The Red Bulletin ITA

Page 1


FUORI DALL’ORDINARIO

LINDSEY VONN SOFIA GOGGIA

ONLY THE BRAVE &

Un dialogo fra due leggende dello sci alpino, fra amicizia e rivalità, cadute e rinascite

PIÙ DOMINIK PARIS / DOROTHEA WIERER / FLORA TABANELLI EXTRA LA RIVOLUZIONE DEL TRAINING
MARCEL HIRSCHER: 8-time overall World Cup winner and founder of VAN DEER–Red Bull Sports, with the H-POWER 68.

„O

nly the Brave» non è soltanto un motto. È il punto di partenza per la stagione invernale che sta per cominciare. Con due leggende dello sci, come Sofia Goggia e Lindsey Vonn (p.16), che del coraggio hanno fatto un elemento indispensabile per essere le atlete che sono: «Senza le mie cadute, i miei infortuni e i miei ritorni vincenti non sarei io». Indovinate chi lo ha detto? Potrebbero averlo detto entrambe.

Quel coraggio che serve per lasciare il segno nel mondo dello sport. Per chi si affaccia da giovane promessa, con la spavalderia e i dubbi tipici dell’età (p. 30). O per chi decide di non accontentarsi di un modo di allenarsi a cui si è abituati da anni, ma decide invece di aprirsi alle nuove frontiere del training, che incontrano tecnologie rivoluzionarie (p. 52). Capirete pagina dopo pagina che coraggiosi si diventa, ogni volta che ci si (ri)mette in gioco.

La redazione

Valerio Mammone

Giornalista, coordinatore editoriale di questa edizione del Red Bulletin. Ha curato la sezione dedicata al training

Shamil Tanna

Fotografo e regista londinese, ha realizzato gli scatti in copertina e nella cover story

Margherita Tizzi

Fondatrice di Mntn Journal, rivista da collezione su sci e montagna. Firma le interviste a Goggia, Vonn e Paris e la sezione “Nuova scena”

Ario Mezzolani

Responsabile dell’area

“Bere e Mangiare” di Zero.eu, ha firmato per noi una guida agile di 6 località alpine

Sofia Goggia e Lindsey

al traguardo del

di St. Anton nel

Storia di copertina

Lindsey Vonn e Sofia Goggia: campionesse, amiche e rivali. Intervista doppia a due icone dello sci alpino Next Gen

Hanno tra i 18 e 21 anni, con tutto il talento per scrivere il futuro degli sport invernali

Le immagini adrenaliniche del fotografo Carlos Blanchard

Training Revolution

Tecnologia e nuove figure professionali riscrivono la scienza delle performance, rendendola sempre più mirata e personalizzata

Dominik Paris

Un’intervista con uno dei più grandi discesisti di sempre

Come si allena un’icona del biathlon: Dorothea ci racconta la sua preparazione

Evoluzioni

Come è cambiata l’attrezzatura da sci dal 1930 a oggi

Le star dell’inverno

22 atleti internazionali che dovete conoscere meglio

Lucas Pinheiro Braathen

L’atleta norvegese-brasiliano ci porta a spasso per la „sua“ città

Vonn
Super-G

L’iconografia dello snowboard è costellata di immagini adrenaliniche. Il fotografo Carlos Blanchard la domina come pochi altri

161,9  km/h

Potenza e controllo

Nelle gare di discesa libera gli atleti possono superare i 160 km/h. Questo dato è particolarmente impressionante considerando la resistenza dell’aria, le irregolarità della pista e l’accuratezza millimetrica richiesta in tutti i movimenti. Il record assoluto appartiene a Johan Clarey, che sulla pista del Lauberhorn ha toccato i 161,9 km/h. Nella foto: l’italiano Dominik Paris (intervista a pagina 60) durante le prove della Hahnenkamm Race a Kitzbühel, Austria

Velocità estrema, voli da record, eleganza, precisione: dietro agli sport invernali si nasconde una sfida continua ai limiti del corpo umano e alle leggi della fisica

Numeroni

iscritti

Le maratone di sci di fondo sono veri raduni di massa. La più antica e popolare è la Vasaloppet, in Svezia: novanta chilometri in tecnica classica che richiamano ogni anno circa 16mila partecipanti tra élite e amatori. Segue l’Engadin Skimarathon in Svizzera, qui ritratta in uno dei suoi passaggi più spettacolari: quarantadue chilometri di skating e più di tredicimila appassionati. Al terzo posto troviamo l’American Birkebeiner, in Wisconsin: cinquantatré chilometri che coinvolgono circa 10mila partecipanti. In Italia, invece, la Marcialonga porta 7mila fondisti a percorrere settanta chilometri tra le valli di Fiemme e Fassa 16.000

Le regine del fondo

20.000

Precisione sotto pressione

Per allenarsi al tiro con la carabina, Dorothea Wierer spara ogni anno circa 20mila colpi. Dietro la sua velocità al poligono ci sono ore passate a perfezionare la posizione e i movimenti ma anche tanti esercizi di respirazione, fondamentali per riuscire a bloccare il respiro anche quando il cuore raggiunge 180 battiti al minuto. Nell’intervista a pagina 66, Wierer spiega nel dettaglio come sono strutturati i suoi allenamenti. Nella foto: la campionessa italiana durante la staffetta 4×6 km femminile ai Campionati mondiali di biathlon, a Lenzerheide

La fisica incontra l’eleganza

Quando atterrano da un triplo o quadruplo Axel i pattinatori subiscono una forza di reazione del suolo pari a 3-4 volte il proprio peso corporeo. In meno di un decimo di secondo un atleta di 60 kg “assorbe” su una sola gamba fino a 240 kg, mantenendo equilibrio e postura (e in alcuni casi anche il sorriso sulle labbra). Nella foto: il pattinatore artistico Nathan Chen agli U.S. Figure Skating Championships, a Las Vegas

Un salto nella storia Nel 2024, in Islanda, l’icona giapponese del salto con gli sci Ryōyū Kobayashi si è lanciato da un trampolino ed è atterrato a 291 metri di distanza. Un salto senza precedenti, ma effettuato fuori dalle competizioni ufficiali e quindi non omologato: il record ufficiale era stato stabilito dall’austriaco Stefan Kraft nel 2017, con 253,5 metri, superato a marzo 2025 dallo sloveno Domen Prevc con 254,5 metri

A sinistra, Lindsey Vonn in azione a Saalbach (Austria). A destra Sofia Goggia in gara a La Thuile (Valle d’Aosta)

A tu per tu con Lindsey Vonn e Sofia Goggia, tra rivalità, rispetto e una vita sempre in discesa

„NOI SIAMO VELOCITÀ“

Testo di Margherita Tizzi

La prima volta sugli sci a tre anni e mezzo: così comincia la storia straordinaria di Vonn

Mentre scii sai che da qualche parte, nel mondo, qualcuno sta facendo la stessa identica cosa, e quel qualcuno forse, un giorno, ti batterà. Se l’amicizia è uno dei valori fondanti dello sport, a volte le grandi rivalità allontanano, ma Jesse Owens e Luz

Long dicevano che „I premi col tempo si consumano, mentre le amicizie non si ricoprono di polvere“.

La pensano così

Sofia Goggia, 11 anni, stringe la sua prima coppa di cristallo dopo aver vinto al “Pinocchio sugli Sci” dell’Abetone

Lindsey Vonn e Sofia Goggia, il cui legame profondo è nato dalla condivisione di esperienze, successi e sconfitte.

Sof e io ne abbiamo passate tante», racconta la discesista statunitense. «Mettiamo la stessa passione, energia e determinazione nel nostro sport». Una connessione che va oltre la competizione, «che ci ha permesso di maturare, crescere, supportarci a vicenda, arricchendo la nostra vita personale e sportiva», aggiunge la campionessa italiana. Quella che leggerete di seguito, dunque, non è solo un’intervista, ma un lascito, una conversazione su cui rifettere e a cui aspirare.

the red bulletin: Cosa ricordate di Lindsey e Sofa bambine sugli sci?

lindsey vonn: Ho iniziato a sciare molto piccola, a circa 3 anni, in Minnesota. Ricordo che faceva così freddo che mio padre –all’epoca avvocato e maestro di sci – mi comprava sempre cioccolata calda e donuts per convincermi a sciare. Odiavo il freddo. sofia goggia: Io il freddo l’ho sfdato per emulare mio fratello, di tre anni maggiore. Volevo fare tutto quello che faceva lui e ho pianto tutto l’inverno dei miei 3 anni perché lui poteva sciare e io no. Mia madre era così esausta che l’anno successivo mi ha letteralmente spedita con lui. Abbiamo iniziato a sciare in un piccolissimo comprensorio con tre seggiovie vicino a Bergamo, ma non ho mai pensato che avesse poco da ofrire grazie al mio maestro Nicola, che pensava avessi un certo talento. Mi ha convinto lui a proseguire su questa strada: lì, non avevamo molto, ma avevamo una visione, un obiettivo, un sogno. E per noi era tutto.

Cos’è lo sci per voi?

vonn: Tutto. Le montagne sono il mio posto felice, dove trovo e provo gioia. In montagna mi sento più libera, più forte, più presente; lì, tutto è possibile. E non c’è miglior cosa che sciare, andare veloce, gareggiare. Sono

cresciuta allenandomi, in Minnesota non c’era altro da fare e non ero molto brava negli sport. Ho fatto la mia prima gara a 7 anni e, oggi come allora, sono sempre molto competitiva; ecco perché sono ancora qui, perché sono tornata. Nonostante tutte le cadute, le soferenze, il sentimento che provo per questo sport non potrà mai cambiare. Cadere, d’altra parte, fa parte del nostro lavoro. Penso che Sofa la pensi come me. goggia: Assolutamente sì, soprattutto quando parliamo di amore per la velocità. Se chiedi a Nicola, il mio primo maestro, un ricordo di quando ero piccola, ti racconterà di quando ero sempre la prima a vincere la nostra gara sul pianoro di collegamento tra le piste di Foppolo e Carona. Non sono mai arrivata seconda. Come per Lindsey, mi ha guidato il senso della competizione.

Cosa diceva tuo fratello di quella sorella più piccola ma più “ingombrante”?

goggia: Oh, lui non aveva un istinto killer al cancelletto di partenza, non amava spingersi oltre i limiti. Io sì e penso che lo sci sia il rifesso del mio carattere, di ciò che custodisco dentro di me. Proprio per questo non sono mai riuscita a dividere il lavoro dalla vita privata, chi sono da quello che devo fare e lo stesso vale per i miei sentimenti. Ci ho provato nella mia carriera, più volte, ma non ci riesco. Quando scio do tutta me stessa.

Come si diventa Lindsey Vonn e Sofa Goggia, qual è la preparazione mentale e fsica?

vonn: È cambiata molto nel tempo e con il tempo, soprattutto ora, dopo il mio lungo ritiro. Come mi alleno, come mangio, è tutto

Sofia Goggia con Lindsey Vonn dopo la gara di Super G femminile valida per la Coppa del mondo di sci alpino a Sankt Anton am Arlberg, in Austria, il 12 gennaio 2025

Sofia Goggia stringe i guanti da sci prima di una discesa in Val di Fassa

diverso, perché il mio corpo è diverso. Con il mio “nuovo” ginocchio, per il quale dico grazie alla scienza, oggi posso allenarmi in un modo più intenso e intelligente, ma le gare le afronto con esperienza. Non posso pensare di sfdare un fsico giovane come facevo vent’anni fa. In Coppa del mondo, tutti sciano bene, tutti sono forti, ma non tutti riescono a gestire la pressione nelle gare importanti. La performance mentale cambia tutto. goggia: Cambia talmente tanto che, quando stiamo bene con noi stesse, quando controlliamo le nostre emozioni e confdiamo nelle nostre capacità, anche se il fsico è al 60%, possiamo andare a podio. Al contrario, se il tuo fsico è al 100% ma non ci sei con la testa, non performerai bene. Ve lo posso assicurare. Certo, un’ottima preparazione atletica è fondamentale, soprattutto oggi con le nuove attrezzature. Lo sci accelera l’invecchiamento, è stressante, ma, come ha detto Lindsey, ai vertici tutti gli atleti hanno le stesse potenzialità e quello che fa davvero la diferenza è riuscire a gestire le emozioni. Più passa il tempo, più devi stare bene con te stessa, devi proteggere la tua serenità. Dunque, non parlo solo di preparazione mentale, ma di qualcosa di più profondo: è connettersi con il giusto io.

Quell’io ha mai paura di afrontare una discesa?

vonn: Se sei un discesista e hai paura, sei nel posto sbagliato. Andare veloce è quello che facciamo, quello che ci si aspetta da noi, quindi la paura non ci passa proprio per la testa. Sono stata via per un po’ di tempo (si riferisce al ritiro, ndr) e ho dovuto afrontare delle operazioni importanti, ma non vedevo l’ora di tornare perché io sono velocità e questo, tra le altre cose, è ciò che mi lega a Sofa. goggia: Lindsey ha ragione. Forse, a volte, ho sperimentato la paura, ma non nel senso negativo del termine. Se la paura è un’emozione che hai il coraggio di ascoltare, può essere una risorsa, una guida. Sappiamo entrambe che c’è sempre un rischio nel nostro mestiere, ma non puoi concentrarti su quello, bensì sulle tue abilità, qualità, sul fatto che ce la puoi fare. Può distrarci quello che c’è dentro di noi, non quello che c’è intorno.

SOFIA GOGGIA

Strategia, passione, volontà,

duro

lavoro e determinazione da vendere

Classe 1992, Sofia Goggia nasce a Bergamo da una professoressa di italiano e latino e da un ingegnere civile. Nel 2007 debutta nel circuito FIS (Federazione Internazionale Sci), ma la stagione della svolta è quella del 2016/17 con 13 podi complessivi in Coppa del mondo e un terzo posto nella classifica generale. Nel 2018 firma una doppietta storica: conquista il titolo più ambito e la Coppa del mondo di discesa, prima italiana a ottenere entrambi i risultati nello stesso anno. A oggi è ancora l’unica azzurra con quattro Coppe del mondo di discesa libera. Una curiosità? Sofia è socia di “Le Selvagge”, un’azienda agricola

biologica che alleva circa 2500 galline livornesi allo stato brado, nel bosco, che ascoltano musica classica. La playlist di Sofia, invece, spazia dal classico alle colonne sonore, al latinoamericano. Indimenticabile la sua samba dopo la vittoria nel supergigante di Beaver Creek nella stagione 2024/25: un’imitazione e un tributo al campione brasiliano Lucas Pinheiro Braathen. La sua forza è una combinazione di talento, disciplina e resilienza: rientrata più volte da infortuni gravi, ha trasformato ogni caduta in una ripartenza, diventando per i tifosi un simbolo di coraggio e determinazione senza compromessi.

Non solo sci

A sinistra, Sofia insieme alla sua cagnolina Belle, pastore australiano che la accompagna dal 2014. A destra la sua prima esibizione con la fisarmonica, indossando il tradizionale dirndl tirolese. Oltre alla fisarmonica, Goggia suona anche il pianoforte

Quinto podio consecutivo

Sofia festeggia dopo il terzo posto nella combinata di Coppa del mondo a Val d’Isère (2016). Quinto podio stagionale in quattro discipline, un record italiano

Pausa energizzante

Tra allenamenti e gare, Sofia Goggia si concede una pausa in quota. La campionessa bergamasca ricarica le energie con lo sguardo rivolto alle montagne, suo habitat naturale e teatro delle sue imprese

„Nei momenti più difficili, gli sci erano lì. A spingermi, a rimettermi in piedi, a tirare fuori il meglio di me“ Sofia Goggia

Un rapporto speciale

Lindsey Vonn ha sempre avuto un rapporto speciale con il padre, che è stato il primo a portarla sulle piste da sci. In un post del 2019 lo ha ringraziato pubblicamente per esserle stato vicino in ogni momento: «Sei stato lì per me all’inizio e sei stato lì per me alla fine. Non avrei potuto chiedere un modo migliore per concludere la mia carriera che averti al mio fianco»

„Quando sono lontana dagli sci, non vedo l’ora di tornare in pista. Perché io sono velocità e questo, tra le altre cose, è ciò che mi lega a Sofia“ Lindsey Vonn

Sport, maestro di vita

Vonn ricorda ciò che lo sport ha significato per lei durante l’infanzia e l’adolescenza: «Lo sport mi ha insegnato fiducia, disciplina e determinazione. Durante il mio percorso ho incontrato chi pensava che non ce l’avrei fatta: quei dubbi non hanno fatto altro che alimentare il mio fuoco»

I primi successi

A 7 anni Lindsey era già in gara. A 13 entra nel programma dedicato ai giovani talenti della squadra USA, riservato agli atleti più grandi, dai 14 ai 19 anni. L’anno successivo, nel 1999, vince lo slalom al Trofeo Topolino, prima americana di sempre a riuscirci

Lindsey Vonn esulta dopo il secondo posto nel Super-G femminile alle finali di Coppa del mondo a Sun Valley, Idaho, marzo 2025

E se sperimenti la paura non è per lo sci, ma per altri aspetti del nostro essere.

