Le avventure di Peter Pan

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I CLASSICI Le avventure di Peter Pan

Raccontate da Elisa Cordioli e David Conati

IL MULINO A VENTO

Per volare con la fantasia

IL MULINO A VENTO

IL MULINO A VENTO

Collana di narrativa per ragazzi

Editor: Paola Valente

Coordinamento redazione: Emanuele Ramini

Approfondimenti: Paola Valente

Impaginazione: AtosCrea, Raffaella De Luca

Progetto grafico copertina: Mauro Aquilanti

Ufficio stampa: Francesca Vici

I Edizione 2018

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Le avventure di Peter Pan James Mattew Barrie

Raccontate da Elisa Cordioli e David Conati
Illustrazioni di Erika De Pieri

PARTE PRIMA

Nei giardini di Kensington

Gironzolando per Kensington

Questa è la mappa dei giardini di Kensington, che si trovano a Londra, nel Regno Unito di Gran Bretagna.

È proprio qui, in questo vastissimo parco, che cominciano le avventure di Peter Pan.

Come potete vedere bene dalla piantina, ci sono diverse entrate.

Partendo da quella della signora che vende i palloncini ci si imbatte subito in una radura di papaveri.

Lì si trovano i Bimbi Firmati: ragazzini che indossano vestiti costosi e non possono giocare con gli altri per paura di sporcarsi.

Oltre la radura si raggiunge la Passeggiata Grande. Si chiama così perché su questo viale ci sono moltissimi bambini a passeggio, mentre quelli che hanno fatto i capricci sono seduti sulle panchine.

Ce ne sono certi, così capricciosi, che hanno persino una panchina col loro nome.

Percorrendo la Passeggiata Grande potrete ammirare le bellezze dei giardini. No, non intendevo le ragazze, ma l’Albero di Cecco Hewlett, ad esempio, famoso perché Cecco una volta perse una moneta proprio lì vicino e il giorno seguente ne trovò due. Poco oltre trovate la Casetta in legno di Marmaduke Perry. Il piccolo Marmaduke si nascose lì dentro perché i genitori l’avevano vestito con gli abiti di sua sorella, e ne uscì solo quando gli portarono quelli da maschio.

Poi c’è il Palazzo della Bimba, dove un tempo viveva una ragazzina che poteva fare quello che voleva e nessuno le diceva nulla, beata lei.

Proseguendo per la Passeggiata Grande si raggiunge la

Grande Gobba, una collinetta dalla quale si può correre giù a perdifiato senza fermarsi mai, e poco oltre si incrocia la Passeggiata Piccola: una zona riservata alle carrozzine e a una miriade di neonati protetti dalle attenzioni severe delle baby sitter.

Non avvicinatevi troppo perché… mordono! Le baby sitter, intendo.

Passando oltre, c’è il Pozzo di San Govone, strapieno d’acqua fino al giorno che Malcom l’Audace ci cadde dentro e, quando riemerse tutto pulito, non lo riconobbe nessuno.

Qui inizia la zona sportiva, ma lasciate perdere i campi da cricket che tanto non si riesce mai a giocare nessuna partita, perché si impiega sempre tutto il tempo per fare le squadre e decidere l’ordine di battuta.

Ora, finalmente, siamo arrivati al Laghetto Rotondo, il centro dei giardini. Prima o poi tutti i bambini ci finiscono dentro, anche quelli Firmati. Vicino al Laghetto Rotondo c’è un altro laghetto, la Serpentina, che è stranissimo perché qui gli alberi crescono capovolti e di notte si possono ammirare le stelle sommerse.

La Serpentina si chiama così perché a un certo punto si incanala sotto un ponte e arriva a un’isoletta, irraggiungibile, dove si dice nascano tutti gli uccelli che diventeranno bambini. Perché di notte, nei giardini, tutti sanno che accadono delle cose strane!

La storia di Peter

Tutti conoscono Peter Pan e la sua capra, ma pochi sanno come abbia fatto un normalissimo bambino a diventare Peter Pan. La sua storia iniziò quando il piccolo compì una settimana di vita.

Quel giorno Peter si affacciò al davanzale della finestra della sua cameretta e, pensando di essere un uccello dell’Isola degli Uccelli, si dimenticò che era un bambino e spiccò il volo verso i giardini di Kensington.

Volò e atterrò dolcemente su un salice tra il Palazzo della Bimba e la Serpentina.

