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CAPITOLO PRIMO
Alle Origini Della Spedizione Per Massaua
Verso una politica coloniale italiana
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È stato acutamente scritto che talvolta l'imperialismo (o, nell'Italia degli anni Ottanta del secolo XIX, l' espansionismo coloniale) fu il mezzo con cui una nazione «poteva sentirsi una Grande Potenza, senza affrontare gli sfo rzi e le spese che generalmente questo im1
Perché questo potesse compiutamente realizzarsi erano però necessarie molte condizioni: fondatezza delle aspirazioni (i n questo caso, a 'grande potenza'), saldezza della guida politica nel perseguirle, beneplacito internazionale , coordinamento ed efficienza degli strumenti istituzionali - politici, diplomatici, militari - attivati. Poche di queste condizio ni erano presenti in Italia quando - a metà circa degli anni Ottanta - si cominciò a pensare più concretamente ad una presa di possesso diretta di territori non nazionali e non europei 2 .
1 TAYLOR. L'Europa delle grandi potenze. Da Mettemich a Lenin, cit., p. 382. Per una prima sintesi delle vicende del colonialismo italiano cfr. G. ROCHAT, Il colo· nialismo italiano. Torino, Loescher, 1973 .
2 Cfr. ivi, pp. 20-21; BATTAGLIA, Lapn'mague"a d'Africa, cit., p. 159; DEL BOCA, Gli italiani in Africa orientale. Dall'unità alla marda su Roma, cit., p. 3. Sostanzialmente, eludono la riflessione su tale cruciale problema C. GIGLIO, L 'impresa di MaJiaua 1884-1885, Roma, Ediz. Istituro Italiano per l'Africa. 1955; C. ZAGHI, Le ongini della colo nia En.trea, Bologna, Cappelli, 1934, e, al fondo, fa ugualmente lo stesso R. ClASCA, Storia coloniale dell'italia contemporanea, Milano , Hoc: p li, 1938. Per un quadro europeo cfr. SJ. WOOLF , La trasformazione del mondo europeo 1880-1910, in cQuaderni storici•, a. VII (1972). n. 2, e V. CASTRONOVO, Congiuntura economica e politica colonialista, in ivi. Per un primo inquadramento sui problemi principali della 'storiografia coloniale' italiana cfr. R. CIASCA, La politica coloniale dell'itgfia, in Questioni di storia del Risorgimento e dell'unità d 'italia , a cu ra di E. Rota , Milano, Marzorati , 1951; e R. RAINERO, Colonialismo e imperialismo italiano n ella storiografo italiana del secondo dopogue"a, in L 'Italia unita. Problemi ed interpretazioni storiografiche, a cura di R. Rainero, Milano, Marzorati, 1981. Due importanti ed
Comunque, anche un'ipotetica presenza di quelle condizioni non garantiva che, prima o poi, 'gli sforzi e le spese' - evitati al momento della nascita della politica colonia le - non avrebbero potuto divenire necessari o obbligatori in una seconda fase.
Nell' It al ia unita, pe r il g rave fa rdello d i p roblem i interni (e per il fatto che a lungo la politica estera aveva avuto come principale scopo quello di prevenire ch e fosse risollevata la 'questio n e roma n a') 3, concrete aspi raz i oni diplomatiche ad una seria espansione coloniale erano nate tardi 4.
Sp esso vi supplivano, creando miti e fa n tasie (come quello dell' Africa com e 'Venere nera' che a tt endeva impaziente un am p lesso italiano), l'interesse e l'iniziativa privata. Pio n ie ri e ' precurso ri' il col onialismo i t aliano, infat ti, n e e bbe . Ma erano spesso missi onari, viaggiatori ed avventurieri che - si a pure sotto l'occhio vigile e benevolo dell o Stato- si muovevano pe r proprio conto, con personal i mete di affari o di gloria 5.
Le cose potevano cambiare solo quan do, insieme a questi p e rson aggi isolati, si fossero mossi interessi economici so stanziali, o a lm eno intraprendenti . Ed all ora, co m e nel caso della mi ssio n e di Sap e t o aggiornate rassegne dal taglio problematico sono quelle di G.P. CALCHI NOVATI, Co · lonialismo: la questione, in Il mondo contemporaneo. Politica internazionale , a cura di L. Bonanate, Firenze, La Nuova ltalia, 1978; c A.M. GENTILI, Colonialismo: recenti sviluppi del dibattito, sempre in ivi. Assai utile aoche A. BOZZO, Colonialismo, in Il mondo contemporaneo. Gli strumenti della ricerca. Percorsi di lettura, v. I, Firenze, La Nuova Italia, 1981. Recentemente, ha destato in teresse l'antologia di L GOGLIA, F. GRASSI, Il colonialismo italiano da Adua all'impero, Bari, Late rza, 198 1. del1869, che viaggiava per interesse dell'armatore genovese Rubartino 6, si poteva anche mobilitare in prima persona lo Stato, inviando una nave militare e il futuro ammiraglio Guglielmo Acton 7. Ma nel primo ventennio di vita unitaria questi furono solo casi sporadiCl.
3 Cfr. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal1870 a/1896, ci t., p. 2 15; PERTICONE , La politica estera italiana dal1861 al1914, cir., p. 27.
4 GIGLIO, L 'impresa di Massaua. 1884 -1885, cit. , a p. 12, dice che «come detto , i Governi ital iani - dal 1861 al 1882 - non ebbe ro nessu n p rog ramma o indirizzo a -coloniali, un po' per paura e incapacità:>. Cfr. anche Il colonialismo nella stona d'Italta 1882 1949, a cura di G Bosco Naitza, Firenze, La Nuova Italia, 1975. Per una veloce sintesi cfr. J.L. MIEGE, L 'imperialismo coloniale italiano. Dal1870 ai giorni nostri, (1968), Milano, Rizzoli, 1976.
5 Cfr. F. SURDICH, Breve profilo di storia delle esplorazioni, Genova, Bozzi, 1974; ID. , Momenti e problemi di storia delle esplorazioni, Genova, Bozzi, 1976; ed anche ID., Esplorazioni geografiche e svduppo del colomalismo nell 'età della rivoluzione industnale, Firenze, La Nuova Italia, 2 voli. 1979-1980. Su aspetti più specifici cfr. poi M. CARAZZI, La Società Geografica Italtana e l'esplorazione coloniale tn Africa, Firenze, La Nuova Italia, 1972; A. MILANINI KEMENY , La Società d'Esplorazione Commerczale in Africa e la politica colomale, Firenze, La Nuova Italia, 1973 . Cfr. anche S. SACCONE , L BROCCOLI, G. MAURIZI, Aspetti politici ed economici nell'esplora · zione italiana deii 'Afnca (1864-1900), Bologna, Patron, 1976. Pe r un aspetto specifico cfr. L. FABBRI , La Società Geografica Italiana e l 'esplorazione deii'Etiopza, in cBollettino del Museo del Risorgimento di Bologna• , a. X (1965), pp. 27-38.
Gli interessi privati ce no si avvalsero anche dell'operato delle 'società geografiche', primo vero esempio di permanenti centri di propaganda coloniale. Ma queste, sia pure importanti ed in vari modi collegate al potere politico, non riuscivano ancora a prendere l ' estensione auspicata dai loro organizzatori 8 . Inoltre, fatto talvolta trascurato, molti dei loro membri risentivano ancora di una cena impostazione 'umaniscica' del pensiero geografico nazionale, impostazione per più versi 'pac ifica' , tollerante e quasi rousseauiana nei confronti dei 'popoli incivili' 9. Da questi si differenziavano, comunque, oltre ai veri e propri uomini d'azione, i geografi colonial isti , i - non molti ma battaglieri - sostenitori della ' geografia esploratri ce'.
Tutto ciò , insomma, confermava l'assenza di una vera presenza dello Stato o del Governo in quanto tali. Man cava una politica coloniale.
Strutturalmente, le cose cominciarono a cambiare forse dopo il 1878 quando, al Congresso di Berlino , l 'Italia fu all'inizio accolta da tutto il 'co ncerto europeo ' come 'grande potenza' 10. Non che questo segnasse un radicale mutamento nell 'imp ressione che Roma dava alle Cancellerie europee. Bismarck, pensando ai vari Stati regionali preunitari della peniso la , aveva detto in quel periodo a proposito dell'Italia che «dalla somma di tanti piccoli Stati non poteva uscire, ovviamente, che un grande Stato» 11 Ma Berlino nel1878 (sia pure senza considerare i reali esiti di quella che fu la presenza diplomatica italiana a quella assise) indicava un ceno mutamento di rotta: cosa che non doveva essere senza conseguenze anche per la politica di 'espansione coloniale'.
6 Cfr. BATIAGLIA, Lapn mague"a d'Afnca, cit., pp. 77 -87; DEL BOCA , Gli ilaliani in Africa on'entale Dall'unità alla marcia su Roma, cir., pp. 36-40.
7 Cfr G. FIORAVANZO , G VITI, L'opera della Man na, Roma , 1954 (che è il volume II della se rie storico-militare de L 'Italia in Africa).
8 Cfr CAR AZZI , La Società Geografica Italiana e l 'esplorazione coloniale in Afn'ca, cit., p. 40 e p. 52.
9 Cfr. L LUZZANA CARACI, La geograjza italiana tra '800 e '900 (dall'Unità a Olinto Mann ellt), Genova, Ti p Esse bi, 1983 (in testa al fronc.: Università di Genova. Facoltà di Magistero Pubblicazioni deii'Isciruto di Scienze Geog rafiche), p. 13 e sgg.
1° Cfr. PERTICONE , La politica estera italiana dal 1861 al 1914, cit., p. 12; AlBRECHT- CARRÉ, Storia diplomattca d 'Europa 1815-1968, cit., p. 194 e sgg. Cfr anche l'acuta si nte si di E. COLLOTII , Congresso di Berlino, in TI mondo contemporaneo. Politica tntemazionale, a cura di L. Bonanate , Firenze, La Nuova Italia, 1979, pp. 65 -76.
11 PERTICONE , La poltltca estera italiana rla/1861 al 1914 , cit., p. 16.
Proprio l'anno seguente, in coincidenza con lo scadere del trattato firmato un decennio prima da Sapeto per Rubattino (trattato con cui l'armatore genovese acquistava la baia di Assab ), si assisté ad un primo importante atto politico in quella direzione. Tra la fine del 1879 ed il maggio 1880 i contratti che rinnovavano la proprie tà privata di Assab e di una più larga parte del territorio che vi si affacciava venivano controfirmati, «in assenza di autorità consolari», da un militare della Marina italiana, il De Amezaga 12 .
Rubattino, però, intendeva disfarsi quasi da subito di questa sua 'proprietà', e iniziò le pratiche per vendere al Governo i suoi diritti sulla zona. E così, dopo una complessa vertenza diplomatica con l'Egitto, appianata dali' intervento favorevole all'Italia della Gran Bretagna , il Governo italiano prendeva possesso il 10 marzo 1882 della baia di Assab 13
Sia pure certo non all'interno di un vero piano complessivo coloniale, l'Italia aveva adesso la sua prima colonia. L'intervento politico e statale lo aveva sancito.
È ovvio, però, che gli interessi della politica estera italiana continuavano ad essere ben altri. Le preoccupazioni continentali non potevano non essere prioritarie, proprio quando tra le varie Potenze europee tornavano a manifestarsi i vecchi contrasti, appena sopiti e solo in parte riorientati dal Congresso di Berlino. La Germania continuava, nei confronti di Vienna, ora ad esagerare ora a minimizzare il fantasma del pericolo russo, per poter controllare meglio sia le aspirazioni dell'Impero Austroungarico sia quelle degli Zar , tra loro sempre più spesso contraddittorie 14. L'Inghilterra si poneva in frontale contrasto con la Francia a proposito del Mediterraneo e del protettorato sull'Egitto 15.
12 Lo ricordava BATTAGLIA , La prima gue"a d'Afnca , cit. , p. 141.
13 Tutti concordano sul valore del passaggio del 1882. Cfr. tra gli altri, GIGLIO, L 'impresa di Massaua 1884 -1885, cit., p. 13 e sgg. Cfr. anche L'Italia in Africa, serie storica, La politica coloniale dell'Italia negli atti, documenti e discussioni parlamentari, a cura di G. Perticone e G. Gugliella, Roma , 1965 (opera del Comitato per la documentazione dell'opera dell'Italia io Mrica, presso il Mininstero degli Mfari Esteri) e soprattutto L 'Afnca italiana al Parlamento nazionale 1882 - 1905, a cura di B. Pellegrini, Roma, 1907 (opera per incarico della Direzione Centrale degli Affari Coloniali del Ministero degli Affari Esteri).
14 Cfr. TAYLOR, L'Europa delle grandi potenze. Da Mettemich a Lenin, cit., p. 364 e sgg.
In tutto questo (e con pesanti interferenze di personaggi e motivi di politica interna negli ambiti della politica estera) 16, l'Italia cercava di consolidare il suo nuovo prestigio di ' grande potenza' continentale. La stipulazione del trattato della Triplice Alleanza, prima di tutto, rispondeva a queste es igenze
Ciò avveniva anche a scapito di - o comunque non favorendo -altri importanti e vitali interessi italiani. Era il caso del Mediterraneo.
È difficile infatti parlare di politica mediterranea , nell'Italia di quegli anni. Eppure i l problema esisteva: e toccava l ' autonomia , il non-accerchiamento, lo sviluppo futuro degli interessi commerciali, marittimi e strategici della nazi one I7. Qualche pubbli cista, da tempo, se ne era accorto e aveva predi cato il destino sui mari della 'terza Italia' 18 . Ma gli interessi economici che avrebbero dovuto sostenere una tale politica solo allora si stavano rafforzando e concentrando 19; e gli spazi diplomatici non erano tra i più ampi, proprio quandonelle vertenze che si erano seguite a propo sito di Marocco ed Egitto - era stato pesantemente riaffermato il potere marittimo mediterraneo della Gran Bretagna , disposta tutt'al più a tollerare una cena prevalenza francese ne l Mediterraneo occidentale.
In tali frangenti, in aggiunta a queste difficoltà st rutturali , il dato politi co che si era evidenziato da parte italiana era stato quello dell'incertezza e della co ntraddittorietà.
Quando l'Inghilterra nel 1882 aveva chiesto aJl'ltalia di intervenire assieme ad essa per poter istituire un protettorato sulle province egiziane (cosa che poi Londra fece comun que da sola), la politica estera di Roma fu per lo meno oscillante. «<n un primo tempo Mancini cerca di entrare nell'in tesa occidentale e, addirittura di so-
15 Cfr. ALBRECHT-CARRÉ, Storia diplomatica d'Europa 1815-1968, cit., p. 211 e sgg ' l6 Come ha sottolineato MINNITI , Esercito e politica da Porta Pia alla Tnplice Alleanza, cit., pp. 114-144.
11 Cenni , talvolta apologetici, in ZAGHI, P.S. Mancini e il problema del Mediterraneo 1884- 1885, cit l9 Cfr. ad esempio U. SPA DONl , linee di navigazione e costruzioni navali alla vigilia dell 'Inchiesta parlamentare sulla Manna mercantile italiana (1881·1882), in «Nuova rivista a. LVII (1973), n 3-4 , p. 313. stituire la Francia e di fare un accordo a due con la Gran Bretagna; poi punta risolutamente sul concerto europeo, un principio politico col quale egli pensa di non staccarsi dagli Impe ri centrali e, nel contempo, di tenersi legato alla Gran Bretagna. Ma quando questa la invita a cooperare in Egitto, rifiuta» 20. In tale altalena di posizioni diplomatiche , il dato notevole non pare tanto il perché di quell'ultimo, importante rifiuto , bensì la costatazione della assoluta mancanza di un piano 'mediterraneo' di pane italiana. In questo senso acquista maggior valore il fatto che una parte di queste oscillazioni fosse da ricondurre anche all'incerta posizione politico-parlamentare dello stesso Mini stro degli Esteri, sempre costretto a 'mediare' tra spinte politiche interne diverse e -come è stato notato a propos ito delle trattative che avevano condotto alla firma della Triplice Alleanzaampiamente contrastanti.
18 Cfr. CHABOD, Storia della politica estera italiana dal 1870 al1896, cit., p. 302.
Analogo comportamento si evidenziò poi all'ennesima manifestazione della cosiddetta 'questione marocchina' tra Francia e Spagna, nella primavera-estate del 1884 21 . Mancini assunse anche in questa occasione un atteggiamento non univoco e chiaro e solo quando la venenza pareva assestarsi da sola avanzò, difensivamente, il principio del mantenimento assoluto dello status quo nel Mediterraneo quale chiave principale della difesa degli interessi italiani nell'area. Ma era davvero troppo poco per poter parlare di un 'piano' italiano per il Mediterraneo.
Semmai, il dato interessante che era riemerso in quelle settimane del1884 era l'inesistente protezione offerta dalla Triplice Alleanza - firmata solo due anni prima - nei confronti degli interessi (anche solo difensivi) dell'Italia nel Mediterraneo. In tutta la questione 'marocchina', infatti, Germania ed Austria si disinteressarono completamente della minaccia che un'estensione della presenza francese sulle coste meridionali del Mediterraneo occidentale avrebbe potuto significare per l 'Italia marittima, per i suoi interessi commerciali e per la sua libertà d'azione strategica . Come se questo non bastasse, a ciò si doveva aggiungere anche una cena incoerenza degli stessi ambienti diplomatici italiani. Mancini, proprio quando predicava ed 'esigeva' il mantenimento dello status quo, dava disposizioni perché si studiasse un piano militare italiano di occupazione delle coste tripolitane , nel caso la Francia avesse dato vita a ulteriori forme di pressione armata sul Regno Marocchino 22
L'oscillazione diplomatica del Governo e lo stato di impotenza dell'intera politica nazionale avevano nel frattempo raggiunto e colpito l'opinione pubblica e parlamentare. Soprattutto i settori più conservatori della politica italiana mettevano sotto accusa l'operato del Ministro Manc.ni, peraltro uno dei più importanti esponenti della Sinistra storica e della maggioranza trasformista di Depretis. Da parte sua, l'anziano p residente del Consiglio non poteva non essere in qualche modo sensibile a queste proteste conservatrici, proprio quando egli andava continuamente spostando l'asse del suo Gabinetto verso Destra, rimuovendo e sostituendo Ministri 23. Il Ministro degli Esteri , quindi, si sentì 'mancare la terra sotto i piedi'.
A quel punto per Mancini, trovare un qualche successo io poliùca estera poteva significare allungare e legittimare la sua stessa presenza alla Consulta, prima ancora che comportare qualche decisivo miglioramento della situazione diplomatica dell'Italia.
Se davvero fossero costate , come avevamo de t to, ' poco sforzo e poca spesa', le imprese coloniali avrebbero potuto salvare Mancini.
La cosa non appariva in quei giorni senza fondamento.
Proprio in quella estate dell884, che era venuta dopo la brutta prova diplomatica italiana sulla questione marocchina , si era andato riaccendendo in Italia il dibattito politico sui temi coloniali. L' organo di stampa più autorevole dell'opposi zione conservatrice titolava significatamente «La Germania colonizza. E l'Italia?». La passata politica dei Governi Depretis a tale riguardo veniva icastivamente stigmatizzata, quando si scriveva che «Assab non è una colonia, è una parodia coloniale». «L'opinione» concludeva ammonendo «ma non sarà troppo tardi se si indugia troppo?» 24. Attraverso queste campagne di stampa, la D estra cercava di influenzare la successiva condotta italiana alla Conferenza di Berlino nella quale, nell'inverno 1884-85, le grandi potenze si sarebbero riunite per dirimere alcune importanti conuoversie coloniali 2 5. Se l'opposizione scalpitava, la maggioranza parlamentare sembrava invece lontan a dal pensare a ipotetiche imprese coloniali italiane.
22 Questa prospettiva si affacciò in due diverse occasioni: nella primavera 1884 e poi nell'aurunno di quell'anno (cfr. ZAGHI, P.S. Mancini e ti problema de/ Mediterraneo 1884- 1885, cit. , p. 74, che pubblica in appendice anche una lettera di Mancini a Ricotti in data 21 novembre 1884, ivi, alle pp 151-152).
23 Cfr. CAROCCJ, Agostino Depretis e fa politica interna da/ 1876 a/ 1887, cit., p. 309.
24 «L ' Opinione:., 22 settembre 1884 , La Germania colonizza, e l'Italia?.
Significativamente, il quotidiano portavoce degli ambienti più legati alla presidenza del Consiglio invitava i 'colonial isti' a tener presente che «le colo nie devono nascere laddove ci [fossero stati] davvero interessi nazionali , e non con atti di puro imperio politi co». E , dal momento che i più antichi e più consolidati insediamenti di Italiani all'estero erano localizzati in America Latina, era lì che doveva andare l'attenzione nazionale. In altre parole: niente colonie 26 . Riassumendo, l'incerte zza della politica estera di Man ci ni , la mancanza di una copertura diplomatica da pane della Triplice Alleanza, la sostanziale assenza di grossi interessi economici privati nazionali, il disinteresse se non la vera e propria ostilità della Presidenza del Consiglio: erano questi tutti fattori che inducevano a pensare che ancora per un lungo tempo non ci sarebbero state le cond izi oni per una politica col oniale italiana.
