant, appena informato, in un biglietto personale inviatO a caldo al «Caro Ricotti» sentenziava:
Non posso dirti quanto ne sia impressionato. La cosa è ai miei occhi di una enormità; e non ti nascondo che se non otteniamo fra otto giorni l'annuncio che i prigionieri sono liberi troverei assolutamente indispensabile l'immediato richiamo dj Genè che ben si vede si è lasciato impressionare dalle suppl icazi oni di Piano e compagni 20
E pensare che solo il giorno prima il Ministro degli Esteri aveva scrittO a Massaua chiarendo così la sua posizione:
Credo io pure che rioccupazione Saati potrebbe costare la vita ai nostri compatrioti prigionieri; ma d'altra parte il sangue versato a Dogali chiede riparazione. L'onore d'Italia lo esige. Non può dunque in ogni caso che trattarsi di momento più o meno prossimo da scegliere per rioccupare Saati e dar battaglia a Alula se ci volesse sloggiare. Il governo del Re riserva ancora una decisione a questo riguardo. Ma quanto ad un accordo pacifico, noi non possiamo pensarci che dopo aver preso una rivincita. Nasconda il suo gioco, se è possibile, affinché i prigionieri siano liberati, ma non si impegni in seri negoziati di pace la nostra intenzione, beo stabilita è quella che qui le faccio conoscere 1
La divergenza di opillioni tra il responsabile della politica estera nazionale e Genè non poteva quindi essere maggiore.
Certamente, e forse anche contro la volontà dei Ministri allora in carica, che avrebbero preferito l asciare indefinita la situazione ai loro successori (il nuovo governo fu ricostruito il 4 aprile e né Ricotti né Robilant ne fecero pane), la questione dei fucili aveva fatto precipitare le fortune personali di Genè. La cosa era inoltre aggravata dal passare dei giorni, dimostrando l'inutilità assoluta della mossa del Comandante Superiore ai fini della liberazione degli ostaggi vistO che Ras Alula, doppiamente vittorioso, continuava a tenerli ben incate20 AUSSME, Carteggio En"trea, nati. 1118 marzo Genè, infine, fu ufficialmente destituito dall'incarico. A sostituirlo fu chiamato il Generale Saletta (che prese possesso della sua carica il23 aprile), cui era anche stata chiesta nei giorni precedenti la stesura di un promemoria da cui fossero chiari i punti essenziali del suo pensiero sulla situazione dd presidio africano. Intanto, Robilant aveva stilato un acerbo rimprovero dell'operato di Genè («Ella ha agito senza autorizzazione, senza istruzioni ( ... ) bisogna che Ella si fermi immediatamente sul pendìo in cui Ella si è messa») e gli aveva intimato in qualche modo di disinteressarsi della sorte dei tre ostaggi.
D'ora in avanù Ella lascerà senza risposta veruna ogni comunicazione di Ras Alula intorno a Savoiroux. Si limiti a non provocarlo finché non abbia istruzioni di farlo , ma, se si presenta l'occasione; gli faccia comprendere che pouà fare tutto quello che vorrà del suo prigioniero 22 ·
Per un militare, come Genè, non poteva esserci sconfessione più aperta.
Infine, Robilant aveva insistito sull'ordine già comunicato a Genè di stabilire il blocco della costa a nord e a sud di Massaua, ordine che invece il Comandante Superiore si rifiutò addirittura di eseguire 2 3. La misura forse non era assai utile in sé, ma perlomeno avrebbe dato internazionalmente un'impressione di forza alla risposta italiana.
Il 2 aprile 1887 Ricotti scriveva il suo ultimo messaggio a Genè impartendogli le sue istruzioni militari. Modellate sul promemoria di Saletta, che era consistito in un'enunciazione di principio sulla tattica da osservarsi nella prossima estate e in dettagliato elenco di richieste di rinforzo (in uomini, in opere di difesa fissa, in numero di quadrupedi, in munizionamento individuale, in quadro organico degli ufficiali superiori, in dotazione di somme di denaro per comprare l'amicizia delle tribù vicine , in numero di interpreti, in sistemi di avvistamento , in mezzi per un più razionale e agibile attendamento e baraccamento delle truppe, in lavori di opere pubbliche a Massaua e in mezzi di trasporto marittimo) 24 , le istruzioni di Ricotti in realtà indicavano chiaramen te qual era il concetto direttivo degli
22 AUSSME ambienti militari in quei giorni: rivincita militare sì, ma con moderazione, e comunque non subito. La rivincita andava accuratamente preparata: non si poteva correre il rischio di un altro 'insuccesso contro i Negri'. Guerra all'Etiopia andava dichiarata, la 'potenza' italiana lo esigeva: ma se ne sarebbe parlato solo in autunno e solo dopo un'attenta preparazione che eliminasse- questa volta- qualsiasi rischio di insuccesso. l) Durante l'estate, cioè ftno a tutto settembre 1887, le truppe del presidio di Massaua saranno specialmente impiegate per la difèsa della città e delle due penisole di Gherar e Abdelkader, dei forti di Otumlo, MonkuUo e Arkiko e dei territori fra detd forti e la città;
' 23 Era ancora da decretare, quando, un mese dopo, arrivò a Massaua Saletta per sostituire il Gené.
24 Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 46.
2) Nello stesso periodo di tempo, nella estate dell887, il Comandante Superiore potrà impiegare le truppe nel modo che egli giudicherà oppottuno, per escursioni ed occupazioni temporanee di posizioni all'infuori della stessa linea dei fotti e lungo la costa.
3) Il Comandante Superiore farà prontamente al Ministero della Guerra quelle proposte che stimerà opportune per modificare occorrendo l'attuale presidio di Massaua, onde aJJicurare nel miglior modo da possibili attacchi degli abissini durante tutta l'estate, avendo pur presente la difficoltà della esistenza di un gran numero di truppe in quei luoghi in detta stagione e le conseguenze igieniche che ne potrebbero derivare.
