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CAPITOLO PRIMO

CAPITOLO PRIMO

I Problemi Militari

Ali' interno di una certa tradizione di studi di storia militare, la parte centrale di qualsiasi ricerca finiva non di rado per incentrarsi sull'esame di quello che veniva definito 'il problema militare'.

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Un'epoca storica, un torno di anni, la vita di un comandante, un dibattito politico, una generazione di ufficiali: tutto ciò era visto alle prese con un suo problema militare. Per non parlare poi di quelle ricostruzioni della storia militare fatte attraverso il susseguirsi di famose battaglie viste come (e ridotte a) m ere manifestazioni dell'apparire di un sempre nuovo 'problema militare', dall'arco lungo alla mitragliatrice, all'arma totale.

Talvolta una simile impostazione può essere forzata dalla limitazione dello spazio editoriale e tipografico a propria disposizione, o consigliata da un intento esemplificativo , piuttosto che scientifico e analitico. Più spesso essa appare solo come un retaggio della storia insegnata negli Istituti d'istruzione militare, un qualcosa di più vicino ai forzatamente sintetici capitoli dei manuali o delle 'sinossi' di storia militare delle Accademie piuttosto che a vere ricerche storiegrafiche, documentate ed esaurienti.

Troppo spesso, la storia ideale dei 'problemi militari' ha trascurato la storia concreta e materiale , isolando eventi e vicende che invece possono essere comprese solo se illuminate in uno sfondo più vasto, non solo nel quadro della storia politica 1 ma nello scenario più largo della storia delle strutture degli Stati e delle società.

1 Secondo quanto proponeva il titolo di H. DELBRUECK , Geschichte der Kn'eg · skunst, Berlin, 1899-1920 (adesso disponibile in una traduzione inglese ID., History of the Art of War within the Framework of Politica/ History, Westport , Cono., London , UK, Greenwood Press , 1975-1982). Ridimensiona l'apporto mecodologico di Delbrueck RITfER, I militan· e la politica nella Germania moderna. Da Feden'co il Grande alla prima gue"a mondiale, ci t., definendolo «Storico e pubblicistll'» (p. 479 , nostra sottolineatura) e rimproverando alla sua opera di essersi in sostanza «limitata unilateralmente alla tecnica mili tare:., massime neUa nota contrapposizione logoramemo/aonien-

Una tale esigenza, solo in anni non lontani compiutamente sentita, trova punroppo nelle pagine che seguono solo qualche indiretta e lontana eco. Si è cercato soltanto, per adesso, di esaminare alcuni problemi dell'ordinamento militare italiano alla metà degli anni Ottanta non solo dall'interno delle richieste delle Commissioni dei generali e non solo seguendo l'evoluzione delle proposte suggerite dalla pubblicistica militare; ma- per quanto era possibile ad una ricerca come la nostra (ritagliata in un ristretto arco cronologico)si è cercato di notare come sulla percezione, sull'esame e sulla soluzione di quei 'problemi' da parte dell'esercito influissero motivi ed elementi non solo militari, bensì anche e più esplicitamente politici, sociali, istituzionali ed anche talvolta riconducibili al solo 'spirito di corpo'. Si è tentato quindi la via della ricostruzione non del solo 'pensiero militare' (che, così astrattamente inteso, è ancora da dimostrare se effettivamente esisté) ma dell'interagire dei diversi soggetti più o meno attivi della politica militare del tempo.

Ma quale tempo? Nel concreto caso da noi esaminato, la tradizionale autonomia conquistata dalle gerarchie militari italiane ali' interno della classe dirigente si combinava con l'atmosfera parlamentare contingente del trasformismo. Ne sortiva così un rapporto tra esercito e politica non limpido, fatto di manovre e di collimanze, di patteggiamenti e di concessioni - in tema di sistema fortificatorio, di orientamento strategico, di rapporti tra le due maggiori forze armate.

Su taluni di questi problemi si era sviluppato, tra il 1870 ed il 1876 ed anche dopo, un interessante dibattito pubblico tra militari come tra militari e civili: esemplare il caso delle fortificazioni, nei primi anni '70. Un dibattito ampio e vivace, non sempre informato e concreto, ma assai importante anche per il solo fatto di essere pubblico. Sarebbe però vano cercare, negli anni della seconda permanenza di Cesare Ricotti alla Pilotta, qualcosa di simile su quei temi. Il dibattito militare era tornato a correre su binari in un certo senso più burocratici e 'interni'. Si incontrava ancora, talvolta, vivacità e contrasto di opinioni: ma i 'problemi militari' sia pur secondo logi- tamento e di non aver preso «maggiormente in considerazione il rapporto tra politica e condotta dell'esercito• (p. 44). Per un elogio dell'opera di Delbrueck e del suo ruolo nello sviluppo e nell'arricchimento della storiografia militare cfr. invece P. PIER!, Il legame fra guerra e politica dal Clausewitz a noi, in Relazioni, v. I, Metodologia. Problemi generali. Scienze ausiliarie dei/a storia, a cura della Giunta Centrale per gli Studi storici, Firenze, Sansoni, 1955 (in testa al front.: Comitato internazionale di Scienze storiche. X Congresso internazionale di Scienze storiche), pp. 309-318. che spesso trasformiste dovevano tornare ad essere affare dei soli militari.

Dzfese, fortificazioni e cinte

Nella questione delle fortificazioni Ricotti incappò quasi subito, poco dopo nominato Ministro. Non era stato il novarese a sollevare la questione: si trattava di far approvare al Parlamento un progetto di legge per il finanziamento di grandi lavori di fortificazione nazionale, già presentato da Ferrere 2 . Ma anche in quella occasione Ricotti trovò il modo di far passare alcuni suoi personali concetti.

Sul problema strategico e militare di quante fortificazioni costruire, di dove situarle e di come utilizzar! e c'era sempre stato in Italia un vivo dibattito. In questo confrontarsi di opinioni, Ricotti si era sempre attenuto ad alcune sue idee fisse. Egli avrebbe voluto - in contrasto con l'altra (prevalente) tendenza militare - poche grandi fortificazioni, dal momento che queste gli apparivano troppo onerose per le casse dello Stato, pericolose per l'uso controffensivo che ne avrebbe potuto fare l'avversario (una volta che se ne fosse impadronito) e dannose per quella sorta di sfiducia che a parer suo infondeva nei comandanti militari e nella truppa l'avere nelle prossimità del cruento campo di battaglia una sicura e comoda piazzaforte presso cui ricoverarsi 3.

Forse, di tutti questi aspetti, quello economico era l'elemento determinante 4.

Nel 1880 egli aveva di nuovo chiarito, durante le r1unioni della Commissione suprema per la difesa dello Stato, il suo concetto. Di fronte a tanti generali che auspicavano comunque la presenza di un alto numero di grosse piazzeforti, da erigere o da riadattare, il novarese aveva provocatoriamente sostenuto essere sufficiente un'unica base la quale possa opportunamente funzionare ad un tempo come base principale tanto nell'ipotesi di guerra coll'Austria, quanto in quella con la Francia, senza escludere anche il caso di una violazione della neutralità svizzera 5.

2 Cfr. di nuovo MINN1TI, Esercito e politica da Porta Pia alla Tdplice Alleanza, cit., p. 104 e sgg.

3 Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 68, fase. 2, alla data del 25 novembre 1880, p. 6. Il dibattico pubblico, tra i militari, dovette cedere il passo alle riunoni della Commissione dei generali. Scarse conseguenze concrete dovevano avere , verso la metà degli anni Ottanta, interventi talvolta critici come quelli di A. ARALDI, Gli errod commessi in Italia nella difesa dello Stato: appunti, Roma, 1884 o di G.B. BRUZZO, La difesa dello Stato: poche osservazioni, Roma, 1884 o ID. , Altre osserva· zioni sulla dzfesa dello Stato, Roma, 1884.

4 Cfr. ivi, fase. 5, alla data del4 febbraio 1882, p. 14. Ricotti vi sosteneva ua l'altro che non era possibile .:preservare in modo assoluto una piazza dal bombardamento senza darle uno sviluppo sproporzionato ai danni che da un bombardamento possono derivare•.

Così facendo, «senza incorre re nell'inconveniente di moltiplicare le piazze da guerra:. 6, si sarebbe potuto alleggerire il carico di spese immobilizzato nelle opere di difesa pe rmanente, indirizzarne una parte verso l 'approntamento di qualche fortificazione imp rovvisata, e sop rattUtto dirottarne il grosso verso l'esercito mobile, verso la Fanteria.

Negli anni Ottanta un sim i le modo di vedere, se pure p oteva sembrare 'attuale' quando sotto li n eava l'esigenza di spend ere mo l to per l'esercito mobile (e qui la vocazione 'numerista' del novarese lo soccorreva assai bene) era de l tutto inadeguato rispetto ai p rogressi raggiunti nell'arte fortificatoria da parte delle altre forze armate europee 7 ed appariva al mondo militare italiano un concetto attardato e conservatore.

Q u ando Ricotti fu nominato Ministro, ci fu nell'ambiente militare qualche segno di apprensione. Proprio i n quei mesi infatti sarebbe stato appunto discusso in Aula il progetto di legge che recepiva Je con clusioni delle riunioni in tema di fortificazione della Commiss i one per la Difesa dello Stato (in cui il novarese era stato p i ù volte messo in minoranza dai suoi colleghi generali) s. Avrebbe i l nuovo Ministro sovvertito quel disegno di legge?

A Ricotti in realtà non restava altro che tradurre in legge il progetto. E sul momento si limitò di effettuare comunque alcuni storni

5 Ancora da ivi, fase. 2, alta data del 25 novembre 1880, p. 6.

6 Ibidem.

7 Alcune brevi note su questo complesso tema , in A. FARA, L'archtiettura e la cultura militare dell'Ottocento nella Roma Capitale d'Italia, in A. FARA, C. ZANELLA, La città dei militan·. Roma Capitale nell'Archivio dell'ISCA G. Roma, Kappa, 1984, pp. 7-9.

8 Cfr. gli stessi verbali della Commissione per la Difesa dello Stato sin qui utilizzati, in varie occasioni. Non è un caso se Ricorri fu messo in minoranza, o votò da solo, per un numero maggiore di volte quando- dal 24 settembre al 13 dicembre 1882la Commissione esaminò il possibile quadro strategico di opera.zione all'interno del territorio della penisola, dove l'uso delle fortificazioni permanenti sarebbe stato determinante. Cfr . i11i, racc . 4, fase. 6, alle date del 25 settembre, del 4 dicembre e del 13 dicembre 1882. Appena pochi mesi prima era stato firmato il trattato della Triplice Alleanza ua i vari capitoli, spostando fondi finanziari dalla difesa interna verso la difesa delle coste 9.

Un tale comportamento di Ricotti non dovette però rassicurare del tutto quegli ambienti e quei militari che invece annettevano una grande importanza alla presenza di un artico.lato sistema fortificatorio, anche perché- durante l'esame in Aula del progetto di legge - il Ministro non perse l'occasione di ribadire pubblicamente le proprie idee sull'argomento.

Valorizzazione delle forze vive dell'organismo militare, rafforzamento delle compagnie, ruolo insoscituibile della Fanteria (del fattore uomo, cioè) nella probabilità di una grande battaglia nella pianura al di qua delle Alpi. Una riaffermazione, insomma, del concetto (che per Ricotti era un programma) del tutto-esercito, dell'esercito mobile, d eli' esercito unico pilastro per la difesa del Paese: da cui scarso ruolo per le fortificazioni, alla Marina la difesa delle acque territoriali e all'esercito persino il controllo dei punti-chiave del litorale 10_

Ma queste tesi non erano le uniche presenti nel dibattito militare in tema di fortificazioni. Ché anzi altre vi si contrapponevano, sostenute da militari più convinti delle teorie germaniche dell'offensiva e preoccupati dell'importanza del fattore tecnico (armamenti, Armi speciali) piuttosto che della sola forza del 'numero'. E proprio in quei giorni, l'ambiente militare doveva presentarsi niente affatto allineato sulle posizioni del Ministro.

Lo stesso progetto di legge che Ricotti fece approvare, frutto delle riunioni della Commissione per la Difesa dello Stato, prevedeva un numero assai alto di fortificazioni da costruire: ceno un numero più consistente di quanto avesse voluto Ricotti, che durante i lavori della Commissione aveva avanzato opinioni eterodosse da quelle poi risultate definitive 11.

Inoltre, qualche mese prima della discussione parlamentare, lo stesso Cosenz, Capo dello stato maggiore, invece di favorire la tendenza ministeriale al disimpegno dal tema delle difese fisse, aveva scritto a Ricotti, chiedendo una maggiore attenzione e varie migliorie tecniche per le fortificazioni militari (per esempio, incremento delle razioni viveri che avrebbero dovuto, in caso di conflitto, servire all'alimentazione delle truppe e che secondo lo SME erano invece del tutto insufficienti, quando non addirittura mancanti, etc.) 12

9 Come già ricordavamo , cfr. VENTURINI, Militan· e politici nell 'Italia umbertina, cit., p . 195 .

1° Cfr. AA.PP. , Camera , Legisl. XV, sess. unica, Discussioni, tornata del 28 maggio 1885.

11 Cfr. anche il solo AUSSME , Ordinamento e mobilitazione , racc , 298 , fase. l, dove è conse. rvato il testo del Piano generale delle fortificazioni per la Difesa dello Stato nella versione in cui fu presentato alla Commisione esaminatrice della Camera nel maggio 1884, in vista dell'approvazione del relativo progetto di legge.

Infine , proprio in quei giorni, il deputato militare Pozzolini, addetto allo SME, aveva pubblicamente sostenuto nel dibattito parlamentare che le fortificazioni erano strumenti essenziali e irrinunciabili di qualsiasi strategia militare: la quale avrebbe dovuto prevedere, oltre alle battaglie e alle vitto rie , anche i possibili «momenti difficili:• - e quindi la necessità di ricove ri per le truppe 13.

Ma il dato più interessante della vicenda non pare tanto questo -sia pur talvolta dimenticato 14 - contrasto di opinioni all'interno dei militari, quanto il fatto che trasformisticamente proprio uno dei militari che più era stato contrario alle fortificazioni fu poi il Ministro che ne avviò un importante programma di costruzione. In questo senso, le affermazioni fatte in Parlamento da Ricotti parevano più tese a depistare l'opposizione politica al progetto (e alle spese militari di cui quelle fortificazioni necessitavano) che a proclamare un indirizzo di politica e stra tegia militare.

Vi furono, è vero, militari che negli anni successivi accusarono il Ministro di aver ritarda to, frenato o bloccato il programma di fortificazione nazionale 15. E non è improbabile (anche se non si è reperito ancora una sufficiente documentazione al riguardo) che qui e là Ricotti abbia lesinato fondi per costruire forti e piazzeforti. Certo, comunque, è il sostanziale fatto per cui, proseguendo quel gioco delle parti e quel 'rimescolarnento delle cane' che è già stato notato 16, gli ultimi anni del trasformismo videro i militari impegnati in un notevole sforzo edificatorio proprio quando il Ministro della Guerra in car ica vi si professava pubblicamente contrario. Quanto questo doveva creare disorientamento nei rapporti tra politic i e militari, ed anc h e all'interno del dibattito militare, è cosa che va da sé .

12 Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 123, n. l, 2 febbraio 1885, Ris., Cosenz a Ricotti, Mem ona .

13 Cfr. AA.PP., Camera, Legisl. XV, sess. unica , Discussioni, rornata dd l giugno 1885.

14 Cfr. MINNITI, Esercito e politica da Porta Pia alla Triplice Alleanza , ci r. , p 107.

15 Ma non era la prima volta: cfr. F. CERROTI, Le fortificazio ni di Roma e il si· stema di direzione dei lavon· pubblici militan·, Roma, Bodoniana, 1882.

16 Cfr. DEL NEGRO , Esercito, Stato, società. Saggi di stona militare, ci t., p 256.

. Una analoga serie di compromessi e patteggiamenti tra teoria e prassi, tra convinzioni personali e ambito d eli' amministrazione militare, tra riserve mentali e realtà dello sviluppo dell'esercito e del potenziale militare (che coinvo lgono quindi la figura di Ricotti molto oltre quella immagine di 'M inistro anti-Fe rrero' o 'anti-Sinistra ' o 'anti- Mezzacap o' che egli voleva accreditare e che talvolta è stata ripresa) la si può ved ere ope rante anche nella questione- più delimitata ma meno conosciuta - delle fortificazioni della Capitale. Che l a costru zione di un grande campo trincerato intorno a Roma fu una de ll e più importanti real izzazioni della politica militare della Sinistra appena giunta al potere è cosa sufficientemente nota 17. È anche noto come questa sce lta , costosa ed impegnativa , fu l 'ul tima propaggine di quel complesso movimento europeo che portò l'architettura e le scienze militari a fortificare le capitali degli Stati nazionali 18. Ed anche qui è stato ricordato, infine, l 'attegg i amento di netta critica espresso a questo proposito, già nel 1877, da Ricotti nel quadro allora della sua vigorosa campagna contro Mezzacapo, Ministro della Guerra del primo governo della Sinistra storica.

Comunque fosse, il campo trincerat o e la l inea dei forti poteva dirsi largamente completata nel 1884, quando il gene rale novarese assunse per la seconda volta il Ministero della Guerra 19. A questo punto era presumibile che il nuovo Ministro avrebbe defmitivamente bloccato i lavori. Ma non fu esattamente così.

La documentazione non è, in questo caso, così prec isa com e vorremmo; la stessa datazione degli eventi non è, nelle fonti rintracci ate, semp re accettabile. La questione, insomma, necessita di nuovi e più approfonditi studi.

Ma rimane - ed è notevole comunque - il fatto ch e proprio negli anni del secondo Ministero Ricotti furono avviati gli studi (ed effettUati certi primi lavori) per la costruzio n e di una cinta muraria 20

17 Cfr. MINNITI , Esercito e politica da Porta Pia alla Tnplice Alleanza, cit., p. 48 e 51. All'origine, rimane sempre il giudizio di CORSI. Italia 1870- 1895 , cit., p. 162 e sgg ts Cfr. le ricerche di Fara l 9 Cfr. AUSSME , Ordinamen to e mobilitazione, racc. 273. Ad un primo esame anch e taluni documenti conservaci presso l ' Archivio ISCAG , armadio A , racc. 39, Fortificazioni dì Roma , forniscon o varie conferme in tal senso Ma le cane ISCAG attendono da tempo un qualche ordinam e nto che in parte collegasse i forti già eretti ed in parte anche se ne discostasse, ampliando così il diametro della piazza della Capitale. Studi e lavori, quindi, che non solo non limitavano lo spazio spettantenella strategia italiana del tempo - alle fortificazioni ed alla difesa, ma anzi lo rilanciavano in un punto delicato ed importante quale era la sicurezza della capitale del Regno. Cosa questa, come ben si vede, assai diversa da quelle verbalmente proclamate da Ricotti.

2° Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione , racc. 273, in cui è reperibile una lunga memoria (con allegati) su l forti di Roma , databile al 19 11 circa.

Un ennesimo segno, si porrebbe dire, del trasformismo dei tempi.

La costruzione di una tale cinta, in realtà, contrastava abbastanza apertamente con l'impostazione che la Sinistra (e da pane militare, il Ministro Mezzacapo e l'ingegnere militare colonnello Bruzzo) aveva dato all'ipotesi della difesa della Capitale. Nel 1877 si era infatti pensato, con la linea dei forti, di difendere Roma da colpi di mani improvvisi da parte dell'avversario, da sbarchi subitanei la cui entità si presumeva non superasse quella di una divisione o di una divisione rinforzata 21 ; nel 1885-1886, invece, il silenzioso avvio della costruzione di una nuova e più larga cinta muraria intorno a Roma appariva comprensibile solo nel senso di una difesa prolungata della capitale da attacchi di forze avversarie di entità superiore, sino e oltre quella di un corpo d'armata.

La costruzione di questa cinta, inoltre (se anche vi si era fatto qualche accenno in proposito, nel corso delle riunioni della Commissione per la Difesa dello Stato), pare essere stata avviata del tutto al di fuori di un adeguato controllo parlamentare 22. Quasi nulli, ad esempio, furono gli accenni fatti dai militari a questi lavori nella discussione parlamentare del progetto di legge sulle servitù militari 23, che pure vide mobilitata gran parte dell'aristocrazia romana e dei possessori di terreni confinanti con la capitale, in difesa dei propri interessi intaccati dalle necessità militari 24.

Varie possono essere le spiegazioni di una simile mossa. Si potrebbe pensare così ad una sona di 'inerzia' dell'istituzione militare (dopo il campo trincerato, anche la cinta muraria) se la correzione del punto strategico di fondo non fosse stata di così rilevante entità.

21 Cfr. ivi.

22 Cfr. ivi.

23 Forse solo vaghi ed imprecisi accenni del relatore Taverna. Cfr. AA.PP., Camera , Legisl. XV, sess. unica, Discussioni, tornata dell ' 8 aprile 1886.

24 Cfr. i documenti (tra cui una lettera di protesta fumata dai più noti nomi dell'aristocrazia capitolina , Tanlongo in testa) conservati in ACD , Ddl, Legisl. XV , sess. unica , reg. 413, n. 408 , Allegati a Verbale di seduta della Commissione.

Si potrebbe anche ipotizzare una sona di 'rivincita' politica di Ricotti, del Ministro 'della Destra' sui Ministri (come Mezzacapo) 'della Sinistra', se non fosse che una tale spiegazione dice troppo e troppo poco. Certo è che Ricotti- più di altri militari- temeva in quegli anni l'eventualità di consistenti sbarchi militari francesi sul litorale tirrenico 2 5. Un'eventualità forse possibile: ma che appariva ad altri (ad esempio, lo stesso von Moltke, da Berlino) cenamente esagerata 26_

Sia pure nel necessario richiamo alla necessità di nuove ed approfondite ricerche su questo aspetto (ceno non fondamentale, ma pure significativo), pare probabile che varie potrebbero quindi essere le spiegazioni di questo passo dell'amministrazione Ricotti. Un passo silenzioso ma non senza conseguenze, se (come sembra di capire dai documenti) questa nuova cinta muraria intorno a Roma impegnò le finanze statali ed il genio militare di Roma sino a tutto il decennio giolittiaoo 27.

Fatto sta che, anche in questa occasione come in altre, Ricotti per qualche vario motivo (fosse esso politico o parlamentare o militare o personale), acconsentiva trasformisticameme a transigere su alcuoi aspetti centrali del suo pensiero. La politica militare italiana, sotto Ricotti ma quasi nonostante Ricotti, seguiva autonomamente il suo corso.

Tra difensiva ed offensiva: la prima Triplice e l'Italia militare

Tutti i manuali di storia militare convengono sul fatto che con la stipulazione nel maggio 1882 della Triplice Alleanza tra Germania, Austria-Ungheria ed Italia si aprì per la politica estera e per la politica militare italiana un orizzonte nuovo 1

25 Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 68, fase. 2, 25 novembre 1880, p. 7.

26 Cfr. MINN1TI, Esercito e politica da Porta Pia alla Tnplt'ce Alleanza, cit., p. 222. D'altra parte, secondo gli studiosi di sroria militare marittima, il problema della difesa delle coste e delle misure antisbarco era gravissimo. Cfr. M. GABRIELE , G. FRJZ, La flotta come strumento di politica neipnmi decenni dello stato unitario italiano, Roma, 1973, passim

27 Cfr. ancora , AUSSME , Ordinamento e mobilitazione, racc. 11.

1 Cfr. BAVA BECCARIS, Esercito italiano. sue ong,im: suo successivo ampliamento , stato attuale, cit.; MAZZETII, L'esercito italiano nella Tnplice Alleanza, cit., p. 28; L'esercito italiano dal l • tncolore alz• centenano, cit., p. 189 (il volume è poi :stato ristampatO col tirolo L 'esercito e i suoi corpi. Sintesi ston'ca, cir.).

Per la politica estera italiana la Triplice costituì un elemento di forza e di prestigio (sia pure con le limitazioni che un'alleanza dinastica e difensiva portava con sé, e con le frequenti oscillazioni e i vari 'giri di valzer' che la difesa di quegli interessi e di quelle ambizioni italiane non coperti dal trattato imponeva alla diplomazia di Roma) 2 . E su questo aspetto sono disponibili dei buoni studi, ancorché non numerosi.

Sull'influenza- diretta o indiretta- della Triplice sulla po litica militare italiana, invece, gli studi documentati e rigorosi sono assai pochi 3. La particolare d ifficoltà del tema. connessa alla necess i tà qi affrontarlo con una buona conoscenza delle vicende degli altri eserciti della Alleanza, ha sinora sostanzialmente inibito l e ricerche. A questo si deve poi aggiungere che quella influenza non deve essere ricercata in ogni, od in ogni importante, atto della politica militare dei diversi Paesi, dal momento che (fatta ovvia esclusione per le trattative che precedevano la firma dei rinnovi dell'alleanza e delle convenzioni militari ad essi allegate) la collabo razione diretta tra i vari eserciti «rimase sempre di superficie, mirlata dall'avversione degli austriaci e dalla scarsissima fiducia dei tedeschi verso l'alleato latino, e dalla riluttanza di tutte le parti ad un avvicinamento effettivo» 4 .

Almeno su un punto, però, è possibile e necessario dire qualcosa, nell'economia più generale di questa ricerca: su come, cioè, la dimensione internazionale della questione militare fosse percepita dall'esercito negli anni del secondo Ministero Ricotti, dai responsabili della politica m ilitare come dalla più vasta opinione pubb lica militare. Una tale prospettiva, naturalmente, sottolineerà i legami e le intersezioni tra motivi di politica militare ed elementi di politica interna.

2 Cfr. SALVATORELLI, La Triplice Alleanza 1877 -1912. Storia diplomatica, cit., p. 14, che parla anzi di una asserita del trattato:. (in realtà più ricercata da parte italiana che reale). Noto il duro giudizio di G. SALVEMINI, La politica estera dell'Italia 1871-1914 , Firenze, Barbera , 1944 , p. 58: cl'Italia si allea con gli Imperi centrali perché ha paura di averli nemici( ). Più che un trattatO di alleanza, è un trattato di vassallaggio•. Cfr. poi C. MORANDI , La politica estera dell 'Italia. Da Porta Pia all'età giolittiana, a cura di F. Manzotti , Firenze , Le Monnier, 1968; come anche A. TORRE , La politica estera dell'Italia dal1870 al1896, Bologna, 1959 Cfr. infine La politica estera dell'Italia negli atti, documenti e discussioni parlamentari dal 1861 al 1914, v. Il, t . 2 , 1883-1887, a cura di G. Penicone.

3 La ricerca di MAZZETII, L 'esercito italiano nella Triplice Alleanza, cit.• è stata giudicata da ROCHAT, MASSOBRIO , Breve storia dell'esercito italiano da/1861 a/1943 , cit., p. 121, «una cronaca minuta , ma priva di inquadramento critico•.

4 lvi, p. 121 , n. 2.

Non tanto quindi l'esame di come la politica di un Ministro della guerra potesse influire sulla politica estera nazionale (o viceversa) ma semplicemente una lettura del complesso di piani e di aspirazioni, di idee e di miti che una prospettiva militare europea quale quella della Triplice poteva sollevare tra i militari italiani di quegli anni.

In questo senso, preliminarmente, va tenuto presente di che tipo di alleanza, di quale Triplice, si trattava allora. E proprio in questo senso, la scelta di limitare l'attenzione al solo periodo 1884-1887 (oltre che ovvia per un lavoro che si concentra sul secondo Ministero Ricotti) appare utile ed adeguata.

La Triplice, la 'prima nata infatti come patto difensivo e destinata a mantenere lo status quo europeo (al lora essa veniva chiamata, dagli Stati membri, 'Lega per la pace') 6, aveva avuto al suo inizio un valore solo relativo nel pensiero del suo massimo anefice, il cancelliere germanico Bismarck. La Triplice era infatti solo un coro llario , seppur imporrante, di quel suo piano di stabilizzazione euro pea che più naturalmente si sarebbe dovuto basare sul Dreikaiserbund, sulla lega dei Tre Imperatori di Germania, di Russia e d'Austria-Ungheria.

Il maggior punto di frizione diplomatica internazionale (nonostante il congresso di Berlino del 1878) a quel tempo era ancora la penisola balcanica, dove si presumeva si sarebbero prima o poi scontrati i conflittuali interessi di Austria e di Russia. Fu così che proprio in tema di interessi balcanici dovevano alla fine rivelare la loro intima contraddizione la Triplice A ll eanza e la Lega dei Tre Imperatori (conducendo, tra l'altro, quest'ultima alla sua pratica dissoluzione).

La Lega si basava sulla cooperazione austro-russa ; l' Alleanza era pensata in vista di una guerra austro-russa. La Lega era direna contro la Gran Bretagna: il suo scopo era quello di chiudere, con un. azione diplomatica conco rde , gli stretti agli inglesi; ne i termini della Triplice era spiegato che essa non era diretta contro l'Inghilterra e sia l'Austria-Ungheria sia l'Italia speravano in un suo evenruale aiuto 1 .

) Cfr. già L. SAlVATOREW, Dalla pn·ma alla uconda Tnplice, in «Rassegna di politica internazionale., a. 1936 , pp. 576-622, e ID. , La seconda Tnplice, in ivi, a. 1936 , pp. 800-820 (poi rielaborare in SALVATOREW, La Tnplice Alleanza 1877 - 1912. Stona diplomatica, cit. ). Più acute le note di CHABOD , Considerazioni sulla politica estera dell'Italia da/18 70 al1915. cit.

6 Cfr. A.).P. TAYLOR. L 'Europa delle grandi potenze. Da Metlernich a Lenin, (1954), Bari , Laterza , 1961, p . 389.

7 Ibidem.

E non a caso, al momento del primo rinnovo della Triplice e sempre in tema di questioni balcaniche l'Italia propose e l'Austria accettò il noto trattato particolare che venne ad integrare quello dell' Alleanza. Rimaneva comunque il fatto che la Triplice Alleanza sembrava un qualcosa di formidabile e complesso; ma la sua ponata effettiva era assai modeSta. In apparenza essa univa in un unico blocco l'Europa Centrale( ) ma in parole povere Bismarck accenava di difendere l ' Italia per tentare di placare il malcontento dell 'Austria-Ungheria nei con· fronti della Lega dei Tre Imperatori ( )

Inoltre egli sapeva che( ... ) ciò che essi [gli italiani] realmente desideravano era di essere riconosciuti come Grande Potenza, non di essere difesi dalla Francia 8

Tale vario insieme di questioni portò, proprio intorno al 1884, ad una ridefinizione dell'importanza della Triplice : ed ecco perché da questa data si può parlare di una seconda fase della 'prima Triplice'.

Il 1884 fu infatti un anno difficile per Bismark e ceno l'anno più difficile per la prima Triplice.

Scadendo infatti nel marzo la Lega dei Tre Imperatori (e già in questo l'Italia non poté non sentirsi esclusa ed isolata anche dalle sue recenti alleate), il Bundfu rinnovato, ma senza alcuna modifica al trattato originario, come fatto di pura amministrazione. Ciò rappresentò uno smacco diplomatico per Bismarck , che tanto aveva puntato su un asse preferenziale Berlino-Pietroburgo. Inoltre nel settembre 1884 fallirono a Skiernowice i tentativi del cancelliere tedesco di costituire in sostituzione del Bundun'alleanza co ntinentale anti-inglese che vedesse unite alle Potenze dell'Europa centrale anche la Francia repubblicana. Ma come i dissidi austro-russi avevano reso impossibile una valorizzazione del Bund, quelli franco-germanici impedirono il formarsi di una Lega continentale.

Alla fme del1884, quindi, Bismarck poteva contare solo sulla Triplice Alleanza per i suoi disegni di egemonia in Europa 9.

D 'altra pane all'incirca con il 1884 le cose stavano cambiando anche in Italia.

A Roma, già tra il1882 ed il1884, forti erano state le tendenze a non considerare esaurito lo spazio diplomatico italiano nella partecipazione alla Alleanza ma a considerare questa solo come un ele- mento, anche se il più importante, di una più vasta politica internazionale. A sostegno di queste tendenze, che non erano malviste dal presidente del Consiglio, stava il fatto che specifici interessi italiani (Mediterraneo, Balcani) erano rimasti estranei al testo ed allo spirito della Triplice de11882. A non voler restringere l'azione diplomatica italiana negli angusti margini dell'alleanza dinastica e conservatrice della Triplice doveva orientarsi persino il Ministro degli Esteri, Pasquale Stanislao Mancini, autorevole esponente della Sinistra, che pure aveva firmato il trattato costituente della Triplice. La debolezza politica, militare e diplomatica della prima fase della prima Triplice (e l'assai lacunosa 'copertura' diplomatica che essa forniva all'Italia) è, infine, ben rappresentata dal fatto che fino a tutto il 1884 l' Austria considerò il fronte italiano come il più probabile scacchiere di guerra, posponendovi persino il suo fronte con la Russia lO_ Intorno al 1884, invece, mentre lo scenario internazionale mutava in senso avverso a Bismarck, in Italia l'asse politico della maggioranza parlamentare di Depretis si spostava sempre più verso Destra li , i tentativi di arricchire la politica estera italiana con temi non coperti dalla Triplice stavano sostanzialmente fallendo (è il caso, per esempio, della così detta 'politica mediterranea' di Mancini) 12 , lo stesso responsabile della Consulta veniva poi sostituito 13. La spedìzione di Massaua, pur realizzata grazie ad una sostanziale concordanza di interessi britannici e italiani, non aveva avuto gli effetti più larghi che forse Mancini aveva sperato e non aveva portato ad un ralliement anglo-italiano. Inftne lo stesso riemergere dei conflitti di interesse sui Balcani (che aveva già fatto fallire la rivalutazione del Bund) doV·eva costringere la politica estera italiana a riflettere sulla fragilità di una qualunque sua eventuale iniziativa autonoma: la crisi balcanica,

8 lvi, p. 386.

9 Cfr. R. ALBRECHT-CARRÉ, Storia diplomatica d'Europa 1815-1968. (1973). Bari , Laterza, 1968, p. 220.

1° Cfr. SALVATORELU, La Tnplice Alleanza 1877-1912. Storia dzplomatica, cit., p. 78 e sgg.; e MAZZETII, L'esercito italiano nella Triplice Alleanza, cir p. 46.

11 Cfr. CAROCCI, Agostino Depretis e la politica interna dal1876 a/1887 , cit., p. 309.

12 Qualche accenno, ma insoddisfacenre, in C. ZAGHI , P.S. Mancini e il probletna del Mediterraneo 1884 -1885, cit Per l'origine , lontana, del componamento di Mancini (e delle varie tendenze della Sinistra del tempo), cfr. F. D'AMOJA, La sinistra e i problemi di politica estera, in «Rassegna storica toscana», a. XI (1965), n. l, pp. 39-76 che sarebbe poi esplosa nel 1885-86, vide infatti quasi assenti le autorità diplomatiche italiane, emarginate come annullate di fronte allo scontro dei due colossi russo e austriaco 14.

13 Cfr. CHABOD, Storia della politù:a estera italiana dal1870 al1896, cit., pp. 687-702. Il passaggio delle consegne da Mancini a Robilam, mentre, coincise a livello politico e commerciale con un deterioramento dei rapporti italo-francesi. Cfr. E. DEL VECCHIO, Il fallimento delle trattative manttime tra Italia e Francia nel1886, in c StOria e politica», a. VIII (1969), n. 4, poi rifuso in ID. , Di Robilante la cn'si nei rapporti manitimi italo-francesi, cit.

In Italia, insomma, con l'acutizzarsi delle tensioni internazionali (in specie dopo il 1884) la Triplice Alleanza diveniva l'unica ancora diplomatica.

È per questo che è legittimo parlare, come avevamo fatto, di una seconda fase della 'prima Triplice': seconda fase che, cronologicamente viene a corrispondere per inte ro con il periodo di permanenza al Ministero della Guerra di Cesare Ricotti.

Vi fu, vi doveva essere, un adeguamento della politica militare o dell'orientamento strategico dell'esercito italiano, che pure da tempo aveva già trovato - come si è detto - la sua 'direzione precisa', alla mutata situazione diplomatica?

Pare questo, nella sostanza , il problema da porsi.

In questa sede non vale tanto tenta re un'esegesi diplomatica del testo del trattato per dedurne quanto le preoccupazioni e gli interessi militari delle varie potenze fossero alla base (e rimanessero poi operanti negli anni) della prima Triplice. Il preambolo al trattato proclamava la sua «natura essenzialmente conservatrice e difensiva» e, come è noto, sottolineava la necessità di «rafforzare il principio monarchico» e di «mantenere intatto l'ordine sociale e politico dei rispettivi stati» 15. Il trattato , più specificatamente, assicurava il casus foederis all'Italia ed alla Germania in caso di attacco francese, nonché ad uno qualsiasi dei contraenti, se impegnato in una guerra «con una o più grandi potenze non firmatarie del presente trattato»; impegnava poi alla benevola neutralità le potenze firmatarie se una di queste, anche se solo minacciata da un'altra grande potenza, «SÌ vedesse costretta a farle guerra». A questa serie di condizioni politiche e diplomatiche - tutte di spiccato carattere antifrancese - facev:1 seguito, a livello militare, solo un vago accenno (e con i verbi coniugati al futuro) ad una «eventuale cooperazione» tra i vari eserciti: ma niente più 16. Al momento della firma del trattato, infatti, le preoc- cupazioni di Bismarck erano di ordine diplomatico più che militare, e da parte austriaca c 'era- nei confronti dell'Italia- quell'atteggiamento bellicoso cui si è già fatto riferimento.

