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Il significato e i risultati politici e strategici della presenza italiana nei nuovi teatri

Marc ell o Fo a

Un tempo l'Unione Sovietica, oggi la minaccia del fondamentalismo islamico. Ieri Stalin, oggi Saddam. Di mezzo, come sempre, l'America : imperialista per alcuni, fonte di libertà e democrazia per altri. L'Italia ama appassionarsi e dividersi . A ogni crisi il copione s i ripete: c i acca loriamo per le grandi cause, i pr in cìpi. Più as t ra t ti sono, più intensa è la nostra partecipazione. Poi , improvvisamente, il Paese si quieta. E all'emozione non subentra mai la raziona lità, mai la riflessione . Da noi nessuno ch iederà mai, come invece succede neg li St a ti Uni t i, qua l i s iano gli in t eressi de l Paese in una determinata crisi e quale s ia il modo m ig liore pe r d i fenderl i. Né domanderà conto al governo "di come vengano spesi i so l di dei contribuenti", frase che risuona sovente nel Parlamento americano e negli editoria li dei giornali ogni qualvo lt a la D ifesa deve inv iare solda t i all'es t ero. Gli americani sono concreti, talvo lta fin t roppo, e sarebbe sc iocco pre t ende re dal nos t ro Paese, che ha tradizioni c iviche molto diverse, un comportamento analogo a quello statunitense . Ma un po' più di senso pratico e di capacità analitica non farebbe ma le all'Italia. Anche perché aiuterebbe a scopr ire realtà insospe tt a t e. Noi it aliani adoriamo parlar male de l nostro Paese e con t in ui amo a essere co n v in ti di contar poco sul gran d e palcoscenico della politica internaziona le . Nonostante la nostra presenza nel G8 e nel drappello dei quattro Paesi principali d ell'Unione europea (assieme a Gran Bretagna, Francia e Germania) res ti amo persuas i che l ' It alia non abbia un profilo in t ernaz ionale e leva to e dunque che non s ia capace di elaborare né d i portare a co m p ime nt o una propria strategia Davvero continuiamo a essere dei semplici gregari? Non siamo diventati certo un colosso politico (e come potremmo a l confronto cl i Sta t i U niti , Russia, Cina, India?), né abbiamo le pretese , in gran parte anacronist iche, d i Gran Bretagna e Francia che, memori del loro passato coloniale, continuano a considerarsi delle potenze, ma negli ultimi 10 -15 anni l'Ita l ia ha saputo ritagliarsi un ruolo non banale sulla scena internaziona le. E non solo per le quali t à umane e professiona l i dimostrate dai nos tr i militari nelle operaz io n i di peacekeeping e d i ricostruzione e che hanno contr i bu ito a migl iorare la reputazione de l l'Ita l ia Siamo cresciut i anche ne l le relazioni internazionali. Ci siamo fatti una reputazione. Siamo, come sempre, buoni equi libristi, ma credibili, affidabili e capaci cli costruire percorsi e alleanze origina li, talvo lta persino preveggent i. È l'italian way (la via ita l iana) alla diplomaz ia, cos t ru ita da i govern i degli ultim i 10 ann i, d i ogn i colore politico, e che ci ha guidati nelle difficil i scelte successive ag li attentati dell'l 1 settembre 2001, come in Afghanistan e in Iraq.

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Una p oli ti ca es t era cara tr erizza t a dall ' intrecciarsi di t re grandi filoni :

- i nos t ri rapporti con g l i Stati Uni t i;

-i nostr i interessi in Medio Oriente, ne l nord Africa e in generale con il mondo musulmano;

- l e re lazioni con i part n er de ll 'Unione europea e con la Russia .