Invece, ed in gran segreto, tra l'estate e l'autunno-inverno 1884, Mancini preparò la spedizione di Massaua e con essa diede avvio all' espansione italiana in Mrica.
Le modalità con cui ciò fu fatto sono già in pane note 27: è comunque questo un aspe tto che non riguarda specificatamente questo studio, incentrato sulla conduzione politico-milita re della prima colonia italiana.
Ceno, di quelJa fase preparatoria qualcosa si riflesse ne lJ a vera e propria con duzion e della co lo nia: e gli stu di già disponibili sull'espansione coloniale italiana lo hanno più volte messo in luce.
La stessa scelta del luogo per la prima vera colonia italiana, sem- brava eccentrica rispetto ai tradizionali obiettivi (Mediterraneo) come alle mete che avvenimenti più recenti avevano sembrato valorizzare (Tripolitania) 28 .
25 L'importanza di quelle assisi era presemira anche dai contemporanei. Cfr. E. CATELLANI, Le colonie e la Conferenza di Berlino, Torino, 1885. Recentemente, sulla conferenza di Berlino, cfr. T. FILESI, L ' Italia e la Conferenza di Berlino 1882-1885, Roma, Ediz. Istituto !taio-africano, 1985.
26 cll popolo 6 agosco 1884, Le nostre colonie.
27 La bibliografia fondamentale sulla spedizione si riduce a: BATTAGUA , La prima gue"a d'Africa, cit. ; DEl BOCA, Gli italiani in Africa onentale. Dall'unità alla marcia su Roma, cir.; GIGLIO, L 'impresa di MaiSaua. 1884-1885, cir.; oltre al vecchio ma ancora utile L. CHIALA, La spedizione di Massaua. Na"azione documentata, To rino, Roux, 1888. Inoltre cfr. Storia militare della Colonia Eritrea, Roma, Tip. Regionale, 1935-1936 (io testa al front.: Ministero della Guerra. Ufficio Storico); Italia in Africa, serie storica, v. l. Etiopia e Mar Rosso (1857 - 1885), a cura di C. Giglio, Roma, 1958-1960; A. GIANNI, Italia e lnghdte"a alle porte del Sudan: la spedizione di Massaua {1885), Pisa, Nistri Lischi, 1940.
Continuò a mancare un vero e proprio piano di politica coloniale, la guida politica dell'impresa si rivelò poi superficiale quando non (e fu nella maggior parte dei casi) contraddittOria ed oscillante , il favore internazionale (con cui pure fu obiettivamente vista all'inizio questa prima spedizione coloniale italiana) parve poi dissolversi in momenti decisivi e drammatici. Dopo qualche tempo , e per noi significherà alla fine di questo studio , la politi ca col o niale italiana richiese molti più sforzi e molte più spese di quanto in un primo momento s1 era pensat o .
Ma, se questi erano aspetti che sarebbero diventati evidenti solo dopo qualche tempo , il dato che invece colpì immediatamente gli osservatori politici e l'opinione pubblica era il gran segreto in cui fu avvolta tutta la fase della preparazione della spedizione per il Mar Rosso.
Le stesse ' società geografiche ', che pure avrebbero potuto forse preparare una migliore campagna propagandistica per l'avvio di una politica coloniale italiana, non furono sufficie ntemente mobilitate. Tutto fu preparato tra poche persone: diplomatici , politici , militari. Tra i pochi segnali, per cui l'opinione pubbli ca poteva capire che qualcosa di impanante si stava preparando , i più autorevoli giungevano attraverso gli articoli del «Diritto», quotidiano considerato la voce ufficiosa della Consulta. Il l o gennaio 1885 , a conferma che la posizione attendista di Depreris era ormai stata gi à battuta nel segreto delle trattative politiche , il giornale scrive va che cobbligo dell'Italia è di stare bene attenta. Il 1885 deciderà delle so rti come grande potenza>. cL' anno nuovo comincia in mezz o alla fr e n es ia , ad un vero steeple -chase di acquisti coloniali in tutte le parti del m o ndo. L' aurora del 1885 illumina uno spettacolo non mai vedu to, quello delle bandiere di quasi tutti gli Stati europei piantate qua e là su litorali e sopra isole quasi dimenti cate». Ed a togliere qualsiasi dubbio si annunciava che «sorge adunque l'anno dell'ardim e nto » 29
28 cQuando venne la n otizia, d ell'occupu ion e di Massaua la cosa sembrava così stra n a che noi non volevamo crede rl a.. M,. CAMPER1 0, Da Assab a Dogali. Gue" e abissin e, Mil ano, D umolard , 1887, p. )7. E in sost anz a la p rima obiezione che g ià allora fu m ossa alla 'politica coloniale' dì Man cini. A livell o p ub b lìcistìco cfr. ULE MA (G iulio d ì Cast el nu ovo), Massaua o Tnpoli?, Roma, Stab. T ip og r . ! tal., 188).
29 L' artico lo de eli D iritto• sì trova ci tato in BATTAG LIA , La pn·ma g u e"a d'A· fnca, cìt. , p . 11 0 .
Si era in quei gi orni a sole due settimane dalla partenza da Napoli, il14 gennaio 1885, del primo convoglio militare per il lontano Mar Rosso. Il Governo motivò quella partenza di militari italiani con la volontà di punire gli autori del massacro di una spediz ione esploratrice italiana, quella di Bianchi, trucidata nell 'autunno 1884 in Mrica orientale; ma purtroppo non era la prima ad incontrare questa tragica ftne, e non sarebbe poi stata l'ulùma. Sino a quando gli fu possibile, il Governo indicò all'opinione pubblica il po rto di Assab quale meta del convoglio militare: così facendo si voleva accreditare l' ipotesi rassicurante di un 'rinforzo' di un possedimento gi à italiano, e non prospettare la più impegnativa meta di una conq u ista coloniale. Anche perché in questa seconda ipotesi, di fatto, viste le modalità con cui lo Stato italiano aveva ottenuto Assab (venalmente, da Rubattino), sarebbe stata la prima volta che la 'Terza Roma' si sarebbe incamminata sulla via del!' espansione co loniale.
Solo tre settimane dopo la partenza, in Italia si saprà che il battag lione di so lda ti italiani era sbarcato a Massaua (o Massawa, o Massua, o Massaoua, come indecisi riportano i giornali) il 5 febbraio 1885.
L'op inione pubblica, quindi, non sapeva molto. Il problema era sapere se il Governo conosceva più cose.
Un partecipe osservato re di quegli avvenimenti scrisse:
Il governo italiano incominciò allora a chiudersi nel più assoluto silenzio, così ha negato schiarimenti sulla sua politica assai più che qualunque ministro degli esteri avrebbero fatto in qualunque altro lib ero paese del mondo, e sono per dire anche non libero. Noi siamo stati tenuti, ed il paese con noi, soverchiameote al buio. Il Ministro quando ha discorso non ha mai esposto con una parola semplice, chiara, esatta. il concetto suo; e talora, pure di dire, ha divagato tanto e così lungamente che ha lasciato al Paese, ai deputati , una maggiore voglia , una maggiore stizza , direi , di non potere, attraverso discorsi così lunghi , giungere ad afferrare un'idea che pareva doveva essere rivelata da quelli. Questa condotta lasciò nel paese il sospetto che quello che non si diceva non si potesse per nessuna maniera dire , e provocò negli animi alternativamente illusioni ed accasciamenti 30
In conclusione: nei primi giorni della spedizione per il Mar Rosso, aspetti segreti e aspetti pubbli ci, questioni di politi ca interna equestioni di politica estera , parevano far temere che il primo tentativo coloniale italiano stesse nascendo sotto cattivi auspici.
30 A. BRUNIALTI , L'Italia e la questione coloniale. SJudi e proposte, Milano, Brignola , 1885, p. 321. Dei nomi di luogo e di persona è stata adottata la grafia del tempo, anche quando distorcente e talvolta errata. Lo si è fatto per non creare ambiguità tra testi con rraslirterazioae corretta e citazioni dal materiale documentario coevo con grafia errata. Più consistente era la questione rerminologica Etiopia / Abissinia. Quando non palesemente errato e talvolta pur coscienti della possibile imprecisione si è teso a considerare i due termini come simili. Si è cercato invece di non usare il termine Eritrea.
Per capire come mai si andò ugualmente a Massaua rimane ancora da guardare in due direzioni: gettando uno sguardo più lontano alle politiche coloniali delle altre potenze europee ed alle condizioni dell'area geografica in cui si voleva iniziata l'es pansione italiana , e gettandone un altro , più ravvicinato , all'ambiente ' colonialista ' nazionale , alle modalità diplomatiche con cui fu permesso all'Italia di Mancini ed a quel complesso di uomini e di s trutture militari di approdare sulle cost e del Mar Rosso
Il colonialismo delle potenze europee
N el penultimo decennio del secolo XIX il col o nialismo era già di venuto un sistema mondiale , con le sue leggi , le sue teorie , i suoi protagonisti 1 Era l ' inizi o d e lla spartizione del mondo in sfere di dominio politico e mili t are: ma l e grandi potenze europee arrivavano già preparate a quest ' appuntamento. I meccanismi diplomatici, politici , militari, ideologici che l'esperienza coloniale mise in moto erano già oleati quando, come è stato detto, «gli anni '80 videro l' esplosione della febbre coloniale in tutta Europa» 2
Silenziosamente, ma concretamente, da almeno un decennio si e ra iniziato a gettare le fondamenta di questo nuovo assetto delle relazioni internazionali a live ll o mondiale. Oltre l ' Inghilterra , che av e va solo da consolidare un impero già vasti ssim o e da 'completarlo ' in alcune zone cruciali , già altre potenze ave vano iniziato ad attivare quelle forze che avrebbero permesso la conquista ed il mantenimento di vasti imperi coloniali 3 .
Gli avvenimenti sarebbero da allora andati succedendosi senza tregua e, considerati sulla lunga durata dello sviluppo del mondo, avrebbero avuto effetti sconvolgenti 4 li continente africano, se nel 1870 vedeva solo un decimo del suo territorio in mano agli europei, nel1914 era completamente occupato e dominato dai bianchi, con la sola eccezione sporadica della Liberia e dell'Etiopia 5.
1 Sottolinea qu esto aspetto RAG IO NIERI , La storia politica e sociale, cit., p . 1747.
2 ROCHAT , U colon ialismo italiano , cir. , p . 2 1. Cfr. anche W . L. LA N GER, L'Europa in pace 1871-1890 , Fite nz e, Vallecchi , 19 55 ; e , p er talune linee di te n d en za, ID ., La diplom azia d ell'imperialismo 1890- 1902, Milano, ISPI, 1942 .
3 Cf r. F.H. HINSLEY , Introduzio n e, a S t oria del mondo moderno, v. Xl , L'espansion e colo niale e i problemi sociali 1870- 1898 , p . 44 .
E proprio su questo continente dovettero concentrarsi negli anni Ottanta le mire colonialiste delle potenze europee 6.
L'Inghilterra, che già nel 1867 aveva tentato di aggredire l'Etiopia, ma con scarsi risultati militari e politici, pareva fortemente interessata al controllo della zona del Canale di Suez ed in generale a quell'area, cosl strategicamente situata sulla rotta per l'India. Nel 1879 assunse, insieme alla Francia, un controllo congiunto sulle Casse del Tesoro del governo egiziano. Quando il movimento nazionalista di 'Arabi Pacha si ribellò a questa situazione di sudditanza, Londra non esitò ad inviare le sue cannoniere nel porto di Alessandria e a bombardarlo; ingaggiò poi battaglia con l'esercito di 'Arabi, lo sconfisse e diede inizio all'occupazione integralmente britannica dell'Egitto. Dopo qualche periodo di relativa calma, però un altro gravissimo problema veniva ad affliggere il dominio britannico nella zona: la rivolta religiosa e nazionalistica del Mahdi La ribellione popolare era partita dal Sudan, che dal1822 era considerato una delle provincie dell'Egitto, ma i suo i riflessi si sentirono in tutta l'area musulmana. La Gran Bretagna, sin dal momento deLla sua occupazione dell'Egitto, venne coinvolta quindi neJl'affare sudanese. Londra tentò di soffocare la rivolta, uno dei cui primi obiettivi era di riscattare l' au-
4 Stupisce in questo senso il giudizio di F. BRAUDEl, Il mondo attuale, Torino, Einaudi, 1966 (ed. coos. 1977), v. l, pp. 167-169. Circa l'Etiopia, cfr. anche ivi, p. 152 e sgg.
5 Cfr. W. MARKOV , Sommario di storia coloniale, Roma, Editori riuniti, 1961 (ma ed. coos. 1975), p. 39.
6 Per questi temi cfr. anche D.H. FIEWHOUSE, Politica ed economia del colonialismo 1870-1945, BaJi, Laterza, 1980; R. LURAGHJ, Ascesa e tramonto del colonialismo, Torino, UTET, 1964; C. GIGLIO, Il mondo africano, in Stona politù:a universale, Novara, De Agostini, 1971, v. VIII, pp. 161-446; R. RAlNERO, Storia dei'Afni:a dall'epoca coloniale ad oggi, Torino, ERI, 1966. Per un aggiornato e critico inquadramento cfr. G. CAROCCI, L'età dell'imperialismo, Bologna, Il Mulino , 1979. Assai datati, ma ancora difficilmente sostituibili da analoghe ricerche in lingua italiana, sono gli studi suJ colonialismo delle varie potenze europee Tra gli altri cfr. G MONDAINI , Storia colonide dell'epoca contemporanea, v. I, La colonizzazione inglese, Firenze, 1916;
C. GIGLIO, La politica afncana dell'lnghi/temz ne/secolo XIX, Padova, Cedam, 1950;
P. GIORDANI, L'impenizlismo coloniale tedesco. Come nacque e come finisce, Milano, 1915;
C. DI MARZIO , Ongini e sviluppo della colonizzazione belga, Napoli, 1938; tonomia del Sudan dal Cairo. La lotta ebbe fasi alterne. Ma nel novembre 1883 le truppe anglo-egiziane sub irono ad el-Obeid una disfatta militare pesantissima: il governo del Cairo fu costretto addirittura alle dimissioni. Il nuovo governo, formatosi 1'8 gennaio 1884 dovette inserire, di fronte all'estendersi del moto mahdista, come punto fondamentale del suo programma, il ritiro dell'Egitto dal Sudan.
R. RAINERO, L 'espansionismo colonide francese dalle ongini alla pn·ma guerra mondiale, in cTerzo programma•, a. III (1962), pp. 16-61.
Dal canto suo la Francia, in questo incoraggiata dall'opinione pubblica interna e dalla Germania, si era posta con l 'inizio degli anni Ottanta più decisamente sulla via dell' espansio ne coloniale. Da decenni presente in Algeria, e dopo l'alterna parentesi egiziana, si installò nel 1881 in Tunisia , nel 1883 aggredì il Madagas car e nel 1884 prese la Guinea.
La Germania, oltre ai suoi interessi nel Pacifico meridi onale, andava nel frattempo concretizzando i suoi precedenti sforzi diplomatici in direzione africana, dichiarando nel 1884 un suo protettorato su Togo, Camerun ed Mrica sud-occidentale.
Il Belgio, infine, che già dal1876 aveva fondato la 'Association lnternationale Africaine', istituì nel 1885 un proprio 'Stato libero del Congo'.
Questa breve analisi delle principali linee d'espansione europea in Mrica (e che quindi non tiene conto dei molteplici altri interessi che portavano nel frattempo l'Inghilterra in Afghanistan, la Francia in Cocincina e nel Tonchino, etc.) non fmisce casualmente con la questione del Congo 'belga'. Fu infatti proprio per dirimere alcune questioni diplomatiche in merito a tale occupazione che fu convocata a Berlino nell'inverno 1884-85 un'importante Conferenza delle grandi potenze coloniali (cui abbiamo già fatto riferimento in precedenza a proposi to delle aspettative che essa creò nell'opinione pubblica conservatrice italiana).
Dopo una prima fase di espansione coloniale, che aveva visto gli europe i occupare zone del territorio africano con atti unilaterali e con procedure assai diversificate da caso a caso (al punto da creare motivi di attrito tra le varie Potenze, come successe appunto per il Congo) , parve infatti necessario accordarsi in modo che gli aspetti diplomatici formali non costituissero più un intralcio a quella espansione. Fu così che, esaurito l' affaire Belgio-Congo, i rappre sentanti diplomatici europei trovarono opportuno stabilire una volta per tutte le modalità - diplomatiche e politiche - con cui una potenza europea poteva stabilire il proprio dominio , o protettorato , od occupazione , su un territorio ' non-civilizzato '.
L'Atto generale finale della Conferenza comprendeva sei dichiarazioni. Una di queste determinava che
La Potenza che d'ora innanzi prenderà possesso di un territorio sulle coste del continente africano, o che , non avendone avuto fino a quel momento, verrebbe ad acquistarne, o ugualmente , la Potenza che vi assumerà un protettorato, accompagnerà l'atto rispettivo con una notifica, indirizzata alle altre Potenze firmatarie del presente Atto, a fine di metterle in grado di far valere , se vi ha luogo, i loro reclami 7
Con il principio della 'notifica', si doveva quindi legittimare e dare nuovo impulso allo scramble for Africa: la spartizione dell'Africa fra le potenze europee aveva finalmente trovato la sua legge.
Anche l'Italia, che partecipò alla conferenza, sarebbe divenuta una 'potenza coloniale'? Anche se così' doveva alla fine essere, di lì a qualche mese, pochi lo avrebbero potuto credere a livello internazionale.
Si era saputo, per esempio, che Roma aveva fatto fatica persino per essere presente alla conferenza.
L'Italia faticava ad essere considerata a tutti gli effetti una 'grande potenza' , anche dai suoi alleati. Fu proprio la Germania infatti a commettere, nei confronti della 'terza potenza' della Triplice un grave sgarbo diplomatico. Bismarck infatti non invitò alle prime alcun rappresentante italiano.
Questo significava considerare il Regno di Umberto I alla stregua di una qualsiasi potenza minore, come la Spagna, la Grecia o la Bulgaria.
Fu solo in un secondo momento che Mancini riuscì a far correggere questa umiliante decisione di Bismarck , «vedendo che l ' Italia non era chiamata a intervenire nella Conferenza preliminare per la questione dell'Africa occidentale- come scrisse poi lo stesso Mancini in un suo appunto per Depretis, non rimanendo alle Potenze posteriormente invitate che accettare passivamente, oppure respingere con proprio danno, le prese deliberazioni» 8. Ma anche una volta ammessa a tutte le riunioni della Conferenza di Berlino, quella di Bismarck non sarebbe stata l ' ultima delle umiliazioni che l'Italia avrebbe dovuto tollerare sulla via del suo colonialismo.
7 Il passo citato in Somalia , v. I, Dalle on'gini al 1914, Roma, Tip. Regionale , 1938 (in testa al front.: Ministero della Guerra. Ufficio Storico), p. 47.
8 ACS, Carte Depretis , serie quarta , se. 7bis, fase. 73 , 18 ottobre 1884, Mancini a Depretis. In generale, cfr. P. MAYER, La politica coloniale di Bismarck alla luce dell'impen'alismo, in «Storia contemporanea» , a. V (1970), pp. 307-320.
Anche per quel minuscolo possesso coloniale che sarebbe stato Massaua, l'Italia fu costretta a lunghe e defatiganti trattative diplomatiche con l'Inghilterra, prima che questa concedesse il suo benestare ad una limitata e circoscritta installazione di truppe italiane sulle coste del Mar Rosso.
La decisione di Mancini di consultare Londra non era casuale. Prima di tutto l'Inghilterra era la massima potenza imperiale del mondo e controllava tra l'altro il Mediterraneo orientale e il Canale di Suez; inoltre essa era la potenza maggiormente insediata nella zona dell'Africa orientale; infine quei porti sul Mar Rosso che Mancini avrebbe voluto far occupare dai soldati italiani erano proprio alcuni di quei territori che, l'Egitto- e con esso l'Inghilterra- deteneva, ma che entro breve tempo avrebbe dovuto abbandonare (secondo il programma del nuovo governo cairota e secondo quanto Londra stava autonomamente trattando con il Negus abissino, come poi vedremo meglio).
D'altra parte la Triplice Alleanza non prevedeva nel suo primo trattato alcuna forma di 'copertura' per gli interessi o per le ambizioni italiane nel Mediterraneo e tantomeno in Africa. Mancini, che quel trattato aveva firmato, lo sapeva bene. Qualche tempo più tardi, quando le realizzazioni della politica coloniale italiana ebbero bisogno di propri miti, si accettò l' interpretazione per cui era stata addirittura l'Inghilterra ad avere chiesto l'intervento, militare e coloniale, dell'Italia nel Mar Rosso 9. Queste ricostruzioni, ingigantendo alcune voci diffuse ad arte dalla Consulta nelle prime settimane della spedizione di Massaua, sono del rutto prive di fondamento. Certo vi fu un interesse inglese a che l'Italia andasse in quelle zone, tra Assab e Massaua; ma vi fu al solo scopo che non vi si istallassero invece altri e ben più potenti Stati europei 10. Era questo, infatti, l'aspetto più preoccupante del 'piano' di Mancini per il Mar Rosso: anche solo una superficiale conoscenza dei luoghi e dei piani coloniali delle varie potenze avrebbe dovuto far risultare infatti che proprio su quell'area tra 'Eritrea', Etiopia e Suclan che vide le prime prove e che conobbe le prime aspirazioni coloniali dell'Italia, si stavano addensando le mire più varie.