I giardini erano chiusi e notò che sotto al suo albero svolazzavano fate di ogni forma e colore, tutte indaffarate attorno alla loro sovrana, la regina Mab.

Peter, incuriosito, si avvicinò a due fatine che passeggiavano, ma loro, appena lo videro fuggirono lontano.

La stessa cosa avvenne quando incrociò lo sguardo di una fatina seduta su un fungo, che volò a nascondersi dietro un tulipano.

Peter notò dispiaciuto che al suo arrivo ogni fata, la lattaia, la giardiniera, la musicista, fuggiva. Anche gli uccelli lo evitavano.

Allora si sedette e pianse.

Per fortuna non si accorse che si era seduto in modo sbagliato per un uccello perché altrimenti avrebbe perso la sua capacità di volare. È risaputo infatti che nel momento stesso in cui si dubita di poter volare, si perde irrimediabilmente questa facoltà.

Dopo aver versato l’ultima lacrima, Peter si accorse che il naso continuava a gocciolargli.

Allora si alzò e volò verso l’isola della Serpentina.

Voleva chiedere al corvo Salomone, il vecchio saggio dell’isolotto, come mai il suo naso continuava a gocciolare.

Atterrò sull’isola. Tutti dormivano, tranne il corvo. Salomone aveva un occhio chiuso e uno aperto.

– Cosa ci fai tu qui? – chiese a Peter.

– Sono un uccello, sono tornato a casa – spiegò il bambino.

Salomone lo osservò bene e poi gli disse:

– Non indossi penne ma una camicia da notte. Non hai artigli ma dita… Tu non sei un uccello!

Peter ci restò malissimo, era evidente che lì nessuno lo voleva.

Stava per rimettersi a piangere quando si ricordò di una persona che invece l’aveva sempre trattato con affetto.

– Io voglio tornare dalla mia mamma – disse timidamente.

– Vai! – rispose il corvo.

– Ma… sarò ancora in grado di volare? – singhiozzò il bambino.

– Povero piccolo – mormorò Salomone, – se dubiti di saperlo fare non sarai più in grado di volare, neanche nelle giornate di vento. E allora dovrai vivere per sempre su quest’isola.

– Ma, se non so volare e non sono un uccello, io cosa sono? – protestò Peter.

Il corvo lo osservò attentamente, poi dichiarò:

– Tu sarai un Né carne né pesce.

Gli uccelli dell’isola, che sarebbero presto diventati bambini, non si abituarono mai alla sua presenza perché Né carne né pesce mangiava, beveva e si lavava in modo proprio strano.

Grazie agli insegnamenti di corvo Salomone, col tempo diventò bravissimo a costruire nidi, a riconoscere i venti con l’olfatto, a veder crescere l’erba e sentire strisciare gli insetti dentro i tronchi. Finalmente si sentiva felice e avrebbe voluto cantarlo ai quattro venti.

Un pomeriggio si costruì un flauto di canne e ogni sera lo suonava in riva al lago. Le sue melodie erano per lo più allegre ma ogni tanto Né carne né pesce suonava anche delle melodie malinconiche. Succedeva ogni volta che a Peter veniva voglia di lasciare l’isola e raggiungere la sponda del laghetto verso i giardini.

Il bambino però non sapeva nuotare.

Un pomeriggio, mentre se ne stava sulla riva a suonare una canzone malinconica, accadde qualcosa di imprevisto.

Voglia di libertà

Sulla riva dell’isola Serpentina era approdata una barchetta di carta.

La sentinella di turno la portò a Salomone che, subito, pensò fosse la solita richiesta di qualche mamma che precisava di che colore dovevano essere i capelli o gli occhi del bimbo che aspettava.

Una volta spiegato il foglio da cui era composta l’imbarcazione, visto che non conteneva alcuna richiesta, Salomone lo consegnò a Peter perché ci giocasse.

Quel foglio però non era una semplice lettera, era una banconota da cinque sterline. Peter si ricordò di averne vista una così prima di spiccare il volo dal davanzale della finestra e si rammentò anche che, per gli uomini, quella banconota aveva un certo valore.

Pensò quindi di usarla per andarsene.

Propose a Salomone un pezzo di quella banconota in cambio di aiuto per andarsene e, dopo un tentennamento iniziale, Salomone accettò lo scambio.

Peter spiegò allora al corvo in cosa consisteva la sua idea.

