19 minute read

La di " ,, nuova guerra e stabilizzazione: le operazioni prime lezioni

Andrea Nativi

Parlare di "nuova" guerra è probabilmente improprio, anche perché, p er quanto si faccia un g ran discutere di gu err a al terrorismo, le operazioni su va sta scala che hanno coinvolto, a partire da ottobre 2001, le Forze Armate statunitensi e quelle dei Pa es i allea ti non erano rivolte direttamente contro organ izzazioni terroristiche, b e nsì contro avversari tradizionali, stati e governi. Le az ioni antiterrorismo ci sono eccome, ma hanno meno pubblicità e co involgono protagonist i che non hanno interesse a ottenere tito l i d a prima pagina sui media . Si tratta, per quanto riguarda la dimensione militare, di formazioni operative dei servizi di sicurezza, civili e militari, nonché di unità delle forze speciali delle Forze Arma re. E su ques to versante occorre svolgere qualche rifle s s ione Sia l'Iraq sia Afghanistan, per non par lare delle operazioni coperte, hanno ev id enz iato le enormi potenziali t à a l ivello strategico e operativo delle forze spec iali, che rappresentano anz i una vera fissazione per il Segretario alla Difesa Rumsfeld (al punto da richiamare dal servizio un generale dei Berretti Verdi, Pe t er Schoomaker, per fargli assumere l'incarico di Capo di Stato .tv1aggiore dell'Esercito). Questi reparti, proprio p e rché di élite, hanno consisten za numerica l imitata e vanno utilizzati ne l modo più pagante. Per intenderci, fargli fare la "scorta Vip" rappresenta uno spreco intoller abile. Possono ottenere grandi risulta ti sia lavorando a favore dei com andi "convenzionali", s ia, forse soprattutto, agendo s ul territorio con forze e gruppi locali. Pensiamo a quanto hanno ottenuto le forze s p eciali collaborando con le forze dell'alleanza del nord in Af- ghanistan o con le formazioni curde nel nord dell'Iraq o ancora a l lavoro che stanno svolg e ndo nella lotta contro la guerrig li a in questi due t eatri e in alti punti caldi lontan i dai rifle tt or i (Corno d' Afri ca, ad esempio). Possono poi fornire i "musco li " in operazioni coperte o dec isamente clandestine che costituiscono la no r ma nella lotta ai gruppi terroristic i e nell a controproliferazione dei missil i balistici/da crociera e delle armi per la distruz io ne di massa Non sono però onnipo t enti e i l lo ro impi ego aggressivo comporta rischi po li tici e mi litari considerevol i.

Advertisement

Ma questa digressione s ulle forze specia l i non ci deve distog l iere dalla considerazione essenziale : Iraq e Afghanistan ci hanno ricordato che la parola fine alle op e ra zioni militari e il vero successo, la vittoria, sono conseguiti quando si è realizzato l 'obiet ti vo politico che ha originato l'az ione militare. La sconfi t ta delle fo r ze nemich e in battaglia è un t raguardo intennedio, non il fine ultimo. Quindi mentre è sicuramente importante o tten ere la supremazia militare nel più breve t em po possibile, impi egando magari un numero di uomini e mezzi limitato, il lavoro non è terminato fino a quando non si è rag g iunta la piena stabilità e quello specifico nuovo stato d i pace che ci si era prefissa ti. Come abbiamo o r mai capito perfettamente, per realiz za re tutto questo nei due Paesi citati occorrerà a lmeno ancora un lustro.

Lo ha d etto anche il generale Tommy Franks, comandante delle forze Usa ìn Enduring Freedom e Iraqi Freedom

Del re s to, basta guardare ai v ic ini Balcani per ricordarsi che le truppe Nato e presto queste ciel- l'Unione europea, entra re i n Bosnia nel 1995 e in Kosovo nel 1999 sono destinate a rimanervi ancora per lunghi anni, anche se la fase bellica propriamen t e de t ta è stata iniziata e conclusa nel volgere di poche settimane o, al massimo, in poco più di due mesi e mezzo.