C’è una foto, un momento della vostra carriera, che vi emoziona ancora?

vonn & goggia: La vittoria a Cortina (lo urlano insieme e si emozionano, ndr)!

vonn: E vincere tutte le discese più emozionanti, psicologiche e difcili della mia carriera, perché per anni ho vissuto una grande pressione.

Cos’ha di così speciale Cortina?

vonn: È un luogo dove sento una profonda connessione con le montagne. A Lake Louise e a Cortina le montagne mi capiscono e io capisco loro. Sull’Olimpia delle Tofane ho ottenuto il mio primo podio in Coppa del mondo, nel 2004, lì ho compreso la chiave del mio successo e lì ho fatto la mia ultima discesa prima del ritiro. Sofa era infortunata, ma ha guidato per cinque ore per venirmi a salutare, per portarmi dei fori. Speravo almeno di fare una bella gara... (ride, ndr).

Spietata, dominante, geniale, tenace.

Una leggenda dello sport LINDSEY VONN

Quarantatré vittorie in discesa libera in Coppa del mondo e venti Globi di cristallo. Lindsey Vonn è un mito e un’icona, un pezzo di storia dello sci alpino. Nata Lindsey Carolina Kildow a Saint Paul, in Minnesota, il 18 ottobre 1984 (il cognome Vonn è dell’ex marito Thomas, famoso sciatore americano) debutta in Coppa del mondo a soli 16 anni.

A 21 anni, ha già vinto tre titoli mondiali di discesa libera. Da allora, una valanga di trionfi e di primati. Tra i suoi record, il maggior numero di successi sullo stesso percorso: 18 (su 44 partenze) a Lake Louise, in Canada. Nel 2019, annuncia il ritiro a causa dei conti-

nui infortuni al ginocchio, che deve essere ricostruito. A sorpresa, a 40 anni, nella stagione 2024-2025, torna a gareggiare e vince l’argento in Super-G a Sun Valley, diventando la sciatrice più anziana a salire sul podio in Coppa del mondo. «Credo nell’impossibile», ha scritto su Instagram la campionessa. «Sono una donna forte che ama sciare. Lotterò per fare ciò che mi rende felice e incoraggio tutti voi a fare lo stesso. La vita è troppo breve per stare in panchina». Un messaggio che ripete anche nel documentario “Lindsey Vonn: The Final Season”, un viaggio fra le sue vittorie ma anche tra i suoi fallimenti.

goggia: Sapevo che non stava bene con il suo ginocchio, che faceva fatica a sciare. Mi sono detta: «Devo andare a Cortina per quella che, probabilmente, sarà la sua ultima discesa». Mi sbagliavo, per fortuna. Quante volte hai vinto lì?

vonn: 12 in totale, tra discesa e supergigante.

goggia: Ecco, capito (si rivolge al team Red Bull con ammirazione, ndr)?! Tornando a Cortina, è vero, lì abbiamo entrambe una connessione speciale con le montagne. L’Olimpia delle Tofane è la regina delle discese. C’è qualcosa di magico in quel paesaggio. Quando nel pre-gara prendiamo la seggiovia Duca d’Aosta per fare l’ispezione, circondate dal silenzio e dall’alba che tinge di colori arancio le Dolomiti… beh, sei davvero grata a Dio.

vonn: È magnifco.

goggia: Dimenticavo… a Cortina, il 19 gennaio del 2015, ho fatto la mia prima foto con Lindsey.

vonn: Davvero?!

goggia: Ero una bambina, avevo 23 anni. La stagione successiva ho iniziato a fare bene e

„Se stai bene con te stessa, proteggi la tua serenità, riesci a connetterti con il tuo giusto io, vai a podio anche se non sei al massimo. Se il tuo fisico è al 100% ma la testa è altrove, non performerai bene.
Ve lo posso assicurare“ Sofia Goggia

sono arrivati i primi podi in Coppa del mondo. Sempre a Cortina, nel 2018, ho vinto il mio terzo oro in discesa libera, il primo in casa e sai, scendere di fronte alla propria folla è speciale.

A diferenza di altri sport, lo sci è molto donna, soprattutto in Italia. Cosa ne pensi Sofa?

goggia: Nelle ultime stagioni, io, Federica (Brignone, ndr) e Marta (Bassino, ndr) abbiamo portato lo sci femminile italiano a un livello che non si era mai visto prima. Ma non dimentichiamoci il palmares di Deborah Compagnoni. Però torno sempre lì: se mettiamo insieme i miei podi e quelli di Federica, è quanto ha vinto Lindsey da sola.

La tua ammirazione è davvero sconfnata. goggia: Io mi sento molto piccola vicino a lei.

vonn: Ricordi che sei una campionessa?

Te lo ricordi? Io penso che siamo la stessa persona che viene da due Paesi diversi (ride, ndr).

goggia: Ma hai ottenuto molto più di me. Sei Lindsey Vonn e per me è un onore gareggiare con te, lo sai, mi hai sempre ispirata. Come avrete capito, c’è un grande rispetto tra di noi, una comprensione intima dovuta agli infortuni e al saper lottare per tornare più forti di prima. Sono grata di poter condividere dei bellissimi momenti con lei.

Lindsey, cosa non sappiamo di Sofa?

vonn: Sof è tenace, genuina, naturale, onesta, appassionata. Amo i post che pubblica su Instagram perché è sempre spontanea, senza fltri. È sempre se stessa e in questo siamo molto simili. Dopo mio padre, è stata la prima persona a sapere che sarei tornata. goggia: Ci fdiamo l’una dell’altra e so che se avessi bisogno lei ci sarebbe, e viceversa. Il nostro rapporto non è così comune tra gli atleti o le atlete.

Dove vi vedete tra vent’anni, dopo il ritiro?

vonn: Non ho sciato negli ultimi sei anni (ride, ndr), per cui adesso non penso ad altro. Dieci anni fa, se mi avessi fatto la stessa domanda, non avrei mai immaginato di ritrovarmi qui. A questo punto, quindi, non ho proprio idea di cosa la vita mi riserverà. goggia: Come dice Forrest Gump…

vonn & goggia: La vita è una scatola di cioccolatini: non sai mai quello che ti capita (dicono in coro, ridendo, ndr).

Se doveste spedire una lettera al vostro sport, cosa scrivereste? Caro sci… vonn: Mi hai dato e tolto tutto allo stesso tempo.

goggia: Caro sci, sei il rifesso di me stessa, il mezzo con cui riesco a esprimermi nei giorni buoni e in quelli meno buoni. Mi hai regalato le medaglie che sognavo da bambina e mi hai permesso di diventare un’ atleta, cosa di cui sono molto grata, perché è un assoluto privilegio. Non ti ho mai odiato; nei momenti più difcili ho odiato me stessa ma tu eri sempre lì, a spingermi a rimettermi in piedi, a tirare fuori il meglio di me.

Quale messaggio volete lasciare alle nuove generazioni?

vonn: Tutti cadono in montagna, è impossibile non farlo. Ma il fatto di rialzarsi e continuare a sciare, ti fa capire bene cosa vuol dire perseverare. Quando sei in cima a una montagna guardi giù e vedi un mondo di possibilità: sta a te scegliere la tua strada. È un’ottima metafora della vita.

goggia: Lindsey nel suo documentario dice: «A te che guardi questo flm, mai arrendersi, mai perdere la fducia in te stesso; è la cosa più importante». Cerco di ricordarmelo ogni giorno.

„Ho fatto la mia prima gara a 7 anni e, oggi come allora, sono sempre molto competitiva. Ecco perché sono tornata: nonostante tutte le cadute, le sofferenze,

MILE

A soli 19 anni Lindsey Vonn conquista il suo primo podio in Coppa del mondo, chiudendo 3ª in una discesa libera a Cortina d’Ampezzo

2016/17

Stagione della consacrazione per Sofia Goggia: dopo 13 podi complessivi in Coppa del mondo in quattro discipline diverse, chiude 3ª nella classifica generale. Nella foto: Sofia esulta dopo una delle due vittorie a Jeongseon, Corea del Sud

Lindsey Vonn vince il suo 20° Globo di cristallo a St. Moritz, diventando l’atleta con il maggior numero di Globi di cristallo nella storia della Coppa del mondo

STONE

2017

Tra febbraio e marzo Vonn e Goggia si incontrano due volte. La prima ai Mondiali di St. Moritz dove Vonn chiude 3ª e Goggia 4ª con un distacco di soli 0,07 secondi. Nella gara successiva a Jeongseon Goggia si prende la rivincita, conquistando la sua prima vittoria in una gara singola di coppa del Mondo con un distacco su Vonn di 0,07 secondi

2018

Sofia Goggia vince la sua prima Coppa del mondo di discesa libera, diventando la prima italiana a raggiungere questo traguardo

2024

Il 5 febbraio Sofia si infortuna in allenamento a Ponte di Legno: frattura della tibia destra e del malleolo tibiale. Le vengono applicate una placca e 7 viti: l’incidente chiude una stagione in cui era stata protagonista della Coppa del mondo di discesa

2024

Super-G di Coppa del Mondo a Beaver Creek. Lindsey torna come apripista: Sofia, reduce dall’infortunio alla tibia, ascolta i suoi consigli al telefono prima della gara e vince con quasi mezzo secondo di vantaggio

2019

Gennaio 2019: Lindsey disputa la sua ultima discesa a Cortina. Sofia, ferma per infortunio, la accoglie al traguardo con un mazzo di fiori

Nuova scena

Testi di Margherita Tizzi Illustrazioni di Davide Barco

Hanno tra i diciotto e i ventun anni e il talento per scrivere i prossimi capitoli degli sport invernali. Flora Tabanelli, Lara Colturi, Laila Edwards, Isabeau Levito e Ian Matteoli sono giovani prodigi della neve, atleti capaci di catturare l’attenzione per tecnica e personalità. Li abbiamo incontrati nel pieno della preparazione pre-stagionale, in una rara pausa dagli allenamenti. Tra sacrifici e dedizione, determinazione e passione, i loro racconti tracciano il ritratto di una generazione pronta a lasciare il segno. Obiettivo dichiarato: crescere ancora, spingersi oltre e conquistarsi un posto stabile nell’élite internazionale.

Isabeau Levito

Eleganza italiana, talento americano, preparazione russa. La sua grazia ha conquistato il pubblico e l’ha resa un perno della nazionale USA di pattinaggio artistico

Nata a Philadelphia nel 2007, Isabeau Levito ha radici italiane e Milano nel cuore. Sul ghiaccio dall’età di 3 anni, ha vinto l’oro ai Mondiali juniores 2022 e l’argento ai Mondiali 2024.

«Amo il pattinaggio perché mi permette di interpretare ogni volta un personaggio diverso, imparare stili di danza diferenti e, al tempo stesso, restare sempre me stessa».

Isabeau Levito è nata nel 2007 ed è uno dei talenti emergenti del pattinaggio artistico. Ha un forte legame con l’Italia, in particolare con Milano, la città da cui sua madre, Chiara Garberi Levito, è emigrata negli anni Novanta per raggiungere gli Stati Uniti.

Un talento precoce

Alle spalle Isabeau ha già diversi risultati importanti, ottenuti anche grazie alla qualità e alla complessità dei suoi programmi, che includono salti molto difcili, come il triplo Axel e il quadruplo toeloop: un oro ai Campionati mondiali juniores di Tallinn nel 2022, un titolo nazionale statunitense nel 2023, un argento ai Mondiali del 2024 a Montreal, conquistato a soli 17 anni. Tre successi consecutivi, poi un grave infortunio al piede destro e una lunga convalescenza.

„Sono una perfezionista: per essere soddisfatta le linee devono essere pulite“

Il suo esordio nel pattinaggio artistico risale alla sua prima infanzia: «Ho iniziato quando avevo tre anni. Mia madre mi iscrisse per aiutarmi a migliorare l’equilibrio e non ho più smesso: non so cosa signifchi vivere senza pattinare ogni giorno». A dieci anni vide per la prima volta in TV la pattinatrice Evgenia Medvedeva, la sua musa ispiratrice: «Quando la guardavo, pensavo: “Voglio essere come lei”. È stata davvero la mia più grande fonte di ispirazione».

Su TikTok, dove pubblica video ironici che la ritraggono spesso in pista, è impossibile trovare anche solo un commento che non elogi la sua grazia, la sua eleganza e, a volte, anche il suo guardaroba.

«Il mio stile – spiega – è aggraziato e ricorda molto il balletto, perché ho fatto tanta danza classica. Crescendo sono diventata una perfezionista: per sentirmi soddisfatta ho bisogno che le linee siano pulite e complete».

Mantenere il focus

Come molti sportivi della sua generazione, Isabeau sa che il successo deriva anche dalla capacità di gestire in modo sano la pressione: «Da bambina ero molto brava a gareggiare perché mi preoccupavo soltanto di pattinare in modo pulito. Crescendo ho cominciato a pensare a vincere e lì sono arrivati gli errori. Durante il programma la mia mente tende spesso a vagare e mi ritrovo a pensare: “Se cadessi su questo triplo fip, quanti punti perderei? E in che posizione resterei rispetto alla ragazza che ha pattinato prima di me?”. Quando faccio questi pensieri, provo a zittirli e a tranquillizzarmi, ma questo dialogo mi distrae».

Mantenere la concentrazione è una delle abilità su cui Isabeau sta lavorando più intensamente in vista delle prossime competizioni che l’aspettano. Il tempo e la qualità per migliorare non le mancano, così come la fducia dei suoi fan: «Siamo fortunati – le scrivono sotto i suoi post –perché potremo vederti pattinare ancora a lungo».

Instagram: @isabeau.levito

1. La playlist da allenamento

Justin Bieber Confident Rihanna Don’t Stop the Music

Three 6 Mafia Stay Fly

2. Il film “My Girl”

3. Il libro “La ragazza della palude” di Delia Owens

4. Il viaggio Milano (ovviamente)

5. Cibi da provare La burrata e la pasta con pomodoro, mozzarella, capperi e olive

Ian Matteoli

Le prime discese con il padre Andrea, i successi, l’infortunio e la passione per lo skate: a 11 anni

il talento azzurro aveva già

l’esperienza di un veterano e ora è pronto a prendersi la scena

Ian Matteoli, 2005, è specialista di big air e slopestyle. Ha esordito in Coppa del mondo nel 2021. Tra i suoi migliori risultati, un bronzo e due argenti nel big air, arrivati fra il 2022 e il 2025.

Ian Matteoli è stato il primo atleta al mondo a completare un frontside 2160 sullo snowboard, un salto con sei spin prima di atterrare sulla neve. Un’impresa durata pochi secondi, ma sufcienti a farlo entrare nella storia. Il salto, compiuto nel 2023 allo Stubai Prime Park Sessions, ha lasciato senza parole persino il super campione Shaun White ed è stato il frutto di una dedizione precoce che lo ha reso – giovanissimo – uno dei rider più innovativi e seguiti al mondo. Nato a Torino il 30 dicembre 2005, Matteoli è stato il primo azzurro a salire sul podio in Coppa del Mondo di big air maschile, una delle sue specialità insieme a slopestyle e halfpipe. Il risultato è arrivato a Copper Mountain nel 2022, quando conquistò un inatteso terzo posto. Poi a Pechino, nel dicembre 2024, ha realizzato un’altra “prima volta”: il primo 2160 in gara della storia dello snowboard, che lo ha portato al secondo posto in una tappa di Coppa del mondo.

„Voglio essere innovativo e competitivo, senza tradire me stesso“

Gli esordi

«Avevo due anni quando, per la prima volta a Bardonecchia, sono salito su una tavola e ho sceso una collina, ovviamente trainato da papà». Andrea Matteoli, 17 podi in Coppa del mondo di snowboard dal 1989 al 1996, ha allenato diverse squadre nazionali e ha vissuto in Nuova Zelanda, dove Ian ha benefciato di un inverno in più, oltre a quello europeo.

«È stata una fortuna girare il mondo e potermi allenare in luoghi diversi. All’inizio lo facevo solo per passione, per tradizione familiare. Mio padre non mi ha mai obbligato né spinto a fare gare, mi ha sempre lasciato libero di scegliere la mia strada, anche perché dedicavo gran parte dell’estate allo skateboard, altra mia grande passione».

Già a 11 anni, Matteoli aveva accumulato un livello di esperienza simile a quello che alcuni snowboarder raggiungono in un’intera carriera. Le prime gare di Coppa Europa sono arrivate

a 13 anni e l’esordio in Coppa del mondo a 15. Il grave infortunio del 2023, che ha comportato l’asportazione della milza, non lo ha fermato, anzi lo ha portato all’indimenticabile impresa sul ghiacciaio dello Stubai, in Austria. «Da quel momento non ho mai smesso di guardare avanti», dice Ian. Dall’infortunio è nato un approccio metodico e scientifco all’allenamento. «Da fne a pre-stagione mi alleno in una palestra di ginnastica artistica e in due strutture artifciali, una vicino a Innsbruck e una in Giappone: sono hub dove possiamo simulare il salto e l’atterraggio, migliorando la tecnica».