– Convocheremo tutti i tordi dell’isola – propose Salomone, – i tordi sono abilissimi nel costruire nidi impermeabili all’acqua perché li rinforzano col fango!

Quando tutti i volatili giunsero alla riunione, Salomone spiegò:

– Il nostro giovane amico vuole che gli costruiamo un’imbarcazione per raggiungere la riva dei giardini, per questo ha bisogno della vostra bravura.

Visto che i tordi cominciavano a innervosirsi dichiarando il loro disaccordo, il corvo continuò:

– Non vuole una barca, ma un nido abbastanza grande che lo porti dall’altra parte dello stagno. Peter vi pagherà il lavoro.

La proposta li convinse e, quello stesso giorno, iniziarono i lavori per la costruzione del grande nido.

Ogni sera Peter con estrema attenzione tagliava un pezzetto della banconota che gli era stata regalata e pagava i tordi-operai.

Gli altri uccelli osservavano il lavoro e criticavano gelosamente il risultato.

– Non può galleggiare – fischiettavano i fringuelli.

– Imbarcherà acqua – cincischiavano i passeri.

Per completare il natante ci vollero diversi mesi, ma il risultato finale fu ineccepibile: il nido-barca era perfettamente impermeabile e galleggiava senza difficoltà.

Gli mise nome Nido dei Tordi e, usando la sua vecchia camicia da notte, Peter preparò una vela.

Ora non restava che provarla.

La prima notte di luna piena il ragazzo salì a bordo e salpò.

Doveva essere solo un giretto di prova ma, quando vide la riva dei giardini di Kensington, puntò deciso alla riva opposta.

Aveva appena passato il ponte che segnava il confine del laghetto Serpentina ed era convinto di essere giunto a destinazione quando, improvvisamente, cominciò a soffiare un vento fortissimo che spinse la sua imbarcazione verso il centro del laghetto e lo sbalzò fuori bordo.

Con fatica risalì all’interno del Nido e, manovrando la vela, raggiunse una piccola insenatura.

Come lo videro arrivare, le fate gli urlarono di andarsene perché il giardino era chiuso. Anche le guardie reali gli intimarono di rispettare gli orari dei giardini.

Peter si giustificò:

– Io non sono un bambino come gli altri! Io sono Peter e sono vostro amico.

Le guardie furono intransigenti e come il bambino mise piede sulla riva lo condussero dalla regina Mab.

La regina delle fate gli permise si approdare ai giardini

durante l’orario di chiusura a patto che Peter rispettasse e proteggesse le creature magiche che popolavano i giardini dopo l’orario di chiusura.

Peter giurò solennemente e, da quel giorno, quando i cancelli dei giardini si chiudevano agli umani, lui iniziava a esplorarli.

Ogni volta che trovava un oggetto dimenticato chiedeva aiuto alle fate per sapere a cosa servisse. Imparò che gli uomini erano una razza molto distratta perché nei giardini scordavano di tutto: secchielli, hula hop, biglie, palloni, aquiloni e persino una carrozzina vuota.

Siccome quegli oggetti Peter non li aveva mai visti, le fate si inventavano usi insoliti per le cose che trovava, organizzandogli continuamente degli scherzetti pur di poter ridere di lui.

L’ora delle fate

Le fate sapevano tutto e conoscevano qualunque cosa.

Sia quello che c’era dentro ai giardini di Kensington sia ciò che c’era fuori. Loro esistevano fin dai tempi dei tempi e forse anche da prima. Secondo la leggenda nacquero quando il primo bambino rise per la prima volta, e la sua risata si sbriciolò in migliaia di frammenti che si sparpagliarono qua e là.

È incredibilmente difficile vederle perché sono molto furbe e abilissime a nascondersi; l’unico modo per scorgerle è appostarsi dove ci sono bambini, fingere di giocare e aguzzare la vista sul prato.

Solitamente, per non dare nell’occhio, si mimetizzano tra i fiori travestendosi esattamente come loro. Sono bravissime e cambiano forma e colore con l’alternarsi delle stagioni,

vestendosi di bianco quando sbocciano i gigli, di blu quando è tempo di giacinti e viola quando è stagione di violette.

Trovare le loro abitazioni poi è quasi impossibile.

Le loro case sono del colore della notte. Non sono tutte nere, no, la notte ha moltissime varietà di colori, alcuni sono persino abbaglianti.

