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COMITATO DIFESA DUEMILA

Un Mediterraneo pi첫 sicuro

Venezia, 17-18 novembre 2006


Rapporto Comitato Difesa 2000

Comitato Difesa Duemila Prof. Michele Nones (coordinatore) On. Ferdinando Adornato Gen. Mario Arpino Gen. Vincenzo Camporini Gen. Carlo Finizio Dott. Renzo Foa Gen. Carlo Jean Dr. Andrea Nativi Sen. Luigi Ramponi Prof. Stefano Silvestri Amm. Guido Venturoni Dott. Giovanni Gasparini (segretario).



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Indice

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1. Scenario strategico 2. Politica e strumenti di difesa e sicurezza

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3. Italia e Mediterraneo

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4. Una politica di sicurezza mediterranea


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1.SCENARIO STRATEGICO Negli ultimi anni il Mediterraneo è rimasto al centro dell'attenzione dell'Italia, ma è anche diventato un elemento essenziale della politica estera e di sicurezza dell'Unione Europea e della Nato. L'Unione Europea ha deciso di mettere quest'area al centro del “Processo di Barcellona” per favorire la costruzione di un nuovo sistema di rapporti basati sulla collaborazione, sullo sviluppo e sulla sicurezza, mentre l'Alleanza Atlantica sta tenendo in particolare considerazione il fronte sud nel suo processo di trasformazione, anche attraverso l'iniziativa del “Dialogo Mediterraneo”. Da sempre questo mare ha rappresentato un crocevia di civiltà e per lunghi periodi è stato il centro focale della civiltà. In nessuna altra parte del mondo il mare mette in contatto tre diversi continenti, costituendo fin dall'antichità la principale via attraverso la quale tanti popoli si sono conosciuti ed hanno sviluppato i loro rapporti. Il Mediterraneo è un mare molto piccolo se comparato con la superficie marina del globo, ne rappresenta solo l'1%. Bagna 25 paesi con più di 80 porti internazionali che vi si affacciano. Porti dai quali si generano più di 2000 collegamenti giornalieri con un traffico annuale di merci pari a circa 750 milioni di tonnellate, di cui circa il 60% (450 milioni di tonnellate) arriva da e parte per paesi fuori dal Mediterraneo. E' solcato ogni giorno da più di 250 petroliere che trasportano il 20% del petrolio mondiale, vi navigano giornalmente più di 2500 navi mercantili, traghetti e navi da crociera che trasportano ogni anno milioni di turisti.

Persico, una regione che presenta fattori di continuità geostrategica tali da essere definita da più parti come "Mediterraneo allargato" sotto il profilo della sicurezza, è al centro dell'attenzione internazionale, nonostante la sua perdita di centralità rispetto al sistema Asia-Pacifico. Questo perché è qui che, ancora una volta, differenti culture e modi di vita, interrelazioni economiche e scambi commerciali, flussi migratori e aspettative per il futuro, ma anche fattori di instabilità e di rischio, si sviluppano e interagiscono, determinando un profondo e imprevedibile cambiamento dello scenario internazionale. Questa rivoluzione, come ogni altra, è destinata, nell'attuale contesto globalizzato, ad incidere con ripercussioni, anche profonde, a livello globale. Il fatto che sulla sponda meridionale del Mediterraneo si affaccino solo pochissimi paesi democratici, mentre gli altri si caratterizzano per regimi più o meno autoritari, comporta in quest'area un preoccupante rischio di destabilizzazione. La comparsa di movimenti e di partiti che sono contigui al fondamentalismo islamico rischia di aggravare il quadro mediterraneo, ponendo una seria ipoteca su cosa potrebbe avvenire soprattutto nel momento della successione all'interno di questi regimi.

Nel Mediterraneo si sono verificati nel recente passato grandi mutamenti strategici. Quasi l'intera sponda Nord di questo mare (compresi gli stati isolani di Malta e Cipro) fa oggi parte della NATO e dell'UE. L'area balcanica non è ancora pienamente pacificata né integrata in queste istituzioni, ma quei paesi non hanno né reali alternative né seria volontà di cercarne di nuove. Rimangono due grosAttraverso il Mediterraneo passano gasdotti, oleo- si problemi: la gestione della conflittualità residua dotti ed elettrodotti. Si stima che il 65% del petro- nei Balcani e la collocazione definitiva della lio e del gas naturale consumati in Europa e il 20% Turchia in Europa. La soluzione che verrà data a del greggio mondiale passino per il Mediterraneo questi problemi ancora aperti influirà in modo . Il tema della sicurezza dei sistemi di trasporto determinante sul futuro dell'area e in particolare dell'energia diventa così altrettanto importante sul ruolo che in essa vorrà e potrà esercitare l'UE. quanto quello della sicurezza dell'attività di estrazione. Ancora più complessa è la situazione delle sponLa regione che va da Gibilterra fino al Golfo de Sud ed Est del Mediterraneo. Anche i paesi di

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queste aree sono strettamente legati dal punto di vista economico, ed in qualche caso politico, all'Unione Europea, di gran lunga il loro principale partner commerciale. I fenomeni migratori illegali, spesso strettamente intrecciati con le attività della criminalità organizzata, rappresentano un dossier di primaria importanza che può essere gestito solo di comune accordo tra tutti i soggetti mediterranei. Ma la novità strategica è quella di un mutamento progressivo degli equilibri interni all'area, ancora aperto ai più diversi sviluppi. Per molti anni la maggiore potenza mediterranea sono stati gli Stati Uniti. Questo è vero ancora oggi sul piano strettamente militare, ma in realtà il Mediterraneo, come del resto l'Europa, non sono più al centro della pianificazione strategica americana, puntata piuttosto sul Golfo e sull'Asia. Per di più, i negativi sviluppi della campagna irachena hanno indebolito la capacità degli Stati Uniti di garantire la sicurezza e la stabilità di questa regione. Nuovi attori regionali stanno emergendo, e le conseguenze possibili di tali sviluppi non sono state ancora ben considerate. L'Iran ad esempio sembra essere uscito rafforzato sia dalle operazioni in Afghanistan che da quelle in Iraq, oltre che dalla recente crisi in Libano. Ancora più rilevante, dal punto di vista strategico, è la crescita di importanza politica e di influenza del movimento sciita, tradizionalmente marginale in Medio Oriente: ciò, legato al montare delle minacce degli estremisti islamici sunniti e dei terroristi “Jihadisti”, indebolisce e preoccupa i principali governi arabi, spostando almeno provvisoriamente il baricentro politico del Medio Oriente verso Est e rendendo più difficile la stabilità nella regione mediterranea. E' in questa situazione che si è sviluppata l'ultima crisi libanese, tra Israele e il movimento degli Hezbollah. E' difficile trarre conclusioni certe da una crisi ancora aperta. In via provvisoria, tuttavia, è possibile rilevare alcune indicazioni importanti. In primo luogo sembra ormai evidente che Israele

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non è più chiamato a combattere direttamente altre entità statuali: l'ultimo attacco militare “classico” subito da Israele è stato quello iracheno (proveniente da un paese non confinante e unicamente condotto con missili) durante la guerra del 1991 (che non lo riguardava direttamente). Al contrario, un po' come in Palestina, Israele si trova a doversi confrontare con azioni di guerriglia, attentati terroristici, azioni di formazioni irregolari eccetera, molto difficili da contrastare con operazioni militari tradizionali.