I modelli e lo stile

«Lo snow è una disciplina creativa e divertente, ma estremamente difcile. Occorrono il massimo della dedizione e della concentrazione, ma questo sport ti ripaga in emozioni. È con lo snowboard che posso esprimere il mio stile. Prendete Hasegawa Taiga, mia grande fonte di ispirazione: osservate il modo in cui va in snow, il modo in cui fa certi trick». E servirà carattere per mantenere i risultati: «Mi sto impegnando più del solito in questo periodo. Voglio continuare a essere innovativo e competitivo, senza tradire me stesso; m’ispirerò a Valentino Rossi e Marcell Jacobs, due grandi atleti che hanno portato l’Italia in alto».

Instagram: @ianmatteoli

Inside Ian: cinque curiosità

1. La playlist da allenamento

Black Sabbath

Paranoid

Sfera Ebbasta

Più forte

Future

Metro Boomin

Kendrick Lamar

Like That

2. L’artista

Virgil Abloh

3. Le mie tre passioni

Il disegno, la moda e il design

4. Il viaggio

Nuova Zelanda

5. Il portafortuna

Le cuffie: le porto ovunque, in allenamento, in gara, in vacanza

Laila Edwards

Nella sua città c’era una sola squadra di hockey.

Erano tutti maschi e bianchi, lei donna e nera ma con una grande passione per l’hockey che l’ha spinta

oltre ogni barriera, fino alla nazionale USA

Laila Edwards, 2004, è la prima atleta afroamericana della nazionale femminile di hockey su ghiaccio. Attaccante dei Wisconsin Badgers, nel 2024 è stata Women’s Player of the Year.

Una ragazza gentile, posata, incredibilmente matura e dal sorriso contagioso. Laila Edwards è una delle migliori giocatrici di hockey universitario e la prima donna nera a giocare nella nazionale statunitense. «Rappresentare il mio Paese ai massimi livelli è un onore, un obiettivo per cui ho lavorato per tutta la vita. Amo questo gioco e proverò a cambiarne la cultura», dice, ripercorrendo con noi una storia tutt’altro che semplice.

Oltre ogni barriera

Nata a Cleveland Heights, in Ohio, nel 2004, fu introdotta all’hockey a tre anni. «Era lo sport preferito di mio papà e ben presto divenne una cosa di famiglia. Lo trovavo diverso, veloce, divertente, soprattutto perché c’era interazione, senso di appartenenza quando giocavo con lui e mia sorella. Ma all’inizio, nella mia città, c’era solo una squadra di bambini bianchi.

„La mia disciplina in tre aggettivi: spettacolare, intensa, diversa“

Io ero una femmina e, come se non bastasse, nera. Ci sono stati dei momenti in cui non volevo più giocare; alcuni pensavano che ci fosse qualcosa di sbagliato in me, ma, con l’aiuto della mia famiglia, sono riuscita ad andare avanti», a tal punto che «in tante, oggi, vorrebbero essere lei», ha detto il suo coach, Mark Johnson, uno degli artefci del “Miracolo sul ghiaccio” del 1980. Vincitrice del premio Bob Allen Women’s Player of the Year 2024, Edwards sta abbattendo le barriere e ispirando una nuova generazione di atlete.

Una vita per l’hockey «Voglio crescere non solo per me, ma per questo sport in generale. L’hockey è la mia vita, il mio lavoro, ed è giusto che faccia del mio meglio». E per il suo meglio ha scelto l’Università del Wisconsin, dove c’è uno dei migliori programmi di hockey della Division I degli Stati Uniti. «Mi alleno tutti i giorni per 4, 5 ore. Il riscaldamento e lo stretching

sono fondamentali per la mobilità e prevenire gli infortuni, mentre la corsa e l’atletica leggera servono per potenziare gli sprint e la velocità. Mi diletto anche a basket e a pickleball – sono utili per migliorare i tiri e l’agilità nel maneggiare il bastone – e con le mie compagne giochiamo a calcio per la coordinazione, la comunicazione e la visione d’insieme». Perché l’hockey è più di un semplice gioco: signifca essere presenti gli uni per gli altri, incoraggiarsi a vicenda.

Gioco di squadra «A diferenza di uno sport individuale – dice Laila – siamo in venti a dividere e condividere emozioni, paure e pressioni, ma, allo stesso tempo, quando si commette un errore è più difcile da superare perché pensi di aver procurato un danno alla squadra, di essere la causa di una sconftta. Eppure il team è sempre lì, a ricordarti che non sei sola».

Instagram: @laila_edwards

1. La playlist da allenamento

Billie Eilish

Bury a friend, Birds of a feather, Lunch

2. Il film “Miracle on Ice”

3. Il libro

Tutti i libri di Jodi Picoult

4. Il viaggio Bolzano. Ci andai per una gara, non ho mai dimenticato quella città, la sua gente, il suo cibo! 5. L’altro talento So dire qualsiasi parola al contrario

Lara Colturi

Figlia d’arte, Speed Girl (è il suo nick su Instagram), è già considerata una stella dello sci alpino. Nel 2022 ha scelto di gareggiare per la nazionale albanese, allenata dalla madre Daniela Ceccarelli

Specializzata in slalom gigante e Super-G, Lara Colturi ha esordito nel 2022 in Coppa del mondo. Nel 2024 è arrivata 2° nello slalom speciale di Gurgl, miglior risultato di sempre per l’Albania.

«La mia prima volta sugli sci? A 13 mesi, “durante” una gara di Coppa del mondo», di cui, nel 2022, è diventata la seconda sciatrice più giovane a partecipare a soli 16 anni. Lara Colturi è nata per quella che considera una disciplina «veloce, elegante, dura». Figlia d’arte – il papà Alessandro è un allenatore, la mamma Daniela Ceccarelli un’ex sciatrice professionista e campionessa nel supergigante – fno a 5 anni ha “seguito” la madre in giro per il mondo. Poi la scuola, la passione per il pattinaggio di fgura, fno alla totale dedizione allo sci.

Il prezzo del talento

«Non è stato facile conciliare lo studio e lo sport, rinunciando, in parte, alla mia gioventù. Per questo cerco sempre di ritagliarmi dei momenti dedicati al pianoforte, ad altri sport – il tennis con mio fratello Yuri, il pattinaggio sui laghi ghiacciati – e alla lettura di biografe, romanzi e libri scientifci; il divertimento e la distrazione sono delle priorità per fare bene». Sì, perché all’allenamento non c’è (quasi) mai fne: ai sei mesi di gare,

„Allenarmi con gli idoli che vedevo in TV da bambina è incredibile“

seguono lunghi periodi di preparazione a secco (palestra e bici) e su pista sui ghiacciai, sei giorni su sette, quattro ore al giorno; momenti cruciali per concentrarsi sul corpo e sullo spirito. «È una routine che vedevo fare a mamma, persino quando mi allattava, per cui, al di là delle difcoltà, è davvero incredibile essere qui oggi. Scendere in pista accanto a Fede (Brignone, ndr), a Mikaela (Shifrin, ndr) e a tante altre atlete che gareggiavano con mamma e che guardavo in TV o dagli spalti. Allenarmi con loro e ricevere consigli. È un’emozione incredibile. È già quella un’esperienza».

Una scelta difficile

Dal 2022, Lara ha scelto di gareggiare per l’Albania: una decisione, presa insieme ai suoi genitori, che le ha permesso di costruire una preparazione più autonoma e di mettersi alla prova gareggiando fn da subito nelle categorie FIS contro le atlete più forti del mondo (pos-

sibilità che il regolamento della nazionale italiana non prevede).

A guidarla in questo cammino è sua madre, Daniela Ceccarelli, oggi direttrice tecnica della nazionale albanese di sci alpino, che continua a seguire la crescita di sua fglia come fa fn da quando era bambina.

La scelta ha cambiato la storia dello sci albanese. Con Lara sono arrivati risultati mai visti prima: il primo oro ai Mondiali juniores, la vittoria della South American Cup 2022 e i primi podi in Coppa del Mondo femminile. Traguardi raggiunti a soli 18 anni, con due secondi posti di peso nello slalom di Gurgl, in Austria, e nel gigante di Kranjska Gora, in Slovenia.

Lezioni da imparare

Dopo quattro anni in Coppa del mondo e uno stop di otto mesi per infortunio, Lara vuole continuare a crescere tecnicamente in gigante e slalom per avvicinarsi il più possibile alla propria personale perfezione. «Mi piace anche la velocità, per cui cercherò di tornare anche in discesa. In questo l’infortunio mi è “servito”, perché ho capito come leggere il mio corpo, come ascoltarlo». Sacrifcio, sperimentazione, divertimento. Questa è Lara Colturi.

Instagram: @laracolturiofficial

1. La playlist da allenamento

Olly

Balorda Nostalgia Benson Boone Beautiful Things Rosé & Bruno Mars

APT

2. Il film “La La Land”, un ricordo del pattinaggio

3. Il libro “Senza permesso” di Vincenzo Patella

4. Il viaggio Giappone, tra natura, sport e cultura. Passo dello Stelvio sugli sci, come i miei genitori in viaggio di nozze

5. Il gesto scaramantico Metto prima lo scarpone destro poi quello sinistro

Flora Tabanelli

Riservata nella vita, esplosiva in pista, ha vinto tutto prima ancora di compiere 18 anni passando in poco tempo da promessa a certezza della nazionale italiana di sci freestyle

Flora Tabanelli, classe 2007, è un’icona del freestyle. Nel 2025, a soli 17 anni, ha vinto il Globo di cristallo generale Park & Pipe, quello di specialità nel Big Air, un oro mondiale e gli X Games.

Per Flora Tabanelli il freestyle è una sfda continua, «una disciplina che in pochi conoscono, ma che regala una creatività e una libertà senza pari». E che l’ha aiutata a crescere come persona, oltre che come atleta. «Sono piuttosto chiusa nella vita reale e il freestyle mi aiuta ad aprirmi, a farmi conoscere». Obiettivo riuscito. Solo nel 2025, la sciatrice bolognese è stata capace di vincere il Globo di cristallo – cioè la Coppa del mondo – di specialità nel Big Air e quello generale Park & Pipe e, soprattutto, è diventata la prima italiana di sempre a imporsi agli X Games di Aspen, l’evento più prestigioso e mediatico dello sci freestyle. Successi che la candidano a regina assoluta di questo sport. Flora sente la pressione, ma cerca di non darle troppo peso. «Non mi piace troppo stare sotto ai rifettori, ma continuerò a divertirmi e a dimostrare ciò che so fare con impegno».

„Da piccola Tomba veniva a trovarci in montagna. Era fantastico“

L’allenamento di Flora

Lo studio e la preparazione sono fondamentali nel freestyle: palestra, aerobica, corsa, simulazione dei salti in Neveplast (neve artifciale). «Mi aiuta molto anche la ginnastica artistica – dice Flora – che pratico da quando avevo due anni; ti insegna la “cognizione in aria”, cioè a percepire e controllare il tuo corpo durante la fase di volo». La combinazione tra forza esplosiva, equilibrio e creatività è alla base dei suoi trick più spettacolari, tra cui i salti multipli con rotazioni e grab tecnici che l’hanno portata sul tetto del mondo. Come molti sportivi di alto livello, Flora ama sperimentare anche altri sport: «Non potrei mai rinunciare al surf e allo skate, passioni che condivido con mio fratello maggiore Miro», che ha replicato il successo della sorella agli X Games, sempre nella specialità del Big Air, coronando uno dei sogni coltivati da piccoli, quando si costruirono un piccolo salto artigianale.

Passioni e miti

Flora è cresciuta al Corno alle Scale, nell’Appennino toscoemiliano. I genitori sono entrambi amanti della montagna e hanno trasmesso la loro passione ai fgli insieme a un forte senso creativo. Il padre, graphic designer, ha avuto un impatto decisivo sulla formazione di Flora: «La sua creatività mi ha infuenzato a tal punto che ho frequentato un istituto d’arte per sciatori come mia sorella e mio fratello». Accanto allo sport, Flora coltiva passioni che le permettono di mantenere viva la sua vena artistica. «Mi diletto al pianoforte, nell’arte astratta e disegno le linee e le prese del freestyle per migliorarmi», racconta, «perché mi piacerebbe aggiungere un po’ di stile e di movimento ai miei atterraggi come fa Rell Harwood e come fece Alberto Tomba», un altro bolognese a cui si sente legata. Il rapporto con Tomba, in particolare, resta un ricordo indelebile. «Quando ero piccola veniva a trovarci in montagna, il che era fantastico. Non vedevamo l’ora di vederlo. Dopo le mie gare mi ha scritto, mi ha incoraggiata ad andare avanti. Mi ha ispirata. È un idolo».

Instagram: @flo_taba

Inside Flora: cinque curiosità

1. La playlist da allenamento Rihanna

Love the Way You Lie

J. Cole, No Role Modelz

Aaron Smith, Dancin (feat. Luvli)Krono Remix

2. Il film

“Mission: Impossible”, tutta la serie

3. Il libro

“Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti

4. Il viaggio

Giappone, per lo sci e il cibo

5. La passione I bonsai

su pellicola Snowboard

Lo snowboarder e filmmaker Elias Elhardt esegue un layback su una cornice di neve sollevata dal vento.

«Sono molto legato a questa immagine perché rappresenta bene la necessaria connessione fra fotografo, atleta ed elementi naturali», commenta l’autore dello scatto Carlos Blanchard

Gli speroni di roccia di Rocca Calascio, in Abruzzo, hanno fatto da sfondo a molte fotografie di Blanchard. «Siamo stati lì una settimana», racconta, «e in Paese c’era una sola famiglia. L’Abruzzo mi ha sorpreso: paesaggio e persone sono meravigliosi»

Carlos

Blanchard è

cresciuto

a Saragozza, ma il suo sguardo è sempre stato rivolto a nord, verso i Pirenei. La passione per la montagna è un’eredità di famiglia, che ha coltivato come snowboarder e come fotografo. Tra i paesaggi che ama di più ci sono le Dolomiti, scenario di molti dei suoi lavori. Nei suoi scatti la natura non fa solo da sfondo: grazie ai giochi di luce e ai contrasti, neve, vento e vette impervie prendono vita, diventando parte attiva della sua narrazione visiva.

L’iconografia dello snowboard è costellata di immagini adrenaliniche.

In questo scatto Blanchard dà risalto a un momento ordinario, come il ritorno a casa di un atleta, cristallizzando la neve che cade con un colpo di flash

Per Blanchard, questa foto è «un sogno che si avvera, un promemoria di quanto sia fortunato a poter lavorare con alcuni dei migliori atleti di questo sport e non solo». Lo snowboarder colto in volo è uno dei suoi eroi, Gigi Rüf, «uno dei migliori snowboarder di sempre»

Nell’archivio personale di Blanchard ci sono molte immagini che lo ritraggono in montagna insieme al padre e al nonno. Ed è al nonno che apparteneva la Nikon F2 con cui scatta la maggior parte delle sue fotografie, aggiungendo un “tocco” vintage che ha contribuito a rendere unico il suo stile: «Uso la pellicola perché credo che renda l’immagine più autentica ed emotiva e perché è così che ho imparato a fotografare».

Lo snowboarder francese Mathieu Crepel in azione sulle Dolomiti
Dolomiti innevate vicino a Cortina d’Ampezzo, ritratte in bianco e nero

Un rider giapponese fotografato sul complesso montuoso delle Cinque Torri. «Quell’inverno c’era tantissima neve: mi ha attratto la sua serenità e il suo stile da backpacker»

Un rider solitario attraversa una distesa di neve, sovrastato da uno sperone di roccia delle Cinque Torri, nel cuore delle Dolomiti Ampezzane

Un gruppo di rider a riposo dopo la discesa. «La composizione non è perfetta», ammette Blanchard, «ma mi piace perché racconta un momento autentico di vita quotidiana»

Pazienza, lentezza e meticolosità sono tre elementi chiave della fotografia di Carlos Blanchard. Usare la pellicola significa rinunciare ad avere un feedback immediato sul proprio lavoro: questa abitudine ormai per molti obsoleta impone un’attenzione e uno studio preparatorio accurato delle condizioni meteo, della composizione dell’immagine, degli atleti e del loro modo di muoversi, eseguire i trick, affrontare e leggere il terreno. Anche il rapporto con gli atleti è fondamentale: nelle sue fotografie Blanchard non si limita a catturare i loro gesti atletici, ma cerca di cogliere la loro autenticità, come persone e snowboarder, soffermandosi su momenti apparentemente marginali ma che raccontano più di altri cosa significhi far parte della community degli snowboarder.

