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La chimica ci salverà Il nuovo paradigma: trasformare i rifiuti in prodotti chimici. L’Europa può produrre abbastanza biocombustibili da diventare indipendente di MAURIZIO MASI

Maurizio Masi è professore ordinario di Chimica fisica applicata presso il Dipartimento di chimica, materiali e Ingegneria chimica “Giulio Natta” del Politecnico di Milano.

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Le tecnologie di cattura del carbonio ad assorbimento chimico sono molto consolidate in presenza di una fonte di CO2 concentrata, come la ciminiera di una centrale elettrica. I fumi vengono trattati con una soluzione alcalina: oggi si tende a utilizzare un’acqua leggermente alcalinizzata, mentre il processo chimico tradizionale usa le etanolammine, che sono molto efficienti ma hanno un impatto ambientale più forte. Una volta che le etanolammine hanno assorbito la CO2 dai fumi, le si scalda e la CO2 viene rilasciata: si ottiene così una corrente di CO2 quasi al 100%, che viene convogliata in una pipeline e portata all’interno di un giacimento esaurito di metano. Si tratta di un ottimo serbatoio, che non ha dispersione nell’ambiente: estraendo il metano si è creata una spugna vuota, che può essere riempita di anidride carbonica. Questo è un esperimento che Eni sta facendo nel mare Adriatico, al largo di Ravenna, dove c’è un giacimento esaurito di metano. Stanno prendendo la CO2, estraendola da una centrale elettrica a carbone, per poi seppellirla a livello gassoso all’interno del giacimento. Si era pensato anche di fare la famosa bolla di CO2, di prenderla e mandarla in mare profondo, ma il problema è che cambia il Ph del mare, perché inizia a solubilizzarsi, fa i bicarbonati e ne cambia l’acidità; quindi è una tecnologia in abbandono, mai propriamente attuata. Le tecniche più avanzate che si sta cercando di realizzare sono quelle di mineralizzazione: si tratta di riportare la CO2 a livello di roccia. La natura ci mette milioni di anni, noi per fare più in fretta la facciamo reagire con particolari minerali che la catturano. Uno è il serpentino, che si trova anche in Lombardia: in Valmalenco viene estratto e utilizzato per fare le pentole ollari e le lastre di ardesia con cui si fanno i tetti delle case di montagna. Questi minerali, silicati di calcio e magnesio, sono in grado di reagire con la CO2 e di trasformarsi in carbonati

di calcio e magnesio. Il processo funziona, è stato a lungo studiato al Politecnico di Zurigo: uno dei monti nei pressi della città svizzera che era fatto quasi tutto di olivina, un altro minerale adatto allo scopo, ora è stato utilizzato, e accanto ce n’è uno di carbonato. Il problema, insomma, è che in pratica si consuma una montagna e se ne crea una nuova, oppure la si butta nel mare. Un altro bel progetto ha coinvolto Eni e Mapei, utilizzando gli amianti della Val Susa: il silicato è stato trasformato in un cemento con proprietà simili a quelli pozzolanici, molto leggeri e quindi utilizzati in edilizia. Non sarà mai possibile avere una soluzione one size fit for all, cioè che vada bene per tutti. Le soluzioni di decarbonizzazione saranno locali. Il pozzo di metano esausto nell’Adriatico è in una posizione strategica per il lombardo-veneto, che è responsabile all’incirca del 40 per cento delle emissioni italiane, ma non per la parte tirrenica, che avrebbe la necessità di costruire una pipeline lunga. Fin qui abbiamo parlato di tecnologie che non inventano nulla di nuovo, e si scontrano solo con il

E CO NO MI A CI RCO L A RE E S O ST E N I B I L ITÀ

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