I conflitti recenti insegnano che l 'intervento in combattimento dire t to delle forze pesanti convenzionali t errestri può non essere politicamente né necessario né opportuno, in determina re circostanze e contro specifici avversari . Le forze aereemissil ist iche sono davvero in grado di o t tenere una vittoria militare abbastanza ve locemente, subendo perdite contenute e lim it ando sia lo spargimento di sangue, sia le distruzioni irreparabili di infras t rutture-chiave. Anche quando si devono impegnare forze terrestri convenzionali in misura significativa, come è accaduto in Iraq, il ruolo della componente aerea è decisivo . Basta leggere in proposito le analisi del generale Wes l ey Clark, ex comandante delle forze Nato nel 1999, ufficia le dell'Eserc it o e fautore d i un'"opzione terrestre" ai t emp i dell'attacco alla Jugoslavia di Milosevic, durante la crisi del Kosovo.

Tutto questo non d eve creare crisi di identi t à o di "disoccupazione", sia perché ormai si ragiona in un'ottica interforze, s ia perché in mo ire altre occasioni la situazione potrebbe cambiare: pensiamo alla lotta alla guerriglia in Iraq o al ven t ilato (e speriamo ipotetico) intervento internazionale in Sudan per scongiurare un genocidio nella reg ione del Dafur.

Quanto è avvenuto in Iraq è significativo in questo senso: in tre settimane la guerra vera e propria era praticamente conclusa, compresa la presa della capitale e la distruzione delle forze regolari nem iche. Ma sono fermamente convinto che la strategia "light", volta a impegnar e un numero mi n imo di soldati e di marines, ripudiando la trad izionale dottrina statunitense (sostenuta, tra gli altri, dall'allora Capo di Stato Maggiore della Difesa Col in Powell) volta all'impiego d i una forza assolutamente preponderante anche quando non strettamente necessario, abbia fatto correre rischi eccessivi, prolungando più del necessario i comba t t imenti e probabilmente provocando perdi t e che si po t evano evitare. Quando poi si è trattato di occupare il Paese, esse ndo mancata sia la sperata sollevazione della componente sciita e la sua collaborazione con le forze st atunite nsi , sia la possibilità di impiegare immediatamente una larga parte delle forze dell'Esercito iracheno regolare non compromesse con il regime, l'intestardirsi ne ll a strategia "light" ha portato all'impossibilità di ottenere davvero il controllo del Paese, facilitando la diffusione e il radicamento di fenomeni di guerriglia. La cosa del resto non de ve stupire: quando la Nato entrò in Kosovo nel 1999, a guerra f inita, , inviò un Corpo d'Armata con oltre 50 000 solda t i in una regione vasta come il Molise e con una popolazione di un paio di milioni di abitanti. L'Iraq ha una superficie di 345 .000 chilome t ri quadrati, sia pure in buona misura occupata da deserti, e una popolaz ione di 24 milioni di abitanti, ma le truppe della coa lizione contano circa 160.000 effetti vi . È uti le ricordare che a provvedere alla sicurezza interna italiana ci sono oltre 300 . 000 tutori dell'ordine .

Il vero problema in Iraq è costituito dall'insufficienza di soldati sul terreno . Aveva r agione il generale Eric Shinseki, ex Capo di Stato Maggiore dell'Esercito U sa , che ipotizzava la necess ità di schierare almeno 250.000 soldati in Iraq. Il vertic e politico del Pentagono invece ha sos t enuto che sarebbero bastati 50.000 uomini per pochi mesi. Le cose però sono andate in modo diverso. C'è di più . Proprio perché la coalizione non controlla davvero il t erritorio (come può pericolosamen t e verificare chi percorra la strada tra Bassora e Bagdad), la guerriglia riesce a muoversi, a co lp ire, a nascondersi con relativa impunità. Se c i fossero più soldati d ella coalizione in circo l azione e nei centri abitati, anche se aumente r ebbero i pot enziali "bersagli", in rea ltà le diverse anime della guerriglia incontrerebbero serie difficoltà e, verosimilmente, a n che il numero di attacchi e di v ittime, mi l itari e civili, diminuirebbe.