Autunno 2001.. L'Amer ica d ecide di inva d ere l'Afghanistan . Primavera 2002 . L'America vince e chiede aiuto agli alleat i per stabil izzare un Paese instabile e pericoloso . L'Italia deve salvaguardare posizioni particolari a Kabul? No. Eppure decidiamo d'intervenire al fianco degli Stati Uniti. Primavera 2003. L'America decide di in vadere l ' Iraq di Saddam Hussein, poi, come in Afghan istan, chiede al mondo un aiuto per ricostruire uno Stato mar tor iato dalla guerra e dalla stor ia. L'Italia è chiamata a difendere inter essi impe l lenti e supremi? No . Eppure decidiamo d'inviare a Nassiryah i nostri solda ti. Posta in ques t i termini la questione potrebbe essere facilmente risolta: l'Italia ha semplicemente assecondato i desideri della Casa Bianca . E per una parte imporrante d ell'opinione pubblica italiana - pacifista e di sinistra - il nos tro comportamento a Kabul e a sud di Bagclad rappresenta la prova che l' Itali a è, né più né meno, asservita agli Stati Unir.i Si sbagliano: non s iamo così banali. Nessuno può negare che i rapporti rra Rom a e Washington siano strettissimi e con un rapporto cli forza no n paritetico: loro sono la superpotenza mondia le, no i uno degli alleati e urope i, ma è sbagliato pensare che il nostro Paese sia sottomesso e, sopra ttutto, che tra i due Stati gli interessi siano totalmente corrispondenti . Se l e accuse di una certa parte dell'opinione pubblica it aliana fossero vere, la nostra politica estera dovrebbe ricalcare in t utto quella americana. E in vece non è così . Perché l'Italia persegue nei confronti del mondo arabo e più in generale di quello islamico una politica autonoma, molto differente rispetto a quella americana . Come sempre in quest'area del mondo le questioni politiche sono strettamente correlate a quelle energetic he. Il Medio Oriente è cruciale negli equilibri geostrategici mondi ali per una ra- gione fondamentale : il petrolio . Da oltre trent'anni la politica statunitense ruota a tto rno a un sillogismo . L'economia americana dipende fortemente dal greggio, ma i giacimenti statun itensi non sono suffic ienti a coprire il fabbisogno naz ion ale; dunque l'America ha bisogno di contare su approvv igionamenti dall'estero stabi li e duraturi. Questo obiettivo è stato raggiunto stringendo un'alleanza ferrea con il Paese che ha le più grand i riserve di greggio al mondo: l'Arabia Saudita. Parallelamente Washington ha coltivato rapporti privilegiati con altri Paesi del Go lfo ricchi cli petrolio: il Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti. Fino al febbraio 2003 tre dei primi cinque Paesi più importanti al mondo per estensione dei giacimenti perroliferi erano alleati degli Stati Uniti. Dopo la caduta di Saddam Hussein il computo è salito a quattro. Nella r egione un solo Stato, l ' Ir an, è al di fuori dalla sfera d'influenza america n a . Anche in a ltre zone del mon do l'America h a avuto rapporti non facili con Paesi ricchi di "oro nero": come la Libia di Gheddafi, che fino alla fine del 2003 è rimasta nella lista nera dei Paesi fiancheggiatori terroristi e per questo so ttoposta a un duro embargo. O la Russia di Putin, di cui l'amministrazione Climon prima e quella Bush junior dopo, hanno diffidato a lungo, per ragioni politiche e per l ' influenza, rivendicata da entrambi i Paesi, sui Paesi asiatici ex sovietici, ricchi di risorse naturali, tra cui, ancora una volta, il greggio e cruciali per il passaggio dei nuovi oleodotti Washington da sempre trascura il Nord Africa e in particolare non si fida del!' Algeria, primo Paese m us u l ma no a subire il terrori smo di ma- tric e i n t egralista, con cu i non ha mai stret t o relazioni p arti co lari, che invece sono, s roricament e, una pr eroga t iva della Francia .