9 Avvalorava questa ipotesi (peraltro fatta diffondere anche in contemporanea agli eventi) già CHIALA, La spedizione dt Massaua. Narrazione documentata, cit., p. 126 e sgg.
10 Esplicativa la canina geografica inserita in GIANNI, Italia e Inghilterra alle porte del Sudan: la spedizione di Massaua {1885), cit., tra p. 48 e p. 49. Ma cfr. anche DEL BOCA. Gli italiani in Africa orientale. Dall'unità alla marcia su Roma, ci t., p. 177.
La Francia, che proprio in quei mesi rivitalizzava i porti di Obok e Tagiura, aspirava ad incunearsi dal Mar Rosso verso l'interno. La Germania avrebbe visto con interesse la costituzione di un tutto continuo, sotto il suo dominio, tra i suoi possedimenti africani subequatoriali e i ricchi altipiani etiopici e sudanesi. Il Belgio, tramite il suo 'Stato libero del Congo', avrebbe potuto ottenere, attraverso una sua ingerenza anche in questa zona, una egemonia continentale centroafricana temibile. La stessa Etiopia, tra l'altro, avrebbe potuto inserirsi proficuamente nel vuoto di potere lasciato dal ritiro apglo-egiziano dal momento che, conquistata Cassala e liberato il territorio dalle minacciose scorribande mahdiste, avrebbe liberamente potuto aprire e chiudere le pone commerciali del ricco Sudan.
In un ceno senso, era solo l'imperversare della rivolta mahdista - religiosa e sociale insieme - a frenare in quei mesi tra il 1884 ed i11885 le ambizioni delle varie potenze interessate ad un contro llo di quelle aree. Le grandi potenze europee, oltre che a causa delle proprie reciproche contraddizioni diplomatiche, dovevano fermare i loro disegni (e le loro diplomazie, e i loro eserci ti) di fronte ad una rivolta popolare musulmana, capeggiata da un leader misterioso e poco conosciuto l l.
L'Europa coloniale attendeva che la situazione si fosse almeno in pane chiarita, per poter poi decidere sul da farsi.
Chi non voleva attendere (quando mai si sarebbe ripresentata una situazione simile?) né poteva aspettare (quanto tempo gli avrebbe ancora concesso in Parlamento l'opposizione conservatrice?) era invece Mancini.
La politica interna, la stessa permanenza di Mancini alla Consulta avevano bisogno di un 'successo' in politica estera: qualcuno parlò anche, eccedendo, di 'diversivo estero' rispetto alla più grave questione del dibattito parlamentare di quei giorni (le convenzioni ferroviarie) 12 . Di fatto, la panicolare congiuntura diplomatica e il momento di stallo imposto dalla rivolta mahdista alle mire delle altre potenze fecero forse intravedere a Mancini la possibilità di un successo 'senza sforzo e senza spesa'.
11 Qualche informazione in C. ROSSE1TI , Storia diplomah'ca deU' EJiopia durante il regno di Menelik Il, Torino , Nazionale , 1919; od an che io M. PIGU, L 'Etiopia moderna colle sue relazioni internazionali 1889-1931 , Padova, CEDAM, 19 31.
12 La voce circolava già allora anche ua i militari. Cfr. l'opuscolo del generale A BRIGNONE, La voce dell'ultima ora sulle convenzionife-rroviarie in discussione innanzi alla Camera dei DeputaH, Roma, Tip. della Pace, 1885, p. 23.
Ma tu tto rimaneva nelle mani di Londra: se questa, nelle trattative dell'autunno-inverno 1884 avesse rifiutato l'accordo, il piano di Mancini sarebbe certo naufragato nel nulla. Perciò, pur di riuscire , egli avanzò richieste assai contenute. Egli fece chiedere dall'ambasciatore italiano a Londra se il Governo britannico avesse visto «senza gelosia una modesta estensione del nostro possedimento [di Assab] ( ... ) e fosse stabilita, se non mercè annessioni territoriali, almeno io altre forme da determinarsi, l'autorità italiana» 13
In sostanza Roma chiedeva a Londra l'autorizzazione a partire, e non voleva per allora definire le modalità precise (diplomatiche e politiche) della sua futura presenza in Mar Rosso. La cosa poteva essere io parte giustificata dal fatto che mal si conveniva ad una potenza minore dettare regole ad una potenza imperiale come quella inghese: ma piuttosto che eliminare il problema (quale era lo scopo reale della prima spedizione coloniale italiana: annessione? occupazione? protettorato? semplice influenza?), lo rimandava.
Come vedremo, proprio questo aspetto istituzionale (ma in realtà politico) fu uno dei massimi crucci degli amministratori coloniali locali e dell'intera diplomazia italiana del primo periodo della presenza a Massaua 14 .
L'acco rdo infatti tra Italia ed Inghilterra, cui si addivenne nel dicembre, si basava su un equivoco di fondo, perché l'Inghilterra pensava ad un 'occupazione italiana temporanea delle coste del Mar Rosso( ) mentre l'Italia( ) pensava ad una conquista definitiva15.
Mancini sottovalutava l'aspetto istituzionale, accontentandosi solo del successo politico personale che la accordata benevolenza inglese alla spedizione italiana significava per lui Invece, andando a fondo oell' esame di quell'aspetto, Mancini avrebbe previsto con chiarezza tutti i primi pericoli cui sarebbe andato incontro nei mesi successivi la spedizione italiana. E avrebbe capito meglio perché l'Inghilterra si mostrava così disponibile nei confronti dell'Italia, che di fatto faceva pane di un'alleanza (la Triplice ) i .cui interessi erano divergenti da quelli inglesi.
Londra, infatti, manteneva e perfezionava i suoi piani di espan- n Citato in GIGLIO , L'impresa di Massaua 1884-1885, cit., p. 27. sione e di controllo in quell'area dell ' Mrica orientale.
14 Qualche accenno superficiale e troppo indulgente in E. DE LEONE, L'occupazione diMassaua e ii condominio itala-egizio, in «Rassegna italiana>, a. 1954 , pp. 359-367.
GIGLIO, L'impresa di Massaua. 1884-1885, cit., p. 29.
L'Inghilterra dopo lo smacco di el-Obeid si era mossa su due piani (diplomatico e militare).
A livello diplomatico aveva inviato una missione al Negus. In quei giorni il problema principale era garantire l'indenne ritiro delle forze anglo-egiziane dal Sudan scosso dalla rivolta mahdista. L'Ammiraglio Hewett, a capo della missione, riuscì ad ottenere che il Negus si facesse garante di quel ritiro , da svolgersi attraverso il territorio abissino; in cambio il Negus avrebbe avuto la concessione del paese dei Bogos, una fertile regione dominante le coste del Mar Rosso, e la cointeressenza economica ed il condominio istituzionale (anglo-egizio-abissino) a Massaua, che era il principale sbocco al mare dell'intera regione. Il trattato Hewett, che per l'Inghilterra rivestiva una garanzia ed una importanza solo temporanea e transitoria (legata al momento del ritiro delle truppe) insieme alla conferma del suo prestigio , ebbe invece a costituire un elemento 'istituzionale' con cui tutte le potenze che fossero intervenute nella zona avrebbero dovuto fare i conti. Tra loro, per prima, proprio quella italiana. Con i suoi confini così mal stabiliti (tra area di influenza abissina e territorio anglo-egiziano , che appunto si apprestava a divenire italiano) il uattato Hewett non doveva tardare a divenire il ' pomo della discordia' tra Italia ed Etiopia 16 o, il che era lo stesso, se pure talvolta i Comandanti militari italiani non se ne avvidero, tra Corpo di spedizione italiano ed esercito abissino .
Al livello militare , inoltre, l'Inghilterra si era premunita occupando Suakim, il miglior pono naturale del Mar Rosso, e inviando a garanzia dello sgombero di Khanoum (dove arrivarono ad essere presenti 6.000 soldati britannici su SS.OOO abitanti ) il generale Gordon con un nerbo di truppe. Qui, paradossalmente , il piano inglese cominciò ad incontrare i primi intoppi. Se Gordon era incaricato di presiedere al solo sgombero della guarnigione, poi non volle estranearsi dai tentacoli della complessa situazione civile e religiosa della zona (ed in sostanza dalla rivolta mahdista). A quel punto, mentre Cassala, stava per essere sgomberata sotto l 'egida abissina, Khanoum mahdista teneva in scacco Go rd on e la sua potente guarnigione. Seppure con riluttanza , Londra fu costretta ad organizzare un'altra spe- dizione: questa, comandata dal gen. Wolseley, partì da Suakim per aiutare Gordon.
16 La defini zio n e è in G IANNI, Italia e Ing h ilt erra alle porte d el Sudan : la sped i · zion e di Massaua (1885), cit., pp 97-9 8 Ma cfr. an che GIGU O, L 'im p resa di Massaua 1884-1 885 , cit. , pp 158 ·1 59.
Lo scopo ultimo di queste manovre era quello, come abbiamo d!etto, di non perdere tutte le chanches britanniche nell'area. Lond!ra, molto probabilmente, considerava lo smacco di el-Obeid solo momentaneo e pensava di poter riprendersi tutto il Sudan, anche se a costo di una momentanea 'ritirata strategica' 17 (magari anche da sola, senza l'impaccio egiziano).
Ed è in sostanza a questo punto che arrivava Mancini con le sue proposte.
In realtà, rispetto a quella che era stata la sua stessa linea di condotta seguita in politica estera sino ad allora, la decisione di Mancini di inviare truppe nazionali in fondo al Mar Rosso costituiva una svolta, decisiva e impegnativa. Non tanto perché, come talvolta si è stati propensi a sottolineare, egli si era dichiarato sfavorevole ad espansioni coloniali o perché aveva sempre detto di preferire la via pacifica dell'espansione dei commerci e dei contatti economici rispetto a quella militare delle occupazioni e dei protettorati. Quanto perché sino ad allora aveva sempre ripetuto che una delle massime preoccupazioni italiane doveva essere quella di garantirne gli interessi mediterranei: e davvero, anche ai suoi contemporanei, appariva difficile comprendere come quella occupazione di Massaua avrebbe potuto dare all'Italia le chiavi del Mediterraneo.
Egli voleva far credere che dall'assenso britannico sarebbe potuto nascere tutto un nuovo clima di rapporti tra Roma e Londra, che avrebbe permesso forse di non restringere la politica estera italiana dentro i confmi angusti della Triplice: e forse, in questo, Mancini sperava davvero, ingenuamente. Ma così facendo, egli sottovalutava quelle forze interne ed esterne che invece puntavano sulla Triplice: la quale sola, allora, sembrava poter garantire i ben più importanti interessi continentali deU 'Italia. Inoltre Mancini sopravvalutava in questo quadro la volontà e la disponibilità inglese 18.
Londra accettava la situazione del Mediterraneo quale allora si era venuta a creare: con una predominanza francese ad ovest ed inglese nel centro e ad est. E non voleva sconvolgerla, solo per permettere all'Italia di stabilirsi in Tripolitania (da più parti considerata, allora, la vera chiave del Mediterraneo, per Roma), dal momento che non credeva che l ' Italia potesse essere un valido baluardo antifrancese.
17 Una prima ricostruzione è in GIANNI, Italia e Inghilte"a alle porte del Sudan: la spedizione di Massaua {1885}, cic., p. 67 e sgg.
18 Ingiustificate le deduzioni di ZAGHI, P.S. Mancini e il problema del Mediterraneo 1884-1885 , cit., p. 111.
Di questo (ammesso che i 'piani' o le idee di Mancini avessero potuto andare così lontano, sino a p refigurare una alterazione dello status mediterraneo) se ne sarebbe accorto qualche an no dopo il successivo Ministro degli Este ri italiano, Di Robilant, che vide comenei mesi che precedettero il primo rinnovo della Triplice -l 'Inghilterra accettava di fo rmare assieme all 'Italia un 'intesa mediterranea' al solo scopo però della conserv:uione dello status quo e non della sua alterazione (come un'eventuale egemonia, formale od informale, italiana sulla Tripolitania avrebbe di fatto significato).
Ecco perché, per allora, l'Italia otteneva illasciapassare inglese per Massa u a: ma niente di p i ù.
Nel fra tt em po andava ad insediarsi in una regione surriscaldata dai mah(iisti, ambita da più potenze, al l 'interno di un piano ing lese di cui Mancini non aveva colto con esattezza gli scopi immediati e remou.
Colom'alismo italt'ano e A/n'ca on·entale
Tu tto questo non era noto all' opinione pubb lica. Ma anche solo la scelta di Massaua, a prescindere dagli scopi segreti cui essa pareva subordina ta nella mente d i Mancini, non poté non disorientare buona parte dello stesso ambiente colonialista italiano.
Esso era ben l ungi dall'esse re compatto e, all'incirca in quella fine del 1884, poteva essere diviso in più 'correnti', ognuna delle qu ali propugnava un proprio indirizzo d'espansione: la prima - forse la più numerosa, rappresentata dal Brunialri e dal Camperio in prima flla- era favorevole all'acquisto della Libia (allora si diceva della Tripolitania) sia in sé e p e r sé, sia come eventuale punto di partenza che, attraverso il Sudan, ci portasse al Mar Rosso; una seconda - assai ristretta, rappresentata dal giornalista Bianco Bianchi, ma alla quale , in un certo senso, aderivano Cristoforo Negri e il capitano Cecchi - sosteneva che di fronte alle difficoltà diplomatiche di un 'imp resa libica e alla scarsa importanza di Assab e in genere delle coste del Mar Rosso, convenisse occupare i territori da Capo Guardafui a Mozambico o quelli attorno alla foce del Congo; la terza - assai numerosa anche essa e che in un ceno senso annoverava lo stesso Camperio oltre al gruppo di coloro che avevano già operato in Africa Orientale (Branchi, De Amezaga, Cecchi, Martini, Antonelli) - propendeva verso l'Africa Orientale, sia pure in maniera non concorde: chi preferiva il nord (Camperio) e chi il sud (Aotonelli) dell'Abissinia, chi Zeila scanando l 'Abiss inia (S. Martini) e chi (Cecchi) guardava tanto al Mar Rosso quanto all'Oceano Indiano, chi infine preferiva il Harar (senatore Vitelleschi, al Senato, 21 marzo 1885 ) 1
Persino secondo quelle correnti colonialiste che guardavano al Mar Rosso (e non erano ceno le più importanti) Massaua in quanto tale non figurava tra gli obiettivi possibili.
Per di più, proprio in quegli anni, pareva che lo stesso possedimento dì Assab andasse incontro a diverse difficoltà. Il porto si insabbiava (e Mancini presentava progetti di legge per migliorarlo) 2 e le stesse carovane locali semb ravano allontanarsene, ora per le scorribande mahdiste, ora per le migliori condizioni che venivano loro offerte dai porti francesi di Obok e Tagiura 3.
Lo scopo economico, inoltre, sembrava difficilmente invocabile per Massaua: una località che, come fu ammesso qualche anno dopo, presentava «per noi il grave in conven iente di trovarsi in un mare chiuso, di cui gli sbocchi sono in mano ad altre potenze» 4.
A questa serie di svantaggi, infine, si aggiungeva l'elemento climatico particolarmente sfavorevole, a proposito del quale c'era chi scriveva che «Massaua è veramente una fornace, e giustamente i geografi affermano che è uno dei punti più caldi del globo» 5.
Solo qualche tempo dopo la 'conquista', si iniziò ad intravedere la misera realtà del primo possedimento coloniale italiano.
Chi va a Massaua si prepari a trovar fresco l'ardente soffio del deserto, grata l'insipida e qualche volta anche fracida [sic] acqua , soffice e delizioso il nudo terreno, ed a farsi amico con sorci, serpentelli, scorpioni, tarantole, mosche e zanzare a miriadi 6.
1 G. GIGLIO , La politica africana di Agostino Depretis, in «Annali pavesi del Risorgimento•, a. IV (1965), p. 23.
2 Si tratta del progetto di legge n. 242, presentato alla Camera il 28 giugno 1884.
3 Qualche traccia di questo già nella pubblicazione riservata Obok e Tagiura, (in testa al front.: Comando del Corpo di Stato MagS"iore. I repano. III Ufficio), del cap. N. D 'Avanzo , significativamente datata 2 febbra10 1884. Una copia in AUSSME, Volumz' Eritrea , v. 55.
4 M. CAMPERJO, Da Assab a Dogali. Guerre abissine, cit. p. 56. Per orientarsi nella vasta produzione pubblicistica 'colonialista', utile si rivela M. MOZZATI , L'afn'canismo italiano dal '400 ai giorni nostri, v. I, La produzione bibliografica, t. 2 , (1886-1957) Dal Catalogo Unico per le biblioteche italiane, Pavia, (Milano, ltalcanografica), 1979 (in testa al front.: Istituto di storia ed Istituzioni dei paesi afroasiatici dell'Università di Pavia).
· 5 L. NEGRJ, Massaua e dintorni. Dogalz: Saati, Ai/et. Da Cheren agli Abab e il deserto. Descn'zioni, viaggi e notz'zie agn'cole , Valenza, Tip. Farina, 1887, p. 8. 6 lvi, p. 7.
Il tutto si rifletteva, e pesava, non tanto su quegli Italiani (pochi) che deliberatamente avevano deciso di lasciare la penisola per tentare la fortuna (commerciale, esploratrice o chissà quale altra) in territorio coloniale e africano, quanto su quelli che- obbligatoriamente - erano stati costretti a recarsi 'in colonia'. Tra questi, i primi funzionari pubblici e soprattutto i militari: tra i quali, ufficiali o giovani di leva che fossero, cominciava a girare la diceria per cui «chiedere di andare volontariamente in Africa equivaleva alla confessione di essere assillato dai creditori o di avere qualche rotella del cervello fuori posto» 7.
Sinteticamente, poi, è stato scritto: alla soglia del 1885, appena una decina di italiani vegetavano miseramente sulla costa eri crea, imprecando quotidianamente alla vita miserabile e sordida che conducevano e aU'avverso destino che li aveva portati laggiù 8_
Sia che fossero una decina, sia che fossero un po' di più, isolati sulla povera e torrida costa o alloggiati comodamente presso le corti dei sovrani locali sugli altopiani, gli italiani che già prima della presa di Massaua si trovavano in Abissinia contavano assai poco. Qualcuno aveva finito di fare l'avventuroso esploratore ed aveva trovato una qualche fruttuosa sistemazione; qualcun'altro viveva del commercio d'armi; altri - più dotati o fortunati - si erano fatti apprezzare dai capitribù o dai ras delle varie aree dell'Impero etiopico per le proprie capacità artigianali o professionali di architetti, medici, falegnami. Quando hanno potuto, essi hanno lasciato una non copiosa ma interessante memorialistica: le loro descrizioni di paesaggi e di personaggi abissini hanno spesso costituito l'unica fonte d'informazione per gli storici dell'espansionismo italiano. L'essers i sparsi questi 'precursori' un po' in tutta l'area abissina (dallo Scioa al Tigrè, dai Galla all'Harrar al massauino) ha poi facilitato agli studiosi italiani la conoscenza di varie e diverse vicende. Quello che però questa letteratura memorialistica non può fare è aiutarci a disegnare un quadro sufficientemente preciso del delicato momento di trapasso attraversato dall'Impero etiopico nei vent'anni tra il suicidio di Teodoro II e l'ascesa al trono di Negus Neghesti di Menelik. A seguire, in sostanza, gli anni difficili e contrastati del regno di Giovanni IV non ci aiuta poi nemmeno tanto la stessa letteratura pubblicistica delle società co loniali e degli ambienti espansionistici ad esse co llegati: una letteratura più informata e 'sc ientifica ' di quella degli esplo ratori ma certo ancora lontana dali' essere riuscita a identificare al suo tempo le profonde linee di tendenza che attraversavano e ri compo nevano in quegli anni l'Impero del Re dei Re. Una letteratura, infine, quella delle società coloniali, che non sempre era conosciu ta dalla classe politica (dai diplomatici , dai militari, etc.) e che quindi più di una volta non era riuscita ad influire direttamente sulla determinazione degli scopi e dei mezzi della politica coloniale nazionale 9 . Come se non bastasse, sia la pubblicistica delle società coloniali - tanto più quan to sopraffatta dalla vuota propaganda- sia la memorialistica dei primi italiani in Abissinia soffrono di un grave difetto: quello di esagerare il peso, l'influenza o la presenza italiana al momento delle grandi scelte politiche nella regione. In questo modo, la storia dei popoli e dei regnanti abissini viene espunta e falsata , o perlomeno rimane incompresa. Analogamente, di riflesso, la storia della politica e dell'espans ione coloniale italiana è stata troppo spesso ricostruita dall'interno tramite l'alternarsi di Ministri, di ambasciatori , di comandami militari; mentre il peso dell'aggressione coloniale è stato talvolta sopravvalu tato nell'analisi della politica degli stati aggrediti.