In secondo luogo sembra delinearsi una nuova leadership antagonista degli israeliani, diversa da quella dell'OLP e dominata da nuovi movimenti estremisti (Hamas, Hezbollah), fortemente radicati nei loro territori e collegati sia a stati difficili (quali la Siria e l'Iran) sia al movimento sciita. In questo quadro, i rapporti di questi movimenti con il terrorismo Jihadista di al-Qaida sembrano più competitivi che di collaborazione, anche se non sono da escludere convergenze più o meno occasionali e anche se ambedue contribuiscono ad accrescere l'instabilità e la pericolosità della situazione.

Israele è in grande difficoltà. La linea politica negoziale che aveva portato sino alla soglia di grandi accordi di pace è ancora perseguita dal Quartetto (Usa, Russia, ONU e EU), ma la sua “Road Map” sembra di fatto ora abbandonata (o quanto meno sospesa a tempo indefinito) per mancanza di interlocutori credibili e di consenso politico locale. D'altro canto la linea delle mosse unilaterali, che ha portato al ritiro dal Libano e all'autonomia di Gaza, pur avendo consentito una razionalizzazione dell'impiego dell'Esercito israeliano, non ha innestato quel circolo virtuoso in cui alcuni speravano. Al contrario, lo stesso progetto di proseguire con altre decisioni di ritiro unilaterale sembra oggi molto in dubbio, vista la situazione nei territori palestinesi. Di più, la campagna libanese ha messo in grave difficoltà sia le forze armate che il governo israeliano, costringendoli alla ricerca di una soluzione negoziata attraverso l'intervento


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delle Nazioni Unite.

be andare nel senso di superare alcune barriere politiche o ideologiche all'instaurazione di dialoL'insieme di questi sviluppi ha aperto una finestra ghi e negoziati diretti tra tutte le parti in causa. di opportunità per la politica europea. Benché la tregua del conflitto libanese sia stata negoziata in Idealmente l'approccio europeo favorisce i quadri sede di Consiglio di Sicurezza ed abbia visto la negoziali multilaterali. Prima però di affrontare in decisione di rilanciare e potenziare la missione sede multilaterale i conflitti in corso o di ricercaUNIFIL, di fatto questo sviluppo non sarebbe stato re l'accordo su regole e principi e comuni (sul possibile senza l'impegno di importanti paesi euro- modello di quello che avvenne negli Anni Settanta pei, concordato in sede di Consiglio dei Ministri in Europa con la CSCE - Conferenza sulla dell'UE (in una seduta cui ha partecipato, elemento Sicurezza e la Cooperazione in Europa, preparandi grande novità e interesse, anche il Segretario do e accelerando la fine della Guerra Fredda) sarà Generale dell'ONU). necessario un forte lavoro di stabilizzazione e di ricostruzione della fiducia reciproca, nonché di Questa doppia debolezza strategica, americana ed nuovi canali di comunicazione, che probabilmenisraeliana, crea una situazione pericolosa e insta- te richiederanno una lunga fase di rapporti bilatebile, ma apre anche alcune nuove prospettive poli- rali. La sfida in questo caso darà quella di assicutiche. Soprattutto delinea l'opportunità, e in qual- rare l'unità strategica nella frammentazione tattiche caso addirittura la necessità, che si concretiz- ca: un esercizio che richiederà una maggiore zi una maggiore iniziativa europea, superando quel- responsabilizzazione e il funzionamento a pieno le debolezze e quelle divisioni che si manifesta- regime delle grandi istituzioni multilaterali eurorono massicciamente al momento della guerra in pee ed atlantiche, in grado di assicurare con effiIraq, ma che hanno anche impedito che l'impegno cacia i difficili equilibri di un quadro operativo in Libano risultasse fin dall'inizio una decisione “multi-bilaterale”. A questo fine tuttavia è inizialcollettiva dell'UE, invece di concretizzarsi in chia- mente necessaria una presa di consapevolezza e ve di singoli impegni nazionali. Difficilmente essa una decisione politica iniziale da parte europea, e può essere sostitutiva, né tanto meno alternativa in particolare attraverso i meccanismi dell'UE, che agli impegni e alle responsabilità americane e israe- ufficializzi e definisca i grandi obiettivi strategici liane. Essa però dovrebbe quanto meno esplorare dell'Unione nella regione. Ciò sarà necessario, oltre la nuova situazione strategica e sondarne le poten- che per stabilire le basi dell'iniziativa diplomatica zialità nel senso di una riduzione e miglior con- e di sicurezza, anche per assicurare la necessaria trollo delle crisi in atto. unità di procedure e di azioni tra i diversi “pilastri” della stessa UE. Certamente in questo senso vanno lette le iniziative europee nei confronti dell'Iran, nonché l'importante impegno europeo in Libano e nei con- 2. POLITICA E STRUMENTI DI DIFESA E SICUREZZA fronti dei palestinesi. Non si tratta tuttavia di una sorta di impossibile “divisione del lavoro” (good Nel Mediterraneo, anche durante la guerra fredda, cop vs. bad cop) tra chi si occupa degli uni e chi il concetto di sicurezza è stato sempre più ampio si occupa degli altri, poiché l'obiettivo non è quel- di quello di difesa militare, prevalente invece nel lo di perpetuare e approfondire le divisioni esi- Centro Europa, incluso il confine Nord-Est italiastenti bensì di ridurle e di avviare un più credibi- no. La stessa presenza navale russa non rapprele processo di pace e sicurezza nella regione, per sentava tanto una minaccia diretta di rilievo per i il quale è necessaria la cooperazione di tutte le parti territori e per le vie di comunicazione marittime in causa. Semmai il maggior ruolo europeo dovreb- della Regione Meridionale della NATO, quanto

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uno strumento per contrastare la 6ˆ Flotta USA. Solo subordinatamente doveva minacciare i collegamenti della Turchia con l'Occidente.

Il contesto strategico è oggi completamente mutato e non esiste la possibilità di una minaccia militare diretta ai territori occidentali da parte di stati rivieraschi del Mediterraneo. Potrebbe esservi solo con la loro acquisizione di capacità missilistiche. Il lancio verso Lampedusa di due Scud libici nel 1986 ne è un esempio. Per altro, non si vede bene quale fine possa perseguire un attacco missilistico a stati della NATO. Esso provocherebbe una risposta devastante sia da parte degli Stati Uniti, che dei principali paesi europei. Tale eventualità potrebbe manifestarsi solo qualora l'Europa diventasse un partner strategico globale, e non solo regionale, degli Stati Uniti e venisse coinvolta in qualche loro iniziativa di stabilizzazione, democratizzazione e cambiamento di regime nel Grande Medio Oriente. Se non vi sono rischi diretti, o comunque se questi sono del tutto improbabili, nel bacino del Mediterraneo, esistono però numerose minacce e diffusi rischi indiretti, di tipo non convenzionale.

La volontà espressa dell'Unione Europea (in particolare nel documento A Secure Europe in a Better World del 2003) di essere un attore globale o almeno un partner globale degli Stati Uniti comporta l'esigenza di considerare scenari di utilizzazione delle forze europee (nell'ambito della NATO o, più probabilmente, in coalizioni ad hoc) in teatri operativi geograficamente molto lontani, ma resi prossimi agli interessi e quindi alla sicurezza europei per l'interdipendenza che caratterizza gli assetti mondiali del dopo guerra fredda.

parte le difficoltà di schieramento e di sostegno logistico, appare poco probabile. Ciò dovrebbe essere considerato nella definizione delle priorità della pianificazione.