E l'Ita lia quali rapporti intrattiene con i Paesi produttori di greggio? La do man d a è cruciale per tutti, ma in part ico lare per il nos tro P aese che, contrariamente ag li Sta ti Uniti - i quali possono c ontar e s u ampi giacimenti n aziona l i di petrolio e su un'import ante produzione di energ ia nuclear edipend e in modo preponderante dall'estero : importiamo 1'8 4,3 % d el fab bisogno naziona le di energia, percentuale che sa le al 94 % p er quel che co ncerne i. l petrolio Se davv ero i l nos tro Paese fosse app iattito sug li Sta ti Uniti avr emmo ogni convenienza a d accodarci con g li americani . L'Arabia Saudita, ad esemp io, do vreb be essere, di gran lun ga , il no s t ro pri mo fornitore, seguita dagli a ltri Paesi del Golfo. So lu zione che sarebbe facile e tutto sommaro sic ura: far coincidere i propri interessi energeti ci con quelli dell'unica s up erpotenza mon di ale offrirebbe s olide gar anzi e, se s i p re sum e - correttamente - c h e la question e petrolio s arà prioritaria alla Casa Bianca - e nel mondo - per molti anni a venire E invece la s ituazione è ben diversa . L'Arabia Saudita è u n Paese importante con il qua le intratteniam o buoni rapport i commercia li - e dove, naturalm en t e, opera il nostro unico colosso petro lifero , l 'Enima che non è prioritario per il nostro fabbisogno energetico. Non è un caso che le rel az ioni con Riad siano co rd iali, ma tu tto sommato di basso profilo. Così come qu elle con il Bahra in, gli E mira ti Arabi Uniti, il Kuwa it, che ci vendono una man cia t a di ba rili cli greggio all'anno . In ez ie . Nel - la lis ta dei Paes i che esportano greggio i n Italia, qu elli "amici" deg li a m er icani non sono ai primi. posti, mentre svettano que lli "nemici" o perlomen o , a lungo no n vicini ag li Usa . Secono le s tati s tiche del M inist ero italiano d elle att iv it à produttive, pe r il pe t rolio il nostro p rimo fornitore è la Libia di Gheddafi (25%), seguita a ruota dalla Russia e a l tri. Paesi ex sov ietici (22 % ), po i l'Iran (13%). L'Arabia Saudi t a è so lo quarta (11 %). Al quinto posto un altro Paese su lla lista nera degl i Usa, la Siria (7% ). Per que l che concerne il gas, sul q ual e il no s t ro Pa ese ha puntato m o lro, il forn itor e più importan t e continua ad esse re di gran lunga l'Alge r ia, seg uita dalla Ru ssia Le sempl ificaz io n i, dunque, possono essere fuorvianti. R ig uardo il tema - crucia le - dell 'energia l' I ta l ia è tutt 'a ltro che asservita ag li Stati Uniti . Anzi, vis t a da lon tano sembrerebbe ad dirittura un Pa ese de side roso di smarcarsi d all ' influe n za sta tunitense . In r eal t à Roma è riuscita a gesti r e con abili t à una situazione d i potenziale imbarazzo. Pur s tringendo accordi. con la Libia e con l'I ran, i l nos tro governo h a me sso in chi a ro con Washington che il rapporto di alleanza e fedeltà non sarebbe mai stato rimesso in discussione. Al contempo ha dimostrato a i regimi is lam ic i os ti l i ag li Stati Uni ti , che l'Ital ia non è vinco lata agli Sta ti U niti ed è a p erta al dialogo e alla comprensione Con il passare d eg li anni. il ruolo di ponte d el nostro Paese tra gli Stati Uniti e g l i Sta ti "nemici" si è svi luppato con esiti inaspettat i. A cavallo tr a il 2003 e il 2004 l a Libi a è stata ri ammessa ne lla comunità internazionale : una svo l ta che sar ebbe stata più diffic i le senza il discreto, ma t enace dialogo con - dotto per a nni dall'Ita l ia e di cui hanno in seg uito beneficiato Wa s hington e Londra, e che ha v isto un'accelerazione proprio dopo l'arrivo di Berlusconi a Palazzo Chigi . I rapporti ufficiali tra Iran e Stati Uniti r es tano t es i, ma dietro l e qu inte i con tatti indiretti sono stati intensi negli ultimi sei anni, con risultati talvolta impor tanti (vedi l'acco do seg reto de ll a primavera 2003 tr a Te heran e il Dipartimento di Stato che ha garantito la benevola neutralità dell ' I ran durame la guerra co ntro Sad d am Hussein). Anch e in questo caso scopriamo un'Ita lia "apripista". Nel gennaio