(...)
5) Il Comandante Superiore dovrà colla massima possibile sollecitudine proporre al Ministero l'occorrente in personale, quadrupedi e materiale di ogni specie, che dovrà essere concenuato in Massaua nell'ottobre prossimo venturo, per potere iniziare nell'ottobre stesso, od al più tardi in novembre, operazioni offensive contro l'Abissinia.
In questo progetto di operazioni devesi però escludere il caso di una vera invasione nell'interno dell'Abissinia, e le operazioni stesse non dovrebbero essere spinte a grande distanza da Massaua, quale sarebbe l'attacco e l'occupazione temporanea di Asmara od altra pane importante del territOrio abissino 2 5.
Con queste parole e queste direttive perdeva senso la permanenza di Genè a Massaua e si chiudeva la parentesi della «sosta» coloniale. Questa si era di fatto infranta sugli scogli della politica indigena (sottovalutazione del pericolo abissino) e della politica militare (sopravvalutazione delle forze italiane, della possibilità di tenere con quegli organici e quella direzione una testa di ponte offensiva, della capacità di affrontare vittoriosamente i rischi di una guerra già a suo tempo individuati da Cosenz).
Terminava così veramente la «spedizione di Massaua». Questa sorta di decisivo prologo alla storia del colonialismo italiano che si era consumato in due anni intorno al porto del Mar Rosso aveva però contribuito ad evidenziare drammaticamente - da subito - talune insufficienze del colonialismo politico e militare italiano.
L'influenza dei militari, che pure era stata come si è visto decisiva in quei primi due anni, doveva tendere in quelli successivi ad aumentare, sia pure in forme ed in rapporti nuovi. Il fatto che il nuovo Comandante Superiore destinato a sostituire Genè non dipese, come Genè stesso, dal Ministro degli Esteri e dal Ministro della Guerra, ma principalmente dalla Pilotta doveva esserne :un primo, rivelatore, segnale 26.
Eppure, anche nei due anni che avevano portato i soldati italiani da Massaua a Saati e a Dogali, il ruolo ed il peso militare nella politica coloniale non era stato secondario. Una volta tralasciati i piani di Mancini, militare era stata la decisione sulla quantità di forza necessaria a presidiare il territorio coloniale, come militari erano stati gli entusiasmi espansionistici di Saletta (che avevano portato il tricolore prima sui fortini avanzati e poi su Saati), il disegno di Ricotti di ridurre quanto prima possibile l'effettivo del presidio, i piani e gli interessamenti dimostrati in momenti cruciali dallo Stato Maggiore. Militare, infine, la scelta di Genè come militare la sua ultima, infausta, serie di misure per salvare troppe cose insieme (sicurezza del presidio, onore italiano, vita degli ostaggi, credibilità di Comandante).
Certo, lo spazio in cui i militari facevano le loro scelte era quello, angusto ma al tempo stesso in più di un'occasione velleitario, della politica coloniale italiana del tempo: una politica che con 'poco sforzo e poca spesa' voleva ottenere molto più prestigio, considerazione e vantaggi di quanti in realtà sì sarebbe potuto 2 7.
È anche un dato di fatto che la crisi arrivò, e Dogali mieté le sue vittime, proprio in un momento in cui dal Mar Rosso l'Italia non si aspettava nulla, nel bene e nel male. Fu il fallimento di una politica che aveva detto di essere tesa al raccoglimento a rendere meno accettabile all'opinione pubblica, e meno giustificabile a quella politica, le ragioni del tracollo.
Se anche poi il mito che passò a livello popolare e di larga pane dell'opinione pubblica fu quello- retorico, 'nazionale' e patriot- tardo - dell'eroica resistenza e dell'estremo sacrificio della colonna De Cristoforis, in realtà fu la conduzione militare della spedizione di Massaua che fu messa da subito in stato di accusa, insieme e più di quella politica. Lo stesso Ricotti, intervenendo al Parlamento poche settimane dopo la sua sostituzione al Ministero della Guerra con Benolè Viale, ne era già cosciente. Da una parte ribadì l'onore guadagnato dai soldati a Dogali: e qui trovò approvazioni io tutta la Camera
26 Cfr. BATIAGLIA, La prima guerra d'Africa, cit., p. 323.
27 Cfr. ROCHAT. Il colonialismo italiano, cit., pp. 220-221.
Tutti i militari ed, anche i non militari sentono che, dopo questo fatto, il nosuo giovine esercito ha guadagnato (Voci. Sì! Sì! Approvazione) nell'opinione nostra stessa 28.
Ma dall'altra capì che un esame politico delle vicende dei primi due anni coloniali non potevano non condurre ad un vaglio assai critico della condotta militare. Proprio in quanto militare ed in quanto ex-Ministro della Guerra egli aveva iniziato il suo discorso affermando che «<o, in questa questione, sono l'accusato, gravemente accusato dall'opinione pubblica e dalla Camera ( ... )» 29.
Ricotti poi, non disinteressatamente, si diffuse nel suo discorso in tentativi di convincere la Camera della sua previdenza e degli sforzi da lui tentati per far desistere ora Saletta ora Genè da mire espansionistiche che volessero superare i confini di Massaua. E forse in questo, particolarmente in quanto atteneva alla sua opera di freno nei confronti del colonnello, aveva anche ragione.