Le minacce che più probabilmente le forze europee dovranno affrontare e, quindi, per le quali dovranno essere strutturate, equipaggiate e addestrate sono quelle relative da un lato all'effettuazione di operazioni di stabilizzazione, interposizione, peacekeeping e peacemaking e di counterinsurgency, per le quali viene richiesto un numero più elevato di militari sul terreno di quelli necessari per le operazioni net-centriche e, dall'altro lato, al concorso alla difesa civile (Homeland Security). Il problema principale che si pone per questi tipi di operazioni, che richiederebbero forze strutturalmente diverse da quelle network-centriche, è dato dall'impossibilità, per ragioni demografiche oltre che economiche, di mantenere due tipi di forze armate diverse, come era comune in Europa nel XIX e all'inizio del XX secolo. In tali periodi, esistevano due eserciti: uno metropolitano e uno coloniale, con culture e dottrine strategiche, strutture, equipaggiamento e reclutamento diversi. Solo marginalmente, questa suddivisione si è verificata nelle recenti “operazioni diverse dalla guerra”.

In queste ultime si è poi registrata una profonda modifica delle funzioni delle unità CIMIC (Cooperazione Civile - Militare): esse non sono più al servizio delle forze militari, come avveniva nella guerra fredda, ma operano a favore delle popolazioni civili. Agiscono poi sempre più in simbiosi con le ONG - Organizzazioni Non Governative, e con le imprese private appaltate dai governi, in compiti di assistenza umanitaria, di ricostruzione e di riattivazione delle istituzioni e dei servizi pubblici (in Iraq, i loro effettivi rappresentano il 15-20% del totale).

Gli scenari d'intervento sono attualmente difficili da definire, anche se è verosimile che conflitti di tipo tradizionale possano scoppiare nell'Asia Meridionale e Orientale, dove gli Stati Uniti stan- In ragione del rapido invecchiamento della popono rafforzando i loro legami con il Giappone e con lazione europea (la cui età media nel 2025 sarà di l'India. Pertanto, una partecipazione europea, a 45 anni) sarà giocoforza per l'Europa ridurre i 2

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milioni di effettivi attuali delle sue forze armate, nonché ricercare tutte le soluzioni tecnologiche per ridurre il numero del personale militare, soprattutto di quello di supporto. Infine, compiti logistici e i servizi generali saranno sempre più largamente affidati ad imprese civili, come lo erano stati fino alla costituzione degli eserciti di massa. Ciò tuttavia renderà meno flessibile l'impiego delle forze armate in interventi esterni ai territori nazionali.

L'attuale spettro delle minacce non convenzionali alla sicurezza europea si è esteso. Come in campo economico sono cadute le barriere fra interno ed esterno, così stanno divenendo anche più porose le differenziazioni fra le forze armate e quelle di polizia, eccezion fatta per taluni settori come quelli giudiziario e finanziario. Le nuove minacce si estendono dal terrorismo alla criminalità organizzata, dall'immigrazione clandestina ai traffici illeciti di varia natura (droghe, armi, organi umani, ecc.). Ciò richiede una grande flessibilità organizzativa, con la ricerca si ogni possibile sinergia e capacità di concorso reciproco fra le forze armate e quelle di polizia. Questo sembra particolarmente necessario per la protezione delle infrastrutture critiche, gli interventi post-disastro naturale o tecnologico o post-attacco terroristico, il controllo delle frontiere marittime, terrestri ed aeree. Tutti questi compiti richiedono un gran numero di effettivi, che le forze armate non hanno più a disposizione dopo l'abolizione della coscrizione obbligatoria.

La possibilità di tali sinergie e interscambio di ruoli sono facilitati in Italia dal fatto che le forze di polizia (a differenza di quanto avviene nei paesi anglosassoni o in Germania) sono accentrate a livello statale e che molti loro componenti hanno uno status militare o paramilitare, dai Carabinieri alla Guardia di Finanza, dalla Guardia Costiera al Corpo Forestale dello Stato. Di fronte al carattere proteiforme delle minacce

non convenzionali (proprie degli attuali “conflitti asimmetrici” o di “quarta generazione”, in cui il peacekeeping si è trasformato nelle “operazioni di pace”) è necessario che gli stati europei effettuino un'approfondita analisi delle minacce prevedibili, dei possibili scenari di intervento e della capacità necessarie. Dovrebbe anche essere approfondita la possibilità di massimizzare le possibilità di concorso reciproco fra le forze armate e quelle di polizia. Questo richiede, inoltre un aggiornamento dell'attuale dottrina di impiego. Tale esigenza è accresciuta dal fatto che, a differenza degli USA dove il terrorismo è soprattutto esterno e quindi largamente fronteggiabile con la protezione dei confini (smart border), in Europa è soprattutto interno, originato dalle comunità di immigrati islamici. Tale differenza deriva dalla maggiore rigidità delle società europee rispetto a quella americana e quindi dalla discriminazione e conseguente frustrazione e reazione provate dagli immigrati islamici, non integrati, né integrabili, nella stessa misura in cui lo sono negli USA. Tale fenomeno non è contrastabile con repressioni di polizia e giudiziarie, ma con misure di sicurezza soft, che il Processo di Barcellona e la European Neighbourhood Policy hanno sinora invano cercato di estendere all'intero bacino del Mediterraneo (vicino Oriente incluso). La politica americana di sicurezza interna (Homeland Security) rappresenta l'ultima linea di difesa, mentre in una prospettiva di più lungo periodo il contrasto a tali minacce deve essere soprattutto socio-politico-economico. La questione è tanto più importante perché in Europa il terrorismo proviene più dall'interno, mentre negli USA viene più dall'esterno, data la loro maggiore capacità di integrazione degli immigrati.

La politica di contrasto va estesa alle periferie dell'Europa nello spirito della Partnership EuroMediterranea, capace di creare stabilità e svilup-

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po nei paesi rivieraschi del Nord Africa e del Medio Oriente e, quindi, modernizzarli e democratizzarli. Solo così, per inciso, si potrà attenuare la pressione demografica sull'Europa che potrebbe divenire insostenibile in tempi più brevi di quanto si pensi. Nella lotta al terrorismo, al narcotraffico e all'immigrazione clandestina e agli altri fenomeni malavitosi è necessario stimolare la massima cooperazione possibile tra i paesi rivieraschi. Solo essi, tra l'altro, sono in grado di infiltrare agenti nelle reti e gruppi criminali e anche di comprendere le motivazioni che inducono molti immigrati a sostenere il terrorismo. Sembra infatti prematura la possibilità di costituire “Legioni Straniere” della polizia e dell'intelligence. Maggiore importanza dovrebbe, invece, essere data alla possibilità di utilizzare le forze armate come istituzione per l'integrazione e la nazionalizzazione di nuovi immigrati, anche di quelli che non abbiano ancora ottenuto la cittadinanza, ma che la potrebbero ottenere dopo un adeguato periodo di servizio militare. La pluralità delle minacce richiede più che mai una concezione globale della sicurezza e il suo coordinamento a livello centrale nei suoi aspetti sia soft che hard. Per farvi fronte è necessario che le forze armate europee conservino capacità che le pongano in grado di effettuare interventi ad alta intensità operativa e tecnologica. In particolare, debbono mantenere, almeno per le componenti che producono tali capacità, un ragionevole grado di interoperabilità con le forze americane. Solo in tal modo potranno offrire un apporto significativo, capace di influire sulle decisioni politico-strategiche di Washington. In linea di principio tali forze devono subire un processo di Transformation verso il un'impostazione network-centrica simile a quella in atto nelle forze americane verso la Network Centric Warfare e disporre di elevata mobilità strategica e di completa prontezza operativa. Evidentemente la loro partecipazione sarà tanto più utile quanto più tali forze potranno coprire “capacità di nicchia” in cui gli Stati Uniti presentino carenze.

