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Con i soldati italiani in azione
Vincenzo Sinapi
La missione militare ita l iana in Iraq ha gli occhi azz urri di Silvia, l a lagunare . Sorridono qu ando un bambino per strada le chiede dell'acqua, "wat er, please, water". Scrutano l 'a utomobile c he si affianca lentamen t e al suo mezzo blindato, ma po i lo sorpassa . Si bagnano di lacrime quando qualcuno le chiede del suo mig liore amico, Ma tte o Vanzan, ucciso mentre difendeva la base Libeccio . Ecco : la vog l ia di dare una mano a un popo lo che ha bisogno di tutto, la determinazione nell'affrontare una minaccia sempre stri sciante, il ricor d o commosso di qu elli che ci ha nn o rimesso la pe l le, "perché se noi stiamo qui lo facciamo anche per loro " . Tutto questo dicono gli occhi azzurri di Sil via , l a lagunare, in pattuglia nelle strade polverose di Nassiryah . E gli altri? Gl i altri t remila? Genera li zzare, lo dicono tutti, è sempre rischioso, e se anche le u niformi so n o le stesse, d entro ci sono persone ogn u na con una sua storia, proprie idee , sensibi l ità diverse Ma se ti capita di viverci gomito a go m ito per un mese - condi videndo tende, mensa e missioni - alla fine l'idea che ti fa i è che questo modo di sentire e d i pensare - quello di Silvia - sia comunque diffuso nel contingente . E non solo in Iraq, ma in A fgha nistan e ne i Balca ni e nel Sinai e dovunque nel mondo sono ogni gio rno in azione quasi d iecimila militari italiani. La circos t a nza non deve stupire . "Se l o faccio è perché sono convinto", c i spiegava qualche tempo fa un u ffici ale di Mari na, a bordo di una nave nel Mar A r abi c o . E una buona indennità di mi ssione, probabilmente, da sola non spiega la ragio ne per cu i siano sempre tanti i vo lo ntari che si candidano a partecipare alle varie missioni. Soprattutto quelle in cui non è a ffatto scontato tornare a casa senza u n graffio. C'è dell'a lt ro, dunque. Che cosa? Alcune storie dai var i " t eatri" d'operazione possono aiutare a scop rirl o . Una di queste è una storia di cani. Di cani e di mine. Alla fine d el marzo 2003 ho viaggiato con Ge in, Baks, Mapi e Megan su un C - 130 dell'Aeronautica Militare diretto in Afg hanistan Poco più di un anno dopo li ho incontrat i di nuovo in Iraq. I cani antim ine e antiesp lo sivo, una novità dell'Esercito, sperimenta t i in Koso vo, hanno avuto il battesimo d el fuoco proprio a Khost, in Afgha ni stan : un Paese d ove g li ordigni inesplosi sparsi dovunque sono 7 m i lioni, forse di più U n militare ci mostra il manualetto in dotazione a tutti i so ldat i italiani in Afghanistan: ci sono 31 fo to a colori con i più frequenti tipi di mine che potrebbero insidiare la loro mi ssione . Min e anticarro e ant iuomo, quest'ulti m e tarat e quasi sempre per esp lo dere anche sotto il peso leggero di u n ragazzino Mine a frammentazione, mine a trazione, a pressione, a impulso elettrico, d i tutte le forme e le dimensioni . E poi le trappole esplosive, ancora più insidiose perc h é frutto della fantasia di chi le proge t ta e poi le rea lizza . Il repertorio è cinico e vario : dalle scato le di scarpe alle bambole esp lo sive. Certo, per gli sminatori del contingente italiano e i loro cani il lavoro non è mancato . E si sono sempre fatti valere. Lo stesso sta succedendo in Iraq .
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"Qui il caldo è il loro vero nemi co", ci spiega uno de g l i is tru t to r i, il maresciallo Andrea Lombardi, un rise rv ista . " L'unico stru mento ch e i ca ni hanno è l ' olfatto. Dunque: naso aperto e bocca chiusa.