7 A SAPELL!, Memon'e d 'Africa. 1883-1906, Bologna, Zanichelli, 19 35, p. 4.
8 ZAGHI, P.S. Mancini, l 'Africa e iJ problema del Mediterraneo. 1884-1885, cir. , p. 43.
Il difetto ricordato di quella lette ratura è tanto più grave quando si esaminano i primi passi dell'espansione coloniale italiana. È già stato più volte ricordato quanto scarsa fosse la conoscenza della storia, della cultura, della società e delle guerre dell' Mrica orientale, a metà degli anni Ottanta del secolo scorso tra i politici , i diplomatici e i militari italiani. In questo senso, anzi, la paura del misterioso e de ll 'ignoto - che è stata notata nell'opera e nell'attività dei primissimi esploratori europei in terra africana- doveva in qualche modo farsi sentire anche tra i primi colonialisti italiani sbarcati a Massaua all'inizio del 1885. Ma, sop rattu tto, la mancanza di informazioni generava - oltre che il timore - l'incertezza e l 'oscillazione politica, la sottovalutazione militare dell'avversario, l'immoti vata sicurezza.
Fino a che punto g li organizzatori della spedizione pe r Massaua conoscevano il confuso agitarsi delle rivalità regionali e dei conflitti personali tra i regnanti dell'area coperta dali ' Imp ero abissino? Sia pur con i loro limitatissimi obiettivi iniziali (Massaua e la costa), si rend evano essi conto di essere solo gli ennesimi aspiranti a tentare di trar vantaggio dalla crisi politica dell'Impero abissino? Prevedevano essi che, una volta sbarcati sulla costa dell' Mrica orientale, difficilmente avrebbero trovato le popolazioni locali pronte ad una cooperazione più o meno servile con I' occupante e che prima o poi dall'Etiopia o dalla 'Eritrea' per motivi diversi sarebbe spirato il vento fone della resistenza anticoloniale?
Alcuni dati essenziali vanno ricordati 10 La spedizione inglese del 1868, se anche aveva alla fine fatto crollare la resistenza etiopica, non era stata che una delle pressioni che l'Impero di Teodoro II aveva dovuto sopportare. La Turchia dalla costa del Mar Rosso non aveva mai fatto mistero di voler espandersi verso l 'interno. L'Egitto, dal nord, con il suo controllo più o meno saldo del Sudan , costituiva una minaccia difficilmente trascurabile per un Impero fondato di fatto su una federazione di tribù e di regni su basi multirazziali e pluriconfessionali, un impero che la continua spinta autoritaria e centralizzatrice di Teodoro teneva assieme. Quando poi nel1866 alcune località della costa passarono dalla Turchia all'Egitto, i confini dell'Impero di Teodoro furono di fatto messi a nuova prova: dal Cairo la spinta espansionistica dei successori di Mohammed Ali tornava a farsi sentire.
L'uno militare della potenza inglese con il numeroso e valoroso ma meno organizzato e peggio armato esercito abissino non fece che rivelare alcune delle vecchie crepe del sistema etiopico. Ciò permise l'accentuarsi di una relativa e conflittuale autonomia delle regioni più periferiche e più lontane da quello che era sempre stato il centro dell'Impero: l'altopiano etiopico.
10 Tra le varie bibliografie introduttìve, cfr. A. HIDARU , D. ROHMATO , A Short Guide to the Study ofEthiopia. A generai Bibliography, Westport, Conn , London, UK, Greenwood Press , 1976, e C F. BROWN. Ethiopian Perspectives. A Bibliographical Guide to the History ofEthiopia, Westport, Conn .• London, UK, 1978. Cfr. anche H.G. MARCUS, The Modero History ofEthiopta and the Horn ofAfrica. A Select and Annotated Bibliography, Stanford , Hoover Press, 1972. Due classiche , anche se ormai datate , storie generali sono R. GREENFIELD, Ethiopia: A New Polittcal History, New York , Praeger, 1965, e E.S. PANKHURST , Ethiopza: A Cultura/ History, Essex, Lalibela, 1965. Fondamentali , per queste nostre successive pagine, tutta una serie di riferimenti e di notizie tratte dalla bibli ografia qui ed altrove citata, nonché da taluni report dell' lntelligence dell'esercito inglese del tempo, che seguiva con attenzione e con preoccupazione gli eventi nell ' area tra Etiopia e Sudan. Affrettato e superficiale appare L 'ltalza in Africa , serie scientifico -culturale, Studi t'taliani di .etnologia e f olk/ore dell 'Africa orientale. Enirea, Etiopia, Somalza, Roma, 1st. Poligr. dello Stato, 1973, (testo di E. Pavante)
Regioni come lo Scioa e il Tigrè finirono per assurgere a nuova importanza al punto che il nuovo imperatore fu nel 1872 il tigrino Giovanni IV. L'oggettivo spostamento geografico del baricentro del potere imperiale, se lo rendeva più sensibile agli e venti ed alla sorte delle regioni settentrionali di quanto lo fosse stato sinora nella sua stor ia millenaria, non significava però una soluzione di continuità nella volontà di tenere unite le varie regioni etiopiche; sottolineò anzi gli elementi nazionalistici e religiosi per i successori dell'Impero aksumita. Ad una importante differenziazione, invece , si assisté nel concetto e nella pratica del potere al tentativo di forte centralizzazione di Teodoro II successe l'orientamento di Giovanni IV verso qualcosa di più simile ad una federazione di poteri statali diversi, ognuno responsabile per la sua regione. Oltre che un'inclinazione personale dell'imperatore, questO era un dato di fatto, dal momento che al sud, tra i Galla, a nordest, nello Scioa , ed anche a nord, tra alcune tribù minori dell'area tigrina , andavano montando sentimenti di insofferenza verso il controllo superiore imperiale. Il simbolo di questa tendenza centripeta e disgregatrice del vecchio assetto imperiale è la nota e contrastata ascesa di Menelik II da suddito imperiale a Re dello Scioa e , infine nel 1889 , a Imperatore d'Etiopia. A fronte di questo fondamentale processo di autonornizzazione e decomposizione dell ' Impero etiopico, molte erano le sfide esterne che Giovanni IV dovette affrontare. Dapprima, dal 1872 al 1876, furono gli egiziani a tentare di impadronirsi dei territori settentrionali dell'Impero dalle coste del Mar Rosso al Paese dei Bogos verso il Sudan. Poi, nel1881, proveniente dal Sudan fu la mahdiyyah, il movimento popolare nazionalistico e musulmano , ad infiltrarsi all'interno delle regioni settentrionali , facendo leva su an ti che rivalità tr.ibali e sociali tra copti e isl amic.i. Quasi contemporaneamente (nel 1882 , le navi britanniche avevano bombardato il porto d ' Alessandria d 'Egitto) la potenza politica e militare inglese tornava nella zona , favorendo la lotta antimahdista nel Sudan ma anche risollevando e alimentando l e vecc hie tendenze espansionistiche egiziane verso l'Etiopia. Le im prese di Gordon verso Khartum e della Gordon reliefexpedition di Wolseley mostravano questo duplice segno. Erano gli anni dello scramble for Africa.
Queste ed altre varie minacce finirono per minare defmitivamente il potere di Giovanni IV , imperatore di un Impero sempre più loose , ma non impedirono ch e l ' Eti o pia nel comp l esso resistesse vittoriosamente alla spartizione tra l e potenze europee ch e invece stava trionfando in tutto il resto dell ' Mrica. Specialmente al nord, la risposta abissina a quelle minacce, oltre che politica e diplomatica , non poteva che essere militare . In questo senso, la vicenda di Ras Alula è esemplare.
Di umili origini, Alula si era distinto come comandante militare nella battaglia di Gura, quando l'esercito abissino fermò l'avanzata egiziana dalla costa. Il 'leone di Gura' da quel momento diventò uno dei notabili più importami dell'Impero di Giovanni IV e uno dei più fedeli all'Imperatore. Governatore dell'Hamasen, turkbasha (titolo onorifico militare), Governatore del Tigrè, Comandante di Massaua, ' nemico dello Scioa', Alula svolse dopo il 1876 le più importanti funzioni nella regione settentrionale dell'Impero. Isolò e sconfisse il potente Wolda Michael, da tempo aiutato dagli egiziani allo scopo di indebolire l'autorità abissina sui confini del nord; pose le premesse militari di un effettivo dominio imperiale sulla regione dei Bogos, annientandovi la presenza militare egiziana e allargando l'egemonia etiopica in quelle zone con la sottomissione di varie tribù minori; condusse una lotta senza tregua alla penetrazione della mahdiyyah nelle regioni del nord. Fu l'uomo forte di Giovanni IV nel Tigrè , fino a quando ci fu una forza dell'imperatore; e quando le trame di Menelik furono sul punto di riportare il successo definitivo, Alula non esitò a porsi in contrasto con quegli atti del Negus che gli sembrassero ispirati da eccessiva diplomazia e condiscendenza verso i fattori di disgregazione dell'Impero.
Fu un forte comandante militare, ma la sua azione non fu mai solo guerresca: contro il mahdismo, ad esempio, seppe usare i legami religiosi come quelli sociali, per rinsaldare l'unità etiopica. Seppe trattare complesse questioni diplomatiche, prima con gli egiziani, poi con gli inglesi , poi con gli italiani: sempre con l'obiettivo di garantire l'unità dell'impero. Un ' unità imperiale che talvolta andava costruita anche con la forza.
Se altre regioni etiopiche potevano dirsi più compatte etnicamente, politicamente e religiosamente, il nord del Tigrè poteva sembrare invece un complesso mosaico tribale e sociale. Mensa, Bogos, Habbab , Assaorta: questi erano solo alcuni dei maggiori ceppi tribali, ognuno con le proprie divisioni e suddivisioni interne. Rivalità religiose, contrasti per l'acqua e per il bestiame, rancori atavici: vari erano gli aspetti che rendevano spesso fluido e conflittuale l'orizzonte tigrino, specie in quegli anni di crisi dell'impero etiopico, di influenze mahdiste , di interferenze colonialiste. Talvolta, infine , queste tribù mal tolleravano il peso dell"unità etiopica' che nei loro confronti significava soprattutto periodici e pesanti tributi in merci ed in uo -
PER MASSAUA 301 mini (per l ' esercito imperiale); e fu così che queste tribù minori del nord del Tigrè - verso la costa, verso Massaua - spesso esposte al pericolo di raid e di razzie da parte abissina come da parte di altre tribù minori ma avverse, furono particolarmente sensibili per esempio alle offerte e alle lusinghe delle forze d'occupazione coloniale europea.
Quanto fosse instabile il sistema politico intertribale del nord abissino, ad esempio, è chiaro da un primo esame delle vicende della tribù degli Habbab. Nel breve arco di anni tra il 1884 ed il 1887, infatti, lo stesso ceppo etnico oscillò tra diverse e contrastanti collocazioni (perché alleanze sarebbe termine troppo impegnativo) politiche. Tra le più consistenti numericamente e po l iticamente, la tribù musulmana degli Habbab aveva sempre tenuto ad una certa autonomia . Nel luglio del 1884 , invece , nell'ambito della dura pressione esercitata da Alula contro i mahdisti e contro gli ultimi declinanti capisaldi della presenza egiziana nella zona, il capo degli Habbab , Hamid (o Ahmed, come si diceva in Italia) , era stato costretto a contrarre un accordo con il rappresentant e tigrino di Giovanni IV. Ahmed venne così nominato kantibai e ricevette periodicamente del denaro da Alula, ma la sua tribù fu costretta a pagare un altretanto periodico tributo In questo senso, nei primi del1885 , quando il ras aveva lanciato un ' altra offensiva antimahdista, Ahmed nonostante persistesse nella sua fede musulmana, veniva considerato l ' uomo di Alula nel nord del Tigrè e nel retroterra massauino Ma il peso del tributo dovette apparire eccessivo. Già nel giugno egli aveva stretto contatti con l'occupante italiano, nonostante questi avesse molti motivi di contrasto con Alula e con Giovanni IV, a partire dalla questione di Saati . E fu proprio nei giorni in cui le prime truppe irregolari al soldo italiano giunsero a Saa t i, che Ahmed fu autorizzato da Saletta a rifornirsi di vitto e foraggio a Massaua . Un tale avvicinamento degli Habbab a Saletta non piacque a Ras Alula, che scrisse indignato al Comandante italiano per quello che poteva apparirgli un tradimento di Ahmed, ma non fu utile più di tanto agli italiani. Essi continuarono a subire qualche razzia da parte dei gruppi di Habbab che non avevano bene accolto la mossa di Ahmed. Inoltre, alcune tribù tradizionalmente avverse agli H abbab (come i Mensa o i Bani Amer, da lungo tempo favorevoli agli egiziani), nella loro globalità o in loro consistenti sezioni, accentuarono la loro precedente ostilità antiitaliana. La 'questione indigena' o quella della sicurezza intorno a Massaua non erano state risolte.
Nell'ottobre 1885 (dopo la battaglia di Kufit, in cui Alula ave- va sbaragliato la mahdiyyah di Osman Digma) , kantibai Ahmed chiese ed otte nne di entrare a Massaua con imponente corteo di uo mini, cavalli e cammelli per discutere con Saletta della stipula di un accordo. Gli Habbab e Ahmed non avevano panecipato alla battaglia di Kufit ma fu detto che egli si presentò a Massaua sotto cons iglio di autorevoli mahdisti , in modo da instaurare un contatto diretto con gli italiani. La cosa fece andare su tutte le furie Alula che, riferendo a Giovanni IV la notizia dell'incontro Sale tta-Ahmed, riuscì a peggiorare - se possibile dopo la presa italiana di Saati - il giudizio dell'imperatore etiopico circa l' occupazione di Massaua. In realtà , l' accordo non fu stipulato che assai più tardi, nell'estate del1887, e quindi la mossa di Saletta non apportò altro risultato immediato che l' inasprimento dei rapporti italo-etiopici.
Inoltre, sorpresa destò la decisione del comandante italiano (che pure parlò di 'successo diplomatico', di richiesta di protezione da parte di Ahmed , di riconoscimento della potenza italiana) e sorpresa destarono soprattutto le voci secondo cui il trattato sarebbe stato stipulato a condizioni particolarmente onerose per la pane italiana: concessione ad Ahmed di cannoni da montagna, di ingenti quantitativi di armi individuali, di vitto, nonché di impegno a difendere ' comunque' gli Habbab da 'qualsiasi' attacco ed a inviare 1000 soldati italiani nella zona abitata dalla tribù. Se anche queste voci erano forse esagerate, in ogni caso bene illustravano le velleità di Sal e tta e latotale incomprensione delle dinamiche profonde della crisi dell ' impero etiopico. Non era ceno con un patto con una tribù minore e di frontiera che Massaua poteva di rsi sicura.
Saletta aveva scambiato quelli che erano ordinari mutamenti di fronte nelle relazioni interuibali alla frontiera di un grande Imp ero come quello etiopico per segni di riconoscenza degli 'indigeni' nei confronti della ' potenza' italiana. Sarebbe quindi errato dire che una politica indigena nacque per il co lonialismo italiano solo con Baldissera: già Saletta , nei primi mesi di occupazione , ci aveva provato. Ma il suo orizzonte , a riprova dei limiti e delle velleità del colonialismo italiano ma anche della generale ignoranza della situazione politica e sociale locale (etiopica), non andava al di là di qualche decina di chilometri da Massaua. Mentre un grande e plurisecolare impero si stava sfaldando e trasformando - per spinte interne ed esterne -l ' occhio italiano non andava al di là delle scaramucce e dei voltafac cia di poche tribù della più vicina frontiera ; mentre tra Giovanni IV, Alula e Menelik si stava sviluppando un decisivo braccio di ferro (fu poi nel 1887 che il re dello Scioa , impadronendosi dello Harrar , pose le premesse decisive al titolo imperiale) l'occupante militare italiano guardava unicamente ad Ahmed e alle sue tribù di qualche centinaia di individui e tramite mosse malaccorte complicava le ben più decisive relazioni italo-eciopiche. Ci sarebbe da chiedersi, addirittura, se in quei giorni Saletta e i suoi avessero davvero chiara la differenza abissale d'importanza e di potere che separava un semplice capotribù dal Governatore del Tigrè, uomo di fiducia dell'Imperatore. In fondo, solo un paio d'anno più tardi, il maggiore Pianoinviato segreto del Ministero della Guerra nel Tigrè e prigioniero di Alula- faceva confusione nell'analisi d eU' esercito del ras tra alti e bassi ufficiali, come tra tenenti e generali ....
A discolpa di Saletta, in un certo senso, sta l'amara annotazione che non fu solo lui a non aver chiari i termini fondamentali del problema etiopico. Qualche mese più tardi, quando il colonnello fu sostituito dal generale Genè si assisté, senza che l'amicizia con Ahmed fosse ufficialmente rinnegata, ad un tentativo di distensione nei rapporti italo-etiopici, che contemplava anche il transito da Massaua verso le terre del Ras di un ingente quantitativo di armi. Forse quelle stesse armi, però, con cui egli condusse due pesanti raid contro gli Habbab nel febbraio e nell'agosto 1886. Ma prima ancora di questa dimostrazione di astuzia da pane di Alula e di insipienza da pane di Genè, la 'politica indigena' italiana non aveva mancato di essere contraddittoria. Nelle Istruzioni fornite dal Ministro degli Esteri Robilam al generale Pozzolini per una missione diplomatica da svolgersi alla corte del Negus durante la quale si sarebbe cercato di appianare i vari dissensi sorti tra l'occupante italiano e l'Impero etiopico (missione che peraltro, come vedremo, non si svolse mai) i paragrafi al riguardo delle tribù vicine a Massaua reclamavano già per gli italiani la mano libera sul territorio degli Habbab, come se fosse ormai cosa loro ...
Nel frattempo , le relazioni tra il presidio italiano ed il Ras (ed il Negus) erano- come si vedrà più avanti- peggiorate: e proprio da lì si parti, dopo il raid di Alula nell'agosto 1886, per il provocatorio rinforzo italiano di Ua-à, seguito dall'ultimatum di Alula, e così via per quel pendìo che doveva condurre a Dogali.
Dopo quella drammatica giornata , in verità, un po' per il blocco del commercio e delle relazioni che Alula strinse intorno a Massaua ed un po' per il blocco marittimo che Saletta (nominato di nuovo comandante italiano nell'aprile 1887) fece attuare al suo ritorno in colonia, si assisté ad un avvicinamento di alcune tribù abissine all' occupante italiano. Gli Habbab di nuovo, ma poi anche gli Assaorta, le bande di Debbeb, etc. chiesero protezione a $aletta. Ma era solo una conseguenza tattica del timore di rapp r·esaglie d a parte di Alula a spingerle verso gli italiani: non ceno la presenza di un'organica politica indigena. E - soprattutto - Dogal i aveva già mietuto le sue vittime: ciò che quella politica indigena avrebbe dovuto evitare era già accaduto.
In questo senso, per la mancanza (a giudicare dai loro atti) tra i protagonisti italiani di un concetto chiaro della crisi etiopica, è anche legittimo osservare i due anni della spedizione di Massaua principalmente dall'interno. Le mosse del conte Antonelli allo Scioa ancora non avevano l'importanza che ebbero in seguito, come nel1889 ed in genere nei primi anni del decennio crispino: ed anche quelle mosse non poche volte apparvero effettuate sull'onda e a rimorchio delle trasformazion i ali' interno dell'impero etiopico, piuttosto che secondo un organico e personale calcolo. Forse, Menelik sapeva della non perfetta conoscenza dell'amarico da parte del conte Antonelli anche prima di Uccialli [ ... ].
Sono questi, riassumendo, i motivi pe r cui la letteratura pubblicistica delle società coloniali e la memorialistica degli esploratori non ci aiuta poi molto a capire la crisi dell'impero etiopico. Le mosse italiane, in quei primi due anni di espansione coloniale intorno a Massaua, raramente illuminate o guidate dalla conoscenza dei motivi e delle forme della crisi etiopica, furono essenzialmente mosse mil itari. A loro deve andare la nostra attenzione.
Mi/t'fan· italt'ani e colonialismo
Quanto abbiamo sinora detto può essere servito a richiamare gli element i essenziali dello scenario diplomat ico-internazionale, italiano ed africano, in cui nacque la prima spedizione coloniale italiana. Con alle spalle un tale scenario, alla fine di dicembre 1884, Mancini poteva comunicare al Ministro della Guerra che era necessario preparare una spedizione militare verso il Mar Rosso con destinazione da precisarsi 1 .
