IoArch 89 Aug-Sep 2020

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› PROGETTARE CON LE MACCHINE

ph. © Serge Hoeltschi

Refik Anadol Refik Anadol (Istanbul, 1985) è un media artist e un pioniere nel campo dell’estetica dell’intelligenza artificiale. Il suo lavoro colloca la creatività in un punto intermedio tra esseri umani e macchine. Prendendo i sistemi digitali che ci circondano come materiale primario e la rete neurale dei computer come collaboratore, Anadol genera visualizzazioni delle nostre memorie virtuali, espandendo le possibilità dell’architettura, della narrativa e dei corpi in movimento. Le sue opere, basate su dati parametrici, sono performance audio-visuali site-specific e installazioni immersive che possono assumere molte forme differenti, e incoraggiano a ripensare sia il nostro ruolo nel mondo fisico, nella sua dimensione spaziale e temporale, sia il potenziale creativo legato all’uso dei computer. www.refikanadol.com

IN CAMPO ARTISTICO LE OPERE DI REFIK ANADOL NON FINISCONO DI STUPIRE, DI INCURIOSIRE E DI APRIRE INTERROGATIVI INEDITI SUL RAPPORTO TRA LA DIMENSIONE DIGITALE IN CUI SIAMO ORMAI COMPLETAMENTE IMMERSI E GLI SPAZI FISICI NEI QUALI ABITIAMO di Carlo Ezechieli

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Melting Memories, 2018, Pilevneli Gallery, Istanbul. Reti neurali interpretano impulsi della memoria traducendoli, con un algoritmo frattale e una tecnologia FFT per il movimento, in video che si concretizzano in 4K su un display Oled da 65”.

Come si sta trasformando la nostra esperienza degli spazi? Come funziona il nostro modo di percepirli? Quali sono i riferimenti architettonici nell’ambito di una realtà sempre più mediata dalla dimensione digitale? Credo siano queste alcune delle domande che, molto direttamente, stanno alla base del lavoro di Refik Anadol, artista nato a Istanbul poco più di trent’anni fa e oggi – dopo aver conseguito un Master in Belle Arti presso l’Università della California – residente a Los Angeles. Realizzando opere mai viste, di grande impatto visuale, Anadol utilizza i software come un pennello e l’architettura come una tela collaborando, letteralmente, con sistemi

di generazione di forme e immagini basati sull’intelligenza artificiale. Il risultato sono interi paesaggi, come nell’opera Machine Hallucination, sviluppati per sintesi e in modo autonomo dai computer: una vera e propria allucinazione, capace di aprire interrogativi inediti sul modo di intendere e percepire, attraverso la nostra mente, ciò che chiamiamo realtà. L’opera di Anadol è sempre site-specific, è strettamente riferita all’architettura, ne altera parzialmente le caratteristiche, lavora con gli spazi. Alcune tra le sue installazioni più significative si trovano in luoghi di transito, come gli aeroporti, altre coinvolgono architetture celeberrime. Tanto celebri che,


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