Ma sopra i 40 gradi (quando in estate a Nassiryah la massima supera i 60 - ndr) è impossibile lav orare in apnea Per questo escono solo di sera, o la ma t tina di buon'ora" . E infatti so no da poco passate le 8 di una torri d a giornata di luglio quando Bali, uno stupendo pastore tedesco, setaccia un campo infestato da cluster bombs - bombe a frammentazione, una delle quali solo tre giorni prima ha dilaniato una ragazzina - risalenti alla prima guerra del Go lfo. Alla fine, graz ie anche a Bali, l'area viene completamente bonifica t a. "Un cane di tre anni, con questo livello di addestramentospiega Lombar di - vale sul mercato 40.000 doll ari circa. Le organizzazioni non governative che si occupano di bonifica umanitaria lo acqu isterebbero anc h e domani, e g li frut t erebbe 15.000 dollari al mese . Ma anche i conduttori dei cani, come del resto tutti gli sminatori, sono merce pregiata" . Insomma, se proprio si decide di andare in giro a togliere mine, ci sono modi mo lto remunerativi per farlo . E i genieri ita liani qu es to lo sanno, anch e se si os ti nano a indossare la loro m imetica . Un'a ltra storia istrutt iva è quella dei carri armati di Nassiryah. Gli Ariete alla fine hanno raggiunto l' Iraq dopo aver lasciato in Italia una scia di pol em iche , "perché la pace non si fa con i cannoni da 120 millimetri". Ma i "guerrieri" che pilo t ano questi mostri da 53 tonnellate - sorprende scopri rl o - sono i pr i mi a sperare che non vengano usati .
A Camp Mittica, i l quartier generale ita l iano, i carristi saltano all'occhio per la tuta ver de ignifuga che indossano al posto d ella normale uniforme . E perché t rascorrono l ' intera giornata, in un settore defilato d ell'accam p amento, amoreggiando - non saranno certo loro a obiettare sul verbo - con i loro " te rr ibili" carri armati Li tirano a lucido, c i gi r ano intorno, ci salgono su e li mettono in moto, oppure se mp l icemente li guardano . Non se ne sono mai separati, viaggian do semp re con loro: dal porto di Monfalcone, dove sono stati imbarca ti per il Kuwait, a Nassiryah. È la prima volta che gli Arie t e escono dall'Italia per una missione e l'onere è toccato al 32" Reggimento cli Tauriano (Udi ne ), 3 ° battag lione, 1° compagnia . Si chiama "Leoni di Bard ia", in memoria della battaglia in Africa settentrionale in cui 13 carri, e i l oro equi paggi, furono annientati durante l a seconda guerra mondiale. Li comandava il tenente Cas t ellano e uno degli Ariete cli Nassiryah porta que l nome. Un a lt ro t en ente, Lorenzo Nlangia, 26 anni, di Lecce, ha la responsabi l ità de l plotone spedito in Iraq. Non è, non se mbr a , un guerrafondaio Come tutti certo è attaccato al suo mezzo, ne descrive entusiasta le qua lità come se fosse la macchina che ha appena comprato (e infatti lo definisce " la Ferrari dei carri armati") e si ve d e che av rebbe voglia a n che adesso cli mettersi ai comandi e fare u n giretto. "Ma la mia sp era nzadice - è che non ci sia mai la necessità d'impi egare l ' Ariete e che tutto vada avan ti cosi', in modo tranquillo. Anche perché ques t o vorrebbe dir e che l'obiettivo della nostra m issione, che è una mission e cli pa ce, si sta rea lizz ando" E allora perché portarli fin qui? "L'Ariete è enorme e incute paura . Spesso basta questo per far scappare i ca tt ivi", ipotizza il t enente . Morale della storia : i soldati it al iani non vanno dov e si spara perc hé sma- niosi di fare a ltrett anto. Non i Leoni di Bardia. Epp ure con i " cattivi", come li chiama il carrista, prima o poi i conti bisogna farli . E non è mai detto che la partita sia chiusa una volta per tutte . Lo dimostra quello che è successo in Kosovo, una regione secondo molti "pacificata", dove l'odio etnico è riesploso all'improvviso dopo che la guerra era finita da 5 anni , la sciando sul terr eno decine d i morti e feriti. L'ord ine è stato riportato soprattutto grazie ai militari italiani della K-for, che da qu ei giorni, anche loro, dormono sonni meno tranquilli. E tranquilli non lo sono mai stati per gli alpini e i parà che si sono avvicendati a Khost, in Afghan ist an: "La missione più p ericolosa dal dopoguerra", ha sempre detto il ministro della Difesa, Ant onio Martino . E infat t i gli agguati alle pattuglie e i tiri di mortaio contro la base Sal erno sono stati un incubo quotidiano Solo qualche feri t o, per fortuna. Niente rispetto al drammatico bilancio di Nassiryah. Qu esti i discorsi che facevamo con Devis, sergente della task force "Serenissima", quando i l Vcc dell'Esercito si blocca impro vv isamente proprio a due passi da Animai