1997 l'allora premier Lamberto Dini riatti vò le relaz ion i co mm e r cia li con l ' Iran. L'Ame ri ca dapprima non gradì, ma poi cam biò idea e incoraggiò il dialogo tra Roma e Teheran (vedi le dic hi arazion i nel marzo 1998 dell'allora segretario d i stato Made la i ne A lb right} : grazie ai contatti ital iani Washingcon poteva sondare con discr ezione la leadershi p sciita . Il di alogo tra l' Ira n e g li Stati Uniti ora è n uovame n te interrotto, ma n on quello tra Roma e Teheran, che si è consolidato negli anni con i premier dell ' Uli vo e con Berluscon i. Un comportamento, quello italiano, c h e in parte ritroviamo anche nel conflitto israeliano- palestinese . D opo l ' l l sette mbr e Washington si è schierata con co nvin zione al fianco di Sharo n e ha deciso di non riconoscere più la leadership del presidente dell'Autorità Naziona le Palest ine se (A np ) Yasser Arafat . Altri Paesi eu rop ei, co me la F r anc ia, hanno continuato a sostener e Arafat, non risparmiando pesanti cr iti che a Sharon. E l'Italia?

Ha ribad ito la g r ande ami ciz ia pe r lo Stat o ebra ico, ma al contempo ha dimostrato particola re se n s i bilità per le sofferenz e pa lest in esi . Ber luscon i, che è senza dubbio il premier ita liano più filoisraeliano degli ultimi trent'anni, ha lanciaco l'idea - orig in a le e aud ace - di un piano Mars h a ll pe r la Pa lest in a, guadagna nd osi così la si mpatia degli stessi palestinesi e in genere dell'opinione pubblica ara ba. Che cosa c'entra tutto questo con il nostro intervento in Afghanistan e in Iraq?

E, soprattutto, quali sono gli interessi politici e st rategici del n ostro Pa ese in qu esti due t eatri di crisi ? Per que l che co nc erne la no st ra mi ssione a Kabul, il quadro è tutto sommato ch iaro. L' Afgha nistan è un Paese diffi ci le e impervio da cui, s toricam e nte è megl io t ene rsi lont a no. Non h a risorse naturali e non è strategico, se non per il transito degli oleodotti che trasportano il greg gio da i g ia c ime nti d e ll 'e x Urss ve rso Occ ident e . La guerra in Afgh anistan è stata lanciata da Bush in risposta agli attentati dell'l 1 settembre 2001 a llo sco po di estirpare il regime de i talebani e le bas i di A l Qaeda. A conclusione della guerra l'Italia, come molti alni P aesi europei, ha deciso di invia r e un co ntin ge nte di pea cek eepi ng sulla base d i due valu tazi oni: un impeg n o morale - la solidarietà agli Stati Uniti, nostri amici di sempre - e un inter esse con creto : combattere un'organ izzaz ione terro risti ca c h e ha d ichiarato g u erra non solo all'America, ma a tutto l'Occidente, Europa com p resa (co m e g l i a tt entati dell ' l 1 mar zo 20 04 a Madrid hanno poi tra gica me nte co n fermato) .

Ino ltr e Roma era consapevo le di non ri schiare riperc u ssion i dip loma tic he. Il regime del Mullah

O mar non b enef ic iava de ll' appogg io di ness un Paese arabo e p i ù in generale islamico, che anzi vedevano nei talebani e in Osama bin Laden dei po t enziali destabilizzatori. Nessuno si è rammaricate per la loro sconfitta, nemmeno l'Iran - che confina con l'Afghanistan - e che ha sempre osteggiato quel regime fondamentalista sunnita .

La scelta italiana in questo caso era scontata e vincente su tutta la linea. Infatti, il nostro intervento:

- ha consolidaro l'alleanza con g li Usa;

- è srato moralmente doveroso e gratificante;

- non ha incrinato i rapporti con il mondo is lamico . Più complessa è la valutazione de l nostro i mpegno in Iraq.

