Pittura
U5
5 La pittura: Cimabue, l’innovatore
Alla ricerca della profondità
Ricerca anatomica e sfumature
Sappiamo poco intorno alla vita di Cimabue, il cui vero nome era Cenni di Pepo (o Bencivieni di Giuseppe). Nacque intorno al 1240 e si formò a Firenze, dove svolse gran parte della sua attività. Fu però chiamato a dipingere anche ad Arezzo, ad Assisi, a Roma e a Pisa. La prima opera di Cimabue giunta fino a noi è il crocifisso della Chiesa di San Domenico ad Arezzo, dipinto in un periodo compreso tra il 1265 e il 1270. Fin da subito la sua pittura appare innovativa, prendendo le distanze dalla tradizione bizantina, che irrigidiva le figure appiattendole sulla tavola in una imperturbabilità quasi senza espressione. I personaggi delle opere di Cimabue sembrano «veri», hanno volume, sono inseriti in uno spazio dove è evidente la ricerca della profondità e fanno trasparire dai volti e dai gesti sentimenti ed emozioni che vengono comunicate a chi guarda.
Le figure dipinte da Cimabue rivelano anche una scrupolosa ricerca anatomica. Questo particolare è visibile soprattutto nei crocifissi, dove si assiste a un’evoluzione nella definizione dei dettagli grazie all’uso delle sfumature. In queste opere il volto di Cristo appare segnato da una grande sofferenza e anche il corpo sembra torcersi per il dolore: tutti particolari assenti nell’iconografia bizantina.
Cimabue, Maestà di Santa Trinità, 1280-1290, tempera su
tavola, 425 × 243 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi. La Maestà di Santa Trinità rivela la ricerca di profondità. La Madonna con il Bambino è seduta su un trono che ha una spiccata struttura tridimensionale, accentuata dall’uso del semicerchio. La posizione degli angeli – disposti anch’essi in modo semicircolare – delinea diversi piani spaziali e rafforza il senso della profondità. La figura della Vergine, che appoggia i piedi su due diversi gradini del trono, suggerisce spazialità e movimento; lo stesso effetto è dato dalla posizione dei piedi del Bambino, collocati anch’essi su due piani differenti. Il trono poggia su tre nicchie che, a loro volta, si trovano in una posizione leggermente avanzata rispetto ad esso e che acquistano maggiore profondità grazie alle quattro figure di profeti poste al loro interno.
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Cimabue, Crocifisso (qui fotografato prima
dell’alluvione del 1966), 1280 ca., tempera su tavola, 448 × 390 cm. Firenze, Museo dell’Opera di Santa Croce. Nel Crocifisso della Chiesa di Santa Croce è possibile notare, oltre alle espressioni di sofferenza che segnano i volti, la precisione nelle proporzioni e un tratto estremamente delicato. I dettagli anatomici sono sottolineati da sfumature che ammorbidiscono molto la figura e accentuano il senso di profondità. Il chiaroscuro è usato sapientemente anche nel panneggio del velo che circonda la figura di Gesù, che in alcuni punti risulta quasi trasparente.