Hous e, il rudere della base dei carabinieri distrutta nella strag e d el 12 novembre . "Non è niente, so lo un con tro llo", tranquillizza Devis, il caposquadra. E infatti la pattuglia poco dopo riparte. N on sono giorn i facili a Nassiryah. L'uccisione di Vanzan è un ricordo recente e in città vengono ancora segnalate possibili sacc he di miliziani. È stata una settimana di fuoco con attacchi ai convogli umanitari, esplosioni di autobomba, spari contro gli elicotteri del contingente. Tutto questo mentre gli organismi cli intelligence ri - lanciano allarmi di tutti i tipi: dal kamikaze telecomandato ai guerriglieri provenienti da fuori, addirittura dalla Cecenia, proprio per colpire i soldati italiani . In questo clima, alla pattuglia dei lagunari tocca oggi ripercorrere le strade della battaglia di metà maggio. Era lo stesso mezzo, lo stesso equipaggio. "Sentivamo le pallotto le sopra la testa che facevano "ding", rimbalzando su l Vcc", ricorda Devis, il sergente. "Abbiano sparato migliaia cli colpi e non c'era tempo nemmeno a ricaricare le armi. Era il primo giorno, eravamo appena arrivati, e siamo andati avanti cosi', senza fermarci, per ore. E poi il giorno dopo, lo stesso. Mi sono chiesto se ero capitato all ' inferno". Il fuciliere che gli sta accan to sembra non ascoltare. Di tanto in t anto pulisce dalla polvere - o forse accarezza - il Beretta 70/90 che tiene appoggiato sui sacchetti di sabbia sistemati intorno al mezz o blindato. In piedi sopra un sedile controlla la situazione.
"Vede i fori su quella parete? Sono i colpi che abbiamo sparato", dice Devis, improvvisato cicerone su l terreno della battaglia . Ma oggi il clima è "dec isamente d iverso" : neppure un sasso contro gli italiani, e i bambini fanno cia o con la mano. Ma non tutt e le facce che si girano allo sferragliare dei cingolati sono amichevoli.
C'è una regione, come il Kosovo, dove la fede relig iosa è anche radice di un'identi t à naziona le e la distruzione dei monasteri serbi o delle moschee albanesi diventa essa stessa espressione d i un odio etnico ancora feroce. C'è un Paese, come l'Iraq, dove i resti d ell 'antichissima civiltà sumerica e mesopo tami ca con tinuano a essere saccheggiati da bande di predoni manovrati da traffica nt i int ernazionali o, forse, dalla guerriglia. In entrambi i casi i militari italiani sono intervenuti, e ancora oggi lo fanno, p er cercare di contrastare un crimine - la distruzione delle opere d'arte - che offende non so lo g li abitanti di quelle terre, ma tutta l 'umani tà.
In Kosovo, vic ino a Pec, il monastero di Decani è sopravvissuto alla guerra e all e tensioni che anche di rec ente sono riemerse solo grazie alle costante protezione dell'Esercito Italiano. Qu ello di Decani non è solo un momumento di enorme pregio storico e artistico, costruito nel 1327, con degli affresch i che "in alcun e loro parti - ha detto Vittorio Sgarbi - ricordano Giotto" . È anche un simbolo religioso, perché dal Xlll secolo è la sede dell'ortodossia serba in una provi n cia oggi a stragrande maggioranza a lbanese . Da parte dei monaci, dunque, è un continuo appello agli italiani a non lasc iarli indifesi: "Non anda re via. Se ve ne andrete ci ammazzeranno e distruggeranno tutte le nostre chiese", ripete padr e Sava J anic . Il timore è che la riduzione delle forze della Nato nei Balcani possa lasciare sguarnito questo e a ltri s iti ortodossi, come il patriarcato di Pec, fin dal 1999 presidiati dalle blindo italiane. "Siete soldati per la pace e per l'arte", ha detto di recente l'ex presidente della Repubbl ica, Fran cesco Cossiga, che li è andati a trovare. Soldati che in più occasioni hanno rischiato la pelle per sottrarre alla furia etnica questi p ezzi di Storia. Uno che lo fa volentier i - perché la storia dell'arte è una sua grande passione - è il capitano Marco Briganti: pilota di elicottero dell'Esercito ha " la fortuna" (sono pa- role su e) di essere uno di quelli, insieme a i colleghi cieli' Aeronautica, che si occupano delle non sempre tranquille mission i aeree di ricognizione sui circa 800 siti di interesse archeologico dell a prov incia irachena affidata al controllo degli italiani, la terra di Abramo e di Ur dei Caldei. L'archeologo pres taro all'Esercito, che ha la tenda pi ena di libri sulla sroria e l'art e della Mesopotamia, sorvola oggi il si to di Tel Yukhan, a nord , uno dei più importan ti. Come era facile prevedere, c'è folla. Alla vista dell'elicottero u na trentina di person e si danno alla fuga su tre pick up . Ci sono anche donn e e bambini: sono piccoli, e si infilano meglio nei buchi.