In atte sa che le forze loca l i ( Esercito, Guardie di frontiera, Polizia, Guardia naz iona le ecc ) abbiano la consistenza, la capacità, l'esperienza p er ass um ere ruo li sempre più significativi non c'è quindi alcuna poss ibilità di ridurre i contingenti attuali, anzi, il picco di attività os ti li regi strato in concom it anza con il trasferimento di poteri al n uovo governo iracheno ha fatto predisporre piani per far affluire truppe d i rinfor z o, mentre si continua a giocare su lla "sovrapposizione" tra reparti smon t an ti al termine del periodo di servizio e unità appena arrivate in t eatro per ottenere un incremen t o temporaneo della forza.

La via di uscita, che richiederà t empo, fatica e quattrini, prevede comunque un"'i r achizzazione" gradua le delle opera zi oni di stabilizzazione e di controguerriglia, senza ripetere però gli errori della "vietnamizzazione" de l confli t to ne l sud -est asiatico dei primi anni settanta. Si può fare, purché l'azione militare s ia coordinata a quella po litica, economica, socia le .

Un ragionamento analogo vale anche per l'Afghanistan, do ve il disarmo degli eserciti pr iva ti dei var i "signori della guerra" procede molto lent;:11nente. Non a caso il presidente Hamid Karzai chiede insistentemente alla comunità internazionale e alla Nato di manda r e a ltre tr upp e . E l'impegno dell'Alleanza Atlantica a incr eme ntare da poco più di 6.500 a oltre 10.000 unità la consiste112a della forza di stabilizzazione Isaf, c he allargherà la competenza su buona parte del territorio pur non partecipando attivamente alle operazioni di controgue r rigl ia che gli americani conducono con gli alleati (con circa 10.000 solda ti complessiv i ), costituisce una risposta significativa. Il governo afghano non è in grado di garant ire que lla sicurezza che cos titui sce l'esige nza più sent ita dall a popolazione ed è una cond itio sine qua non solo per lo svolgimento di elezioni ma per creare una "norma lità" che il travagliato Paese forse non ha mai conosc iuto

Tu tto questo ci dice che anche nell'era del networkcentric warfare, della guerra tecnologica e delle arm i di precisione non c'è a lt erna ti va a l soldato quando si deve occupare fisicamente e controllare un territorio.

Ed è bene evitare ogni faci le retor ica, si d e ve trattare di un solda t o con un bagaglio di conoscenze, capaci t à, mezzi e sistemi d ' arma su 360 gradi; non esiste un "solda t o di pace" alternativo al soldato tout court , anche perché la natura iniziale e g l i obiettivi di una missione non necessariamente coincidono con la situazione che si può t rovare sul terreno, soggetta ai r i schi del mission creeping, ovvero una rapidissima trasformazione, come è accad u to, ad esempio, in Somalia. E d una missione d i s t abilizzazione, come doveva essere in t eoria quella irachena, può portare a operazioni di combattimento su vasta scala. Del resto, proprio nel 2004, si è rischiato qualcosa ciel genere nei Balcani, in Kosovo, a causa della preannunc iata crisi di M ir rov ica

Attenzione quind i a pensa r e che le operazioni di stabilizzazione e nation building, a eccezione del peacekeeping puro, possano essere affidate a soldati di serie B o a militari specializzati per questo ruo lo. Anzi, se si acce tt a la provocazione, visto che la guerra vera e propria è ques ti one che si svo lge e conclude in fre tt a e con contenuto spargimento di sangue, le operazio n i più difficili, sanguinose, estenuanti e a rischio sono proprio quelle che in iz iano quando arriva il cessa r e i l fuoco u fficiale.

