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L’INTERVENTO STATALE IN ECONOMIA
from ReStart
E’ dagli anni ’80 dello scorso secolo che la sinistra ha aderito al progressivo abbandono del ruolo dello Stato in economia trasformandone la sua presenza diretta nella subordinazione al primato dell’iniziativa privata che, da sola, dovrebbe indirizzare lo sviluppo complessivo del Paese.
Sono state così, prodotte dai vari Governi, molti con la partecipazione della sinistra, un coacervo di norme, di incentivi, di esenzioni, di benefici di imposta, che hanno preso il posto di una politica selettiva di sostegno dello sviluppo strategico.
Questa visione del lasser faire privato ha impoverito il tessuto produttivo e innescato la dismissione della complessità del prodotto dai cicli di lavorazione, impoverendolo nel suo contenuto competitivo intrinseco, a favore di lavorazioni a media complessità.
La dismissione di interi settori produttivi non è stata causata solo dalla concorrenza dei paesi a più basso costo e a media tecnologia, ma dall’abbandono della complessità come sfida del produrre, per cui prima la chimica fine, poi l’avionica, il ferroviario, l’auto, l’informatica, sono stati decentrati nelle produzioni, dismessi nella progettazione, venduti, smantellati.
L’intero Paese, nell’ approvazione della politica e nel silenzio sostanziale dei corpi intermedi, si è privato della capacità di competere nel lungo termine, sia nei mercati globali ma persino in quelli europei, impoverendo così la qualità del lavoro, retribuendolo in misura insufficiente, disperdendo le capacità acquisite in molti anni di crescita competitiva.
Ora la capacità di calcolo, la robotizzazione crescente, lo sviluppo di tecnologie proprietarie ad altissima intensità di capitale intellettivo, l’intelligenza artificiale con il suo ruolo incrementante di inclusione nelle produzioni di tutte le opportunità offerte dalla tecnologia, impongono la ricognizione dell’esistente e delle sue potenzialità, e dall’altro una discussione sul produrre futuro che inglobi, accanto alla tecnologia, la tutela ambientale, la funzione del creare reddito, la ragione sociale della crescita. Il tutto in una visione competitiva nel mercato globale.
Riprendere il controllo e la pianificazione dello sviluppo è un processo scientifico nell’analisi e politico nelle scelte che deve coinvolgere le migliori risorse intellettuali disponibili e creare la raffigurazione di un futuro che riguarda le persone e la società. Questo implica consapevolezza, nuovi entusiasmi e modalità di partecipazione, forme societarie innovative e imprenditoria pubblica vocata a competere, il tutto cooperante in un sistema paese che condivide politicamente e socialmente gli obiettivi di crescita ricevendone benessere, welfare, continuità economica.
Questo oggi non esiste nelle politiche (anche se le scuole economiche neo keynesiane da tempo ne rivendicano la necessità) e deve essere parte del progetto per una nuova Sinistra in grado di parlare alle intelligenze e ai cuori.
Le ricadute sociali e ambientali di un processo di crescita orientato su questi obiettivi comportano una nuova concezione del produrre che parte dall’utilità del prodotto una serie di effetti benefici per chi vive e lavora partendo dalla ricomposizione del tessuto delle città, arginando il degrado climatico, fermando l’attuale, suicida, consumo di suolo, generando il miglioramento dei diritti di cittadinanza e di vita indipendentemente da dove si risiede, con infrastrutture funzionali al vivere comune e non alla rendita o al profitto momentaneo.
Per i settori maturi questo implica la loro trasformazione verso contenuti di qualità e l’adeguamento all’innovazione, perseguita come strumento per migliorare la unicità di prodotto. Per i settori di punta della tecnologia, il ruolo dello Stato sta nella partecipazione diretta all’innovazione come pure nella partecipazione nell’impresa privata che sviluppa nuove prospettive di produzione e lavoro. Di fatto lo Stato agendo sulla parte innovativa di sistema, sulla ricerca e sviluppo connessa, produce un effetto positivo che muta l’intero ambiente, propagando nuove tecnologie, necessità di mutamento e inducendo la loro risposta locale.
In questa sfida, che attualmente vede il nostro Paese perdere posizioni anche nel manifatturiero, impoverito di complessità produttiva, può ancora esserci una risposta politica che muti la condizione di crescente precarietà che rende fragile il lavoro e il benessere collettivo, ma essa nasce da una analisi e da una volontà politica che si assume l’enorme compito di costruire la nuova società in cui diritti, lavoro, equilibrio ambientale siano un nuovo modo per crescere collettivamente.
Non più possedere i mezzi di produzione ma governarne il fine ed essere parte dei benefici creati, alla nuova sinistra viene consegnato il compito di raccogliere la sfida e di vincerla.