14 Cfr. A . TAMBORRA, La crisi balcanica del 1885-1886 e l'italia, in «Rassegna storica del Risorgimento:., a. XLV (1968), n. 3.

15 Il testo del trattato della Triplice Alleanza è stato pubblicatO più volte, tra cui notO è G. CAPRIN, I trattati segreti della Tnplice Alleanza, Bologna, 1921. Noi citiamo dalla versione integrale pubblicata da G. PERTICONE , La politica estera italiana dal 1861 a/191 4, Torino, ERI, 1961 , p. 196.

16 lvi, p. 197.

Da parte italiana il discorso era diverso.

Se è vero che ciò che i circoli diplomatici e reali volevano era di vedere considerato il regno umbertino una grande potenza europea, è pur vero che l'ipotesi di una cooperazione militare italogermanica avrebbe potuto rappresentare una prima concretizzazione di quella 'potenza'. Questo obiettivo, però, pareva maggiormente sentito negli ambienti militari (e pure non in tutti) 17 piuttosto che da quelli diplomatici o politici, tra i quali anzi le manovre per la immediata definizione di una possibile cooperazione militare italogermanica furono lasciati cadere già alla vigilia del 1882 18.

Da parte germanica Bismarck come von Moltke, i politici come i militari- anche se per motivi diversi-, non parvero curarsi negli anni tra il 1882 ed il 1887 di mettere le basi per il raggiungimento di un accordo così impegnativo. A Berlino non si nutriva una grande fiducia nella solidità e nell'efficienza dell 'eserci to italiano. Inoltre un apporto militare da Roma, nel caso di una guerra contro la Francia, rischiava di porre ai tedeschi più problemi di quanti gli italiani avrebbero potuto risolvere con una loro spedizione sul Reno (ammesso e non concesso che fossero riusciti ad impegnare vittoriosamente, sulle Alpi o in Provenza, un consistente numero di unità francesi) 19 .

Nonostante che al momento della firma della Triplice l'esercito fosse stato (insieme all'ordinamento istituzionale monarchico) l 'unico concreto pegno diplomatico italian o 20, sferzanti furono per lungo tempo i giudizi germanici sulle forze armate del regno umbertino. E questo sebbene l'esercito (grazie alla sua larga ristrutturazione con le riforme Ricotti del '70-'76 ed all'incremento dell'intelaiatura del l 'ordinamento Perrero) fosse in fondo il principale elemento che legittimava e sosteneva l'aspirazione politica italiana al rango di 'grande potenza' europea 21.

17 Cfr., ad esempio , il ruolo diretto (ed indiretto, attraverso diplomaùci come Blanc) di un militare come Annibale Ferrero, quale ci è stato ricostruito da MINNITI , Eserczio e politica da Porta Pia alla Tnplice Alleanza , cit.

18 Non è senza significato che la manovra di Ferrero-Blanc sia poi, in fondo, fallita.

19 Lo stesso MAZZETII, L 'esercito italiano nella Tnplice Alleanza, ci t. , p. 35.

2° Cfr. RAGIONIERI, La stona politica e socÙJie, cit., p. 1745 .

21 Cfr. ROCHAT, MASSOBRIO, Breve stona dell'esercito italiano dal 1861 al 1943 , cit. , p. 108 .

Ciò che panicolarmente non piaceva, e non interessava, dell'esercito italiano ai militari germanici - da tempo propensi ad una guerra offensiva ad ovest e ad est- era il generale orientamento strategtco.

Nel 1882 cosi riassumeva il pensiero degli stati maggiori tedeschi l'addetto militare italiano a Berlino:

E del resto , soggiunge a mo' di chiusa [l'alto ufficiale germanico interpella· to dall'addetto italiano J quello che colpisce, astrazion fatta dall'ordinamento dell'esercito, è lo spirito militare portato unicamente alla difensiva come si rivela da tutte le pubblicazioni che trattano della difesa dell'Italia. Come vedremo mpettare il nemico? Ammesso che il nemico sbocchi dalle Alpi quale sarà la nostra ponzione? In caso di una prima battaglia perduta dove ripiegheremo, quali saranno i nostri punti d 'appoggio? Questi e simiglianti sono i quesiti che gli studiosi militari si propongono costantemente in Italia, né mai, mai fanno l'ipotesi dì una guerra al di là del confine. Che ci può importare a noi di un esercito buono solamente a combattere nel proprio paese? Il proclamare che l'Italia non aspira che a difendersi potrà essere politicamente opportuno ; ma militarmente non bisogna lasciarsi travolgere da questo concetto.

L'esercito tedesco, invero, ha carattere eminentemente offensivo, e nessuno dubita io Europa che, in caso di guerra, non istaremo ad aspettare l'avversario sul nostro territorio. In nessuna delle nostre pubblicazioni militari troverete formulata una simile ipotesi 22 •

Il primo appunto, insomma che dalla Germania giungeva all'Italia era proprio un appunto strategico.

In Italia, un simile appunto veniva a trovare orecchie sensibili.

È già noto come qui, forse sin dal 1870, ma certo dal 1878, si confrontassero a proposito dell'orientamento strategico diverse tendenze militari. Quello che emerge con chiarezza è che una di queste tendenze, che voleva fare della 'offensiva' e dello 'offensivismo' il principio ispiratore dell'organica e della strategia italiana 23, poté dopo il 1882 oggettivamente avvantaggiarsi di quegli sferzanti giudizi che da Berlino fioccavano - talvolta nel segreto dei rapporti degli addetti militari, talvolta apertamente dalle pagine dei giornali mili- l3 Cfr. ivi, pp. 47-58; e DEL NEGRO , Esercito, Stato, società. Saggi di stona militare, ci t. , p. 206. U tema , se esaminato specificatameme e dettagliatamente , non sarebbe di poco conto. Proprio in quegli anni fu pubblicato lo schematico articoletto di L. CADORNA, Delle forme di combattimento della fantena, in cRi vista militare italiana:o, a. 1885, n. 12: articoletto che, integrato da altre riflessioni pubblicate nel 1887, fu ua l'aluo alla base del noto L. CADORNA, Attacco frontale e ammaestramento tattico , Roma, 1915 . tari esteri e italiani - all'indirizzo di Roma.

22 AUSSME, Addetti mzlitan Germania , racc. 2, fase. 2 , 14 febbraio 1882. Ora anche in MINNITI, Esercito e politica da Porta Pia alla Tnplz"ce Alleanza cit., p. 149.

Ad alue ricerche spetterà far luce in modo esaust ivo su queste vicende e sulla diffusione anche in Italia delle 'teorie dell'offensiva', sulle loro eventuali unilateralità o schematicità, sulla loro progressiva adozione nella pianificazione ufficiale degli Stati Maggiori. Nel fratte mpo , con l 'occhio rivolto agli anni del secondo Ministero Ricotti, qualcosa può essere detta.

Ad esempio, dopo pochi mesi dalla nomina Ministeriale del novarese, il giornale cL' esercito italiano» - che più di una volta ebbe ad esprime rsi in favore di un 'offensi vismo' militare- e ra felice di riponare alcune osservazioni critiche tedesche a proposito del nuovo Ministro della Guerra italiano. Il cDeutsche Heeres Zeitung», scriveva cL' esercito italiano », si era interrogato sul significato che Ricotti voleva dare al suo Mini stero di 'sosta'. Si trattava forse per l'Italia , notava con apprensione il giornale germanico, di passare su quel campo strategico così caro ai militari tedeschi da una fase che veniva definita di 'offensiva possibile' emersa nel corso della permanenza ministeriale di Perrero ad un'altra fase, definibile come quella della 'difensiva assoluta'? Una tale eventualità, sosteneva il giornale tedesco e ribadiva cL' esercito italiano», sareb be sta ta assai negativa per le relazioni politiche e militari fra i due Stati 24. I sostenitori dell'offensiva dicevano anche, polemicamente, che un esercito composto ed ordinato in guisa da rispondere a turri i bisogni dell'offesa, sarà sempre più capace e più arto alla difesa, e tutte le preparazioni per l'offensiva faciliteranno sempre egualmente la difensiva. Ma in ragione inversa, quesco non si verificherà mai n .

Un esercito offensivo , si diceva inoltre, avrebbe liberato l'Italia militare da quello che era in quegli anni - come vedremo - uno dei suoi più foni timori strategici: l'eventualità cioè che uno sbarco improvviso di un consistente nerbo di forze nemiche si impadronisse della Capitale, tagliasse le linee di comunicazione lungo la penisola e creasse teste di ponte sufficientemente resistenti da mettere lepremesse di un'invasione via mare. offensivisti, infine, parlavano direttamente ai governi dell' Italia umbertina, oltre che alle alte gerarchie militari.

24 Cfr. «L'esercito italiano•. 15 giugno 1885, Le controversie militan· itf1iiane giudicate (1//'estero.

Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 300. memoria anonima databi le in torno al 1882. Colpisce, comun que, in questa ed in altre prese di posizione di quegli anni a favore dell'offensiva, il totale silenzio e la generale sottovalurazione del tema invero cruciale della mobilitazione. In una fase storica in cui, pure, la tendenza era ad allargare quanto mai gli organici degli eserciti, gli 'offensivisti' italiani parevano ridurre il grande rema della iniziativa suaregica ad una sorta di 'corsa ad arrivare primi' sul campo di battaglia, ma - pare- senza comprendere l'importanza dello strumento della mobilitazione militare (e la necessità di curarla) per sfrutta re tutte le energie del Paese. Ne sortiva quindi un offensivismo debole e velleitario, tutto militare e assai poco 'nazionale'. Sul nesso ua mobilitazione e offcnsivismo in Europa, cfr, HOWARD, La guerra e le armi nella stona d'Europa, cit., pp. 184-221.

La configurazione speciale de l Paese e l'estensi one delle sue lunghe coste renderà però sempre difficile , quasi impossibile l ' assicurarlo solo difensivamente. L'accrescimento del numero [della forza dell'esercito] può migliorare quello stato cos1 poco come l ' aumento delle fortificazioni. Non es iste altro rimedio che l'offensiva, per occupare nel suo proprio terreno la più gran parte delle forze [del nemico], impedendo per quel modo per sé stesso quasi sicuro ogni sbarco 26 .

Anche il fatto di entrare a far parte di un'alleanza, non doveva - secondo gli offensivisti - rassicurare i militari italiani e farli desistere dal definire un assetto militare caratterizzato da una strategia offensiva: dal momento che, solo in questa visione, gli alleati mil itari «in caso di guerra occuperebbero ed attirerebbero a sé le forze principali del nemico, facilitando così l'offensiva dell'esercito italiano» 27.

Un esercito solamente difens ivo non sarà mai né temuto, né molto ricercato e , appoggiato sopra quello, il Governo non può avere un'influenza poli tica importante, non è capace d i consegu ire pe r forza la sua opinione , non può farsi giustizi a da sé stesso , non può dichiarare una gueCia, non può chiedere conto di un'offesa, non può vendicarla. Perciò l ' influenza politica di una Nazione, come la sicurezza e l'integrità del Paese , dipende specialmente dal valore militare del suo esercito , e questo valore non dipende dal suo numero ma dalla sua capacità offensiva 28 •

26 AUSSME, Ordinamento e mobtlitazto n e, racc . 300. 27 lvi 28 lvi. I sostenitori it aliani dell'offensiva cadevano spesso, nell ' esame della dottrina militare prussiana (da cui dicevano di prendere le mosse ), io una sorta di acri t ica accettazione . Se ancora rimane da studiare come e quanto quella dot trin a fosse veramente conosciuta in Italia , l ' aspetto della vuota apologia e del retorico culto della personalità appare evidente in certi ritratti italiani di militari prussiani. lo uno di questi bozzetti, Moltke veniva di pinto come colui che «apparve sulla scena della storia inaspettato e forte, come uragano che tutto abbatte, schianta ·e trascina in brev'ora:o , secondo la descrizione di S. ZANEW , Uomini digue"a dei tempi nostn· , v. I, Moltke Saggio stanco , Torino, Voghera, 1895 , p . 3. ln questa visione ideologica , però , grande importanza concreta aveva la riproposta dell'istituzione di uno Stato Maggiore come corpo militare del tutto separato, come in Prussia cdipendente solo dal Re e dal Comandante Supremo:o, non «punzecchiato, tormentato , avversato dallo spettro della responsabilità parlamentare , e vocata dal Ministro della Guerra.. lvi, p. 14 3 e p. 146.

Questo tipo di argomentazioni, a volte più velate, a volte più implicite, comparivano assai spesso nel dibattito militare italiano, sulla stampa come in Parlamento.

«L'esercito italiano», appena un mese dopo la nomina di Ricotti, ricordava seccamente (al momento della riapertura del Parlamento, chiamato a votare importanti disegni di legge militari) che «l'accusa di oltralpe è quella che il nostro esercito non ha sufficiente carattere offensivo» 29.

Più tardi, sostenne che uno spirito militare gagliardamente offensivo faceva parte del complesso di misure di cui l'ordinamento Ferrero era stata solo una delle espressioni: e che quindi qualsiasi 'sosta' sulla via del completamento di quell'ordinamento ne avrebbe tradito l'impostazione e, compromettendo il passaggio all'offensiva, sarebbe stato fatto politico assai grave 30. Poi fu la volta d eli' accusa di «depauperare l'esercito di tutti gli elementi più necessari per una valida e pronta mobilitazione delle forze del Paese», una volta che si fos.se abbandonato il principio dell'offensiva 31 .

Infine , in un momento di particolare ostilità verso l 'indirizzo che la gestione di Ricotti andava prendendo, «L'esercito italiano» sbottò addirittura in una sorta di deprecatio temporum secondo cui, pur di avere un 'esercito offensivo' sarebbe stato meglio aver conservato il vecchio, piccolo, esercito lamarmoriano piuttosto che aver costruito la 'Nazione armata' di Ricotti e Marsell i, con le sue Milizie, se questa era incapace di superare la 'difensiva strategica' Nel settembre 1886 , infatti (e ci oè quando stavano per iniziare nel segreto delle cancellerie le trattative tra Roma , Berlino e Vienna per il rinnovo della Triplice), sotto il titolo significativo de «l veri prussiani», sentenziava così «L'esercito italiano»:

Noi non remiamo di essere smentiti nell'affermare che il piccolo esercito piemontese di venticinque anni fa, coi suoi speciali ordinamenti e colle sue cosiddene pedanterie, era assai più vicino all'Esercito Prussiano di quello che lo siamo noi oggi ( ) 32

A parte manifestazioni più confuse come quest'ultima, le richieste de «L'esercito italiano» per un ordin amento offensivo dell'esercì- todi Ricotti erano pur sempre all'ordine del giorno; ed è solo per brevità che qui oon se ne riportano altre, simili a quelle ricordate. Oltre che stampa militare, anche in Parlamento Ricotti doveva difendere il suo operato da chi lo accusava di ritardare o di impedire l'adozione di una strategia offensiva per l'esercito italiano. Nelle aule della Camera e del Senato tali critiche prendevano solitamente lo spunto dalla rivendicazione di un aumento organico delle Armi di Cavalleria e di Aniglieria 33. Questo aumento, annunciato da un disegno di legge dell'amministrazione Perrero- disegno poi ritirato da Ricotti - aveva acquistato (come vedremo meglio in seguito) il valore di vessillo polemico antiministeriale e di emblema per la tendenza 'offensivistica': con più Aniglieria e più Cavalleria, si diceva infatti, si verrà incontro alle richieste degli alleati militari di oltralpe e si renderà di fatto 'più offensivo' l'ordinamento strategico dell'intero esercito 34.

29 Cfr. «L'esercito italiano», 18 novembre 1884, L'apertura del parlamento e le leggi militari.

30 Cfr. ivi, 11 marzo 1885, L'ordinamento dell'esercito.

3! lvi, 30 maggio 1885, L'amminùtrazione dell'on. Ricotti.

32 lvi, 24 senembre 1886, lven· prussiani.

Uno schieramento così ampio di prese di posizione per 'l' offensiva', però, non poteva reggersi solo su convinzioni di natura teoricomilitare. L'aggancio della diffusione delle teorie offensivistiche con la politica interna (e ovviamente con la politica militare) appare chiaro negli anni tra il 1884 ed il 1887 proprio a panire dali' opposizione al Ministro Ricotti: e all'interno di questa si fa particolarmente evidente negli ultimi mesi di quel Ministero, sui temi dell'aumento dell' Artiglieria e della Cavalleria.

D'altra pane, queste teorie militari avevano (a conferma dellegame tra politica interna e politica militare) una diffusione ed una ricaduta in ambienti non solo militari ma anche politici. Ad esempio, il mito dell'offensiva poteva permanere- anche se mutato di segno - nel passaggio da ambienti militari conservatori e triplicisti ad alcuni ambienti politici e 'democratici' della Sinistra pentarchica. In questo senso, ad esempio, si era espresso il deputato della Sinistra pentarchica Pais, nel giugno 1886 durame una seduta della Commissione parlamentare chiamata a discutere un progetto di legge di Ricotti. Sostenendo la necessità di aumentare Cavalleria ed Artiglieria, egli «appoggiò il suo assunto con la che devesi provvedere non soltanto alla difesa ma all'offesa, riflettendo che dalla costituzione dell'esercito emergerebbe la possibilità di trarci dal- l'impaccio politico della scelta delle alleanze» 35. L'affermazione, a ben vedere, era di un'importanza notevolissima. E non deve stupire, se confrontata con quella di Baccarini che si opponeva al Ricotti difensivista perché incapace di assicurare la Nazione portando la guerra 'fuori casa'.

Non ci interessa qui sottolineare il carattere 'inquinante' del trasformismo rispetto a quelle che erano state le tradizionali posizioni politiche - ed anche di politica militare - dei vari gruppi parlamentari (in questo caso della Sinisua pentarchica); né ci soffermeremo sul fatto che fu questo clima a permettere l'affermarsi di Crispi come 'uomo nuovo'.

Si può però evidenziare come questo tipo di 'sconfinamenti' politici delle teorie offensivistiche confermano che il dibattito a più voci su offensiva e difensiva non fu tanto una disinteressata ripetizione di critiche straniere all'ordinamento dell'esercito italiano, quanto una battaglia politica e delle idee tutta italiana, interna al mondo militare 36, ma con una rilevanza più ampia e tutta politica. Una rilevanza, nell'Italia di quegli anni, che andava tutta in una direzione opposta a quella in cui voleva però muoversi Ricotti.

Certo non era questo il dibattito capace di 'mettere in crisi 1' e- sercito' 37, ceno non solo per questo la gestione di Riconi poteva es. . sere messa m cnst o sostttutta.