T al i evi d enze d ovrebbero avere l'effe tt o di una salvifica d occia fredda negli Usa per i fautori della guerra rapida, condotta da formazioni leggere imbottite di costosissimi ritrovati tecno logici. Il Pentagono, infatti, è corso a rastrellare uomini ove possibi le, da un t ea t ro a risch io come q u ello coreano fino agli uffic i di \Vas h ing ro n e ai comandi in madrepa t ria, ne i quali molt i pos t i inutili sono stati soppressi e diversi ruoli sono stati trasferiti al personale civile, chiarendo che il mestiere cli mili - tare si svo lge sul ca m po, non dietro una scrivania. Per non dover abiurare al credo proposto con tanta intensità, si è escogitato qualche sotterfugio pur di r iuscire a incrementare gli effe t tivi della componente di manovra e opera t iva dell'Esercito , che in pratica si trova ogg i ad avere una forza effettiva superiore di c irca il 10% r ispetto a quella organica . Il can di da t o democratico alla presidenza, John Kerry, ha .invece detto senza patemi che lo US Army d ovrà vedere i suoi organici potenziati, così co m e le forze speciali. Esattamente il contrar io di quanto è staro proposto in quest i an ni , sostenendo che le nuove t ecno logie giustificavano e più che compensavano una riduzione del persona le. lnrend iamoci, i l rinnovamento tecnologico è irr inunc iabile ed è indispensabi le mantenere un margine sostanziale di superior ità ne i confront i dei potenzia li avversar i, me nt re è giun t a l'ora di consentire anche a l singolo combattente di beneficiare dei progress i già disponibili su altri "sistemi d'arma", quali navi, aerei, elicotteri e mezzi corazzat i. La miniaturizzazione de ll 'elettro ni ca e i nuovi materiali lo consen t ono.

T uttavia, non è necessario cont in ua r e a correre su questa s t rada , sacr ificando rutto alla tecnologia fine a se stessa Intanto perché, se guardiamo per un is t a nte quello di cui dispongono g li avversari probab i li, convenzionali o asimmetr ici, ci si ren d e conto che non è certo la sofis ti cazione d e i mezzi a preoccupare, casomai il mo d o in cu i so n o utilizzati. La Cina res t a ancora molto lontana dagli standard occ identali , la Russia non ha i soldi per rinnovare la sua tecnologia militare che continua a invecchiare , le potenze emerge nt i s i acco ntentano .

In secondo luogo forse st ia mo fornendo ai combatrenti la tecnologia sbag l iata: i vantaggi del ne rworkcentric warfare sono indubbi, ma ai soldati americani che cadono quotidianamente in Iraq servirebbero di più sistemi per neutralizzare mine anticarro e ordigni esplosivi impro vvisati, nonché banali e obsoleti lanciarazzi controcarro o magari p er scoprire a dist anza di sicurezza la presenza cli esplos ivi a bordo di autoveico l i in rapido sposta men to, o per verificare se ci sono uomini armati all'interno di un edificio e in un assembramento. Ci si è anche resi conto che g l ielicotteri sono tanto indi spensa bili quanto vulne r abili. Qualcosa si sta facendo, rispondendo all'emergenza, ma non è facile trovare le giuste rispos t e in fretta.

Altre lezioni salutari sono venute dalla "riscoperta" della guerriglia, anche in ambiente urbano, mentre c'è un ri pensamento sull'uti l izzo di mezzi blinda t i ruotati in sostituzione dei mezzi corazza t i. In Israe le, dove la protezione della vita dei propri combattenti ha la massima priorità, si sono sdegnosamente rifiutati i mezzi blindati Stryker proposti dagli americani e si continua a fare affidamento su mezzi pesanti, cingo lat i, ben corazzati, che consentono agl i equipaggi cli vedere cosa accade intorno a loro, e a utilizzare con precisione le armi senza doversi esporre . Lo stesso Us Army, che aveva rimpatriato con troppa fretta carri eia battaglia Abrams e mezzi da combattimento per la fanteria Bradley, li ha poi dovu t i riportare in linea. E, per ora, la tecnologia non riesce a coniugare la potenza, protezione, mobilità d i un carro armato su un mezzo che pesi il 60% in meno.