Carlos Blanchard è un fotografo spagnolo specializzato in fotografia outdoor e analogica. Collabora con brand e riviste internazionali come Arc’teryx, Red Bulletin e Burton. Ha firmato numerosi progetti visivi individuali come “Dreams” e “Dolore” e ha collaborato a molti altri, esplorando il rapporto tra uomo, natura e sport

Le nuove frontiere dell’allenamento

Negli ultimi anni la preparazione atletica ha cambiato volto: evoluzione tecnologica, nuove evidenze scientifiche e nuove figure professionali stanno riscrivendo i metodi di lavoro, tra progressi indiscutibili e nuove sfide da affrontare

Testo di Valerio Mammone

RESISTENZA

La ciclista su strada austriaca
Laura Stigger si allena all’APC di Thalgau, Austria

REATTIVITÀ

L’aviatore italiano

Dario Costa alle prese con un esercizio di coordinazione oculo-manuale

Negli ultimi dieci anni il mondo del training ha vissuto una rivoluzione senza precedenti. Nella quotidianità di ogni atleta professionista sono entrati strumenti tecnologici, nuove conoscenze scientifche e fgure professionali che hanno ridefnito il concetto di performance e reso la preparazione sempre più specifca, personalizzata e funzionale al benessere complessivo dell’atleta.

«Prima si pensava che allenarsi signifcasse spingere fno allo sfnimento, oggi sappiamo che la qualità dell’allenamento non è proporzionale alla fatica».

A parlare è Matteo Artina, performance manager con un curriculum che racconta tutta la sua passione per lo sport. Coordinatore italiano del Red Bull APC (Athlete Performance Center), centro polispecialistico di Thalgau, vicino a Salisburgo, dedicato alla performance, è preparatore atletico personale di Sofa Goggia e della Nazionale italiana di snowboard, ma anche docente universitario e relatore, allenatore di pesistica ed Esperto di preparazione fsica del CONI.

Lo abbiamo intervistato più volte negli ultimi mesi per parlare del suo lavoro, di come sia cambiato nel tempo e delle sfde che il training condivide con l’intera società: l’iper-tecnologizzazione, l’iper-specializzazione e l’esordio di una nuova generazione di atleti con caratteristiche profondamente diverse dalle precedenti.

L’irruzione della tecnologia

Nei primi anni Duemila l’uso della tecnologia nello sport era ancora limitato: i sistemi GPS e i sensori più avanzati erano costosi e ingombranti. Dal 2015 in poi l’accelerazione è stata rapidissima: lo sviluppo di sensori sempre più piccoli ed economici, dei dispositivi indossabili e degli algoritmi di machine learning e di intelligenza artifciale ha dato la possibilità di monitorare un numero sempre più vasto di indicatori e di raccogliere grandi moli di dati sulla base dei

La forza della mente

VISUALIZZAZIONE, RESPIRAZIONE, DIALOGO INTERIORE: KATE O’KEEFFE, MENTAL TRAINER EXPERT DELL’APC, SPIEGA COME TRASFORMARE L’ANSIA IN ENERGIA

In che modo l’allenamento mentale migliora le prestazioni di un atleta?

L’allenamento mentale e quello fisico vanno di pari passo. Tecniche come la visualizzazione, il dialogo interiore, la respirazione consapevole e il riposo mentale intenzionale migliorano la concentrazione, riducono lo stress e favoriscono il recupero, aiutando gli atleti a dare il meglio di sé.

Come si è evoluta la tua disciplina?

La psicologia dello sport si concentrava su interventi isolati ed era spesso stigmatizzata come qualcosa riservato ai “deboli di mente”. Oggi, la ricerca e la pratica applicata hanno trasformato il mental coaching in una disciplina riconosciuta e centrale per il miglioramento della performance.

Come aiuti gli atleti a recuperare mentalmente dopo un infortunio?

Gli infortuni spesso portano paura, ansia e cali di motivazione. Il recupero si basa su un’esposizione graduale, sul monitoraggio dei progressi e sulla ridefinizione dei movimenti come sicuri. La paura è naturale, ma se guidata correttamente può trasformarsi da ostacolo a strumento.

Gli sport invernali sono per loro natura stressanti. Come gestiscono gli atleti questa tensione? Le tecniche di radicamento aiutano gli atleti a riconnettersi con il presente e a riprendere il controllo in poche frazioni di secondo. La respirazione consapevole, il dialogo interiore e semplici gesti di reset − un respiro, una parola − mantengono la concentrazione e consentono un recupero immediato dagli errori.

Che ruolo hanno le routine mentali o i rituali nelle prestazioni? Piccole abitudini ripetibili segnalano al cervello che è il momento di agire. Uno snowboarder, ad esempio, può visualizzare il primo salto; un biatleta può ripetere uno schema di respirazione prima del tiro. Questi rituali creano certezze e aiutano a migliorare il controllo delle emozioni.

Qual è un semplice esercizio mentale per gestire lo stress o migliorare la concentrazione?

Prova il “sospiro fisiologico”:

1. Concentrati sul tuo respiro.

2. Inspira profondamente attraverso il naso.

3. Fai una pausa, poi inspira brevemente per massimizzare la capacità polmonare.

4. Espira lentamente attraverso la bocca. Ripeti 2 a 3 volte. Questo rapido esercizio riduce lo stress, abbassa la frequenza cardiaca e ricentra l’attenzione: è utile sia nello sport che nella vita quotidiana.

„Il mental coaching era stigmatizzato, oggi ha un ruolo centrale“
Kate O’Keeffe

La formula vincente

TECNOLOGIA, DIALOGO E GIOCO DI SQUADRA: CONOR

M C GOLDRICK, GLOBAL PERFORMANCE DIRECTOR ALL’APC, CI PORTA NEL MONDO DI UN HEAD OF PERFORMANCE

Cosa fa un esperto di performance?

Il mio compito è aiutare gli atleti a esprimere le proprie abilità nel momento decisivo della gara. Non si tratta soltanto di rendere qualcuno più veloce o più forte, ma di creare le condizioni perché le capacità possano essere espresse con continuità sotto pressione.

Cosa rende efficace un programma di allenamento per gli atleti, specialmente negli sport invernali? Un buon programma di allenamento sa bilanciare le esigenze della disciplina con le caratteristiche dell’atleta. Negli sport invernali ciò significa sviluppare potenza esplosiva, affinare le abilità tecniche ad alta velocità e migliorare il recupero per sostenere più gare o eventi. Forza, tecnica e recupero funzionano come un unico sistema: con l’allenamento sviluppiamo le qualità fisiche funzionali all’esecuzione dei gesti atletici. Il recupero è fondamentale e garantisce un miglioramento costante.

Perché alcuni atleti raggiungono un plateau prestazionale, e come possono superarlo?

Può succedere che gli atleti raggiungano un plateau nonostante un allenamento intenso e ad alto volume. Il progresso di solito deriva dalla revisione di fattori trascurati come tecnologia, stile di vita o recupero. Per un nostro atleta, concentrarsi sul recupero ha fatto la differenza: le routine serali sono state modifi­

cate e la qualità del sonno è stata resa prioritaria. Nel giro di pochi mesi, la costanza e le prestazioni sono migliorate.

Che ruolo svolge la tecnologia nel plasmare le prestazioni degli atleti presso l’APC?

La tecnologia ci aiuta a comprendere gli atleti. GPS, pedane di forza e sensori di movimento tracciano il carico di lavoro, la biomeccanica, il recupero e la preparazione. L’integrazione di questi strumenti fornisce un quadro chiaro, basato sui dati. La tecnologia guida le decisioni in modo obiettivo, ma il vero impatto deriva dalla combinazione dei dati con il giudizio degli esperti e il feedback degli atleti.

In che modo l’APC affronta le differenze individuali tra gli atleti?

Ogni atleta è unico per fisiologia, storia degli infortuni, fase della carriera e esigenze di competizione, e necessita quindi di programmi altamente personalizzati. Per esempio, i giovani possono aver bisogno di volumi più elevati, mentre gli atleti esperti richiedono un’attenta gestione del carico.

Esistono routine semplici che possono essere utili alla maggior parte degli atleti?

Una routine quotidiana dai 10 a 15 minuti è benefica per quasi tutti, ma la costanza è più importante della complessità, poiché favorisce il recupero, riduce il rischio di infortuni e sostiene l’energia per l’allenamento e la vita quotidiana.

„Il mio compito? Permettere agli atleti di esprimersi con continuità“
Conor McGoldrick

quali costruire routine di allenamento personalizzate e limate al millimetro.

«Grazie alla tecnologia oggi possiamo programmare allenamenti meno dispersivi e monitorarli in tempo reale», spiega Artina. «Basta un decimo di secondo in più sul cronometro per decretare che uno sprinter sia stanco e che la sessione vada interrotta, anche se l’atleta non si sente afaticato». L’obiettivo dello staf tecnico non è più quello di “spremere” l’atleta, ma metterlo nelle condizioni di allenarsi a lungo, con continuità e senza infortuni. Questa rivoluzione è stata resa possibile dall’innovazione tecnologica, ma attenzione: «La tecnologia – avverte Artina – è come la maga Circe. Ti accoglie, ti dà numeri e interpretazioni, ti fa sembrare intelligente e padrone della situazione, ma spetta a noi preparatori il compito di selezionare le informazioni, di capire se il miglioramento di un dato possa davvero tradursi in una performance migliore».

C’è poi un altro aspetto da considerare: se lo sport fosse solo una questione di dati, le competizioni sarebbero noiose e scontate. «Il training si è standardizzato: tutti facciamo la stessa cosa, perché tutti ci confrontiamo sulla stessa cosa, ma la diferenza è nel modo in cui tutti gli indicatori che cerchiamo di migliorare dialogano fra loro. Conosco atleti che, numeri alla mano, sono inferiori in tutto ai loro compagni di squadra, e poi vincono il Mondiale. La mappa non è il territorio».

Un nuovo concetto di performance

Se l’allenamento è cambiato, anche il concetto di performance non è più lo stesso. Vincere non basta più: ogni risultato va scomposto, analizzato, ricostruito insieme all’atleta. «Una volta – spiega Artina –si analizzava solo la sconftta. Oggi analizziamo tutto perché la performance è fatta di mattoncini fsici, tecnici, mentali, nutrizionali e il lavoro è capire quanto e come ciascuno abbia contribuito al successo e alla sconftta».

In molte discipline la preparazione tecnica e fsica degli atleti è ormai altissima, tanto che si è arrivati a un vero e proprio plateau. La diferenza, spiega Artina, la fanno il dialogo fra allenatore e atleta e la preparazione mentale. «L’atleta deve essere informato e consapevole di ciò che fa. Quando va in gara Sofa deve essere prima di tutto convinta della qualità dell’allenamento che ha svolto. Questo le dà la serenità di afrontare curve e salti a oltre 120 km/h stando nel qui e ora, senza farsi distrarre dalla stanchezza delle gambe».

Jaan Roose, campione mondiale di slackline

Laura Horváth, vincitrice dei CrossFit Games 2023

FORZA E POTENZA

Mario Omar Burke, velocista barbadiano specializzato nei 100 e 200 metri, durante un test di analisi biomeccanica della corsa all’APC

Questo cambio di paradigma ha aperto la strada a una nuova fgura professionale: l’Head of Performance, ruolo attualmente ricoperto da Artina nell’APC. Non si tratta di un super-coach che sostituisca tutti gli specialisti, ma di un direttore d’orchestra che distribuisce i compiti e mette a sistema il lavoro di un team composto da professionisti diversi. «Se l’atleta non ha il “carburante giusto”, non si allena. Il carburante lo prescrive il nutrizionista, che a sua volta lo stabilisce in base al programma di lavoro elaborato dal coach tecnico. Ogni ruolo è al servizio degli altri: basta un errore di comunicazione, e tutto si inceppa».

L’efetto più evidente di questo nuovo corso della preparazione atletica, applicato quotidianamente nel Red Bull Athlete Performance Center, è nella prevenzione degli infortuni. «Ormai sappiamo bene quali sono le cause degli infortuni: defcit di forza, diferenza fra un arto e l’altro, scarsa idratazione, afaticamento neuro-muscolare degli atleti».

Ricambio generazionale

Insieme al training, sono cambiati anche gli atleti. Negli ultimi vent’anni la società e la famiglia hanno subìto profonde trasformazioni che hanno portato i bambini a fare una vita molto più sedentaria e a passare molto meno tempo a giocare, in strada o al parco. Fin da piccoli, poi, ci si specializza in un’unica disciplina: «La specializzazione precoce è l’anticamera dell’infortunio», ricorda Artina. «Non a caso anche l’NCAA americana la critica apertamente: la scelta di dedicarsi a una sola disciplina dovrebbe arrivare intorno ai 14 anni. Prima, è il multisport a fare la diferenza, perché arricchisce il vocabolario motorio, abitua a interpretare ambienti e spazi diversi, sviluppa orientamento e costruisce forza su forza».

Il paradosso è che oggi, in un mondo sportivo che dispone di strumenti tecnologici potentissimi, i preparatori devono talvolta tornare all’“abc”. «Il preparatore deve essere un esperto del movimento perché oggi gli esperti del movimento servono anche ai 25enni». Mentre la nuova generazione fatica a costruire questo bagaglio, i campioni di oggi mostrano tutt’altro approccio. «Marco Odermatt (sciatore alpino svizzero tre volte campione del mondo, ndr) fa salti mortali sulla neve fresca, Sofa nel tempo libero fa downhill con la bici allenando i rifessi. Gli atleti più forti sono quelli con un vocabolario motorio più ampio. Per questo penso che oggi servirebbe il coraggio di investire nei percorsi multisport, attività ludiche e stimolanti dal punto di vista motorio, perché è lì che si costruisce la base fsica e mentale di un atleta».

Energia su misura

FOCUS, ESPLOSIVITÀ, RECUPERI POST INFORTUNIO: TUTTO PARTE DA UNA NUTRIZIONE PERSONALIZZATA. INTERVISTA A STEPHEN SMITH, NUTRITION EXPERT DELL’APC

In che modo una dieta personalizzata migliora le prestazioni?

Le diete personalizzate allineano energia e macronutrienti alle esigenze di allenamento e gara. Supportano il recupero, migliorano le capacità di adattamento, preservano le funzioni immunitarie e garantiscono energia sufficiente. Durante la gara, un’alimentazione su misura previene disturbi glicemici e preserva l’energia e la lucidità mentale.

Può condividere un esempio in cui l’alimentazione ha fatto la differenza per un atleta?

Un atleta di resistenza soffriva di cali di energia e gonfiore a metà gara. L’apporto calorico era adeguato, ma la strategia durante la gara era irregolare, perché evitava bevande a base di carboidrati per problemi glicemici pregressi. Dopo sei settimane di “allenamento intestinale”, con aumento graduale dei carboidrati, uso di carboidrati a doppia fonte (glucosio + fruttosio), pasti pre-gara modificati e piano semplificato, l’atleta ha mantenuto livelli di energia costanti, ridotto i disturbi e migliorato le prestazioni.

Qual è il ruolo dell’alimentazione nel recupero dagli infortuni?

Il cibo è fondamentale per riparare i tessuti, tenere a bada l’infiammazione e conservare la massa muscolare durante la riduzione dell’allenamento. Le priorità devono essere: proteine distribuite uniformemente, micronutrienti per la sintesi del collagene (vitamina C, zinco, vitamina D), attenzione alla tempistica di assunzione dei nutrienti e allenamento di resistenza.

In che modo l’alimentazione influisce sulla concentrazione e sullo stress?

L’alimentazione, insieme al sonno, all’idratazione e alla gestione del carico, contribuisce a regolare lo stress. Livelli stabili di glucosio favoriscono miglior concentrazione e capacità decisionali.

Quali sono gli errori più comuni commessi dagli atleti?

Gli sbagli più frequenti sono un apporto energetico insufficiente, piani alimentari eccessivamente complessi con prodotti o integratori non testati, e consigli generici invece di piani fondati su dati individuali.

Infine, qualche consiglio per gli sciatori amatoriali o gli atleti invernali?

È sufficiente una semplice routine:

1. Colazione ricca di carboidrati e moderata in proteine tra 2 a 3 ore prima dell’attività.

2. Snack a base di carboidrati facili da consumare tra una discesa e l’altra.

3. Bere regolarmente: il freddo riduce la sete, non il fabbisogno di liquidi.

„L’alimentazione, oltre al sonno, regola i livelli di stress“

Stephen Smith

Specialista e campione assoluto di discesa libera e Super-G, Dominik Paris domina la velocità con una combinazione unica di potenza, tattica e controllo

Ci sono vittorie che da sole valgono un racconto. Come quelle di Dominik Paris, uno dei pochi sciatori ad aver domato tutte le discese più ambite e rispettate del circuito. Parlare con lui significa entrare in un universo unico, fatto di pareti verticali, velocità insostenibili e coraggio da vendere: doti indispensabili per spingersi oltre i propri limiti e diventare uno dei più grandi discesisti di sempre

Il jet delle nevi

Paris sfreccia in pista durante la discesa libera
maschile di Coppa del Mondo di sci alpino a Kvitfjell, Norvegia
Testo di Margherita Tizzi
Foto di Gabriele Seghizzi
„Amo mettere alla prova il mio fisico. Sono una persona che vive”

alla finestra di casa a Santa Valburga, Dominik Paris guarda la Val d’Ultimo. Della sua valle, silenziosa, riservata e resiliente, una delle più remote dell’Alto Adige, “il jet dello sci azzurro” ha preso identità, valori, passione e determinazione incrollabili, tanto che a 36 anni, con 19 successi come Peter Müller, è diventato il secondo discesista più vincente di sempre, dopo Franz Klammer. Il suo palmarès è impressionante: un titolo mondiale, una Coppa del mondo di supergigante e 50 podi con 24 vittorie in Coppa del mondo, competizione in cui vanta anche un altro primato. Risultati raggiunti senza mai avere paura. «C’è il rispetto del limite, quello sì, ed è fondamentale perché altrimenti rischi di farti male. Ma se hai paura non ti diverti e tiri il freno. Quando comincerò ad averne, significa che sarà arrivato il momento di smettere».

the red bulletin: Ricordi la tua prima volta sugli sci?

dominik paris: Più o meno a tre anni e mezzo quando mio papà, da maestro di sci e grande appassionato di questo sport, impartì a me e a mio fratello la prima di una lunga serie di lezioni. Mia mamma, che non sciava, fu obbligata a iniziare.