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3. ITALIA E MEDITERRANEO

L'Italia è il paese europeo più legato e dipendente dal Mediterraneo. Non c'è quasi aspetto del nostro paese che non sia coinvolto: dal campo economico a quello commerciale, dalla politica alla cultura, dalle tradizioni ai comportamenti, dall'energia al turismo, dall'interscambio all'immigrazione.

Fra i paesi europei l'Italia è obiettivamente e tradizionalmente quello più esposto. La vicinanza alla sponda meridionale ne fa oggi la meta privilegiata dell'immigrazione clandestina, unitamente alla Spagna. L'Italia è fra i paesi che più dipendono dai trasporti marittimi sia per l'importazione di materie prime (in particolare petrolio e gas) e componenti industriali, sia per l'esportazione dei propri prodotti. L'aumento dell'utilizzo dei traghetti in tutto il Mediterraneo, sommato all'incremento dell'interscambio commerciale con i paesi della sponda meridionale e con quelli del sud-est europeo, sta costruendo un vero e proprio sistema di “autostrade del mare” che ha al centro il nostro paese. I flussi turistici, un elemento importante della nostra economia, trovano nell'attività crocieristica una nuova e stabile base in continua espansione. L'Italia è fortemente dipendente dall'estero nel campo dell'energia. L'uscita dal nucleare ha ulteriormente aggravato questa dipendenza coinvolgendo anche la produzione di energia elettrica. Oltre a gas e petrolio, anche in questo settore l'Italia è quindi diventata importatore. La diversificazione geografica delle fonti non sembra più una misura sufficiente per garantire un'adeguata sicurezza del nostro sistema economico e sociale, soprattutto perché, per quanto riguarda le infrastrutture fisse di trasporto, molte di esse partono o attraversano aree ad elevata insicurezza e per quanto riguarda il trasporto via mare restano molteplici rischi legati alla localizzazione dei porti di provenienza e delle rotte. Tutto questo comporta la centralità del


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Mediterraneo per quanto riguarda i nostri approvvigionamenti energetici.

Per quanto riguarda i gasdotti sottomarini, il primo è entrato in servizio nel 1983 fra Tunisia e Italia. E' composto da due pipeline lunghe 370 km e collega il confine algerino con Capo Bon dove si immerge fino alla Sicilia. Dieci anni dopo, nel 1994, fu raddoppiato. Attualmente ha una capacità di 27 miliardi di mc che arriveranno a 33,5 alla fine del 1998 grazie al potenziamento delle centrali di compressione. Su questo gasdotto se ne innestano altri cinque sottomarini provenienti dall'Algeria. Nel 2005 sono stati importati attraverso questi gasdotti 25 miliardi di mc pari al 30% del fabbisogno nazionale. Un secondo asse è quello che collega la Libia con l'Italia con una pipeline unica entrata in servizio a fine 2004 e una capacità di 8 miliardi di mc. Nel 2005, anno ancora sperimentale, sono stati importati 4,5 miliardi di mc pari al 5% del consumo nazionale. Nel complesso, quindi, i gasdotti mediterranei coprono già oggi poco più di un terzo dei consumi nazionali e potranno salire fino a circa il 45% nel prossimo biennio a parità di consumi.

Per quanto riguarda il trasporto via mare di GNL - Gas Naturale Liquefatto attualmente vi è un solo impianto di rigassificazione in Italia (contro 1 in Francia, 3 in Spagna, 1 in Grecia e 1 in Turchia). I terminali di liquefazione sono 6 (3 in Algeria, 2 in Egitto e 1 in Libia ) con una produzione di circa 34 mtp. Le navi metaniere che operano attualmente nel Mediterraneo sono 17. Sulla rotta Algeria Italia l'anno scorso sono stati fatti 60 viaggi. E un sistema di trasporto in forte espansione perché è più economico a livello di realizzazione delle infrastrutture e più flessibile rispetto alle pipelines. Se si considerano non solo i rischi di incidenti industriali o di eventi naturali, ma anche quelli associati alla minaccia terroristica, nel campo dei sistemi di trasporto dell'energia questi risultano molto elevati per la presenza concomitante di molteplici fattori: le basi di partenza dei sistemi di trasporto

dell'energia sono localizzate sul fronte sud del Mediterraneo, hanno un'estensione molto ampia, sono in parte preponderante sommerse e quindi più difficilmente sorvegliabili, sono (soprattutto per il gas) intrinsecamente “delicate”, rappresentano un obiettivo pagante in termini di immagine e di danno economico, sono difficilmente riparabili in un breve arco di tempo.

A questi fattori di rischio generali se ne aggiungono altri particolari. Gli impianti di rigassificazione, se collocati in mare, possono essere più difficilmente difendibili e, in ogni caso, sono potenzialmente obiettivi più paganti per il terrorismo. Le navi metaniere possono essere utilizzate come armi non convenzionali e la loro mobilità le rende più difficili da difendere in movimento e più pericolose se portate vicino a centri abitati.

Analoghe considerazioni potrebbero essere fatte per tutti i trasporti navali di prodotti chimici, ma in questi casi il minor numero e la loro irregolarità possono attutire il livello del rischio.

Sempre considerando la minaccia terroristica nel Mare Mediterraneo, altri due potenziali obiettivi devono essere considerati attentamente.

Il primo è il sistema portuale e, in particolare, i grandi porti dove, nelle aree destinate alle navi da trasporto, si registra un forte transito di containers, carichi sfusi, mezzi di trasporto su gomma e ferrovie, lavoratori e autisti, mentre, in quelle limitrofe destinate ai traghetti, vi è un forte transito di passeggeri ed autisti e di automobili e di mezzi pesanti e leggeri. Vi sono poi le aree destinate alla crocieristica dove transitano i turisti e tutto l'indotto legato ai rifornimenti. Una delle caratteristiche comuni delle attività marittime è, dal punto di vista portuale, il loro concentrarsi in archi di tempo molto brevi. Questo rende più problematico trovare un accettabile punto di equilibrio fra l'economicità dell'attività di carico e scarico delle persone, dei mezzi di trasporto e delle merci e l'esigenza di uno stretto e puntuale controllo.