Compito dei soldati italiani (che per quest 'attività si sono guadagnati anche un ampio servizio sulle prestigiose pagine del "New York Times") è cli dare una mano al le poche e disarmate guardie archeologiche local i affinch é non proprio tutto vada saccheggiato e perduto. Trasportati dagli elicotteri, i carabinieri del comando Tutela pa trimonio culturale e quelli del Reggimento Tuscania hanno già ar re stato una cinquantina di tombaroli: per lo più poveracci, che p er quattro soldi devastano le necropo li , con l'aiuto di mogli e figli. Ma quello che è più importante è che proprio da ques ti fermi, e da una complessa attiv ità inv estigativa e di intelligence, i militari cieli ' Arma sono forse arrivati a individuare alcuni dei veri boss del traffico, le menti, i mandanti P ers one "influenti", in contatto con s t ranieri attivi in alcuni Paesi confinanti, incaricati di vendere la merce al migliore acquirente, soprattutto su Internet. È in questo modo che moltissimi beni di grande valo - re hanno già raggiunto gl i Sta r i Unit i e vari Paesi europei, Italia compresa. A casa di uno di questi archeo-boss, ad Al Fa jir, i carabinieri hanno fatto irruzione. Lui non c'era, ma hanno recuperato un vero tesoro: statuette d'epoca sumerica, tavolette con scri t ture cuneiformi, monete, monili d'oro. Una gran quantità di materia le cli "nestimabile valore storico e artistico", ma che sul mercato clandestino dell'arte ha quotazioni ben definite e sempre alti,ssime . È un business milionario, che suscita molti appe t iti . "Anche alcuni gruppi politici estremisti sfruttano il traffico di reperti archeologici per finanziare le loro attivi tà", ci dice Hussen Karim, giornalista del quotidiano "A l Meda". Per gli investigatori italiani altra materia su cui indagare. Ancora in Iraq, a Shumer, un villa ggio a 120 chilometri a nord di Nassiryah. In un fosso le vacche fanno quello che devono e poco più a valle le donne attingono l'acqua . Tra la gente del posto, soprattutto i bambini, sono in aumento i cas i di dissenteria e le patologie, anche gravi, dovute proprio all'inquinamento di quella che è la loro unica riserva idrica. I mi li tari italiani decidono di intervenire. Una decisione non facile, quella di portare un potabilizzatore a Shumer. Il villaggio si trova a ridosso del confine settentriona le dell a provincia di Dhi Qar e per raggiungerlo la strada attraversa l 'area più turbolenta del la regione, dove proprio in quei giorni la guerriglia ha rialzato la resta . Il convoglio è pesantemente scor tato. A metà strada si ferma . I giornalis ti , come sempre insofferenti ai giubbet ti antiproie tti le, che questa volta sono però costretti a ind ossare, chiedono cosa è successo . "C'è una nostra pattuglia che sta arrivando proprio dalla zona dove siamo diretti. Dobbiamo aspettarla", risponde tranquillizzante il tenente colonnello Danilo Pres ri a, un paracadutista-veterinario che è responsabile d ella Cooperazione civi le- militare (la cellula Cimic) del contingente. D iamo la risposta per buona, ma in t anto passano quasi due ore e d a lì non ci spostiamo .