3S ACD, Dd/, Legisl. XVI. sess. prima, reg. 426, o. 32 , Verbale di seduta della Commissio ne , 19 giugno 1886. U na tale impostazione non era solo politica , né solo dei politici (ed in special modo di taluni settori pemarchici e crispini), ma anche militare. Qualche tempo dopo, Pe lloux dichiarò pubblicamente in Parlamento che- in quanto militare - avrebbe preferito che l'Italia disponesse di una (autosufficiente) «autonoma forza bellica» piuttosto che essere cosuetta a dover dipendere dalla potenze alleate. Cfr. AA.PP., Camera, Legisl. XVI, sess. prima, tornata del 15 dicembre 1886. Ed, ancora, era stato proprio un militare , ed un militare come Oreste Baratieri, ad affermare che la miglio r strategia per l'Italia sarebbe stata quella di poter essere «indipendenti dall'estero:o.lvi, Legisl. XV , sess. unica , Discussioni, tornata del12 giugno 1885. Con la solita acutezza, già qualche anno prima , Nicola Marselli (sia pur all'interno di una valutazione fonememe negativa dell'attività dei governi della Sinistra sino al 1882) aveva previsto la possibilità di tre diverse impostazioni strategiche per il problema militare italiano. «Dei ere programmi ragionevoli: raccoglimento assoluto, isolamento ed armamento estremi, armonia tra le finanze, le armi e le alleanze , si è trovato modo di non eseguirne alcuno:.. MARSEU.I, La politica dello Stato italiano, cic., p. 319. Se di 'raccoglimento assoluto' (forzato dopo il 1866, ma virtualmente già superato con la riforma Ricotti del 1873-75) nessuno ormai parlava più, e se Ricotti aveva sempre professato di voler costruire la potenza italiana sulla base di una 'armonia tra finanze ed esercito' , è indubbio che - negli anni Ottanta - più di un settore po l itico -militare si fece abbacinare dal miraggio di un 'armamento estremo', considerato forse il simbolo migliore e la scorciatoia più breve per una 'vera ' politica di potenza iraliana .

36 Cfr. ancora DEL NEGRO, Esercito , Stato , società. Saggi di storia militare, cit., pp. 20) -206.

A prese di posizione così decise da parte dello schieramento dei sostenitori 'dell'offensiva', non si deve credere inoltre che Ricotti opponesse solo le sue vecchie e solide convinzioni 'difensive'. In sintonia col dilagare del trasformismo politico, la sua posizione si faceva più articolata ma anche più contraddittoria.

Anche nel recente passato, peraltro, il novarese non aveva esitato nel ribadire quelle sue convinzioni. Queste, come si è deno, si basavano su una valutazione negativa del meccanismo e della velocità della mobilitazione italiana, e per converso su un accentuato timore che le truppe francesi - più consistenti numericamente, avvantaggiate da una più veloce mobilitazione e da un potente sostegno della Marina Militare - potessero far pressione e battere in breccia la difesa italiana su due distinti ma crucial i settori. Sulle coste del litorale tirrenico (in particolare toscano), Ricotti temeva l'eventualità di uno sbarco in forze che potesse anche tagliare in due le comunicazioni politiche e militari del Regno Sulla cerchia alpina, egli vedeva l'imminente pericolo per le truppe i taliane- più deboli non so lo numericamente ma anche in opere di fortificazione e in artiglieria da montagna- di essere costrette a cedere il controllo delle cime e di non riuscire ad impedire l'avanzata francese. Su quest'ultimo punto egli pareva assai convinto: «qualsiasi resistenza nell'interno della barriera alpina» era da lui vista solo «come un semplice preludio alle grandi manovre in pianura» 38.

Era questa svalutazione delle più recenti acquisi zioni strategiche su un possibile ruolo nuovo della difesa alpina e della guerra in montagna 39 che, insieme alla più volte riaffermata fiducia nella ca- pacità dell'esercito italiano di saper recuperare in una battaglia campale nella pianura padana gli eventuali insuccessi precedenti, faceva di Ricotti un convinto assertore della 'difensiva' 40. O di quella sua rielaborazione che passava sotto il nome di difensiva-controffensiva. (E infatti dicevano i suoi critici che la «controffensiva non è altro che la difensiva cambiata di nome») 4 1

37 Per il caso più chiaro di crisi militare e di contrap.Posizione netta tra esercito e paese cfr. ROCHAT, MASSOBRIO , Breve storia dell 'esemto italiano da/1861 al1943, cit., p. 122 e pp. 124-141. Cfr. anche U. LEVRA, Il colpo di stato della borghesia. La cnsipolitica difine secolo in Italia 1896-1900 , Milano , Feltrinelli, 1975.

38 Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 68, fase. IV, p. 5, alla data dell'8 novembre 1881.

39 Per i progressi della guerra in momagna, cfr. ivi, fase. I. Da più tempo sostene vano queste teorie 'offensivistiche' delia guerra in montagna pubblicisti e militari come G. PERRUCCHETTI, La difesa dello Stato. Consideraz ioni, Torino , Roux, 1884 o V E. DABORMIDA , La dife sa della nostra frontiera occidentale in relazione agli o rdinamenti militan· o dierni , Torino , Loescher, 1878 . Ma an che anni prima , pubblicamente , tesi analoghe erano state divulgate. Cfr. A. RICCI, La difesa interna della valle del Po, Torino, Loescher , 187 3 , a p. 15 7 , il quale sosteneva che • le guerre oggidì devono avere il carattere dell ' offesa anche nelle difese». Su questi temi, cfr. oggi le brevi osservazioni di G. OLIVA , Sto na d egli alpini, Milano, Ri.zzoli , 1985, pp. 39-44.

Contro questa per lui ormai assodata convinzione, niente potevano i dibattiti militari cui abbiamo accennato. Per Ricotti, almeno da quanto sembra di poter dire da alcuni suoi interventi pubblici, 'offensiva' e 'difensiva' non erano più che mere questioni nominalistiche. L'esercito italiano poteva schierarsi, combattere e solo in un certo modo: di più non si poteva chiedere.

Quindi, se da taluni dei suoi oppositori si voleva 'l'offensiva', egli - nel quadro della politica trasformista di quegli anni - non esitava a dichiararsi entusiasta dell'offensiva 4 2: purché fosse l ' offensiva come la intendeva lui. Ecco allora che in Parlamento Ricotti si professava offensivista prussianofilo accanito 4 3 Ecco che la voce ufficiosa del Ministero della Guerra propone le coordinate di un 'caso possibile' in cui l'esercito italiano combatte 'offensivamente' (ma sempre nella pianura padana) 44 Ecco che la «Rivista militare italiana» pubblica articoli ispirati alla difesa delle «teorie offensivistiche» (ma svuo tate della loro capacità di critica dell'ordinamento militare esistente) 4 5

Ai militari italiani più esperti (o alle cancellerie o agli Stati Maggiori stranieri) questi richiami 'offensivistici' del Ministro della Guerra Ricotti non apparivano che per quello che erano: un trasformistico gioco di parole, che copriva una realtà dello schieramento strategico dell'esercito che rimaneva quella di sempre. E quindi la loro critica non poteva che essere rinfocolata da queste prese di posizione del novarese.

40 Già Io ricordava MINNITI , Esercito e politica da Porta Pia alla Tnplice Alleanza, .cit., p. 103.

41 Ad esempio AFJ, La difesa di uno stato come la intendiamo noi, in <Rivista militare italiana», a. 1886, n. 7 , p. 22.

4 2 Cfr. ad esempio, AA PP ., Camera , Legisl. XV, sess. unica , Discussioni, tornata del9 giugno 1885 Ma gli interventi parlamentari di Ricotti sono pieni di simili affermazioni, cui corrispondevano evidentemente altrettante riserve mentali.

4 3 Cfr., tra le varie affermazioni in questo senso , quelle in AA.PP. , Camera , LegisL XVI, sess. unica , Discussioni , tornata del 16 dicembre 1886; o in ivi, Legisl. XV, sess unica, Discussioni, tornata del 9 giugno 1885.

44 Cfr. «L ' Italia militare•, 2 gennaio 1886, Un caso possibile.

45 Cfr. ivi, 10 gennaio 1886, Difesa dello Stato; e J.bidem , Pace universale e perpetua.

Per buona pane del mondo politico, per la Camera (che in così larga pane le elezioni del 1882 avevano rinnovato), per la pubblica opinione, invece, la professione verbale da parte dello stesso Ministro della Guerra di teorie militari così ardite e gagliarde dava l' impressione che - se lo strumento militare nazionale poteva praticare le teorie offensivistiche che il Ministro mostrava di condividereallora si potesse davvero 'osare', che davvero fosse il momento di condurre una 'po liti ca di potenza'.

Ci si trovava, insomma, di fronte ad uno strano gioco delle parti, ad una confusione delle lingue e degli schieramenti, ad un ennesimo «rimescolamento delle cane» 46 . L'irri tazione o lo stupore (per un vasto settore del mondo militare che ormai si vedeva avviato verso la 'politica di potenza') di fronte alle contraddittorie e trasformistiche prese di posizione di Ricotti sull'offensiva non poteva che essere profonda.

D'altra parte simili dibattiti militari (come questi su offensiva e difensiva) non erano riducibili solo alla loro mera espressione pubblicistica: non erano un fatto di sola stampa militare. Essi avevano invece ben solidi radici in alcuni grandi problemi che la strategia e l 'ordinamento dell'esercito italiano dovevano affrontare proprio negli anni di Ricotti. Uno di questi era il pieno uso del potenziale militare italiano.

Il militare ed il diplomatico italiano non avevano, negli anni della prima Triplice e soprattutto in quelli del secondo Ministero Ricotti, gli stessi problemi e le stesse priorità.

Dal punto di vista diplomatico, due erano le tendenze che si intrecciavano o si giustapponevano. Da una pane problema principale di quegli anni era rafforzare la politica estera nazionale, sfruttando dove era possibile il dato nuovo dell'esistenza della Triplice che però solo dopo il 1884-85 pareva dare sufficienti garanzie. Dall' altra pane non si tralasciava di cogliere tutte quelle possibilità diplomatiche, anche al di fuori o contro la Triplice , che fossero risultate utili agli interessi nazionali (ed in questo senso, il benestare britannico ali' avvio di una politica coloniale in Mar Rosso e poi gli accordi navali italo-inglesi del 1887 dovevano rimanere di questa tendenza i risultati migliori) 47.

Dal punto di vista militare dell'esercito , invece, problema principale era valorizzare tutte le potenzialità che la Triplice poteva offrire all'Italia, facendosi accettare come alleati a pieni diritti e- salvando ed innalzando l ' onore delle armi nazionali - potendo impiegare tutta la propria forza. Pur non volendo prendere in esame la possibilità di uno scontro con la confinante Austria (che pure in qualche modo era temuto e preparato anche da parte italiana) 48 il problema strategico italiano di quegli anni presentava sostanzialmente due schematiche possibilità 49 : il caso di una guerra contro la Francia in cui l'Italia sarebbe rimasta isolata ed il caso di una guerra , sempre contro la ' sorella latina' , in cui l'Italia avrebbe potuto servirsi (o far pane) di una più potente alleanza (con la Germania di Bismarck e di von Moltke innanzitutto, e caso mai anche con l'Austria).

Nel caso di una guerra dell'Italia isolata contro la Francia sembrava che non vi sarebbero state molte chances per l'esercito italiano. Era quindi assolutamente prioritario valorizzare al massimo la Triplice nonché l'alleanza con la massima potenza militare del tempo che ne conseguiva.

Eppure anche nel caso di una guerra in cui l'Italia non sarebbe rimasta sola contro la Fran cia , vari erano i problemi militari ancora t utti da sciogliere. Principale tra tutti quello di una coop erazione italore desca.

Come è noto, non era quella la prima volta che si prendevano in considerazione in Italia simili ipotesi di cooperazione 50. Essa, nei var i momenti , era stata immaginata poter prendere diverse forme concre te.

Un'ipotesi era quella del fronteggiamento al co nfine alpino che ve deva l'esercito italiano tutto proteso ad un attacc o che impegnasse ril e vanti forze militari dell ' avversario francese , permettendo così all' alleato germanico di sfondare da nord la difesa fran cese . Un ' altra , più complessa , prevedeva un congiungimento delle forze tedesche e di quelle italiane di fronte al Giura o intorno a Lione, in suolo nemico, come fase fmale di un accerchiamento offensivo a tenaglia: ma

48 Cfr. AUSSME, Ordina m e nto e m obil i/azio n e, racc. 1 1 , Stu dio circa la dtf ensiva e l'offensiva Nord-Esi. Scarsa l'attenzione su quest o d a parte di GOOCH, L 'l/alia contro la Fran cia l piani di guerra dtfennvi e offemivi 1870·1914, cit., p. 162

49 Cfr. ROCHA T, MASSOBRIO, Breve storia dell'esercito italiano dal 1861 al 1943, cit., p p 107-108: e MAZZETTI, L'esercito iJaliano nella Tnplice Alleanza, cit., p. 32 e pp. 37- 38 questo congiungimento poteva a sua volta avvenire (a seconda di come si intendesse in questa ipotesi il valore dell'apporto militare italiano) prima o dopo di una più decisiva battaglia che - sul fronte settentrionale - avesse già sostanzialmente deciso le sorti della guerra. Una terza ipotesi (che fu quella a prendere corpo più tardi) infine, vedeva nella difficoltà per l'Italia di assumere immediatamente l' offensiva contro la Francia la principale ragione per cui - insieme all'impegno assunto di occupare quante più forze francesi fosse stato possibile al confine franco-italiano o nelle sue prossimità -1' esercito italiano doveva far giungere al fianco delle truppe germaniche sul campo di battaglia franco-tedesco un significativo numero di proprie grandi unità militari. Era insomma, quest'ultima, l'ipotesi della spedizione di un'Armata italiana sul Reno.

5° Cfr. ivi, p. 33.

Furono delineate poi, in quegli anni, anche altre ipotesi minori (come quella di un aggiramento offensivo del confine francese da parre di un forte Corpo di spedizione italiano che, trasportato via mare, potesse invadere la Francia meridionale, decongestionare il confine franco-italiano e permettervi una più agile vittoria italiana) ma che ebbero scarsa fonuna per gli ovvi motivi di sopravvalutazione della forza italiana 5l che essi presentavano

Le varie ipotesi, intorno al 1884 , erano già state quasi tutte affacciate ed in vari momenti sottoposte a critica, germanica o italiana.

La prima ipotesi si sarebbe potuta dire per gli italiani la più 'difensiva' ma anche la meno produttiva, politicamente e militarmente.

La seconda, più ardita, si prestava però come abbiamo visto a due diverse interpretazioni: una propriamente offensiva ed una più esattamente controffensiva, a seconda che il congiungimento delle forze militari italiane e germaniche si fosse effettuato prima o dopo una più grande battaglia campale. In ogni caso lo scenario previsto per le forze armate italiane da questa - come dalla precedenteipotesi pareva dover essere limitato alla conduzione di una sorta di offensiva di alleggerimento sul fronte sud del conflitto, mentre le sorti della guerra si sarebbero risolte sul fronte nord.

La terza ipotesi pareva contemperare i due elementi (difensiva o controffensiva al fronte italiano, offensiva congiunta sul fronte del Reno) ma era anche la più complessa: comportava una unità d'in- tent i tra le due Poten ze alleate, pareva porle militarmente sullo stesso piano, rendeva le forze italiane necessarie e risolutive per la vittoria nello stesso modo di quelle germaniche, sanzionava più perfettamente di tutte le altre ipotesi il riconoscimento (da parte della Germania e della Triplice) del salto di qualità che i militari italiani volevano far compiere alloro esercito. Nel comp lesso, era quest'ultima l'ipotesi che maggiormente corrispondeva ai desideri ed alle ambizioni 'offensivistiche' italiane.

Poco prima che Ricotti tornasse alla Pilotta, nel 188 3, il Capo di Stato Maggiore italiano aveva proposto all'alleato tedesco che venisse congiuntamente pianificata quest'ultima delle tre ipotesi ricordate: ma aveva ricevuto da Berlino solo un secco diniego 52 . La negativa risposta tedesca alla mossa italiana pare che indusse poi Cosenz a far marcia indietro e a proporre ali' alleato tedesco che venisse presa in considerazione almeno l'ipotesi di un'offensiva di alleggerimento sul fronte franco-italiano. Ma questo oltre a risultare meno gradito e meno soddisfacente per le ambizioni dei militari italiani, non ne risolveva ceno t u tti i problemi.

Gli ambienti militari direttivi italiani sentivano come fortemente !imitatrici le ipotesi d eli' offensiva di alleggerimento.

L'ordinamento dell'esercito italiano , ormai strutturato su dodici corpi d'armata, poteva esprimere in caso di guerra perlomeno quattro potenti Armate; di questa una poteva essere stazionata nel Centro Italia, volta a difendere la penisola e a garantirne l'ordine pubblico e sociale. Un'altra poteva essere impegnata nel fronteggiamento, più o meno offensivo, ai confi ni con la Francia. Un'altra, più consistente, avrebbe atteso nella pianura padana l'evolversi degli avvenimenti, pronta a entrare in combattimento per battere il nemico ove fosse sboccato a valle, od a seguire (cosa più improbabile) le punte avanzanti delle forze di montagna italiane.

E la quarta Armata? sostenevano i militari. Poteva l' Italia pensare di lasciare inoccupate un numero cosÌ rilevante di grandi unità?

D'altra parte l'evoluzion e del sistema fortificato rio francese era andata cosÌ avanti - soprattutto dopo il 1884 - che con poche truppe Parigi poteva tenere impegnate e 'bloccate' un numero non trascurabile di unità italiane , nonché impedir loro eventuali sconfrnamenti offensivi 53.

52 Cfr. zfli, p. 36.

H Cfr. S. RAU , L 'etal miiitaire des pnncipales puissances etrangeres au pn.ntemps de 1886, Paris, Berger-Levraul t, 1886.

In questo senso, sul tema della guerra in montagna, l'Italia un ceno passo avanti lo aveva già fatto. Luigi Mezzacapo, come è noto 54, volle definire questo mutamento di impostazione strategica in un settore rilevante della dottrina italiana (guerra di montagna non poteva che voler dire guerra con la Francia) con la seguente formula: passaggio dalla resistenza manovrata - ostacolamento in quota dell' invasione avversaria cui si sarebbe fatta seguire una più decisiva battaglia in pianura con manovra di truppe per linee interne- alla 'resistenza ad oltranza'.

Dal canto suo, invece, il critico ma acuto Pianell preferiva parlare di un più contenuto passaggio «da una debole difesa ad una forte difesa» ss.

Seppur così ridimensionato, un mutamento teorico nella dottrina italiana della guerra di montagna c'era stato. A sostenerlo, stavano un complesso di misure organiche, quali il rafforzamento delle truppe alpine , l'edificazione di nuove e più robuste fortificazioni in quota. Forse difettava un po' l'artiglieria da montagna 56, ma nel complesso l 'irrobustibimenco della difesa italiana alle Alpi era cosa fatta al momento in cui Ricotti salì al Ministero, o quasi ultimata.