È stato amore alla prima discesa?

Assolutamente sì. Mi hanno raccontato che non volevo più andare all’asilo e, da allora, non ho voluto far altro che sciare.

Cosa ti afascina di questo sport?

I salti e le curve con certi angoli, la velocità e la tecnica, fondamentale per superare certi limiti, e ciò che si reputa infattibile. Inoltre, il poter giocare e mettere alla prova il proprio fsico.

A sei anni le prime gare e poi diversi successi giovanili, ma tra i 16 e i 18 anni ti sei allontanato dalle piste. Non esattamente. Il mio sogno, il mio obiettivo di arrivare in Coppa del Mondo era sempre lì, ma mi ero perso atleticamente. La scuola non riusciva a coinvolgermi, gli atleti meno bravi riuscivano a fare meglio di me e se gli amici mi chiamavano per fare un giro, beh, non dicevo mai di no.

Così, a 18 anni, per un’intera estate, ti sei arruolato come pastore in una malga svizzera, sul passo dello Spluga. Furono mesi duri, faticosi, ma mi allenai con costanza. Grazie a quella esperienza maturai e recuperai energie ed entusiasmo. Ero pronto a dedicarmi totalmente allo sci. Il lavoro e lo sport ti fanno crescere e rinascere.

Lo confermano i risultati: in due anni sei entrato in nazionale A e nel 2011 sei arrivato secondo a Chamonix in discesa libera, una disciplina che richiede coraggio. E un po’ di pazzia, diciamolo pure, ma ho capito subito che era la mia disciplina, perché in discesa non conta solo la bravura, la tecnica, ma la tattica. Devi saper leggere e interpretare il terreno di gara, scegliere la strada giusta, ovvero capire dove e quando andare più veloce per spingerti al limite e vincere.

Qual è la velocità massima che si raggiunge in pista?

Nel canalino Sertorelli, nella pista Stelvio di Bormio, 152 chilometri orari. Che bello! Ma non è la velocità in sé la cosa più complicata, bensì afrontarla su una superfcie ghiacciata senza margine di errore, magari con dossi, curve molto chiuse e salti molto lunghi. In una manche di due minuti concentri il lavoro e i sacrifci di anni.

Come si prepara a tutto ciò uno sciatore professionista?

Da aprile ad agosto, prima della stagione, faccio una grande preparazione atletica in palestra per prevenire gli infortuni e rinforzare quelle caratteristiche che mi permettono di adattarmi ai vari terreni di gara e alle nuove attrezzature, che richiedono sempre più resistenza. Dico sempre che se non lavori bene in estate –e se non hai un certo fsico – gli sci vanno con te, non tu con gli sci. Il primo test sugli sci è a settembre, quando, per un mese, ci ritiriamo nell’inverno sudamericano per mettere a punto tutti i dettagli tecnici e studiare le attrezzature in dotazione.

Quante sono?

Gli scarponi – il primo comando sullo sci –sono fatti a mano per rispettare la forma e la sensibilità del piede. Cerco di metterne a punto un paio a stagione; di riserva ho sempre quelli delle stagioni precedenti. Per quanto riguarda gli sci invece, ne testo sempre dodici paia da discesa e dieci da supergigante, di cui alla fne ne seleziono due. Anche qui, teniamo di riserva quelli degli anni precedenti.

Lo skiman è il tecnico specializzato nella manutenzione delle attrezzature da sci. Il tuo è Sepp Zanon: sta a lui intervenire su sciolinatura, lamine e soletta degli sci a seconda della disciplina e delle condizioni della neve. Una grande responsabilità.

Ci deve essere totale fducia tra lo sciatore e lo skiman. Tra noi due, se c’è qualcuno che sbaglia di più, quello sono io (ride, ndr).

Torniamo alle discese. Hai vinto dove conta: sulla Streif a Kitzbühel, sulla Stelvio a Bormio, sulla Kandahar a Garmisch. Manca qualcosa?

Punto ancora alla Birds of Prey di Beaver Creek e alla Lauberhorn di Wengen: una pista bella, lunga, impegnativa, che richiede capacità tecniche e di scorrevolezza uniche.

A proposito di tempo e ritmo, i Rise of Voltage (band musicale co-fondata da Paris, ndr) sono ancora attivi?

Certo, continuiamo a suonare e a divertirci. Siamo i soliti quattro amici della valle uniti dalla passione per la musica e per l’heavy metal. La sala prove è a casa mia e io sono sempre quello che urla (ride, ndr). Prima facevamo solo cover, soprattutto i Pantera.

Cosa ne pensi degli sciatori della domenica?

Gli sci sono come le automobili. Fino a pochi anni fa dovevi sapere guidare per metterti al volante, oggi le macchine vanno da sole. Allo stesso modo, quando ero giovane, un adulto faceva una settimana con il maestro prima di prendere una seggiovia da solo. Oggi, con le nuove attrezzature, in mezz’ora impari a curvare, ma non a sciare e diventa tutto più pericoloso. Occorre più rispetto, per il prossimo e per la montagna.

Instagram: @dominikparis

Le tappe del successo

Uno sportivo unico, un uomo autentico che mette un po’ di pazzia in tutto ciò che fa. Passione, sacrifici e record di un vero eroe nazionale

Dominik Paris sarà tra i protagonisti di “Downhill Skiers – Ain’t No Mountain Steep Enough”, il nuovo documentario diretto da Gerald Salmina. Girato fra il 2024 e il 2025 durante la stagione di Coppa del mondo e i Mondiali di Saalbach, il film racconta dall’interno la vita e le sfide dei grandi interpreti della velocità sugli sci, tra cui anche Marco Odermatt, Aleksander Aamodt Kilde e Cyprien Sarrazin

Gli esordi

Classe 1989, Dominik “Domme” Paris nasce a Merano e cresce in Val d’Ultimo. Grazie a suo padre, istruttore di sci, si innamora presto di questo sport e a sei anni, dopo la sua prima gara, capisce che allo sci dedicherà la sua vita. Le due vittorie al Trofeo Topolino segnano una tappa fondamentale del suo percorso e a soli 15 anni esordisce nelle gare FIS (Federazione Internazionale Sci e Snowboard).

La fotografia, che lo ritrae da bambino, è tratta dal suo archivio personale

Dominik Paris si esibisce con i Rise of Voltage, band heavy metal che ha co-fondato

La prima volta a Bormio

Tornato a casa, in meno di due anni Domme recupera i piazzamenti, entra a far parte della Nazionale italiana ed esaudisce il desiderio di una vita: gareggiare in Coppa del mondo. Nel 2011 arriva il primo podio in discesa libera, a Chamonix, e il 29 dicembre 2012 ottiene la prima di sei vittorie nella stessa disciplina a Bormio. Ancora oggi, Paris è il discesista più vincente della storia su uno stesso tracciato

Un passo nella storia

Con gli ultimi successi della stagione 2024/2025, Paris ha raggiunto quota 24 vittorie in Coppa del mondo, un numero che lo colloca al secondo posto nella graduatoria dei plurivincitori italiani, ex aequo con la leggenda Gustav Thöni, dietro solo ad Alberto Tomba

L’ascesa del mito

Vita da pastore

Tra i 16 e i 18 anni, nell’intento di arrotondare la paghetta settimanale, Paris cerca un impiego estivo, ma il lavoro da muratore e le serate con gli amici sottraggono tempo prezioso all’allenamento. I risultati non arrivano più: per uscire da questo vicolo cieco, si allontana da casa e si trasferisce tre mesi in una malga svizzera. Lì, come testimoniato dalla fotografia, fa il pastore e si allena con costanza, matura e ritrova l’entusiasmo perduto.

Nel 2013, “il jet delle nevi” – appellativo che sottolinea la sua velocità – vince sulla Streif a Kitzbühel ed è il primo italiano a riuscirci per ben altre due volte, nel 2017 e nel 2019. Sempre nel 2019, ai Mondiali di Åre, è medaglia d’oro nel supergigante; a fine stagione vince la Coppa del mondo di supergigante ed è secondo nella classifica della Coppa del mondo di discesa libera.

Nata a Brunico nel 1990, Dorothea Wierer ha esordito nella Nazionale italiana nel 2007. È la biatleta italiana più titolata
della storia e una
delle più vincenti al mondo

Metodo Wierer: come si allena un’icona

700 ore sugli sci, 300 al poligono e 20mila tiri.

Doro ci ha portato nel suo anno tipo, svelando programmi, strumenti e routine che l’hanno portata sul tetto del mondo

Dorothea Wierer è stata la prima italiana a conquistare la Coppa del mondo generale, la prima nel nostro Paese (e la terza al mondo) a vincere in ognuno dei sette formati di gara, la prima a portare il biathlon in prima serata davanti a milioni di telespettatori, trasformando una disciplina alpina di nicchia in un fenomeno popolare. Basterebbe questo elenco di primati a giustifcare gli appellativi di “regina” e “icona del biathlon”, ma c’è di più: con il suo modo di interpretare la gara, soprattutto al tiro, Wierer ha innovato il biathlon stesso, trasformando le soste al poligono in «pit stop di Formula 1» – per usare le parole del compagno di Nazionale Tommaso Giacomel – costringendo le sue avversarie a inseguirla su un terreno che fno al suo esordio era rimasto inesplorato. Dietro a questi risultati c’è sempre stato un lavoro quotidiano, meticoloso, fatto di ore in pista, al poligono, in palestra, in bicicletta che negli anni si è trasformato, adattandosi all’esperienza e all’età, fno a diventare un sistema calibrato al millimetro. Ne abbiamo parlato in una lunga intervista, in cui Doro ha risposto con precisione e ironia, le due qualità che l’hanno resa un personaggio pop oltre che un’atleta unica a livello mondiale.

the red bulletin: Dorothea, ho letto che ti alleni mille ore all’anno: 700 sul fondo e 300 al poligono. È tutto vero?

dorothea wierer: Tutto vero! Io e la mia squadra ci alleniamo in genere due volte al giorno, con uno o due giorni di riposo ogni tre settimane di carico. Le tre settimane di carico servono a simulare la stanchezza che proviamo nelle tre settimane di Coppa del Mondo, così quando gareggiamo il corpo è già abituato.

Come è strutturata la tua preparazione?

Cominciamo ad allenarci a maggio con un lavoro fsico di base e a bassa intensità, che prevede corsa, skiroll, tanta palestra, tantissima bicicletta, camminate nei boschi e ovviamente il poligono. Fino a fne giugno il tiro è separato dall’allenamento fsico, da luglio si parte con l’allenamento combinato e l’intensità sale. Facciamo allenamenti brevi ma duri, a volte di dieci minuti a ritmo gara, altre di trenta, altre di un’ora per abituare il fsico a… sofrire, diciamo. Questa routine va da maggio a fne ottobre, poi da novembre si va in Norvegia sugli sci.

Una curiosità: a novembre, in Norvegia, trovi sempre la neve?

Fino a qualche anno fa ci allenavamo sui ghiacciai, ma oggi è davvero difcile programmare gli allenamenti perché a volte sono messi bene, altri malissimo.

Ti capita spesso di allenarti o gareggiare su neve artifciale?

Purtroppo sì. La mia tecnica di sciata funziona meglio quando la neve è compatta, ma capita sempre più spesso di trovare neve artifciale, farinosa, in cui si sprofonda. Anche in Norvegia ormai tutti gli impianti conservano la neve degli anni precedenti per assicurarsi la Coppa del mondo e permettere lo svolgimento delle gare.

Il tuo marchio di fabbrica è la velocità e la precisione al tiro: quanti colpi spari ogni anno?

Parecchi, dai 15 ai 20mila.

E come alleni la precisione?

Lavoro tanto sulla posizione e sui movimenti: quando arrivi al poligono non devi pensare, devi fare e basta, e per rendere tutto un automatismo bisogna curare la posizione e ripetere tante volte gli stessi gesti: ti avvicini, sfli e imbracci la carabina, ti sdrai o aggiusti la posizione in piedi, respiri, prendi la mira, simuli il colpo. Così, migliaia di volte all’anno.

L’arrivo al poligono è uno dei momenti più critici e afascinanti della gara. Arrivi con 170, 180 pulsazioni e in pochissimi secondi devi essere rilassata. Come ci riesci?

Ci alleniamo per arrivare più afaticati possibile al poligono proprio per imparare a bloccare il respiro a ogni sparo. Una volta in posizione l’allenatore vede se muovi la pancia o il torace, ma tu – atleta – devi essere bravo a percepirti, a sentire le sensazioni che il corpo ti trasmette. Se senti tensione devi riuscire a eliminarla: il corpo cambia di anno in anno e a volte basta limare di qualche millimetro il calciolo della carabina per adattarla meglio. È anche una questione di testa: se nella gara precedente hai sbagliato qualcosa, modifchi il calciolo anche soltanto per dirti: ‹‹Ho fatto qualcosa per migliorare››.

„Ho ancora paura di fallire, ma sentire la pressione mi aiuta a dare il 110%“
Testo di Valerio Mammone

Le condizioni meteo sono spesso un’incognita: segui allenamenti particolari per gestire vento e visibilità ridotta?

Mi alleno all’aperto in tutte le situazioni: pioggia, vento, neve, freddo o caldo estremo usando fno a 50 tipi di sci diversi in base alle condizioni.

Dorothea ad aprile compirai 36 anni e ormai hai quasi 20 anni di training ad altissimo livello alle spalle. Il modo di allenarsi è cambiato in questi anni?

Sì, tanto. Quando ero più piccola, nei primi anni di Coppa del mondo, c’erano tre tipi di allenamento: bassa, media e alta intensità. Capitava spesso che il giorno della media intensità facessi alta intensità perché non c’era ancora un monitoraggio così capillare. Ci allenavamo sempre non dico “a manetta”, ma la maggior parte degli allenamenti era una vera e propria “tirata di collo” (ride, ndr) Con il tempo gli allenatori hanno avuto più informazioni per strutturare gli allenamenti. Negli ultimi anni ho cominciato ad allenarmi meno e in modo più mirato e a dare maggiore attenzione al recupero che alla mia età è fondamentale.

C’è qualcosa che facevi all’inizio della carriera e che poi si è rivelata essere completamente sbagliato?

Ah sì! Quando ero più giovane si beveva quasi solo acqua, oggi invece grazie agli studi sull’integrazione sappiamo che bere carboidrati durante la gara fa una diferenza enorme. Io la percepisco chiaramente: non so come abbia fatto per anni a stare senza.

Com’è il tuo rapporto con le gare?

Le vivi con ansia o con tranquillità?

Io ho sempre avuto paura di fallire e ancora oggi, prima di una gara, mi sento stressata e nervosa.

Come gestisci l’ansia?

Non la gestisco, parto e basta! Io la percepisco come negativa, ma credo che mi aiuti a sentire quella pressione che poi mi fa dare il 110 %.

Qual è il momento che ti spaventa di più?

Forse il tiro… L’ultimo poligono è sempre quello decisivo e lì la paura di sbagliare aumenta. C’è stato un periodo in cui sbagliavo sempre l’ultimo colpo.

Dorothea Wierer al lavoro con lo skiroll, attrezzo chiave della preparazione primaverile ed estiva

E come ti sei ripresa?

Ho cominciato a sparare dal bersaglio opposto per rompere l’automatismo.

Il biathlon è uno sport in cui spesso ci si allena in gruppi misti: chi è stato il tuo mentore?

Nel mio percorso ho avuto la fortuna di incontrare tante persone importanti, fn da quando ero bambina. Quando ho cominciato ero un po’ “pigretta”: riuscivo bene ma preferivo stare con gli amici piuttosto che faticare. I miei allenatori hanno trovato la chiave giusta per motivarmi, sfdandomi. Quando c’è aria di sfda, io mi attivo: ancora oggi è così.

A proposito di sfde: ultimamente hai parlato spesso di ritiro, forse la sfda più difcile da afrontare. Come ti fa sentire?

Sono un po’ spaventata, anche perché il biathlon è stata tutta la mia vita. Quando succederà, però, cercherò di non darlo a vedere. Come in ogni vittoria o sconftta, spero che riuscirò a tenere le mie emozioni per me.