Le fate passano la giornata indaffarate in mezzo all’edera, ma, appena un adulto si avvicina, si fermano e restano immobili finché non se ne va.

Quando sono lontane dallo sguardo degli umani si dedicano a moltissime attività e sono estremamente curiose, ma la cosa che amano fare più di tutto è ballare. Danzano sempre: mentre volano, giocano, si spostano e persino prima di andare a dormire.

I loro volteggi sono noti come “cerchi delle fate” ed è possibile vederli per settimane impressi nell’erba, tra i fiori e attorno ai funghi che usano per sedersi.

Nelle notti di luna piena organizzano feste sfarzose e ognuna di loro indossa abiti eleganti.

La regina Mab dà il via alle danze e al termine dei balli è sempre lei che premia la ballerina più brava e il musicista migliore.

Il premio che spetta ai vincitori è di veder esaudito il loro desiderio più grande.

Dopo che Peter ebbe giurato di proteggere sempre le fate venne ammesso anche lui alle feste danzanti, e una volta addirittura si esibì suonando il suo flauto.

Suonò talmente bene che la regina Mab decise di premiarlo:

– Peter – comandò solennemente, – inginocchiati davanti a me.

Il ragazzo si mise in posizione e la sovrana ordinò:

– Dimmi qual è il tuo desiderio più grande.

Il ragazzo ci pensò bene, poi sussurrò:

– Se volessi tornare dalla mia mamma? Voi mi ci portereste?

Nel giardino calò un silenzio pesante.

Alcune fate cercarono di fargli cambiare idea:

– Ma è un desiderio piccolo, scegli qualcosa di più grande!

Peter stette un po’ in silenzio, poi disse:

– Allora al posto di un desiderio grande ne scelgo due piccoli: il primo è volare fino alla finestra di camera mia; la mamma l’ha lasciata aperta per aspettarmi. E il secondo, vediamo… – il bambino si grattò il mento pensieroso

– … il secondo lo tengo per dopo!

– E così sia! – sentenziò la regina Mab che era rimasta colpita dalla furbizia del ragazzo.

Alcune fate gli fecero il solletico sulle spalle, Peter sentì uno strano prurito e cominciò a sollevarsi sempre di più.

Stava volando! Leggero come una piuma si allontanò dai giardini e sfrecciò sopra i tetti delle case.

In pochissimo tempo arrivò davanti alla finestra di camera sua. Come pensava era spalancata.

Entrò.

Sua madre stava dormendo e Peter planò delicatamente ai piedi del letto.

La guardò con attenzione: sembrava triste.

“Oh, mamma” sussurrò, “se solo sapessi chi c’è qui.”

Accarezzò delicatamente i suoi piedi e dall’espressione del suo volto capì che le faceva piacere.

Ma era combattuto: svegliare la madre e abbracciarla, o volare fuori dalla finestra?

Con un balzo scese dal letto e aprì un cassetto.

I suoi vestiti erano ancora al loro posto, ma non ricordava come andavano indossati. Allora si sedette ai piedi del letto, prese il suo flauto e suonò una canzone.

Appena intonò le prime note il volto della madre si rasserenò.

A un tratto, mentre suonava, guardò la finestra e si bloccò: doveva tornare dalle fate e raccontare tutto quello che aveva visto.

Si alzò a mezz’aria e, prima di andarsene, bisbigliò alla madre:

– Prometto di tornare.

Le fate furono sbalordite dal racconto di Peter e ancora di più la regina Mab che temeva che il bambino, una volta uscito dai giardini, non sarebbe più tornato.

Molti mesi dopo quel suo primo volo, Peter chiese alla regina di poter esprimere il suo secondo desiderio.

– Voglio tornare per sempre dalla mia mamma – disse.

– Ne sei sicuro Peter? – chiese la regina.

Peter annuì:

– Sì. Ormai conosco ogni angolo dei giardini, ho fatto mille giri in barca, ho ballato, suonato e banchettato. Ho salutato tutti. Ora è il momento di tornare a casa.

La regina abbassò lo sguardo e annuì: – Come desideri.

E come la prima volta alcune fate gli pizzicarono le spalle e Peter cominciò a volare. Con la mano salutò tutti e schizzò sopra i tetti di Londra. Quando giunse alla finestra della sua camera, però, la trovò chiusa.

Perché non potesse uscire o entrare nessuno, erano state persino messe delle sbarre.