Ma dove Ricotti non poteva essere convincente era nell'esame delle ragioni di fondo dello scacco coloniale che l'Italia era venuto a subire. Ragioni che erano politiche, ma la cui responsabilità immediata doveva farsi ascendere a militari. Massaua, nata come meta coloniale all'interno di un progetto più grande di cooperazione politica e militare italo-inglese (progetto, purtroppo, scaturito e presente solo nell'immaginazione di Mancini), rimaneva una conquista dal valore dimezzato quando, con la caduta di Khanum, ogni velleità di cooperazione si era allontanata per sempre. Di fronte al grande problema su che cosa fare di Massaua a decidere erano stati in realtà, per primi, Saletta che si spinse sino a Saati, Ricotti che non impedì questa scelta, e Genè che anzi - in un momento di tensione - vi
NELLA POUTICA COLONIALE
mandò «truppe regolari e cannoni» 30. Con una forza militare, nell'ordine di qualche battaglione (forza che che persino lo Stato Maggiore aveva da subito giudicato dover «non quindi costituire l'inizio dell'operazione ma fornire soltanto i mezzi per rendere possibile la ricognizione preparatoria della operazione stessa») 3l, l'Italia aveva preteso di svolgere un ruolo da protagonista nella surriscaldata regione abissina. Con una forza simile, si era voluto tenere una posizione che non era semplicemente difensiva ma che assumeva uno spiccato carattere offensivo verso la potenza etiopica.
Perché si fosse abbandonata quella iniz iale e più conveniente (anche se non per questo più sicura) posizione militare riassumibile nella sola difesa del porto di Massaua, lo abbiamo provato a spiegare nelle pagine precedenti. I motivi furono diversi, ma dal punto di vista militare per Saletta e Ricotti e Cosenz una rilevanza particolare doveva avere avuto quella tendenza, quella spinta a liberarsi della tutela e dal controllo che una subordinazione alla Marina significava per l'Esercito sulle coste del Mar Rosso. Una spinta che era apparsa già chiaramente allo stesso Cosenz quando stese quel primo piano di spedizione militare nel Mar Rosso. «La nostra nascente colonia [e si noti la precisione terminologica con cui lo Stato Maggiore già in quei primissimi giorni voleva che si chiamassero i futuri presidi del Mar Rosso] si può bensì considerare come abbastanza protetta finché lo stazionario della R. Marina è ancorato presso la costa. Essa è però esposta a correre gravi rischi per le probabili incursioni dei feroci abitanti dell'interno ogni qualvolta lo stazionario se ne allontana, come accadde abbastanza di frequente» 32 Perciò, per tenere a bada quei 'feroci abitanti', per non dover condizionare la colonia alle esigenze della Mariria, per essere sicuri - soprattutto - non solo della parte di mare ma da quella di terra, l ' influenza decisiva in colonia doveva secondo Cosenz essere quella dell'Esercito. E per tutto questo, sottintendeva il Capo dello SME, non bastava più 'l'invio di qualche battaglione' e per questo, comunque, l 'influenza determinante doveva essere quella dell'Esercito.
Questa iniziale distonia nei rapporti tra Marina ed Esercito fu poi risolta con la fine del 1885, con il 'colpo di stato' di Genè. Ma ormai, anche per quei motivi, si era a Saati. E il presidio italiano vi sarebbe rimasto sino a Dogali.
La spinta verso l ' interno, comunque, era l'unica spinta colonialista possibile , una volta che non si fosse chiaramente stabilito di rimanere sempre e solo a Massaua. Un'occupazione simbolica dei villaggi delle coste non aveva alcun senso e nessuna possibilità di essere duratura. Esigenze militari, dell'esercito, ed 'esigenze colonialistiche• per un tratto marciarono assieme.
Oltre ai caduti di Dogali , oltre alle migliaia di giovani italiani di leva che transitarono in quei due anni sulle infuocate spiagge del Mar Rosso, oltre - in fondo- all'Italia che così dolorosamente faceva il suo ingresso nell'arengo delle 'potenze coloniali', chi pagò politicamente quest'insieme di intricate responsabilità per la gestione della 'spedizione di Massaua' fu il Ministro della Guerra Cesare Ricotti.
Ricotti poteva anche, come fece in quel suo discorso del maggio 1887, riconfermare alcune sue caratteristiche di militare eterodosso, imprevedibile, sospetto (ai militari ed all'opinione pubblica): come quando non volle perdere l'occasione di criticare pubblicamente il comportamento militare di quel De Cristoforis che pure da poco era divenuto un eroe nazionale. Questi lati del carattere non potevano però impedire la sua messa in stato di accusa tra i politici come tra i militari. Il generale novarese diveniva in qualche modo una vittima politica di Dogali anche se in realtà ne era stato uno dei responsabili.
Come si è visto, in questa 'spedizione per Massaua', diverse responsabilità si erano sovrapposte a diversi livelli. Quella di Ricotti consisté principalmente nell'avere - correttamente - intuito l'imponanza di non estendere il presidio oltre Massaua e nell'aver in varie riprese ridotto il contingente inviatovi ma nell'aver avallato la permanenza a Saati anche dopo gli ultimatum abissini e nel non aver voluto insistere per una diplomatica chiarificazione del contenzioso italo-etiopico che si era così creato. L'eccessiva fiducia nel fatto (militare) compiuto contagiò quindi anche il cauto Ministro della Guerra. La mancata chiarezza nel distinguere, a livello militare, tra un dispiegamento delle forze difensivo ed uno offensivo e la mancata volontà nel far rispettare quella distinzione creò le premesse perché si passasse- lungo una stessa strada- da Massaua , a Saati a Ua-à. Ma era una strada che sboccava a Dogali.
Analogamente - ed a un livello superiore - una volta che non si era politicamente stabilito in modo chiaro e deciso di rimanere sempre e solo a Massaua (e si è visto come il governo non aveva voluto, o potuto , frenare le varie dinamiche diplomatiche e militari, centrali e 'locali ', nonostante quella sua verbale ricerca del 'raccoglimento') , la spinta verso l'interno- ora per Saati o per Keren, poi per Asmaro e oltre - si sarebbe ripresemata.
Il meccanismo coloniale si era messo in moto.