Come noto, l'intervento è stato deciso unilateralmente dagli Stati Uniti adducendo ragioni che dall'autunno 2002, quando si è concretizzata la prospettiva di una seconda guerra del Golfo, sono apparse a molti governi non convincenti e sono state osteggiate dalla quasi totalità dell'opinione pubblica araba e da un'ampia maggioranza di quella europea. E allora perché l'Italia ha deciso dapprima di sos t enere politicamente l'in t ervento mi l itare ang lo -americano e poi di partecipare alla missione d i peacekeeping a Nassiryah? Retrospettivamente si possono ind iv iduare i seguenti mot1v1:

1. L'amicizia con gli Stati Uniti, consolidata non solo dai rapporti storicamente buoni tra i due Paesi, ma rafforzati dall'amicizia personale e strategica tra il presidente George Bush e il nostro primo ministro Silvio Ber lusconi. Per la prima volta nella storia recente, gli Stati Uniti si sono trovati isolati e hanno chiesto la so l idarietà a1 Paesi che reputavano davv e ro amici, come la

Gran Bretagna e la Spagna cli Aznar. L'Italia poteva tirarsi indietro? No, tanto più ch e Bush è stato il sos t enirore più importante cli Berlusconi, dopo la vi ttoria elettorale della primavera 2001. E questo ci conduce alla seconda ragione, che riguarda l'Europa .

2. La necessità di smarcarsi da una Ue poco amica. L'Unione europea non ha mai amato Berlusconi e, anzi, sin dalle prime battute (ve di la di ffidenza con cui fu accolto al vertice europeo di Gi>teborg del giugno 2001), ha giudicato il prem ier ita liano come un fas t idioso populista da emarginare o sottomettere Es is t evano le premesse per una replica di quanto accaduto nel 1994, anno del primo gov erno Berlusconi: allora, però, l ' isolamento era totale, perché sull'altra sponda dell'Atlantico il presidente era Clinton, il qual e, da democratico, privilegiava ovviamente le alleanze con a ltr i inte rl ocurori europei di sinistra nel tentativo di costruire una terza v ia laburis t a, il cosiddetto "Ulivo mondiale". Il Cavaliere era isolato e non fu difficile, per i suoi avversari, disarcionarlo. Sette anni dopo, nel 2001, la vittoria de l leader di Forza Italia è giunta pochi mesi dopo quella di Bush alle presidenziali degli Stati Uniti. Tra conserva t ori l'intesa è spon t anea e quando è cementata da reciproc i benefici diventa incrollabile. Il presidente repubb l icano ha trovato in Berlusconi un interlocutore affidabi le in un mondo - e in particolare in un'Europa - che lo ba acco lto con grande diffidenza 11 premier italiano ha individuato in Bush un alleato così forte e importante da consentirgli di sottrarsi ai condizionamenti e alle inimicizie dei partner europei, in - ducendolo ben presto a concentrare le proprie energie diplomatiche sul dialogo non con le canceller ie Ue, ma con le grandi potenze. Ad esempio con la Russia cli Putin . Contrariamente a Bush, che all'inizio della presidenza diffida va del giovane capo ciel Cremlino, Be rlusconi e Blair hanno creduto subito nel successore cli E ltsin. E d è stata la loro discre ta, ma tenace mediazione a favorire lo spettacolare riavvicinamento tra Mosca e Washington, iniziato al G8 di Genova e suggellato dopo l'l l s ettem bre. Con il passare del t empo si rafforza l' asse delle tre B: Bush- Blair-Berlusconi, con l'aggiunta dello spagnolo Aznar. Quando, nell'autunno 2002, l'Europa è chiamata a prendere posizione sulla guerra in Iraq, il Cavaliere, benché person almen te non del tutto persuaso della necessità di un intervento militare, è chiamato a una scelta : affidare il proprio fato a Schroed er, cancelliere della declinante G erm ania, e a Chirac, presidente della claudicante Francia, che da t empo bramano per ridimensionare l'Italia, o continuare al fianco di Bush, amico e garante, leader dell'unica superpotenza mondiale . Una scelta tormentata, ma inevi tabile. Per continuare a contare.