1 Lo si ricava da AUSSME, Volumi En.trea , v 43, 5 gennaio 1885 , Ricotti a Mancini. Le cospicue serie documentarie V olumi Eritrea e Carteggi En.trea si trovavano, al momcmo in cui sono state condotte queste ricerche (inverno-primavera 1983 ), largamente inesploratc . La documentazione storica conservata presso I'AUSSME è imeres -
Non era la prima vol ta che le autorità militari si vedevano sollecitate alla preparazione di una spedizione extra-metropolitana e coloniale: ma fu la prima a vedervi seguire dei fatti concreti. Sarebbe interessante qui, a mo' di prologo di uno studio sulla prima vera spedizione coloniale-militare, poter disegnare un affresco della penetrazione nel corpo militare di quelle idee colonialistiche, che erano andate imponendosi tra gli anni Settanta e g li anni Ottanta del XIX secolo io 'Vari settori della società italiana 2 • Si potrebbero ricordare i piani per altre ' spedizioni' , ideate e preparate ma non condotte, gli studi che vi erano stati dedicati , gli uomini che li avevano redatti, le strutture militari che a tale scopo erano state sante. Su come si viene a formare un archivio coloniale cfr., per un caso specifico, A. SOZZO, Archivi e decolonizzazione: zl caso algerino, in Il mondo contemporaneo, v. X, Gli strumenti della ricerca. Que1tioni di metodo, a cura di G. de Luna, P. Ortoleva , M. Revelli, N. Tranfaglia , Firenze , La Nuova Italia , 1983 (utili, in questo se nso, le pp. 1072-1076 sul rapporto tra amminisua zioni politiche c militari co loniali, producenti l 'archivio). mobilitate 3 Si sarebbe così potuto conoscere più ravvicinatamente quanti di questi progetti militari di spedizioni (e d'espansione) coloniali furono originati per autonoma decisione militare e quanti invece erano stati commissionati ai militari dai politici.
2 In genere con rilunanza e ci rcospezione (anche per via delle non poche pagine oscure) la ' sroriografia militare ' italiana si è avvicinata allo srudio delle caranerisriche e dell ' azione dell 'esercito nazionale in terreno coloniale. Le guerre di aggressione, le occupazioni militari, le operazioni di poliz ia coloniale, le ripercussioni di runo questo sulla amministrazione in loco e sulla più generale politica militare hanno visto un'attenzione differenziata da parte degli storici militari, a secondo dei periodi storici e dei teatri in cui esse furono con dotte. Sulla 'prima guerra d'Africa', come è stato detto, è disponibile una letteratura vasta (cfr. G. ROCHAT, Studi sulle guerre coloniali, relazione presentata al Convegno eVenti anni di storiografi a militare e jtaliana. , datt. , p. l) ma oramai - rrannc rare occasioni - invecc hiata ed insufficienre. In ogni caso , per la prima guerra d'Africa come per le alue imprese coloniali mjlirari, la sto riografia militare si è pressoché limitata a fornire ricosuuzioni nel migliore dei casi dei soli eventi bellici ( le guerre, appunto) trascurando di analizzare il co mplesso intreccio di relazi oni tra politici e militari, tra Esercito, Stato e società, tra militari europei e popolazioni africane che quelle imprese erano destinate a sollevare. Tra i capostipiti di questa sto riografia militare sta, a suo modo, P. VALLE, La gue"a in Africa; ordinamento igienico con nozioni geografiche, Roma , 188). Tra i prosecurori rimane F. DE CHAURAND DE SAINT EUSTACHE, Le lotte per l'espansione coloniale nel XIX secolo , Roma, Voghera, 1887. Più tardi, anche grazie alle numerose 'sinossi' che gli Istituti d'istruzione militare erano andati accumulando , co minciarono ad essere editati i vari manuali di 'storia militare coloniale', tra cui si ricordano qui R. CORSEW , La gue"a in colonia, Roma , 1914; A. GAIBI, Manuale di storia politico-mtlitare delle colonie italiane, Roma, 1928; A. CABlATI.
E. GRASSELLI , Le gue"e colo niali dell 'Italia, Milano , 1935; V. GIGUO, A. RAVENNI, Le gue"e coloniali d'Italia , Milano , Vallardi , 1935; G VITAU , Le gue"e italiane in Africa , Milano , Sonzogno , 1936; G. PESENTI , Le gue"e coloniali, Bologna, Zanicbelli , 194 7. Come si vede, quindi , in questa sto ri og rafia, per i militari in co lonia esistevano sempre e solo le guerre. Una uattazione più interessante, non italiana ma francese , è quella di A. MARTEL , Les guerres colonia/es, in Histoire mondiale des gue"es, Paris, 1965.
Purtroppo questo significherebbe fare un altro studio, la cui docume ntazione- comunque- non è oggi facilmente rintracciabile. Per adesso, possiamo far seguire solo alcune note.
Che, isolatamente e personalmente, molti alti ufficiali avessero fatto parte delle 'società geografiche' è cosa già nota 4, anche se in buona parte ancora da ri costruire nei suoi panicolari.
Mentre molti altri 'co lonialisti ' ancora speravano che un avvio coloniale in Italia potesse avvenire grazie all'operato di interessi privati (ad esempio con la costituzione in terra africana, o comunque straniera, di fattorie, officine, etc. che poi potessero legittimare una richiesta di intervento e di protezione statale italiano) 5, i militari inseriti nelle società geografiche in genere avevano ben presente che un'espansione coloniale italiana si sarebbe potuta fare solo grazie all'intervento attivo delle strutture (politiche , diplomatiche, militari) dello Stato, e non aspettando un naturale svilupp o e radicamento delle ideologie coloniali nel tessuto economico e sociale della nazione. Tra questi militari, ad ese mpio , il colonnello Giuseppe Pozzolini pareva avere già le idee molto chiare : scrivendo nel 1878 ad un sostenitore di quelle teorie (che si auguravano che singoli cittadini o società commerciali andassero in territorio africano a costruire fattorie agricolo-coloniali italiane), Pozzolini ebbe a dire:
Ma dubito assai che, con i criteri di diritto internazionale che han vigore rra noi, tali fattorie possano reggere con forruna alle molteplici difficoltà che le
3 È questo un tema su cui pensiamo di ritornare con successive ricerche, già in parte avviate ali' interno di un programma di ricerca presentato alla Fondazione Luigi Einaudi di Torino.
4 Cfr. CARAZZl, La Società Geografica Italiana e l'esplorazione coloniale in Africa, cit., e MILANINI KEMENY , La Società d'Esplorazione Commerciale in Africa e la politica coloniale, cit. Per alcuni aspetti dì un ' imponamc esperienza individuale cfr. anche O. BARATIERI, Carteggio 1887-1901, a cura di B. Rizzi , Trento, Ed. Mutilati cd Invalidi, 1936 Alcrettanto individuale (anche se pre cede nte negli anni) fu l'esperi enza di R. Cadorna , su cui cfr. ora a cura di M. BRIGNOU, Il 'Diano d 'Algeria ' di Raffaele Cadoma (magg to-agost o 18.50), in cRassegna stori ca del Risorgimento:., a. LVI (1969). pp. 386-420 minacciano( ) Ecco perché io penso che il Governo, il solo Governo italiano, può tentare questa impresa con probabilità di successo 6.
Sono ideologie che opereranno anche in seguito sia pur i n un altro contesto. Cfr. R. RAINERO, l primi tentati11i di colonizzazzone agricola e di popolam ento dell 'Eritrea , Milano , Marzorati, 1960.
E, chiarendo megl io il suo pensiero, lo stesso Pozzolini aveva scritto che come mezzo d'espansione alla nostra nazionalità, veggo un sol rimedio, credo necessario un provvedirnemo: che il Governo arditamente pianti la nostra bandiera in un dato luogo e la protegga , attiri intorno ad essa il torrente dell'emigrazione, il quale va oggi confuso e disperso con innumerevoli sofferenze degli individui, con poco o nessun profitto per la nazione 7.
Questa posizione, che giustamente intuiva come niente si sarebbe potuto fare senza un'azione politica e statale diretta, doveva essere ceno general izzata tra quei militari.
Ovviamente non si può dimenticare che, per valutazioni personali o politiche, una larga schiera di mil itari (ed anche era i più noci ed imponanci) fosse invece avversa a spedizioni coloniali. L'esercito italiano, già troppo distratto dalla continua pratica del mantenimento dell'ordine pubblico, rischiava a l oro avviso di esse re caricato pe r via di probab i li spedizioni coloniali di pesi eccessivi e che non gli competevano 8 Varie sono le testimonianze che lo confermano. Sono già note le dichiarazioni in questo senso di Luigi G. Pelloux 9. Può essere qui utile anche ricordare la posizione del generale Clemente Cone. Scrivendo a Domenico Farini nel gennaio 1885, Corte disapprovava radicalmente quello che egli definiva il «delirio coloniale» dell'Italia in quei giorni. In maniera co l orita, esprimeva il suo crammarico di vedere il nostro povero paese, che al solo pensiero di possedere un pezzo di terra in partibus infidelt'um, è diventato come un bambi n o alla vista di un primo giocattolo, o come un frate che vede per la prima volta una donna nuda». La sua maggiore preoccupazione, infine, andava alle forze armate.
6 La lettera dell' 11 dicembre 1878, Pozzolini a Camperio, è cit. in R. RAINERO, Carlo Guarmani e la questione di AJsab, in cMiscellanea storica ligure•, a. VII ( 1975 ), n.l ,p.194.
7 Anche la lettera del 7 dicembre 1878, Pozzolini a Camperio, è cit. in ibz'dem.
8 I vari manuali italiani di arte della guerra tardarono ad includere quello coloniale tra i vari settori di possibili operazioni miLitari per l' esercito nazionale. Il modello teorico rimaneva quello ben sintetizzato dall'oscuro tenente di Fanteria C. F. MIAGUA nel suo Sull'ordinamento delle forze militan· del Regno d'Italia: pensien', Ancona, Cive!Ji, 1868, e ricordato da DEL NEGRO, De Amicis Versus Tarchetti. Letteratura e militari al tramonto del Risorgimento, adesso in ID., Esercito, Stato, società. Saggi dt. storia militare, cit., p. 161, p. 148 e p. 165.
9 Cfr. PELLOUX , Quelques souvenirs de ma vie , cit., p. 134 e sgg.
E come si concilia l'organizzazione eminentemente difensiva del nostro Eser. cito con queste velleità di lontane spedizioni? Non ci condurrà questo alla necessità dell'istituzione di un esercitO coloniale con uomini assoldati o surrogati?
10
Per Corte, insomma, e molto probabilmente per la maggior parte del Corpo Ufficiali, anche una piccola spedizione militare coloniale come quella che in definitiva si stava preparando per Massaua poteva preludere all'incrinatura del modello strategico ed m:ganico, politico e militare, di 'esercito nazionale italiano' come lo avevano costituito le riforme Ricotti del 1870-76 (delle quali proprio Corte era stato uno degli artefici).
Tra queste due posizioni 'estreme', quella favorevole di Pozzolini (ma si sarebbe potuto citare Oreste Bara tie ri 11 , o altri ancora)
10 La lettera di Clemente Corte a Domenico Farini è ci t. in ZAGHJ , P.S. Mancini e il problema del Mediteffaneo 1884-1885, cit., p. 186. Analogamente contrario pare essere stato Carlo Mezzacapo. Quando nel marzo 1885 seppe di una morìa di quadrupedi a Massaua, egli ebbe a dire: «Speriamo che la cosa si arresti là! Ma purtroppo quella del Mar Rosso è una questione che si farà grossa, indipendentemente dalla nostra volontà! Ed allora le perdite saranno d'altra natura( )». A proposito poi delle mire italiane di invasione dell'interno abissino, egli ammorù contro simili c irrealiscici «voli napoleonici:o. PESCI, Il generale Carlo Mezzacapo e il suo tempo , eit., p 267. Con un'implicita polemica verso le forme (politiche e militari) prese dal nascente colonialismo italiano, C. CORTE scrisse poi Le conquiste degli inglesi nelle Indie, Torino, Roux, 1886
11 Pare indubbio che vi furono manovre e pressioni politiche per imporre al Ministero della Guerra la nomina di O. Baratieri a capo del Corpo di Spedizione coloniale. Direttamente od indirettamente , giornali pentarchici sostennero questa ipotesi (anche Clemente Corte , nella lettera prima ricordata, vi faceva riferimento). Nelle carte di P.S. Mancini si conserva un biglietto manoscritto di Cesare Ricotti che «SÌ duole:o con il Minisuo della Consulta per il fano di non potere «accettare» la proposta di nomina di Baratieri a Capo della spedizione (proposta che, quindi , qualcuno doveva aver fatto). Cfr. MCR, Carte Mancini , racc , 655 , fase. 12, doc. 6 , Ricotti a Mancini. La cosa ebbe un seguito. Lo stesso Baratieri, nel 1887, durame le prime fasi della preparazione della spedizione ' di rivincita' dopo Dogali , scrisse a Crispi autoproponendosi direttamenteda militare a poli t ico- quale il più esperto militare italiano in tema di guerre co loniali «Onorevole Presidente del Consiglio - iniziava la sua lettera Baratieri, nessuno più di me ha esultato alla notizia del tuo viaggio in Germania perché sono sicuro che tu hai acquistato all'ltalia la posizio n e che le compete. Orgoglioso di aver cominciatO , te precursore, la mia carriera delle armi e di essere semp re stato tuo amico ed ammiratO· re, ora in questo frangente ricordati la promessa fattami di ;parlare al Ministro della Guerra per la mia destinazione alla spedizione in Africa. Io sono stato tra i primi a viaggiare in Africa , io mi sono sempre occupato di studi africani, io dovevo per ben due volte essere destinato in Africa , io sento in me la forza di rendere colà buon servizio. Se vi mandano alcuni battaglioni di bersaglieri, io potrei esserne il Comandante Perdona se incoraggiato dalla tua benevolenza ho osato intrattenerti di cose mie personali e credimi sempre tuo devotissimo , amico O. Baratieri:o. ACS, Presidenza del Consiglio dei Mi- e quella estremamente dura e n egativa di Cort e - probabilmente assai diffusa- c'era evidentemente all'interno del mondo militare un largo ventaglio di punti di vista intermedi.
Ma, in ultima analisi, queste opinioni personali e individuali, contavano poco (se non come testimonianza di un ambiente politico professionale affatto diviso su i vantaggi di una politica coloniale, per l'I calia e per l ' esercito). Ciò che realmente contava erano i veri piani militari: senza di questi le opinioni dei singoli ufficiali erano destinate a rimanere pure posizioni di principio.
Quello che contava era lo studio che gli organismi militari centrali erano incaricati di compiere ed, eventualmente, le strutture che venivano attivate per aggiornare e completare quegli eventuali piani (di spedizioni militari coloniali) che quegli studi avrebbe ro potuto produrre. Qui, come avevamo annunciato, ancora carenti sono le conoscenze della storiografia per dare una risposta sufficientemente preCISa.
Si può dire comunque che a questo proposito un punto di svolta dovette essere (proprio coi primi anni Ottanta) l' introduzione nell'ordinamento militare italiano della carica di Capo di Stato Maggiore dell ' Esercito. La razionale organ izzazio ne dello Stato Maggiore per teatri possibili di guerra , finalizzata alla raccolta di informazioni e di dati di interesse militare , permise forse per la prima volta che fosse dedicato alla pianificazione della guerra un personale militare tutto so mmato stabile (o perlomeno poco soggetto a spostamenti) e agevolò la crescita di veri e propri quadri specializzati 12 .
Qualcosa di simile era ovviamente stato fatto anche prima, dall' allora ufficio del Comandante del Corpo di Stato Maggiore, o da quello del Presidente del Comitato di Stato Maggiore Generale. Ma il mutare dei loro responsabili , lo scarso personale disponibile, l ' as- nislri, b. 67, fase. 302, 5 ottobre 1887, Baraùeri a Crispi. In questo senso, tra Crispi e Baratieri, possono essere invocati anche taluni legami di tipo massonico. Non a caso, qualche anno più tardi, si scriveva che «la Massoneria si diffuse nell'esercito specialmente attraverso l' Eritrea, per impulso del Baratieri». DE CHAURAND DE SAINT EUSTACHE , Come l'esercito italùm o e ntrò in guerra, cit., p. 164. soluta pred om inanza (anc he in questo ) d e ll 'U ffi cio d i Gabinetto del Ministro della Gu e rra o della Divisione di Stato Mag gi o re del Ministe ro 13 impedivano dal punto di vista amministra ti vo una sufficiente accumulazione dell e conoscenze. Oltre a talj asp ett i istituzionali era comunque, prima degli anni Ottanta, un problema politico di fondo quello che fren ava e non incitava le strutture militari a dedicare ai fronti coloniali (ch e pure altre potenz e e urop ee avevano già aperto) strutture e perso nale permanente 14 L' Itali a po l i ti ca non si interessava delle col o ni e, negli anni Se ttanta 15. Come i nvece abb iam o visto , negli anni Ottanta la cosa era destinata a mutare.
Il rutto a confer ma che, all'inte rno dell ' esercito , oltre ai cont rari od ai disinteressati (che forse furono per lungo tempo la maggioranza) c'erano anche i ferventi sostenitori delle spedizion i militari coloniali. Talvolta , anche , per ragioni e con scopi non proprio nobilissimi.
12 Già nei primi ordini di servizio, fumati da Cosenz , per il nuovo Stato Maggiore del dopo - 1882, era previsto uno spa zio (seppur limitato} per lo studio delle questioni africane e coloniali. Cfr. AUSSME, Studi particolari, racc. 300, fase. l, Registro degli ordini del giorno del Signor Capo dello SME, alla data del 9 novembre 1882.
Unica p os iti va eccezione in questo quadro di disinteresse dell 'establishm e nt mil i tare pre -1882 poteva ess ere cos tituita dalla Biblioteca del Corp o di Stato Maggiore , ch e regolarmente imroitava molti volumi -e tra i migliori - sulle esp e ri e nze politiche e coloniali delle altre potenze europee 16 . Ma il fatto ch e , al momento della sp edizione di Massau a, pochi fossero i milit a ri al co rrente delle più elem e ntari noti zie sul co ntinente african o dal punt o di vista geografico, politico , econ o mi co e militare lascerebb e purtro ppo intendere che quei volumi e rano forse d estinati- p e rlom eno sino al 1884a giacere polverosi su gli scaffali.
In questa man canz a d i una struttura stabile ris ie de quindi la diffe renza di talune iniziative , sia pure impegnative ed inte ressanti (quali
13 Cfr. anco ra MARSEUI , La politica d ello stato italiano, cit., p. 168. Lo ste sso Marselli dove tte trasformare le sue id ee in me rit o all a convenie n za pe r l 'Ita li a d i u na sped izio n e co loniale. Ne l1 882, infatti, vi si era mosuato asso lutamente contrario, olue che d al p unto di vista tecnico-militare anche dal punto di vista politico -ideolog ico, o dei prinàpi cl principi che hanno presieduto alla costruzione del nuovo Stato h aliano, i nostri bene intesi interessi, e la triste esperienza che f anno gli stati conquistato r i ci debbono consigliare a non ambire alcuna occupazione territoriale, sulla costa dell'Afri· ca o io Albania. Una Ipedizr'one di Albania o a Tripoli sarebbero [sic] state la peggior Iciagura dell'Italia, se anche fossero riuscite bene nel principio. Il nosuo ideale deve essere affa tto civile( )•. Nel 1884-85, invece, lo stesso Marselli (che nel1882 pare così appassionatamente anticoloniale) avrebbe preparato, a u torizzato ed avallata la sp ed izio n e di Massaua. La 'politica di pot enza' it aliana marciava a passo spedi t o, in quegl i an ni . Su N. Marse ll i, ma con u n al tro taglio im erp re tativo, cfr. S. LAN ARO , Nazr'o n e e lavo ro. Sagg io sulla cultura borghese in Italia 1870·1925, Venez ia , Marsili o, 1979.
14 Per un a veloce ma acu ta sintesi cfr. R.E. ROBINSON, J. GAllAGHER , La spartizione dell'A frica, in Storia del mondo m ode rno vol. XI, L 'espansione colo n iale e i problemi Iociali {1870-1898), cit., pp. 745 -804.
15 Cf r. il citato passo di GIGUO, L'impreia di Mtmaua 1884- 1885, cit., p. 12.
16 Cfr. Catalogo delle opere e carte esistenti nella Biblioteca del Corpo di Stato Maggiore, Roma, Voghera, 1883 (i n testa al front.: Ministero della Guerra. Corpo di Stato Maggiore), poi periodicamente aggiornato. Cfr. anche Catalogo della B zblr'oteca [del] Ministero della Gue"a, Ro ma, Fo rzani, 1884; ma era un'altra biblioteca ad esempio quella di Agostino Ricci nel 1864 o quella di Oreste Baratieri nel1875), dalle altre successive al 1882, tra cui gli studi della primavera-estate 1884 e poi la preparazione vera e propria della 'spedizione di Massaua', momenti questi da cui - anche formalmente - 'nacque' per i militari italiani un fronte coloniale.
Tra il giugno e il luglio 1864, in un momento di tensione internazionale e di apprensione italiana per la politica dei Paesi rivieraschi del Mediterraneo meridionale (Tuni sia, Tripolitania), l'allora maggiore Ricci, insieme ai capitani Bettolo e Milo, aveva svolto per incarico dell'Ufficio Militare del Corpo di Stato Maggiore una importante missione sulle coste tunisine. A mezzo tra la ricognizione e la manovra navale, l'operazione, che impegnò due compagnie di Fan teria, una di Bersaglieri, una batteria di Artiglieria ed una compagnia del Genio, comportò alcuni studi preparativi di una cena entità 17 .
Nel1875 Oreste Baratieri, svolse poi un'analoga ma più segreta missione sulle coste e in suo lo tunisino insieme al marchese Orazio Antinori 18 .