Tutta la questione strategica italiana, schematizzando, si riduceva negli anni della prima Triplice a questo: volontà di raggiungere decisivi risultati 'per l'onore nazionale', impossibilità di pervenirvi con queila situazione delle forze contrapposte, intenzione di coinvolgere allean ze e definire cooperazion i militari (essenzialmente italotedesche), frustrazione e stallo per i reiterati rifiuti germanici anche solo a discutere di cooperazione, volontà - comunque - di non mettere in discussione l'ordinamento militare nazionale su dodici corpi d'armata che quella impasse aveva creato.

Punroppo è difficile oggi procedere più avanti nell'analisi storica: i documenti originali del tempo non sono facilmente reperibili e gli archivi dello Stato Maggiore non sempre sono sufficienti a chiarire questo punto fondamentale 57.

L'impression e che comunqu e si ha è che, anche prescindendo dalla volontà di Ricotti per una 'sosta' più o meno lunga nel cammino intrapreso dall'esercito italiano (aumento di forza, diffusione delle teorie offensivistiche), da quello stato della questione strategica derivasse in quegli anni per gli ambienti militari italiani una diffusa sensazione di stallo.

54 Cfr. MINNITI, Esemto e politi&a da Porta Pia alla Tnplice AUeanza, cit., p. 100.

H AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 68, fase. lll , p. 72, alla data del 18 luglio 1881.

56 Cfr. MARTEL. Military ltaly, Loodon, 1884.

57 Su problemi formidabili, quali quelli appena ricordati, la documentazione necessaria per swdi definitivi è maggiore di quella disponibile presso l'Archivio dell'Ufficio Storico dello SME.

L'esercito italiano degli anni tra il 1884 ed il 1887 appariva infatti come un esercito grosso (con i suoi dodici corpi d'armata) e forte (rispetto a quello di quindici o anche dieci anni prima), che strategicamente però poggiava molto più su miti ed illusioni o comunque solo su aspirazioni (di cooperazione militare triplicista) che su certezze. Si poteva pensare alla spedizione sul Reno, ma di fatto niente era certo. Si poteva anche presumere che all'occorrenza l'esercito italiano avrebbe espresso un massimo di offensivismo (difesa avanzata sulle Alpi, cinque o anche sei corpi d'armata in Germania), ma di fatto la dislocazione strategica e la mobilitazione delle forze rimanevano inchiodate a quella difensiva-controffensiva nella pianura padana che ricordava molto le 'vecchie' guerre risorgimentali. Ci si poteva illudere di possedere uno strumento militare potente ed ambito, ma rimaneva il fatto che ancora nessuno si era fatto avanti per chiederne (od anche solo per accettarne) la collabo ra.zione.

Un'euforia di potenza inebriava settori politici e militari 58 : ma ss «In questi ultimi tempi, in Italia, tutto è divenuto più grande-.: così, ironicamente, bollava questa 'euforia di potenza' F.S. MERLINO , L'Italia qual è {1890), a cu ra di N. Tranfaglia, Milano, Feltrinelli, 1974, p. 42. Il tema cui qui si accenna è assai vasto e obbligherebbe ad uno studio profondo, basato sulla lettura 'trasversale' della stampa e della pubblicistica politica e militare. Ma che ci si trovi di fronte, negli anni Ottanta del XIX secolo, ad un clima militare diverso da quello dei decenni precedenti (un clima in cui le temaciche della 'politica di potenza' e della 'esibizione della forza' scavano prevalendo anche in Italia) era cosa nota già da tempo Tra gli altri, F. Chabod aveva sottolineato il mutamento di prospettiva internazionale che in pochi anni si era realizzato per l'Italia (la quale nell870 cera perfettamente isolata..) e che dava ad alcuni ambienti nazionali la sensazione di poter e dover far giocare aJI'Italia un ruolo di 'grande potenza'. Notevole impottanza in questo aveva avuto la congiuntura economica di quegli anni, durante i quali gli stessi colpi che la crisi agraria andava infliggendo a rurte le economie europee si fecero sentire in Italia duramente ma in forma relativamente meno radicale che altrove, per un complesso di motivi non ultimo dei quali la stessa arretratezza del tessuto produttivo nazionale. Cfr. BARONE. Sviluppo capitalistico e poli#ca finanziaria in Italia nel decennio 1880 -1890, cit., e P. D' ANGIOUNI, L 'Italia al termine della eroi agrana della fine del secolo XIX, ci t.. Un ruolo non faciLmente sopravvalutabile, poi, ebbe la firma della Triplice che, seppure «fu forse più utile all'interno che all'estero:. (come disse Robilant), impresse comunque calla nostra politica este ra - secondo la definizione di Nigra - una direzione precisa che prima non aveva e( ) generò in Italia un sentimento di sicurezza che ci è stato di grande sollievo•. Le citazioni in CHABOD , Considerazioni sulla politica estera dell'Italia da/1870 al 1915, cit., p. 31 e p. 37. Da qui, le aspirazioni e le velleità per una 'politica di potenza'. diffuse in diplomazia, come era i militari o nella pubblica opinione. chi pensava agli impegni, ai carichi, ai gravami che questa prospettiva comportava? C'erano militari che non si sentivano di garantire nemmeno la difesa nazionale, e tanti parlavano con facilità della massima offensiva ...

È in questa atmosfera italiana e con queste caratteristiche che rinacque e si sviluppò il mz'to offensivista (il piano strategico-militare era altra cosa) dell'invio di truppe italiane sul Reno. Come si era detto, è da molto tempo che vi si era fatto cenno. Già nel 1882, nei giorni in cui si andava fumando il trattato della Triplice, il giornale espressione dell ' allora Ministro degli Esteri affermava che, volendo, si sarebbe potuto mandare anche 300.000 soldati cald i là della frontiera» 59. Il numero era esagerato, ma la sostanza era chiara già allora. Poi era venuto il rifiuto di Berlino, nel 1883: e molte fantasie erano sbollite. Ma nonostante tutto, progressivamente ed insistentemente , del Reno si tornava a parlare in Italia.

L'ipotesi di un invio di truppe, sul fronte re nano di una possibile guerra antifrancese, era divenuta di ampio dominio pubblico in Italia, dal1884 al1887. Forse, prima in Italia che in Germania, prima in pubblico che nel segreto delle stanze degli Stati Maggiori , prima ua i politici che tra i militari. Comunque fosse, di un invio di truppe tutti parlavano, tutti vi alludevano, tutti utilizzavano questa argomentazione per avvalorare le proprie tesi o per negare quelle altrui. Piuttosto che su lla stampa tecnica o nella stampa d'informazione militare, questo è visibile in Parlamento .

Nel maggio 1885, già nel primo grande dibattito parlamentare sulle linee della politica militare di Ricotti, fu Giovagnoli a farvi esplicito riferimento 60, dopo che Pozzolini e Pelloux vi avevano alluso in forma più velata 6I. E Giovagnoli ne parlò lib e ram ente, estesamente, quasi fosse cosa già decisa e pianificata (ed abbiamo visto come invece ancora non lo era). In sede di discussione di bilancio della Guerra, fu addirittura Baccarini a farvi un riferimento abbastanza chiaro, quando- tra l'altro- sosten ne il gran principio 'democratico' per cui la guerra offensiva era più favorevole agli interessi nazionali poiché non ponava ' la guerra in casa' 62.

Cfr. MINNITI, Esercito e politica da Porta Pia alla Tnplice Alleanza, cit., p. 138.

60 Cfr. AA PP., Camera , Legisl. XV , sess. unica , Discu.r.rioni, tornata del28 maggio 1885.

61 Cfr. ibidem

62 Cfr. ivi, tornata del 9 giugno 1885.

L'on. Cavalletto , poi, quando nel febbraio 1886 si scagliò veementemente contro la «politi ca gretta di raccoglimento infecondo» 63 che a suo parere l'opposizione andava predicando, era proprio all'ipotesi di una più attiva presenza italiana nella Triplice ed al miraggio di una cooperazione militare itala-germanica che pensava. E proprio da questo tema l'on. La Pona, presidente d e lla commissione parlamentare che aveva esaminato il disegno di legge allora in discussione, panì per poi allargare il suo discorso; non era più il tempoa suo parere - in cui l ' Italia poteva accontentarsi di una ' politica casalinga' : il Regno di Umberto I doveva scegliere ormai ua l'essere una 'g rande potenza eu ropea ' o il rimanere una 'potenza di second'ordi ne ' 64_ E a questo indirizzo si accodava l 'on. Cavalloni, destinato a diventare poi maggiormente noto, che a sua volta si esprimeva contro «la politica dei piccoli borghesi» che lesin avano le spese dello Stato quando era in gioco l'onore della naz ione 65 .

Ma l'ipotesi di un invio di truppe italiane in Germania diventò inftne ancora di più un tema di comune e diffusa lo tta politica, quando p iù tardi (co me vedremo) il dibattito parlamentare e la critica politica e militare alla gestione Ricotti finì per incentrarsi sulla questione dell'aumento dell'organico della Cavalleria e dell' Aniglieria. A quel punto aumentare o non aumentare i quadri delle due Armi speciali sembrava dover significare permettere o non permettere che l'Italia avesse la forza militare sufficiente e necessaria per una spedizione su un prevedibile fronte europeo-settentrionale. L'o n. De Zerbi, addirittura, argomentò pubblicamente il suo favore per l 'aumento dell' organico delle due Armi con alcune sue di sse rtazion i geografiche sul «te rreno fra Woerth, Wissenburg, Rosbache, ecc.•, che a suo parere prima o poi avrebbe dovuto avere l 'onore di essere calpestato dagli sti vali di qualche Grande Un ità ital iana, inviatavi a collaborare co n l'esercito di Moltke 66. E come se ciò non fosse parso già abbastanza sufficiente, aggiungeva:

Ora è qui il nodo della questione. Io non posso parlar chiaro, ma la Camera intenderà più assai di quel che io non elica. Per noi, maggioranza della Commissione, l 'aumento della Cavalleria e dell'Artiglieria da campagna, è una questio1. . ( ) (8 li 67 ne po mca . . . ene.1

6 3 lvi, tornata del 25 febbraio 1886.

64 lvi, tornata del 27 febbraio 1886.

6) lvi, tornata del 4 marzo 1885.

66 lvi, Legisl. XVI, sess. prima, tornata del 2 luglio 1886.

67 Ibidem.

A tutto questo la stampa militare ufficiosa rispondeva con un imbarazzato silenzio 68 che, se oggi appare pienamente comprensibile (altro che spedizione al Reno! i militari italiani avevano fatto fatica sino ad allora anche solo a far gradire a Berlino l'ipotesi della offensiva di alleggerimento al confine francese), ai politici ed agli oppositori del tempo doveva sembrare quanto mai sospetta e confermarli nell'impressione secondo cui Ricotti stava imponendo a tutto l'esercito italiano una lunga 'sosta'. E questo proprio quando si presentava, forse per la prima volta nella storia dell'Italia unita, l'occasione di abbandonare per semp re la 'politica casalinga'.

Eppure, se c'era una persona, un militare, che più di altri si mostrava alieno dal lasciarsi coinvolgere da simili correnti d'opinione pubblica- che parevano far coincidere la 'potenza' di uno Stato e le capacità offensive di un esercito con la possibilità di poter inviare forti contingenti militari al di fuori del territorio nazionale e lontano dai confini conquistati (in qualche modo) con le guerre risorgimentaliquesto era proprio il Ministro della Guerra, on. Cesare Ricotti.

Già a suo tempo, nelle riunioni della Commissione per la difesa dello Stato, il generale novarese aveva ripetuto questa sua vecchia convinzione. La superiorità numerica e qualitativa delle forze armate francesi, connessa ai difetti ed alla lentezza della mobilitazione italiana 69, avrebbero secondo Ricotti costretto da subito l'esercito nazionale a tentare di difendere l 'agibilità ed il possesso dell'arco alpino: ma questo senza grandi speranze di successo. La valle padana rimaneva secondo Cesare Ricotti il più probabile teatro di guerra per l'esercito italiano: ed anche il più favorevole, «avuto riguardo ai favori che può trovare l'esercito nel paese proprio a paragone dell'in7°.

68 Pur tenendo in conto quella sona di crisi cui, come si vedrà, cL' Italia militare• andava incontro io quegli anni, quasi nessun articolo pubblicato prese in esame- più o meno esplicitamente - una simile prospettiva negli anni del secondo Ministero Ricotti. Coltre di silenzio imposta dal 'difensivista' Ricotti? Solo una specifica ricerca sulla stampa militare (sulle sue caratteristiche in Italia, sui suoi collaboratori, sulla sua ideologia) potrebbe dirlo. Certo, l'impressione offerta a questo riguardo dalla stampa ufficiosa era di eccessivo riserbo. Un riserbo, poi , a doppio taglio perché la mancanza di notizie o di indicazioni ufficiali lasciava spazio al diffondersi - come si è visto - di miti e di fantasie , non sempre strumentali ma il più delle volte ingiusrificate.

69 eTerne il Ricotti i battaglioni deboli io tempo di pace, per cagione di un improvviso assalto o d'una tarda mobilitazione?•. D. FARINI, Diario di fine secolo, ci t., pp. 76-77, alla data del 20 aprile 1892.

70 AUSSME, Ordinamento e mobilitazione racc. 69, fase. H, p. 31, alla data del 27 novembre 1880.

La difesa, la 'difensiva strategica', rimaneva infatti l'orizzonte militare in cui Ricotti continuava a muoversi. Per questo motivo, il tanto parlare che negli anni Ottanta si faceva a proposito della 'potenza' militare italiana, della 'pol itica di potenza ' ormai spettante all'Italia, della possibilità di una guerra offensiva , doveva in genere risultargli come fastidioso e pericoloso. In quelle stesse riunioni cui si è fatto prima riferimento , Ricotti era parso molto convinto della debolezza del sistema militare (artche solo difensivo) italiano. Egli prospettò -praticamente unico tra i generali presenti- l 'ipotes i per cui, in una guerra con la Francia, l 'Italia sarebbe stata cos tretta da subito a cedere tatticamente pane del territorio alla potenza avversaria. E questo territorio, questo spazio lasciato ali' avversario per guadagnare tempo per la mobilitazione delle proprie forze da impiegare in pianura , non poteva che essere il Piemonte.«( ... ) Noi potremmo forse essere costretti ad abbandonare il Piemonte» 7 1 aveva detto Ricotti provocando una levata di scudi tra i militari presenti . E mentre questi non giudicavano nemmeno pensabile lasciare al nemico quello che era la culla dei Savoia, il pur novare se Ricotti invece tornava provocatoriamente sul tema e spiegava che «per quanto anche a lui dispiaccia di abbandonare il Piemonte , egli preferirebbe ridursi in Alessandria , piuttosto che impegnare l 'i ntero esercito durante la crisi della mobilitazione » 72 intorno e davanti Torino . Ad Alessandria, in vece, sarebbero poi potuti giungere m eglio e più presto i rinforzi dalla pianura, dove comunque sarebbe sta ta impostata una manovra per linee interne.

A tale visione Ricotti era particolarmente legato. A chi parlava di fortificare il Ticino, per imbastirvi una resistenza attiva, egli ob iettava che «no n potrebbe ammettere come cosa molto probabile che il nostro ese rcito , dopo aver tocca to una rotta in Piemonte sia in grado di riprendere l 'offen siva, prima che il nemico sia entrato in Lombardia:. 73. E, allo stesso proposito, affermava addirittu ra che c:la probabilità di un ritorno offensivo dopo una serie di rovesci gli pare[ va] tanto lontana da non doversi prendere per base della sistemazione difensiva dello Stato» 74.

E dal momento che, dal 1881 (quando Ri cotti aveva fatto que- ste affermazioni) al1884 (quando egli tornò a reggere la Pilotta) non vi erano state variazioni apprezzabili a favore dell'Italia per quanto riguardasse il teatro di guerra italo-francese (e casomai c'era stato il varo dell'ordinamento di Ferrero che, con quel suo diminuire le forze delle compagnie di Fanteria, era apparso al generale novarese una vera e propria diminuizione di forza dell'esercito), il suo atteggiamento mentale e la sua visione militare della difensiva come elemento centrale della prospettiva strategica italiana non doveva subire mutamenti sostanziali. Doveva anzi aumentare il timore che uno sbarco di forze francesi lungo il litorale tirrenico potesse tagliare in due le linee di comunicazione militari italiane.

7 1 fili, fase. III, p. 26, aJia dala del 13 luglio 1881.

72 lvi, p 75, alla data del 18 luglio 1881.

73 lvi, fase . 6 , p. 56, alla dala del 25 febbraio 1882.

74 lvi, p. 22.

È vero, però, che con la firma del trattato della Triplice Alleanza, dal punto di vista militare, l'Italia aveva in buona parte attenuato i timori di trovarsi costretta a dover battersi da sola contro la Francia. Ed è anche vero che, in linea generale, lo stesso Ricotti nelle riunioni della Commissione per la difesa dello Stato (pur negando nella forma radicale che è vista, ogni validità pratica alle teorie offensivistiche) aveva una volta accennato ad un difficile ma possibile ritorno offensivo dell'esercito italiano «essenzialmente nella previsione di qualche alleanza» 75 Si era quindi attenuato, dopo il1882, il pessimismo di Ricotti? Non doveva essere così.

Cesare Ricotti non sottovalutava le potenzialità nuove offerte all'Italia dalla Triplice: ma (cosciente dello sfavore che la politica militare italiana continuava a destare nei circoli politici e militari di Berlino e di Vienna) certo non era portato a sopravvalutarle. Inoltre, e soprattutto, le sue convinzioni sulla necessità di una difensiva strategica non erano basate tanto su valutazioni politiche o diplomatiche, quanto sulla coscienza e sull'analisi mzlitare delle debolezze e delle lacune dell'esercito.

Come nel 1881, anche negli anni del suo secondo Ministero la mobilitazione militare italiana rimaneva più lenta di quella francese, la forza numerica d eli' esercito inferiore, la capacità difensiva delle coste della Penisola ancora spesso inesistente. Nonostante laTriplice, perciò, la costituzione militare nazionale doveva continuare a sembrare a lui debole in vari dei punti decisivi.

E questo Ricotti lo fece capire anche negli anni del suo secondo periodo di direzione alla Pilotta. Nel gennaio 1886, quando (dopo più di un anno di permanenza al Ministero) egli aveva avuto modo di vagliare ancora meglio lo stato di salute dell 'organismo militare italiano, egli faceva scrivere sull'organo ufficioso del Ministero della Guerra un articolo assai importante, in cui si prevedevano le coordinate militari di «un caso possibile» di guerra con la Francia 76 _

L'ani colo sembrava ricalcato sulle posizioni che Ricotti aveva già espresso, nel 1881, nel chiuso delle stanze della Commissione per la dilesa dello Stato. Niente pareva mutato nelle posizioni del generale novarese in quei cinque anni, nonostante l'avvenuta firma della Triplice.