Questi sono naturalmente solo esempi, perché i l fall -out delle operazioni in corso è continuo e abbraccia ogni se ttore.

È imporr ante che le sorprese spiacevoli emerse in queste campagne siano ben individuate, studiate e forniscano indicazioni appropriare per la futura evoluzione d eg li eserc iti occidentali, perché se è vero che ogni evento bellico è in buona misura a sé stante e non è saggio genera l izzare, sarebbe comunque miope proseguire sulla via de ll a trasformazione networkcentrica a passo di carica come se nulla fosse accaduto.

È significativo che quando la Gran Bretagna ha deciso, la scorsa es tate, dove e in che modo apportare i cagli imposti da l tesoro allo strumento militare, si sia acceso un vero dibattito. Ed erano in molti a contestare la scelta di seguire passivamente gli Usa in uno sviluppo di t ecnolog ie esasperate che comporta una netta sforbiciata degli organici. In ogni caso a Londra s i è deciso cli difendere, per quanto possibi le, proprio la consistenza del British Army, sac rific ando altri settori. Ecco, non è un caso se, proprio parlando di tagli, passo ora a esaminare la realtà e le prospettive dell'Esercito ltaliano, perché, tanto per cambiare, proprio in questi mesi si sta discut endo l'ennesima riduzione d ella consistenza dell e Forze Armat e nazionali, mentre l'eterna emergenza economica chiede pesanti sacrifici proprio a l la Difesa.

L'Esercito Italiano è staro ed è massicciamente coinvolto nelle operazioni in corso in Iraq e in Afghanistan (senza dimenticare i Balcani) e sta procedendo a metabolizzare " in corsa" le esperienze compiute con gli opportuni aggiustamenti tattici, operat1 v1, organ iz zat1v1, traendo insegnamenti importanti che influenz eranno le sce lte strategiche a medio e lungo termine .

I due teatri hanno visto i soldati italiani impegnati in missioni ch e, pur essendo ufficialmente "da dopo guerra", hanno richiesto e richiedono lo svolgimento dell'intero spettro dei ruoli previsti per un esercito moderno. Compreso quello "combat " : per la pr i ma volta dalla conclusione del conflitto mondiale, con le due mission i Nibbio in Afghanistan, i nos tri soldati sono stati coinvolti in operazioni dichiara t amente di combattimento.

È andato tutto bene, non ci sono state perdite, anche se gli scontri a fuoco e gli incidenti contro i ta lebani e i guer r iglieri non sono mancati . È arriva to il plauso sincero dei comanda nti americani alla guida delle forze della coalizione nel teatro Si spara e si comba tt e anche in Ira q, quantunque la missione abbia diversa natura, ma sono le forze della gu err iglia a volere gl i scontri, che, come detto, restano una possibilità concreta in ogni op erazione che veda coinvolte truppe e non Ong.

Purtroppo ci sono state perdite dolorose, sia a causa degli attenta ti terroristici dello scorso novembre a Nassiryah, sia nei vari episodi di combattimento.

I media non hanno sprecato molto spazio per analizzare gl i esiti e la dinamica di questi even ti, né la Difesa aveva e ha interesse a raccontare più cli tanto, per ragioni di opportunità politica, ma questo non toglie che, pur tra i natura li prob lemi, difficoltà, carenze in vari settori, i nostri soldati si siano comportati più che bene: truppa , quadri, comandanti sono usciti a res ta al t a da quello che è il ve r o discrimen per qualsiasi esercito, la prova del fuoco, facendo svanire la nomea d el so ldato ita liano bravo , capace, ma solo quando non c'è da sparare.