Quella strada è diventata all'improvviso troppo pericolosa, pensiamo tutti Ma finalmen te la pattuglia di c ui parlava Prestia si materializza . Un breve conciliabo lo tra i responsab ili dei due convogli e s i riparte . "Tutto ok, aneliamo avanti": siamo tropp o stanchi e troppo acca ldati per indagare che cosa è realmente successo. Sta di fatto che l'unico vero incidente che si è sfiorato è s tato quello, "diplomatico", con il capovillaggio, che ci aspettava per l'ora di pranzo. Lo sceicco Melik h a infatti preparato per gli italiani un sontuoso - per gli standard del luogo - banchetto Dopo aver concesso ai soldati di entrare con gli stivalettigrande gesto di cortesia - invita gli ospiti in una sala comune dove, dall'agnello al cocomero, viene servito di tutto . Na tu ra l mente niente posate e tutti seduti a t erra, mentre gli iracheni, come tradizione vuole, non partecipano al pranzo (ma guardano divertiti) Intanto, sotto il sole, i giovani militari responsabili di montare i l potabilizzatore hanno ormai finito la loro opera. Con grande capacità e a tempo cli record hanno messo in azione un macchinario che preleva le acque melmose del fosso e le restituisce bianche e potabi li. Lo sceicco guarda incuriosi to, si fa spiegare dai ragazzi come funziona, ri ngrazia. Il convogl io italiano ri - parte. Anche al ritorno un viaggio tranquillo. La trasferta a Shumer fa parte della missione ita liana in Iraq di cui non si parla. Eppure il settore umanitario, quello d eg li aiuti e della ricostruzione, è importante . È l' essenza stessa, verrebbe da dire, di ogni missione di pace. Nei Balcani, in Afghanistan e altrove, gli interventi delle Forze Armate italiane sul versante sanitario, delle infrastrutture, dei servizi pubblici, dei trasporti (so no i militari del Genio che in Kosovo garantiscono il normal e funzionamento dei treni e che in Albania stanno ricostruendo alcuni nodi ferroviari importanti) orma i non si contano più . Ma sui giornali non ce n'è tracc ia. Non fanno notizia neppure i 366 progetti umanitari realizzati nel primo anno di attività dai militari d i An t ica Babilonia in Iraq. Vale di più, per noi giornalis ti , una sparatoria a un check point a Nassiryah che le 70 scuole ristrutturate, le strade e i ponti ricostruiti, l'energia elettrica erogata per rutto il giorno e non più, come prima, per sole quattro ore. La sparatoria vale di più pure dell'acqua potabile, distribuita ora nel 70 per cento d ella prov in cia . Anche a Shumer. Ai militari italiani questo non piace: "Parlate di noi solo quando succede qualche disgrazia", ci dicono a ogni trasferta. Non è proprio così, ma in parte hanno ragione. Uno prova a replicar e , con g l i argomenti che trova. E quelli in sistono : "Perché allora non veni t e a vedere nell'ospedale di Nass iryah? ". Ci siamo andati. L'ospedale è un casermone grigio a ridosso della ex Cpa, la sede della governa tri ce Barbara Contini, attaccata più volte dai guerriglieri d i A l Sadr. Durante gli scontri di metà maggio 2004 i mi li ziani si misero a sparare proprio dalle finestre dei vari reparti, senza alcun rispetto per i pazienti: gente che a sacrificare la propria dignità - in una struttura come questaè del resto norma l mente costretta. Lo stato di generale d egrado salta all'occhio appena si entra . L'ingresso è una sorta di open space d ella sofferenza, con anziani sistemati alla meglio su letti sbilenchi, bambini sporchi per t erra, donn e con in braccio i loro neonati ed altri pazienti che girano, senza un a meta Da qui, per i militari italiani, la necessità di metterci mano. E in fretta. In meno di un m ese, con 315 mila dollari della Coalizione internazionale , gli uomini di Antica Babilonia sono r ius citi a realizzare in questa specie di girone dantesco due oasi di appare nte efficienza e normalità . La prima è il servizio ortopedico. Sulla po r ta a vetri ci sono delle foto, una specie di prima e dopo la cura. E il prima è addirittura inguardabile. Ora, invece, il centro ortopedico - sala operatoria, sala gessi, locai i di servizio , macchinari moderni - è più che decoroso e funziona bene: "Possiamo eseguire 16-17 interventi a l g iorno", racconta Chasib, un paramedico. "In passato al massimo erano 6. E con risultati non sempre ottimal i" . La seconda "oasi" è invece il nuovo centro ustionati, un reparto fondamentale in un Paese in cui gli incidenti domestici provocati dal cherosene e dal fuoco sono quasi una piaga sociale. Con i dollari a disposizione è stato realizza t o un padiglione nuovo di zecca, acquistati letti e macchinari. Ab idul Murtafa, il direttore sanitario, dice che Dio dovrebbe dare ogni bene agli italiani e farli restare a lungo in Iraq . Una contraddizione in termini, ma chi lo pensa se lo tiene per sé.