Conclusioni
Il nostro esame del se condo Ministero Ricotti ci ha riponato alla questione di fondo di qualsiasi studio di storia militare su quel periodo. Furono gli anni Ottanta del secolo XIX un o d e i periodi più felici della storia dell'esercito italiano? 1 Ed all'interno di quel decennio il secondo Ministero Ricotti rispecchiava fedelmente le caratteristiche dell'intero arco degli anni Ottanta?
Dal punto di vista finanziario ciò è indubitabile: i bilanci di Guerra e Marina conobbero rapidi incrementi. Ma, se quest o è vero , è d'altra pane necessario non dimenticare che una politi ca di alte spese militari , in realtà , fu sem p re sentita come una necessità dalla classe dirigente dell ' Italia liberale 2 Vari , e noti , erano i motivi: garanzia d e l! ' ordine politico e pubbli co , prestigio internazionale , reale consistenza delle minacce estere all'integrità dello Stato nazionale così faticosamente conquistato.
Tra il 1861 ed il1866 più di una lira su tre di spese pubbliche fu devoluta alle istituzioni militari. Le Finanze ne uscirono stremat e . N e seguì una riduzione, ma già intorno al18 76 - dopo che la maggiore delle forze armate , l'esercito , fu ingrandita e ristrutturata - le spese militari ave vano raggiunto la considere vo le altezza di un quinto delle intere spese sta t ali . Al di sotto di quel li ve llo , praticamente , non scesero mai . Comin ciò anzi una salita d e ll a percentuale delle spese militari sul total e delle spese statali: più lenta negli ultimi anni Settanta, più veloce ed improvvisa negli anni Ottanta (dal 21,5% del1880 all'episodico ma significativo 32 ,3 % del1889, un 'pi cco' statistico comunque precisato dal 27,3 del 1888 e dal 26,6 del 1890) , frenata nel lustro successivo e poi stabilizzatasi - dopo Adua- su un valore medio che oscillava tra il 22,5% del 1898, il 20 del 1906 ed il 22,6 del1910. Dopo di che, più o meno costantemente, iniziò il riarmo prebellico che consentì la campagna di Libia e poi l'ingresso dell'Italia nella prima guerra mondiale. Nel frattempo, lentamente, era andata aumentando la ricchezza del Paese: cresceva il prodotto interno lordo, il reddito nazionale, l'imposizione fiscale, il bilancio dello Stato. Sino alla fine del secolo la mancanza di un decollo industriale impedì quel rapido ed omogeneo processo di accumulazione che in altri Paesi si era già notato , ma non rese impossibile all'istituzione statale di accrescere il suo peso sull'economia. Se nel 1862 le spese effettive dello Stato erano assommate a 900 milioni di lire e le entrate a 4 50, nel1913 esse erano salite rispettivamente a 2.843 e 2.287. In particolare si può notare che il disavanzo effettivo, particolarmente forte nei primi anni dell'indipendenza, riuscì ad essere contenuto solo negli esercizi finanziari tra il 1874 ed il 1880. Dopo quella data esso si ripresentò - negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta - in forme minacciose e dovette passare un quindicennio perché fosse riportato prima ai valori del 1880 e poi lentamente ripianato e trasformato in un attivo. Dopo il 1910 però crisi economica, sviluppo del Paese, tendenza al riarmo ed altri fattori fecero riapparire il disavanzo e lo resero un fatto strutturale dell'economia e della politica italiana.
1 Cfr., co m e g ià si è vistO, tra g l i alui , CEVA, Le forze armate, cit., p . 93.
2 Sul g iu dizio circa le spese m ili tari cfr di nu ovo ROCH AT , MASSO BR10, Breve storùz dell'esercito italiano dal 1861 a/1943, cit., p 66 e sgg .; DE ROSA, I n cid e nza delle spese militan· sullo sviluppo economico italian o, éit., p. 183 e sgg.; PEDONE , Il bilancio dello Stato, cit., p. 216. Pe r alcuni p rimi dati ag gregati cfr. F.A. RE PA CI , Lafinanzap ubblicaitalian a n elsecolo 1861-1960, Bolog n a, Zanich e ll i, 1962, pp . 35-37.
Da tale punto di vista, l'aumento dei bilanci statali e la costanza (tendente al rialzo) dello spazio, all'interno di questi, concesso alle spese militari danno l'esatta misura dell'importanza delle forze armate nell'Italia liberale. E, sop rattutto, inquadrano esattamente il problema degli stanziamenti per l'esercito e la marina. Tra i due, naturalmente, fu sempre l'esercito ad essere il destinatario della quota maggiore.
Le spese straordinarie per l'esercito ebbero andamento alterno: sia pure escludendo ovviamente i 'picchi' raggiunti dapprima durante gli anni tra la seconda e la terza guerra d'indipendenza, poi in coincidenza con la campagna di Roma, quindi con gli assegni crispini del 1888-89 per le fortificazioni e i fucili e del 1895-96 per la campagna africana, poi conclusasi ad Adua, esse rimasero sotto i venti milioni annui sino al 1876, superarono poi quella cifra e, tra il 1882 ed il 1891, oltrepassarono i 40 annui (più di una volta in larga misura); quindi diminuirono di colpo a meno di venti milioni e fu necessario attendere un decennio perché tor- nassero a superare quella cifra; nel 1909 raggiunsero quota 54 e nd 1910 quota 73 milioni. In conclusione, quindi, le spese straordinarie pesarono sugli esercizi finanziari dell'Italia liberale per una media di circa 30 milioni annui (escludendo quei 'picchi' cui prima si accennava e che , se considerati , farebbero salire la media degli assegni straordinari per il solo esercito a quasi 40 milioni annui).
Le spese ordinarie, dal loro canto, crebbero quasi costantemente .in valore assoluto. Dai 150 milioni del1867 ai 165 del1876 , erano divenuti più di 170 con l'arrivo al potere della Sinistra storica e passarono poi da 190 a 257 dal 1880 al1890; dopo di che subirono una certa contrazione. Ma ritornarono a 255 nel1897. Da allora aumentarono lentamente ma costantemente , sino allo scoppio della Grande Guerra.