Queste 'sped izioni ' rivestivano però un interesse proprio nella loro episodicità (come a suo tempo lo avevano avuto per le Marine degli stati p re-unitari quelle del 1825 o del 1853) 19, o al massimo ebbero un'importanza più che altro personale, nella vita privata di quei militari che le condussero a termine (che non a caso diventarono tra i primi 'quad ri ' militari coloniali ital iani , per le conoscenze accumulate, per le specifiche tendenze personali, per il loro credere nella possibilità di espansioni militari coloniali). Ma una volta terminate, poco · rimaneva di queste espenenze.
Questa situazione doveva cambiare, come abbiamo detto, dopo il 1882, con la creazione di un vero Stato Maggiore.
Nei suoi uffici si cominciavano a conservare (frutto ad esempio di una attenzione continuata e di un razionale processo di accumulazione delle informazioni), tra l'altro, una copia del rapporto al Ministro della Marina su una ricognizione sui poni cirenaici condotta l9 Cfr. ASMM, Titolan·o n. I, catt. 23 , fase. 4, Spedizione della Marina Sarda a Tnpoli; ivi, cart 33, fase. l, Studi sulla spedizione napoletana a Tn"polz", Cfr. anche ivi, can. 74, fase. l, Missione in Afnca nel luglio 1883 20, le 'Note sulla Tripolitania' redatte dal capitano Mirabello sempre nel 1883 21 ed altro ancora.
17 Cfr. AUSSME, Libia, cart. 6, fase. l, Relazione, (datata settembre 1864).
18 Lo ricorda, anche se solo incidemalmeme, DEL BOCA, Gli Italiani in Afn.ca orientale. Dall'unità alla marcia su Roma, cit., p. 62.
Ma il vero cambiamento, perlomeno secondo i documenti esaminati , pare essere databile proprio alla primavera-estate del 1884.
Fu infatti in questo periodo che il ruolo del nuovo Stato Maggiore- in relazione ad un'impresa coloniale- parve venire valorizzato dalla congiuntura politica e diplomatica 22 . È importante accennarvi (aprendo un inciso, seppur breve) anche perché - come vedremo- l'attività della primavera-estate '84 non fu senza influenze per la stessa spedizione di Massaua del 1885. In coincidenza con i timori diplomatici per un accerchiamento f rancese dell'Italia (quando Parigi , oltre a tenere saldamente Algeri e Tunisi, sembrava ciproporre le sue vecchie mire su Rabat), il Ministro degli Esteri Mancini aveva segnalato al Ministero della Guerra la possibilità di dover procedere - per rappresaglia o per sicurezza - ali' occupazione della costa tripolitana. La Pilotta , dal canto suo, aveva passato la cosa allo Stato Maggiore. Qui si trovava in qualità di Capo dello SME in seconda Agostino Ricci, di cui già abbiamo ricordato la missione del 1864.
Ricci si dovette dedicare con interesse alla questione e stese un piano di massima per le operazioni, denominato 'Promemoria sugli studi ed altri provvedimenti preventivi da farsi per preparare la spedizione di Tripoli' 23. A questa attività, che verosimilmente vide impegnato lui ed altri ufficiali (tra questi l 'allora colonnello Tancredi Saletta) 24 daUa primavera sino a luglio , poi non corrispose niente di fattivo perché, come abbiamo visto, la vertenza marocchina andò scemando d'importanza per Parigi e quindi anche per Roma 25.
L'ipotesi di una spedizione tripolitana , che da parte italiana avrebbe dovuto essere sufficientemente forte da ridurre all ' impotenza in pochi giorni (e prima che una qualsiasi altra potenza- cioè la Fran cia - avesse il tempo di intervenire, ché altrimenti sarebbe stata la guerra frontale) le almeno 10.000 unità turche di stanza a
2° Cfr. AUSSME, Libia, cart. 6. fase. 2, Rapport o del C. te Avvùo 'Rapido' al Ministro della Man·na, (datato 9 luglio 1883).
21 Cfr. AUSSME, Libia , cart. 8, fase. 3.
22 Cfr. BALDOCCJ, Mancini e la questione marocchina, cit., p. 245.
H Cfr AUSSME, Libia, cart. 6, fase. 5.
24 Ne fa riferimento lo stesso Saletta in AUSSME, Volumi En.trea, v. 11 , 16 feb · braio 1885 , Saletta a Ricci.
2
5 Cfr. BALDOCCI, Man cini e la questione marocchina, ci t. , p. 242 c sgg.
Tripoli, sembrò tornare di attualità nel novembre 1884, in contemporanea con l'aprirsi della Conferenza coloniale di Berlino. Mancini scrisse infatt i , in data 21 di quel mese, a Ricotti perché- sulla base degli studi già effettuati - «la comp ilazione del programma e le corrispondenti predisposizioni si trovino compiute entro il più breve termine possibile» e perché esse fossero «curate per modo che continuino costante mente a trovarsi suscettibili di immediata attuazione, quali che siano, nel regno , i mutamenti e le dislocazioni delle nostre forze:. 26 .
La cosa pareva di una gravità senza confronti, se si pensa che lo stesso Mancini prevedeva nella sua missiva che - per questa nuova spedizione tripolina - sarebbero state necessarie truppe per non meno di un corpo d'armata 2 7 D'altra parte, molto tende a far credere che quella di Man cini fosse una sortita anche per saggiare il grado di 'malleabilit à' e di disponibilità del neonominato Ministro della Guerra a ipotesi belliche ed espansionistiche. Dagli Esteri, infatti, si era pure scritto che si trattava di «contingenza non imminente» per una spedizione che «forse possa anche non avverarsi mai:. ; e si concludeva la lettera con una sibillina allusione a non meglio precisata c al tra futura esigenza:. 28.
Cesare Ricotti - è questo forse il primo documento che possediamo con cui il novarese entri a pieno diritto nella storia della politica coloniale italiana - non si scompose. Politicamente lontano dagli entus iasmi politici (anche interessati) di un Mancini per le spedizioni coloniali, militarmente attento agli interessi 'nazionali' dell'esercito che lui stesso aveva plasmato, Ricotti fece attendere Mancini per oltre due settimane prima di inviargli una lunga ma anodina e grigia risposta. Al documento della Consulta ch e poteva sembrare quasi il preparativo di uno stato di guerra il novarese rispose , con significativo ritardo , quasi con una circo lare amministrativa: in cui si auspicava «un pieno e perfetto accordo tra codesto Ministero [gli Esteri] e quelli della Guerra, della Marina e del Tesoro», si ricordava come per ipotesi ardimentose e tali da «compromettere» l'onore nazionale «occorre indubbiamente poter disporre di adeguati mezzi finanziari» e si ammoniva il collega diplomatico su una prevedibile
26 Cfr ZAGHI , P.S. Man c-ini e la question e del Med iteffan eo 1884·1885, cit., pp . 151-152.
27 Cfr. ibidem incapacità della Marina a spostare l'ingente corpo di truppe che sarebbe stato all ' uopo mobilitato 29.
28 Cfr . ivi, p. 152 .
In una parola, Ricotti si era da subito mostrato scettico, se non contrario, ad un'ipotesi tripolina o che comunque co involgesse forze militari di rzfevante entità (grandi unità , divisioni, corpi d'armata, etc.). E non va dimenticato che Ricotti era stato chiamato a reggere il Dicastero da solo poco più di un mese quando ricevette la missiva di Mancini e che poteva quindi senùrsi meno politicamente sicuro del suo scranno ministeriale rispetto al responsabile della Consulta , il quale invece permaneva nel suo ormai da quasi tre anni 30.
Eppure qualcosa - tra i militari - doveva cominciare a trapelare dei piani tripolini di Mancini, o delle sue trattative londinesi. Negli ambienti dello Stato Maggiore, infaui, il rinnovarsi dell' ipotesi tripolitana pare essere stata accolta con maggiore interesse ché in quelli ministeriali. Ricci si rimise all ' opera ed aggiornò il piano da lui stesso steso qualche mese prima 3 1 Dopo un a serie di scambi di opinioni tra il Capo dello Stato Maggiore e il Comandante in seconda 32 , Cosenz chiese al Ministro della Guerra di determinare addirittura già il Comandante del Corpo Militare italiano per la Tripolitania (prima ancora che questo fosse stato effettivamente formato) e propose a Ricotti di nominare da subito Ric ci 33. All'incirca negli stessi giorni il Capo dello SME si era informato presso il Ministero per conoscere il probabile ammontare finanziario che sarebbe stato messo a disposizione per la preparazione del Corpo stesso 34
Se agli inizi di dicembre Ricotti aveva risposto in maniera sostanzialmente negativa a Mancini, alla fine del mese aveva cambiato
29 Cfr. ivi, pp . 152-153. Ma anche ivi, pp. 55-56 e p. 75.
30 Questo comportamento di Ricorri dovrebbe , come poi vedremo, togliere qualsiasi fondamento alle interpretazioni secondo cui il novarese fu chiamato alla Pilotta proprio io previsione (e per preparare) una spedizione coloniale di notevole entità. Lo soste nne implicitamente per primo UN EX-DIPLOMATICO, La politica coloniale dell'Italia, in •Nuova antologia., a . 1884, n. 22, pp. 316-329; lo ri pre se BATIAGLIA, La prima guerra d 'Africa, cit. , pp. 166·167. Recentemente, lo ripete acriticamente, in pratica, STEFANI , La storia della dottrina e degli ordinamenti dell'esercito italian o, v . I , Dall'esercito piemontese all'eurcito di Vitton'o Veneto, ci t., pp. 326-3 27.
3! Cfr. AUSSME, Libia, cart. 6, fase. 5.
32 Cfr. AUSSME, Libia, catt. 6, fase. 6, 3 dicembre 1884, Ris.ma, Cosenza Ri cci; e ivi, 6 dicembre 1884, Rù.ma Pers., Ri cci a Cosenz.
33 AUSSME , Libia, eatt. 6, fase. 7, Il dicembre 1884, Rii.ma, Cosenza Ricci.
34 Cfr. AUSSME, Libia, can. 6, fase. 8, 20 dicembre 1884, Ris.ma Pers., Ricotti a Cosenz, dove vi si fa riferimento.
(o era stato spinto a cambiare) op inione . Stretto dagli Esteri (i cui programmi coloniali proprio in quel ristretto t orno di tempo si stavano forse decisamente affermando) , dallo Stato Maggiore (pronto a uadurre in pianificazione le tendenze del momento) e forse anche da altri e superiori consigli , Ricotti attenuò molto nella risposta a Cosenz la sua precedente (e come vedremo , personale e naturale) avversione per le imprese coloniali.
Anche qui, comunque, significativamente, Ricotti fece attendere il suo corrispondente e solo il 20 dicembre rispose a Cosenz 35: ma il tenore della risposta alla missiva del Capo dello SME era già diverso da quello della sua replica al Mini stro della Consulta.
La lettera è inoltre significativa del momento e della perso nalità del novarese. Ricotti ha già capito che la Tripolitania era un bluff politi co di Mancini, ma che qualcosa alla Consulta si stava preparando ugualmente. È, a tutto questo, ancora personalmente contrar io perché vede in una spedizione co loniale impegnato l ' onore e l ' interesse militare in una prospettiva che gli appare poco chiara ; molto probabilmente non ha nemmeno una grande stima personale di Mancini. Ma non può rifiutarsi di obbedire quando l'ordin e è supe riore (dalla Corte o dalla presidenza del Consiglio) e quando per mezzo di quella spedizione potrebbe essere ribadito il ruolo di 'g rande potenza ' dell ' Italia (purché con poco sforzo e poca spesa).
Ecco perché Ricotti finì per accettare la proposta di Cosenz su «l'opportunità di affidare al Tenente Generale Ricci il Comando di un Corpo di operazioni da destinarsi eventualmente ad una spedizione marittima nella Tripolitanilb , approvò gli srudi già fatti e diede m andato di proseguirli 36 . Dava l'impressione di essere già in qualche modo al corrente dei nuovi indirizzi de1la Consulta: non più verso la Tripolitania, ma verso il Mar Rosso: per la destinazione effettiva del Corp o il novarese sc ri veva infatti a Cosenz che essa «non deve considerarsi un impegno assoluto da mantenersi in qualsiasi eventualità, . Infine affe rmava di essere sens i bile a ll e ipotesi che Mancini andava diffondendo su un ' «eventuale cooperazione dell'Italia con l'Inghilterra nell'Egitto,.
C'è in queste parole di Ricotti dello sco rcio del 1884 la co nferma che, anche se di T rip o litania non si parlerà più concretamente per un po' di tempo , Mancini stava vincendo o già aveva vinto . L' I- tali a iniziava a lavorare per avere una sua ' vera ' colonia.
Tornando al punto da cui eravamo partiti - e cioè al dato nuovo rappresentato per le strutture militari anche in relazione a pianificazioni di imprese coloniali dalla presenza di uno Stato Maggiore (e il poco conosciuto prologo alla spedizione di Massaua rappresentato dall'ipotesi di una 'spedizione a Tripoli' lo conferma) - rimane da dire che, definitivamente con lo scorrere degli anni Ottanta, cambiavano i tempi anche nell'ambiente miLitare. Anche dopo Massaua, ritrosie e remore come quelle di Cone e di Ricotti verso le imprese coloniali rimasero largamente presenti tra i militari (lo furono persino nei giorni di Adua). Ma, fatto nuovo , altre concezioni iniziarono a radicarsi nella 'società militare'.
Giovani ufficiali vedevano ormai nei territori africani i suoli dove le armi italiane avrebbero potuto trovare quella fortuna che l' immobile e 'pacifica' situazione europea sembrava loro negare.
È per questi motivi che gli archivi dello Stato Maggiore ospitavano sempre più studi (commissionati o autonomamente redatti da singoli ufficiali) sulle possibilità di un'espansione coloniale italiana.
In uno di questi studi, con sentimenti del tutto opposti al rammarico del vecchio Coree per il ' delirio coloniale ' italiano , il giovane capitano Carini scriveva, in quello stesso 1885:
Le preoccupazi o ni d ' ordine interno e di politica continentale non possono assorbire tutta la nostra ene rgia.
Ed ancora, riducendo tutta la complessa questione del ruolo mediterraneo dell'Italia alla presa militare della costa tripolina, proclamava che
Roma era o nnipo t e nte quand o g li assalti di Canag in e - la nu o va Tunisi - misero a repe nrag l io la su a esistenza , e richiamar on o al Medi terraneo [e Mediterraneo , p er Carini , sig nifi cav a Libia]la sua a t ti vità ( ... ).
Chi ha fed e n ei d est ini d ' Italia non può peraltro d ubita re ch e il suo presente disinteresse dalle questi o ni mediterranee non sarà dura turo e che l'opera del Governo e l' ini ziativ a d e i privati vorranno e presto ri co nquistare l'influenza perduca 37.
La conoscenza delle modalità di penetrazione delle ideologie colonialiste nel mondo militare avrebbe certo bisogno di altri studi: ma quanto abbiamo qui ricordato può essere intanto sufficiente per dare conto del mutare - con gli anni- dell'ambiente e delle strutture militari.
Come avrebbero potuto operare queste nuove strutture e quegli uomini messi a diretto confronto con le difficoltà di preparazione e di gestione di un'impresa co loniale era cosa che non si sarebbe potuto determinare con esattezza prima della spedizione di Massaua. Quanto , inoltre , sull'azione militare potessero pesare quegli elementi obiettivamente sfavorevoli che abbiamo prima ricordato (carattere improvvisato dell 'obiettivo colo niale del Mar Rosso , decisione tutta dip l omatica di indirizzare la spedizione in un'area geografica ambita da più potenze e scossa da profonde agitazioni popolari, delinearsi -poi confermato dagli avvenimenti successivi - di contrasti politici tra la Consulta e la Pilotta , mancanza di una ravvicinata azione sintetizzante e mediatrice della Presidenza del Consiglio) era un'altra grande incognita che sovrastò di fatto l 'intera preparazione della ffilSSlOne.
Solo la pratica conduzione della prima spedizione colonial e (che è l 'argomento delle nostre prossime pagine) si incaricò di darvi una nsposta.
Ma qualche indizio in merito poteva trarsi, già in quello scorcio di 1884, da un evento che, pur cronologicamente precedente la vera e propria occupazione di Massaua, può però con profitto esserne letto come un'anticipazione: si tratta dell'occupazion e di Beilul.
Quando Mancini aveva iniziato le sue trattative dell'autunno 1884 con Londra, che poi avrebbero dovuto condurre all'assenso britannico circa lo sbarco di truppe italiane a Massaua, il primo obiettivo dello statista italian o era stato proprio Beilul 38 _ Anche a Beilul , come in tutta quella zona che da Khanoum andava al mare, erano infatt i stanziate truppe inglesi ed egiziane che avrebbero dovuto essere in quei mesi ritirate. Beilul era poi la località sugge rita dal Primo Ministro egiziano Nubar Pacha al comm. De Martino, Regio incaricato d'Affari al Cairo, per un'eventuale nuova presenza italiana nel Mar Rosso (oltre ad Assab) 39. E Beilul fu la lo calità che il Regio Incaricato segnalò a Mancini, il quale poi - aggiungendovi Massaua - pose il tutto all'attenzione diplomatica inglese.
Non a caso l 'assenso di Londra per una presenza italiana a Bei- lui fu quasi immediato 4 0: per Massaua invece si continuò a trattare. Però a Mancini il villaggio dì Beilul senza Massaua non serviva; comunque, fece mettere in stato d'allena la marina militare perché si tenesse pronta all'eventualità di un'occupazione militare di quella prima località. Il Ministro degli Esteri, in un suo messaggio al collega della Marina, sottolineava specificatamente che l'occupazione militare italiana di Beilul che si andava preparando non doveva in alcun modo poter essere vista come una definitiva presa di possesso italiana 41 . I motivi per questo erano sostanzialmente due. Da una pane Mancini non intravedeva ancora, a quella data, la conclusione delle ben più imporranti trattative per Massaua; e dal momento che la presa di Beilul poteva esse re fatta anche subito (l'assenso inglese c'era) si trattava di non pregiudicare, e di non rivelare alle altre Potenze , l 'inte ra manovra italiana. Dall 'altra Mancini sapeva bene che, pur di riuscire, aveva inizi ato le trattative londinesi proprio con l' assunto diplomatico di non soJievare la questione istituzionale: questo ceno aveva ben disposto le autorità inglesi (e forse la Consulta sperava che la Conferenza di Berlino avrebbe poi potuto fare qualcosa per passare dall'occupazione al protettorato) ma aveva vinco lato di fatto tutta la successiva azione italiana, politica e militare.
Così sc riveva Mancini a Brin: in segujto a trattaùve confidenziali, già da qualche tempo intavolate con l'Egitto [sic!), è stato convenuto con quel governo che esso abbandonerà quanto prima la costa di Beilul e che questa passerebbe sotto la giurisdizione italiana. Per raggiungere questo scopo, non sembra necessario procedere ad una occupazione permanente, la quale oltre ad esigere spese non lievi. susciterebbe intempestivamente la questione della sovranità su quel territorio. Basterà invece limitarsi al semplice innalzamenco della banruera italiana nel paese , o tutt'al più ricorrere ad uno sbarco dj un drappello di marinru , i quali dovrebbero essere ritirati dopo giorno dj effettiva permanenza salvo a farvi periodicamente ritorno 4 .
La direttiva diplomatica era sufficientemente chiara: quanto essa fosse approp riata ali' inizio di una 'coraggiosa' politica coloniale era un'altra questione. Come era pure un altro problema l'interrogativo se le autorità egiziane o inglesi dì Beilul fossero state esattament e avvisate della manovra italiana e se si sarebbero rivelate disponibili ad assecondarla
4° Cfr ivi, p. 28 e p. 40.
41 Cfr. ivi, p. 29.
42 Una copia anche in AUSSME, Volumi Eritrea, v. 45. 22 novembre 1884, Mancini a Brin .
La parola, comunque da quel momento passava ai militari. In questo caso alla Marina.
La Regia Marina non disponeva allora di un proprio specifico Stato Maggiore (elemento di differenza questo - e abbiamo visto di quale importanza- con l'E serc ito) . Comunque il proprio Ufficio Operazioni indicò nella 'Agostino Barbariga', che in breve tempo salpava da un porto italiario , la nave da guerra adatta per la missione. Era il17 dicembre 1884. Il 30 succesivo il Barbariga, quando aricoca è in acque mediterrariee, va in avarìa.
Il 4 gennaio la Marina decide di sostituirlo con il 'Castelfidardo ' che parte da Messina il 10: ma ar1che questa nave fa appena in tempo ad arrivare a Suez che va in avarìa. FortUnatamente - nel quadro della più complessa manovra per l 'occupazione di Massaua, che in quei giorni passava dalla fase ideativa a quella operativaera già partito da Brindisi il 'Messaggero', che viene indicata adesso come la nave per Beilul. Ma persino questo ' legno' incontra difficoltà nella navigazione, e si guasta. Nel frattempo era stata riparata finalmente la 'Castelfidardo': e con la 'Castelfidardo' l 'o perazione, rimasta interrotta da tanti incidenti, riparte. È allora solo con il 25 gennaio, infine, quasi due mesi dopo che il Ministero degli Esteri aveva diramato la direttiva dip lomatica di occuparla , che su Beilul sventola il tricolore. Ceno, l 'azio ne della macchina militare no n era stata te 43.