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tivo in tutta l'area di interesse. Non può sfuggire la complessità di tale compito, complessità che deriva non solo dall'articolazione e dall'ampiezza dell'ambito geografico, non solo dalla varietà e dalla densità delle attività che vi si svolgono, ma anche dai diversi atteggiamenti politici di ogni attore (statuale e non) coinvolto, atteggiamenti che sono ben lungi dall'essere stati adeguatamente permeati da efficaci risultati delle pur numerose e variegate misure di confidence building. Sarà pertanto necessario acquisire ed aggiornare gli elementi di situazione con metodi e mezzi che, ove Un ultimo aspetto riguarda il controllo del confi- non condivisi, abbiano un livello di intrusività tale ne marittimo. L'Italia è il paese europeo con la più da non essere percepito, o comunque da non indurvasta frontiera extra-comunitaria che si estende re a reazioni ostili. dal Nord-Africa ai Balcani ed è tutta marittima. Attraverso di essa passa un costante flusso di immi- Solo un'analisi articolata può tentare di coprire la grati clandestini e di merci illegali verso l'Europa. varietà degli ambienti e le loro diverse strutturaLa sua ampiezza e l'elevato numero di possibili zioni. punti di sbarco rende difficile una sorveglianza capillare soprattutto nei confronti delle piccole Il controllo dello spazio aereo è per un verso più imbarcazioni. semplice e per un altro verso più difficile rispetto a quello della superficie: più semplice perché da Per quanto riguarda, in particolare, l'immigrazio- quando è nata la navigazione aerea qualsiasi mezzo ne clandestina va considerato anche l'aspetto uma- volante di dimensioni significative è controllato nitario e, a volte, quello legato al potenziale sta- istante per istante, quando muove dal parcheggio, tus di profughi politici che impediscono il sem- per tutte le fasi del volo fino all'atterraggio. Oggi plice respingimento alla frontiera, anche perché si poi, soprattutto per quanto concerne il interpongono quasi sempre le acque internazionali Mediterraneo, la copertura offerta dai sistemi radar e non è di immediata evidenza la provenienza. è pressoché totale, quanto meno alle quote di inteAll'interno di questa immigrazione clandestina si resse. A questo sistema capillare possono sfuggipossono facilmente nascondere eventuali terrori- re solo velivoli di ridotte dimensioni e capacità che sti, ma, soprattutto, soggetti che, se poi non inse- possono costituire minaccia solo in circostanze riti ed integrati nella società europea, rischiano di particolari. Il problema è, però, che i tempi sono diventare un terreno privilegiato per il reclutamento estremamente ridotti: un velivolo commerciale in da parte del fondamentalismo islamico. crociera percorre oltre sette miglia nautiche al minuto, il che (se si vuole davvero esercitare una Di qui la necessità di innalzare la soglia dell'at- efficace funzione di air policing) richiede prontenzione e della prevenzione nei confronti di tutte tezze elevatissime, che sono poi quelle del sistequeste potenziali minacce. ma integrato della difesa aerea dell'Alleanza Atlantica. In questo quadro emerge chiaramente l'esigenza di avere una conoscenza dettagliata, puntuale ed Molto diversa è la problematica del controllo di in tempo reale di ogni possibile evento significa- quanto avviene sulla superficie, in quanto nel pasIl secondo è il trasporto delle persone. Dopo il caso dell'Achille Lauro nell'ottobre 1985, il dirottamento di traghetti o navi da crociera non si è ripetuto. Per un singolo o per pochi attentatori è evidentemente più facile il dirottamento di un aereo (ambiente più ristretto, passeggeri seduti, unicità dei passaggi, ma, soprattutto, pericolosità intrinseca del mezzo). Ma per un numero di attentatori anche non elevato questo tipo di navi potrebbero rappresentare un obiettivo pagante.

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sato non è mai stato avvertita la necessità di un sistema di monitorizzazione puntuale dei traffici dei natanti, se non in prossimità delle coste ed in particolare degli stretti e dei porti. Solo oggi, su base volontaria e con le metodologie rese possibili dalla moderna tecnologia informatica, è stato possibile avviare iniziative concrete in tale senso, come quella che descriveremo diffusamente più avanti, il Virtual Regional Marittime Traffic Centre (VRMTC).

te il nascere o l'esplodere delle minacce. Ogni altra misura non può che essere considerata come risposta parziale e nel breve periodo. 4. UNA POLITICA DI SICUREZZA MEDITERRANEA

Diverse iniziative sono state assunte da parte dell'Italia, dell'Unione Europea e della Nato in questi ultimi anni. Oltre alle iniziative nazionali, l'Italia ha assicurato una sua convinta partecipazione Ma è dalle capacità offerte dai sistemi satellitari anche alle attività sviluppate a livello internazioche dobbiamo attenderci i risultati più concreti e nale. pregnanti. In questo campo deve essere necessariamente perseguita una strategia di cooperazione L'Unione europea ha istituito, in occasione della intranazionale e internazionale. Intranazionale per- Conferenza di Barcellona del novembre 1995, un ché fra tutti, il settore dove è più agevole e natu- nuovo contesto per le sue relazioni con i paesi del rale parlare di applicazioni duali è proprio quello bacino mediterraneo in vista di un progetto di parspaziale. Un rapporto strettissimo, quasi simbio- tenariato. Alla Conferenza hanno partecipato, oltre tico, tra mondo civile e mondo militare diventa ai ministri degli Esteri europei, quelli di dodici quindi prerequisito concettuale prima ancora che paesi mediterranei: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, operativo per conseguire capacità da utilizzare in Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, strutture e con finalità eterogenee, ma tutte acco- Turchia e Autorità palestinese. Erano, invece, invimunate dall'esigenza di monetizzare con accura- tati la Lega degli stati arabi e l'Unione del Maghreb tezza (questione della definizione), con versatilità arabo (UMA) così come la Mauritania. (questione dell'analisi multispettrale) e con continuità (questione dei tempi di rivisitazione e quin- La Dichiarazione euromediterranea, approvata dai di del tipo di orbita e del tipo di costellazione pre- 27 paesi partecipanti, ha definito un quadro mulscelto). Per le stesse motivazioni deve essere cer- tilaterale che associa strettamente gli aspetti ecocata ogni possibile forma di collaborazione inter- nomici e di sicurezza e comprende, inoltre, la nazionale che, oltre a ridurre gli oneri, mediante dimensione sociale, umana e culturale. L'obiettivo la condivisione, garantisca il pieno mantenimen- è quello di superare il classico bilateralismo che to del requisito di interoperabilità, senza la cui ha contrassegnato a lungo le relazioni euromediimplematazione sarebbe vano ogni sforzo di par- terranee, investendole di una dimensione nuova, tecipare al consesso dei paesi che in un modo o fondata su una cooperazione globale e solidale a nell'altro determinano le vie della politica inter- livello di partenariato, pur nel rispetto delle spenazionale. E qui lo specifico riferimento da fare è cificità proprie di ogni partecipante. Il nuovo conquello dell'importanza vitale del successo del pro- testo multilaterale è, comunque, complementare gramma Skymed Cosmo, in sinergia con il al consolidamento delle relazioni bilaterali e non programma francese Pléiades. intende sostituirsi alle altre azioni ed iniziative intraprese a favore della pace, della stabilità e dello Ma al di là dei possibili strumenti di controllo, va, sviluppo della regione. però, ribadito che solo una politica di sostegno allo sviluppo economico dell'area mediterranea e Il nuovo partenariato globale euromediterraneo dell'Africa sub-sahariana può prevenire realmen- viene realizzato su due livelli complementari: uno