La valle del Po rimweva il teatro di guerra privilegiato: lì si sarebbe svolta la mwovra per linee interne nel caso possibile, in cui a ppunto l'esercito italiano avesse dovuto subire un primo scacco. Accentuata risultava la sottolineatura del pericolo che sarebbe potuto venire dal mare: la Fran cia, immobilizzate rilevanti forze italiane alla frontiera, avrebbe potuto con un grosso sbarco su lle coste del Tirreno centrale tagliare addirittura in due la penisola. E, forse solo a quel punto, l'e serc it o francese sarebbe riuscito a superare la dilesa alpina e padana dell'esercito italiano , tro vandosi questo o rmai «col morale rottO».

Con l 'autorità della voce ministeriale, anche nel 1886 non poteva quindi esserci, secondo Ricotti, una prospettiva militare realisticamente 'offensiva' per l'esercito italiwo.

Va da sé cp.e una simile presa di posizione- la quale, pubblica ta dal giornale del Mini ste ro della Guerra , poteva far pensare che tutta la pianificazione militare ital iana fosse ispirata a quei principi difensivistici- suscitò l e immediate reazioni dei fautori dell" offensiva' 77_ Il giornale mili tare «L'ese rcito italian o» repli cò duramente.

L' «Italia militare», a sua volta, colse poi l'occasione di ribadire il suo concetto (rispond endo, oltre che alla replica dc cL' esercito italiano», anche ad un altro artico lo 'offensivista' comparso su lla «Rivista militare italiana» ben sei mesi prima): la presa di posizione dell ' organo ufficioso acquistava così un valore perentorio 78 Tra l'altro (la replica era infatti assai argomentata) l' «<talia militare» tornava a ripetere i vecchi assunti di Ricotti: reale pericolo di uno sbarco avversar io, concreta possibilità di un'invasione del Piemonte (anche se non subito , all'inizio delle ostilità), profonda contrarietà agli eccessi nel sistema di fonificazione permanente. Ma - soprattutto - l'attacco ministeri al e era portato alla possibilità di applicare uno schema 'offensivista' (che gli altri due organi di stampa militare, invece, dichiaravano di considerare uno degli insegnamenti migliori della guerra del 1870), alla strategia militare italiana. Scriveva la voce ufficiosa del Ministero della Guerra, contro l'impostazione de «L'esercito ita• liano» e della «Rivista militare italiana»: «Voi applicate ad una guerra eventuale tra l 'Italia e la Francia [lo schema del]la sesta delle guerre combattute fra la Francia e la Germania, che non ci si attaglia in nessuna guisa» 79

76 Cfr. cl'ltalia militare», 2 gennaio 1886, Un caiO possibile.

• Cfr. la prima risposta dell'organo ufficiale in ivi, 6 gennaio 1886, Contraddizrom.

78 Più disteso, ivi, 6 gennaio 1886, La difesa di uno Stato come la intendono alcunz.

Con una esplicitazione così decisa della linea di Ricotti la polemica giornalistica non poteva che dirsi conclusa.

Queste prese di posizione degli organi ministeriali celavano un mutamento della strategia italiana? Davvero Ricotti era l' anti-Ferrero, come dicevano i tedeschi? Davvero alla «offensiva possibile» era subentrata la «Stretta difensiva»?

Non crediamo che le cose siano andate così, anche se in realtà mancano tutti i documenti per poterlo affermare con cenezza. Due sono gli elementi che (leggendo le più varie testimonianze su quel periodo) emergono con maggior evidenza.

Polemiche come queste erano più un indice di incertezze e divergenze reali (tra i militari, nella impostazione di un indirizzo strategico italiano) che un segno dell'alternarsi di 'partiti' o di principi direttivi (difensivisti od offensivisti, difensiva od offensiva) alla guida della politica militare vera e propria. Una politica che, nel frattempo, invece seguiva il suo corso: un corso che sempre più, comunque, doveva allontanare l'esercito italiano dalle teorie 'alla Ricotti'.

Apparenti contraddizioni come quelle cui si poté assistere negli anni del secondo Ministero Ricotti (prese di posizione ufficiali per la 'difensiva' e aspirazioni 'offensivistiche') trovavano la loro spiegazione nel trasformismo imperante in quegli anni a livello politico, ma di cui anche a livello militare abbiamo già messo in evidenza varie manifestazioni. Un trasformismo che copriva quel nodo di incertezza e di stallo strategico (tra difensiva, offensiva di alleggerimento e operazioni sul Reno) cui si è accennato e che poi non era in potere di Cesare Ricotti - presentatosi sin dali' ottobre 1884, per il pesante intervento personale di Umbeno I, come un Ministro 'dimezzato' e comunque 'a sovranità limitata' -sciogliere, se non con radicali riforme militari.

Questa sona di trasformismo, o eclettismo, o indecisione, era notata anche all'estero. Sia l'alleato germanico, sia l'avversario francese, sia il più distaccato osservatore britannico controllavano attraverso attaché ed Intel/igence l'evoluzione militare italiana. Il loro 'giudizio estero', quando veniva rivelato dalla stampa militare nazionale, appariva talvolta segnato da dubbi profondi sulla qualùà dei comandanti e in genere dell'esercito italiano. Trapelava , stranamente, una certa sottovalutazione delle più recenti correzioni 'offensivistiche' apponate nel tradizionale orientamento strategico dalle forze armate del Regno sabaudo; ma quasi mai quei giudizi sopravvalutavano le oggettive difficoltà cui l'esercito italiano andava o sarebbe andato incontro. Il ruolo dell'Italia nella Triplice Alleanza veniva analizzato e ne usciva il più delle volte drasticamente ridimensionato.

Spesso quei giudizi esteri conducevano la loro attenzione sul tema dei rapporti tra esercito e marina. Se era vero che i dodici corpi d'armata erano stati un pegno decisivo offerto da parte di Roma al momento della stipula della Triplice Alleanza , di fatto anche l'apporto della marina militare italiana in eventuale confronto marittimo contro la flotta fran cese (immobilizzandone buona parte, impedendo un suo concentramento nei mari del nord ed il possibile conseguente blocco delle coste tedesche) poteva essere di un qualche interesse per la Germania. Ma cosa faceva- o poteva fare - l'Italia per venirle incontro?

L'importanza di questo tipo di valutazioni critiche, come abbiamo visto e come vedremo , era sentita anche in Italia. La coscienza dell'impotenza italiana ad una vera offensiva (verso Nizza, sulle Alpi , sul Giura svizzero , o sul Reno) e la mancanza di difese sufficienti sul lungo litorale tirrenico faceva temere le alte gerarchie italiane. Nel caso dì un conflitto contro la Francia, da soli o aiutati dall'alleato germanico, dove avrebbe dovuto essere atteso il primo colpo avversario? Dal mare o da terra? Le due forze armate nazionali tendevano il più delle volte a dare allo stesso interrogativo risposte divergenti, e rimaneva il fatto che la domanda rivelava l'insicurezza di fondo del sistema militare italiano.

In quegli anni si diceva che ogni nazione aveva un 'proprio' naturale sistema militare (o strategia): ovviamente si trattava solo di semplificazioni pubblicistiche o di definizioni ideologizzanti che sottolineavano, nazione per na.zione, solo alcuni dei componenti dell'intero sistema. Eppure erano definizioni acute. La Germania, prima e dopo i11870, aveva basato- si diceva -la sua preparazione militare su 'truppe e ferrovie'. La Francia, invece, fondava il suo sistema militare su 'truppe, fortificazioni e ferrovie'. E l'Italia? si chiedevano gli osservatori esteri. Parafrasando, si sarebbe dovuto dire che il Regno sabaudo poteva contare solo su un po' di truppe e su qualche fortezza (se l'affermazione non risultasse troppo forte e riduttiva).

Negli anni di Ricotti, anzi, piuttosto che su fortificazioni a difesa o su un miglioramento dei meccanismi di mobilitazione (uno degli effetti, tra l'altro , di un potenziamento della rete ferroviaria), l'esercito aveva continuato ad affidare le sue fortune ancora una volta sul 'n umero' , sia pure non senza contraddizioni.

Poteva un grosso esercito (ma come armato? quanto efficiente? come comandato?) sostenere le ambizioni di taluni settori militari? Certo non era Ricotti, ma v'e ra più d'uno che credeva possibilecon quello strumento militare - un'offensiva sulle Alpi per contenere ed immobilizzare truppe francesi ed una spedizione offensiva sul Reno. Ma quanto si poteva credere possibile per l'Italia - nelle menti di questi militari- quel tipo di guerra su due fronti che era invece stato sempre massimamente temuto da Stati ben più potenti militarmente e ricchi economicamente, quali la Franc ia , l'Austria e la stessa Germania?

Questi erano solo alcuni degli aspetti che osservatori militari stranieri notavano, stupiti, nel divario tra la realtà del potenziale bellico italiano e le ambizioni di taluni settori militari nazionali. Ricorrevano infatti anche altri spunti di riflessione, di ordine assai vario. Quali sarebbero state le conseguenze sul morale militare italiano nd caso di un eventuale- e possibile- primo insuccesso campale? Od anche: nel caso di una penetrazione di forze militari italiane attraverso la Svizzera (allo scopo di incontrarsi alle falde del Giura con truppe tedesche, per dirigere un'offensiva congiunta verso Lione) sarebbero esse state preparate a combattere - e a difendersi da - la guerra partigiana che probabilmente le milizie svizzere avrebbero praticato?

Altre annotazioni, invece , potrebbero farsi a partire dallo stesso esame della pubblicistica militare italiana (e delle sue lacune). L' assoluta mancanza di una previsione degli sbocchi di un possibile dopoguerra, il disinteresse verso le forme di finanziamento della guerra (che, se lunga , avrebbe potuto rovinare le casse dello Stato), l'assenza di studi sulle possibilità di mobilitazione totale di tutte le forze vive della Nazione, anche nel caso di un breve ma colossale conflitto (attraverso il meccanismo delle Milizie di seconda e terza linea, il coinvolgimento delle società paramilitari, lo stimolo alla forma- zione di una leva volontaria) confermavano i limiti evidenti della capacità prefigurativa e della professionalità militare.

In generale, però, si doveva ammettere che gli appunti mossi dagli osservatori d'oltralpe sollevavano temi più latamente politicomilitari. Ad esempio, se povere erano giudicate le basi oggettive dell' offensivismo militare italiano, non si poteva trascurare che tali orientamenti tecnico-militari rispondevano anche a determinati piani politici. Non era un mistero per nessuno che, prima la firma della Triplice, poi l'obiettivo della spedizione al Reno, erano stati funzionali ad un disegno politico e diplomatico teso a portare l'Italia al tavolo di possibili conferenze di pace post-belliche con qualche carta da giocare. La Triplice, l'offensiva, il Reno, insomma, erano anche e soprattutto obiettivi politici. Compito delle più alte gerarchie militari avrebbe dovuto essere quello di denunciare l'inadeguatezza dello strumento militare nazionale a raggiungere quegli obiettivi politici. Ciò non fu fatto.

È così che, in tutto questo, quello che colpisce è il progressivo rafforzarsi delle posizioni 'offensivistiche' 80 e il permanere di quella sona di 'euforia di potenza' 81.

Gli impazienti, ed anche nell'esercito italiano e tra i pubblicisti militari ve ne erano, continuavano a premere. E a criticare l'amministrazione Ricotti che secondo loro, con la sua 'sosta', non voleva porre riparo alle stonure e alle lacune d eli' ordinamento dell' esercito.

Confini e coste, Esercito e Marina

Ancora molto resta da fare in Italia per una storia delle istituzioni militari in senso- si direbbe oggi - 'interforze', una storia che permetta di ricostruire unitariamente e parallelamente l'evolu- zione delle forze armate nazionali, cogliendone i momenti di unità come quelli di contrasto 1

80 Talvolta funzionali alle tendenze offensivistiche erano anche gli scudi di geografia militare. Tra questi cfr. G. PERRUCCHETTI, Esame del teatro di gue"a italoaustriaco, Torino, 1878 ; ID., Teatro di gue"a italo -franco, dal T icino al Rodano: studio di geografia militare, Torino , 1883; ID. , Teatro di gue"a italo-svizzero: studio di geografia mzlitare, Torino, 1883. Sulla geografia militare cfr. intanto, M. QUAINI , La lezione della geografia mzlitare , in cHerodote. Italia», a. l (1975) n. O, pp. 95-116. 81 Per gli eventi successivi , e panicolarmente per la Convenzione militare italogermanica del 1888 , oltre alle opere già citate, cfr. R. MORI , Crispi e la Tnj;lice. Gli accordi mzlitari italogermanici, in cRassegna storica toscana•, a. XVI (1970), n . l; e M. MAZZETTI , L 'Italia e le convenzioni m:litari segrete della Triplice Alleanza, in cStorìa contem poranea» , a. I ( 1970) , n. 2.

Che i rapporti tra Esercito e Marina negli anni '80 ed in specie in quelli del secondo Ministero Ricotti fossero decisivi per l'Italia di quegli anni era questione già nota 2 Quello che qui si pretende di fare non è certo scrivere un paragrafo di una tale storia, ma più semplicemente tentare di descrivere come, dall'interno dell'esercito del periodo di Ricotti, fosse percepito il rapporto più generale con l'altra forza armata e come fosse visto il vigoroso sviluppo che proprio in quegli anni la Marina militare nazionale andava conoscendo.

Da subito, va rilevata l'importanza (oltre che per la storia militare, per la storia d'Italia più generale) del rafforzamento degli interessi marittimi e delle attività economiche armatoriali e cantieristiche nazionali cui si assisté negli anni Ottanta 3.

Confrontarsi, infatti, in quegli anni sul ruolo e sul futuro marittimo dell'Italia era una questione di grande momento, che coinvolgeva una valutazione dello stato dei rapporti tra le potenze marittime del Mediterraneo ed una previsione del ruolo commerciale ed economico, ma anche politico e militare, che l'Italia avrebbe potuto o saputo giocarvi.

In un probabile ruolo 'mediterraneo' dell'Italia grande spazio aveva quindi la definizione del futuro della Marina Militare. Non va infatti sottovalutato il fatto che proprio la Marina Militare poteva divenire una dei principali destinatari possibili della produzione cantieristica nazionale, soprattutto se l'Armata fosse andata indirizzandosi (come pareva) verso la costruzione di grandi corazzate. Come non va dimenticato che era sempre la Marina Militare - sia pure col concorso non trascurabile dell'esercito - che proprio in quegli anni era la più interessata al nascere di uno stabilimento industriale imponente e destinato a lunga vita come quello delle Acciaierie di Terni 4.

Se pure non si può e non si deve ridurre il forte dibattito navali- stico (mercantile-commerciale e militare) degli anni Ottanta in Italia al più circoscritto argomento del futuro e degli indirizzi da darsi alla Marina Militare, non deve essere trascurato il dato di fattopresente ai politici ed agli industriali del tempo - che senza una Marina Militare fone non ci sarebbe stato alcun futuro navale e mediterraneo italiano. Anzi, proprio quel puntare su una accelerata evoluzione dello strumento militare navale piuttosto che sul più naturale ma più lento sviluppo dell'industria e dei commerci poteva apparire, agli occhi dei contemporanei, la 'scorciatoia' per arrivare prima del dovuto all'ambìto status di grande potenza , anche marittima s.

1 Cfr. ancora DEL NEGRO , Studi militan· sul Risorgimento e sull'Italia liberale, 1870- 1914, cit.

2 Cfr. VENTURINI , Militari e politici nell'Italia umbertina, cit., p 230.

3 Manca uno studio specifico. Per alcuni risvolti più immediatamente politici di questa complessa vicenda, si veda ancora R. MORI, La politica estera di Francesco cn·spi, cit ..

4 Cfr. BONEW, Lo sviluppo di una grande impresa in Italia. La Temi dal1884 aii962, cit .. Una breve nota su questo volume in ROCHAT , MASSOBRIO, Breve stona dell 'esercito italt'ano dal 1861 a/ 1943, cit., p. 123, n. 14.

D'altra pane, la situazione militare e politica nel Mediterraneo non invogliava ceno alle più rosee speranze per il regno umbenino.

L'Inghilterra, colla spedizione egiziana del 1882 e con la riedizione - nel pono di Alessandria - della intimidatrice politica delle cannoniere, aveva sanzionato il suo interesse alla piena agibilità mediterranea per i suoi commerci ed aveva ribadito la decisione di mantenere sotto il suo controllo e sotto la sua egemonia la parte orientale del Mediterraneo stesso. La Francia, che nel 1881 aveva occupato la Tunisia e che non nascondeva le sue mire·sul Marocco (controllato il quale avrebbe avuto mano libera in tutto il Mediterraneo occidentale), non trascurava occasione per manifestare la forza della sua Marina Militare e per scoraggiare gli interessi navali italiani 6.

Di fronte a queste potenze l'Italia si trovava in condizioni di palese inferiorità, quando anche avesse voluto affermare il suo 'diritto' all' imperium mans obtinendo colla sola forza del suo strumento militare ed allo scopo di difendere i propri interessi transmarini 7 Ma prima ancora che di assicurare i propri commerci mediterranei l'Italia del tempo appariva incapace di garantire lo stesso territorio nazionale da ipotetici attacchi, sbarchi e colpi di mano anfibi avver- sari 8.

5 Cfr. G. BARONE, Lo Stato e la Man·na mercantzle in Italia 1881-1894, in «Studi storici•, a. XV (1974), n. 3, pp. 624-6)9.

6 Cfr. M. GABRIELE , Le convenzioni navali della Tn'plice, Roma, Tip. Regionale, 1969, pp. 19-27 e p 38.

7 Cfr. M. GABRIELE, G. FRIZ , La flotta come strumento dì politica nei pn.mi decenni dello stato unitan·o italiano, Roma, 1973 (in testa ai front.: Ufficio Storico delI-a Marina Militare); e M. GABRIELE, G. FRIZ, La politica navale italiana dal1885 al 1915, Roma (Gaeta, Stab Graf. Milit.) , 1982 (in resta ai front.: Uffi cio Storico della Marina Militare).

La stessa stipulazione della Triplice Alleanza non aveva granché assicurato una più facile difesa della penisola dalla parte di mare. L'alleata Austria guardava con un certo sospetto al mantenimento da parte italiana di una flotta militare persino nel solo Adriatico ed in più occasioni manifestò la sua riluttanza a voler collaborare militarmente con la Marina italiana in quelle acque, sulle cui rive balcaniche l'Italia pareva nutrire qualche ambizione commerciale e politica 9.

Sia prima sia dopo il 1882 comunque, il pericolo maggiore veniva ali 'Italia marittima da parte della Francia.