3 La nostra politica energetica. Decidendo cli partecipare alla missione in Iraq l'Italia rischiava di compromettere i rapporti con i Paesi fornitori di petrolio e di gas? La risposta è no. Con la Libia le relazioni sono addirittura migliora t e, perché il colonnello Gheddafi ha deciso cli riconciliarsi con Stati Uniti e Gran Bretagna, proprio dopo la caduta di Saddam Huss ein: t emeva di fare la stessa fine. E oggi Tripoli è un partner commerciale molto più affidabile di guanto fosse ne l gennaio 2003. L'Algeria è retta da un regime militare e la guerra in Iraq è stata ininfluente all'interno di un Paese che combatte il t errorismo islamico da oltre dieci anni. Con la Russia i rapporti sono rimasti eccellenti, benché Putin fosse contrario all'intervento militare L'unica incognita era rappresentata dall ' Iran. Ma anche in quesro caso l'Italia ha saputo cautelarsi mantenendo aperti tutti i canali di dialogo con Teheran prima, durante e dopo la guerra, nella cons apevolezza che l'estromissione di Saddam non era sgradita alle autorità iraniane. Un clima di cooperazione che nemmeno l'ondata di attentat i terror istici in Iraq, alcuni dei quali di matr ic e sciita, ha incrinato. Non a caso nel giugno 2004 il governo britannico ha ottenuto la liberaz ione d egli o tt o marinai inglesi catturati nel Go l fo dagli iraniani, grazie alla mediazion e di Pa la zzo Chigi. Le nostre truppe operan o a Nassiryah, nel sud dell'Iraq a maggioranza sciita. Eppure i rapporti tra Roma e Teheran non sono peggiorati. Anzi, forse sono persino migliorati. Indizio tangibi le che il governo iraniano non ritiene l' Italia asservita al Grande Satana americano . Roma sembra aver superato le ripercussioni della guerra in Iraq, mantenendo la propria capacità di d ialogo con i Paesi arabi e p i i:1 in genera le con il mondo islamico. Ha addirit t ura posto le p r emesse per migliorar e la propria situazione energetica. Chi beneficerà ciel petrolio iracheno? Gli americani? Certo. Ma dopo di loro, gli alleati che hanno im pegnaro le proprie truppe in Iraq potranno vantare un diritto di prelazione. E le falde irachene ospitano le più grandi riser ve mondiali di greggio dopo l'Arabia Saudita. Come ha evidenziato uno dei più autorevoli esperti mondiali di energia, Leonardo Maugeri, diretrore delle strategie Eni, in un artico lo pubb licato nel luglio 200 4 su l settimanale "Newsweek ", è "una terra vergine", "fulcro di quals iasi futuro equi librio nel mercato petro l ifero mondiale" e capace di eguagliare la produzione saudita . E in un mondo che ha sempre più sete di petrolio, nel lungo periodo l'Italia sarà più che lie t a di vantare rapporti privilegia ti con i l nuovo Iraq (ammesso beninteso che la violenza cessi e che tale questo Paese diventi). In conclusione: la decisione italiana di schierarsi a l fianco degli Stati Uniti risponde a precise logiche strategiche ed economiche. Non è, sia chiaro, priva di rischi .

A cominc iare da quell i terror istici, che sono addirittura aumentati, sia sul nostro territorio (al Qaeda li ha minacciati), sia contro il contingente a Nassiryah (come già accaduto), per finire con quelli politici: i falchi neoconservatori dell'amministrazione Bush hanno commesso gravi error i d i va lutazione, al pu nt o che non si può ancora escludere un fallimento sti le V ietnam, benché l'ipotes i sia remota Ed è legittimo chiedersi - rileggendo Sun Tzu - se l'obiettivo di un nuovo Iraq non potesse essere raggiunto con maggior sagacia. Ma questa è una riflessione che riguarda il passato ed esula da l tema di questo capito lo. Ora coma so lo il presente . E il futuro, che l'Ita l ia è chiamata ad affronta re con coe renza e dignità.

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