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a carattere regionale e l'altro a carattere bilaterale, Giordania, Israele, Libano, Marocco, Territori attraverso la stipulazione di Accordi di associa- Autonomi Palestinesi, Tunisia. zione tra l'UE e i paesi dell'area mediterranea. Al fine di garantire un controllo della realizzazioI tre assi della politica regionale sono: il partena- ne degli obiettivi del partenariato, la dichiarazioriato politico e di sicurezza che mira a realizzare ne prevede riunioni periodiche dei ministri degli uno spazio comune di pace e di stabilità; il parte- Esteri dei partner mediterranei e dell'UE, prepanariato economico e finanziario che intende con- rate da un "Comitato euromediterraneo per il prosentire la creazione di una zona di prosperità con- cesso di Barcellona" che si riunisce a livello di alti divisa (in primo luogo attraverso una zona di libe- funzionari e che ha il compito di fare il punto della ro scambio Euro-Med entro il 2010, che dovreb- situazione, dare una valutazione del seguito del be generare benefici economici comuni a lungo processo di Barcellona ed aggiornare il programtermine, grazie ad un maggior flusso di investi- ma. menti e alla riallocazione di parte delle risorse europee nei paesi che attualmente beneficiano dei fondi Dopo l'ultimo allargamento del 2004, il partenaMEDA); il partenariato sociale, culturale e umano riato euromediterraneo riunisce pertanto 35 memche intende sviluppare le risorse umane, favorire bri, 25 stati membri dell'UE e 10 partner mediterla comprensione tra culture e gli scambi tra le ranei (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, società civili. Marocco, Autorità palestinese, Siria, Tunisia e Turchia). La Libia, dopo aver assistito ai lavori a Per quanto riguarda il partenariato politico e di partire dal 1999, ha attualmente uno statuto di sicurezza la Dichiarazione ha definito importanti osservatore. obiettivi comuni in materia di stabilità interna ed esterna: l'introduzione dello stato di diritto e la Sul piano bilaterale l'assistenza è essenzialmente democrazia nei loro sistemi politici; il rispetto della fornita dal programma MEDA, avviato nel 1995. loro uguaglianza sovrana, dell'uguaglianza di dirit- Nel periodo 1995-2001, MEDA ha assorbito 5 dei ti dei popoli e del loro diritto all'autodetermina- 6,4 miliardi di euro di risorse di bilancio assegnazione; relazioni basate sul rispetto dell'integrità ti alla cooperazione finanziaria tra l'UE e i suoi territoriale, sul principio di non intervento negli partner. Questi finanziamenti a fondo perduto del affari interni e sulla composizione pacifica delle bilancio comunitario vanno di pari passo con precontroversie; il contrasto del terrorismo, della cri- stiti consistenti concessi dalla BEI. Nel periodo in minalità organizzata e del flagello della droga in questione, l'86% delle risorse assegnate a MEDA tutti i suoi aspetti; la sicurezza regionale (adope- sono state assegnate in modo bilaterale, mentre il randosi a favore della non proliferazione chimica, 12% è stato stanziato per attività regionali. Dal biologica e nucleare mediante l'adesione ai regi- 2002, le attività di cooperazione con la Turchia mi di non proliferazione e agli accordi sul disar- sono finanziate con una dotazione finanziaria a mo e sul controllo degli armamenti); il persegui- parte e non più tramite MEDA. MEDA si trova mento della creazione di un'area mediorientale attualmente nella seconda fase di programmaziopriva di armi di distruzione di massa. ne (2000-2006) con una dotazione di 5,3 miliardi di euro. L'aspetto bilaterale della politica euromediterranea si concretizza attraverso la stipulazione di Dalla conferenza di Barcellona del 1995, si sono accordi di associazione tra l'UE e i paesi dell'area tenute altre sette conferenze euro-mediterranee dei mediterranea. Attualmente i paesi che hanno già ministri degli Esteri: a Malta nell'aprile 1997, a firmato tali accordi sono: Algeria, Egitto, Stoccarda nell'aprile 1999, a Marsiglia nel novem-

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bre 2000, a Bruxelles nel novembre 2001, a Valencia nell'aprile 2002, a Napoli nel dicembre 2003 e a Lussemburgo nel maggio 2005.

attività illegali, incluso il traffico di uomini e il terrorismo, è uno dei fattori che rendono necessario un migliore coordinamento delle attuali risorse nazionali e un'acquisizione comune di quelle nuove e più urgenti. Ed è sottolineato il crescente coinvolgimento delle Marine degli Stati Membri nelle Il processo avviato a Barcellona rappresenta poten- attività civili. Secondo il documento sono gli svizialmente un'importante risorsa strategica, politi- luppi tecnologici, inclusi i progressi nel monitoca ed economica per i paesi che vi partecipano, raggio e la sorveglianza del mare, che rendono anche se fino ad ora non ha dato tutti i frutti spe- oggi possibile un controllo basato sull'integraziorati. ne dei dati ad un livello impensabile nel passato. Nel marzo 2005 la Commissione Europea ha avviato la preparazione di un Green Paper su Towards a future Marittime Policy for the Union: A European Vision for the Oceans and Seas che è stato definito ed approvato nella primavera di quest'anno. Su questa base la Commissione ha predisposto la Comunicazione dello scorso giugno con la quale ha formalizzato la nascita di una politica marittima europea. Questa decisione ha un'enorme importanza perché riconosce l'esistenza di una specifica dimensione marittima dell'Unione Europea che si articola in quasi tutti i campi, da quello industriale a quello tecnologico, dai trasporti all'energia, dal commercio all'immigrazione, dal quello economico a quello finanziario, da quello istituzionale a quello politico, dalla difesa alla sicurezza, ecc. D'altra parte non va dimenticato che le coste dell'Unione Europea sono sette volte più lunghe di quelle degli Stati Uniti e quattro volte quelle della Russia.

Con la pubblicazione del Green Paper si è aperta una fase di consultazione che dovrebbe concludersi nel giugno del prossimo anno e sulla cui base la Commissione avanzerà le sue proposte entro la fine del 2007. L'Alleanza Atlantica ha deciso nel dicembre 1994 di lanciare il Dialogo Mediterraneo con cinque paesi della regione: Egitto, Israele, Marocco, Mauritania e Tunisia. Le basi di questa iniziativa erano state poste nel Vertice di Bruxelles di gennaio, su proposta italiana, con un forte richiamo al legame tra la sicurezza dell'Europa e quella della regione del Mediterraneo, nel paragrafo ventidue della Dichiarazione di Bruxelles.

Gli obiettivi del Dialogo Mediterraneo sono stati e sono tuttora quelli di contribuire alla sicurezza ed alla stabilità regionale, promuovere una migliore comprensione reciproca tra NATO e paesi della regione e rimuovere qualunque incomprensione Evidente ed esplicito è nel Green Paper il riferi- tra l'Alleanza ed i paesi del Dialogo. Il Dialogo mento al processo di Barcellona e, seppur indiret- Mediterraneo è, sin dall'inizio, aperto alla partetamente, all'area mediterranea che rappresenta una cipazione di altri paesi, scelti dagli alleati seconparte importante e vicina della dimensione marit- do il principio del consenso che regola il procestima. so decisionale dell'Alleanza. A testimonianza di tale carattere aperto la Giordania è entrata a far Il Green Paper imposta una strategia marittima parte del Dialogo nel novembre 1995 e l' Algeria complessiva ed integrata al cui interno vi sono nel gennaio del 2000. alcuni aspetti di particolare rilevanza per l'area mediterranea. Il Dialogo Mediterranno ha avuto inizialmente un carattere esclusivamente bilaterale tra la NATO e In particolare, si ricorda che la crescita di diverse ciascun paese, come iniziativa essenzialmente poli-

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tica. Ma dal Vertice di Madrid del luglio 1997, é stato arricchito progressivamente anche da una dimensione di cooperazione pratica mediante l'adozione di un piano di lavoro annuale, concordato tra la NATO ed i paesi partecipanti. Dal 2001 é stata aggiunta anche una dimensione di consultazione politica multilaterale, che ha portato a delle riunioni periodiche dei rappresentanti di tutti i paesi partecipanti presso il Quartier Generale a Bruxelles.

armate dei paesi membri.