In Italia, negli ambienti della Marina, si andava radicando a questo riguardo la lezione strategica della blue water school che predicava la necessità d i imporre la propria egemonia militare allargo delle coste e delle acque nazionali, lanciando la flotta militare nazionale contro quella avversaria alla ricerca offensivistica della battaglia risolutiva ed annientatrice IO_ E, per inciso, si potrebbe anche dire che, proprio su questa piattaforma offensivistica, la Marina Militare andava trovando una sua nuova e più compatta unità 11 , dopo il periodo di profonde divisioni interne che l'avevano caratterizzata'negli anni immediatamente successivi al 1861 quando era stata formata sostanzialmente dalla giustapposizione dei due tronconi ex-piemontese ed ex-borbonico delle cessate Marine degli Stati preunitari e negli anni '70, quando era stata bloccata dalle controversie tra Acton, Brin e Saint-Bon.

Se pure sono ancora necessarie più specifiche e più approfondite ricerche non pare che si possa affermare che negli anni del secondo Ministero Ricotti i lineamenti di questo complesso mutamento del ruolo della marina militare italiana fossero percepiti con chiarez-

8 Cfr. ivi, p. l. Scrivono gli autori, proprio in apertUra del volume, che c:il principale problema militare del paese, durante gli anni della Triplice, fu quello della difesa delle coste. U no scenario allarmante si presentò per decenni a coloro che dovevano provvedere a tenere lontano la minaccia nemica, che veniva valutata come reale e concreta e condizionò in buona parte la politica estera e la politica militare italiana». Assai vasta è la letteratura pubblicistica di quegli anni: una sua u tilità ha lo scritto (non imparziale) di F. MARIANI , La difesa della corte: sunti bibliografici, Roma, Voghera, 1887 (già apparso sulla «Rivista di Artiglieria e Genio ») za- e, quindi, tanto meno apprezzati- negli ambienti militari dell'esercito. La marina militare (n ella pubblicistica, nella stampa militare d'informazione, negli ambienti e nei progetti del Ministero della Guerra o dello Stato Maggiore dell'Esercito) era ancora vista come la 'sorella minore' dell'esercito, talvolta come il suo 'braccio' marino, spesso secondo una interpretazione che si sarebbe potuto dire ancora tutta 'piemontese'. Della marina militare, frequentemente, gli alti comandanti dell'esercito vedevano solo la costante inferiorità di f ronte al potente nemico francese piuttosto che il suo recente rafforzamento e rinnovamento strutturale.

.

9 Cfr. anche M. GABRIELE, Aspetti del problema adnatico con particolare n/erimento al pn'mo rinnovo della Triplice, in .:Memorie storiche militari 1979», Roma, 1980.

1° Cfr. GABRIELE, Le convenzioni navali della Tnplice, cit., pp. 21-23.

11 Cfr. GABRIELE, La flotta com.e strumento di politica nei primi decenni dello stato unitan'o italzano, cit., passim.

Tra le varie autorità militari che avevano contribu ito al formarsi di un simile indirizzo strategico per l'esercito, Cesare Ricotti era forse quello che più chiaramente di altri poteva impersonare queste concezioni. Ciò che, tra l'altro , rimaneva massimamente estraneo dal1' orizzonte concettuale del generale novarese era che la Marina italiana potesse giocare un ruolo 'offensivo' contro gli avversari marittimi dell'Italia: una tale 'pretesa' della Marina contrastava con l'indirizzo strategico più generalmente 'difensivistico' del generale, con la sua valutazione del potenziale militare naval e italiano e soprattutto con quelli che dovevano essere invece i compiti e gli indirizzi dell'Esercito.

Confermando sue precedenti prese di posizione, Ricotti nel corso delle riunioni della Commissione Suprema per la Difesa dello Stato aveva affermato che considerando la nostra grande inferiorità di mezzi finanziari rispetto alla Francia , non è probabile che per molti anni ancora la nostra Marina possa essere messa in grado di dar battaglia con probabilità di successo alla Marina francese 12 Quindi, per il novarese, era meglio lasciar perdere le applicazioni delle teorie offensivistiche alla guerra i tal iana per mare:

Fino a tanto che la nostra flotta non è distrutta, egli [Ricotti) non crede pos· sibile che il nemico tenti operazioni di sbarco.

E perciò egli ritiene che il vero compito della Man'na dovrebbe essere quello di evitare i combattimenti e di costituire una continua minaccia.

Questo sarà compito meno brillante ma certo assai più proficuo per la difesa del Paese 13 .

12 AUSSME , Ordiname nto e m obilitazione, racc. 69, fase. 3, p. 9 1, alla data del 20 luglio 1881.

13 lvi, p. 15, alla data dell'll luglio 1881.

Detto per inciso, una simile, schietta affermazione non poteva non attirarsi le ire dei rappresentanti ufficiali della Marina, presenti a quelle stesse sedute. Tra loro, fu l'Ammiraglio Pacoret di Saint Bon a replicare sdegnato: cUna simile condotta ripugnerebbe ai sentimenti della Marina. 14 .

Ma l'impostazione data ai lavori di quella Commissione non esigeva che i presenti dovessero schierarsi in un verso o nell 'a ltro sulla complessa questione del rapporto strategico tra Esercito e Marina: così il tema, seppur poi risollevato anche polemicamente da Ricotti e da altri , non fu sviluppato quanto forse invece avrebbe meritato.

Nel suo periodo di permanenza alla Pilotta tra ill884 ed ill887 il probl ema strategico dei rapponi tra Esercito e Marina non poteva non emergere. Come si è detto, furono quelli gli anni in cui la marina militare italiana conobbe alcune decisive modificazioni , nella sua costituzione materiale (navi, arsenali, rapporti con l'industria) come nella sua dottrina strategica.

L'avvento di Ricotti , di cui negli ambienti dell'esercito erano note le predisposizioui poco benevole nei confron ti della Marina, avrebbe potuto anche essere interpretata come un segnale di riaffermazione della 'supremazia' delle forze armate di terra rispetto a quelle di mare. Si assisté invece, nel corso di quegli anni, ad una ennesima operazione di sapore trasformista. Come vedremo il timore e la sfiducia degli ambienti direttivi dell'esercito nei confronti dell'efficienza difensiva del litorale nazionale da pane della Marina non scemarono , né fecero posto ad una ri considerazion e generale - militare e strategica- sui rapporti tra esercito e marina (a favore della quale pure si erano manifestati nel dibattito militare suggerimenti e spinte). Su questi rapporti, anzi, fu dispiegata una generica e trasformistica coltre di 'buoni rapporti' formali ed este riori, che indussero in errore anche attenti conoscito ri del mondo militare.

La più chiara manife stazione della sfiducia dell'esercito nei confronti della marina si può ritrovare nell'attività di pianificazione e di addestramento di quadri che lo Stato Maggiore andava svolgendo. Piuttosto che nelle annuali e teatrali grandi Manovre , organizzate e gestite direttamente dal Ministero della guerra 15 , il timore di un insuccesso marittimo della Marina italiana e di uno sbarco di forze francesi era in quegli anni evidente nell'indirizzo delle più rise r- t5 Cfr. AUSSME, Ordinamento e mobilitazione, racc. 78, volume Segreteria. Uf ficio Istruzioni e manovre. vate e circoscritte - ma più interessanti - manovre ed esercitazioni dirette dallo Stato Maggiore 16. l 9 Cfr. ivi, fase . c.

14 lvi, p. 16.

Nella loro duplice possibile forma, quella di esame pratico per il 'corso di esperimento per ufficiali del Corpo di Stato Maggiore' (co rso che andava superato per essere ammessi al Corpo) e quella più tecnica di 'manovre coi quadri per ufficiali di Stato Maggiore', le manovre organiz.zate da Coseoz rendono assai bene l'idea delle 'preoccupazioni più ricorrenti', delle 'idee diffuse' negli ambienti dello Stato Maggiore di quegli anni.

Dovunque esse s1 svolgessero, negli anni del secondo Ministero Ricotti (ma, come si è visto, anche prima), il tema ricorrente era costituito dal timore di uno sbarco francese in qualche località del litorale tirrenico e la conseguente necessità per l'esercito italiano di fronteggiar e una parte delle forze avversarie nel mezzo del territorio nazionale, spesso nel cuore della penisola, e forse anche di resistere per qualche giorno in situazione di inferiorità di forze (con assedi o combattimenti d'arresto e d'incontro campali) nell'attesa dell'arrivo dei rinforzi. Tutte cose che presupponevano una sconfitta in mare aperto della Marina militare nazionale, o un'elusione dei suoi controlli del litorale da parte di forze avversarie.

Già nel1880, sulla linea Gubbio-Nocera, fu saggiata la capacità di resistenza italiana in una zona semi-montuosa, di fronte ad ipotetiche forze avversarie provenienti da sud 17 Nel giugno 1881, mediante l'uso di ferrovie, fu la volta della possibilità di arrestare tra Napoli e Gaeta un attacco avversario sempre da sud, mediante truppe trasportatevi dalla Toscana a Roma e da qui a Napoli 18 Nel marzo 1882 lo Stato Maggiore ideò una esercitazione combinata, con la previsione di due sbarchi avversari successivi, uno nei pressi di Orbetello ed un altro ben più temi bile tra Roma e Civitavecchia 19. In questo caso, il tema prevedeva addirittura che, invece di marciare direttamente sulla capitale, le truppe avversarie si impadronissero del Monte Amiata, tagliando in due la difesa nazionale italiana e interrompendo ogni linea di comunicazione.

16 Raramente la stampa d ' informazione militare (che invece dava grande spazio alle grandi manovre ed alla conduzione dei 'campi estivi') accennava allo svolgimento di queste più limitate esercitazioni, che spesso rimanevano quindi ignorate dalla stampa politica e dai dibattiti parlamentari.

17 Cfr. AUSSME, Campi e manovre, racc. 2, fase. b (i fascicoli non sono numerati).

18 Cfr. ivt', fase. a.

Già allora però si potevano notare segni di doppiezza tra le idee (o la pianificazione) dei militari d eU 'Esercito e le loro pubbliche prese di posizione. In quei giorni il capo di Stato Maggiore Enrico Cosenz aveva scritto una lettera al Ministro della Guerra Ferrero in cui esponeva le su e perplessità e i suoi timori sulle falle dell'azione difensiva della Marina e in cui indicava come più temi bile ipotesi bellica quella che prevedesse al suo interno uno sbarco - non puramente diversivo - «il quale si propon esse come obiettivo immediato la Capitale d'Italia» , e che egli riteneva allora avrebbe potuto essere tentato da eventuali forze attaccanti francesi tra Monte Argentario e Terracina 20 Eppure era lo stesso Cosenz che, so lo qualche mese più tardi nel rispondere ai quesiti della Commissione Parlamentare che vagliava la richiesta della Commissione Suprema per Ja Difesa dello Stato di spese militari straordinarie, indicava invece nel tratto di costa tra Fiumicino e Civitavecchia quello più favorevole al nemico 2 1. Poi, nel marzo 1883, sotto la direzione di Ricci- comandante in seconda lo SME - fu esperimenta ta la difesa del tratto di strada che da Livorno e Viareggio cond uce a Firenze, con l'obiettivo della salvaguardia della ferrovia strategica Firenze-Pistoia 22 . Sempre sotto la direzione di Ricci, nel1883 erano state con dotte manovre combinate tra Esercito e Marina in prossimi tà di Napoli 2 3. In questa occasione, scopo della Marina era stato deciso dovesse essere quello di mantenere la sua libertà d'azione, di attaccare i grossi convogli militari avversari al momento dello sbarco, ma di evitare ad ogni costo qualunque combatti mento che non avesse lo scopo di ritardare o impedire gli sbarchi nemici (e cioè di evitare quelle battaglie di altura, cui pareva invece indirizzarsi la strategia offensivistica della Marina).

Tra il 1883 ed il1884, sotto indicazione dello Stato Maggiore , era la Divisione militare di stanza a Palerm o che - con una manovra coi quadri - si voleva supporre sottopoSta al pericolo di uno sbarco avversario a Porto Empedocle: sbarco che nella manovra, nonostante ogni sfo rzo delle truppe a difesa, riusciva perfettamente 24. Sempre nel 1883 si era tentato, in una previsione di uno sbarco a Civitavecchia, di arrestare nella zona tra Roma e Bracciano l'avanzata delle

2° forze provenienti dal mare. Ma con il risultato sconsolante che, come emerge dalla «Relazione complessiva» stesa a chiusura della manovra, non si poteva nemmeno essere sicuri di riuscire a compiere nella zona di Orte il concentramento delle truppe italiane a difesa, dal momento che azioni avversarie avrebbero potuto costringere ad effettuarlo in posizione ancora più arretrata 25. Nel novembre 1884 la 'Manovra coi quadri eseguita dagli ufficiali del Corpo di Stato Maggiore' (cui parteciparono, tanto per dare l'idea della qualità e dell'attendibili t à di t ali manovre, ufficiali dell'importanza e del futuro come Ricci e Viganò alla Direzione, Orero, Goiran e Caneva per il 'Partito Nord', e Dal Verme, Radicati, Nava e di Robilant, per il 'Partito Sud') ebbe addirittura il compito di saggiare la possibilità di formare, radunare ed inviare - in tutta fretta e con urgenza - un consistente distaccamento di forze da Roma verso i colli Albani, perché affrontasse un imprevisto sbarco di forze avversarie, facendo in modo di prevedere l'impossibilità (da parte dei centri militari della Capitale) di sostenerlo e supportarlo adeguatamente 26. Nella palese gravità del tema si può 'leggere' tutto il timore e tutte le preoccupazioni degli ambienti dello Stato Maggiore.

Cfr. ivi, fase. d, 4 febbraio 1882, Cosenz a Ferrero (estratto).

21 Cfr. ibidem.

22 Cfr. ivi, fase. d.

23 Cfr. ivi, racc. 3. fase. a.

24 Cfr. ivi, fase. b.

Quando Ricotti salì di nuovo alla Pilotta, quindi, l'orientamento preval ente e consolidato nell'Esercito ricordava già molto da vicino quelle che erano le convinzioni personali del Ministro.

Negli anni del secondo Ministero Ricotti, infatti, i timori dello Stato Maggiore (e del Ministero) non sembravano essere scemati. Anzi, le manovre indicavano una tendenza a ipotizzare quan t o mai possibile uno sbarco avversario in prossimità di Roma. Nell'aprile 1885, nello stagno di Maccarese, nella bassa valle del Tevere, sotto la direzione di Pozzolini venne eseguita una manovra coi quadri tendente a saggiare i più minuti particolari logistici e tattici di una difesa ravvicinata della capitale 2 7. Nell'aprile del 1886 si ipotizzava già occupata dai francesi Frosinone e si manovrava per attendere ed arginare un secondo sbarco presso Civitavecchia 28. Nello stesso anno, a marzo, era stato Orero a dirigere un corso di esperimento per gli ufficiali di Stato Maggiore, in cui si ipotizzava che i francesi avanzasse- ro da Civitavecchia verso Roma mentre le forze italiane tentavano il blocco della Val di Nava 29.

Nel 1887, nel maggio, si ricostruì lo scenario militare di un tentativo di liberare La Spezia, bloccata da pane di mare ma anche assediata da pane di terra da foni truppe nemiche 30 . Nel marzo , si era immaginato in un 'corso di esperimento per ufficiali di Stato Maggiore' che gli sbarchi francesi - convergenti su Genzano - fossero più d'uno e rutti imponenti 3 1

E si potrebbe cont inuare, se già questa elencazione non rende sse abbastanza chiaramente quale fosse lo stato d'animo dello Stato Maggiore e dell'esercito rispetto al tema della minaccia francese per via di mare. Può essere significativo notare che nessuna di queste manovre o corsi di esperimento o esercitazionj (che e rano poi le esercitazioni degli anni Ottanta, degli anni considerati 'felici ' per l ' esercito italiano) prevedesse l 'ipo tesi di un fronteggiamento armato ai confini e alle frontiere , e che tutte profilavano invece la minaccia di una 'guerra in casa'. Alla preparazione ed all'esperimento di una grande battaglia in pianura, allo sboccare delle valli alpine, erano dedicate le sole (ed annuali) Grandi Manovre, di cui però come si vedrà veniva criticato l 'eccessivo formalismo.

Il ricorrente, ossessivo timore di un colpo di mano francese nella attività dello Stato Maggiore chiarisce poi ed integra in manier a decisiva il dibattito tecnico che sulle rivist e militari del tempo si andava evidenziando a proposito d eli' assetto da darsi alle fortificazioni per la difesa dello Stato 32 Mentre nel dibattito pubblico venivano sotto lineati e discussi i temi della difesa alpina ed interna, nella concreta attività dello Stato Maggiore era la minaccia di uno sbarco francese a monopolizzare l'attenzione.

A questo proposi to, ne ll 'organizzazio ne e nel pensiero degli Stati Maggiori, pareva quasi non avere rile vanza una riflessione sull'entità delle forze che la flotta francese avrebbe potuto sbarcare sui litorali italiani. La previsione più ricorrente ipoti zzava una forza di sbarco nemica che poteva giungere sino ad un corpo d'armata: ma sarebbero bastate forze anche minori (o sbarchi più numerosi) per mettere in crisi tutto il meccanismo di mobilitazione italiana, tagliare i collegamenti tra la Capitale e la pianura padana, causare direttamente o indirettamente il collasso delle forze dislocate nel più tradizionale campo di battaglia per le armi italiane dal Risorgimento in poi.

29 Cfr. ivi, racc. 6, fase. a.

30 Cfr. ivi, racc. 5, fase. c.

3l Cfr. ivi, racc. 6, fase. a.

32 Senza dimensioni paragonabili a quelle raggiunte nella prima metà degli anni Senanta, il dibattito pubblico militare sull'assetto e sull'uso del sistema fonificatorio nazionale continuò anche negli anni Ottanta. In realtà, però (a differenza di quanto in pane accadde durante il primo Ministero della Guerra di Cesare Ricotti) negli anni Ottanta tutti i giochi per le fonificazioni erano già stati farti nelle riunioni segrete della Commissione per la difesa dello Stato.

Tutto ciò poteva avvenire sostanz ialmente per l'in capacità di difesa del litorale e delle acque territoriali della Marina.

Questo permette di inquadrare anche la dibattuta questione della difesa dei litorali e di cogliere l 'aspetto determinante della percezione militare di un problema strategico che aveva interessato - per motivi vari e diversi - anche ambienti politici ed economici nazionali.

L'interesse militare che proprio nella prima parte degli anni Ottanta, e particolarmente negli anni del Ministero Ricotti, si andava appuntando sul tema della difesa costiera pareva ridursi (nonostante le ripetute affermazioni verbali o pubbliche sulla necessità di una più fitta serie di fortificazioni fisse) in sostanza alla intima convi nzione , secondo i militari della forza armata di terra, della necessità di una funzione di supplenza da pane dell'esercito nei confronti della manna.