TI personale non ha certo sfigurato nel confronto con i professionisti più blasonati e anche se i mezzi non erano magari u ltimo modello e se qualche e lemento dell'equipaggiamento la sciava a d esiderare, i risulta t i sono stati eccellenti, come ci è stato riconosciuto da partner e alleati. Che questo avvenga mentre l'Esercito è impegnato nel passaggio a un sistema di reclutamento basato esc lusivamen t e su volontari e professionisti, vista l'ormai imminente sospens ione del servizio mi l itare obbligatorio, merita un apprezzamento. I problem i da affrontare sono enormi, compresa la scommessa costituita dal reclutamento di durata ann ual e di giovani che in realtà aspirano a una carriera in altri corpi a r mati e organizzazioni statali e che sono costretti a un noviziato con le Forze Armate. Ma la sfida costituisce anche un'oppo r tuni tà , perché l 'Esercito, il più colpito dall a tra nsizione al modello professionale in quanto l 'elemento cardine del suo potenziale è espresso dal singolo comba tten te, è costret to ad affrontare una riforma radicale e potrebbe quindi adattars i alle nuove es igenze più velocemente e senza le abituali resistenze presenti in qualsiasi organizzazione, massime se militare .

Non va certo sottovalutato il fattore economico : recepire i nuovi dogmi e passare ser iamente al professionale comporta inves timenti massicc i e costanti, che in Italia non saranno realizzabili, né ora né in un ipotetico quanto remoto roseo futu - ro. Le priorità del Paese sono diverse, inutile negarlo, e i famosi progetti di accresce re gli sta n z iamenti per la funzione difesa propriamente detta fino all' 1,5 % del Pil, anche ricorrendo a misure straordinarie, sono stati, more solito, accantonati. La realtà impone quindi misure draconiane e in particolare la ricerca di un difficile equilibrio tra quantità e livello tecnologico. Si profi lano all ' orizzonte anche tagli numerici alla consistenza degli organici, che attualmente sono fissati in 190.000 unità complessive, delle quali 112.000 per l 'Eserc ito Italiano. Tenendo conto della scarsa propensione dei governi nazionali a impegnar e le Forze Armate in ve re e proprie missioni di guerra, preferendo casomai un più massiccio e prolungato contributo nella fase post- bellica (ancorché questa sia una scelta strategicamente e politicamente con uno sfavorevole rapporto costo/benefici) sarebbe logico che l'E serciro subisse proporzionalmente la min i ma contrazione. L'impatto effettivo di questi tagli potrà essere contenuto se si saprà procedere parallelamente a render e più efficienti e snelle l e strutture, a pprofittando appieno delle s inergi e che possono essere trovate in ambito interforze .

Inutile farsi illusioni: scendendo nei numeri ci s i avvicina alla soglia di minima produttività, perché determinate funzioni e capacità di supporto sono insopprimibili quale che sia la consistenza delle forze operativ e . Anche queste ultime saranno quindi colpite e in Italia non esiste, a parziale compensazione, una forza di riservisti consistente richiamabile e impiegabile per periodi prolungati, mentre qualità e quantità del persona le civile del- la Difesa lasciano molto a desiderare.

L'esempio del "nuovo" British Army è molto significativo in questo senso. Se si vogliono fare le cose seriamente s i dovrà rinunciare alla pratica italiana della moltiplicazione dei comand i e dei reparti per ragioni cli prestigio, quando mancano le pedine operative di base e g li uomini per alimentarle. Sono convinto che sia meglio concentrare uomini e mezzi per dare vita a un piccolo numero cli reparti "pieni", piuttosto che preservare un elevato numero di costose e inutili scatole vuote.