Oltre il vetro vide sua madre addormentata, era abbracciata a un altro bambino e il suo viso era rilassato e felice.

– Mamma! Mamma! – gridò Peter. – Sono io, sono tornato!

Chiamò a gran voce, più forte di prima, ma lei non si accorse di nulla.

Singhiozzando, mogio mogio, fece dietro front e se ne tornò ai giardini di Kensington.

La sfida

Maimie aveva quattro anni e un fratello più grande che si chiamava Tony, di sei anni. Lei lo guardava con ammirazione e cercava di imitarlo in tutto.

Un pomeriggio, mentre passeggiavano nei giardini di Kensington, Tony disse con spavalderia:

– Voglio rimanere dopo l’ora di chiusura!

– Oh, Tony – disse lei premurosa, – ma così farai arrabbiare le fate.

– Certo! – incalzò lui con lo stesso tono. – E costringerò Peter Pan a farmi fare un giro in barca!

– E quando lo farai? – chiese Maimie trepidante.

– Presto – concluse il fratello.

Una fata però lo sentì, raccontò alle altre le intenzioni che aveva quel bambino, e dal quel giorno Tony fu preso di mira da qualsiasi essere fatato del parco.

Ogni volta che lui varcava il cancello dove c’era la donna che vendeva i palloncini, gli esseri fatati gli facevano mille dispetti: gli legavano insieme i lacci delle scarpe per farlo inciampare, gli soffiavano sul viso il polline per farlo starnutire, gli affondavano le barchette nel laghetto…

– Allora – chiese dopo qualche settimana la sorellina

Maimie, – hai deciso quando ti fermerai nei giardini oltre l’orario di chiusura?

– Un giorno lo farò sicuramente – rispose il fratello.

A Maimie non piacque come risposta ma aspettò.

Un pomeriggio d’inverno, quando i giardini erano ricoperti da un manto bianco e il laghetto rotondo era ghiacciato, lei lo affrontò risoluta:

– È oggi il giorno, vero?

Se non voleva perdere la faccia nei confronti della sorella più piccola, Tony sapeva che non poteva più rimandare. Perciò annuì.

Improvvisamente si sentì gelare.

Non voleva ammetterlo ma aveva paura.

Mentre si lasciavano la Grande Gobba alle spalle, sussurrò alla sorella:

– E se la baby sitter ci vede? Non so se ci riuscirò.

Per tutta risposta Maimie propose ad alta voce:

– Tony, facciamo una corsa fino al cancello!

E poi bisbigliando suggerì:

– Così quando non ci vedrà, potrai nasconderti dietro una panchina.

Al “via” Tony partì come un fulmine, era velocissimo.

Ma il bambino non si fermò dietro a una panchina, no, lui corse a perdifiato fino alla fine del parco e poi oltre il cancello e, una volta fuori, continuò a correre fino a casa senza mai voltarsi.

Maimie, vedendo il fratello darsela a gambe in quel modo, ci rimase malissimo e così decise di nascondersi dietro al pozzo di San Govone.

Scorgendo Tony che si allontanava, la baby sitter pensò che avesse deciso di tornare a casa e che la sorella fosse con lui. Una volta arrivata a casa, però, si accorse che Maimie non c’era e tornò ai giardini a cercarla.

La bambina restò nascosta per tutto il tempo e non sentì la voce della donna che la chiamava. Sentì solo il “clang” che fecero i cancelli quando si chiusero e fu allora che Maimie vide la sua prima fata. Era vestita come se stesse andando a un gran ballo.

Maimie fece appena in tempo a nascondersi che arrivò una dama vestita con un lungo strascico, scortata da dodici cavalieri.

La bambina decise di seguirli, tenendosi a debita distanza per non essere vista, e quando giunse al luogo della festa non credette ai suoi occhi: vide migliaia di creature fatate che danzavano e volteggiavano, e, come infiniti puntini luminosi, disegnavano cerchi di luce a ritmo di musica.

Maimie, pazza di gioia, gridò estasiata: – È meraviglioso!

Sentendo la sua voce tutti si fermarono; la musica cessò e le luci si spensero.

Una terribile sensazione di pericolo si abbatté su Maimie. Si ricordò troppo tardi di essere una bambina sperduta in un luogo in cui gli umani non dovrebbero trovarsi. Avvertì il mormorio della folla infuriata, vide migliaia di spade scintillanti assetate del suo sangue e, lanciando un urlo di terrore, scappò.