Un tale orientamento strategico, diffuso negli ambienti dell 'esercito, avrebbe potuto proporsi due (diversi) scopi politici: o rafforzare militarmente (e sostenere finanziariamente) quei compiti di supplenza dell'esercito, ovvero- in senso opposto- dirottare grandi fondi dalle casse statali verso la politica cantieristica della marina militare (che, con la cos truzione delle grandi navi progettate , pensava a suo modo di assi curare la difesa del litorale e soprattutto di poter prospettare una vittoria italiana in una eventuale grande battaglia marittima). Ma si esigeva una chiara presa di posizione: la via prescelta (da Ricotti , da Brio , da Depretis) fu invece ancora una volta quella delle mezze misure.

La legge sulla difesa costiera che il Minist ero della Marina fu spinto a preparare e a far votare al Parlamento nel 1886 non rimediava che so lo parzialmente al problema della difesa dei litorali né, soprattutto , esprimeva una chiara opzione politico-militare tra quelle due possibili 33 .

H Cfr. AA.PP., Camera, Legisl. XVI, sess. unica, Discussioni , cornata del 17 dicembre 1886.

Ed è già noto che nell'inverno 1886, dopo la votazione di quella legge, una Commissione Militare presieduta da Volpe giudicava ancora solo secondario l'apporto della Marina rispetto a quello dell'Esercito in tema di difesa delle coste 34 .

Il fatto era che, come si è detto, la Marina andava orientandosi sempre più verso le dottrine strategiche offensivistiche e verso l' ipotesi di una grande battaglia risolutiva. Ma se gli ammiragli mostravano di contare sulla forza dei 'molti Duili lanciati nel mare' 35, i generali continuavano a temere il confronto diretto marittimo tra le forti (ma poche) navi italiane con la molto più numerosa e complessivamente più forte Marina Militare francese ed a paventare cosa sarebbe successo se ad una sconfitta in mare aperto della flotta italiana fosse seguita la completa indifendibilità delle coste della penisola. Se questi erano i grossi problemi di fondo, bisogna ammettere che il dibattito pubblico e pubblicistico sul tema della difesa delle coste affrontò invece raramente in maniera esplicita la questione cruciale del reciproco ruolo strategico di Esercito e Marina e si ridusse spesso a diatriba tecnica quando anche non acquistò un tono ed un sapore regionalistico 36: notabili di ogni provincia vedevano con piacere la possibilità di controllare qualche fetta di quel grande programma di lavori pubblici che la difesa delle coste poteva richiedere. Difendere e fortificare il litorale ligure o quello toscano, quello laziale o quello meridionale, spesso diveniva inoltre- negli scritti di pubblicisti militari minori - l'occasione di fare sfoggio di personali teorie militari o di particolari punti di vista su questa o quella arma (cannone, obice, mitragliatrice) che meglio avrebbe potuto difendere questo o quel tratto di coste. Nella babele delle opinioni si rischiava così di perdere di vista il punto centrale.

34 Cfr. GABRIELE, Le convenzioni navali della Tnp!ice, cit., p. 29, che ricorda inoltre il contemporaneo fallimento delle manovre navali italiane di quegli anni (cfr. ivi , pp. 16-17 e p . 45 ).

35 Cfr. E. FERRANTE, Il potere man"ttimo. Evoluzione ideologica in Italia 1861-1939, suppl. a.:Rivìsta marittima», a 1982, n. 10; ed anche ID. , Benedetto Bn'n e la questione man"ttima italiana (1866-1898}, suppl. a cRivìsta marittima», a. 1983, n. 11 , p. 75.

36 Anche reali problemi militari e strategici, come quello del rappono (o della scelta) tra i poni e gli arsenali dì Taranto o Napoli venivano a colorarsi di poco chiare lotte dì interessi locali. Per alcune prime ( apologetiche) informazioni, cfr. A. PANARA , La Man'na Militare pioniera dello sviluppo socio economico di Taranto, in «Economia e storia., a. l (1980), n 3, pp. 358-369. Sterminata è la letteratura pubblìcistica sui temi della difesa costiera ravvicinata: ma appunto talvolta solo tecnica, ta l'altra inficiata dalle pecche di cui sopra, tal'altra ancora solo superficiale e disinformata .

Altrettanto esemplificativa del trasformismo dei tempi, e solo in parte già nota 37 , fu l'idea di Ricotti di devolvere qualche milione del bilancio della Guerra a favore di quello della Marina quale proclamato segno di comprensione e di collaborazione delle due forze armate per il bene della 'potenza italiana'. Il Ministro affermò di voler seguire questo indirizzo già poco dopo la sua nomina nell'autunno 1884 e poi , con maggiore concretezza, dopo le elezioni del maggio 1886.

L'affermazione , in apparenza, poteva accontentare un po' chiunque: gli ambienti della Marina come quelli dello Stato Maggiore dell'Esercito, come l'opinione pubblica.

In realtà doveva scontentare tutti: la Marina , che con qualche milione in più non risolveva ceno tutti i suoi problemi strategici e cantieristici; lo Stato Maggiore , cui poteva sembrare che venissero sottovalutate le esigenze dell'esercito; la stessa opinione pubblica che, pur prevalentemente coinvolta dal risorgere di temi e miti navalistici, era però sempre più insospettita dalle accuse circa l' impreparazione ed il mancato 'svolgimento' del!' ordinamento d eli' esercito che l'opposizione politica andava spargendo. In o ltre l'ambiente politico, ma anche quello militare, era disorientato dalla proposta di Ricotti, in cui molti ancora vedevano (e con ragione, se si pensa alle affermazioni del novarese prima ricordate) il generale che non si era mai mostrato tenero nei confronti della Armata.

Ma, soprattutto, l'entità del trasferimento di fondi dalla Guerra alla Marina se pur significativo come segnale di una politica, in realtà non aiutava di per sé in nessun modo decisivo la Marina Militare ad uscire dalla sua situazione di 'minorità' nei confronti dell'esercito. Il tutto, insomma, finiva per apparire un'ennesima battuta del solito copione trasformista.

L'occasione per simili riflessioni fu data al mondo militare (e politico) da alcune secche affermazioni parlamentari del Tenente Generale Ricci , nell'estate del1885, in sede di discussione del Bilancio della Marina. Invece di pochi milioni che non possono servire a tutto, disse Ricci , sarebbe forse meglio fare un'unica, grossa assegnazione di fondi per risolvere qualcuno dei problemi più ingenti dell'ordinamento della Marina. E parlò in questo senso dell'arsenale di La Spezia che a suo parere sarebbe stato possibile costruire e difen- dere definitivamente con una trentina di milioni 38.

Nel 1861 -a soli ventinove anni - insegnante di 'arte della guerra' all'allora principe ereditario Umberto di Savoia e poi professore alla Scuola Superiore di Guerra, dal 1882 Comandante in seconda del Corpo di Stato Maggiore, dal1884 promosso Tenente Generale, Ricci era allora un ufficiale molto ascoltato nell'ambiente militare. Schierato a Destra, Ricci anticipò così nel giugno 1885 alcuni dei temi della critica ami-Ricotti che furono sollevati poi anche da Carl o Mezzacapo: quelli del rapporto tra Esercito e Marina.

Egli non aveva mai fatto mistero del suo interesse per il fronte marino: e costante era stato il suo sollecitamento perché fossero presto completati i lavori di fortificazione del porto di La Spezia, perno della difesa navale italiana 39. Nel giugno 1885 Ricci andò però oltre la questione (cruciale ma delimitata) di La Spezia: sostenne pubbl icamente che la Marina era «i l punto debole» del l 'organismo militare italiano e che perciò, se necessario , sarebbe stato utile beneficiarla di parte delle ingenti spese straordinarie da poco approvate dalla Camera a favore dell'Esercito e delle fortificazioni terrestri. Aggiunse infine che queste fortissime spese per l 'es ercito erano in parte conseguenza della decisione presa nel1882 di creare due nuovi corpi d'armata.

La rigidità e la forza delle affermazioni di Ricci erano quelle di una critica militare 'integrale': non c' era spazio nelle sue parole per alcuna mediazione politica , per alcuna comprensione delle esigenze parlamentari causate dalla rinascita di temi navalistici, né egli pareva disponibile ad accettare alcuna gradualità nella soluzione dei probl emi delle forze armate di mare . La Marina era carente? alla Marina si dovevano quindi concedere tutti i fondi necessari . Questo era lo schematico ragionamento del generale.

D'altra parte la sua critica non poteva esser lasciata cadere nel nulla , per quanto riguardava gli ambienti militari dell'esercito. Anche perché , pur nella sua esteriore schematicità, il pensiero di Ricci era penetrante. Quello che Ricci sollecitava, in sostanza, era l' apertura di un grande dibattito (militare) sul rapporto tra Esercito e Marina, sperando forse che l'ambi ente (politico) parlamentare avesse po- tuto concedere i fondi necessari.

39 Già nel 1872, A. Ricci definiva La Spezia cunico e veramente monumentale no· stro stabi limento marittimo •. A. RICCI, La piazza di Stradella nella difesa della frontiera n ord-ovest dell'Italia , Torino, Loescher , 1872.

Per prima cosa, dovette pensare a questo proposito Ricotti, la critica di Ricci non poteva essere stata solo una iniziativa personale: il comandante in seconda del C.S.M. non parla a solo titolo proprio. Inoltre, Ricci- e lo si è visto - parlava a ragion veduta: egli conosceva molto bene i termini della questione e non si sperdeva, come faceva tanta parte del dibattito sulla difesa delle cos te , negli aspetti minori 40 . Infine - poté notare il Ministro - vi era un che di capzioso, di esagerato nella sua affermazione per cui i fondi mancanti alla Marina erano quelli che l 'Esercito aveva preso per il suo ordinamento militare al momento de l passaggio da dieci a dodici corpi d'armata. Da una parte Ricci, così dicendo, addossava alla Sinistra la responsabi lità di quella 'distrazione' di fondi e delle deficienze della Marina; dall'altra pareva voler parlare direttamente allo stesso Ricotti, di cui egli conosceva le intime convinzioni a proposito del rapporto tra Esercito e Marina e dell'ordinamento militare del 1882.

Insomma, da qualunque parte la si riguardasse, la critica di Ricci era pesante e complessa .

La stessa ufficiosa «Ital ia militare» dovette aprirsi ad un (piccolo) pubblico dibattito, in cui trovarono espressione varie tendenz e militari. Fu così chiaro al pubblico (militare e politico) che nell' ese rcito c'era chi considerava necessario l'adozione del principio dell' offens iva in terra (e quindi in primù, per l'Italia, alle frontiere e in montagna) come in mare (da cui l'utilità di avere grosse e forti navi offensive per una grande e decisiva battaglia marina) 4 1 , c'era chi considerava offensiva una forza marittima solo quando fosse stata in grado di gettare, con uno sbarco sulle spiagge nemiche, grandi unità di fanteria cui sarebbe spettato l'onore di essere le forze decisive della guerra (e così sarebbe venuta meno l'urgenza da Ricci avanzata di so ttrarre fondi di Bilancio dall'esercito per passarli alla Marina) 42; c'era chi rifiutava la scelta tra «ese rcito, flotta e fortificazioni» e richiedeva più moderatamente, «misura>> ed equilibrio nelle preferenze (ed un ordine politico e finanziario di priorità n eli' attuazione) 43. Ma fu un dibattito presto soffocato e chiuso d'autorità.

40 Impo_naote la_ su_a al in del Corpo di Stato MaggiOre .. La posiZione dr RtccJ, come vedremo, ed m parucolare sul terreno della politica coloruale , non era esente da contraddizioni; ma il richiamo allo 'spazio mediterraneo' dell ' Italia era in lui costante. Piuttosto che ad andare in Mrica, egli pareva in t enzionato a che non si lasciasse cformare intorno a no i , nel Mediterraneo e nell'Adriatico , un vero anello di ferro che ci soffocherà e che dovremo spezzare colla forza, un giorno in cui ci sentiremo portati ad espanderci:. . ]/ generale Osio , cit. , p. 374, alla data del 29 dicembre 1884.

41 Cfr cL' Italia m ilitare• , 19 giugno 188) , Un discorso opportuno.

42 Cfr. ivi, La questione militare.

Le parole di Ricci avevano suscitato, pur partendo da un solo problema, troppe questioni insieme; nessuna autorità e nessun ambiente militare (o politico) poteva nel giugno 1885 accettare che tutto l'ordinamento militare italiano fosse di nuovo messo in discussione. L'equilibrio e l'assetto delle forze armate creato nel 1871-76 e corretto nel 1882 poteva essere forse ritoccato ma non ancora una volta sconvolto.

Il deputato militare provò ancora a risollevare, in un secondo momento, le sue critiche alla gestione Ricotti in un discorso ai suoi elettori nell'agosto, ma l'eco politica fu già minore 44.

Nell'autunno, infine, Ricci fu allontanato dal prestigioso incarico di comandante in seconda del Corpo di Stato Maggiore (e di vice di Enrico Cosenz) e destinato al più tranquillo Comando della divisione militare di Cuneo.

Significativamente, già nel luglio l'ufficiosa «Italia militare» aveva ammonito l'esercito contro le «discussioni tumultuose e tumultuarie, per non citare quelle delle quali l'agge ttivo di rivoluzionarie avrebbe espresso molto tenuamente la natura» 45. E qualche giorno prima si era rammaricata contro quei militari che svelassero «dispareri che non dovrebbero trapelare , perché l'idea che dovrebbe trionfare è quella di coloro che ne avranno la responsabilità» 46.

Le grandi questioni erano così di nuovo archiviate.

Ma il dibattito militare su tali grandi questioni non poteva essere archiviato con una misura repressiva e con pochi articoli giornalistici. Il tema, di ampio respiro, venne così ripreso dagli organi di informazione politica e dalla stampa 'di partito' 4 7 . Ma così facendo si perse la sua concretezza e la sua incisività, tanto più che nell' ambiente militare dopo le misure prese a carico di Agostino Ricci parve tornare a prevalere il silenzio.

A contribuire poi, tra il1885 ed il1886, a frenare un libero confronto di opinioni tra i militari sul reciproco rapporto tra Esercito e

4 3 Cfr. ivi, 19 giugno e 21 giugno 1885, Esercito, flotta o fortificazioni?.

44 Cfr. ivz', 19 agosto 1885, Un discorso del generale Ricci agli elettori di Belluno, e cfr. «L'esercito italiano», 27 agosto 1885. Un discorso del generale Ricci.

45 Cfr. «L'Italia militare:., 3 luglio 1885, A parlamento chiuso.

46 Cfr. ivi, 21 giugno 1885, Unum focere et alterum non omittere.

47 Cfr. già ivi, 21 giugno 1885 , Le idee del generale Ricci ed il 'Diritto'.

Marina nella strategia nazionale, doveva aggiungersi anche l'esperienza coloniale di Massaua. Proprio quando , come è stato notato, l'esercito italiano passava da potenzialmente offensivo a concretamente offensivo - sia pure su un teatro d'operazioni particolare quale quello africano e coloniale - e quando la Marina veniva ad operare come diretto supporto di quell 'offensivismo 48 (tra l'altro in condizioni del tutto nuove e difficili) gli spazi per il dibattito militare dovevano invece restrmgersL

Anche se l'opinione pubblica non ne sarebbe stata informata, proprio in quei mesi e sul terreno della politica coloniale non avrebbero comunque tardato ad entrare in conflitto opposte visioni strategiche tra ambienti della forza armata di terra e ambienti di quella di mare. Ma rimaneva il pesante dato di fatto che quello non era il momento per i militari italiani di un dibattito pubblico in tema di rapporto tra Esercito e Marina.

Tra il 1885 ed il 1886 ci furono poi altri episodici segnali di ripresa di interesse del dibattito militare sui rapporti tra Esercito e Marina: tra questi segnali si può ricordare la pubblicazione di due articoli - interessanti e divergenti- sulla «Italia militare» e sulla «Rivista militare italiana» 49

Ma non c'erano elementi nuovi: si trattava nel primo caso di una ci proposizione di vecchi temi che Ricotti aveva già affrontato nel segreto delle riunioni della Commissione Suprema per la Difesa dello Stato , nel secondo di una più estesa articolazione delle teorie offensivistiche militari applicate sia alle forze di terra che a quelle di mare. Non si trattava più ormai di un dibattito, bensì di voci isolate. Una conferma comunque che il problema era sentito come importante ed urgente e che persistevano anche all'interno dello stesso eserci t o impostazioni assai diverse.

L'Esercito andò consolidando il suo ordinamento, sviluppando il suo offensivismo e rafforzando le ipotesi di un suo impiego in teatri di guerra non ital iani. La Marina incrementò la sua flotta e vide aumentare gli sranziamenti finanziari messi a sua disposizione con un ritmo di crescita superiore a quelli decisi per l'Esercito (anche se questi, ovviamente, rimanevano di gran lunga i più consistenti in termini quantitativi). Se anche nella realtà e nel pur ristretto dibat- tito degli anni del secondo Ministero Ricotti c'erano già tutti i segnali di una divaricazione delle opzioni tra le due forze armate nazionali, essa sarebbe divenuta evidente solo più tardi 50.

48 Cfr. anche GABR1ELE , FRlZ, La poHtica navale :italiana da/1885 al 1915 , cit. , p. 53 e sgg.

49 Ci riferiamo ai già ricordati «L'Italia militare» , 2 gennaio 1886, Un caso possibile e A.F.J., La dzfesa di uno stato come la intendiamo noi , cit. .

Per l'intanto, negli anni tra i11884 ed ill887, una volta frenato il dibattito ma non ceno attenuati i problemi che lo avevano originato, c'era solo posto per qualche ennesima operazione di ripiego, per qualche altro espediente trasformistico.

A questo si può ridurre il significato del progetto di legge presentato congiuntamente dai Ministri Ricotti e Brio per un assegno militare di 15 milioni a favore di ciascuna delle due forze armate. Se qualche militare dissenziente poteva gridare allo scandalo e indirizzare i suoi strati sui «fratelli siamesi• Ministri alla Guerra ed alla Marina 5l, in realtà con quel disegno di legge (di cui acutamente Ricci, in Commissione Parlamentare, indicò il «carattere eminentemente politico») 52 Ricotti tendeva a conquistarsi a poco prezzo la fama di militare dell'Esercito sensibile alle necessità della Marina.

Ma , nonostante questo bel gesto, poco doveva cambiare nella sostanza dei rapporti strategico-militari delle due forze armate in quegli anni. Il trasformismo di Depretis e di Ricotti non mutava la precedente situazione.

)O Cfr. già VENTURINI , Militan· e politici nell'Italia umbertina. cit., p 231.

)J Quando Pelloux scrisse quel breve articoletto (di cui F. Venrurini ha rimracciato il manoscritto originale tra le ca ne del generale , conservate presso l' ACS) ce no voleva colpire le persone ed il prog e tto poliùco di Ricotti e di Brio, piuttosto che una presunta 'a rmonia ' tra esercito e marina che- come si è visto e come si vedrà - non esisteva più di tanto. Cfr. ivi, pp 201-202.

) 2 AA.PP., Camera, Legisl. XVI, sess. unica, Discussioni, tornata del 17 dicembre 1886.

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