Instagram: @dorothea_wierer

Battiti sotto tiro

L’ECG sotto sforzo di Dorothea Wierer, che vediamo qui illustrato, mostra il picco di pulsazioni prima del poligono e la rapida riduzione dei battiti cardiaci ottenuta con la respirazione: un momento decisivo per centrare il bersaglio

Per affinare la precisione al tiro ed eseguire i gesti in modo automatico, Wierer ripete centinaia di volte la sequenza che va dall’ingresso al poligono alla simulazione del colpo

Ingresso al poligono

L’attimo che fa la differenza

Il grafico mostra una sessione di allenamento con quattro serie di tiro: due prone e due standing. In questa prova Wierer tocca i 178 bpm; nella quarta sequenza picco–valle si registra una riduzione di 21 bpm, calo che, come spiega nell’intervista, è decisivo per stabilizzare il respiro e tirare con precisione.

„Sbagliavo sempre l’ultimo tiro: per rompere l’automatismo, ho iniziato a sparare dal bersaglio opposto“
„Quando arrivi al poligono non devi pensare a niente: devi fare e basta“

In palestra Wierer fa due sedute settimanali di forza, fondamentali per sprigionare potenza negli sprint finali

VINTAG E

All’inizio del Novecento, quando lo sci cominciò a diffondersi lentamente dalla Norvegia all’Europa centrale, fu subito chiaro che sulle Alpi sarebbe servito un attacco più stabile rispetto alle pianure nordiche, dove si praticava soprattutto lo sci di fondo, che prevede molte meno sollecitazioni dello sci alpino. Una delle prime soluzioni fu il cosid -

detto modello Kandahar, con ganasce in acciaio, cinghie di cuoio e un cavo metallico (in foto, il primo modello Tyrolia del 1949). Il sistema a molla garantiva una minima protezione dalle cadute più violente, ma era ancora ben lontana la sicurezza degli attacchi moderni.

ODa prodotto artigianale a capolavoro hi-tech: ecco come è cambiata l’attrezzatura da sci dal 1930 a oggi

1969 (CIRCA)

Fino agli anni Sessanta la testa degli sciatori e delle sciatrici era protetta solo da un berretto di cuoio e gli atleti non erano nemmeno obbligati a usarlo. Nella foto vediamo un casco da sci Gamet Genoski di fine anni Sessanta, in resina epossidica non rifinita

e rivestito in lino per ridurre la resistenza all’aria. L’imbottitura consisteva in uno strato di cotone: il comfort praticamente non esisteva. Il cinturino, in cuoio e lino, si chiudeva con una fibbia metallica.

OU V A G

Duro all’esterno, morbido all’interno: i moderni caschi da sci sono ancora costruiti secondo gli stessi principi di quelli di prima generazione, ma non sono minimamente paragonabili. Un casco da gara come l’Atomic Redster WC offre una protezione completa dagli urti grazie a un’ampia zona di assorbimento, che rende l’impatto molto meno traumatico. Anche il comfort è stato affinato: il casco si modella sulla testa e l’imbottitura interna è in morbida lana Merino.

PIONIERIIN CUO IO

1930 (CIRCA)

Negli anni Trenta i calzolai avevano già iniziato a realizzare scarponi da montagna con suole lisce, sostituendo ai tradizionali chiodi un profilo in ottone che collegava la tomaia alla suola. Rispetto ai modelli attuali, gli scarponi da sci di allora erano bassi e offrivano un sostegno limitato. La tomaia era in cuoio, resa impermeabile con olio

di catrame di betulla. Il costo era alto, più o meno un mese di stipendio di un operaio. L’esemplare raffigurato appartiene oggi alla collezione del Museo degli sport invernali di Mürzzuschlag (Austria).

2025 VAN DEER PRO BOOT

Il collegamento tra scarpone e sci deve essere perfetto. Oggi i produttori possono contare su materiali e tecnologie d’avanguardia, come dimostra il Pro Boot di Van Deer. Derivato dallo scarpone da gara di Coppa del Mondo di Marcel Hirscher,

è progettato per garantire le massime prestazioni. La calzata nasce dall’analisi di centinaia di migliaia di forme del piede, mentre il liner interno si adatta alla pianta in pochi minuti. Anche la suola è frutto di un’innovazione mirata: grazie al Grip Force Lifter, appositamente

CUCITIAMANO

1930 (CIRCA)

Questi occhiali da sci sono tra i primi modelli ideati dal tedesco Philipp M. Winter all’inizio degli anni Trenta. Le lenti in celluloide, materiale plastico allora innovativo, venivano cucite a mano e rifinite lungo i bordi con un nastro di tessuto rivestito di pelliccia, per proteggere la pelle dal contatto diretto con la

plastica fredda. Negli anni Sessanta sarà il figlio Rainer a trasformare l’attività di famiglia in un marchio conosciuto in tutto il mondo, introducendo il nome uvex. Il modello aveva piccoli fori laterali per la ventilazione e un cinturino in elastico intrecciato, regolabile grazie a una chiusura metallica.

FULL MIR ROR

2025 UVEX VICTORIOUS FM

Quasi cent’anni dopo, gli occhiali da sci sono irriconoscibili, come dimostra questo nuovo modello: gli uvex victorius FM completamente specchiati offrono un campo visivo completo e la massima protezione dai raggi UVA. La doppia lente Full Mirror con trattamento anti­

appannamento impedisce la formazione di condensa, mentre il cinturino in silicone da 50 mm garantisce una tenuta sicura. A differenza dei vecchi modelli che potevano stringere e dare fastidio, oggi la montatura è flessibile e non esercita alcuna pressione sul naso.

Piacere, Italia!

Regine del freeski, leggende della tavola, assi del freestyle, eroi intramontabili e icone di stile: ecco i 22 atleti internazionali più interessanti da seguire nella prossima stagione invernale

In volo: Mathilde Gremaud (Svizzera) sciatrice freestyle, al Red Bull Performance Camp di Saas-Fee
Testo di Werner Jessner

Anna Gasser

AUSTRIA, 34, SNOWBOARD, BIG AIR E SLOPESTYLE. Da 15 anni, l’atleta originaria della Carinzia è una delle snowboarder di maggior successo al mondo.

LA PRIMA VOLTA

«Prima di eseguire un nuovo trick per la prima volta, come il Cab 1200 dello scorso anno (partenza in switch, tre rotazioni e mezzo), lo ripasso centinaia di volte nella mia testa. Devo sentirmi pronta al 100%! Sono comunque tesa, ma appena parto entro nel tunnel. Subito dopo lo stacco, se ho la stessa sensazione che avevo provato prima sul trampolino, capisco subito se il salto è buono. Poi, appena atterro, l’adrenalina scende e le mani iniziano a tremare».

CANADA, 31, SNOWBOARD, SLOPESTYLE E BIG AIR.

Uno degli snowboarder di maggior successo e più determinati del momento. Il suo motto è: “Affronta ogni gara col sorriso”.

A MENTE LUCIDA

Come alleni la mente?

Con la visualizzazione.

Penso: «Cosa voglio, dove voglio essere, qual è il mio obiettivo?» e mi proietto in quell’immagine. E poi pratico la gratitudine, ricordando a me stesso quanto sono fortunato del fatto che sto bene e quanto è bello poter fare ciò che faccio. Questo mi aiuta anche ad affrontare i momenti di difficoltà dopo un infortunio.

Usi tecniche particolari?

Respiro, visualizzo e scrivo: sia gli obbiettivi, che ciò per cui sono grato.

Quanto spesso lo fai?

Non tutti i giorni, ma con una certa regolarità. Faccio anche yoga e alleno le tecniche di respirazione con vari professionisti. Cosa faccio esattamente dipende dal tipo di allenamento. Alcuni giorni mi concentro sull’allenamento fisico, altri su quello mentale. A volte sono in palestra, altre sulla neve, altre ancora sono nella mia testa e provo a visualizzare le serie di trick, le sensazioni che provo, come dovrebbe essere l’atterraggio, ma anche come mi sento dopo che ho finito.

Eileen Gu

CINA, 22, SCI, HALFPIPE E SLOPESTYLE. Nata negli Stati Uniti, Eileen ha iniziato a gareggiare per la Cina nel 2019. Accanto alla sua carriera da sciatrice, è anche modella e attivista per i diritti civili.

Mark ha vinto la sua prima medaglia d’oro a un grande evento nel 2012 e, da allora, ne ha ottenute altre 11

UN MODELLO DA SEGUIRE

„Non bisogna scegliere tra forza e femminilità, tra delicatezza e vigore. Lo voglio dimostrare alle giovani donne che possono essere tutto ciò che vogliono, sempre“

Con un seguito di 2 milioni di follower solo su Instagram, Eileen Gu è un modello per le nuove generazioni

Vinzenz Geiger

GERMANIA, 28, COMBINATA NORDICA. Il vincitore in carica della Coppa del mondo è nato a Oberstdorf, cuore pulsante dello sport invernale tedesco.

IL MIO OBIETTIVO? DA CACCIATORE A PREDA

„Dopo il salto raramente sono in testa alla classifica per cui devo recuperare posizione nello sci di fondo. Quando poi finalmente riesco a prendere il comando, la pressione su di me sale e divento io quello da inseguire. Questa cosa mi piace un sacco!“

Vinzenz non si innervosisce facilmente, nemmeno quando deve lottare per arrivare in cima alla classifica

Marcus Kleveland

NORVEGIA, 26, SNOWBOARD, SLOPESTYLE E BIG AIR. Il norvegese Kleveland ha già ottenuto 10 medaglie d’oro: due nei campionati mondiali e otto negli Winter X Games.

CAMBIO DI STRATEGIA E MENTE FRESCA

Nemmeno il chirurgo più esperto aveva mai visto una lesione al ginocchio del genere. Dopo una caduta in allenamento a dicembre 2018, Markus descriveva così la sua rotula: «Una manciata di cornflakes spappolati». Quasi nessuno riteneva possibile un eventuale ritorno, nemmeno lontanamente. Al massimo, un giorno, una discesa in compagnia di qualche amico. Ma Markus puntava a traguardi molto più ambiziosi e, da allora, ha lasciato in secondo piano le gare

per concentrarsi solo sul recupero, qualunque fosse la prognosi. Con questa determinazione, Markus è riuscito a tornare in cima alle classifiche mondiali in un anno. Cosa lo ha spinto? «Non c’è nulla che ami di più al mondo dello snowboard», afferma oggi. Cosa ha imparato da tutto questo? «Devo essere concentrato e pronto per qualsiasi sfida».

Nel blu dipinto di blu: Markus Kleveland torna a volare dopo un brutto infortunio

„Se il salto è perfetto, tutto è perfetto“

SVIZZERA, 25, SCI, SLOPESTYLE E BIG AIR. La sciatrice freestyle vive a Innsbruck (Austria) con la sua compagna Vali Höll, pluricampionessa mondiale di downhill.

LA STABILITÀ È LA MIA FORZA

«Da atleta vivo per il successo, mentre come persona cerco solo la normalità. Stare sotto i riflettori può essere bello, ma è anche molto stressante. Talvolta lo è anche il silenzio di casa subito dopo una gara. Col tempo ho imparato a non identificarmi unicamente in ciò che faccio. Quando corpo e mente si completano a vicenda succedono cose meravigliose e questo vale come atleta ma anche come persona».

Ryōyū Kobayashi

GIAPPONE, 28, SALTO

CON GLI SCI. Ha vinto

tutto ciò che poteva vincere e con i suoi

291 metri detiene il record di distanza (non ufficiale) di salto dal trampolino.

„SONO

UN SEMPLICE RAGAZZO GIAPPONESE“

È così che si definisce Ryōyū Kobayashi.

«Sono appassionato di moda, auto da corsa, e mi piace la musica. Se posso, cerco sempre di frequentare persone che non fanno parte del mio mondo. Imparo molte più cose da designer, rivenditori di auto sportive o musicisti. E oltre ad ampliare i miei orizzonti, sono convinto che mi aiuti anche a diventare un saltatore più completo».

Icona di stile, Ryoyu Kobayashi trova ispirazione dalla moda e dal rap

CANADA, 22, SNOWBOARD, SLOPESTYLE E BIG AIR. Campione del mondo in carica e vincitore della Coppa del mondo di slopestyle nella stagione 2023/24, Liam è quello da battere.

UN ALLENAMENTO INSOLITO

PT. 1: NESSUN LIMITE MENTALE

Originario dell’Ontario, la sua carriera di atleta vanta anche numerose gare professionali di wakeboard. «Questi due sport si arricchiscono a vicenda», afferma, «oltre a essere molto simili». Ma si può dire lo stesso del terzo sport che ha praticato in passato a livello agonistico, la breakdance? «Trick in sequenza, proprio come nello slopestyle!».

Wakeboard e snowboard: per Liam, due mondi che si ispirano a vicenda

Jesper Tjäder

SVEZIA, 31, SCI, SLOPESTYLE E BIG AIR. Attivo nel circuito AFP World Tour dal 2011, ama dare vita a salti e trick spettacolari in location mozzafiato.

SPAZIO ALLA CREATIVITÀ

„Con progetti come l’Open Rail Loop (qui a destra), realizzo sogni e idee che mi perseguitano anche per anni“

Kirsty Muir

GRAN BRETAGNA, 21, SCI, SLOPESTYLE E BIG AIR. L’atleta scozzese è una delle grandi promesse del futuro del freeski. Rientrata dall’infortunio al ginocchio, è pronta a risalire in vetta.

UN ALLENAMENTO INSOLITO PT. 2: LASCIA CORRERE

Durante la riabilitazione dall’incidente, il talento britannico ha scoperto una nuova disciplina, la mountain bike: «Mi sono sempre piaciuti gli sport adrenalinici, ne sento proprio il bisogno! D’estate monto volentieri sulla mia mountain bike elettrica, che sulle colline scozzesi è di grande aiuto! E poi, il flow, la velocità e l’adrenalina sono come nello sci».

SVIZZERA, 28, SCI ALPINO. Il campione svizzero è il re indiscusso della scorsa Coppa del mondo e occupa già il sesto posto nella classifica dei migliori di tutti i tempi.

„Se

hai lavorato duro in estate,

poi

in stagione è tutto più facile“

Per la superstar svizzera, la sua potenza in pista deriva da una preparazione pre-stagionale molto varia

COME

RICARICARE LE BATTERIE PER L’INVERNO

Terminate le gare, Marco si rifugia nel suo mondo fatto di eliski in Alaska, uscite in barca sul lago dei Quattro Cantoni, passeggiate sulle Alpi Svizzere e serate alla gola di Risleten. «Distrarsi è importante» ci dice, ma il duro lavoro è la base di tutto, e per lui questo significa bicicletta da corsa e sessioni in palestra. L’obiettivo è prendere un chilo in più ogni anno... e un po’ di forza in più. «Se hai lavorato duro in estate, poi in stagione è tutto più facile. Se ti sei rilassato troppo, paghi le conseguenze».

In estate, Marco Odermatt si concede anche la neve allo stato liquido, cavalcando le onde con la sua tavola da surf

GIAPPONE, 29, SALTO CON GLI SCI. È una delle saltatrici con gli sci di maggior successo al mondo e, con le sue 63 vittorie in Coppa del mondo, non ha davvero alcun rivale.

LA PERFEZIONE È

«Cerco costantemente la perfezione, perché c’è sempre qualcosa che non va come dovrebbe. Se voglio fare qualcosa di nuovo, prima lo provo in allenamento: una posizione più stretta degli sci in fase di rincorsa, la direzione dello sguardo... Dettagli piccolissimi ma strettamente connessi tra di loro per una buona performance. Poi, ogni trampolino è a sé. Con alcuni mi trovo meglio, altri meno, e l’approccio è sempre diverso».

Kjeld Nuis

PAESI BASSI, 35, PATTINAGGIO DI VELOCITÀ. Cinque vittorie in Coppa del mondo generale, 35 vittorie individuali e due record mondiali: il pattinatore di Leiden non ha rivali nei 1000 e nei 1500 metri.

ULTIMA CURVA, CUORE AL MASSIMO

Il pattinaggio di velocità è sport nazionale nei Paesi Bassi e Kjeld ne è sicuramente il re. Più volte nominato atleta dell’anno e insignito a titolo di cavaliere, vanta una storia di successi decennale. Qual è il segreto? Durante una puntata del podcast “Mind Set Win” ci ha confidato: «La passione è la base di tutto e va coltivata giorno dopo giorno, anche in allenamento. Perché col tempo, è la costanza a fare davvero la differenza, più del talento».

Il re del ghiaccio olandese, Kjeld Nuis, ama la velocità più di ogni altra cosa

Clément Noël

FRANCIA, 28, SCI ALPINO. Lo slalomista francese conquista il pubblico con il suo stile aggressivo. Nella vita privata, invece, Clément è molto più pacato e trova il suo equilibrio nel golf.