La dimensione politica del Dialogo Mediterraneo è stata rafforzata, aumentando la frequenza delle consultazioni politiche multilaterali a livello ambasciatori, ma anche offrendo di elevarle a livello di riunioni dei Ministri degli Esteri e della Difesa e dei Capi di stato e di governo. La prima riunione dei Ministri degli Affari Esteri dei paesi della NATO e di quelli dei sette paesi del Dialogo Mediterraneo ha avuto luogo a Bruxelles nel dicembre 2004, mentre la prima riunione dei Ministri della Difesa ha avuto luogo a Taormina nel febbraio scorso.

Nel 2005, nell' ambito della cooperazione militare, la partecipazione di ufficiali delle forze armate dei paesi del Dialogo Mediterraneo ha registrato un incremento del 70%, rispetto all' anno precedente, con 700 partecipanti in 10 aree di cooperazione. Nel 2006, si é registrato un aumento del 100% delle aree di cooperazione che sono passate da 10 a 20 e che porterá quest'anno alla partecipazione di ben 1000 ufficiali delle forze armate dei paesi del Dialogo Mediterraneo, nelle attività di cooperazione militare offerte dalla NATO.

Per quanto attiene al rafforzamento della dimensione di cooperazione pratica, ad Istanbul è stato deciso di porvi un maggiore accento sulla cooperazione militare al fine di promuovere l'interoperabilità, mediante la partecipazione dei paesi del Dialogo Mediterraneo ad esercitazioni militari, e al fine di prepararli a partecipare ad operazioni a guida NATO, attraverso attività di formazione ed Nel giugno del 2004, i paesi NATO, dopo aver addestramento dei quadri militari. Queste operaconsultato i sette paesi del Dialogo Mediterraneo zioni possono includere: interventi di risposta alle e i sei membri del Consiglio di Cooperazione del crisi, in caso di calamità; assistenza umanitaria; Golfo (Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi ricerca e salvataggio; operazioni per il manteniRiuniti, Kuwait, Oman e Qatar), hanno procedu- mento della pace. to ad un rafforzamento sostanziale della dimensione politica del Dialogo Mediterraneo, in vista Altre aree di cooperazione includono: la promodella sua trasformazione in partenariato ed al tempo zione del controllo democratico delle forze armastesso hanno lanciato una nuova iniziativa: te; la trasparenza dei processi di pianificazione e l'Iniziativa di Cooperazione di Istanbul, rivolta ai dei bilanci della difesa; la riforma delle strutture paesi del Medio Oriente allargato, a cominciare della difesa; la lotta al terrorismo attraverso uno dai sei paesi del Consiglio di Cooperazione del scambio efficace delle informazioni e dell'intelliGolfo. Quattro di questi paesi (Kuwait, Bahrain, gence o mediante la cooperazione navale; la sicuQatar e Emirati Arabi Riuniti) hanno formalmen- rezza alle frontiere; il contrasto alla proliferaziote aderito all'Iniziativa, mentre altri due (Arabia ne delle armi di distruzione di massa; la lotta conSaudita ed Oman) hanno manifestato un forte inte- tro i traffici di armi leggere e di piccolo taglio; la resse. pianificazione civile d'emergenza.

Per la prima volta nell'aprile di quest'anno si é tenuta, inoltre, a Rabat una riunione del Consiglio Atlantico in sessione permanente con i rappresentanti dei sette paesi del Dialogo Mediterraneo. In aggiunta, a partire dal 2004 si sono tenute quattro riunioni dei Capi di stato maggiore delle forze

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Per consentire la partecipazione dei quadri militari dei paesi del Dialogo in tali attività, i paesi della NATO hanno deciso di finanziarne fino al 100% del costo, superando così il grande ostacolo del passato alla loro partecipazione alle attività di cooperazione militare proposte dalla NATO.


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Un esempio concreto nel settore della cooperazione marittima, é l'Operazione Active Endeavour, l'operazione navale anti-terrorismo posta in essere dalla NATO nel Mediterraneo, alla quale hanno deciso recentemente di contribuire alcuni paesi del Dialogo Mediterraneo, come l'Algeria, Israele ed il Marocco. Questa operazione é finalizzata a prevenire, contrastare e reprimere eventuali attività terroristiche nella regione. Più di 75.000 navi sono state monitorate, più di 480 hanno beneficiato della scorta delle unità navali della NATO e più di 100 sono state abbordate per controlli.

Dal punto di vista della cooperazione pratica, le attività offerte dalla NATO ai paesi del Medio Oriente allargato sono quasi identiche a quelle offerte al vertice di Istanbul ai paesi del Dialogo Mediterraneo. Ciò é abbastanza comprensibile in quanto é proprio in tali settori di cooperazione pratica il valore aggiunto rappresentato dalla NATO, in quanto organizzazione integrata.

Il Dialogo Mediterraneo e l'Iniziativa di Cooperazione di Istanbul sono basati su una serie di principi comuni: La condivisione delle decisioni da assuInoltre, visite da parte della Flotta Navale mere, cioè la joint ownership. Permanente della NATO nel Mediterraneo nei porti La non imposizione. I paesi partecipanti dei paesi del Dialogo stanno avendo luogo nel- sia al Dialogo Mediterraneo che all'Iniziativa di l'ambito delle attività di cooperazione militare, Cooperazione di Istanbul sono liberi di scegliere mentre visite della flotta di aerei AWACS della le attività cui partecipare e le modalità di interNATO hanno avuto luogo in Israele ed Algeria. vento che essi riterranno più opportune. Quella della NATO é un'offerta di cooperazione nel setUna serie di esercitazioni militari della NATO sono tore della sicurezza che i paesi, ai quali é rivolta, state aperte alla partecipazione sia dei paesi del possono accettare o rifiutare liberamente. Partenariato per la Pace, sia del Dialogo Il carattere non discriminatorio. I campi di Mediterraneo. Ad esempio, Israele ha partecipa- cooperazione pratica offerti dalla NATO sono to nel giugno dello scorso anno con proprie unità comuni a tutti i paesi. Spetterà poi a ciascun paese all'esercitazione Cooperative Best Effort in nell'ambito bilaterale con la NATO definire le proUcraina, mentre nell'agosto dello scorso anno la prie priorità, secondo i propri bisogni. Giordania e la Mauritania hanno partecipato, in La complementarietà. Sia il Dialogo qualità di osservatori, all'esercitazione Cooperative Mediterraneo che l'Iniziativa di Cooperazione di Key in Bulgaria. Istanbul, sono complementari ad altre iniziative internazionali per la regione quali, ad esempio, la Per quanto riguarda, invece, l'Iniziativa di Partnership Euromediterranea dell'Unione Europea, Cooperazione di Istanbul, essa è stata sviluppata le iniziative dell'OSCE e del G8. a livello bilaterale, tra la NATO e ciascun paese, allo scopo di rafforzare la sicurezza e la stabilità Il nuovo contesto della sicurezza internazionale regionale. L'obiettivo è quello di sviluppare nuove rende oggi sempre più necessaria una risposta alle forme di cooperazione pratica con i paesi del sfide nel campo della sicurezza su base multilateMedio Oriente allargato, su base transatlantica ed rale (UE e Nato) e regionale in cui l'Italia svolge in settori ove la NATO può rappresentare un vero un ruolo di primo piano. valore aggiunto, in particolare favorendo lo sviluppo delle capacità che possano consentire a que- In quest'ultimo biennio ha preso concretezza nel sti paesi di operare insieme a quelli dell'Alleanza Mediterraneo Centro-Occidentale la dimensione in operazioni di gestione delle crisi a guida NATO sub-regionale della cooperazione militare nel foro di cooperare nel campo della lotta al terrorismo mato "5+5" (Francia, Italia, Malta, Portogallo, internazionale o di associarli alle iniziative della Spagna + Algeria, Libia, Marocco, Mauritania, NATO per contrastare la proliferazione delle armi Tunisia), con l'avvio di concreti progetti attuativi, di distruzione di massa o i traffici di armamenti. fra i quali una prossima attività addestrativa di sor-