Dall'esame di queste linee di tendenza generale emerge con ch.ia-' rezza che gli anni ottanta- per ognuno dei trend qui ricordati (altezza delle spese militari, rapporto tra entità del bilancio statale e dimensione del deficit effettivo , consistenza rispettiva delle spese ordinarie e di quelle straordinarie per l'esercito) - segnano un momento di ' picco ' . E la particolarità più evidente della politica militare di questo decennio sta tutta qui, in questo suo situarsi come imersezione al punto più alto di tutte queste curve.
Ma sottolineare questo primo aspetto generale dice ancora poco su come vennero effettivamente impiegati questi larghi fond i Che cosa si fece per miglorare l'esercito , per colmare alcune note lacune nella sua composizione, per correggere alcuni suoi difetti nella preparazione, per portarlo allivello degli altri potenti eserciti europei ed al punto di garantire gli interessi nazionali e gli scopi della politica estera?
Per trovare una prima risposta - sia pur dentro i limiti della documentazione sin qui da noi analizzata - uno studio sul secondo Ministero Ricotti presentava l'utilità di offrire un interessante punto di osservazione .
L'esercito italiano nei primi anni Ottanta , e più specificatamente nell'arco di anni da poi preso in esame , costituiva a prima vista un forte strumento militare. Almeno quantitativamente, infatti, un esercito di 12 corpi d ' armata, 22 reggimenti di Cavalleria , 17 di Artiglieria , 4 del Genio poneva militarmente l ' Italia in una posizione certo distanziata ma non più troppo lontana dalle altre potenze eu- ropee 3. La vocazione a 'grande potenza' dell'Italia in quegli anni poteva basarsi così molto più sulla forza del dispositivo militare che sull' incisività dell'iniziativa diplomatica, sul numero della popolazione o sulla ricchezza del Paese.
Questo era sostanzialmente un risultato delle riforme militari del 1870-76 4.
Esse avevano permesso il passaggio dell'ordinamento militare da un 'mode llo francese', basato su un esercito d i truppa a lunga ferma e a base ristretta, a quello 'prussiano' caratterizzato dal servizio militare obbligatorio, dalla ferma più breve, dalla coscrizione nazionale, dalla possibilità di procedere ad un regolare ed ord inato richiamo in servizio - in caso di guerra - di quelle classi di leva che avessero già soddisfatto gli obblighi militari e che venivano inserite in Milizie di seconda e di terza linea. Nell'intenzione dei riformatori militari non doveva più accadere, co m e era successo in due delle tre guerre di indipendenza, che l' ese rcito- passati i primi scontri - non potesse colmare i vuoti aperti dai combattimenti con riserve pronte ed addestrate. Inoltre, il numero dei Corpi d'Armata non era poi così distante da quanto le allora più moderne teorie organiche prevedevano che dovesse essere in rapporto con la popolazione del Regno. La scelta riformatrice, infine, era stata realizzata in un momento internazionale non facile per l'Italia e sulla base di un Bilancio militare che ancora risentiva delle ristrettezze imposte dal non entusiasmante risultato della guerra del 1866.
Tutto questo complesso sforzo nazionale , però, non significava di per sé che quel nuovo esercito, necessario per il prestigio internazionale che ne derivava e sufficiente per il mantenimento dell'ordinamento politico e dell'ordine pubblico, fosse poi perfettamente pronto a rispondere a tutti i suoi compiti.
La riforma Ricotti, infatti, lasciava in eredità alla politica militare del Regno d'Italia numerosi problemi importanti da risolvere che - negli anni Ottanta, ma spesso anche dopo - si ripresentarono ai vari Ministri della Guerra. Il contingente di leva , che pure venne continuamente aumentato, era assai alto rispetto alle capacità finanziarie dei Bilanci militari mentre rimanevano semp re assai ampi la cos tosa intelaiatura dei quadri e l'organico del Corpo Ufficiali. Le truppe di riserva si volevano inquadrate nella Milizia Mobile e nella Milizia Territoriale, ma la seconda restò a lungo sulla carta mentre l'efficienza dei riservisti iscritti nella prima fu poche volte provata tramite richiami regolari che, peraltro, presentavano costi non trascurabili. Nonostante lo studio della Commissione per la Difesa dello Stato negli anni Sessanta ed il forte dibattito sviluppatosi all' inizio del decennio succesivo, il sistema delle fortificazioni militari del Regno rimaneva lacunoso e risentiva ancora del fatto di essere spesso una sommatoria dei singoli sistemi fortificatoti dei precedenti Stati regionali pre-unitari (e poi delle varie preoccupazioni dei diversi Ministri della Guerra) piuttosto che la sintesi e lo strumento di un originale piano strategico. Lo stesso esercito permanente soffriva di uno squilibrio tra le varie Armi, per cui la Cavalleria e l'Artiglieria risentivano di un insufficiente sviluppo e di una attardata formazione organica, nonostante che le recenti guerre avessero messo in evidenza il loro nuovo possibile uso strategico. Il reclutamento di ufficiali e sottufficiali, infme, non andava indenne da varie pecche strutturali.
3 Cfr. , L 'eseràto e i suoi corpi. Sintesi storica , cit.
4 Cfr. ROCHAT, MASSOBRlO, Bre11e storia dell'esercito tialiano da/1861 a/1943 , cit., p . 84 e sgg. ; e DEL NEGRO, Esercito, Stato, società. Saggt di st oria militare , cir. , p 192 e sgg.