Purtroppo c'era anche dell'altro: e riguardava gli individui.
Al momento dello sbarco italiano erario sorte infatti alcune impreviste difficoltà. G li tirano per le lunghe la quest ione , non vogliono il tricolore, accamparlo scuse per non ' avere istruzioni in proposito'. Si proflla addirittura un'inadempienza della massima autorità della zona, il colonnello inglese Chermside , che non avrebbe dato disposizioni al riguardo 44
La situazione era obiettivamente delicata.
Il capitano di vascello Trucco, comandante della Corazzata 'Castelfidardo', però, non ha dubbi: dopo aver atteso per un paio di giorni che il nodo si sc iolg a, fa catturare i militari e le autorità egiziane, le prende con la forza e le fa imbarcare su un vapore
43 Qualche cenno in GIGUO, L ' impresa di Massaua 1884-1885 , cit., p. 64. Per una esame diretto cfr. MCR , Carte Mancini, se. 653, fase. 6, doc. 3, 26 giugno 1885, Mal vano a Mancini.
44 Cfr. DEL BOCA , Gli italiani in Africa onentale. Dall'unità alla marcia su Roma , cit., p 185.
(che le condurrà poi a Massaua). È così con una azione di forza che Beilul è interamente italiana, a partire dal 27 gennaio.
La cosa era di una gravità non trascurabile.
Proprio quando la Consulta aveva impiantato tutta la sua manovra diplomatica intorno al principio di non sollevare la questione istituzionale della sovranità territoriale, l'azione militare quella questione poneva in primo piano.
La reazione del rappresentante inglese Chermside, della diplomazia egiziana e di quella turca furono immediate. E niente affatto formali 45.
In realtà tutto questo , per fortuna di Mancini, venne a confondersi nella più generale operazione per Massaua, con la quale - come abbiamo visto - quella di Beilul si era più di una volta incrociata. Il capitano di vascello Trucco non venne perseguito, né il Ministero della Marina - a quanto ci consti - redarguito dai responsabili della Consulta. Della piccola, ma significativa questione di Beilui tutti si dimenticarono 46 . Per tutti il 'colonialismo italiano' inizia solo con l ' occupazione di Massaua.
È chiaro che non si potrebbe a rigore confrontare una missione di fatto consumatasi in pochi giorni, come quella dell'occupazione di Beilul , con l'intero arco dei tre anni (perlomeno) che portarono gli italiani da Roma a Massaua (e poi a Dogali). Né sono nemmeno lontanamente paragonabili gli effetti diplomatici, politici, militari della spedizione di Massaua nel suo complesso con la piccola operazione per Beilul. Anzi a ben vedere l ' occupazione di Beilul potrebbe essere vista come un episodio dell ' intera :spedizione di Massaua. Eppure, per uno studio sulla azione militare nella prima spedizione coloniale italiana, la pur circoscritta vicenda di Beilul assume perlomeno in alcuni suoi caratteri un valore emblematico.
C'è l'opera to diplomatico , apparentemente chiaro e sicuro (ma in realtà ben lungi dall ' essere riuscito ad appianare tutti i possibili contrasti internazionali e locali che un'azione coloniale può originare). C'è l'azione militare, di per sé non indenne da qualche pur vistosa pecca organizzativa. C'è soprattutto la insospettata decisione dimostrata dai più giovani Comandanti militari locali e il loro ricorrere alla forza delle armi anche quando non previsto dalle istruzioni diplomatiche e politiche ricevute.
Rispetto alla più complessa spedizione per Massaua mancaè vero - quel contrasto tra autorità diplomatiche e militari, quel dibattitO all'interno dello stesso ambiente militare, quel suo fronteggiare avversari ben più pericolosi di quella quarantina di militari egiziani imbarcati d'autorità da Trucco, quel suo tragico epilogo, che solo una più lunga e importante spedizione militare poteva originare e che sono i caratteri più conosciuti della prima impresa coloniale italiana.
Ma c'è, se non altro, in quella azione di forza di Trucco, un primo suggerimento alla luce di cui capire poi l'atteggiamento delle autorità militari a Massaua.
La spedizione mtlitare verso zl Mar Rosso: Comando e truppe
L'ideazione di una spedizione militare italiana a Massaua era quindi tutta diplomatica, se non proprio politico-personale di ManCUli.
Come abbiamo visto, però, l'obiettivo del Mar Rosso spostava alquanto il possibile teatro di operazioni militari coloniali da quel più consueto scenario mediterraneo in cui gli ambienti militari erano stati sino ad allora propensi a credere che prima o poi si sarebbe indirizzata la politica italiana 1
I militari, sia esercito, sia marina, avevano sino ad allora, caso mai, pensato ad una eventuale spedizione italiana principalmente in direzione della Libia, specialmente dopo che la Francia si era impadronita di Tunisi. Questo, come abbiamo visto, avrebbe richiesto un ingente sforzo militare (per l'esercito si era parlato dell'impiego di almeno un corpo d'armata) ma che in qualche modo av,rebbe potuto essere bilanciato dalla relativa vicinanza delle coste tripolitane con quelle italiane. Messina, Brindisi e soprattutto Napoli (i porti e gli arsenali che avrebbero soste nuto il peso logistico della spedizione) non sono poi lontanissimi da Tripoli o da Bengasi.
Con Massaua era invece tutta un'altra cosa.
1 MARSElll, La politica dello stato italiano, ci t. ,p. 343. Di scarso aiuto per la comprensione delle dinamiche interne agli ambienti militari sono, per quel periodo, L 'Italia in Africa, serie storico -militare, v. I, L'opera dell'esercito, t. l, Ordinamento e reclutamento, Roma, !st. Poligr. dello Stato , 1960 , e idem , t. 2, Avvenimenti mtlitan· e impiego. parte prima, Afnca onentale {1868-1934), Roma , lst. Poligr. dello Stato , 1962 (in ambedue il testo è di M.A. Vitale).
Le linee di comunicazione si sarebbero allungate perlomeno di sei volte, i mari erano più pericolosi e lontani, e soggetti alla giurisdizione di più autorità statali. La stessa possibilità di comunicazioni rapide e sicure si allontanava , dal momento che non c'era telegrafo in quelle zone: l'ultima stazione telegrafica era Suakim, a più di duecento chilometri a nord di Massaua.
Il tutto , apparentemente, poteva essere compensato solo dal fatto che per tenere Massaua ci sarebbe voluto un numero molto inferiore di soldati che per occupare la costa tripolina; ma , nell ' obie ttivo di una occupazione prolungata , quelle truppe sarebbero state soggette a cambi o a spostamenti. C'era poi nei dintorni di Massaua (anche a non voler tener conto della risposta dell'Impero etiopic o) un vivace fermento mahdista: e se, in un caso malaugurato, il presidio nuovamente costituito sul Mar Rosso avesse avuto bisogno di rinforzi? Se l'originario scopo di 'innalzare la bandiera ' si fosse tramutato- ed era proprio Mancini a spingere in questa direzione , auspicando il più stretto rappono con l ' Inghilterra (che si trovava nell'estate-autunno 1884, come abbiamo visto, in difficoltà militari nel Sudan e quindi forse bisognosa di aiuti)- in un ben più co mplesso obiettivo di cooperazione militare tra ingenti corpi di truppe? O se, infine , si fosse ordinato alle truppe italiane a Massaua di spingersi offensivamente verso l 'interno, come si sarebbe potuto provvedere con velocità a tanta distanza dalla madrepatria?
Vi è già chi ha ironizzato su lle scarse conoscenze geografiche di Mancini (ma non solo) al riguardo di quella stessa regione africana in cui egli spediva forze italiane 2 . Importa qui sottolineare come tutto ciò avveniva ad immediato detrimento (e rivelando quindi un certo disinteresse verso le modalità concrete) dell'azione militare 3 . Questo doveva avere il suo peso.
Se questa responsabilità di Mancini era chiara (ed è da tempo nota) non va dimenticato che i militari non seppero tenere un atteggiamento sufficientemente univoco e saldo, anche su questioni di grande importanza tecn ico-operativa . La questione del Comando (ma, prima di questa, la stessa questione della forza e degli obiettivi della spedizione per Massaua) riflette questi successivi aggiustamenti o acco modamenti delle autorità militari: le quali si trovavano spesso in difficoltà di fronte alle cangianti poli tiche di Mancini , ma mai volle- ro assum e rsi l'onere e il rischio di bloccarle. Nella fiducia, forse, che dalle trattative della Consulta e dalla forza militare della spedizione potesse e dovesse farsi più grande la 'potenza' italiana. Intanto, come abbiamo visto, l'ambiente milit.are centrale era stato in qualche modo avvertito che qualcosa stava per accadere. Già il 20 dicembre, Ricotti doveva averlo intuito 4.
Il 31 Mancini infme scrisse ufficialmente al Ministro della Guerra 5. Erano per il momento destituiti d'interesse i preparativi per la Tripolitania né si sarebbe fatto niente per il lontano Congo 6. La spedizione ci sarebbe stata , ma verso altri lidi
Il tutto rimaneva però ancora abbastanza co nfuso agli occhi delle autorità militari, le quali ancora a fine dicembre (e Ricotti ne aveva riferito a Cosenz) potevano pensare di dover preparare un «corpo di spedizione isolato, destinato a concorrere con le sole sue forze alle operazioni che in quel tempo stesso si compirebbero nell'Alto Egitto» da parte degli Inglesi 7 . Cosa che si precisava , poi, nei primissimi giorni di gennaio come cu na probabile spedizione all 'interno dell' Mrica p er la costa orientale» s. Se anche, infine , Massaua emerse come la meta della spedizione militare , riman ev a l ' incognita di una qualche operazione «a qualche giornata dalla costa» verso l'interno 9 .
4 Cfr. AUSSME , Libia, can. 6, fase. 8, 20 dicembre 1884, Ris.ma Pen. , Ricoui a Cosenz.
5 Cfr. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 2, alla dara del 31 dicembre 1884, e ivi, v. 43, 5 gennaio 1885, Ricotti a Mancini .
6 In effetti, in questo senso, era stata preparata una nave da guerra all'ancora del porro di Genova. Vi si doveva imbarcare, tra gli altri , per contro di Mancini e del Ministero degli Affari Esteri, il cap. Cecchi, che fu poi in vece dirottato in tempo verso il Mar Rosso. La notizia dei preparativi della Marina era già trapelata in quei giorni. Cfr. MCR , Carte Mancini , se. 651, f. 10, doc. 13. Già lo ricordava CHIALA, La spedizione di Massaua. Narrazione documentata , ci r., il quale accennava a probabili dissapori tra Guerra ed Esteri. Ricordava infatti Chiala come cll Diritto• , giornale di Mancini , avesse amm onito già con il 1• gennaio 1885 che cl' ese rcito deve quandochessia essere pronto ad enuare in 15 giorni in ordine di battaglia, a prestare in qualunque momento uno o due corpi da sbarco, per qualunque destinazione vicina o lontana ( )•. lvi, p 152 Lo stesso Chiala già avanzava alcuni suoi dubbi circa il carattere esauriente dell e informazioni presentate dalla Consulta (e dalla Pilotta) al Governo il quale, se si riunì prima della fine del 1884 per autorizzare i preparativi (come si è visto, già assai avaruati) , per una spedizione nel Mar Rosso, so lo più tardi poté votare sulla specifica destinazione di Assab-Massaua. Cfr. ibidem, e cfr. anche AUSSME, Volumi En.trea, v. 44, 8 gennaio 1885 , Ris.ma, Brina Caimi. Come al solito, e sempre sorp re ndemememe , bene informaro si rivelava cL' ese rcito italiano•. che già in data 24 dicembre 1884 pubblicava un articolo su AJsab e la politica "colonia/e.
7 Cfr. G IGLIO, L'impresa di Massaua1884-1885. cit., p. 47.
8 Cfr. AUSSME, Volumi En'trea, v. 43, 5 gennai o 1885 , Ricotti a Mancini.
Chi ricevette la missiva dì Mancini (con cui la direttiva diplomatica si fece precisa e definitiva) fu Marselli, il segretario generale del Ministero della Guerra il quale contattò immediatamente Ricotti, che si trovava allora lontano dalla capitale, a Modena.
Marselli nel suo avviso al Ministro faceva riferimento ad altre precedenti disposizioni e riferiva di abboccamenti già personalmente avuti con il comandante in seconda dello Stato Maggiore.
Sì è stabilito perciò col Generale Ricci - egli scriveva - che preparerebbe disposizioni per mobilitare un alrro battaglione ed altri 4 pezzi. Se V.E. domenica approva e Minimo degli Esteri accetta si darebbe esecuzione , se no nulla è compromesso IO
Ma, significativamente, a commento di queste misure che evidenziavano chiaramente l'intenzione di allestire un piccolo corpo di spedizione militare, Marselli si premurava di aggiungere che «ad ogni modo una spedizione interna sarebbe difficilissima per non dire inattuabile» 11 .
Nel frattempo era stato sollecitato lo stesso Agostino Ricci, Comandante in seconda del CSM, affinché lo Stato Maggiore preparasse una relazione tecnico-militare: di fronte ad alcune sue obiezioni tese forse a conoscere meglio gli scopi della missione per poter poi stendere un vero e proprio piano operativo, Marselli disse invece che si sarebbe accontentato anche solo di <<una risposta d'ufficio» che si potesse inviare alla Consulta: in mancanza di ulteriori e decisive precisazioni ed informazioni, Marselli consigliò infatti Ricci almeno di «prepararla come può» 12 . Il gioco degli aggiustamenti successivi andava ad iniziare.
La ' Memoria' dello stato maggiore, firmata Cosenz, fu così indicativa della cauta disponibilità con cui gli ambienti militari dello SME guardavano a questa spedizione, che però semp re più sembrava allontanarsi dalla 'grande' prospettiva di cooperazione italobritannica lasciata all'inizio trapelare dalla Consulta. Anzi adesso, quando tutto si riduceva a proporzioni limitate (due battaglioni, o tre come volevano Marselli e Ricci), lo stato maggiore poco apprezzava quegli accenni di Mancini circa possibili operazioni verso l'interno , di cui ancora non si conosceva il nemico, la durata e i possibili alleati. Queste spedizioni, o 'puntate', all'interno potevano nascondersi - agli occhi dello Stato Maggiore - anche n eU' affermata volontà di Mancini di 'punire' i responsabili del!' eccidio della missione Bianchi . Ma come trovarli in un territorio sconosciuto ed ostile? Come distinguerli da innocui 'indigeni' ?
9 Vi insistono BATIAGLIA, La pn·ma guerra d 'Africa, cit., p. 188, e DEL BOCA , Gli italiani in Africa onentale. Dall'unità alla marcia su Roma, cir., pp. 174-175.
10 AUSSME, Volumi En'trea, v. 43, 2 gennaio 1885 , Marselli a Ricotti.
12 lvi, v. 43 , 2 gennaio 1885, Marselli a Ricotti.
Cosenz scrisse così che «mancavano assolutamente i dati per apprezzare l 'entità della spedizione» l3: e ricordava al proposito le diffiwltà e gli insuccessi incontrati in quella regione dalla ben più forte ed organizzata spedizione militare inglese del 1867. E soprattutto, dichiarava di «ritenere cosa affatto azzardata il dare inizio ad un'opera di repressione» verso l'interno. Sottolineando le differenze che intercorrevano dal punto militare tra le varie ipotesi affacciatesi (a seconda che si volesse solo rinforzare il presidio di Assab, andare alla ricerca dei colpevoli di un eccidio o indirizzarsi con decisione addirittura verso l'interno), Cosenz chiedeva alla Consulta che si prendesse un più sicuro partito.
Mancini, invece, rispondendo ad una missiva di Ricotti che portava con sé in allegato la memoria preparata da Cosenz, pareva accettare l'ordinamento militare della spedizione comunque suggerita dallo SME ma non era disposto a cedere su l tema degli obiettivi (che continuavano a rimanere imprecisati io più parti) né a volerli chiarire. Questo era il senso della sua affermazione con cui diceva di continuare ad «essere non contrario a qualsiasi severa e legittima opera di repressione» ! 4 . La questione rimaneva perciò impregiudicata.
Nel frattempo, come diceva Mançini nella stessa lettera, era «urgente e necessario andare» 15. E da parte militare non si poté né si volle ritardare i preparativi. Si andava io Mar Rosso.
Questo stato di fretta e di imprecisione, però, non poteva non influenzare le operazioni militari di allestimento della spedizione, anche in alcuni suoi aspetti importanti. Massaua dovette così fare i conti, tra l'altro, anche con i non lineari rapporti tra esercito e marina, tali perlomeno dai giorni di Custoza e di Lissa , se non da prima ancora.
13 AUSSME , Volumi Eritrea , v. 2 , alla data del 4 gennaio 1885.
14
Sino a quando si era parlato di una grande spedizione (per l ' interno dell'Etiopia o addirittura su per il N ilo) era chiaro che il grosso della responsabilità e dell'onere militare sarebbero ricaduti sulla maggiore delle due forze armate, cioè sull'Esercito. Ma quando l'obiettivo pareva rimpicciolirsi, e lo scopo diplomatico divenire raggiungibile anche con un limitato sforzo militare, come a Beilul, poté sembrare anche alla Marina di aver qualche cosa da dire in propositO. La cosa non era poi senza motivazione: in fondo , reparti della Marina erano già stati incaricati di occupare Debeken ed altri stavano occupandosi (anche se con le difficoltà che abbiamo visco) dell'affare Beilul 16 . E, se davvero si pensava di andare a Massaua solo per rimanere poi sulla costa, non dovevano sembrare fuori luogo azioni prevalentemente dirette e condotte solo dalla Marina 17.
In verità (e gli ambi enti direttivi dell'esercitO, lo sapevano bene), perlomeno all'inizio dell'operazione che avrebbe dovuto condurre gli italiani a Massaua, si era parlatO di ben più ardite mete militari. Se anche qualche incomprensione tra esercito e marina era da addebitarsi a Mancini e alla sua incerta e contraddittOria azione diplomatica , non si può non sottolineare come queste stesse incomprensioni si nutrivano di più antiche rivalità militari 18.
Fu così che, ai primi di gennaio, Brio Ministro della Marina scriveva chiaramente al Contrammiraglio Caimi che il Governo ha deciso di riunire nel Mar Rosso una forza navale sufficiente per poter fornire un battaglione di almeno 500 marinai, olue gli ufficiali, onde essere eventualmente in grado di miJitarmente occupare la piazza di Massaua 19_
E, specificava Brio sempre nello stesso dispaccio , solo dopo l' occupazione da parte della marina sarebbero giunti a Massaua truppe dell'esercito per sostituirle, provenienti da Assab o dall'Italia.
Questa ipotesi d'azione dovette pure per più tempo avere una sua veridicità, dal momento che per più di una settimana i messaggi del Ministero della Guerra recavano come destinazione del corpo di l9 AUSSME, Volumi Enirea, v. 44, 8 gennaio 1885, Brin a Caimi. spedizione Assab 20 (e non Massaua la cui occupazione poteva sembrare quindi commissionata alla Marina) e che lo stesso Saletta, a giudicare da p iù di una ricostruzione storica 21 e dalle sue stesse 'Memorie' 22 , seppe di dover occupare Massaua solo quando fu a poca distanza dal porto abissino. Se anche rimane da chiarire come mai la marina sapesse 'più' di quello che sapeva l'esercito, le ambizioni di primato della forza di mare dovettero però cedere il passo al peso della forza dell'esercito. Ma il contrasto ua le due forze armate, se anche non inficiò sul momento l'occupazione di Massaua , ebbe invece più di una conseguenza su aspetti anche imporranti della preparazione della spedizione.
16 Cfr. GIGLIO, L'impresa di Massaua 1884-1885, cit., p. 61 e sgg. Cfr. anche AUSSME, Volumi En'trea, v. 45, 19 novembre 1884, Mancini a Brio (copia).
17 AUSSME, Volumi Enirea, v. 44, 12 gennaio 1885, Confle, Mancini a Brio.
18 I contrasti ua i milita.ri italiani in loco non dovevano tardare a divenire evidenti anche ai civili (ua cui la rappresentanza consolare italiana a Massaua). Cfr. GIGUO, L'impresa di Massaua 1884 - 1885, cit., p. 88, n. 3.
Tra questi aspetti, uno dei più decisivi era indubbiamente quello del Comando.
In uno scenario politico, diplomatico e militare così difficil e e incerto era chiaro che molto del futuro coloniale italiano in Mar Rosso sarebbe dipeso anche dalla personalità stessa di chi avrebbe avuto sul luogo la massima responsabilità militare.
Molti fu rono i nomi avanzati, spesso apparentemente in modo unilaterale da ognuna delle Forze Armare , per questa carica: riprova e indice , questo, di quella cena concorrenzialità di cui si è detto. Né, pare di capire, Mancini aveva la forza o l'interesse di imporre una sua nomina politica, attendendo invece che lo stesso ambiente militare trovasse la sua unità intorno ad un nome.