UN ALLENAMENTO DA PROFESSIONISTA

I consigli del vincitore della Coppa del mondo di slalom, per divertirsi e dare il meglio di sé

1. Mobilità

«20 minuti di preparazione muscolare: inizia con un auto-massaggio, magari con un rullo, poi passa allo stretching classico, soprattutto alla zona dei fianchi. Infine, usa una fascia elastica attorno alle gambe e cammina lateralmente, 10 passi in una direzione e 10 nell’altra».

2. Potenza ed esplosione

«40 minuti di: equilibrio su una gamba sola su una superficie instabile, flessioni con torsione laterale, squat con bastone da tenere sollevato sopra la testa, e infine Dragon Flag per gli addominali, da eseguire sdraiati sollevando le gambe in alto».

3. Coordinazione

«Esegui piccoli salti da una gamba all’altra, aumentando la difficoltà con altezze differenti e ginocchia sollevate a ritmo. Puoi farli anche tra un esercizio di potenziamento e l’altro».

4. Defaticamento

«Il classico “scarico” al termine di un allenamento. In inverno è già tardi per sviluppare una resistenza di base, ora servono 20-35 minuti di defaticamento leggero per mantenerlo».

Kjeld non è solo famoso per le numerose vittorie conquistate negli anni, ma anche per le sue imprese fuori dal comune. Indimenticabile il suo record mondiale del 2022 in Norvegia, quando ha raggiunto i 103 km/h con i suoi pattini, seguendo la scia di un’auto. «Amo l’adrenalina», disse all’epoca con entusiasmo, «le cose più spaventose sono anche le più belle!».

Cosa teme una leggenda?

„Farmi travolgere dalla tensione“

I tre pilastri di Noël sono equilibrio, potenza e mobilità

Tess Ledeux

LASCIARSI ANDARE

„La creatività è fondamentale. Abbiamo la fortuna di praticare uno sport ad alto impatto visivo. Sciare è il mio modo di esprimermi, di sfogare la mia rabbia, la mia tristezza... ma è anche gioia ed energia vitale“

FRANCIA, 23, SCI, SLOPESTYLE. Dalle Coppe del mondo, ai campionati mondiali, agli Winter X Games, la cugina della leggenda del freestyle
Kévin Rolland è sempre in prima linea.

Su Yiming

CINA, 21, SNOWBOARD, SLOPESTYLE E BIG AIR. Nel 2021 fu il primo snowboarder cinese a salire sul podio in una Coppa del mondo e quello è stato solo l’inizio.

UN MODELLO PER IL SUO PAESE

«I miei genitori mi hanno portato in montagna per la prima volta a soli quattro anni: lì mi sono innamorato dello snowboard. Nei miei primi anni di vita ho anche fatto recitazione e credo che questo mi abbia aiutato a essere chi sono oggi. Nella prossima stagione invernale darò il meglio di me. E mi divertirò ancora di più. Perché è così che si fa nello snowboard».

STATI UNITI, SCI, SLOPESTYLE E BIG AIR. A soli 17 anni è diventato campione del mondo juniores e vincitore della Coppa del mondo generale di slopestyle, dominando la scena dal 2016.

SPORT E ARTE SI FONDONO

„Sciare è un modo per esprimersi. Sulla neve siamo liberi di fare ciò che vogliamo, di creare vere e proprie opere d’arte a ogni trick“

Birk Irving

STATI UNITI, 26, SCI, HALFPIPE, SLOPESTYLE E BIG AIR. Cresciuto in Colorado, ha realizzato il suo primo 360 a soli cinque anni. D’estate ama pescare e andare in mountain bike.

AVERE PAURA FA BENE

Nipote dello scrittore cult John Irving (“The Last Chairlift”) e figlio di una sciatrice, Birk ha passato la sua intera infanzia negli snowpark. «Il mio allenatore mi mandava in pista anche quando nevicava e di quei sacrifici raccolgo i frutti ancora oggi. Il mio stile è selvaggio e creativo. Nel freestyle la progressione non ha limiti, crescere e migliorarsi è tutto. Avere paura fa bene, così come sentire la tensione. Anche per questo amo le gare».

Un salto da incorniciare: star del freeski, Mac Forehand
nato e cresciuto nelle pianure del Connecticut

chiudendo il suo primo 2340 in una gara.

snowboard agonistico e a 19 diventa una leggenda

esegue il suo primo Backside 1089, a 12 entra nello

GIAPPONE, 20, SNOWBOARD, BIG AIR. A 9 anni

Hiroto Ogiwara

ribaltato.

mento. Il mondo dello snowboard si è – letteralmente –

e mezzo, nonostante si fosse rotto l’avambraccio in -allena

snowboarder a chiudere un 2340, ovvero sei rotazioni

attenzione», esclama il commentatore, «quest’uomo arriva dritto sulla luna». Ed è andata proprio così. Hiroto è il primo

Aspen, Colorado, gennaio 2025. «Torre di controllo, fate

IL GIORNO IN CUI

Ester Ledecká

REPUBBLICA CECA, 30, SNOWBOARD E SCI

ALPINO. Atleta a 360°, Ester ha vinto gare di Coppa del mondo sia con lo snowboard che sugli sci.

„Sono molto più testarda degli altri e insisto finché non divento davvero brava. È così che ho imparato a fare la giocoliera o a camminare sulle mani“

Per Maddie, portare a termine qualcosa è una soddisfazione inspiegabile

Maddie Mastro

STATI UNITI, 25, SNOWBOARD, HALFPIPE E SLOPESTYLE. Sulle piste da sci dall’età di 6 anni, l’atleta californiana appartiene a una nuova generazione di snowboarder.

COSA PENSA PRIMA DEL SALTO

«Il mio Double Crippler (doppio backflip con rotazione all’esterno) fu il primo a essere eseguito in gara da una donna. Era forse la quinta volta che provavo il trick e me la stavo facendo sotto dalla paura. Quando poi ce l’ho fatta, ho sentito una scarica di adrenalina pazzesca. Ciò che prima temevo, ora lo amo».

Campionessa completa, Ester batte tutti sia sulla tavola che sugli sci

Scotty James

AUSTRALIA, 31, SNOWBOARD, HALFPIPE E SLOPESTYLE. Il campione di snowboard australiano vive in Canada ed è sposato con Chloe Stroll, sorella del pilota di Formula 1 Lance.

Direttore responsabile

Andreas Kornhofer

Direttore editoriale

Andreas Rottenschlager

Caporedattore

Stephan Hilpold

Editorial Project Manager

Valerio Mammone

Head of Content

Francesco Marinelli

Direzione creativa

Erik Turek (lead), Kasimir Reimann

Design grafico

Marion Bernert-Thomann, Kevin Faustmann-Goll, Carita Najewitz

Redazione fotografica

Eva Kerschbaum (lead), Marion Batty, Rudi Übelhör

Coordinatrice editoriale

Marion Lukas-Wildmann

Managing Editor Ulrich Corazza

Editors

Delphine Rea, Marco Surace

Publishing Management

Sara Car-Varming (lead), Hope Elizabeth Frater

Advertising Sales

Franz Fellner

Stampato da Quad/Graphics Europe Sp. z o.o., Pułtuska 120, 07-200 Wyszków, Polonia

Produzione

Veronika Felder (lead), Martin Brandhofer, Walter O. Sádaba, Sabine Wessig

Litografia

Clemens Ragotzky (lead), Claudia Heis, Nenad Isailovic, Josef Mühlbacher

Finanza

Žiga Balič, Simone Kratochwill, Tobias Steiner

Assistente al General Manager

Sandra Stolzer

General Manager, Red Bull

Media House Publishing

Stefan Ebner

Sede redazione

Am Grünen Prater 3, A-1020 Vienna Tel.: +43 1 90221-0; redbulletin.com

Publicato da Red Bull Media House GmbH, Oberst-Lepperdinger-Straße 11–15, A-5071 Wals bei Salzburg, FN 297115i, Landesgericht Salzburg, ATU63611700

Amministratori delegati

Dietmar Otti, Christopher Reindl, Marcus Weber

Basic direction Entertainment

BUONI AMICI, GRANDI RISULTATI

Scotty ricevette il suo primo snowboard all’età di tre anni, un modello decorativo di 80 cm che suo padre aveva visto nella vetrina di un negozio a Vancouver. Ciò che è successo dopo è storia. «Mi sono sempre circondato di persone con visioni simili alla mia e in tutti questi anni nessuna di loro mi ha mai detto: “Non riuscirai mai a raggiungere gli obiettivi che ti sei prefissato”».

Red Bull Media House GmbH stampa, pubblica e distribuisce riviste come The Red Bulletin. Red Bull Media House GmbH è una media company internazionale che produce, pubblica e distribuisce contenuti a stampa, audiovisivi e multimediali legati al mondo Red Bull nei settori dello sport, della cultura, dello stile di vita e dell’entertainment premium. Red Bull GmbH e Red Bull Media House GmbH sono membri della Camera di Commercio austriaca. L’autorità di vigilanza competente – anche per la licenza di Red Bull TV – è la Kommunikationsbehörde Austria presso la Rundfunk und Telekom Regulierungs-GmbH. Le leggi applicabili includono, tra le altre, l’Österreichische Gewerbeordnung (Legge austriaca sul commercio) e l’AMD-G.

LUCAS PINHEIRO BRAATHEN

La sua forza? Il desiderio di scoprire il mondo. Da quando è tornato sulle piste da sci, Lucas Pinheiro Braathen ha deciso di trasferirsi in un appartamento a Milano, dove moda e design sono di casa, così come il buon cibo. Oggi l’atleta norvegese-brasiliano ci porta a spasso per la sua nuova città.

Una vita a tutta velocità: la stella dello sci Lucas Pinheiro Braathen
attraversa Milano a bordo della sua
Honda Zoomer NPS50
Testo di Stephan Hilpold Foto di Mark Clinton Styling Julie Wozniak Hair and Make up Anna Maria Negri

Perché non iniziare proprio dal suo letto? Robusto, imponente e scintillante come un’astronave. „Avevo davvero bisogno di un letto in cui svegliarmi e sentirmi a casa“, spiega Lucas Pinheiro Braathen. Non i classici (e anonimi) letti da hotel o da appartamento su cui è costretto a dormire durante la stagione sciistica. No, qui a Milano Braathen voleva un letto che fosse unico nel suo genere.

Nato nel 2000 a Oslo, in Norvegia, da madre brasiliana e padre norvegese, Braathen gareggia oggi per il Brasile dopo aver iniziato con la Nazionale norvegese

Braathen è specialista di slalom speciale e slalom gigante. Nel 2024 ha ottenuto la prima storica medaglia per il Brasile, festeggiata con una samba sul podio

ALLENAMENTO:

CERESIO 7 GYM & SPA

Il giorno del nostro incontro, Lucas ha iniziato con una sessione di Interval Training, seguita dal suo allenamento abituale. Il suo obiettivo? Darsi più stimoli possibili

Un letto in acciaio inox. «Un mostro brutalista», scherza Lucas Pinheiro Braathen, lanciando uno sguardo complice a Francesco Zorzi, con cui ha disegnato questo pezzo unico per il suo appartamento nel centro di Milano. Francesco è uno dei tre fondatori di NM3, studio di design milanese che ha conquistato il pubblico con i suoi arredi in acciaio inox. La sua popolarità è esplosa quando Fear of God, celebre marchio streetwear di Los Angeles, ha acquistato alcuni degli iconici sgabelli ideati dai suoi designer e presto divenuti il prodotto di punta dello studio. Francesco è originario di Madonna di Campiglio, in Trentino, una località che Braathen conosce bene avendo disputato qui molte gare di Coppa del mondo. «Non abbiamo in comune solo lo sport», racconta Francesco, «ma anche la passione per il design». Poi aggiunge una frase destinata a riecheggiare per tutta la torrida giornata milanese: «Non c’è nessun altro atleta con lo stesso gusto e lo stesso stile di Lucas». Considerato dai media un brillante showman e intrattenitore, Braathen è stato ribattezzato Bird of Paradise (uccello noto per il suo piumaggio variopinto e il comportamento stravagante, ndr). Forse non sono riusciti a trovare una defnizione migliore di questa per

inquadrare questo sciatore di venticinque anni che, dopo aver vinto la Coppa del mondo di slalom con la Norvegia nella stagione 2022-23, ha lasciato a sorpresa le competizioni per poi tornare a gareggiare con il Brasile. O forse è stato Braathen stesso ad attirarsi questo soprannome con le sue battute sopra le righe, le unghie laccate, la passione per le gonne e i bermuda extra large. Quel che è certo è che Bird of Paradise è un’etichetta superfciale per un atleta e un personaggio così poliedrico, per il quale lo sport, da solo, non è mai stato abbastanza.

Limitarsi a osservare Braathen sulle piste da sci di tutto il mondo, durante gli allenamenti e le conferenze stampa, è riduttivo. Lì si rivela il perfezionista della tecnica: un atleta esplosivo che combatte fno all’ultima frazione di secondo. Ma per capire davvero i tratti

distintivi di questo giovane atleta e le sue fonti di ispirazione bisogna seguire le tracce del Lucas appassionato di moda, collezionista di mobili, DJ e amante dell’arte. E quale luogo migliore per scoprirlo se non Milano? «Amo tutto di questa città», aferma Braathen socchiudendo gli occhi sotto il caldo sole milanese della tarda mattinata. Ci troviamo nel suo bar preferito, il Bar Paradiso in Via Gerolamo Tiraboschi, dove è possibile assaporare i carciof della piccola Azienda Agricola Fratepietro: «Sono i migliori che si possano mangiare a Milano», dice entusiasta. Braathen ha deciso di trasferirsi nella capitale del business e della creatività subito dopo la Coppa del mondo di sci, tenendo comunque come residenza principale Altenmarkt, in Austria, ma sempre lontano dalla Norvegia, paese di origine del padre, e dal Brasile, di cui è originaria la madre. «La mia vita è sempre stata un viaggio continuo», dice, «ma ora voglio vivere nei luoghi in cui mi sento davvero a casa».

I suoi genitori si separarono quando era ancora piccolo; da allora ha sempre vissuto tra due paesi e due culture. Il papà lo mise per la prima volta sugli sci a quattro anni, in Norvegia. «Odiavo sciare e inventavo qualsiasi scusa per non scendere in pista». A San Paolo, invece, dava spettacolo con il pallone regalatogli dalla madre. «In Brasile ero il gringo, ma in campo non conta che aspetto hai, da dove vieni o come ti vesti».

un allenamento

LUCAS PINHEIRO BRAATHEN
Fra
e l’altro, Lucas non tralascia mai le sue passioni

DESIGN: STUDIO NM3

Laboratorio creativo, spazio espositivo o studio fotografico: Lucas si ferma a salutare i suoi amici dello studio di design NM3, il cui prodotto iconico è lo sgabello in acciaio inox (visibile qui in foto)

LA CUCINA ITALIANA E IL BAR PARADISO
Uno spuntino di qualità: i carciofi e i pomodori secchi del Bar Paradiso arrivano dall’Azienda Agricola Fratepietro. I migliori, secondo Lucas
Lucas ha una missione: portare un tocco di colore nel mondo
dello sci e dimostrare che i suoi protagonisti hanno personalità e storie diverse. Secondo Braathen, lo sci ha un potenziale enorme: la sua schiettezza potrebbe incoraggiare anche altri atleti ad aprirsi di più, e a renderlo più variegato.

MODA: LUCAS, IL DESIGNER

La vita di Lucas senza la moda? Impensabile. La sua passione è fare il designer a tutto tondo. Sia Moncler (che ha sede proprio a Milano), sia Oakley lo hanno coinvolto nelle loro fasi di progettazione. Qui potete vedere uno degli outfit creati da lui per il nostro servizio

Scappare...

Per la prima volta, in Brasile, Braathen si sentì accettato e compreso. A otto anni decise di dare nuovamente una chance allo sci, integrandosi fn da subito nello sci club di Bærum. Da allora, la sua vita è stata un continuo alternarsi tra piste e viaggi, sempre in mezzo a persone nuove e provenienti dalle culture più disparate. «Mi piaceva quella vita», racconta Lucas, addentando un altro carciofo dal piattino, «ma ero sempre in fuga». In fuga? Sì, conferma Braathen: «Fuggivo da me stesso. Cercavo di integrarmi nei gruppi, di adattarmi. E non mi rendevo conto di ciò che contava davvero per me». Chiede se sappiamo cosa sia la “Legge di Jante”. Nei paesi scandinavi è un’espressione che descrive una serie di regole e comportamenti non scritti, che promuovono l’uguaglianza e la modestia all’interno della comunità. «Sentirsi diversi e speciali non è ben visto», spiega Lucas lasciandosi scappare queste parole: «Ma io sono diverso, sono un individualista!». E a parlare è forse il suo lato sudamericano, che ci riporta ancora una volta a Milano.