A questo si aggiungeva il fatto per cui l'esercito, pensato in vista di un efficace mantenimento dell'ordine istituzionale e politico e strutturato per una·forte difensiva nazionale (questa era in fondo l'ottica di Cesare Ricotti e di tanti suoi coetanei 'generali dell'indipendenza'), andava- verso la fine degli anni settanta e poi ancor più cogli anni ottanta - caricandosi di aspirazioni, di piani, di velleità e di miti offensivistici. La situazione politica europea non permise per lungo tempo ai militari italiani di andare oltre, nella pianificazione della guerra, la pura difensiva. Questa veniva, al massimo, corretta con l'affermazione verbale della possibilità di una ripresa e di un'azione controffensiva delle armi nazionali, nel caso fortunato in cui queste non fossero già risultate annientate da una prima grande battaglia campale.
Tutta questa situazione si fece con l'andare del tempo ancora più critica se si pensa che le potenze europee, negli anni a cavallo tra i decenni '70 e '80 , andarono perfezionando le loro forze armate ispirandole sempre più ad una dottrina strategica offensiva e sostenendone le aspirazioni militari con formidabili progressi nei meccanismi di mobilitazione: aspetto quest'ultimo assai poco affrontato in Italia. Infine, sempre a livello europeo , andava imponendosi la pratica di affinare i sistemi d'arma e di aumentare sempre più la forza presente alle armi (aumentando la forza organica di guerra e di pace delle compagnie), cosa questa che avrebbe permesso un più immediato uso degli eserciti permanenti.
Dopo le rif0rme Ricotti qualcosa fu fatto in Italia per ovviare a questi difetti. Ma mai a sufficien za e per svariati motivi. Si identificò e si rese stabile, tra l 'altro, il quadro territoriale dei Comandi dell'esercito del tempo di pace con quello da adottarsi in tempo di guerra, si dette nuovo stimolo (militare e finanziario) agli stu di ed alle realizzazioni in tema di fonificazioni permanenti, si tese ad aumentare il contin gente di leva . Quando nel 1882 un lungo dibattito politico e militare sulla necessità di aumentare la forza d eli' esercito condusse alla creazione di due nuovi Corpi d'Armata, in realtà la cosa significò un aumento notevole ma solo quantitativo dell' ordinamento militare.
Se l'Italia sperava- così facendo- di accrescere il suo prestigio internazionale, le forze armate si trovavano in realtà costrette a fronteggiare i soliti problemi, moltiplicati però dalle dimensioni del progresso militare europeo.
È a questo punto, all'incirca a metà degli anni Ottanta, che Cesare Ricotti tornava a reggere il Dicastero della Guerra.
Come abbiamo visto dal nostro studio su questo suo 'secondo Ministero' (e sul dibattito politico e militare che lo accompagnò) non ci furono in quegli anni né la volontà politica né gli spazi politici, economici, militari, per ovviare a quelle cosl gravi lacune: nonostante questo, continuarono ad aumentare ii peso dell'esercito e le responsabilità cui esso era fatto carico dalla Triplice Alleanza e dalle prime aspirazioni coloniali. È in questo senso davvero corretto affermare che Ricotti, seppure malgré lui, «aveva trasformato l 'ordinamento Ferrero da potenzialmente offensivo ad effettivamente offenCiò non poteva non far risaltare, tra l'altro, nel dibattito politico e militare, tutte le lacune e le insufficienze dell'esercito stesso. Il fatto infine che questa seco nda esperienza ministeriale di Ricotti fosse stata segnata e gravata (mo lto più che la prima) dalla congiuntura politica non toglieva interesse ad un a sua attenta e ravvicinata disamina, e casomai riapriva- pur senza volerlo esaurire - il difficile capitolo delle relazioni tra politici e militari nell'Italia umbertina.
In generale, molte cose cambiarono in Italia dopo quel sesto e quel settimo Gabinetto Depretis, nei quali Ricotti fu appunto Mini- stro della Guerra 6.
Con quei due Governi si chiudeva l'esperienza del trasformismo di Depretis e del suo confuso e continuo aggregarsi e disaggregarsi di maggioranze (parlamentari e sociali): forze politiche e sociali più decise erano destinate a prendere il suo posto. Si apriva in generale la strada ad un diverso orientamento complessivo della politica italiana con il progressivo costituirsi di un blocco conservatore di forze politico-sociali , più stabile e più forte di quello su cui si era retto Depretis.
Nell'ottica di questo trapasso da Depretis a Crispi, i militari degli anni del secondo Ministero Ricotti rappresentarono un elemento io qualche modo attivo. Anche a livello parlamentare, il fallimento di Ricotti (di fronte all'opinione pubblica militare come io faccia alle reali 'sfide' della politica militare di quegli anni) fu uno dei fattori che contribuirono ad indebolire decisamente la politica di Depretis e del trasforrnismo.
Dopo il 1887, dopo Depretis e Ricotti, nello specifico campo della politica militare alcuni elementi si evidenziarono panicolarmente. Si concretizzava con apposita convenzione lo sbocco strategico della coop erazione militare i talo -germanica; si appesantiva il carico militare dell'espansione coloniale; diveniva di fatto sempre di più 'intoccabile' l'ordinamento su dodici corpi d'armata, so lo io qualche parte ritoccato; si restringevano sempre di più i margini per un'azione riformatrice che aggredisse le più grosse carenze dell'organismo militare; si qualificava di fatto la carica di Capo di Stato Maggiore; si assisteva ad un rafforzamento della Marina Militare (pe r l'articolarsi della politica estera nazionale e per il rafforzarsi dei gruppi a rmatoriali e cantieristici). Tutti elementi decisivi, questi, che aumentavano in misura nuova il peso contrattuale dei militari , ma che pure non curavano le vecchie malattie d e li' esercito 7.