Ecco perché nel corso della stessa preparazione della missione, si parlò a proposito del Comando della piazza di Massaua indifferentemente del Generale Ricci, del colonnello Leitenitz o del capitano di corvetta Lo Preve 23.
A due-tre settimane dallo sbarco nel porto abissino, insomma, non era ancora chiaro chi avrebbe avuto il Comando del presidio di Assab e chi di quello di Massaua, chi delle truppe marine e chi quelle terrestri, e se sarebbero dovuto esserci poi dei cambi di mano, dopo la presa di possesso vera e propria e dopo la definitiva sistemazio- ne dell e truppe a terra. Il fatto , di per sé grave sotto il profilo dei rapporti personali che potevano instaurarsi tra gli alti ufficiali incaricati (il Contrammiraglio Caimi e il colonnello Saletta, pur destinati alla stessa mission e militare , non tardarono a sentirsi ognuno il superiore ge rarchic o dell ' altro e a crede re di avere due scopi diversi), influiva anche sulla delicata questione delle 'Istruzioni militari'.
2° Cfr. ivi, 8 gennaio 1885, Ricotti a Brin.
21 Cfr., ua gli altri , BATIAGLIA, Laprimague"a d 'Afnca , cit., p. 182. Ma anche AUSSME, Carteggio En'trea, racc. 44, 9 aprile 1896 , Ru ma Pers., Sal erta a Ricotti Torneremo poi a spiegare l 'inte resse di questa lenera.
22 Cfr. AUSSME , Carteggio En'trea , racc. 9. fase . l, p . 31.
23 Cfr. GIGLIO, L 'impresa di Massaua 1884-1885, cit., p. 64. Cfr. anche AUSSME, Volumi En'trea, v. 45, 13 gennaio 1885, Ru., Mancini , a Ricorri (che fa seguito a 30 gennaio 1885 , Ricotti a Mancini).
Queste, in una situazione così mutevole, erano decisive: ma , come è noto , furono in casi ìmportanti consegnate o fatte recapitare troppo tardi 24. Scriveva poi di sé in alcune sue 'me morie ' il colonnello Saletta: libero dal legame di qualsiasi istruzione, mi trovavo costretto ad agire secondo il mio cri cerio 25.
Una tale condizione non poteva non rischiare di esporre le forze militari del Mar Rosso ad iniziative - da pane dei Comandantipersonali e contrastanti.
Se , riassumendo, non poche erano le difficoltà cui la preparazione militare della spedizione coloniale e ra esposta dalla contraddittoria poli tica di Mancini , non si può dime nticare che anche l' ambiente militare appariva talvolta diviso da intéressi diversi ed attrave rsato da un dib attito non trascurabi le.
L'as petto del dibatùto e del confronto di opinioni diverse diventò più chiaro nel prosieguo dell'operazione: ma certo era stato presente anche nei primissimi giorni.
Un punto su cui ci fu discussione, per esempio , era quello della composizione organica dei re parti da inviare in Mar Rosso.
Dal momento che, come ab biam o visto, si andava semp re più riducendo l'ipotesi di ardite collaborazioni militari anglo-italiane, l'entità complessiva del corpo di spedizione avrebbe finito per non superare due , o per sicurezza tre, battaglioni più i relativi servizi. Cioè non più di tremila uomini in tutto 26.
24 D isse qualche anno più tardi $aletta, in un a comunicazione riservata, che il te · sto completo delle istruzioni gli pervenne solo il 24 febbraio da Assab (si uanava del dispaccio datato, e partito , il 3 febbraio) e il 26 da Roma (dispaccio 1 1 febbraio). Onestamente , però, aggiungeva che «Cotesti intendimenti [delle istruzioni) già mi erano in parte palesati dai telegrammi ricevuti ancece dememente•. AUSSME, Carteggio Eritrea, racc. 44, fase. l , 9 aprile 1896, Ris.ma Pers., Saletta a Ricotti. A distanza di un decennio, e solo qualche sett imana dopo Adua, le difficoltà e i contrasti di dieci anni prima a Massaua dovevano ancora essere ricordati dai protagonisti. Cfr. anch e BATIAGUA , Laprimague"a d'Afoca, cit., p p. 181-182.
25 Di nuovo AUSSME, Carteggio Er-itrea, racc. 9, fase. l, p. 31.
Le modalità per radunare un tale quantit ativo (sia pur ridotto) di uomini erano però varie.
Si poteva destinare più semplicemente a tale scopo un numero corrispondente di unità: si sarebbe così mantenuta l'omogeneità e dei reparti. E poi non si poteva escludere l'eventualità di qualche vera e propria azione armata. In questo caso il preservare l'unità dei reparti avrebbe potuto anche facilitare il mantenimento di quelle tradizioni dei singoli reggimenti che proprio in quegli anni si volevano valorizzare: era questo un elemento so lo formale e certo assai secondario, ma che pure sembrava attirare l'interesse degli organizzatori militari del periodo.
Oppure si potevano comporre quelle unità solo a livello ammin istrati vo, tramite l'unione di piccole unità prelevate in più zone. In tal modo la scelta degli elementi militari avrebbe potuto essere più accurata e sarebbe rimasta alla totale discrezionalità dell'amministrazione centrale della Guerra. Il corpo militare che si sarebbe così formato avrebbe però presentato il difetto di una più evidente disomogeneità , perlomeno iniziale.
Queste erano le due più co nsistenti ipotesi 27 .
Ce ne erano anche altre, più improbabili, ma che erano certo presenti anche in quei giorni (u na di queste era queiJa adombrata, dal suo punto di vista con apprensione, dal generale Corte nel brano prima ricordato) e che qualche tempo dopo furono sollevate con una certa enfasi da parte della stampa politica e militare.
Di queste una era que iJa della costituzione di un Corpo specificatamente Coloniale, su l modeiJo francese, con truppe a lunga ferma ed ad alto soldo. Questo tipo di organizzazione militare si sarebbe caratterizzato per l'estrema qualificazione e per un particolare addestramento delle sue truppe e dei suoi ufficiali 28.
L'altra, infine, era quella di una ' leva politica' di volontari coloniali, civili ed in uniforme, formata attingendo a quegli individui ed a quegli strati sociali che una propaganda colonialista avrebbe potuto galvanizzare (magari sfruttando il richiamo ad un passato garibaldino ed alla partecipazione popolare alle guerre per l'indipendenza nazionale) 29.
26 Per la pane tecnica , cfr. AUSSME, Volumi Enirea, v. 4. Indicativa la presenza , tra le cane dello Stato Maggiore del tempo, di una traduzione italiana manoscritta di un arricolo che il geo. britannico Wolseley scrisse per il cSoldier's Book for Field Servi· ce•, intitolata Sulla costituzione dei piccoli corpi di spedizione e sul modo di com batte· re contro nazioni selvagge, adesso in AUSSME, Carteggio Entrea, rac. 160, fase. l.
27 Erano ben chiarite già in cL' ese rcito italiano•. 31 gennaio 1885, I distaccamen· ti coloniali.
28 Ibidem. Conuaria apparve cL'h.alia militare•, l febbraio 1885, L 'esercito ... coloniale.
Per ognuna di queste ipotesi, il dibattito militare venne segnalando vantaggi e difetti.
Per quanto riguardava l'ultima (la 'leva garibaldina') è chiaro che si trattasse di uno strumento difficilmente realizzabile, e comunque importante solo come indice di un permanere in certi ambienti politici di vecchi miti giustapposti a nuove (ed anche radicalmente contrastanti) esigenze. Era più uno strumento di lotta politica che un mezzo militare.
Già l'ipotesi del Corpo Coloniale militare riscuoteva più adesioni. Il giornale «L'esercito italiano» propose a chiare lettere la creazione di un tale Corpo militare di volontari, con ferma di cinque anni ed adeguati compensi 3°. Ma ormai, per il segreto con cui era stata avvolta l 'attività di preparazione , la spedizione di Massaua era già partita, e le scelte erano già state fatte: in colonia si era andati con le normali truppe di leva. Per questo motivo, le voci dissenzienti che volevano il Corpo Coloniale acquistavano solo il valore di critica, di richiesta di qualcosa 'di più'. Ebbero perciò buon gioco gli ambienti militari ministeriali a riaffermàre il valore delle scelte organiche già fatte e provando a tacitare le voci interne allo stesso mondo militare. «Aspettiamo adunque di conoscere bene le cose, prima di dare giudizi prematuri ed ingiusti», scriveva la voce ufficiosa del Ministero della Guerra 3 1 «Non è ancora provato che le truppe di leva offrono prestazioni militari-coloniali inferiori a quelle dei volontari» 32 La base di questo ragionamento stava nella precisa volontà di Ricotti (come anche aveva già detto Corte) di non dare origine ad un 'altro' esercito, ad un Corpo staccato dall'organismo militare nazionale, che avrebbe potuto anche essere sottoposto- per la sua specificità 'coloniale' -a forme di subordinazioni amministrative, gerarchiche e politiche da parte di altri Ministeri , quello degli Esteri ad esempio, cosa che pure accadeva in altri Stati europei del tempo. L'esercito-nazione, la ' n azione armata' era unica e tale doveva rimanere, alle dipendenze esclusive e totali del Ministero della Guerra 33. E poi c'era il pericolo di dividere ulteriormente il Corpo Ufficiali, che come abbiamo visto era proprio in quegli anni attraversato da un già aspro dibattito sull'avanzamento e su asserit i privilegi concessi a questa o a quell'Arma, a questo o a quel gruppo; e non sembrava opportuno introdurre - in questo ambiente surriscaldato- un'ulteriore 'cors ia p referenziale' per gli ufficiali coloniali che, alimentando forse nuove polemiche, avrebbe potuto dividere il Corpo in 'combattenti' e in 'sedentari' 34_
29 Ne dà notizia R. RAINERO, L 'anticolonialismo italiano da Assab ad Adua (1869 - 1896), Milano , Ediz. Comunità , 1971 , p. 196.
30 Cfr. gli anicoli citati, ed ancora «l'esercito italiano• , 8 febbraio 1885. Le truppe coloniali; ivi, 19 febbraio 188 5 , Le spedizioni in Africa; ivi, 4 marzo 1885, Assegno indennità alle truppe in Africa; e così via.
3l «L'Italia militare•, 3 maggio 1885, I doni per i nostri soldati d 'Africa.
32 lvi, 27 marzo 1885, Truppe coloniali.
Se la base del ragionamento era questa, infine, va ricordato che tutte queste discussioni avvenivano in uno scenario generale che vedeva il Ministero della Guerra, e Ricotti prima di altri, voler attribuire tutto sommato una scarsa imponanza alla spedizione di Massaua. Non si voleva, alla Pilotta, essere trascinati in una spirale di spese e di impegno solo per quel piccolo contingente di tre reggimenti. I problemi dell'esercito, e della nazione, continuavano a dover rimanere altri.
Scriveva a questo proposito la voce ufficiale del Ministero della Guerra:
Tutti i nosui guai sono conseguenza diretta o indiretta del 1866 35.
E, in un'altra occasione, continuava pessimisticamente:
Molto più che di colonie, abbiamo bisogno di rialzare il nostro prestigio militare. Non ci mancherebbe altro che un nosuo insuccesso contro i Negri! 36_
Da qui anche quel certo tono infastidito delle repliche ministeriali a «L'esercito italiano», che invece - a somiglianza di certi settori dell'opposizione politica, crispina in panicolare- parevano annettere una grande importanza al futuro della spedizione e del colonialismo italiano 37.
33 Cfr. ivi, 7 febbraio 1885, R. BIANCIARDI, Esercito coloniale?.
34 Questi termini erano chiaramente adoperati già in ivi, 27 marzo 1885, Truppe coloniali.
35 lvi, 22 marzo 1885, Disciplina mzlitare.
36 lvi, 29 marzo 1885, Preoccupazione.
37 Le consonanze, in tema coloniale, tra i militari de «L ' esercitO italiano• e i politici dell'opposizione pentarchica dovrebbero costituire oggetto di uno studio separato.
Scanata quindi (e da subito) da parte degli organi militari centrali, l'ipotesi del Corpo coloniale, rimaneva da scegliere tra leprime due modalità: grandi unità omogenee o grandi unità 'eterogenee'.
E proprio su questo aspetto risultarono alla lunga decisivi lo scenario generale qui sopra ricordato ed il complesso di idee affermatosi tra i massimi responsabili della preparazione del Corpo di spedizione, che portavano a non voler caricare di importanza una missione militare dall'esiguo peso organico, dallo scopo ancora impreciso (Assab o Massaua, costa o interno dell'Africa) e che già a quel momento aveva sollevato dissidi non trascurabili (concorrenzialità ua esercito e marina).
L'adozione di unità organiche omogenee (battaglioni già formati) avrebbe potuto sguarnire località dal punto di vista del mantenimento dell'ordine pubblico- che proprio in quei mesi e in quegli anni si faceva più insicuro tra scioperi urbani e sommosse rurali 38 - e dal punto di vista di un ordinato svolgimento dei meccanismi di mobilitazione, cui in quel periodo si voleva mostrare una più ravvicinata attenzione (sarà proprio del 1885 la preparazione, e del 1886 l'emanazione, del primo 'Bollettino di mobilitazione' diviso in due parti, la prima di pubblica diffusione all'interno del mondo militare, la seconda preparata ma da mantenere segreta sino ali' eventuale decisione di passare dal piede di pace a quello di guerra) 39. Quindi, tra una più alta qualità delle truppe 'coloniali' di Saletta ed una 'sicurezza' in patria, Ricotti non aveva dubbi: optava per la seconda e quindi per la formazione delle grandi unità da impiegarsi in colonia tramite compag n ie disseminate un po' in tutta Italia 40.
3S Oltre ai vari studi sul rema già citati in precedenza, rendono bene l'idea dell ' estensione nuova dell'agitazione operaia e contadina di quegli anni anche raccolte cronachistiche e cronologiche come L 'Italia nez· cento anni del secolo 'XIX, v. V, Milano, Vallardi, 1942. Cfr. ad esempio, per il1884, alle date del 29 gennaio (Livorno), 5 maggio (Roma), 22 giugno (Rovigo), 28 giugno (Anguillara), 8luglio (Bergamo). Per ill885, a quelle del 5 marzo (Mantova), 5 agosto (Roma), 6 settembre (Parma) , 19 (Brescia). Per ill886 , inftne, 12 gennaio (Napoli), 15 febbraio (Roma), l marzo (Ancona, Venezia, Bologna, Foggia), 15 aprile (Roma), 30 luglio (Firenze) , e così via. E queste sono le date soltanto delle agitazioni maggiori, in ognuoa delle quali è facilmente presumibile un qualche intervento delle truppe in funzione di ordine pubblico.
39 Cfr «Giornale militare ufficiale:. , 10 febbraio 1886 , acro n. 22.
40 Un'altra , sia pura laterale, spiegazione per questa scelta è da ricercarsi nella preoccupazione delle conseguenze (dannose per l ' ordine pubblico) che un'eventuale disfatta militare del Corpo di Sped izione avrebbe portatO con sé se il contingente fosse stato prelevato tutto da una sola Provincia o regione d'Italia. Lo spettro di un insuccesso ' contro i Negri' aleggiava sulla preparazione della spedizione per Massaua. Scriveva chia-
Questo tipo di pro bi ematica (quale scelta organica effettuare per i reparti), più freddamente tecnico-militare, potrebbe a prima vista apparire meno importante di altre più evidenti questioni, come la ricordata leggerezza di Mancini nel far cambiare alla spedizione obiettivi e co nsistenza , o come lo stato di difficoltà e di incertezza in cui questa contraddittoria politica diplomatica costringeva gli ambienti militari- ad esempio- al momento della definizione del quadro del Comando militare locale.
Eppure essa non va trascurata, dal momento che ci riporta al cuore del nostro problema , e cioè l'atteggiamento dei militari nei confronti della prima spedizione coloniale.
È infatti a questo punto indubitabile che, dopo aver visto balenare ipotesi ben più impegnative come quella della spedizione tripolina o della immediata cooperazione militare italo-britannica su per il N ilo (da Alessandria a Khartum), gli ambienti direttivi militar.i non si potevano comunque mostrare entusiasti per la 'piccola' spedizione di Massaua. Lo Stato Maggiore declinava così, da una parte , qualsiasi responsabilità, accusando (e a ragione) di non possedere dati sufficienti; il Mini stro posponeva, dall' altra, la qualità del piccolo Corpo di spedizione coloniale al mantenimento di una ordinata strut- ramente la sezione amministrativa del Ministero della Guerra: •Nell'ipotesi sfavorevole che le truppe di spedizione dovessero sottostare a notevoli perdite, queste si troverebbero equamente (sic) ripartite sopra un maggior numero delle provincie del Regno:.. AUSSME, Volumi Eritrea, v. 4, 6 gennaio 1885. Ma l'interesse per la localizzazione e la distribuzio ne delle perdite doveva durare a lungo. Nei giorni successivi a Dogali, il Ministro della Guerra , ancora il novarese Ricotti, fece compiere tal une ricerche perché si iden· tificassero gli evenruali caduti nativi della provincia di Novara, onde poter loro dedicare qualche lapide, qualche monumento o qualche cippo commemorativo. Anche per conuobilanciare - in quello che era in fondo il suo circondario elertorale - la cattiva impressione che l'eccidio africano avrebbe poruto creare nei confronti dd generale. Ma, nonostante queste ricerche, soldati novaresi a Dogali non ce ne erano stati. Con un cert<> disappunto e- se vogliamo- cinicamente, scriveva così Ricotti a Perazzi: cDei nativi della provincia di Novara nessuno trovavasi al fatto d ' arme di Dogali. È una fatalità, ma non vi ha rimedio». MCR, Carte Perazzi, s<:. 904, fase. 45, doc 14, 5 aprile 1887, Ricotti a Pe razz i. Secondo alcuni calcoli successivi (che però non è possibile verificare) i Corpi d'Armata che maggiormente contribuirono alla composizione di repani inviati in Mar Rosso furono il X, l' Xl ed il XII, rutti con sede nell'Italia meridionale. Sempre dagli stessi calcoli, e ceno computaci in difetto, pare che dalla prima spedizio ne di truppe del 17 gennaio al 12 marzo 1887 (successivo a Dogali, quando tornò a Massaua Saletta, con il compi m di sostituire Gené, chiudere la fase della 'spedizione di Massaua ' e preparare la fase della rivin cita) si alternarono a Massaua - nelle file del solo eserciro -non meno di 10.550 giovani, tra drappelli, compagnie organiche e reggimenti. Una cifra non indifferente , e che spiega - a livello popolare - la durezza del contributo e l'incidenza dell ' esperienza coloniale e africana dei coscrini . Per le cifre, cfr. AUSSME, Carteggio En'trea, racc. 39. turazione del generale quadro militare nazionale di pace. Questa Massaua semb rava insomma creare più problemi che aprire vie all'onore delle armi nazionali: nell'incertezza degli scopi, in quei primi giorni de l gennaio 188 5, di ceno per i militari restava so lo il fatto di per sé non entusiasmante che si andava in Mar Rosso per alzare la bandiera. Tutto il resto sarebbe stato deciso dai diplomatici, dai politici .
Non si intravedevano allora i perico li cui sare b be andato incontro il presid io di Massaua, anche perché non si conosceva a fondo né la zona né la forza dell'Impero etiopico né l'intensità del ferm e nto de ll a rivolta mahdista. Né si coglieva appieno il peso di quel ficcarsi nelle maglie complicate ed insicure del Trattato Hewett.
Questo intersecarsi di più minacce (all ora ignorate) avrebbe invece gravato, in generale , sull'intera politica coloniale italiana successiva: e soprattutto ed in primo l uogo sulle autorità militari locali cui la sicurezza di quel p iccolo presidio era dem andata.
Quello che , come dicevamo , all'inizio non si intravedeva - né Io sospettava il pur cauto Ricotti- sarebbe presto venuto alla luce. Era passato poco tempo dall'occupazione di Massaua che già la voce ufficiosa del Ministero della Guerra sentenziava, a proposito del grave insuccesso inglese di Khartum:
Fortuna te le nazioni che come la Francia o I'InghiJterra hanno una lunga e gloriosa tradizione militare! Esse possono far pace dopo una sconfitta, magari se avuta dai Cinesi o dai Negri. Noi, nati ieri , e con Lissa e Custoza sulle nostre prime due pagin e, non potremmo, in simile caso, fare altrettanto, senza suicidarci 41 .
E non era la prima volta che il tema del pericolo e del timore di uno smacco coloniale si era presentato su quelle pagine. L'ammonizione della Pilotta era anche diretta contro i responsabili diplomatici e po litici della spedizione su Massaua: si era fatto tutto il possibile per scongiurare anche solo l'eventualità di esporre le armi nazionali ad un insuccesso? Quella 'piccola' spedizione, apparentemente nata davvero 'senza sforzo e senza spese' (rispetto alle altre più gravi ipotesi a volta a volta affacciatesi), avrebbe impegnato la struttura mi litare più di quanto all'inizio si fosse pensato. Cominciava a circolare, così, tra i militari italiani , quell 'augurio che invece doveva essere un triste presagio: ' Non ci mancherebbe altro che un nostro insuccesso contro i Negri!' . Ma questo , in quei primi mesi, non sarebbe avvenuto.