› ECONOMIA CIRCOLARE E ARCHITETTURA
LA RICCHEZZA DELLA TERRA Anna Heringer, già collaboratrice dell’atelier del mastro costruttore in terra cruda Martin Rauch, oggi è una delle figure più rappresentative di un’avanguardia vernacolare che propone un’architettura profondamente ispirata ai luoghi, al clima, ai materiali a basso impatto e a basso contenuto tecnologico. Come ci spiega in questa intervista, il suo approccio si ispira alla saggezza costruttiva e all’intrinseca bellezza di molte architetture senza architetti
foto ©Stefano Mori
Anna Heringer Anna Heringer (Laufen, 1977, laurea alla Kunst Universität di Linz nel 2004) è architetto e dal 2010 professore onorario della cattedra Unesco per l’Architettura in pisé, Culture costruttive e Sviluppo sostenibile in Germania. La sua reputazione internazionale come uno dei massimi esperti in architettura sostenibile nasce con la scuola Meti a Rudrapur, in Bangladesh, che Anna aveva progettato per la sua tesi di laurea e realizzato nel 2006 con Eike Roswag. Da allora ha sviluppato il suo metodo basato sull’uso di risorse locali in diversi progetti e laboratori in Asia, Africa, Europa e Stati Uniti e ne ha fatto materia di insegnamento come visiting professor presso le università di Linz, Stoccarda e Vienna. Anna Heringer ha ricevuto numerosi riconoscimenti tra i quali l’Aga Khan Award for Architecture e il Global Award for Sustainable Architecture. L’anno scorso Mud works! – affrontare la scarsità utilizzando il fango, una delle risorse più disponibili sulla Terra – era il titolo della sua partecipazione alla 15.a Biennale Architettura di Venezia (Giardini - Padiglione Centrale) con Lehm Ton Erde Baukunst (la società di Martin Rauch) e l’Architekturmuseum della Technischen Universität di Monaco di Baviera. Attualmente, oltre a guidare il suo studio a Laufen, Anna Heringer conduce insieme a Martin Rauch un laboratorio di progettazione all’ETH di Zurigo. www.anna-heringer.com
Come descriveresti il tuo lavoro? Vedo l’architettura come uno strumento per migliorare la qualità della vita delle persone. Credo che qualsiasi discorso sulla sostenibilità implichi direttamente la bellezza, che automaticamente esprime l’armonia tra risorse, clima, luogo, identità architettonica e culturale e giustizia sociale. Non credo che il ruolo di plasmare l’ambiente debba essere di esclusivo appannaggio di grandi multinazionali. La natura è caratterizzata da un’abbondanza formidabile e possiede una qualità estetica intrinseca. Da cosa è nato il tuo interesse per tecniche come la costruzione in terra cruda? Più che altro dipende dall’interesse nelle tecniche di costruzione tradizionali. Il mio lavoro non si rivolge unicamente alla terra cruda, ma anche a pietra, legno, tutti i materiali dell’architettura tradizionale e pre-industriale che vengono attualizzato o adattati a circostanze specifiche. L’utilizzo di questi materiali contribuisce a consolidare un’identità e una forte appartenenza al luogo e il tutto avviene in maniera assolutamente naturale. Credi che tecnologie di ispirazione tradizionale a basso impatto ambientale ed energetico possano essere impiegate con successo anche nei paesi post-industrializzati? Questo è davvero un punto chiave. Dopo l’architettura Moderna, il cemento è stato proposto come l’unico materiale, invulnerabile, così solido da non prevedere alcun intervento di manutenzione o di adattamento, nonché quello meno impegnativo in termini di lavoro,
«Considero la sostenibilità sinonimo di bellezza: un artefatto armonico nelle sue forme, nella struttura, nella tecnica costruttiva e nell’uso dei materiali e che sia in armonia anche con il luogo, con l’ambiente, con gli utenti e con il contesto socio-culturale. Questo, dal mio punto di vista, è ciò che ne definisce la sostenibilità e al contempo il valore estetico» e pertanto di costi. La verità è che se facessimo un calcolo sull’intero ciclo di vita, dall’estrazione allo smaltimento, il cemento dovrebbe costare molto di più. Per di più ci si immagina che duri all’infinito, mentre oggi opere anche importanti costruite cinquant’anni fa stanno letteralmente collassando, con tutti i problemi conseguenti, non ultimo quello della dispersione di questi materiali nell’ambiente. Un altro aspetto è la crescente automazione. Se le macchine rubano il lavoro allora chi potrà mai pagare le pensioni e ogni altra forma di sostegno finanziario per la comunità, se non le macchine stesse? Il lavoro delle persone è energia, e una certa non [ 26 ]
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secondaria quantità di lavoro artigianale e manuale di alto livello dovrebbe essere presente sempre e in ogni caso, e il suo costo mantenuto accessibile, perché genera opportunità sociali e culturali. Anche se l’ormai celebre Francis Kéré diceva di aver iniziato a studiare l’architettura proprio perché esausto ed esasperato dalla quantità inumana e costante di lavoro che implicava il mantenimento delle tradizionali capanne del suo villaggio nel Burkina Faso? È importante capire la tradizione e aggiungere sempre un adeguato livello di innovazione. Da questo punto di vista abbiamo senz’altro bisogno di tecnologie di prefabbricazione e in parte di accelerare il processo di costruzione. Quello che facciamo è migliorare continuamente le tecnologie tradizionali. Con la terra cruda abbiamo due approcci possibili: il primo è migliorare le caratteristiche fisico-meccaniche e chimiche del materiale, ad esempio con l’aggiunta di circa il 10% di cemento. Quantità minima ma che ne aumenta la resistenza e semplifica notevolmente i processi di costruzione. L’altra è comprendere la vulnerabilità del materiale mettendo a punto ogni soluzione e accorgimento per prevenirne ad esempio l’erosione. Un procedimento più complesso e laborioso ma che si basa su una comprensione molto profonda del materiale, della tecnica e del clima al punto da diventare un percorso incredibile di scoperta e identificazione con il luogo. Entrambi i modi di ragionare portano a edifici più resilienti. Come tutte le opere costruite dall’uomo, un giorno spariranno, ma senza lasciare alcun danno, tramandando e distribuendo sapere, identità e ricchezza. Quali sono le tue fonti principali di ispirazione? Tutta l’architettura vernacolare, il luogo, come pure le forme consolidate di artigianato locale, come ad esempio quelle di costruzione di cesti intrecciati e molte altre. Chi sono i tuoi mentori? Il mio maestro è Martin Rauch, dove ho iniziato a lavorare. Siamo i due lati della medaglia: mentre lui lavora qui in Europa, io lavoro nel Sud del mondo e nei Paesi in via di sviluppo. E ammiro molto, tra gli altri, Marina Tabassum del Bangladesh e Anupama Kundoo dell’India. Qual è il tuo messaggio per il futuro … e per gli architetti? C’è un’incredibile abbondanza proprio sotto ai tuoi piedi e può fornirti tutte le risorse di cui hai bisogno. Semplicemente, usalo e avrai una vita e un ambiente più sano, ricco e produttivo Carlo Ezechieli
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