Durante la permanenza rninisteriale di Ricotti molti di questi elementi avevano già fatto qualche prima apparizione. Alcuni andavano nella stessa direzione delle idee e delle aspirazioni di Ricotti, e avevano avuto l'avallo ministeriale; ma per la maggior parte si dovevano rivelare estranei ali' orizzonte politico ed alla prospettiva mi- litare del novarese (anche se, talvolta, egli li aveva- trasformisticamente - tolle rati)_
6 Cfr. CAROCCI, Storia d'Italia dall'unità ad oggi, cit ., p. 89; RAGIONIERI, La storia politica e sociale, cit., p. 1753.
7 Cfr. PIERI, Storia mzlitare del Risorgimento. Guerre e insurrezioni, cit.; MANACORDA, Introduzione, a PELLO UX , Quelques souvenirs de ma vie, cit.; DEL NEGRO, Esercito, Stato, società. Saggi di storia militare, cit.
Ricotti, così, si trovò sconfitto sia sul breve sia sul lungo periodo_
Sul breve periodo, a ben vedere, è significativo il fatto che egli abbia dovuto lasciare il Ministero della Guerra per un episodio di quella politica coloniale che il novarese nel suo complesso non aveva mai visto di buon occhio e per un coalizzarsi di forze politiche e militari (tra cui la stampa militare, la deputazione militare al Parlamento, ceni ambienti dello Stato Maggiore) verso cui Ricotti, in ultima analisi, non era stato mai molto indulgente_
SuJla lunga distanza , molte delle cose cui Ricotti si era opposto (o che almeno egli non aveva favorito nel corso del suo secondo Ministero) risultarono vincenti_ Le spese mi litari, che egli avrebbe voluto vedere non ridotte ma regolate (se non altro perché non si fidava deJla proclamata solvibilità finanziaria illimitata dello Stato uscito dalle guerre d'indipendenza e perché aveva sempre temuto le conseguenze di quei subitanei restringimenti dei Bilanci, di cui aveva già visto i risultati sull'amministrazione militare dopo il 1866) , furono poi invece aumentate venicalmente con Crispi e altrettanto rapidamente ridotte con Di Rudinì e Pelloux, dando così origine proprio a quello che Ricotti aveva sempre paventato: una, seppur congi unturale, crisi militare_ La car ica di Capo di Stato Maggiore, che tanto Ricotti aveva voluto ridurre a mero ufficio tecnico e consultivo , andò invece acquistando nel tempo sempre maggiore imponanza e contribuì sempre più nel lungo periodo a relegare le competenze del Ministro della Guerra al solo campo amministrativo_ Quella sona di modello militare formato da un forte Esercito e da una debole Marina, sostenuto da Ricotti (e da altri generali della sua generazione) come dato di fatto immodificabile del potenziale militare italiano, in realtà andava incrinandosi di fronte all'incisivo seppur lento potenziamento della flotta militare: la quale , inoltre, per dottrina strategica e per consistenza militare, non gradiva più vedersi 'costretta' nel puro scopo di difesa degli arsenali e di prevenzione degli sbarchi nemici e modificava la sua dottrina strategica in una direzione sempre più offensivistica_ Il nodo dell 'avanzamento degli Ufficiali andò , anche nel decennio successivo , sempre più complicandosi, sino a divenire un problema così grosso da sopravvivere poi anche alla prima leggequadro del 1896 e da costituire una delle cause non secondarie che portarono alla nascita (intorno a Fabio Ranzi) di quel movimento militare di opinione detto 'rnodernista' _
La stessa prospettiva strategico-militare (quale tipo di battaglia e di guerra l'esercito italiano avrebbe potuto combattere) parve poi nella realtà divergere alquanto dalle ipotesi di Ricotti. Ma quello che nella prospettiva strategica andava mutando, lentamente seppur radicalmente, secondo i documenti consultati, era proprio l'ipotesi di una grande battaglia definitiva nella pianura padana, su quei campi irrigui e fratti della valle del Po che già avevano conosciu to tutte le battaglie dell'indipendenza italiana. Mentre , sino a Ricotti, essa era in sost anza l'unico obiettivo militare proponibile per l ' esercito italiano (come era successo nelle guerre d'indipendenza), dopo il1887 e meglio dopo la firma della conven zione militare itala-germanica voluta da Crispi e da Cosenz , lo studio della pianificazione della guerra italiana sarebbe stato costretto a tenere conto d eU' ipotesi di inviare una consistente Armata (tre-quattro corpi d'armata , più una divisione autonoma di Cavalleria, con annessi servizi) sulle pianure del Reno.
Per il dispositivo militare italiano questa era una novità strutturale, seppure attesa da anni in certi ambienti militari , e che non va sottovalutata. In qualche modo quella era la legittimazione 'europea' (o della Triplice) dello sfo rzo militare italiano durato più di un quindicennio, dal 1870 perlomeno. Anche se Ricotti, nel 1884-8 7, non parve essere entusiasta di questa nuova prospettiva, essa era di fatto il coronamento delle riforme militari da lui dirette nel decennio precedente.
Questi furono , in sostanza, i grandi nodi della politica militare italiana degli anni Ottanta: prima, durante (e talvolta malgrado) Ricotti, ed oltre.
Un Ricotti 'sconfitto' su diversi piani dal ' progresso ' delle cose politiche e militari non deve però dare l'errata impressione di un politico chiuso, di un uomo non lungimirante, di un militare 'reazio. ' nano .
Ricotti non fu tutto questo.
Non va dimenticato , per quanto la cosa abbia un significato simbolico, che Ricotti fu praticamente l ' ultimo militare ad occupare la ca ri ca di Ministro della Guerra che avesse guadagnato il grado di generale in più di una campagna per l'indipendenza. Questo di per sé lo caratterizzava . Il mond o militare in cui eg li era cresciuto era stato quello piemontese lamarmoriano e l ' ambiente in cui aveva fatto le prime importanti prove belliche e politiche era sostanzialmente quello che aveva combattuto per l'unità d ' Italia. L'unificazione e poi il lungo ' regno ' della Destra storica era stato lo scenario in cui si era mosso ormai come protagonista. Lo stesso suo grande operato di riforma tra il1870 ed il 1876, che in profondità rimane ancora da studiare, risentì a ben vedere di questo carattere dell'uomo (e della sua generazione di militari). Nonostante l 'età non avanzata, gli erano in un ceno senso estranei il governo della Sinistra storica, il trasformismo di Depretis , gli anni Ottanta.