Corse a perdifiato e, sfinita, si lasciò cadere su un prato e si addormentò.

La neve iniziò a cadere e la coprì di un manto bianco. Maimie sognò e i suoi sogni furono dolcissimi. Vide la madre, il padre, il fratello ed erano tutti insieme con lei e volteggiavano tra mille luci colorate.

Dopo un po’ arrivarono le fate, che, seguendo le impronte lasciate nella neve, la trovarono lì distesa. Provarono a svegliarla ma il sonno di Maimie era talmente profondo che non sentiva più nulla.

Una fata allora propose:

– Trasformiamola subito in qualcosa di estremamente sgradevole!

Tutte le altre acconsentirono e cominciarono a discutere animatamente in cosa dovevano trasformarla.

– No! – rispose solenne la regina Mab, placando gli animi. – È giunta fino a noi. E ora dorme un sonno profondo dal quale potrebbe non svegliarsi. È una bambina e dobbiamo proteggerla.

Ordinò quindi di toglierle la neve dal corpo, ma più ne toglievano più ne cadeva a ricoprirla. La bimba era sempre più fredda e pallida.

Per cercare di risolvere la situazione chiamarono in aiuto il dottore delle fate. Lui la visitò e poi dichiarò gravemente: – È troppo piccola, non se la caverà. L’unico modo per aiutarla è trasformarla in qualcosa che non patisca il freddo. Alle fate non veniva in mente nulla, se non la neve stessa, che però, una volta esposta al sole, si sarebbe certamente sciolta. Fecero ogni sforzo per portarla in un luogo riparato, ma Maimie era troppo pesante.

– Perché non le costruiamo intorno una casa? – chiesero i lancieri dopo che avevano provato inutilmente a spingerla e tirarla. L’idea fu approvata in un baleno e immediatamente un centinaio di fate si diede da fare; gli architetti prendevano le misure alla bambina che continuava a dormire un sonno pesante e tutte le altre creature recuperarono i rami più grossi che riuscivano a portare.

I fiocchi continuavano a scendere sempre più fitti e Maimie ormai era del colore della neve.

Non c’era tempo da perdere. Le fate lavorarono alacremente e in pochissimo tempo la casa fu pronta.

Una volta sistemata anche l’ultima tegola del tetto, la bambina fu al sicuro. Lei non si accorse di nulla e continuò a sognare.

Allo spuntare del nuovo giorno si svegliò con una sensazione di piacevole benessere e si mise a sedere.

La sua testa colpì il tetto che si sollevò come il coperchio di una scatola. Vide tutto intorno i giardini di Kensington coperti di neve e, credendo di sognare, si diede un pizzicotto per svegliarsi.

Ma non poteva svegliarsi visto che lo era già.

Pian piano le tornò in mente ciò che aveva visto la sera precedente.

Uscì dalla casetta passando dal tetto e vide la splendida costruzione che le avevano eretto intorno per proteggerla dalla notte. Una volta fuori, però, l’abitazione iniziò a restringersi lentamente.

LeavventurediPeterPan ISBN978-88-472-2792-7

J.M.Barrie

Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

copia di SAGGIO-CAMPIONE, GRATUITO, fuori commercio.

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi

“Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritti, fino al mattino...”.

Chi non conosce la storia di Peter Pan? In questo libro sono narrate le sue avventure, con un linguaggio moderno e accattivante: la fuga da casa verso i Giardini di Kensington, il momento in cui diventa il capo dei Bimbi

Sperduti, l’amicizia con Campanellino, lo scontro finale con Capitan Uncino…

Una storia per tutti i tempi, perché con le storie non si finisce mai di giocare.

J.M.Barrie è stato uno scrittore e drammaturgo scozzese nato nel 1860. Molti dei personaggi dei suoi racconti prendono spunto da persone realmente esistite.

David Conati ed Elisa Cordioli vivono in provincia di Verona. Non si limitano solo a lavorare assieme ma sono anche una coppia nella vita. A quattro mani hanno firmato molti testi: progetti didattici in musica, testi di parascolastica e di narrativa.

Il libro va in scena:

• In omaggio con il libro, il copione con la drammatizzazione del testo

• Canzoni scaricabili gratuitamente su www.raffaellodigitale.it

Il libro è dotato di approfondimenti online

E 7,50

www.raffaellodigitale.it www.grupporaffaello.it

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