Un’enorme scrivania in acciaio inox occupa tutto il piano terra dello studio di design NM3, articolato su due livelli e situato in via Carlo Farini, a Milano Nord. Dopo lo spuntino al Bar Paradiso (dove ritroviamo i portabottiglie ideati da NM3), Braathen va a trovare il suo amico Francesco, la mente creativa dei letti in acciaio. I giovani creativi siedono uno dietro l’altro davanti ai loro monitor. Alle pareti sono appese le foto di Federico Hurth, un fotografo italo-svizzero che ama immortalare la vita dissoluta della Generazione Z, tra club e social media. Le immagini sono state esposte in un vernissage proprio qui nel loro studio e tra le fotografe trasgressive di Hurth, in cornici in acciaio inossidabile, non poteva mancare quella di Braathen. L’avrà comprata? «Ovviamente», sorride, anche se non ha ancora deciso se appenderla in camera. Poi, rivolgendosi a Francesco, chiede se si vedranno più tardi al Ceresio 7, la palestra dove entrambi si allenano. Braathen c’era già stato la mattina appena sveglio, per il suo Interval Training. Poco più tardi, dopo la sosta da NM3, sarebbe tornato nel centro ipermoderno per il secondo allenamento della giornata. In vista dell’inizio della Coppa del mondo di sci, cerca di diversifcare gli allenamenti il più possibile (bicicletta, corsa, yoga, surf e clif diving), ancora più di quanto non faccia durante il resto dell’anno. «Il mio modo di allenarmi rispecchia la mia vita», spiega: «più stimoli ricevo, più mi sento in forma».

... per poi ritrovarsi

Milano non è afatto male come posto in cui fermarsi: a breve distanza dalle montagne e dai laghi, vanta due aeroporti ben collegati con tutte le destinazioni del mondo. È conosciuta a livello internazionale come una delle capitali della moda e del design: ingredienti che la rendono il luogo ideale per crescere come atleta e dare spazio alla creatività. Due traguardi che, nella visione di Braathen, fniscono per sovrapporsi: «Farò tutto il possibile afnché il mondo degli sport invernali abbracci quello della moda, della musica e del design».

La sua missione è portare un tocco di colore nel mondo dello sci e mostrare che i suoi protagonisti hanno personalità e storie diverse, un po’ come è successo con la Formula 1 grazie alla docu-serie Netfix Formula 1: Drive to Survive. Secondo Braathen, lo sci ha tantissimo potenziale e la sua schiettezza potrebbe incoraggiare anche altri atleti ad aprirsi di più.

Da bambino, Braathen si divertiva a imparare canzoni e coreografe e si esibiva davanti alla famiglia, anche più volte alla settimana. Durante l’adolescenza, cominciò a sperimentare look sempre più audaci e imparò a memoria i video musicali di Michael Jackson e dei Queen. L’interesse per il mondo della creatività risale però solo a qualche anno fa.

A gennaio del 2021, ad Adelboden, Braathen – allora ventenne – subì un grave infortunio durante lo slalom gigante. La sua stagione fnì lì. Di lì a poco la pandemia di Covid paralizzò la vita pubblica. «In quel momento ho toccato il fondo», racconta, «e ho anche pensato di mollare tutto». Grazie a un gruppo di artisti conosciuti a Oslo, riuscì a superare la crisi emotiva. «Alcuni artisti avevano trasformato l’ex aeroporto di Oslo in un laboratorio creativo. E io mi ci sono trovato in mezzo». Fu un vero e proprio incontro tra moda e musica, tra arte e design. Il paese dei balocchi per Braathen! «Il momento più alto – racconta – fu quando queste persone, e in particolare Jonny del duo artistico Broslo, mi fecero capire che avevo talento e dovevo sfruttarlo». Qualche mese dopo, Braathen realizzò la sua prima collezione per il brand di abbigliamento scandinavo Swims, con tanto di campagna pubblicitaria e un grande evento di lancio. Finalmente Braathen aveva trovato se stesso. O quasi.

In forma smagliante Dopo un acceso scontro con la federazione di sci norvegese, seguito nell’autunno del 2023 dall’inaspettato ritiro dalla Coppa del mondo di sci, Brathen annunciò a Sölden il suo ritorno. Una decisione accompagnata da un certo clamore mediatico: questa volta avrebbe gareggiato per il Brasile. «Ho deciso di fare quello che più mi piace», ha afermato al suo ritorno, «cercando al tempo stesso di andare oltre il mondo dello sport e dello sci, per far emergere il vero me e mostrare chi sono, senza compromessi».

Braathen ora ha fnalmente raggiunto il suo obiettivo. È lui a tenere le redini pur collaborando a stretto contatto con il suo team (composto da ben nove persone). Partecipa in prima persona ai processi creativi e di design dei suoi sponsor Moncler, Atomic e Oakley e dà libero sfogo alla sua passione per la moda, il design e per la sua attività da DJ (ama la deep house e l’afrobeat). Da qualche tempo ha anche una nuova ragazza, l’attrice brasiliana Isadora Cruz: «In passato, nemmeno nei miei giorni migliori mi sono sentito così bene come nell’ultimo anno», ci racconta mentre si mette in spalla la borsa da palestra e inforca la sua Honda Zoomer verde oliva.

C’è un altro posto che vuole mostrare ai suoi ospiti, un negozio di alimentari con angolo bar, anzi, un concept store in una stradina secondaria che passa quasi inosservata: Terroir è il regno delle cose buone e belle di Gabriele Ornati. In altre parole, tutto ciò che ama. Sugli scafali ritroviamo piccoli produttori regionali che mettono al primo posto la qualità, dalle tisane dell’Alto Adige al cioccolato del Chiapas.

«Mi afascinano le persone ispirate da ciò che fanno», aferma Braathen.

La passione per la qualità, la capacità di emozionarsi di fronte all’arte e di godersi ogni esperienza sono tutti aspetti che Lucas condivide con Gabriele e il suo team, motivo per cui non perde mai occasione di far visita ai suoi amici durante i soggiorni a Milano. Ma ora gli tocca fare un po’ di spesa per il fne settimana, visto che il frigo è vuoto. Anche alcune stanze del suo appartamento milanese sono vuote, ma l’intento è di arredarle con calma, dedicandoci tempo e amore. Il letto ce l’ha, unico e inimitabile. Arriveranno tanti altri pezzi unici e ineguagliabili a rendere il mondo di Lucas Pinheiro Braathen ancora più colorato, proprio come lo ha sempre sognato fn da bambino.

LUCAS PINHEIRO BRAATHEN
Instagram: @pinheiiiroo

A casa il frigo è vuoto e Lucas fa rifornimento di pane, affettati e vino da Terroir Milano, negozio di specialità alimentari

LA SPESA: ALIMENTARI
TERROIR MILANO

Alpi da vivere

Alta Badia

Courmayeur

Cortina d’Ampezzo

Sestriere

Madonna

di Campiglio

Livigno

Non solo piste e panorami: la montagna è anche arte, sapori tipici, après-ski che diventano party con viste mozzafiato.

Questa guida raccoglie i locali e le esperienze che non puoi perderti: i posti dove andare, vivere e tornare

Testi: Ario Mezzolani

Illustrazioni: Bratislav Milenković

Alta Badia

Nel cuore delle Dolomiti, l’Alta

Badia è sinonimo di piste leggendarie, ospitalità ladina e panorami UNESCO. Qui trovi baite che la sera si accendono con dj set e feste ad alta quota. Una destinazione che unisce sport, cucina e nightlife

Club Moritzino

Dal 1966 a Piz La Ila, il Moritzino è un’icona: ristorante di pesce a 2.100 metri, après-ski con ospiti internazionali e discoteca fino a notte. Intorno le Dolomiti a 360°, dentro colazione, pranzo e cena con gatto delle nevi.

Più che un locale, uno stile di vita.

Piz La Ila, 39030 La Villa (BZ)

Snowpark Alta Badia

Siamo sul fronte sole del Ciampai, a 2.000 metri. Qui il park non è contorno ma scena: kicker, box, rail e jib line pensati per chi vuole stile, non solo trick. Il setup cambia durante la stagione, la crew lo tiene vivo. Panorama sulle Dolomiti, musica sparata e community che si riconosce al primo drop-in. Strada Col Alt 40, Corvara in Badia (BZ)

L´Ostí

Fuori dalle rotte turistiche, Enrico Vespani e Fabio Targhetta puntano su produttori locali e tecnica pulita. Piatti diretti, tapas montane curate, un risotto che resta in testa e una carta vini tutta naturale. Atmosfera giovane, servizio rapido, gola appagata. Strada Sassongher 3, Corvara in Badia (BZ)

Courmayeur

Ai piedi del Monte Bianco, Courmayeur è l’incontro tra adrenalina e stile: piste leggendarie, trekking tra ghiacciai, opere di land art e terrazze panoramiche trasformate in sky bar. Qui si scia, si brinda e si balla guardando il Cervino e il Rosa, tra sapori valdostani e serate live

THE ORGANICS SkyGarden

A 2.173 metri, terrazza panoramica sul Monte Bianco con vista su Cervino, Rosa e Gran Paradiso. Una vecchia funivia trasformata in chiosco, foto storiche di alpinisti e cocktail con Organics Red Bull e prodotti locali. In estate e inverno musica live, street food e trekking tra i ghiacciai.

Strada Statale 26 dir, 48, Courmayeur (AO)

Il Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto

In Val Ferret spunta l’infinito di legno firmato da Pistoletto: tre cerchi che ridisegnano il paesaggio. Land art con dentro ecologia e pacifismo, natura e cultura. Non un monumento, ma un invito a ripensare come viviamo la montagna. Val Ferret, Loc. Pra Sec, Courmayeur (AO)

Ristorante Baita Ermitage

Una baita che sembra uscita da un film, ma dentro non è folklore: cucina valdostana che spinge sul vero, senza filtri. Camino, legno, vista sul Monte Bianco e piatti che parlano di boschi e malghe. Un posto che ti rimette insieme dopo la discesa.

Loc. Ermitage 7, Courmayeur (AO)

Cortina d’Ampezzo

La “Regina delle Dolomiti” brilla tutto l’anno grazie ai panorami patrimonio UNESCO, agli sport alpini, ma anche a locali storici, eventi internazionali e cucina d’eccellenza.

Cortina è l’eleganza che incontra la natura selvaggia, con una storia che vive in ogni strada

Museo nelle Nuvole

A 2.180 metri un museo sospeso tra cielo e roccia. Geologia, storia e paesaggi: la cultura si arrampica insieme a te. Non è il solito museo: è un’esperienza a metà tra trekking e archivio naturale.

Località Monte Rite, Cibiana di Cadore (BL)

El Camineto

Sopra Cortina, a Rumerlo, El Camineto è un ristorante storico con vista Dolomiti. Nato negli anni ’60, oggi mischia piatti di territorio e cucina internazionale in una sala che sembra sospesa nel paesaggio. In inverno come in estate è una meta fissa: dal pranzo elegante alle serate con musica live.

Località Rumerlo 1, Cortina d’Ampezzo (BL)

Birraria da Bauce

Piccolo birrificio di valle, zero glamour, tanta sostanza. Si beve artigianale senza hashtag, birre fatte con cereali locali. È l’après-ski senza dj set, solo bicchieri che si riempiono e si svuotano veloci.

Via Enrico Mattei, 62, Borca di Cadore (BL)

Sestriere

Cuore pulsante dell’Alta Val di Susa, Sestriere è sci e festa

senza sosta: dal tramonto sul Chaberton alle baite che diventano discoteche alpine. Qui non si sta fermi: si balla, si canta, si brinda, tra pizza, griglia e dj set che trasformano l’après-ski in un rito a cui è impossibile rinunciare

La Cioca

Un’osteria vecchia scuola, che resiste al tempo delle fusion e dei bistrot. Si mangiano tajarin, polenta, brasati. Poca scena, molta sostanza. È il tipo di posto che sa di sci anni ’80 e di convivialità senza filtri, alcol compreso. Frazione Grangesises, Sestriere (TO)

Borgo di Usseaux

Murales sulle case di pietra, strade che non conoscono traffico. Usseaux è un paese che non si vende come borgo autentico, lo è e basta. I muri raccontano storie alpine, senza Pro Loco a tradurre in inglese. Borgo di Usseaux, Usseaux (TO)

Gargote

Fashion Cafè

Ultima baita a ovest di Sestriere: davanti hai il Monte Chaberton che diventa rosa al tramonto. Dentro è ristorante, pizzeria, baita e discoteca. Qui non si sta seduti con le bottiglie: si balla, si canta, si fa festa. Delirio vero, sempre. Nell’après-ski qui si arriva al volo e si trova il bicchiere già pronto. Via Sauze di Cesana 1, Sestriere (TO)

Madonna di Campiglio

A 1.553 metri, nel cuore delle

Dolomiti di Brenta, Madonna di Campiglio offre 155 km di piste e 58 impianti. Qui si disputano le gare della Coppa del Mondo (la famosa “3Tre”), mentre in estate i boschi, le vie ferrate e i rifugi trasformano ogni giorno in un’esperienza

Fossili agli Orti della Regina

Sul versante del Grostè, gli Orti della Regina raccontano con i loro fossili l’antico mare che copriva le Dolomiti milioni di anni fa. Camminare tra le rocce diventa un viaggio nel tempo, e le Dolomiti un hard disk del pianeta. Zona Grostè, Dolomiti di Brenta, Madonna di Campiglio (TN)

LAB APRÈS SKI

Ai piedi della cabinovia Grosté, a 1660 metri, ogni pomeriggio è rave alpino. La voliera è la struttura-tenda che ospita dj set, pistole CO2 e ospiti come Salmo o J-Ax. Shot di grappa alla mela verde, festival a novembre e festa quotidiana fino al buio. Qui lo show è la regola. Via Cima Tosa, Madonna di Campiglio (TN)

Chalet

Fogajard

Un posto che sta in mezzo al bosco, lontano dai riflettori. Pochi tavoli, cucina radicata e vista che taglia le Dolomiti di Brenta. Non è un ristorante, è un segreto che gira solo tra chi sa dove fermarsi.

Località Fogajard 36, Madonna di Campiglio (TN)

Livigno

Il Piccolo Tibet d’Italia: a 1.816 metri, Livigno è zona franca, regno dello sport e del divertimento. Con Mottolino e Carosello 3000, offre impianti invernali top, neve abbondante, bike park, trekking estivo, wellness e servizi che mixano relax e adrenalina

Ristorante Camana Veglia

Una delle case più antiche del paese diventa ristorante di ricerca.

Dentro legno e stufe, fuori la strada gelata. Piatti valtellinesi messi in scena con eleganza ma senza perdere la radice: la tradizione qui non è souvenir, è sostanza.

Via Ostaria 583, Livigno (SO)

Latteria di Livigno

Prodotti che arrivano caldi caldi dal caseificio e finiscono subito sul banco. Birre, formaggi, rumore di lavorazione, profumo di vacca. Un’esperienza concreta che racconta la valle senza parole.

Via Pemont 911, Livigno (SO)

Mottolino

Snowpark che ha fatto scuola: rampe, rail e linee da manuale. Qui sono passati rider internazionali e generazioni di appassionati di adrenalina. Mottolino è più di un impianto: è playground sorvegliato dalla montagna.

Via Bondi 473, Livigno (SO)

Storie che ispirano Marta Giunti

Gigante e Super-G erano le sue specialità, ma la fortuna non è stata dalla sua parte. A 24 anni Marta Giunti ha dovuto abbandonare il sogno di scalare i vertici della Nazionale. La sua rinascita, però, è cominciata proprio lì dove tutto si era interrotto: tra le stesse montagne che l’hanno forgiata e resa resiliente.

Un infortunio non è solo un problema fisico, ma una vera crisi di identità. Allo stesso tempo ti insegna a rallentare, a dare valore ai dettagli e a trovare un nuovo flow

Il dolore non va mai negato. Quando un sogno si spezza, fa male, e bisogna avere il coraggio di viverlo fino in fondo, di trasformarlo in movimento

Meet Marta Classe 1997, ex sciatrice azzurra, ha interrotto la sua carriera agonistica dopo due gravi infortuni e una malattia. Oggi è content creator, maestra di sci e imprenditrice con Giuntitrail, un progetto nato per avvicinare quante più persone possibile al mondo dello sci, dando la possibilità di allenarsi con maestri d’élite, vivere esperienze di alto livello e conoscere nuove persone accomunate dalla stessa passione per lo sport.

L’addio agli sci è stato il momento più difficile della mia vita, ma mi ha insegnato che l’amore per gli sci resta nel modo di vivere la montagna e nel desiderio di trasmettere agli altri la stessa passione

Quando riesco a ispirare le persone, capisco che la gioia non è solo nella performance personale, ma nel vedere la scintilla accendersi negli occhi degli altri

Ho ritrovato nell’imprenditoria la stessa incertezza delle gare. La chiave è la stessa: sapersi adattare, senza mai perdere di vista la tua linea

La montagna ti insegna che non puoi avere il controllo su tutto. È una grande maestra di umiltà e di resilienza: ed è proprio lì, tra l’incertezza e la libertà, che ho scoperto la parte più vera di me

ZERO CALORIE 100% AAALI.

Faster. Always

Speed, stability, and precision. For your fastest days on the hill.

Redster G9 Revoshock S

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.