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veglianza e di ricerca e soccorso in Mediterraneo.

Nel Mare Adriatico e Ionio è stata invece lanciata l'iniziativa “ADRION” (Albania, Croazia, Grecia, Italia, Serbia, Slovenia) che darà luogo ad un'attività addestrativa congiunta.

Ma l'impegno italiano si è concentrato soprattutto nella messa a punto del progetto pilota per l'istituzione del Virtual Regional Maritime Traffic Centre (V RMTC), presentato a Venezia nel 2004 nel corso dell'annuale Simposio Regionale delle Marine del Mediterraneo e del Mar Nero organizzato dalla Marina Militare Italiana. Lo scopo del V-RMTC è quello di contribuire ad incrementare la sicurezza dei traffici marittimi e, più in generale, dei paesi mediterranei. Il suo elemento cardine è rappresentato da una rete di comunicazione che deve permettere lo scambio di dati sul traffico mercantile in possesso delle Marine Militari.

La costituzione della rete si articola in due fasi distinte. Durante la prima fase il Comando in Capo della Squadra Navale Italiana (CINCNAV) sta agendo come Centro Navale di Raccolta e Diffusione delle Informazioni, filtrandole in base alla sensibilità ed alle esigenze espresse da ogni singolo partecipante. Il collegamento diretto tra tutte le centrali operative navali (con lo scambio automatico delle informazioni) è programmato nella seconda fase del progetto, che è in fase di sviluppo, potendo ora contare su una adeguata maturazione delle procedure e su una corretta cornice legale internazionale.

Almeno durante la fase iniziale, caratterizzata da soluzioni tecniche alla portata di tutti i partecipanti, il canale di comunicazione preferenziale per lo scambio dati del V-RMTC è la posta elettronica via Internet e lo scambio informativo è stato convenzionalmente limitato a informazioni relative alle unità mercantili di stazza lorda pari o superiore a 300 tonnellate che navigano in acque internazionali.

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Importante è stata la firma, avvenuta a Venezia lo scorso mese di ottobre, in occasione dell'annuale Simposio, da parte di 15 nazioni (Albania, Cipro, Francia, Giordania, Israele, Italia, Malta, Montenegro, Portogallo, Regno Unito, Romania, Slovenia, Spagna, Turchia, USA) di un “accordo operativo” che consente il passaggio alla fase finale del progetto Virtual Regional Maritime Traffic Centre (VRMTC), per il controllo del traffico marittimo nel Mar Mediterraneo e nel Mar Nero, che così può avviarsi ad effettiva realizzazione.

Tutte queste missioni hanno quale cornice di riferimento, sul piano del diritto internazionale, l'Organizzazione delle Nazioni Unite e in molti casi possono contare per la condotta operativa su quelle strutture di sicurezza di cui l'Italia è parte (UE e Nato) che da tempo stanno evolvendo per rispondere con crescente efficacia alle nuove sfide della sicurezza. E proprio grazie alle iniziative e agli esercizi di cooperazione è stato possibile, in diverse situazioni, allargare ad altri paesi la partecipazione ai dispositivi o attivare forme di coordinamento e supporto operativo fra le sponde del Mediterraneo. In questo quadro il "Mediterraneo allargato" va così riacquisendo la centralità di un tempo, quale area di osmosi fra la dimensione euro-atlantica e quella che sta emergendo nel continente euro-asiatico.

Tutto ciò spinge a sviluppare una crescente condivisione dell'approccio alla sicurezza a cui lo strumento della cooperazione militare può e deve fornire un contributo determinante.

Una politica di sicurezza efficace deve muoversi in tutte e direzioni ed utilizzare tutti gli strumenti. Fra questi si possono, in prima approssimazione, indicare: gli accordi bi-multilaterali coi paesi rivieraschi per la sorveglianza congiunta e lo scambio di informazioni; 1. il potenziamento delle capacità operative dei paesi rivieraschi nel campo della sicurezza e, in particolare, della sorveglianza della loro costa, ma


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anche della loro frontiera meridionale attraverso cui entrano gli immigrati sul loro stesso territorio; 2. l'aumento dell'attività di formazione e addestramento a favore delle Forze Armate dei paesi rivieraschi, 3. l'accelerazione della costruzione di un sistema integrato per il controllo del traffico navale nel Mediterraneo, con un eventuale accordo fra tutti i paesi interessati che imponga l'utilizzo di adeguati sistemi di identificazione automatica a tutte le unità battenti la propria bandiera o in transito attraverso lo Stretto di Gibilterra il Canale di Suez o lo Stretto dei Dardanelli; 4. il rafforzamento del sistema italiano di controllo costiero, basato su radar terrestri, navali, aerei e satellitari integrati fra loro in unico sistema di comando e controllo; 5. il rafforzamento delle capacità di intervento della Marina e della Guardia Costiera, aumentando il numero delle unità e la durata della loro perma-

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nenza in mare, anche attraverso un maggiore utilizzo dei rifornimenti in mare o dei porti dei paesi rivieraschi. Nella storia italiana il Mediterraneo ha rappresentato, sempre e insieme, un'opportunità e una minaccia. Il nostro sviluppo economico e l'acquisizione di un ruolo internazionale ne sono stati condizionati, ma è stata anche la seconda porta d'ingresso del nostro territorio e, soprattutto con il crescere dell'instabilità nella sua parte meridionale, la fonte di molte minacce indirette e di qualche minaccia diretta. Vi sono, di conseguenza, diverse ed importanti ragioni per porre il Mediterraneo al centro della nostra politica di sicurezza, puntando a rafforzare la collaborazione con i paesi rivieraschi sul piano bilaterale e multilaterale e predisponendo i necessari strumenti per garantire la nostra sicurezza e quella degli altri paesi amici.


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