È in fondo per questo suo ' impersonificare ' la tradizione e la continuità dell 'eserci to italiano che la notizia della sua nomina (pur tra le apprensioni circa lo svil uppo o rganico dell'esercito) fu vista come un segno di forza militare e di prestigio politico non solo della maggioranza parlame ntare trasformista ma dell'inte ro Stato umbertino . Questo avrebbe dovuto, nei piani del presidente del Consiglio, rafforzare la maggioranza: e fu così, ma solo su l breve periodo. Già sulla media distanza (due-tre anni) doveva invece essere prop rio l'ambiente militare a dichiararsi insoddisfatto delia politica militare dei governi di Depretis e di Ricotti e a guardare co n interesse a quegli aspetti di autorità e di prestigio che la politica crispina vistosamente voleva presentare.
L'ese rcito finiva così per criticare il suo Ministro.
Si può ritornare così agli interrogativi da cui la ricerca aveva preso le mosse. Erano gli anni Ottanta un periodo felice per l'esercito italiano? Lo era stato anche il triennio di Ricotti?
Una valutazione storiografica puramente ottimistica non pare corrispondere in pieno alla compless ità della realtà storica.
Cenarnente i bilanci militari lievitarono considerevolmente in quel periodo, il ruolo interno ed esterno dell 'esercito aumentò, la sp edizione militare a Massaua - seppure momentaneamente e tragicamente bloccata a D ogali- aveva aperto nuo ve strade di impiego militare, col passare degli anni andava aumentando il ruolo ed il prestigio dello Stato Maggiore dell'Esercito e del suo Capo, gli organici erano di nuovo cresciuti (rispetto allo stesso grande passo in avanti fatto nel '70-'7 6) e la consistenza numerica del Corpo Ufficiali veniva continuamente- anche se non vistosamente - fatta aumentare. L' esercito sempre più consolidava il suo ruolo di alfiere d eli' onore nazionale , il fantasma di Custoza cominciava ad allontanarsi nel tempo.
Ma all'interno della macchina militare rimanevano le già note crepe.
Il meccanismo della mobilitazione italiana non sembrava aver riportato decisivi miglioramenti, la riserva di terza linea era ancora lungi dali ' essere inquadrata, il secondo p iano delle fortificazionii cu i lavori peraltro furono ral lentati e ritardati - non aveva risolto il prob lema de ll a difesa permanente.
Il rapporto tra Esercito e Marina (a livello sia organico sia strategico) non era ancora ben definito, e tendevano ad emergere impostazioni con traddittorie.
L'armamento italiano non aveva conosciuto (anche nel campo della 'artiglieria portatile', sino al1890) quelle migliori soluzioni adottate negli altri Paesi europei.
L'eterogeneità dei quadri, che era stato uno dei massimi difetti evidenz iatisi nella guerra del 1866, cominciava ad essere attenuata dal i ' affiatamento creatasi tra gli uffic ial i dopo quasi un ventennio di permanenza ne ll 'esercito e dall'operato delle scuo le militar i , di cui però si lamentava la scarsa qualità deg li studi.
Il problema dei sottufficiali continuava a non essere valutato in tutta la sua importanza militare e tendeva ad essere ripetutamente posto solo dal punto di vista della ricerca di forme d'impiego per quei sottufficiali che avessero lasciato il servizio nei repani.
Le compagnie, prima come dopo le misure prese da Ricotti , erano costantemente tenute 'sottoforza', con discapito dell'istruzione delle reclute e della pratica degli ufficiali.
Il servizio di ordine pubblico, particolarmente importante negli anni Ottanta in coincidenza con le lotte del Partito Operaio Italiano e con le agitazioni del movimento contadino del 'la boje!' e dei primi scioperi urbani , continuava a distrarre la truppa dal regolare addestramento.
Le misure prese per )"educazione militare' del soldato , mosse dall'intento di avvicinare il cittadino all ' istituzione militare e di ricreare una sona di afflato 'risorgimentale' tra nazione e 'nazione armata', furono condotte con mezzi ed in forme attardate e paternalistiche, senza reali mutamenti nel sistema di reclutamento e nella vita di caserma che continuava invece ad essere assa i dura. Le misure di Ricotti, insomma, il cui miglior e più rappresentativo esempio rimane il concorso per il 'libro del soldato', non potevano impedire che si perpetuasse l'estraneità popolare al mestiere ed agli obblighi militari , nonché all'esperienza della leva. Estraneità nella qualenei due decenni successivi - trovò il suo migliore terreno di coltura il nascente antimilitarismo politico.
Le teorie 'offensivistiche' , spesso presenti nel dibattito militare e diffuse tra i giovani ufficiali, continuavano ad apparire talvolta semplici petizioni di principio piuttosto che il lievito di una originale reimpostazione del 'problema militare italiano'.
In questo senso, i gridi di allarme sulla efficienza e sulla preparazione dell'esercito, lanciati sia pur strumentalmente dall'opposizione politica (per esempio nell'inverno 1886-87, in mezzo ad una crisi diplomatica internazionale tra le più acute, che più di altre portò l'Europa sull'orlo della guerra), non mancavano di qualche giustificazione.
Poco di questo fu emendato durante i 'felici' anni Ottanta.
Ecco che allora, alla prova dei documenti disponibili, la valutazione così ricorrente degli anni Ottanta come decennio 'felice' per l'esercito italiano pare accettabile (più che in se stessa) solo se riferita relativamente ad altri periodi della sua storia, ancora più difficili, ancora più contrastati, ancora più drammatici.