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L’ INTERVENTO DELLO STATO IN ECONOMIA Una grande sfida per la sinistra Roberto Ongaro
È
dagli anni ’80 dello scorso secolo che la sinistra ha iniziato il progressivo abbandono del ruolo dello Stato in economia, trasformando la sua presenza diretta nella subordinazione al primato dell’iniziativa privata che, da sola, dovrebbe indirizzare lo sviluppo complessivo del Paese. Questo ruolo ancillare delle politiche di sviluppo, ha messo definitivamente da parte i piani industriali di sviluppo nazionale, che avevano permesso la crescita e la strutturazione industriale del Paese, ma anche il dibattito sul senso e la qualità dello sviluppo economico/produttivo, compresa la sua funzione costituzionale di crescita sociale. L’abbandono di una presenza statale in economia, giustificata dalle deviazioni partitiche degli anni 70 e 80 dello scorso secolo, ha favorito una crescita disordinata, priva d’ altro riferimento che non fosse la massimizzazione del profitto. A questa “fuga dall’impresa” si è sommato il processo di decentramento decisionale politico, sancito con la modifica del Titolo V della Costituzione, che ha delegato alle Regioni la politica di sviluppo territoriale. Con questa modifica dei compiti attribuiti per legge, che si aggiunge a quella di interesse nazionale, lo Stato, il Territorio e il suo equilibrio ecologico, sono stati subordinati ad una visione di crescita orientata alla convenienza del presente e incurante delle prospettive e ricadute a medio/lungo termine. In sostanza si è buttato, il bambino, l’acqua sporca e anche il catino. Tutto questo lasciar le mani libere al privato è stato e viene incentivato sia economicamente che normativamente dallo Stato e dalle sue politiche congiunturali, senza contraccambio sociale, senza cioè connettere il benessere collettivo atteso dall’investimento pubblico al profitto dell’imprenditore, di fatto diseducando la stessa impresa dal suo ruolo sociale costituzionale. E’ stato prodotto dai vari Governi, molti con la partecipazione della sinistra, un coacervo di norme, di in-
centivi, di esenzioni, di benefici di imposta, che hanno preso il posto di una politica selettiva di sostegno dello sviluppo strategico. Non sono stati scelti i settori in cui un Paese, scarso di materie prime, ma dotato di un grande capitale umano, poteva, e ancora può, competere sui mercati tecnologici internazionali. Questa visione del lasser faire privato ha impoverito il tessuto produttivo e innescato la dismissione della complessità del prodotto dai cicli di lavorazione, impoverendolo nel suo contenuto competitivo intrinseco, a favore di lavorazioni a media difficoltà. Siamo diventati per gran parte un Paese fornitore, che, se ha tenuto in positivo la bilancia dei pagamenti, lo ha fatto al prezzo della dipendenza dai possessori delle tecnologie a media/alta complessità. Quindi, anche le forniture d’eccellenza del made in Italy, se si eccettua la nicchia dell’industria agricolo-alimentare, sono contributi parziali nella composizione del prodotto finito, anche di grande qualità, ma come tali soggetti alle tecnologie ed evoluzioni delle imprese che hanno mantenuto una più alta capacità tecnologica nella progettazione e produzione. Certo, esistono distretti e produzioni di eccellenza, l’elettromedicale, le macchine per il packaging, la moda e l’automotive di alta gamma, la componentistica per sistemi d’arma, le costruzioni navali, et cetera, ma ciascuno di questi settori non gode di una scelta determinata del sistema Paese, non incentiva adeguatamente la ricerca di nuovi materiali, mantiene solo in alcune produzioni la raffinatezza componentistica necessaria per restare sul mercato. Questo abbandono pubblico della presenza e direzione economica del Paese ha prodotto, in concomitanza alla grande “svendita di Stato”, una significativa mutazione nella sinistra che, adottando il “blairismo”, ha fatto proprie le politiche neoliberiste, cadendo in una confusione sul ruolo determinante dello Stato nell’economia e in una deresponsabilizzazione rispetto al ruolo di indirizzo e governo della crescita. Si è così determinato un distacco progressivo delle politiche