Il principio cli organizzare le forze in modo da mantenere un mix di forze pesanti corazzate, probabilmente soggetto a ulteriori. contrazioni, di unità blindate intermedie e di reparti di fanteria leggera altamente qualificati, con tutti i necessari supporti opera t ivi, è valido e consente cli co prir e l'intero s pettro delle pres umibili esigenze.

U n cenno va fatto al ruolo crescente che la componente forze speciali (Fs) e forze per operazioni speciali (Fos) sarà chiamata a svo lge re. Anche in Italia non si può pensare di a u mentare la consiste11Za cli questi reparti a piacimento e in ogni caso la formazione degli operar.ori, ammesso che si riesca a trovare il materiale umano adatto, richiede anni e anni Anzitutto bisogna far sì che il capitale rappresentato da uomini eccezionali, costruito faticosa mente a caro prezzo, non si depauperi: una ser ie di mi sure devono "fidelizzare" i membri dell'élite alla Forza Armata e alla "comunità". Qualcosa si sta facendo, ma ancora non basta e bisognerà cercare di seguire l'esempio s tatuni t ense, avendo poi cura di utilizzare le Fs so lo per i compiti istituziona l i e con turni opera ti v i ragionevoli. La crescita de ll e Fos, più fac ile da r eali zzare e già in a tt o, co nsentirà una magg io r e flessibi lità. Un potenziamento è comunque possibil e, anche sul versante dei mezzi e dei vettori aere i (velivoli ad ala fissa ed elicotteri) e n avali e sarà ancora più significativo se, contemporaneamente, decollerà realmen t e il costituendo comando interfor ze per o p erazioni specia l i, nel quale l 'Ese r cito sarà il "socio" di maggioranza. Possiamo esse r certi che un po o l di Fs e Fos cons ist ente costituirà un asse tto strateg ico preg iato molto ricercato in ogni contesto, Nato, e uropeo o di coalizione , purché ci s ia la disponibilità p ol itica a impiegare davvero questi reparti senza troppe prucler ie, come raramente è avvenuto in questi anni. Sia mo sicuri che se gli Usa potessero chiedere a proprio piac iment o u n contributo a un partner non sceglierebbero una Bri gata corazzata in p iù , ma un battaglione di fo r ze speciali. Se la tecnologia è importante anche in qu esto campo, quello che conta veramente è la qu a lità degli uomini e l ' It al ia no n ha nulla eia invidiare ai miglior i a livello mon d ia le Si dovrebbe anche approfo n dire la cooperaz ion e istituzionale tra servizi cli sicurez za, cronicamen t e a corro d i unità paramil it ari dopo alc u ne sciagura t e decisioni prese negl i anni novanta, e le Forze Speciali come avviene, ad esemp io, negli Usa e in Gran Bretagna, an d an do al cli là dei timi di passi compiuti in questi ultimi mesi .

È chiaro che ~in Paese con un picco lo Esercito, p er quanto effic iente e profess ion ale, do vrà abd icare a certe velleità di grandez za sulla scena intern azionale. Nla, come dicono negli Us a, "non esistono pasti gra ti s". Bisognerà anche r in unciare a certe ca ttiv e ab itudini, come quel la d i impiegare i so ldat i come "ausiliari" del le Fo r ze di Po lizi a per qu anto concerne la sic ur ezza interna. No, un Esercito con 100.000 effettivi o giù cli li non può destinare migli aia di pro fess ionisti pagat i e addestrati a caro prezzo per fare da mu t e s entinelle davanti a edi fici e palazzi Se propr io si deve, almeno non si neghi la qualifica di agente di PS . Inoltre non è che al nos tro Paese manchino i tut o ri d ell' or din e e po i, di c iamolo, è bizzarro che l' Esercito utilizzi i suoi soldati per sos titu ire in Italia membri d e ll'Arm a ch e invece vanno in missione di pace all'estero. N o n si potrebbe far sì che ciascuno faccia ciò che gli r ie sce m egli o?

This article is from: