Cambiamento climatico:
rischi per la salute, ambiente e territorio
SPECIALE
SCIENCE
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Editoriale Mario Pappagallo
2 GIUGNO-2 LUGLIO: IL “PONTE” PER RENDERE LE CITTÀ GENERATORI DI SALUTE E BENESSERE Per la prima volta nella storia della nostra Repubblica, accanto alle Forze armate che rappresentano la difesa dell’Italia e la tutela della sicurezza nazionale, alla parata del 2 giugno di quest’anno hanno partecipato altre donne e uomini non militari. Un’altra forza, che rappresenta ormai in modo evidente la tutela della salute, della qualità della vita, e la difesa della nostra nazione da nemici subdoli come i virus, ma anche dalle patologie che provocano ogni anno oltre 600mila decessi: le professioni sociosanitarie, con in testa il ministero della Salute. I rappresentanti di oltre 1,5 milioni di professionisti: medici, medici veterinari, infermieri, farmacisti, ostetriche, tecnici sanitari, professioni della riabilitazione e della prevenzione, chimici, fisici, biologi, psicologi, assistenti sociali. Hanno sfilato davanti alle massime autorità nazionali, a testimonianza del loro impegno nel combattere un virus che altrimenti sarebbe stato difficile contenere. Ma non solo, il loro impegno è continuo e a 360 gradi anche se c’è voluta una pandemia per metterlo in evidenza. “L’impegno di chi lavora per la tutela della salute è di curare e assistere tutti, prevenendo per quanto possibile la diffusione dei virus, degli inquinanti ambientali, delle patologie e delle disabilità”, hanno detto il 2 giugno i rappresentanti delle Federazioni che raccolgono quel milione e mezzo di professionisti della Salute. Sono emerse anche molte difficoltà, strutturali ed organizzative. Soprattutto nelle città. E ora è avviata la costruzione di una nuova sanità con 1.350 case di comunità aperte fino a 24 ore al giorno e 400 ospedali di comunità. Seimila progetti per la sanità firmati con 30 giorni di anticipo rispetto alla milestone europea del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il lavoro di tutti questi professionisti sociosanitari che hanno sfilato il 2 giugno 2022 sarebbe facilitato se
anche le città diventassero generatrici di salute, promotrici di prevenzione, facilitatrici di attività fisica e di tutela dell’ambiente. Il testimone passa al 2 luglio 2022, giornata nazionale per la salute e il benessere nelle città. Siamo alla quinta edizione dell’importante iniziativa promossa da Health City Institute, dall’ANCI (l’Associazione Nazionale Comuni Italiani) e dall’Osservatorio nazionale C14+, con il patrocinio di Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle Città”, del Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del consiglio dei ministri, Unesco Chair on Urban Health-Education and Research for Improved Health and Wellbeing in the Cities, in collaborazione con Federsanità, Fondazione SportCity, Cittadinanzattiva. Il titolo della giornata di quest’anno è: “Salute, sport, ambiente e benessere: rigenera in salute la tua città”. a sottolineare come i processi di riqualificazione e rigenerazione urbana in atto nei nostri territori, anche alla luce dei traguardi e degli obiettivi espressi dal PNRR, debbano necessariamente includere la salute come fattore di crescita e coesione per il Paese. E le città, con una popolazione in continuo aumento, rappresentano oggi un moltiplicatore di rischio per la salute umana e del pianeta. Qualche numero e qualche esempio. Nell’era della globalizzazione, dove tutto il mondo, o quasi, è a portata di click, il lavoro diventa sempre più sedentario, c’è meno tempo libero, si pratica meno attività fisica, si mangia in fretta e male. Tutti fattori di natura sociale e culturale che, insieme, contribuiscono alla diffusione di patologie come l’obesità, le malattie cardiovascolari e il diabete. Quest’ultimo, in particolare, è una delle patologie croniche a più ampia diffusione nel mondo, soprattutto nei Paesi industrializzati, e costituisce una delle più rilevanti e costose malattie sociali del secolo. È in aumento anche il rischio di contrarre patologie infettive, dovute a sovraffollamento e condizioni igieniche non adeguate, soprattutto per gli abitanti delle baraccopoli e per i più piccoli di età. Cresce anche l’esposizione all’inquinamento ambientale. Da non di-
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menticare i danni psicologici legati allo stress e all’isolamento sociale: sempre più frequenti come pure la possibilità di essere coinvolti in atti di violenza. Per avere un’idea più chiara delle conseguenze che possono scaturire da questi fattori di rischio basta citare i dati relativi al numero di morti e di Dalys (numero di anni persi per malattia, disabilità o morte prematura) in un anno a causa di alcuni di questi fattori di rischio. Per inattività fisica si contano 5.3 milioni di morti. Per ipertensione,10.4 milioni di morti e 208 milioni di Dalys. L’obesità ha causato 4.4 milioni di decessi e 134 milioni di Dalys. A causa dell’inquinamento atmosferico hanno perso la vita 5.5 milioni di individui e si sono persi 142 milioni di Dalys. Non a caso anche l’OMS, (l’Organizzazione Mondiale della Sanità), è scesa in campo affinché si considerino le aree urbane come “importanti determinanti sociali di salute e un elemento chiave dell’agenda per un futuro sostenibile”. Con un obiettivo preciso: rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, resilienti e sostenibili entro il 2030. Immaginiamo quindi una sfilata con professionisti della salute, sindaci, scienziati, politici per vincere una sfida non più rinviabile: quella posta dall’OMS per il 2030.
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EDITORIALE, M. Pappagallo AGORÀ, A. Lenzi ZIBALDONE, F. Greenhouse IN PUNTA DI PENNA, F. Mazzeo CITIES SPEAKING, F. Greenhouse VOCI DAGLI HEALTH CITY MANAGER, G. Parisi RECENSIONI, F. Policastro TAKE AWAY GIORNATA NAZIONALE PER LA SALUTE E IL BENESSERE NELLE CITTA LA CITTA COME CURA E LA CURA DELLA CITTA, C. Spinato MISSIONE ITALIA: PNRR COMUNI E CITTA ASSEMBLEA GENERALE OMS, F. Greenhouse WORLD ECONOMIC FORUM, F. Greenhouse INTERVISTE Andrea Mandelli, Paola Viganò Carlo Ratti Beatrice Lorenzin Vito Cozzoli URBAN HEALTH COLUMNS Federsanità: costruire il welfare di comunità, T. Frittelli Cittadinanzattiva: per una salute di comunità, A. L. Mandorino Politecnico di Milano Dpt. ABC: qualità urbana e scopi di Salute Pubblica, S. Capolongo e A. Rebecchi Fondazione The Bridge: il valore delle associazioni pazienti, R. Iardino Terza età e silver economy: orti urbani e relazioni integenerazionali E. Selvi URBAN ECO MOBILITY TREND: le Mobility Company, F. Ascoli PRO LAB LUISS: le Comunità Energetiche, PRO LAB YMCA ITALIA: il ruolo delle organizzazioni giovanili per la salute, A. Indovina 6
INDICE FOCUS ON CITTA CITTA EUROPEA: BUDAPEST, C. Spinato CITTA INTERNAZIONALE: DAKAR, C. Spinato FOCUS ON SPORT E CITTA FONDAZIONE SPORTCITY: nasce l’Osservatorio permanente, F. Serra e F.Pagliara CINSA: storytelling o storydoing?, M. Benedetti TO Walk in the City LAB: Bandiera Azzurra, M. Damilano CITIES CHANGING DIABETES NAPOLI ENTRA IN CCD, F. Greenhouse GENOVA PRESENTA L'ATLAS DI CCD, F. Greenhouse MILANO PRESENTA L'ACTION PLAN 2022-25 DI CCD F. Greenhouse INDAGINI E STUDI I rischi del tabacco secondo l’OMS, E. Mazzoni ARTICOLI Relazione al Parlamento sulla malattia diabetica, F. Greenhouse Italian Barometer Diabetes Report, F. Greenhouse UNESCO Chairs: pubblicata l'Enactment Guide per le città, C. Spinato WHO Europe Obesity Report, F. Greenhouse Salute e Ambiente: nasce in Italia il SNPS, F. Greenhouse ADV 7
Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute, Presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita (CNBBSV) della Presidenza del Consiglio dei Ministri
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Agorà
OMS: seri rischi per la salute mentale e il benessere psico-fisico causati dal cambiamento climatico Il cambiamento climatico pone seri rischi per la salute mentale e il benessere psico-fisico, questa è la conclusione del nuovo documento politico dell’OMS, presentato a inizio giugno alla Conferenza di Stoccolma+50. Per l’OMS è urgente che i Paesi includano il supporto per la salute mentale nella loro risposta alla crisi climatica in atto e, in questo senso, vengono citati esempi di alcuni Paesi pionieri che lo hanno fatto in modo efficace. I risultati del Policy Brief “Mental Health And Climate Change”, pubblicato dall’OMS, evidenziano come nei cinque decenni tra il 1970 e il 2020 i rischi legati al clima siano aumentati in maniera considerevole, con quasi 5 miliardi persone in totale colpite. Tali esiti concordano con un recente rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), pubblicato nel febbraio di quest’anno. L’IPPC ha rivelato che il rapido aumento del cambiamento climatico rappresenta una minaccia crescente per la salute mentale e il benessere psicosociale; stress emotivo, ansia, insicurezza, depressione e comportamenti suicidi, sono espressione di un grave disagio sulla salute mentale. Bisogna riflettere tutti assieme su come le grandi catastrofi climatiche siano in grado di esercitare effetti devastanti sul benessere psico-fisico e sulla salute mentale delle persone e di intere comunità. “Gli impatti dei cambiamenti climatici fanno sempre più parte della nostra vita quotidiana e c’è pochissimo supporto dedicato alla salute mentale per le persone e le comunità che si occupano dei rischi correlati al clima a lungo termine”, é quanto afferma Maria Neira, Direttore del Dipartimento Ambiente, Cambiamenti Climatici e Salute presso l’OMS. Una affermazione che come studiosi ci trova concordi, avendo evidenze di come i cambiamenti climatici impattino in modo difforme sulla popolazione a secondo di fattori di rischio quali le condizioni socio-economiche, le condizioni abitative, il sesso e l’età. È chiaro che
il cambiamento climatico interessa molti dei determinanti sociali e sanitari che hanno un reale impatto per la salute mentale a livello globale, colpendo soprattutto le persone con problemi di salute più evidenti, come ad esempio i malati cronici. Il mondo sta affrontando da anni un’incredibile crisi climatica che potrebbe cambiare il futuro del nostro Pianeta in maniera profonda. Il cambiamento climatico esacerba molti fattori di rischio sociali, ambientali ed economici legati ai problemi di salute mentale e al benessere psicosociale. Eppure, nonostante questo impatto, in molti Paesi esistono anche grandi divari tra i bisogni degli individui e la disponibilità e l’accessibilità dei sistemi e dei servizi di salute mentale per affrontare le fragilità e le vulnerabilità che emergono in occasioni di grandi cisi, soprattutto quelle legate al clima. Già un’indagine dell’OMS del 2021, condotta su 95 Paesi, aveva rilevato che solo 9 di essi avevano finora incluso la salute mentale e il supporto psicosociale nei loro piani nazionali per la salute in relazione al cambiamento climatico. Ci sono quasi 1 miliardo di persone che vivono con condizioni di compromissione della loro salute mentale, una situazione che ha un impatto soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito, dove 3 individui su 4 non hanno accesso ai servizi necessari. Risulta evidente che i Paesi, e la stessa OMS, possono fare di più per aiutare a proteggere le persone più a rischio; lanciare l’allarme e porre il tema all’attenzione dell’opinione pubblica, scientifica e politica mondiale già rappresenta un passo in avanti. In risposta a queste sfide, l’OMS, all’interno del documento politico che descrive le interconnessioni tra cambiamento climatico e salute mentale, fornisce cinque raccomandazioni chiave sui potenziali approcci per affrontare in maniera concreta questa emergenza. 1. integrare le considerazioni sul clima con i pro-
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grammi di salute mentale; 2. integrare il sostegno alla salute mentale con l’azione per il clima; 3. investire su impegni globali; 4. sviluppare approcci basati sulla comunità per ridurre le vulnerabilità; 5. colmare il grande divario di finanziamento esistente per la salute mentale e il supporto psicosociale. Molti dei fattori che creano condizioni di vulnerabilità non agiscono isolatamente e tendono a sovrapporsi, come, ad esempio, le piogge torrenziali e le tempeste tropicali seguite da inondazioni, da frane e da isolamento della comunità. Le persone possono essere esposte contemporaneamente alla contaminazione dell’acqua potabile, all’insicurezza alimentare, alla perdita delle abitazioni, alla perdita del lavoro, dell’istruzione, delle loro cose care, dei beni materiali, dei ricordi e spesso della vita dei loro cari. Tutto questo accresce il senso di insicurezza, le deprivazioni, le disuguaglianze sociali e il disagio economico, con effetti che hanno notevoli implicazioni per la salute mentale e il benessere delle singole persone e di intere comunità. La figura di seguito, tratta dal Policy Brief dell’OMS, mostra i percorsi diretti e indiretti attraverso i quali il clima provoca rischi a lungo termine e vulnerabilità per la salute mentale. Un fenomeno che, come studiosi, osserviamo non solo nei Paesi a basso e medio reddito, ma che colpisce anche i centri urbani del nostro Paese. Città come Roma, Torino, Genova, Venezia, Bologna, Catania, intere Regioni come la Calabria, il Piemonte e la Liguria, solo per fare alcuni esempi degli ultimi anni, si sono trovate improvvisamente investite da fenomeni climatici improvvisi e di grande intensità, che hanno provocato non solo ingenti danni al tessuto urbano-abitativo ma soprattutto a quello sociale, dove le periferie hanno subito maggiormente l’impatto di queste catastrofi naturali. 10
Abbiamo imparato termini come Medicane, ovvero gli uragani mediterranei, abbiamo visto i sindaci convivere con l’allerta meteo della Protezione Civile; ebbene, forse dovremmo fare i conti con la necessità che, nel processo di ricostruzione di un territorio, si tengano in considerazione gli effetti che una catastrofe ha avuto sulla salute mentale della popolazione colpita.
Il bonus psicologico, introdotto dal Governo nel decreto milleproroghe, come risposta alle fragilità psicologiche quali depressione, ansia, stress e fragilità psicologica, a causa dell’emergenza Covid-19 e della conseguente crisi socio-economica, rivolto alle fasce di reddito medio-basso, va proprio in questa direzione. Ma le città e le grandi aree urbane, dove fragilità e vulnerabilità sono fattori intrinsechi sociali e sanitari, debbono essere attenzionate prima della tempesta perché, a volerla dire con Macchiavelli, “É comune defetto degli uomini, non fare conto, nella bonaccia, della tempesta.”
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CITTADINI CONFUSI E CONSAPEVOLI. QUANDO L’INFORMAZIONE FALLISCE
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di Frederick Greenhouse
Il rapporto 2022 ITALIA di EURISPES ci consegna un Paese più fragile e confuso nell’affrontare ormai da più di due anni gli effetti di una pandemia e recentemente gli echi di una guerra dai contorni mondiali.
Una generazione assente dai grandi temi e che solo da poco si è ricominciata ad interrogarsi su salute e ambiente, due dei temi fondamentali per lo sviluppo del pianeta.
Viene fuori la fotografia di una generazione che vive lo shock del Covid-19 tra dietrologia e complottismo, dove poco meno della metà degli italiani (46,6%) ammette di non avere idea di come si sia originata la pandemia da Covid-19. Poco più di un intervistato su 4 (25,7%) ritiene che ci sia dietro qualcuno, mentre per il 22,9% è stato solo una casualità. Un più contenuto 4,8% afferma, al di là di ogni evidenza, che non esiste nessuna vera pandemia.
E in questo si registra il fallimento del ruolo dell’informazione, sia quella mediatica che quella istituzionale, dove il cittadino è stato lasciato solo davanti a dibattiti animati da puro protagonismo, dove l’evidenza scientifica è stata abbandonata a vantaggio dei dati auditel e dove le Istituzioni hanno mostrato gravi carenze nel come, quando e con che mezzi comunicare efficacemente ai cittadini.
I complottisti pensano non credono che la pandemia derivi semplicemente da una casualità (ricordiamo che sono il 25,7%), il 42,1% ritiene che il virus sia stato creato in laboratorio e poi sfuggito dal controllo, il 25,7% pensa invece che sia stato creato in laboratorio e diffuso di proposito nel mondo. Per un 15,4% ci si sarebbe accorti troppo tardi dell’esistenza del virus e non si è stati capaci di fermarlo, per l’11,3% il virus è un normale virus influenzale ma è stato usato per altri scopi. E la Cina o i cosiddetti poteri forti sarebbero colpevoli della diffusione del virus. Nell’indicare un responsabile, la convinzione è che la pandemia non sia una casualità: in quasi un terzo dei casi (31,4%) viene indicato il governo cinese; un altro 27,3% attribuisce la responsabilità ai poteri forti globali, un 12,1% alle multinazionali farmaceutiche. EURISPES ha chiesto ai cittadini che credono che la pandemia non sia scoppiata per caso, anche quale sia, a loro avviso, lo scopo per cui è stata creata. Fare enormi profitti risulta l’obiettivo più citato (29,3%), seguito da “controllare meglio le persone” (20,1%) e “indebolire le democrazie” (18,4%). Ottengono percentuali degne di nota anche “ridurre la popolazione mondiale” (14,7%), “creare un clima di paura” (10%), “consolidare il potere delle élite internazionali” (9,2%) e, con percentuali più contenute, “nascondere altri problemi gravissimi” (7%) e “giustificare l’intervento dello Stato in economia” (6%). Se poi si arriva alla gestione dell’emergenza da parte dello Stato, prevale un giudizio negativo dove il 55,8% non approva la strategia adottata, contro il 44,1% di giudizi positivi. Tutti dati interessanti che confermano che siamo “figli” e “attori” di una generazione che non ha vissuto i grandi temi sulla salute. Una generazione che a differenza dei nostri nonni e dei nostri padri, non sa cosa è una pandemia devastante, vedi la spagnola all’inizio del ‘900, le grandi guerre, che guarda all’olocausto come un fatto storico e non una ferita per l’umanità.
EURISPES ci dice anche che i cittadini hanno bocciato l’informazione durante l’emergenza COVID-19 dando un giudizio negativo sulla qualità dell’informazione italiana sulla pandemia: il 68,5% è critico, a fronte di un 31,5% soddisfatto. Ma sono gli stessi italiani che credono ancora nella scienza, con solo il 17,6% del campione ha visto diminuire la propria fede nella scienza, mentre per la maggioranza è rimasta invariata (61,9%) e per uno su 5 (20,4%) è aumentata. Allora viene da chiedersi come coniugare la fiducia nella scienza con la confusione nell’informazione che anima la dietrologia e il complottismo. Ancora poco si fa per raggiungere i cittadini con informazione snelle, chiare e in grado di creare empatia con le Istituzioni. Istituzioni sempre alle prese con il comunicato stampa tradizionale, con le conferenze stampa tradizionali, con una comunicazione che non mira all’utente finale, ma solo all’amplificatore, ovvero i media. Una comunicazione che non sfrutta i canali di contatto quotidiano che ognuno di noi ha con il tessuto urbano dove vive e che affida il tutto ai media, che, più attenti all’auditel, danno spazio ai complottisti, ai dietrologi e ai mistificatori della scienza, nell’ottica di una pluralità di informazione che è invece pluralità di disinformazione e confusione. Ma basterebbe poco per costruire una rete diffusa di informazione sulla salute. Pensate: in Italia nei 46.000 terminali ATM (Bancomat) vengono generati ogni anno 500 milioni di prelievi, significa che ogni giorno si presume che quasi 1,5 milioni di italiani si avvicinano ad un terminale e guardano quello schermo in attesa di compiere un’operazione. Basterebbe utilizzare questi canali, come nelle grandi città le fermate tecnologiche dei mezzi di trasporto urbano, o dedicare il 10% della pubblicità stradale ai messaggi di tipo istituzionale, per avere un cittadino consapevole ed informato.
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IN
PUNTA DI PENNA
di Fabio Mazzeo Giornalista e divulgatore scientifico 6000 anni fa, il circa è d’obbligo perché non esiste una data precisa ma la concorrenza di alcuni ritrovamenti in diverse regioni del mondo, l’uomo scelse la città come forma dentro la quale sviluppare livelli più evoluti di civiltà.
lioni di abitanti. Questo è stato seguito da New York City che aveva una popolazione di poco più di 10 milioni nel 1950. Da allora, la popolazione delle città è cresciuta enormemente. Il numero di megalopoli è cresciuto da nove nel 1985, a 19 nel 2004, a 25 nel 2010.
È complesso seguire la narrazione di come in questi seimila anni la città abbia determinato spazi e funzioni nell’organizzazione della nostra specie, ma bisogna constatare il degrado di alcuni valori che rendevano la città la forma di adeguamento alle migliori condizioni di vita possibile per ciascuno degli uomini.
Città che si sono evolute ed involute nello stesso tempo, che hanno cambiato fisionomia e vocazione.
Nate quindi 6000 anni fa per fornire le migliori condizioni di vita, oggi nelle nostre città, soprattutto nelle aree metropolitane e soprattutto le megalopoli, quelle che hanno subito la maggiore espansione, non è più sempre così, anzi non è quasi mai così. Una megalopoli è definita dalle Nazioni Unite come una città che ha una popolazione di 10 milioni o più di persone. Attualmente, ci sono 37 megalopoli nel mondo. Queste città includono Tokyo, New York, Parigi, Berlino e Bangkok, tra gli altri. Le statistiche delle Nazioni Unite del 2017 indicano che le città con la più grande popolazione mondiale sono Tokyo e Shanghai con 38,8 milioni e 35,5 milioni di persone rispettivamente. Recentemente, l’ONU ha previsto che il numero di megalopoli salirà a 41 entro il 2030. Le città diventano “contenitori” di individui e non comunità proiettate sui principi del benessere collettivo.
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Nel 1° secolo aC, Roma era la città politica più grande e più ricca d’Europa e aveva una popolazione di un milione di persone. Tuttavia, la sua popolazione diminuì a 20.000 durante l’Alto Medioevo. Baghdad era la più grande città dal 762 al 1930 dC con una popolazione di un milione. Oltre a queste due città, Chang’an ha sperimentato l’afflusso della sua popolazione dopo il 1930. Dal 1825 al 1918, Londra è stata la città più grande del mondo con una popolazione di oltre 5 mi-
L’urbanizzazione è spesso legata all’economia: maggiori opportunità di lavoro, un mercato centralizzato, una migliore retribuzione e una maggiore ricchezza individuale hanno attirato le persone nelle città. E per molto tempo, questi fattori di attrazione sono ciò che ha causato la crescita delle città. Città fragili e diseguali, incapaci di creare il bene comune. In un certo tempo, è come se l’uomo avesse dunque dimenticato la funzione stessa della forma che aveva generato, la città come dispensatrice di beni comuni. Abbiamo privilegiato la velocità di spostamento in spazi sempre più grandi in una architettura sempre meno funzionale, abbiamo ridotto il verde, polmone delle città, e incrementato a dismisura l’uso di fattori inquinanti, peggiorando l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, l’igiene in cui viviamo. Tutti questi sono il bene comune da ricercare.
Cities Spea L’OMS LANCIA UNA NUOVA BANCA DATIREPOSITORY SULLA SALUTE URBANA Oltre il 55% della popolazione mondiale vive nelle aree urbane, una percentuale che dovrebbe aumentare fino al 68% entro il 2050. Questa tendenza richiede un sostegno rafforzato per affrontare la salute a livello urbano. A tal fine, il nuovo archivio dell’OMS sulla salute urbana dà accesso a un’ampia gamma di risorse generate dall’OMS per migliorare l’azione locale per la salute. La banca dati (repository) riflette il rinnovato impegno dell’OMS nella promozione della salute urbana in tutto il mondo e include risorse che forniscono supporto tecnico e sviluppano capacità, rapporti strategici e linee guida, strumenti di valutazione dell’impatto sulla salute e altri prodotti rilevanti per la salute urbana e le città. Inoltre è una fonte dati ed è una risorsa viva, aperta a modifiche e integrazioni, e verrà regolarmente aggiornata quando saranno disponibili nuovi documenti. Copre argomenti come pianificazione urbana, alloggi, questioni ambientali, trasporti e mobilità, alimentazione, attività fisica, COVID-19 e molti altri. Il motore di ricerca consente agli utenti di accedere ai materiali dell’OMS esistenti per categoria di argomento sanitario, tipo di prodotto, area geografica e anno di pubblicazione/sviluppo.
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Alcuni prodotti nel repository riguardano specificamente la salute urbana (ad es. strumenti di pianificazione urbana locale), mentre altri riguardano questioni più ampie e trasversali che hanno un impatto sulla salute urbana (ad es. linee guida globali sulle minacce per la salute come inquinamento atmosferico, incidenti stradali o violenza contro i bambini che devono essere approvati a livello nazionale e implementati a livello locale). Il contenuto iniziale del repository si basa su un eser-
cizio di mappatura tecnica strutturato, non esaustivo, che identifica le attività ei prodotti dell’OMS nell’organizzazione. L’OMS spera che gli utenti, inclusi ricercatori, professionisti, attori della comunità, funzionari del governo e della città, rappresentanti di ONG, agenti del settore privato, membri della società civile, donatori, partner di sviluppo, agenzie multilaterali e altri in tutti gli Stati membri trovino nel repository uno strumento utile nel viaggio verso una migliore salute urbana.
IN VISTA DELLA COP27 CHE SI TERRÀ IN AFRICA ENTRO LA FINE DELL’ANNO, I SINDACI E I GOVERNATORI DELLE DIECI PRINCIPALI CITTÀ AFRICANE HANNO ANNUNCIATO A MAGGIO UN IMPEGNO AMBIZIOSO E SENZA PRECEDENTI PER MIGLIORARE LA QUALITÀ DELL’ARIA CON LA FIRMA DELLA DICHIARAZIONE C40 CLEAN AIR CITIES. Abidjan, Accra, Addis Abeba, Dakar, Ekurhuleni, Freetown, Johannesburg, Lagos, Nairobi e Tshwane si uniranno a un network globale di 38 città, tra cui Durban, che è diventata la prima città africana a firmare la dichiarazione nel 2019. Firmando il 19 Maggio il C40 Clean, i sindaci di queste città riconoscono che respirare aria pulita è un diritto umano e si impegnano a lavorare per una qualità dell’aria più sicura che soddisfi le linee guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della sanità. L’annuncio è stato dato in occasione di un evento organizzato da C40 durante il 9° Africities Summit a Kisumu, in Kenya. All’evento, C40 ha lanciato il programma African Cities for Clean Air per sostenere le città africane mentre lavorano per migliorare la qualità dell’aria e la salute pubblica. L’inquinamento atmosferico è diventato la seconda
king causa di morte nel continente africano, in parte a causa della rapida urbanizzazione e industrializzazione. Secondo uno studio Global Burden of Disease, circa 1,1 milioni di decessi all’anno sono stati collegati all’inquinamento atmosferico in tutta l’Africa. Circa 59 milioni di persone nelle dieci città africane trarranno beneficio da un’aria più pulita e da una salute migliore attraverso impegni che potrebbero prevenire fino a 10.000 morti premature legate all’esposizione all’inquinamento atmosferico, nonché oltre 300.000 ricoveri, con un conseguente aumento di 9,4 miliardi di dollari in risparmio annuo da morti e ricoveri evitati.
COMUNITÀ ENERGETICHE E PICCOLI COMUNI. DATI, STORIE ED EVENTI DI “VOLER BENE ALL’ITALIA 2022” Comunità energetiche: opportunità per i borghi italiani. Innovazione e autoproduzione da rinnovabili al centro della rivoluzione messa in campo dai piccoli comuni. 38 in Italia quelli 100% rinnovabili e 2.271 quelli 100% elettrici. Oltre cento i borghi che hanno sottoscritto il Manifesto per la democrazia energetica promosso da Legambiente e Kyoto Club. I numeri e le storie di Voler Bene all’Italia 2022 che, dal 2 al 5 giugno, è tornato insieme con eventi e itinerari dedicati alla scoperta del territorio ma anche alle potenzialità delle fonti pulite. Da Biccari (FG) a Pettorano sul Gizio (AQ) da Castelmezzano (PZ) passando per Arrone (TR) nel cuore della Val Nerina a Gaiba (RO) in Veneto. La transizione ecologica ed energetica passa anche attraverso i piccoli comuni. Innovazione, sostenibilità ambientale e comunità energetiche sono le parole chiave al centro di questa rivoluzione che ha per protagonisti anche i piccoli borghi sotto i 5mila abitanti.
Parliamo di realtà capaci di mettersi in gioco e di stare al passo con i tempi, nonostante le difficoltà e il problema dello spopolamento. A parlar chiaro sono i numeri e le storie raccolti da Legambiente e Kyoto Club in occasione della presentazione di Voler Bene all’Italia 2022, la festa nazionale dei borghi in programma dal 2 al 5 giugno nella Penisola, e che testimoniano il cambiamento energetico in atto: 38 i piccoli comuni italiani 100% rinnovabili che grazie al mix delle fonti rinnovabili riescono a produrre più energia elettrica e termica di quella consumata dalle famiglie residenti. 2.271 quelli 100% elettrici, dove la produzione elettrica da rinnovabili supera i fabbisogni delle famiglie residenti. E poi ci sono quei territori la cui produzione di energia da fonti rinnovabili varia tra il 50% e il 99%. In questo contesto, dalla Penisola arrivano anche gli esempi di chi ha già realizzato una comunità energetica rinnovabile con il duplice obiettivo di efficientare i consumi e autoprodurre energia come ha fatto il comune di Ferla, in provincia di Siracusa, il primo in Sicilia, o quello di Biccari, in Puglia nell’entroterra nel cuore dei Monti Dauni, e poi ci sono quelli che in cui la comunità energetica sta partendo proprio in questi giorni come accade ad esempio nel comune sardo di Serrenti.
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La figura dell’Health City manager all’interno dei comuni assume un ruolo di centrale importanza sia per porre l’attenzione sul tema della salute pubblica trasversalmente alle attività dell’Ente Locale sia per coordinare la rete di dipartimenti e di attori sul territorio che possono portare il loro contributo al miglioramento delle condizioni di salute dei cittadini all’insegna di tre principi: equità, inclusione e promozione del benessere individuale e collettivo. Il documento che fa da sfondo all’implementazione delle politiche messe in atto dall’Ente Locale è quello del PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza – NEXTGENERATION) il quale rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per la programmazione delle politiche sociali territoriali. In particolare, il piano delinea l’integrazione da perseguire tra alcune componenti previste dalla Missione 5 “Inclusione e coesione” e la Missione 6 riguardante i temi della Salute. Gli aspetti che hanno ispirato la co-progettazione delle iniziative con gli stakeholders territoriali inserite nel Piano di Zona in particolare sono stati tre: coesione sociale e territoriale, tramite l’investimento sulla parità
di genere, sulla protezione e la valorizzazione dei giovani e il superamento dei divari territoriali; salute e resilienza economica, sociale e istituzionale, obiettivo percorribile per mezzo del rafforzamento dei servizi territoriali e delle reti di prossimità (es. servizi domiciliari, case della comunità, telemedicina); politiche per le nuove generazioni, l’infanzia e i giovani destinando risorse al contrasto alla disoccupazione giovanile e alla dispersione scolastica e rafforzando i servizi per l’infanzia e il sostegno alla genitorialità. L’esperienza di Health City Manager all’interno del Comune di Bergamo si è svolta con l’obiettivo principale di conoscere le attività dell’Ufficio di Piano, mediante il coinvolgimento in progetti inerenti alla promozione della salute e del benessere e la tutela dei soggetti fragili. Il ruolo dell’Health city manager, all’interno dell’implementazione delle linee progettuale derivanti dal PNRR, è stato infatti focalizzato sullo sviluppo di politiche intersettoriali volte a promuovere iniziative dedicate a soggetti fragili che abitano all’interno dell’Ambito territoriale di Bergamo. I progetti nei quali la funzione dell’HCM si è inserito sono stati, infatti, inerenti alla promozione della salute
ESPERIENZA DELL’HEALTH CITY MANAGER NEL COMUNE DI BERGAMO L’
di Giulia Parisi e del benessere nei cittadini con disabilità e anziani, i quali rappresentano la fascia di popolazione che impatta maggiormente sui servizi sanitari e sociosanitari. Con il progetto Pro.Vi. è stata messa in atto una sperimentazione di modelli operativi innovativi che permettano di raggiungere obiettivi Individuali all’interno del Progetto di Vita delle persone con disabilità cognitiva lieve. Il CoHousing a bassissima protezione rappresenta una delle azioni implementate, finalizzata all’inserimento di un gruppo di giovani con ottime abilità residue in appartamento per esperienze abitative settimanali per sperimentare momenti di autonomia. La mission principale del progetto è di supportare le persone con fragilità medio-lieve e le loro famiglie ad intraprendere nuovi stili di vita prima che i caregivers di riferimento siano troppo fragili per erogare l’assistenza necessaria o vengano a mancare. In particolare, l’intento è di garantire la possibilità a poter intraprendere percorsi funzionali ad una vita Autonoma Indipendente. Un’ulteriore esperienza progettuale nella quale l’HCM ha avuto modo di sperimentarsi con attività di ricerca rispetto a esperienze internazionali è stata quella riconducibile al Fondo Innovazione Sociale (FIS) volto a favorire e potenziare l’innovazione sociale secondo gli standard europei attraverso la realizzazione di un insieme di attività orientate al miglioramento della qualità dei servizi e del benessere dei cittadini per la realizzazione di interventi che possono coinvolgere più politiche pubbliche nelle aree dell’inclusione sociale, dell’animazione culturale e della lotta alla dispersione scolastica. In particolare, il progetto che il Comune di Bergamo intende sperimentare prevede un’innovazione nei servizi all’assistenza per la popolazione anziana, con l’introduzione di un nuovo modello di welfare di comunità in grado di ottimizzare l’allocazione e la destinazione delle risorse attraverso il coinvolgimento partecipativo dei cittadini. Il fine del progetto è duplice: ritardare di almeno 5 anni l’ingresso
tendenziale al sistema dei servizi alla non autosufficienza, con un approccio preventivo e proattivo più che riparativo e reattivo; contenere la domanda di assistenza, riducendo di almeno il 25% i costi del sistema e migliorando la qualità di vita degli anziani e di chi se ne prende cura. L’attenzione allo sviluppo delle competenze digitali della popolazione è un altro dei temi di cui l’Health City Manager può farsi carico, attraverso la progettazione di iniziative di avvicinamento dei soggetti over 65 all’utilizzo di strumenti digitali, anche attraverso iniziative formative tese al superamento del digital divide, per disincentivare l’isolamento e il ritiro sociale, sfruttando reti comunitarie. Fin dalla loro descrizione è evidente come tutte le progettualità con cui l’Health City Manager è entrato in contatto durante l’esperienza all’interno del Comune siano state implementate attraverso una collaborazione sinergica tra l’Ente Locale, l’ATS (Agenzia di Tutela della Salute), Enti e le Associazioni del Terzo Settore. L’azione dell’Health City Manager all’interno dei Comuni si rivela quindi essenziale per promuovere e supportare politiche e azioni integrate e intersettoriali volte a rendere le città più sane, inclusive e favorevoli alla promozione della salute, prestando particolare attenzione ai gruppi più vulnerabili della popolazione. Fonti: Governo Italiano. (2021). Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Ministero della Salute. (2020). Piano Nazionale Della Prevenzione 2020–2025. Piano di Zona 2021-2023. Ambito territoriale di Bergamo
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Dieci gesti-barriera per il futuro Nel 2030 il 9% della popolazione mondiale abiterà nelle 33 città più grandi del mondo, nelle quali sarà prodotto il 15% del PIL globale. La capitale delle città, la supermegacittà, non sarà New York né Mosca, non sarà in Europa né in America, ma in Asia. E non sarà nemmeno una città cinese, come molti potrebbero pensare. La città più popolosa al mondo sarà Giacarta, capitale dell'Indonesia, che nel 2030 avrà ben 35 milioni di abitanti. Le città saranno sempre di più i luoghi in cui si elaborerà il futuro del pianeta, in cui si sperimenteranno nuovi modelli sociali e tentativi di pace permanente, in cui si svilupperanno una ricerca di frontiera e insieme modelli di cooperazione culturale inediti. Centrale non sarà tanto competere, quanto scambiarsi buoni progetti e buone informazioni. Come hanno saputo fare Barcellona, Torino, Pittsburgh, Lione, Milano, Istanbul, Tokio, Wroclaw, Matera. Le nove storie narrate in questo volume raccontano di città del mondo che hanno superato crisi, messo mano a strategie innovative e raggiunto risultati concreti. Ma raccontano anche la necessità di non lasciarsi appagare dagli esiti conseguiti. Una città - come ogni organismo vivente - non può mai dire «ce l'ho fatta»: una città è una tartaruga di straordinaria longevità e bellezza, che non si farà mai raggiungere da nessun cittadino Achille.
Il paradosso urbano – Nove città in cerca di futuro di Paolo Verri
20 A cura di Francesca Policastro
LA METROPOLI CONTINUA. STORIA E VITA SOCIALE DEL QUADRANTE SUD DI ROMA di Roberta Cipollini, Francesca Romana Lenzi, Francesco Giovanni Truglia Una ricerca analizza la storia e la vita sociale del quadrante sud di Roma. In collaborazione con il CSV Lazio un focus sull’associazionismo, che ha radici profonde sia nella città compatta sia nei territori della città diffusa. Un libro “che esprime la qualità di fare ricerca, offre tante dimensioni, è profondamente interdisciplinare”, dice Alberto Marinelli, Direttore del Dipartimento di Comunicazione e ricerca sociale dell’Università di Roma. La metropoli continua. Storia e vita sociale del quadrante sud di Roma, a cura di Roberta Cipollini, Francesca Romana Lenzi, Francesco Giovanni Truglia (Sapienza Università Editrice) analizza la vita sociale del quadrante sud della capitale alla luce della storia e delle memorie dei suoi territori. Questo libro fa parte di un percorso iniziato nel 2013, con l’analisi delle specificità del quadrante est di Roma nel lavoro “La metropoli ineguale. Analisi sociologica del quadrante Est di Roma” di Roberta Cipollini e Francesco Giovanni Truglia (editore Aracne). “Il nostro obiettivo era quello di analizzare le peculiarità delle zone urbanistiche in cui la città è suddivisa, che sono 155 in tutta Roma”, spiega la professoressa Roberta Cipollini. La ricerca si era avvalsa di imponenti fonti statistiche reperite sia tramite l’Ufficio di Statistica del Comune di Roma sia dai dati forniti dal censimento Istat del 2011. “L’indagine dava conto della grande eterogeneità e complessità dei territori urbani, in particolare emergeva la grande dicotomia tra centro e periferia, tra ‘città compatta’ e ‘città diffusa’, quest’ultima caratterizzata dalle zone urbanistiche prossime o oltre il GRA (Grande Raccordo Anulare)”. 21
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TAKE AWAY
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“RIGENERA IN SALUTE LA TUA CITTÀ”: IL 2 LUGLIO È STATA CELEBRATA LA GIORNATA NAZIONALE PER LA SALUTE E IL BENESSERE NELLE CITTÀ Salute, sport, ambiente e benessere i temi della Giornata che ha visti coinvolti 223 comuni.
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La Giornata Nazionale per la Salute e il Benessere nelle Città si è svolta in tutta Italia il 2 luglio e ha voluto richiamare l’attenzione, e stimolare l’azione dei Sindaci, sulla necessità e l’urgenza di ripartire dalle città come luoghi per promuovere la salute, il benessere, lo sport, l’ambiente.
statazione dell’aumento dei fattori di rischio per la salute e lo sviluppo dell’uomo legati alle malattie croniche non trasmissibili e a quelle infettive e diffusive come la recente esperienza del COVID-19, un fenomeno esacerbato negli ambienti urbani dal significativo incremento della popolazione in questi contesti.
Presentata la sua quinta edizione il 9 giugno presso la sede nazionale ANCI, la Giornata Nazionale è promossa da Health City Institute, ANCI e Osservatorio nazionale C14+, con il patrocinio di Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle Città”, Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, UNESCO Chair on Urban Health - Education and Research for Improved Health and Wellbeing in the Cities, in collaborazione con Federsanità, Fondazione SportCity, Cittadinanzattiva.
La scelta del 2 luglio è motivata dal fatto che questa data rappresenta il giorno centrale dell’anno solare e il messaggio che s’intende veicolare è che la salute, l’ambiente, il benessere e lo sport debbano diventare temi centrali delle politiche nazionali, regionali e delle città durante tutto l’anno.
Si è svolta in tutta Italia il 2 luglio 2022 la Giornata Nazionale per la Salute e il benessere nelle Città, presentata lo scorso 9 giugno presso la Sala Presidenza ANCI-Associazione Nazionale Comuni Italiani, alla presenza della Sottosegretaria di Stato allo Sport, Valentina Vezzali, e del Presidente di Sport e Salute SpA, Vito Cozzoli. L’edizione di quest’anno, che gode del patrocinio di Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle Città”, Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri, UNESCO Chair on Urban Health - Education and Research for Improved Health and Wellbeing in the Cities, è organizzata in collaborazione con Federsanità, Fondazione SportCity, Cittadinanzattiva e ha voluto richiamare l’attenzione e stimolare l’azione dei Sindaci sulla necessità e l’urgenza di ripartire dalle città come luoghi per promuovere la salute, il benessere, lo sport, l’ambiente. Ideata nel febbraio 2018, l’iniziativa nasce dalla con-
In particolare, il tema dell’edizione 2022 è stato “Rigenera in salute la tua città”, a sottolineare come i processi di riqualificazione e rigenerazione urbana in atto nei nostri territori, anche alla luce dei traguardi e degli obiettivi espressi dal PNRR, debbano necessariamente includere la salute come fattore di crescita e coesione per il Paese. Come ogni anno, durante la settimana precedente e quella successiva al 2 luglio, i Comuni italiani hanno aderito alla Giornata, organizzando iniziative di sensibilizzazione culturali, sociali, sportive, sanitarie collegate al tema della salute e del benessere nelle città e promuovendo sul proprio territorio, nelle forme e con i partner ritenuti più idonei, il tema della Giornata. “La configurazione attuale delle città rappresenta una fonte di forti rischi per la salute pubblica, ma al contempo una sfida ricca di opportunità per governi, regioni, città e cittadini consapevoli che la salute è bene comune, uno stato completo di benessere psico-fisico e non la mera assenza di malattia. La quinta Giornata Nazionale giunge in un momento storico che ha messo a dura prova le nostre comunità e i nostri territori, dimostrando una volta di più come occorra identificare strategie di azione unitarie e nuove alleanze per plasmare un modello di cura e di benessere urbano all’altezza della sfida che stiamo vivendo” ha spiegato Andrea Lenzi, Presidente di Health City Institute e
del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La città stessa diventa così un bene comune, nel suo complesso, in quanto i cittadini che vi risiedono condividono non solo spazi fisici e servizi, ma contribuiscono concretamente alla qualità di vita e al livello di benessere diffuso. Gli amministratori sono chiamati a essere parte attiva in questo processo di sviluppo della città, soprattutto in questa fase in cui l’epidemia dovuta al COVID-19 ha imposto il tema centrale del ruolo dei Comuni e dei Sindaci nella gestione dell’emergenza, nella ripresa delle attività e dei servizi e nel rilancio del Paese stesso. “La pandemia da coronavirus ha modificato profondamente le nostre abitudini e i nostri stili di vita, acuendo i già presenti problemi di equità sociali e introducendo minacce per la salute della popolazione di cui i Sindaci si sono fatti carico con senso di responsabilità e spirito di servizio”, ha detto Roberto Pella, Vicepresidente vicario ANCI, e Presidente Intergruppo parlamentare ‘Qualità di vita nelle città. “Credo che noi tutti, Sindaci e rappresen-
tanti delle istituzioni, dovremo d’ora in poi impegnarci ancora più a fondo per attuare politiche pubbliche e progetti che rendano partecipi e consapevoli i nostri cittadini dell’importanza della salute e garantiscano un livello di benessere e di qualità della vita crescente”, ha aggiunto. “La Giornata nazionale per la salute e il benessere nelle città è un momento centrale dell’anno, e proprio per questo motivo abbiamo individuato la data del 2 luglio per celebrare tutte le azioni messe in campo dai Comuni. ANCI riserva da anni al tema della salute nelle città un’attenzione particolare, nella convinzione che i Sindaci abbiano un compito fondamentale nel suo perseguimento, attraverso una visione strategica che implichi la collaborazione interistituzionale e multistakeholder per l’elaborazione di politiche urbane che abbiano come priorità la salute, il miglioramento della rete urbana dei trasporti, della qualità del verde cittadino e delle politiche ambientali, della promozione delle attività sportive fino ovviamente ad interventi di partecipazione sociale, welfare e supporto attivo alle fasce più deboli”, ha concluso Enzo Bianco, Presidente del Consiglio Nazionale ANCI e Presidente C14+.
Alla GIORNATA NAZIONALE PER LA SALUTE E IL BENESSERE NELLE CITTÀ 2022 hanno aderito le 223 città italiane che hanno sottoscritto il Manifesto “SALUTE NELLE CITTÀ: BENE COMUNE”. RIGENERA IN SALUTE LA TUA CITTÀ è stato lo slogan della Giornata Nazionale 2022 per richiamare l’attenzione e stimolare l’azione dei Sindaci sulla necessità e sull’urgenza di promuovere la salute nelle città come bene comune. Nella storia delle città un rinnovamento lento e costante è un dato di fatto fisiologico e naturale: in alcuni momenti più rallentato, in altri più rapido, in ogni caso in grado di produrre radicali trasformazioni urbane e territoriali. Forme più o meno consistenti di rinnovamento urbano ci sono sempre state, ma oggi, dopo più di due anni di una pandemia che ha colpito profondamente cittadini e città, la rigenerazione delle città coniugata al tema della salute appare come un tema centrale delle politiche dei sindaci, degli amministratori di sanità e delle associazioni civiche. Il PNRR, con le missioni 5 (prossimità) e 6 (salute), pone come obiettivo prioritario l’intervento sul territorio per costruire comunità del futuro più coese: trasformare città e comuni italiani in territori più resilienti e favorire così la capacità di una comunità e dei suoi abitanti di modificarsi per rispondere e incidere positivamente sui fattori determinanti della salute. 26
“LA CITTÀ COME CURA E LA CURA DELLA CITTÀ” di Chiara Spinato Il Presidente di Health City Institute e Direttore del Dipartimento di Medicina sperimentale e Unesco Chair on Urban Health di Sapienza, Professor Andrea Lenzi, è intervenuto il 1° giugno presso la Sala della Protomoteca del Campidoglio in occasione della presentazione della collana “La città come cura e la cura della città” che raccoglie i contributi di una ricerca condotta da sei dipartimenti universitari che vuole mettere maggiormente in relazione la trasformazione urbana indirizzata alla sostenibilità con le questioni che riguardano la salute.
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“Il fenomeno dell’urbanizzazione è una dinamica inarrestabile e incontrovertibile che molto incide sul fardello che le malattie croniche non trasmissibili comportano. Per pianificare una health city, una città che ponga al centro della propria programmazione la salute come bene comune, è necessario innovare la concezione del luogo e dello spazio che finora abbiamo visto prevalere nel tempo. L’ambiente urbano può comportare rischi, ma anche molte opportunità nel momento in cui sarà in grado di generare e promuovere salute e benessere. I laboratori, molto diversi fra loro, tenutisi a Roma, Napoli e Venezia hanno, tuttavia, evidenziato alcuni tratti comuni: l’urgenza di mappare le nostre città come strumento preliminare di costruzione della policy e la necessità di adottare un approccio intersettoriale e multidisciplinare in grado di affrontare disuguaglianze di salute e vulnerabilità sociali in maniera strutturale. In questo senso il ruolo del Sindaco e dell’Amministrazione comunale è un perno fondante di questo nuovo approccio, una dinamica che, come Health City Institute, abbiamo potuto testare attraverso il coordinamento nazionale dell’iniziativa globale denominata Cities Changing Diabetes che trova in Roma Capitale la prima città italiana a entrare, nel 2016, nel network internazionale che ha l’obiettivo di prevenire e contrastare il diabete urbano attraverso una mappatura e un action plan condivisi che intervengano sull’offerta dei servizi ma anche sugli strumenti pianificatori e partecipativi degli spazi pubblici, e privati. Il ruolo dell’Università e della Cattedra UNESCO sul-
l’Urban Health che Sapienza ha inaugurato solo un mese fa, rappresenta una ricchezza a disposizione di progetti come questo PRIN, per generare e agire il cambiamento.” Partendo dalla considerazione secondo cui le qualità dello spazio urbano influenzano i comportamenti e il benessere delle persone, architetti, paesaggisti, esperti del trasporto urbano, biologi, medici e sociologi hanno affrontato, con un approccio transdisciplinare, il tema delle relazioni tra mobilità lenta e benessere psicofisico, ragionando sulla forma urbana e la valorizzazione delle risorse naturali, avendo come obiettivo ultimo la stesura di un “protocollo” di riferimento, esito delle diverse sperimentazioni su alcuni casi studio italiani. Riflessioni di carattere teorico e tre casi studio di Roma, Venezia e Napoli sono stati affrontati attraverso i volumi della collana che illustrano i molteplici aspetti relazionali ed ecosistemici che concorrono alla cura della città. Il Progetto di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN), avviato nel 2015, è come documento di background la Risoluzione ONU Transforming our world: the 2030 Agenda for Sustainable Development (09/2015), il quale pone tra gli obiettivi della sostenibilità la garanzia di vita sana e di benessere alla popolazione di tutte le età. Anche gli assi portanti dei principali programmi europei riguardano, in molti casi, la gestione dell’invecchiamento e la correzione degli stili di vita, mirati a prevenire patologie croniche, e si snodano intorno al concetto che salute e benessere siano strettamente integrati alla nozione di città sostenibile e siano incoraggiate azioni trasversali che rafforzino questi obiettivi coinvolgendo molteplici attori. In quest’ottica ha preso le mosse il progetto di ricerca, che ha inteso mettere in relazione la trasformazione urbana indirizzata alla sostenibilità con la prevenzione delle patologie croniche del XXI secolo, determinate da stili di vita inadeguati. Di fatto l'obesità, il diabete, le allergie e l'asma sono nuove epidemie, generate non da virus, ma in gran parte da ambienti e comportamenti inadeguati: inquinamento, sedentarietà, errata
PRESENTAZIONE DEI VOLUMI
Mercoledì 1 giugno 2022, ore 16:30 Campidoglio, Sala della Protomoteca Introduce e coordina GIOVANNI CAUDO Professore Ordinario, Università di Roma Tre
Intervengono
ADRIANA BERNIERI, ALESSANDRA CAPUANO, ISOTTA CORTESI, ALESSANDRA CRICONIA, LAURA VALERIA FERRETTI, ANNA GIOVANNELLI, ALESSANDRO LANZETTA, PASQUALE MIANO, FABRIZIO TOPPETTI, MASSIMO TRICHES, MARGHERITA VANORE
nutrizione. Ricerche in campo medico hanno evidenziato come condizioni ambientali che favoriscano il movimento e l’attività fisica degli esseri umani, stimolino il consumo energetico individuale e migliorino le performances cognitive. Appare evidente, dunque, che insistere sulla pedonalità e, più in generale, sulla mobilità dolce, debba essere una delle azioni situate al primo posto di una politica urbana che voglia coniugare sostenibilità, vita sana e benessere della popolazione, con evidenti ricadute anche sulla spesa sanitaria. In questo quadro diventa essenziale capire come lo spazio urbano possa essere in grado di influenzare il nostro comportamento spontaneo, inducendo una vita attiva, dove il movimento sia parte degli spostamenti quotidiani e produca effetti positivi sulla salute. Al centro di questo studio, quindi, vi sono la conformazione e le qualità dello spazio urbano, le sue declinazioni morfologiche e le caratteristiche che deve avere la mobilità dolce, come strategie d’incentivazione all’attività fisica e al cambio di stile di vita. Più informazioni: www.curacitta.com
Edizioni Quodlibet Alessandra Capuano&Coordinamento nazionale PRIN e P. I. Diap/Uniroma1, Marina Ciampi+P.I. unità di ricerca DISSE/Uniroma1, P.I. unità di ricerca DISMUS/Uniroma4, &P.I. unità di ricerca IFC/CNR Pisa, Pasquale Miano P.I. unità di ricerca DiARC/Unina, Margherita Vanore P.I. unità di ricerca DCP/IUAV
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“Missione Italia”. Il 22 e 23 giugno a Roma l’evento Anci sul PNRR dei Comuni e delle città A che punto sono gli investimenti e le riforme che accompagneranno l’attuazione del PNRR, opportunità unica di rilancio per il nostro Paese? Questo è stato il filo conduttore di Missione Italia – 2021/2026 il PNRR dei Comuni e delle Città, l’evento annuale organizzato e realizzato da Anci a Roma gli scorsi 22 e 23 giugno presso il Centro Congressi La Nuvola, che ha visto la partecipazione di tutti gli attori istituzionali, economici e sociali coinvolti nell’attuazione in Italia del piano Next Generation Eu. “Per noi è stato doveroso assumere questa iniziativa – ha detto il Presidente Anci, Antonio Decaro – perché nel PNRR i Comuni e le Città hanno un ruolo determinante. I circa 40 miliardi di euro assegnati ai Comuni sono destinati a progetti strettamente connessi con la vita quotidiana dei cittadini e con l’esigenza dei nostri territori di crescere, uscire più forti e più giusti dalla crisi che stiamo attraversando. Il grande incontro di Roma è stato solo la prima tappa di un percorso che l’Associazione intende replicare con eventi di verifica e di confronto annuali fino al 2026, data ultima di attuazione dei progetti. L’Europa e l’Italia si sono fidati dei Sindaci per la realizzazione concreta del PNRR: noi sentiamo molto questa responsabilità nei confronti del nostro Paese, siamo pronti a fare la nostra parte”.
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La presenza istituzionale ai lavori che si sono aperti mercoledì 22 giugno con la relazione del presidente dell’Anci, è stata molto qualificata: dal palco de ‘La Nuvola’ si sono alternati nove ministri: Daniele Franco (Economia), Renato Brunetta (Pubblica Amministrazione), Luciana Lamorgese (Interno), Dario Franceschini (Cultura), Enrico Giovannini (Infrastrutture e Mobilità sostenibili), Patrizio Bianchi (Istruzione), Vittorio Colao (Innovazione e transizione
digitale), Mara Carfagna (Sud e Coesione territoriale), Andrea Orlando (Lavoro e Politiche Sociali), Mariastella Gelmini (Affari regionali) e Roberto Cingolani (Transizione Ecologica). Un altro momento importante dell’evento è stato l’intervento, il 23 giugno mattina, del Commissario europeo per gli Affari Economici e monetari Paolo Gentiloni, introdotto dal presidente del Consiglio nazionale Anci Enzo Bianco. Durante la due giorni, per ognuna delle sei missioni in cui si articola il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si è svolto un confronto tra i ministri titolari di ogni singola misura e i Comuni e le città assegnatarie, insieme ad alcuni rappresentanti di aziende pubbliche e di istituzioni finanziarie coinvolte nell’attuazione del PNRR, tra cui loro Gelsomina Vigliotti (Vicepresidente BEI), Cristiano Cannarsa (Ad Consip), Umberto Lebruto (Ad FS Sistemi Urbani) e Domenico Arcuri (Ad INVITALIA). Durante l’evento sono state altresì presentate le esperienze di alcuni piccoli Comuni che hanno presentato progetti su alcune misure previste dal PNRR: quelle per l’attrattività dei borghi, per la transizione ecologica e missione verde, per la rigenerazione urbana e i piani urbani integrati. La due giorni Anci alla Nuvola è stata anche occasione per far incontrare e dialogare il mondo delle aziende con quello dei Comuni con l’obiettivo di attivare una sinergia concreta ed efficace per mettere a terra, insieme, i progetti del PNRR.
L’ASSEMBLEA GENERALE OMS RICONOSCE IL RUOLO DELLE CITTÀ NEL CONTENERE LE EMERGENZE SANITARIE di Frederick Greenhouse
Nel corso della settantacinquesima Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, svoltasi a Ginevra, è stata approvata la Risoluzione “Città e contesti urbani più preparati per far fronte alle emergenze sanitarie”. L’Assemblea Generale dell’OMS ha concordato tramite una Risoluzione, approvata dai delegati presenti, sulla necessità che le città e gli ambienti urbani siano meglio preparati a rispondere alle emergenze sanitarie e che le città e le autorità locali abbiano un ruolo importante nella prevenzione, nella preparazione e nella risposta alle emergenze sanitarie, in parte perché le città possono essere particolarmente vulnerabili, a causa della densità di popolazione, del mobilità delle persone e della vulnerabilità di alcune comunità stesse. La Risoluzione chiede migliori finanziamenti, pianificazione, cooperazione tra le regioni e tra le città e una migliore comprensione generale e focalizzazione sulle questioni uniche affrontate dalle persone che vivono in queste aree.
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HCI e C14+, insieme ad ANCI, si stanno attivando affinché i contenuti della Risoluzione diventino parte integrante delle strategie sulla salute e sulla sanità in Italia, ponendo città e sindaci tra i primi motori al servizio dell’azione del SSN volta al contrasto alle emergenze sanitarie e alla promozione del benessere e della qualità di vita.
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DAVOS 2022 COSA È SUCCESSO? LE 9 COSE DA SAPERE SUL WORLD ECONOMIC FORUM
Il meeting annuale del World Economic Forum si è concluso a fine maggio a Davos. Dall’Ucraina all’economia, alla tecnologia, alla salute e alle crisi alimentari ed energetiche, ecco 9 cose da sapere. di Frederick Greenhouse
Davos 2022 è stato un incontro di tante novità. Era primo incontro fisico dall’epidemia di COVID-19, il primo dall’invasione dell’Ucraina e il primo incontro dei leader climatici globali dalla COP26. Davos anche quest’anno ha fornito 9 spunti di riflessione sugli scenari attuali a livello globale.
1. La guerra in Ucraina 2. L’economia 3. Il futuro della globalizzazione? 4. Due crisi: cibo ed energia 5. Cambiamento climatico e ambiente 6. Il ruolo delle imprese e degli imprenditori 7. Questioni di salute 8. Il futuro del lavoro
pararsi per la prossima pandemia e di come affrontare la salute mentale e l’equità sanitaria. Soprattutto su questo tema si è concentrato il dibattito animato da Winnie Byanyima, Sottosegretario Generale delle Nazioni Unite e Direttore Esecutivo del Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’HIV/AIDS (UNAIDS) che in una sessione sul tema dell’equità razziale equità nell’anniversario della morte di George Floyd, ha affermato “Il razzismo non è solo quando i neri o i meticci subiscono violenze e vengono soffocati dalla polizia – ricordando così la morte di Floyd – ma vi è un razzismo quando i neri e le persone di colore vengono soffocati a causa della violenza politica, quando vengono loro negati medicinali salvavita e che mettono fine alla pandemia”, ha continuato, “quando non possono accedere alle cure o all’istruzione perché il debito li sta soffocando”.
9. Tecnologia e metaverso Nove punti che richiamano l’urgenza di azioni concrete e sinergiche tra pubblico e privato, per affrontare crisi ambientali, sanitarie ed econimiche che possono minare il futuro delle prossime generazioni. L’attenzione su questi temi è stata altissima, anche perché era stato proprio il WEF, nel giugno del 2020, a sottolineare l’importanza di sfruttare la crisi per promuovere un generale ‘reset’ delle nostre società. Obiettivo ambizioso, quello del ‘great reset’ ma necessario non solo per recuperare i disastri economici e sociali causati dalla gestione del Covid-19, ma anche e soprattutto perché la comunità internazionale ha accumulato significativi ritardi nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità indicati dall’ONU nell’Agenda 2030. In tema di salute ci si è chiesti se siamo pronti alle prossime pandemie e se il COVID-19 ci ha insegnato in tal senso qualche cosa. L’impatto della pandemia di COVID-19 è stato al centro di molte discussioni e si è parlato di come pre-
TUTTI, INDIPENDENTEMENTE DA DOVE VIVONO, DOVREBBERO AVERE LO STESSO ACCESSO A FARMACI E VACCINI INNOVATIVI E SALVAVITA. BILL GATES, COPRESIDENTE DELLA BILL & MELINDA GATES FOUNDATION
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INTERVISTE
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Intervista ad Andrea Mandelli, Vicepresidente Camera dei Deputati e Presidente FOFI di Chiara Spinato Su quali temi si sta concentrando la sua attività parlamentare, in questo ultimo anno di Legislatura?
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Ho l’onore di guidare il Dipartimento Sanità e quello per i Rapporti con le professioni di Forza Italia: è su questi temi che si concentra il mio impegno parlamentare, nella consapevolezza che si tratta di settori centrali e strategici per il rilancio del Paese. Sul piano della salute, siamo ancora concentrati sui colpi di coda del Covid: in vista della ripresa autunnale, stiamo aggiornando quel piano pandemico che, per primi, abbiamo elaborato e messo a disposizione del governo nel febbraio 2021 e che poi è stato per larghissima parte recepito e concretizzato dal premier Draghi e dall’allora Commissario all’emergenza Figliuolo. Contestualmente, stiamo lavorando a un piano organico di proposte per una riforma del sistema sanitario nazionale che sia improntata alla prossimità, senza trascurare la necessità di rafforzare la rete ospedaliera, che valorizzi operatori e professionisti sanitari, con un serio piano di assunzioni che consenta di affrontare in modo efficace l’annoso e intollerabile problema delle liste d’attesa. Siamo inoltre convinti che vadano sfruttate a pieno le opportunità offerte dalla telemedicina e dalla digitalizzazione e che si debbano aggiornare i percorsi accademici per rispondere alle nuove esigenze di salute dei cittadini. Per quanto riguarda il mondo delle professioni, i nostri sforzi sono concentrati innanzitutto sull’approvazione della mia proposta di legge, già votata alla Camera e oggi al Senato, per il riconoscimento dell’equo compenso, affinché il lavoro dei professionisti sia pagato sempre e in modo adeguato. E sto predisponendo un testo sulle società tra professionisti, affinché diventino più vantaggiose e appetibili sia sul fronte normativo che su quello fiscale.
Ritiene che PNRR e nuova programmazione europea siano strumenti adeguatamente pianificati, negli obiettivi e nei traguardi, per far fronte alle tante sfide che il nostro Paese si attende?
Molte delle risorse europee non sono a fondo perduto ma andranno restituite: è indispensabile che gli investimenti che ne derivano siano, perciò, virtuosi. Per quanto riguarda l’Italia, parliamo di poco meno di 68,9 miliardi a fondo perduto e 122,6 miliardi di quota a debito, che andrà onorato entro il 2058. Non possiamo permetterci di ipotecare il futuro dei nostri figli senza che da questo ulteriore debito derivi un impulso forte allo sviluppo del Paese, sia esso infrastrutturale, sanitario o digitale. Sarà, dunque, strategica la fase del monitoraggio dei progetti, affinché neppure un euro vada sprecato. Sono fiducioso: non dimentichiamo che il governo Draghi è nato, su impulso del presidente Berlusconi, per affrontare due necessità stringenti: un serio piano vaccinale per uscire dalla pandemia, da un lato, e la scrittura di un Pnrr efficace, dall’altro. Le riforme poste in essere fino a questo momento vanno nella direzione giusta.
Quale ruolo auspica per le farmacie nel contribuire a pianificare health cities, città in salute, anche valorizzando la funzione di tessuto connettivo delle nostre comunità che esse hanno svolto durante l’emergenza sanitaria? Durante il Covid, i farmacisti hanno rappresentato un punto di riferimento solido e irrinunciabile, venendo incontro alle esigenze di una popolazione smarrita e impaurita: la farmacia è stato ed è il primo presidio sanitario sul territorio, accessibile 7 giorni su 7, notte e giorno, in ogni parte d’Italia, comprese le comunità più piccole. Oggi, usciti dal tunnel più buio del Covid, l’esperienza maturata deve farci guardare con fiducia all’evoluzione del nostro modello nel segno di quella prossimità di cui parlavamo prima. Quella “farmacia dei servizi” che avevamo immaginato nel 2005 è ormai una realtà consolidata alla quale i cittadini possono rivolgersi per ottenere una pluralità di prestazioni, non ultima quella vaccinale. In questi difficili mesi, la figura del farmacista ha conosciuto un’evoluzione profonda, anche grazie a una intensa attività di formazione: oggi
in farmacia si eseguono anche test diagnostici e, appunto, vaccinazioni. Senza tralasciare l’importante aspetto del monitoraggio dell’adesione alle terapie per affrontare la gestione della cronicità. Sono convinto che questa centralità nell’ambito del sistema sanitario nazionale vada valorizzata affinché i cittadini siano messi davvero al centro di una rete territoriale di professionisti sanitari al loro servizio.
In qualità di Vicepresidente della Camera dei Deputati sono molte le energie che dedica al coinvolgimento, durante tutte le iniziative istituzionali, dei cittadini italiani, specie dei più piccoli: l’alfabetizzazione e l’educazione alla salute delle giovani generazioni potrà incidere positivamente nello sviluppo di una cultura più “sana e scientifica” della nostra società? Rivolgersi ai più giovani è fondamentale in ogni ambito. Dopo una lunga sospensione causata dal Covid, la Camera dei Deputati è finalmente tornata ad aprire la porta alle scolaresche per delle giornate di formazione volte a far conoscere le istituzioni. Ho avuto spesso l’opportunità di confrontarmi con loro, in qualità di vice presidente di Montecitorio: far comprendere il funzionamento delle Camere e l’importanza dei nostri meccanismi democratici è il primo passo per far maturare quella che, domani, sarà la classe dirigente del Paese. Parimenti importante è educare i più giovani a prendersi cura della propria salute: la conoscenza e la corretta informazione sono il primo passo per una vera cultura della prevenzione e per contrastare l’influenza di quelle fake news che traggono nutrimento dall’anti scienza e che tanti danni hanno prodotto negli ultimi due anni. Per i giovani, in particolare, i rischi per la salute sono numerosi: penso alla sedentarietà, che può rivelarsi particolarmente insidiosa in una popolazione giovanile così assorbita da nuove e sempre più permeanti forme di tecnologia, o ancora ai pericoli enormi derivanti dalla diffusione delle droghe definite impropriamente leggere. Come fare? La chiave è la sinergia: un patto che veda coinvolti famiglie, istituzioni, enti locali, scuole, centri sportivi, associazioni, affinché ognuno compia la sua parte per sensibilizzare i giovani a seguire condotte virtuose e per promuovere la cultura della prevenzione.
“Healthy Habitat. La transizione: un nuovo progetto biopolitico”
di Paola Viganò Professore ordinario di urbanistica, EPFL Losanna e IUAV Venezia
È un periodo inteso quello che stiamo vivendo, un momento di cambiamento e di transizione. Questa transizione ha molte dimensioni, da quella ecologica, di cui si parla spesso, a quella sociale, altrettanto importante, ed economica. Io credo che è il momento di una costruzione di un nuovo progetto biopolitico. Partirei dalla centralità del tema della vita, che è riemersa in questi ultimi anni. Non che prima non ci fosse la vita, c’è sempre stata. O meglio, non c’è sempre stata ma è da molto che c’è... Ma nel dibattito sulla città era un po’ scomparsa e quindi io oggi mi interrogo su questo ritorno.
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Vi propongo, per articolare questo insieme di questioni su città e salute, tre campi di riflessione: il primo è quello legato alla riflessione di natura foucaultiana, l’emergere di un biopotere che, a partire dal diciottesimo secolo, contraddistingue l’epoca moderna. Questo biopotere è legato a un’idea molto forte, quella della protezione (“Society must be defended”, Foucault 1975-1976) del “corpo sociale”, quindi della protezione degli individui e delle collettività. La medicalizzazione è stato un elemento molto forte che ha contribuito a costruire le nostre città e a cercare una nuova normalità che aiutasse a immaginare una società meno toccata dalle malattie e dalle “eccezioni”. I meccanismi del biopotere sono meccanismi di messa in sicurezza della società, meccanismi disciplinari che consentono di essere accettati come persone “normali” (Les Anormaux, Foucault 1974-1975). Dobbiamo poi ricordare, in secondo luogo, che, dal diciottesimo secolo a oggi, molte cose sono cambiate e c’è stata una progressiva emancipazione di una buona parte della popolazione che oggi, in qualche momento, ci sembra sia stata rimessa in discussione, ma che si riflette nelle politiche del welfare, nell’idea che lo spazio possa contribuire a mantenere in salute una società. L’aspetto dell’emancipazione, quindi, è molto legato all’essere in buona salute: ci emancipiamo più facilmente, se siamo in buona salute. Infine, il terzo campo, è quello dell’ecologia profonda: sapendo che l’idea di Salute Pubblica ha avuto un’evo-
luzione nel tempo, si è aperta man mano all’ambiente, un ambiente che ci consentisse di essere noi stessi in salute, oggi ci viene proposto proprio dall’OMS un concetto ancora più estremo, quello di una sola salute, la One Health. Questo è un passaggio di grande portata, perché ci obbliga a guardare con occhi diversi tutto il resto del mondo, ci obbliga a uscire dall’idea di una centratura sulla presenza umana e a considerare la salute degli altri esattamente importante quanto la nostra. Questo ci porta a guardare al territorio come a un soggetto, a un insieme di soggetti. Per riflettere su questo tema è nato, all’EPFL, “Habitat Research Center”, un centro di ricerca che ha a che fare con il modo in cui abitiamo il nostro pianeta e ha al centro l’urbanizzazione, non la città come fenomeno statico, bensì il processo in divenire. Ci occupiamo di Landscape Habitat (suolo, acqua, aria e così via, nella loro relazione con gli ambienti urbani), Productive Habitat (evoluzione del paradigma del lavoro e della produttività del territorio, divario digitale) e Healthy Habitat (One Health). Lo studio, la ricerca e il dibattito si accompagnano, in Habitat, allo strumento del progetto, un modo fondamentale per capire la realtà e per entrare nei gangli dell’organizzazione della realtà. Ciò è avvenuto, per esempio, con la predisposizione de “La Grande Ginevra” (2018-2020), un’idea che si è concentrata sulla relazione tra suolo e lavoro, nell’area transfrontaliera Francia-Svizzera in cui vi è una forte polarizzazione fra vita (in Francia) e lavoro (in Svizzera). Durante la pandemia il 50% dei lavoratori svizzeri ha scelto lo smart working, lavorando da casa nei tantissimi villaggi dispersi che circondano il centro urbano di Ginevra dove risiede l’altra metà della popolazione. Il problema è che ci occupiamo quasi solo delle città e delle aree periferiche, anche in Italia, e molto poco, invece, di coloro che abitano negli insediamenti più piccoli e remoti, che hanno a disposizione meno servizi e una qualità della vita inferiore. Spesso li condanniamo,
anche, dicendo “hanno scelto di vivere là”, invece la risposta è “no, non si potevano permettere di vivere più al centro”. Ci siamo posti allora alcune questioni, in ottica di rigenerazione dei suoli: cosa succederebbe se i suoli della Grande Ginevra contribuissero in maniera significativa a ridurre le emissioni di CO2? Cosa succederebbe si alzassimo lo stock di carbone del 4 per mille nei suoli di Ginevra? Cosa succederebbe se anche i suoli urbani di Ginevra riducessero il rischio di inondazione e dei picchi di calore? Cosa succederebbe se i suoli di Ginevra garantissero nuovamente la sovranità alimentare? Abbiamo quindi riflettuto sulle soluzioni e progettato una nuova infrastruttura che abbiamo chiamato “infrastruttura socio-ecologica di continuità”, che è un primo modo per portare i temi della transizione all’interno della metropoli ginevrina. Abbiamo valutato che una parte del nostro benessere é senza dubbio legato alla valorizzazione e al mantenimento degli spazi non costruiti. Abbiamo allora costruito paesaggi multipli, figure di continuità, appunto, multifunzionali, che passano attraverso e connettono, con funzioni federatrici all’interno di un territorio molto frammentato e polarizzato. Un secondo esempio è lo scenario no car immaginato nel territorio veneziano e dell’entroterra, qualche anno fa, come opportunità di immaginare lo spazio in grado di facilitare una nuova mobilità, basata su un trasporto pubblico locale molto rafforzato, fino a una mobilità dolce, al cammino. L’auto, infatti, non occupa solo molto spazio nelle nostre case o davanti alle scuole, ma ovunque, e questo toglie spazi essenziali se immaginiamo che la mobilità attiva possa, non tanto e non solo ridurre le emissioni, ma cambiare il nostro stato di salute e benessere e sulla democraticità dell’accesso al suolo che, invece, l’utilizzo dell’auto inficia escludendo una parte della popolazione aprioristicamente. Infine un progetto cui stiamo lavorando per il lungo-
lago di Lecco, sul lago di Como, che abbiamo chiamato “per una nuova magnificenza civile”: come sentirsi bene lungo il suo percorso è l’obiettivo, il cui spessore è molto stretto, perché sappiamo che le montagne vi si buttano a picco, e caratterizzato da un microclima particolare. È una palestra a cielo aperto, vi si possono praticare molte attività diverse. Ci sono molte attività culturali immaginabili in questo spazio. Dobbiamo ritrovare una relazione con la geografia, riappoggiare i piedi per terra, trovare un rapporto con il “dove siamo e come mai questo punto è così particolare”. Dobbiamo porre attenzione al microclima e alla stagionalità, aspetti essenziali in tempi di così forte cambiamento climatico. Forse il COVID-19 ce l’ha fatto capire, dobbiamo ri-appropriaci dello spazio esterno, dello spazio pubblico e saper disegnare queste ambizioni nei nostri progetti per una nuova etica della co-esistenza.
Abstract dell’intervento tenuto in occasione della cerimonia d’inaugurazione della UNESCO Chair on Urban Health di Sapienza, presso l’Aula Magna del Rettorato, in data 3 maggio 2022 (youtube.com/watch?v=HdwLmxPU_Ds).
Paola Viganò vince il Grand Prix de l’urbanisme 2013 Per la prima volta nella storia del Gran Prix de l’Urbanisme, la giuria ha deciso di assegnare il premio ad una donna e non francese: Paola Viganò. Finora il premio era sempre stato assegnato a uomini e francesi. Il premio è stato istituito dal Ministero dell’Urbanistica francese nel 1989. Health City Institute si congratula con la Professoressa Viganò per essere stata insignita del prestigioso premio.
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“Senseable Cities” di Carlo Ratti Direttore, MIT Senseable City Lab Boston , Co-Fondatore CRA In inglese “senseable” significa able to sense, capace di sentire, una città con dei sensori, ma la traduzione in italiano di città sensata, oltre che sensibile, mi piace molto. Vorrei parlarvi dell’intestino della città, “the guts of the city”. Innanzitutto quattro numeri sulle città: 2-50-75-80. Le nostre città sono il 2% della superficie del pianeta, sono il 50% della popolazione – oggi un po’ di più, consumano il 75% dell’energia, sono responsabili dell’80% delle emissioni di CO2. Se riusciamo, quindi, a intervenire sulle nostre città, l’impatto per la sostenibilità globale sarà molto grande. Cosa possiamo fare oggi? Possiamo sfruttare la condizione ibrida, fisica e digitale, data da internet, un internet delle cose, o delle case, ormai, affinché la qualità urbana si traduca in salute e benessere. Un modo diverso di leggere la città, attraverso i big data, che ci consenta di progettare città migliori. E di questo si occupa il MIT Senseable City Lab. Partiamo da una delle mappe più famose della storia, della storia dell’epidemiologia in particolare, quella di John Snow su Broad Street, a Londra, nel 1854, che comprese come si stava trasmettendo l’epidemia di colera, cioè attraverso l’acqua contaminata. Questa mappa ha cambiato moltissimo il modo di progettare le città. Oggi con i dati si fanno cose simili, ma più avanzate, e noi l’abbiamo fatto, prima di COVID-19, con il Sindaco di Boston, nelle acque delle fognature, prelevando dei campioni per capire quali virus e batteri ci fossero. Questo progetto, “Underworlds”, ha consentito, grazie al coinvolgimento di altre discipline e a uno studio di metagenomica, una mappatura in tempo reale in grado di attivare strategie di politica pubblica per salute più accurate e più inclusive, come se fosse un’analisi non del microbioma di un singolo individuo, ma del microbioma di un quartiere o di una parte della città. 42
Da questa esperienza è nata una start-up di biologi, architetti, chimici e ingegneri che, durante COVID-19, nelle città, si è occupata di epidemiologia delle acque reflue per l’individuazione, il tracciamento e la mappatura del virus. Il che, per esempio, ha consentito del lockdown molto localizzati e segmentati, senza che l’intera città dovesse chiudere. I big data possono essere quindi molto importanti per capire la città e agire su di
essa e sul suo stato di salute. Un altro progetto basato sui dati, iniziato qualche anno fa, ha riguardato il ciclo del rifiuto elettronico. Oggi sappiamo tutto della filiera produttiva dei nostri computer, ma, una volta dismessi, sappiamo dove vanno a finire? Moltissimi rifiuti elettronici finiscono dove non dovrebbero, in zone del mondo più povere e a più alta deprivazione, contribuendo a una vulnerabilità ancora maggiore. Gli e-waste spesso finiscono in Paesi dove non sono correttamente smaltiti. Allora ci siamo inventati una piccola etichetta, smart, che potesse tracciare la parte finale del viaggio di un dispositivo per capire se andasse, o meno, a finire nel posto corretto nel modo corretto. Un po’ come il tracciante nel sangue in medicina nucleare, allo stesso modo per il metabolismo urbano. Abbiamo allora ingegnerizzato una etichetta con una batteria in grado di trasmettere una piccola quantità di dati (coordinate GPS), ma di durare a lungo (settimane, mesi o anche anni). Abbiamo fatto una prima campagna a Seattle, per testarla, dove sono arrivati 500 volontari con 3.000 rifiuti diversi e abbiamo iniziato a tracciarli. Ad esempio, abbiamo scoperto che una parte delle etichette finiva in una cava di ghiaia, sempre negli Stati Uniti, abbiamo contattato i proprietari e abbiamo scoperto che smaltivano illegalmente tali rifiuti. Oppure, molti di essi finivano in mezzo alla giungla, in Africa, alcuni legali altri illegali. Inoltre, abbiamo scoperto che talvolta utilizziamo più energia per gestire questa ultima parte del viaggio del dispositivo, che non per la sua produzione. Abbiamo condiviso tutti i dati con la popolazione della città: questo ha creato meccanismi di feedback e di consapevolezza nel modo in cui i cittadini scelgono di fare le cose e di comportarsi. Ecco l’idea secondo cui le informazioni sono importanti e sono in grado di innescare cambi di comportamento, anche grazie al fatto che sono stati pubblicizzati non solo su riviste scientifiche, ma attraverso la televisione. Abstract dell’intervento tenuto in occasione della cerimonia d’inaugurazione della UNESCO Chair on Urban Health di Sapienza, presso l’Aula Magna del Rettorato, in data 3 maggio 2022 (youtube.com/watch?v=HdwLmxPU_Ds).
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Il nuovo energy park “Feeling the energy” di Milano progettato da CRA e visitabile durante la Design Week 2022
Intervista all’On. Beatrice Lorenzin: “Costruire un modello di welfare urbano è un obbligo del presente” di Mario Pappagallo
Promuovere la salute nei contesti cittadini, immaginando anche un nuovo modello di welfare urbano, non può più essere un mero esercizio intellettuale per pianificare un futuro, non lontano ma pur sempre futuro. Oggi è un obbligo del presente. Gli avvenimenti globali degli ultimi due anni che hanno anche rallentato gli impegni per ridurre inquinamento e surriscaldamento del pianeta spingono verso un’accelerazione degli atti concreti. “Oggi è necessario identificare strategie di azione per rendere consapevoli governi, regioni, città e cittadini dell’importanza della promozione della salute nei contesti urbani, guardando alla sempre maggiore urbanizzazione in termini nuovi”. Beatrice Lorenzin, nel dicembre 2017, da ministro della Salute, firmò, insieme al Presidente dell’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), Antonio Decaro, l’“Urban Health Rome Declaration”. Uno degli atti conclusivi del G7 Salute. “Quindici punti in tutto – ricorda la parlamentare – il cui fulcro è sempre la Salute. Si va dall’impegno delle amministrazioni per la tutela della salute dei cittadini, alla diffusione di informazione tra la popolazione con l’inserimento di specifici insegnamenti a scuola, alla promozione dello sport, della sana alimentazione e del trasporto sostenibile. Questa trasformazione, inevitabilmente, richiede una comprensione e un’analisi attenta dello scenario futuro all’interno del quale declinare le politiche per un progressivo miglioramento, in un quadro di welfare state, della soggettività del welfare locale, per favorirne la trasformazione in un welfare generativo, e di partecipazione e progettazione, condivise”. 44
L’Italia, per le sue caratteristiche geografiche e demografiche, con metropoli relativamente grandi in termini di abitanti e molte realtà cittadine con una popolazione molto più contenuta ma distribuite sul territorio abbastanza vicine una all’altra, potrebbe essere il più grande laboratorio per avere città a misura di benessere di chi le abita?
“L’Italia oggi può essere in prima linea nello studio di queste dinamiche correlate alla salute derivanti dell’urbanizzazione se Governo, Sindaci, Università, Aziende Sanitarie e esperti sapranno interagire attraverso forme virtuose e multidisciplinari e non virtuali, settoriali e individualistiche, evitando la logica dei silos, cioè la mancanza di collaborazione e scambio fra le varie istituzioni coinvolte. L’obiettivo resta sempre uno: la città produttrice di salute, la città pulita, sanificata, la città promotrice di igiene. Se la città non è salubre, le persone si ammalano perché il 90% della vita oggi si svolge in centri urbani. E se nelle città medie, più piccole, si vive meglio, le città grandi devono diventare produttrici di salute. Devono essere concepite per calare politiche come nelle realtà piccole. Un centro urbano a misura d’uomo, dove tra casa e lavoro, tra casa e scuola, bastano 15 minuti, meglio se a piedi. Con comunità nel quartiere. Dove favorire l’invecchiamento attivo e dove il verde, inteso anche come orti cittadini o verticali, sia ben distribuito rispetto ad abitazioni e luoghi di lavoro”. Il sindaco di Parigi Anne Hidalgo ha chiesto la ristrutturazione radicale e la decostruzione della città, dove i servizi essenziali e le attività culturali si trovano a 15 minuti a piedi da ogni casa. Che ne pensa? “Un obiettivo da condividere e in linea con quanto ci siamo detti finora”. Che aspetto avrà il Pianeta Terra nei prossimi decenni? “Dipende se siamo in grado di intervenire rapidamente o meno. Se lasciamo che le cose vanno come stanno andando, il nostro pianeta non avrà un buon aspetto. Occorre intervenire subito per la riduzione delle emissioni, per utilizzare tecnologie per riorganizzare strutturalmente le città, per esempio utilizzando materiali che si adattano ai cambiamenti ambientali, in grado di creare energia pulita o di ridurre i consumi, materiali ‘intelligenti’, non inquinanti. Sono urgenti anche investimenti per priorità che, purtroppo, stiamo toccando
con mano con gli scenari di crisi globale emersi dopo la pandemia e ora con la guerra Russia-Ucraina. Non solo la dipendenza energetica (peraltro ma materie prime inquinanti), che sarebbe stato meglio affrontare da tempo, ma anche il problema cibo. Il tema dell’expo di Milano è sempre attuale. Comprendere, non solo a parole, che le biotecnologie sono enormi risorse, anche per lo smaltimento o il riciclo dei rifiuti. Tornando al clima, il nostro fiume più grande, il Po, è sempre più asciutto, senza acqua, e non ora in estate. Lo è da mesi. Occorre progettare, ma soprattutto agire, prima che sia troppo tardi. Un ultimo esempio, ma ce ne sarebbero tantissimi, usare il legno ma in parallelo coltivare boschi e foreste. Ripeto, visione non a silos, ma nell’insieme”. I governi, locali e nazionali, sapranno rispondere alla crescente domanda di salute espressa dai cittadini? “Occorrono modelli burocratici più agili e più rapidi. Siamo sempre ancorati ad un’eccessiva frammentazione dei luoghi decisionali e ad una cronica arretratezza burocratica. Dobbiamo capire se con i PNRR si può rapidamente investire nello sviluppo di città, cittadine e nel recupero di borghi in alcuni casi abbandonati. Ma il tutto deve essere più facilmente applicabile e sviluppabile. Rendere più facile sviluppare gli orti urbani e il recupero dei borghi abbandonati, creare rapidamente smart city, far sì che la prevenzione, dalle malattie infettive all’igiene pubblica territoriale, all’abbassare il rischio di malattie croniche (tenendo conto che il vivere in città è un fattore di rischio per queste malattie) e al tempo stesso far sì che chi ne è colpito possa conviverci il meglio possibile. A partire dalle scuole, dall’educazione al rispetto di sé stessi e al rispetto dell’ambiente in cui si vive”. “È necessario immaginare la città del domani come se fosse un organismo vivente – Beatrice Lorenzin conclude ricordando ciò che disse nel 2017 - e non come un contenitore dove le persone si rifugiano solo per trascorrere la notte. E da organismo vivente dev’essere capace di cambiare così come mutano le esigenze delle p e r s o n e ” .
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VITO COZZOLI,
PRESIDENTE SPORT E SALUTE: “SPORT E SALUTE VUOLE FAR CRESCERE LA CULTURA SPORTIVA IN ITALIA” Sport e Salute SpA ha avviato la costruzione di un percorso di partnership con HCI e C14+ per arrivare alla firma di un protocollo d’intesa che affronti i temi dell’Urban Health. Il Presidente di Sport e Salute, Vito Cozzoli, presenta la sua visione sulle città quale elemento di benessere. Il presidente e amministratore delegato di Sport e Salute, Vito Cozzoli, racconta della Società e delle idee in termini di politica sportiva e sviluppo del Paese, spiegando quanto sia importante lo sport nelle città, come lo sport si possa praticare ovunque e quanto sarebbe importante se le città si “sportivizzassero” diventando palestre a cielo aperto. Da marzo 2020 presiedo Sport e Salute S.p.A., la società dello Stato che promuove ed investe nel ruolo sociale dello sport e dell’attività fisica, come strumento di sviluppo sostenibile per le generazioni attuali e future. Un modello di Sport che non lascia indietro nessuno. Appena iniziato il mio mandato, siamo immediatamente stati travolti dalla pandemia che ha aumentato il disagio psicologico e relazionale. Ma è proprio nelle situazioni più complesse e in relazione alle fasce più fragili della popolazione che lo Sport ha l’opportunità di migliorare la qualità della vita delle persone e la responsabilità di favorire il coinvolgimento attivo di tutti i cittadini. Voglio raccontarvi che cosa ha fatto bene Sport e Salute, nei suoi tre anni di vita, attraverso i numeri ma soprattutto tramite le esperienze dirette sul territorio. Noi siamo impegnati ogni giorno a sostenere il sistema associativo sportivo, la più grande rete di protezione sociale del nostro Paese, per far crescere la qualità della vita delle nostre Comunità. Sport e Salute ha obiettivi chiari e vuole produrre impatti concreti, sviluppando la sua azione attraverso un Piano Sociale ed Industriale che compendia azioni inclusive, sostenibili ed accessibili alla comunità e sul territorio.
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Ma è nella progettualità sociale, quella che entra in relazione nel quotidiano delle nostre comunità, che l’azione di Sport e Salute si è manifestata con più efficacia. Il diritto allo sport parte dal territorio, dal presidio sociale, educativo e formativo rappresentato dal tessuto delle oltre 70000 associazioni e società sportive, protagoniste dello sport di tutti, dello sport quotidiano. Sport e Salute vuole che il PNRR sia un’occasione di rilancio, di nuovi impianti, di sostenibilità per far crescere l’attività sportiva di tutti e in ogni luogo. Noi già
ci siamo con i 150 mila ragazzi e adulti che stiamo avviando all’attività fisica con i progetti “Quartieri” e “Inclusione” e ci siamo con il progetto Scuola Attiva che ha consentito l’inserimento di due ore di educazione fisica per un milione e mezzo di bambini delle elementari. Nel 2022 troverà attuazione il Piano Sport e periferie, il Fondo istituito dal Governo per realizzare interventi edilizi per l’impiantistica sportiva, volti, in particolare, al recupero e alla riqualificazione degli impianti esistenti con un’importante dotazione economica. Il Fondo sarà finalizzato in particolare ai piccoli comuni. Sport e Salute parte dai quartieri, dalle zone più periferiche, dai progetti di inclusione, dall’utilizzo di zone di aree verde abbandonate, dal sostenere la creazione di nuove aree urbane. Un esempio reale e tangibile degli investimenti che Sport e Salute ha messo in campo è lo Sky Park Casilino, un parcheggio multipiano della periferia di Roma trasformato in un luogo di sport, cultura e socialità, finanziato attraverso il bando “Sport di Tutti - Quartieri”. Sport e Salute ha anche promosso, in collaborazione con ANCI, il progetto Sport nei Parchi: sono 1681 i comuni richiedenti e 480 le palestre a cielo aperto in tutta Italia. Il primo spazio è stato inaugurato a Montelupone (MC) a fine marzo. E in futuro possiamo fare molto di più a supporto delle amministrazioni locali. Dalla progettazione, consulenza e assistenza tecnica in materia di pianificazione urbanistico-sportiva e di impiantistica aggregativo-sportiva che dialoghi con il bisogno della comunità di riappropriarsi di luoghi di aggregazione e di gioco che sembravano perduti, come le piazze, le aree verdi e i cortili. Sport e Salute sta lavorando con ANCI ad un piano nazionale per la mobilità sostenibile attraverso le “piste ciclabili” e i “cammini”, le vere autostrade green capaci di collegare tutti i 7904 Comuni italiani. Azioni innovative e sempre più vicine al territorio, con cui vogliamo portare lo sport dove prima era difficile anche solo immaginarlo. Nei prossimi anni l’intero Parco del Foro Italico di Roma avrà a disposizione investimenti importanti per
rinnovarsi, per aprirsi ulteriormente alla cittadinanza. Il Governo ha stanziato delle risorse ingenti che unite a quelle di Sport e Salute permetteranno una riqualificazione organica dell’area del Foro Italico dal punto di vista paesaggistico, architettonico e dell’innovazione. Rendendola ancora più sostenibile, green e tecnologica. A cominciare dallo Stadio dei Marmi fino alla copertura del Centrale. Lo Stadio Olimpico, già oggi è uno spazio emozionale, potenziato dal Tour fisico e virtuale che permette ad appassionati e tifosi di rivivere la storia dello Stadio e della Nazionale grazie l’utilizzo di tecnologie multimediali innovative. Il Foro Italico sarà anche la casa della Sport Tech Industry grazie a WeSportUp. Recentemente abbiamo sottoscritto un’Associazione in partecipazione con CDP Venture Capital - Fondo Nazionale Innovazione e Startupbootcamp, il più importante acceleratore di start up d’Europa, per dare vita al primo acceleratore di start up innovative negli ambiti sport e salute, per sviluppare competenze e tecnologie a servizio del sistema sportivo. Per avvicinare sempre di più le persone all’attività fisica abbiamo lanciato, infine, uno strumento virtuale gratuito, l’app MY SporteSalute scaricabile gratuitamente dai principali store ios e android, che permette ad ogni persona di organizzare la propria attività sportiva, orientandosi tra tutti i 77.000 impianti sportivi del territorio nazionale. È un piccolo gesto per dire che noi ci siamo, per tutti. Perché lo sport entrerà presto nella Carta Costituzionale e sarà un diritto per tutti, e un grande strumento di futuro per la nostra Società.
INFO: www.sportesalute.eu
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URBAN HEALTH COLUMNS
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di Tiziana Frittelli Presidente Nazionale Federsanità e Dg AO San Giovanni Addolorata di Roma
Siamo alla vigilia di una grande riforma della sanità territoriale che vedrà nell’integrazione il fulcro intorno a cui ruota l’occasione straordinaria del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Obiettivo che sarà possibile raggiungere soltanto attraverso una rivoluzione culturale di tutta la filiera della governance della salute e attraverso una fattiva realizzazione di un welfare di comunità che vede i presupposti fondamentali di cambiamento nella riforma della disabilità e della non autosufficienza. Insomma l’integrazione sociosanitaria deve essere messa al centro di una grande stagione di riforme della nostra assistenza per realizzare equità di accesso e presa in carico globale della persona a partire dal suo stato di benessere. È il cosiddetto approccio “One Health” che in sanità costituisce la vera sfida per il management. La pandemia ci ha insegnato, infatti, che a un problema globale non bisogna mai dare risposte individuali ma collettive, nella consapevolezza che la modifica di una variabile finirà per influenzare la vita di tutti. Ecco perché nello scenario post Covid diventa sempre più urgente riflettere su quali siano le forme di welfare di cui le persone e il Paese hanno bisogno, definendone il perimetro. Parlare semplificativamente di welfare non basta più: bisogna dare nuova identità a questa tipologia di intervento, mettendo al centro le persone e la loro cura. 50
Perché concepire un welfare della persona, partendo dal concetto di benessere, per costruire un welfare di comunità? La risposta sta nella necessità di superare le tutele tradizionali ed attivare gli istituti della sicurezza e della protezione sociale rispetto ai bisogni di ogni individuo in ciascuna fase della vita: dai bisogni di salute, che restano il presupposto necessario, ai bisogni dettati dal contesto lavorativo, familiare e sociale.
In questo quadro serve un ridisegno complessivo del sistema salute in cui l’integrazione tra servizi sanitari e sociali consentano il perseguimento effettivo dell’obiettivo di coprire a tutto tondo la richiesta di assistenza che viene dalla cittadinanza. Siamo di fronte ad un nuovo paradigma non solo economico e sociale, ma anche culturale ed etico che concorre al miglioramento della qualità della vita. In questo scenario di innovazione tende ad emergere anche un nuovo ruolo del cittadino che non deve più essere inteso solo come utente/paziente/consumatore, ma come protagonista attivo del miglioramento della qualità della propria vita e di quella della comunità in cui vive. Questa è la sfida delle politiche di salute pubblica e dei servizi sociosanitari: porre la necessità di dare risposte adeguate alla persona e attivare una sussidiarietà circolare in cui i cittadini da soggetti passivi vengano aiutati a diventare cittadini attivi. In questo modo viene anche arricchito il concetto di salute includendo quello di benessere. In questo senso va la spinta del PNRR e della riforma della sanità territoriale che deve puntare decisamente ad offrire ai cittadini risposte di assistenza e cura più “vicine”, non solo in senso logistico ma soprattutto in relazione ai bisogni che essi esprimono. La risposta sostenibile sta proprio nel ridisegnare un’assistenza primaria che, articolando i diversi profili professionali, arrivi a garantire un servizio continuativo sul territorio. Si tratta di assumere scelte programmatiche per i prossimi anni, tenendo ben in mente i dati sull’invecchiamento della popolazione e quelli sull’aumento delle patologie croniche, ma anche la necessità di introdurre innovazione e, al contempo, aderire alle esigenze etiche in termini di sostenibilità e appropriatezza.
COSTRUIRE IL WELFARE DI COMUNITÀ PARTENDO DAL CONCETTO DI BENESSERE
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La Giornata Nazionale per la Salute e il Benessere nelle Città per una salute di comunità
di Anna Lisa Mandorino Segretario generale Cittadinanzattiva
Cittadinanzattiva aderisce a questa iniziativa fin dalla sua prima edizione, e ne condivide da subito il percorso, che intreccia vari temi di cui ci occupiamo da tempo e che negli ultimi anni si colloca nella grande cornice della “salute globale”.
tiva sta provando a farlo attraverso la co-programmazione di interventi pubblici sui territori, con progetti di valutazione civica delle scelte per la qualità urbana, in cui i cittadini sono chiamati, insieme alle istituzioni, a disegnare un nuovo modello di salute.
Nel mondo sanitario è in atto un cambiamento importante - che nasce anche dalla emergenza pandemica e dalle riforme previste dal PNRR - e che, sempre più, dovrebbe predisporre tutti gli attori del sistema a spostarsi da un’ottica molto centrata sulla sanità e sulla prestazione sanitaria ad una, invece, più orientata sulla salute, e in particolare sulla salute di comunità. Garantire la salute globale significa, infatti, fra le altre cose pensare non più solo alla salute dei singoli individui, ma a quella dell’intera comunità e dell’ambiente in cui il singolo è inserito. Questo incontra il tema che quest’anno sarà al centro della Giornata Nazionale per la Salute e il Benessere: rigenerare in salute le città. È essenziale, infatti, comprendere innanzitutto quali siano i bisogni di salute della comunità, quale sia l’offerta e quali siano le risorse che possono essere messe a disposizione per garantire i diritti dei cittadini.
Realizzare percorsi di valutazione civica partenariale consente, in questo senso, di pianificare politiche e azioni che ogni Comune e ogni comunità possano sentire come rispondenti alle proprie istanze, e di crescere in termini di soggettività, individuando le criticità e le risorse che li caratterizzano.
Se è vero che per garantire e facilitare percorsi di promozione della salute e del benessere, sono importanti le decisioni di salute pubblica e le successive azioni da implementare, le organizzazioni della cittadinanza attiva e i singoli cittadini possono portare un contributo fondamentale in questo processo per il cambiamento. La pandemia ci ha insegnato, infatti, che, senza i comportamenti individuali e collettivi, che si accompagnano e si coordinano alle scelte istituzionali, tutto è meno efficace. Per questa ragione dobbiamo lavorare sui due aspetti: politiche pubbliche estremamente efficaci per promuovere e favorire la salute nelle città e, nello stesso tempo, empowerment dei cittadini e rafforzamento del loro protagonismo e del livello di coinvolgimento e partecipazione delle comunità. Questi due aspetti sono da coltivare insieme, in maniera virtuosa, e Cittadinanzat-
Ad esempio, sul tema della mobilità stiamo lavorando insieme ai ragazzi delle scuole superiori con il Progetto O.R.A. – Open Road Alliance, come pratica di coinvolgimento e responsabilizzazione dei giovani nelle scelte sulla salute e sulla sostenibilità delle loro città. La salute nelle città si costruisce in questo caso attraverso una nuova cultura della mobilità, che permetta ai giovani di realizzare città migliori, dove la strada è un bene comune per tutti, diventando ambasciatori consapevoli di stili di vita salutari e sostenibili. Attraverso differenti forme e linguaggi utilizzati per promuovere un vero cambiamento, gli stessi ragazzi hanno messo a punto un Manifesto nazionale che raccoglie le loro istanze, proposte e richieste in tema di mobilità. A Roma hanno avuto l’occasione di essere ascoltati dalle istituzioni nazionali, poi il Manifesto ha preso la via delle 14 Città Metropolitane per un vero e proprio tour conclusosi solo da qualche giorno, in cui gli studenti hanno potuto confrontarsi con gli amministratori locali per presentare le loro proposte, molto concrete e realizzabili anche nell’immediato, e alcune pillole di futuro che descrivono la mobilità del domani. Dopo averli ascoltati e coinvolti, ora tocca dar gambe alle loro idee.
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di Stefano Capolongo 1
Director of the Department in Architecture, Built environment and Construction engineering (ABC) of Politecnico di Milano Scientific Referent of the Design&Health Lab. DABC President of the Urban Public Health Section of the European Public Health Association (EUPHA)
di Andrea Rebecchi 2
Department in Architecture, Built environment and Construction engineering (ABC) of Politecnico di Milano Member of the Design&Health Lab. DABC Member of the Steering Committee of the Urban Public Health Section of the European Public Health Association (EUPHA)
Il problema della sostenibilità urbana ha origini antiche e, con il passare dei decenni, il problema è divenuto maggiormente impattante e allarmante soprattutto in riferimento all’aumento del traffico veicolare e alla concentrazione di inquinanti e sostanze di scarto nocive prodotte dalle città. Di concerto, in funzione dell’eccessiva ed incontrollata urbanizzazione [rif. Talukder S. at Al. Urban health in the post-2015 Agenda. Lancet, 2015, Vol. 385, p. 769], gravi danni ambientali derivano dall’incapacità di sostenere il ritmo di smaltimento degli inquinanti con modalità adeguate, generando impatti significativi sull’ambiente antropizzato e naturale.
urbani e gli impatti di Salute Pubblica apre ad un nuovo scenario di tipo tecnico-progettuale dell’Urban Health, quale un approccio basato sulla capacità di mettere a sistema: impatti sulla salute, fattori di rischio ambientale e strategie di progettazione urbana salutogeniche. Molti di questi aspetti sono condizionati da una corretta pianificazione, progettazione e gestione dei luoghi di cui la città si compone. [rif. Capolongo S. et Al. Healthy design and urban planning strategies, actions, and policy to achieve salutogenic cities. International Journal of Environmental Research and Public Health, 2018, 15 (12), 2698]
Nello scenario di riferimento descritto, la progettazione urbana è capace di promuovere l’equità nella distribuzione dei fattori di rischio e delle opportunità per la Salute Pubblica mediante un approccio consapevole e capace di integrare scopi ed elementi fisici, che siano in grado di promuovere il Well-Being e favorire l’adozione di corretti stili di vita (Healthy Lifestyles), mirati a contenere l’insorgenza di malattie cronico-degenerative - le quali rappresentano un carico elevato per i Sistemi Sanitari Regionali e Nazionali (SSR/SSN) - e ad incentivare l’invecchiamento attivo della popolazione. [rif. D’Alessandro D. et Al. Strategies for Disease Prevention and Health Promotion in Urban Areas: The Erice 50 Charter. Annali di Igiene, 2017, 29 (6), pp. 481-493]
È su queste premesse che si colloca la volontà del Design&Health Lab. del Dipartimento di Architettura, ingegneria delle costruzioni e ambiente costruito (ABC) del Politecnico di Milano, di effettuare una ricognizione della letteratura scientifica e dei casi studio ritenuti virtuosi e rappresentativi di un contesto urbano che possa essere salubre e sostenibile, in coerenza con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, Nazioni Unite) e di promozione dell’accessibilità di una città inclusiva, resiliente e capace di promuovere l’adozione di corretti stili di vita. Viene fatto particolare riferimento all’Obiettivo 3 - Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età all’Obiettivo 11 - Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili; infine, all’Obiettivo 13 - Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico.
Dalla compresenza di problematiche e fattori di rischio ambientali evidenziate, nasce l’esigenza di uno sviluppo sostenibile, capace di riconoscere lo stretto legame tra il benessere umano, la salute dei sistemi naturali e la presenza di sfide comuni per tutti i paesi. In particolare, nello scenario attuale, la Salute Pubblica che si riferisce non solo ad un mero approccio di protezione e promozione individuale, viceversa ad una condizione collettiva, fortemente influenzata dal contesto ambientale e dalle strategie di trasformazione e gestione urbana attuate dai governi locali. Il legame tra le caratteristiche morfologiche e funzionali dei contesti
Diviene pertanto importante saper valutare gli interventi urbani in termini di qualità, livello di sostenibilità e propensione nel promuovere la salute e l’adozione di corretti stili di vita; l’obiettivo dell’indagine presentata in questo numero di URBES Magazine è stato quello di comprendere quali sono i principali strumenti/protocolli di valutazione della qualità urbana disponibili e maggiormente utilizzati; nell’ambito degli stessi, comprendere se prendono in considerazione e/o prevedono indicatori di salute. A scala glo-
Protocolli di valutazione della qualità urbana e scopi di Salute Pubblica bale, la ricerca ha identificato ed indagato un totale di 46 protocolli, provenienti da Asia, America e Oceania. Ogni protocollo, nonostante gli ambiti affrontati siano i medesimi, si focalizza su determinati aspetti che riguardano la sostenibilità, con declinazioni in parte differenti. In particolare, sono stati presi in esame il protocollo BREEAM Communities e LEED for Neighbourhood Development, che, oltre ad essere i maggiormente diffusi ed utilizzati in ambito internazionale, mostrano particolare attenzione nella formulazione di criteri relativi alla salute e al benessere delle persone. BREEAM Communities è stato sviluppato in Gran Bretagna negli anni 2000, come estensione del protocollo BREEAM che valuta i progetti unicamente alla scala dell’edificio. La valutazione si basa su quaranta criteri raggruppabili in cinque macroaree che, sommati, forniscono un punteggio in percentuale corrispondente a uno dei sei livelli di valutazione ottenibile, in una scala da Outstanding a Unclassified. Il procedimento di valutazione è suddiviso in tre fasi che lavorano a diversa scala di dettaglio e sono tutte basate sullo strumento del masterplan. Viceversa, LEED for Neighbourhood Development (LEED-ND) è un sistema statunitense di classificazione dell’efficienza energetica e dell’impronta ecologica di edifici e quartieri, sviluppato dallo U.S. Green Building Council (USGBC). Il protocollo viene sviluppato a partire dal 1994 ma la sua prima elaborazione ufficiale è del 1998. LEED-ND è l’applicazione dei criteri LEED ad una scala più ampia, per la progettazione di quartieri. Il processo di valutazione è composto da tre fasi: piano condizionalmente approvato, piano di pre-certificazione e sviluppo del quartiere certificato. In base al numero di punti ottenuti un progetto raggiunge uno dei quattro livelli di valutazione LEED: Certified, Silver, Gold, Platinum. Fra i 112 quartieri certificati BREEAM e i 51 quartieri certificati LEED individuati, sono stati scelti 20 pro-
getti in base a cinque criteri di inclusione che riguardano: il continente di appartenenza, l’estensione territoriale, la valutazione conseguita, la data di certificazione e la localizzazione rispetto il contesto urbano indagato. Frutto di questa indagine è una matrice di confronto critico quanti-qualitativa che mette in relazione i 20 casi studio e le strategie impiegate nelle quattro macrocategorie di analisi citate in precedenza. Sono stati riportati in estrema sintesi gli aspetti più importanti delle strategie applicate così da avere un abaco di soluzioni e interventi progettuali che possono essere applicati in nuovi contesti. Principale outcome della ricerca è una matrice qualiquantitativa, il cui obiettivo è quello di identificare le diverse strategie utilizzate dai progettisti e dagli urbanisti per raggiungere obiettivi di sostenibilità e Urban Health. La ricerca ha messo in luce come i protocolli, ad oggi disponibili e obbligatori, siano soltanto in grado di certificare la sostenibilità ambientale e la qualità urbana di un dato contesto. Nonostante questi valutino indirettamente le strategie di Urban Health [rif. Capolongo S. et Al. Healthy Urban Planning and Design Strategies to improve urban quality and attractiveness of places. TECHNE, 2020, 19, pp. 271-279] e le ricadute che le scelte di progettazione hanno sulla Salute Pubblica, mancano protocolli di certificazione mirati in modo specifico al raggiungimento della salute urbana. In conclusione, si rende necessario introdurre processi di validazione, monitoraggio e formulazione di scenari previsionali, attraverso l’applicazione di strumenti e modelli di calcolo previsionali, ponendo gli stessi alla base delle azioni di rigenerazione della città e del governo del territorio urbanizzato [rif. Capolongo S. et Al. Public health aspects’ assessment tool for urban projects, according to the urban health approach. SPRINGER, Research for Development, 2020, pp. 325- 335].
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Rosaria Iardino Presidente Fondazione The Bridge
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Le associazioni di pazienti hanno assunto nel tempo un valore in costante crescita sia come punto di riferimento per i soggetti interessati, sia per le famiglie e più in generale per i caregiver a loro collegati. Il loro ruolo è tanto di informazione quanto di orientamento nei confronti dei pazienti, ed è inoltre loro il compito di farsi portatrici dei bisogni e delle attese nei confronti delle strutture sanitarie e dei relativi decisori politici, nonché quello di contribuire a creare reti integrate sul territorio tra servizi sanitari e sociali. A livello normativo, un primo importante passaggio è segnato dal Titolo IV, art. 14, comma 2, del DLGS 502/92 che dice che […] le regioni promuovono inoltre consultazioni con i cittadini e le loro organizzazioni anche sindacali ed in particolare con gli organismi di volontariato e di tutela dei diritti al fine di fornire e raccogliere informazioni sull’organizzazione dei servizi. Tali soggetti dovranno comunque essere sentiti nelle fasi dell’impostazione della programmazione e verifica dei risultati conseguiti e ogniqualvolta siano in discussione provvedimenti su tali materie. Per le finalità del presente articolo, le regioni prevedono forme di partecipazione delle organizzazioni dei cittadini e del volontariato impegnato nella tutela del diritto alla salute nelle attività relative alla programmazione, al controllo e alla valutazione dei servizi sanitari a livello regionale, aziendale e distrettuale […]. Si tratta di uno snodo importante nel quale si legittimano e si riconoscono funzioni ascritte alle associazioni di pazienti che diventano soggetti attivi in termini di partecipazione e programmazione sanitaria, rafforzando dunque il loro valore di stakeholders. Questa norma risale al 1992, ma come il loro ruolo sia cen-
trale per supplire alle incompletezze del sistema sociosanitario è apparso particolarmente evidente, talvolta essenziale, durante recente pandemia da SARS-CoV2 che ha generato uno stato di emergenza al quale in parte hanno sopperito proprio le organizzazioni, che si sono mobilitate avviando una serie di azioni volte a tamponare le mancanze che si sono venute a creare. A titolo di esempio, da una ricerca condotta da Fondazione The Bridge nel 2021, rispetto ad alcune specifiche patologie quali le fragilità mentali, l’oncologia e l’HIV, è emerso come le associazioni abbiano svolto un lungo e variegato elenco di attività per far fronte ai disagi dei pazienti, e che lo abbiano fatto con tempismo e con una sorprendete capacità di adattamento alle condizioni imposte dalla pandemia, trasformando attività in presenza in sportelli e gruppi di auto-aiuto on line, teleconsulti, webinar e aggiungendone di nuove, come ad esempio la consegna di farmaci e mascherine a domicilio; parallelamente le associazioni hanno contributo, spesso in collaborazione con le istituzioni, a ragionare su importanti questioni quali decreti, delibere e ordinanze che tutelassero alcune fragilità, alla proroga di piani terapeutici e così via. All’indomani dell’emergenza il nuovo sistema di governance, in parte frutto proprio dell’esperienza pandemica, non può ignorare tale valore per il quale occorre rafforzare strumenti di integrazione e rappresentanza utili a massimizzare il contributo del Terzo settore, partendo dalla progettazione di una partecipazione strutturata delle associazioni di pazienti anche a livello istituzionale.
IL VALORE DELLE ASSOCIAZIONI DI PAZIENTI, COME CAMBIA NEL TEMPO
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di Eleonora Selvi Esperta politiche per la terza età e Silver Economy
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Il termine orto deriva dal latino hortum, ovvero giardino. Ma l’orto è un giardino dalla cui lavorazione si ricavano non solo fiori, e quindi bellezza, ma frutta, verdura, prodotti commestibili, e quindi nutrimento. L’orto ci richiama al nostro rapporto ancestrale con la terra, con la capacità umana di trasformarla e col miracolo del trarne sostentamento e vita. La meraviglia del seme che germoglia, della pianta che cresce, generando verde, alimento, ossigeno per il pianeta. Da tutto questo lo sviluppo della civiltà urbana ci separa nettamente, al punto che per chi vive in città la terra diviene sinonimo di sporcizia, qualcosa di cui liberarsi, assieme alla memoria del nostro passato contadino, spesso associata a un’idea di arretratezza e miseria. Nella città il verde è improduttivo e ordinato, luogo ricreativo dove godere la bellezza disciplinata del giardino e dei suoi ornamenti, siano essi floreali o architettonici, uno spazio dove fare footing, andare in bici, al massimo organizzare un pic nic in famiglia. Ma ora che la sostenibilità ambientale diviene un tema centrale nelle nostre vite e nella gestione delle città, l’orto urbano – suolo restituito a una delle sue funzioni centrali, quella del produrre nutrimento - può divenire uno degli strumenti per superare quella frattura tra noi e la terra, consentendoci di riappropriarci della memoria, delle radici, degli antichi saperi, per vivere e consumare in modo più verde e sano. La terra, tornata produttiva, recupera la sua funzione di generare, e diviene così parte del processo di rigenerazione urbana. Secondo Coldiretti sono oramai oltre 4 italiani su 10 (44%) che coltivano frutta e verdura in giardini, terrazzi e orti urbani, e lo fanno in ragione della crisi economica generata dal Covid ma anche per il desiderio di trascorrere più tempo all’aperto e utilizzare ogni spazio verde a disposizione per garantirsi cibo sano da offrire a se stessi e agli altri. Gli orti urbani hanno conosciuto un incremento del 18,5% in cinque anni arrivando a superare i 2,1 milioni di metri quadrati di estensione complessiva. I criteri per l’assegnazione degli appezzamenti variano da comune a comune, possono richiedere il pagamento di un canone simbolico da versare ogni anno, magari legato al reddito ISEE o all’appartenenza a una fascia
specifica della popolazione (over 65). Certo è che gli ultimi mesi i rincari, l’aumento continuo di persone e nuclei familiari che si trovano in condizioni di difficoltà economica, rendono questi luoghi ancora più preziosi per via della possibilità che offrono di un approvvigionamento alimentare non soltanto sano, ma anche a basso costo. Questa considerazione ci riporta all’origine degli orti sociali in Europa, che si colloca agli albori del processo di urbanizzazione, quando i lavoratori occupati nelle fabbriche o in cerca di occupazione trovavano sostentamento anche grazie ai progetti promossi da comunità religiose e organizzazioni filantropiche che promuovevano i cosiddetti “orti dei poveri” per la nascente classe operaia. Ci fu poi l’esplosione degli orti urbani durante il periodo fascista, quando vaste aree delle città furono destinate alla coltivazione, nell’ambito della battaglia del grano, per raggiungere l’autosufficienza produttiva. Una campagna che ebbe la sua prosecuzione nei cosiddetti “orti di guerra”, a partire dal 1940, con la trasformazione di parchi e verde pubblico nelle grandi città in aree destinate alla produzione agricola (si possono vedere le foto di Piazza Venezia, dei Fori Imperiali e delle aree intorno al Colosseo a Roma, e di Piazza Sempione a Milano trasformati in campi coltivati). Anche per via di questa memoria associata alla povertà e alla guerra, nel secondo dopo guerra gli orti urbani conobbero una battuta d’arresto, per poi ripartire pienamente negli anni Sessanta. Nel 1990 nacque l’organizzazione ANCeSCAO (Associazione Nazionale Centri Sociali ComitatiAnziani e Orti), puntando a promuovere quello che oggi chiamiamo invecchiamento attivo, attraverso tutte le attività culturali, ricreative e artistiche degli anziani, a partire proprio dalla coltivazione degli orti, “una importante forma di aggregazione e di lotta al decadimento della qualità della vita”. Gli orti comunali, dunque, destinati soprattutto alle persone senior, non solo consentono di applicare i principi di un’economia sostenibile e circolare, essendo un mezzo di riqualificazione di aree verdi inutilizzate o abbandonate delle città e delle periferie, ma divengono dei veri e propri laboratori di stili di vita, consumo e relazioni alternativi.
Gli orti urbani, risposta green alla crisi e laboratorio di relazioni intergenerazionali
A dedicarsi a questo tipo di attività, come abbiamo visto, ormai non sono solo le fasce anziane della popolazione, che pure ne sono i primi fruitori anche in ragione del proprio passato, trascorso in campagna o in piccoli comuni rurali, ma sono sempre più anche i giovani, interessati all’esperienza della coltivazione dell’orto in città. È nata persino la figura del tutor dell’orto urbano, una sorta di personal trainer per i progetti di orticoltura, e si vanno sviluppando reti che favoriscono la messa a sistema e la condivisione di esperienze e progetti. Sostenere gli orti urbani per un’amministrazione cittadina significa dunque vincolare il suolo abbandonato a una destinazione che contribuisce allo sviluppo delle reti sociali, alla promozione di sani stili di vita, all’invecchiamento attivo, quindi al miglioramento della qualità della vita di tutta la popolazione. Oggi più che mai, in una fase in cui l’auto-isolamento degli anziani conseguente il Covid ha comportato uno svuotamento di altri luoghi di socializzazione al chiuso (come i centri sociali per anziani, desertificati da due anni di pandemia), l’orto può assumere un ruolo strategico nel rispondere all’isolamento sociale della popolazione maggiormente a rischio di esclusione. Lo spazio verde destinato alla coltivazione diventa luogo di socializzazione intergenerazionale, in cui gli over 65 possono assumere un ruolo attivo nella trasmissione di competenze ambientali e saperi tradizionali nei confronti dei giovani (i quali a loro volta possono condividere informazioni acquisite attraverso altri strumenti come il web). In molti casi gli orti didattici e sociali possono promuovere anche l’inclusione di soggetti svantaggiati e a rischio di emarginazione, a prescindere dall’età, anche attraverso l’attivazione di progetti specifici o la creazione di cooperative. Occorre partire dalle radici, insomma, dalla tradizione e dal passato, per guardare a un futuro sempre più sostenibile, green e intergenerazionale.
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URBAN ECO MOBILITY TREND
Nascono le Mobility Company. Le proposte rivoluzionarie per una new mobility che sembra futuro… e invece è una realtà. Tutta da scoprire!
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Federica Ascoli, Communication Consultant
Il futuro della mobilità è sempre più vicino e soprattutto diverso da quanto siamo stati abituati fino ora ad immaginare. Le Case auto più importanti e visionarie stanno già “cambiando pelle” e da costruttori di vetture diventano dei veri propri fornitori di servizi per la mobilità. In pratica sempre più si trasformano in “mobility company”, le loro vetture vengono usate ovviamente per facilitare la mobilità ma ne contempo offrono una serie di altri interessanti e utili servizi. Siamo di fronte quindi ad una mobilità, più ampia e magari condivisa ma decisamente innovativa. Per permetterci di muoverci e non solo verso un futuro che probabilmente è già oggi e che si basa su tre semplici concetti; essere inclusivo, semplice e sostenibile.
utilizzati a proprio vantaggio.
Entriamo un po’ più nel dettaglio. Ad esempio è questo il percorso che il Gruppo Renault sta affrontando con la sua divisione Mobilizer. In un contesto di grandi cambiamenti per l’industria automotive, Mobilize nasce per sviluppare un nuovo modello di business basato sul principio VaaS (Vehicle-as-a-Service), con un’offerta completa incentrata su un ecosistema software integrato. L’auto, ma non solo, diventano quindi dei mezzi di cui non si ha la proprietà ma l’utilizzo a cui si aggiungono servizi che consentono di soddisfare tutte le esigenze con soluzioni di mobilità più facili, più accessibili, più ecologiche e più convenienti. Un sistema che vende servizi ovvero avere veicoli dedicati, 100% elettrici, e una gamma di altri servizi completi di carattere finanziario, fornitori di energia, manutenzione e riparazione. Sulla stessa lunghezza d’onda vediamo Toyota, che nella sua trasformazione in “mobility company”, offre Kinto il cui concept di base è proprio che in futuro la mobilità deve essere facile e intuitiva. Partendo da una formula molto semplice ma anche rivoluzionaria, ovvero ‘Non è più l’auto che si muove sul territorio ma è il territorio che muove la macchina’.
Ultima app è quella di Kinto Go che punta ad una mobilità integrata multimodale con cui è possibile pianificare il proprio viaggio con pochi click, eseguire la prenotazione e l’acquisto di titoli di viaggio per i mezzi del trasporto pubblico, treni, taxi, pagare i parcheggi sulle strisce blu. Scaricando le diverse app si accede quindi ad una nuova mobilità che oltre ad essere semplice ci porta ad un diverso rapporto con tutto l’ambiente e una visione più green del nostro modo di vivere.
Un concetto che forse si può tradurre con le esigenze dell’individuo che vengono risolte attraverso un sistema che garantisce un’autonomia di movimento con la creazione di un ecosistema aperto, nel senso che possono così convivere più mezzi inclusivi che vengono
Per farlo Kinto si avvale di una serie di app che sono il cuore operativo. Ad esempio Kinto Flex, un servizio di noleggio di vetture, ovviamente Toyota e Lexus, a breve-medio termine, da 1 mese a 12 mesi, in abbonamento flessibile. Una formula accessibile in maniera completamente digitale, con zero anticipo, un prezzo mensile all-inclusive ed un’opzione di cancellazione mensile. Interessante Kinto Joy, un sistema di carpooling dedicata alle aziende, che permette ai dipendenti di condividere il tragitto casa-lavoro comodamente, in pochi click, magari coordinati dai mobility manager, figure aziendali innovative e di grande importanza!
Comodo, non è vero? Last but not least, nella metropoli milanese è nato ELEC3CITY. È il nuovo car sharing di quartiere lanciato da Volvo in collaborazione con COIMA. A disposizione del pubblico una flotta di 15 vetture Volvo XC40 Recharge Single Motor full electric. Il servizio è accessibile attraverso una specifica app. Le auto possono essere affittate per un tempo che va da 30 minuti a più giorni. Il progetto ELEC3City nasce all’interno di uno dei più nuovi quartieri imprenditoriali di Milano e quindi si propone di andare a supporto dei Mobility Manager come strumento a disposizione di chi è chiamato a gestire in maniera efficiente e sostenibile le esigenze di mobilità in chiave corporate. Che dire, siamo davvero proiettati nel futuro di una mobilità a dir poco rivoluzionaria!
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Le Comunità Energetiche: una grande opportunità per le città e per la transizione energetica di Alessandro Passamonti, Giorgio Ferrigno, Matteo Lo Giudice L’emergenza climatica non è più l’unico allarme che rende la transizione energetica un passaggio obbligato. Le tensioni geopolitiche accelerano un processo di autonomia energetica che si prospettava ben più lungo. L’urgenza strategica ha portato allo sviluppo di nuovi paradigmi e sistemi innovativi, tra i quali le Comunità energetiche. Le Comunità Energetiche innovano l’approccio alla produzione, alla distribuzione e al consumo di energia rinnovabile. Di conseguenza, il loro ruolo è fondamentale per realizzare una transizione energetica basata sui principi di efficienza ed equità. Le Comunità Energetiche sono definite come “una coalizione di utenti che cooperano con l’obiettivo di produrre, consumare e gestire l’energia attraverso uno o più impianti energetici locali, aderendo volontariamente a un contratto”. L’obiettivo primario è ridurre i costi e aumentare l’efficienza energetica per incrementare l’autoconsumo e la collaborazione. Inoltre, le Comunità Energetiche coinvolgono direttamente i cittadini e le comunità nell’obiettivo comune della transizione energetica: decentrando e localizzando la produzione, il consumo e lo scambio di energia rinnovabile, i cittadini, le aziende e le imprese locali partecipano allo sviluppo sostenibile del territorio.
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Secondo uno studio di Elemens per Legambiente, lo sviluppo delle Comunità Energetiche in Italia contribuirebbe alla riduzione di 47,1 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 entro il 2030. In particolare, la piena realizzazione del potenziale delle Comunità Energetiche, oltre ad aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili, contribuirebbe alla decarbonizzazione dei settori del riscaldamento e dei trasporti, fondamentale per il raggiungimento delle emissioni zero nelle città. Inoltre, poiché l’energia auto consumata è meno costosa di quella derivata dalla rete, i cittadini e le imprese membri delle Comunità Energetiche sarebbero economicamente incentivati.
Dal punto di vista normativo, l’Unione Europea è stata il più importante driver in questo senso: già nel 2008, con l’approvazione del primo Pacchetto Clima Energia e, in particolare, della Direttiva RED (Direttiva 2009/28/CE), ha posto le basi per le prime azioni di sostegno agli investimenti nelle tecnologie di generazione di energia rinnovabile, introducendo una serie di obiettivi, in particolare nella direzione di ridurre le emissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990. Si è poi proceduto, tra il 2018 e il 2019, con il Clean Energy Package, un insieme di direttive con l’obiettivo di ridurre le emissioni a livello europeo del 40% entro il 2030 e di fissare un obiettivo di penetrazione delle rinnovabili sui consumi finali del 32%. Esistono quindi linee guida e decisioni a livello europeo, in particolare la cosiddetta RED II, Direttiva UE 2018/2001, che, nell’ambito dell’obiettivo che si era prefissata, prevedeva i cosiddetti REC (Renewable Energy Community) come parte della promozione delle fonti rinnovabili in direzione dello sforzo di decarbonizzazione in vista del 2030. In Italia, la regolamentazione di questa entità giuridica ha seguito un regime transitorio nel 2020 fino all’adozione del relativo decreto legislativo n. 199/2021. L’Autorità di Regolazione per Energia, Reti e Ambiente (ARERA) sta attualmente lavorando alle misure che saranno adottate nel 2022 per attuare il decreto di recepimento della Direttiva RED II. In attesa del recepimento definitivo della direttiva, il nostro Paese aveva già attuato, come detto in precedenza, un regime transitorio nel 2020, tramite il DL 162/2019 “Milleproroghe” poi convertito nella Legge n. 8/2020, una sorta di sperimentazione relativa ai REC a dimostrazione dell’interesse suscitato in materia. L’interesse per questo tipo di strumento finalizzato alla produzione di energia a chilometro zero è in crescita: si stima che entro il 2030 ci sarà una potenza comples-
siva installata in tutta Italia di 7 Gigawatt grazie al recepimento della Direttiva Red II e ai finanziamenti del PNRR. Il cambiamento più visibile derivante da questa transizione è il nuovo ruolo dei consumatori, che passano dall’essere destinatari passivi di servizi energetici, completamente scollegati dai processi di governance dell’energia, a valutare attivamente le scelte di consumo. Ciò avviene attraverso la partecipazione diretta alla generazione e allo stoccaggio dell’energia. Così facendo, i singoli utenti (che possono essere cittadini, ma anche soggetti diversi come associazioni o imprese) diventano prosumer, cioè chi possiede un proprio impianto di produzione di energia, di cui consumano una parte. L’autoproduzione e l’autoconsumo diventano collettivi nel momento in cui gli attori entrano a far parte della Comunità Energetica, dove gli utenti collaborano tra loro e con altre figure come il fornitore di servizi energetici per produrre, consumare e gestire l’energia attraverso impianti energetici locali. L’energia è importante non solo per il sistema economico, ma anche per la struttura di fondo della nostra società. A causa della sua crescente importanza, il sistema energetico è diventato un oggetto primario di giustizia sociale, generando nuove tensioni tra mercato, diritti e solidarietà e alimentando ulteriori disuguaglianze sia all’interno delle singole comunità che a livello globale. Di conseguenza, è emerso un nuovo tipo di povertà, quella energetica. Le Comunità Energetiche, che si inseriscono nello scenario dell’autoproduzione e dell’autoconsumo di energia collettiva e sostenibile, sono uno strumento importante per mitigare la povertà energetica, in quanto tutti i cittadini possono trarre diversi tipi di beneficio dalla partecipazione ad esse. Come detto, le Comunità Energetiche hanno il ruolo chiave di coinvolgere direttamente i cittadini e le comunità nel perseguimento dell’obiettivo comune dell’efficienza energetica, pilastro fondamentale per la transizione del sistema. Oltre a incrementare la produzione di energia rinnovabile, le Comunità Energetiche producono effetti positivi legati alla decarbonizzazione di altri settori, come quello dei trasporti, promuovendo lo sviluppo di città sostenibili e, quindi, il perseguimento del SDG numero 11. La transizione energetica richiede un’attenzione non
solo alle questioni ambientali, ma anche a quelle sociali, e le Comunità energetiche sono uno strumento orizzontale che tiene conto di più dimensioni. Grazie ai loro effetti positivi nel garantire l’accesso a sistemi energetici economici, affidabili, sostenibili e moderni per tutti, una diffusione territoriale delle CE avvicinerebbe gli obiettivi 2030 e garantirebbe un alleggerimento della pressione energetica che grava sugli Stati e, quindi, sui consumatori. Mai come negli ultimi due anni, la popolazione europea ed in particolar modo italiana, si è ritrovata con le spalle al muro. Il biennio 2020-2022 ha sovvertito ogni certezza facendo risalire a galla una lunga serie di problematiche irrisolte nel corso degli anni. Si è sempre parlato di lavoro da remoto ma solo con l’inizio della pandemia si è iniziato a rivedere le nostre politiche lavorative. Si è sempre parlato di cambiamento climatico ma sono con lo scoppio del conflitto Russo – Ucraino abbiamo iniziato a prendere seri provvedimenti. Se è vero che bisogna di fare di ogni necessità di virtù. Io penso che ad oggi sia arrivato il momento di fare un passo indietro per andare veramente avanti. Ogni qual volta i tempi son stati duri, la storia ci insegna che l’uomo ha trovato la giusta direzione stringendosi attorno alla propria comunità, che in questo caso è anche energetica e green.
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LE PIÙ GRANDI ORGANIZZAZIONI GIOVANILI DEL MONDO CONCORDANO UNA NUOVA COLLABORAZIONE STRATEGICA CON L’OMS PER COSTRUIRE UN FUTURO PIÙ SANO, PIÙ EQUO E GUIDATO DAI GIOVANI di Alessandro Indovina Segretario Generale Federazione YMCA Italia Gli amministratori delegati e i leader giovanili delle Big Six Youth Organizations si sono incontrati con i leader dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), in occasione dell’Assemblea generale di Ginevra dello scorso 13 maggio, per discutere il ruolo dei giovani nella guida agli sforzi per la risposta e la ripresa da COVID-19 e per concordare una partnership strategica per coinvolgere i giovani nelle future crisi sanitarie. Gli accordi di partenariato firmati da cinque dei Big Six sono progettati per aumentare la collaborazione multilaterale e mettere i giovani al centro del processo decisionale, mentre l’IFRC-International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies utilizzerà la partnership esistente per raggiungere questo obiettivo. Questo rappresenta un’importante pietra miliare nella proficua collaborazione tra le Big Six, l’OMS e la Global Youth Mobilitation (GYM). La GYM è un movimento di giovani che agiscono per affrontare l’impatto negativo della pandemia di COVID-19 e per ricostruire meglio. I giovani di oggi affrontano un momento di sfida senza precedenti. Oltre agli impatti diretti sulla salute esacerbati dalla pandemia, i giovani continuano a essere colpiti in modo sproporzionato da interruzioni dell’istruzione, perdita o mancanza di opportunità di lavoro, violenza domestica e di genere, problemi di salute mentale.
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I nuovi accordi strategici si basano sulla mobilitazione globale dei giovani, un’iniziativa di successo lanciata alla fine del 2020 e supportata dall’OMS e dalla Fondazione delle Nazioni Unite attraverso il COVID-19 Solidarity Response Fund. La mobilitazione globale dei giovani consente il rapido esborso di micro sovvenzioni a decine di migliaia di giovani in tutto il mondo per aiutare a sviluppare soluzioni per garantire che le loro comunità emergano dalla pandemia più forti di prima. Attraverso il suo programma “Soluzioni Locali”,
i giovani stanno guidando il cambiamento e implementando soluzioni in risposta al COVID-19 agendo attraverso interventi basati sulla comunità e servizi di volontariato. L’iniziativa sta alimentando il cambiamento anche a livello nazionale attraverso il coinvolgimento e l’attivazione delle Big Six organizzazioni nazionali in tutto il mondo. La collaborazione tra l’OMS e le Big Six Youth Organizations include un focus sulle aree della salute mentale e fisica, promozione della salute, salute e diritti sessuali e riproduttivi, clima e salute. Commentando la collaborazione strategica, Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS, ha dichiarato: “L’OMS è orgogliosa di sostenere il movimento globale per coinvolgere e responsabilizzare i giovani come forza trainante nella ripresa dalla pandemia di COVID-19. Lavorare con i Big Six e la Fondazione delle Nazioni Unite ha fornito un’opportunità unica per imparare da milioni di giovani ed essere guidati dal loro entusiasmo e dalle loro idee per aiutare le comunità a ricostruire meglio. Ciò che i Big Six hanno ottenuto in un anno attraverso il lancio e l’attuazione della mobilitazione globale dei giovani è fenomenale e senza precedenti nel settore dello sviluppo giovanile. Non vediamo l’ora di continuare il nostro supporto attraverso questi nuovi accordi di partnership e incoraggiamo gli altri a collaborare con i Big Six e a investire nella salute e nel benessere delle generazioni future”. Anna Segall, CEO della World Association of Girl Guides and Girl Scouts e attuale presidente della Global Youth Mobilitation, ha dichiarato: “Crediamo nell’agenzia dei giovani e sappiamo che con il giusto supporto e opportunità possono immaginare e guidare le soluzioni alle sfide globali che dobbiamo affrontare oggi. Unendosi attraverso la mobilitazione globale dei giovani, le Big Six Youth Organizations hanno dimostrato che ascoltando i giovani e fornendo loro lo spazio e le risorse per agire, le nostre organizzazioni e i giovani possono avere un enorme impatto collettivo. Non vediamo l’ora di continuare questo
lavoro vitale attraverso la nostra nuova collaborazione strategica con l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Sostenendo i giovani a migliorare la loro salute mentale e fisica, la salute sessuale e riproduttiva e i loro diritti e ad affrontare l’impatto del cambiamento climatico, possiamo lavorare insieme per creare un futuro migliore e più equo per tutti”. Meti Gemechu, rappresentante del consiglio giovanile della World Young Women’s Christian Association per la Global Youth Mobilitation, ha dichiarato: “Attraverso la mobilitazione globale dei giovani, i giovani hanno dimostrato che non siamo noi il problema, ma in realtà la soluzione non solo per riprendersi dalla pandemia, ma per ricostruire meglio. Con l’innovazione, l’energia incessante e la dedizione al miglioramento delle nostre comunità, i giovani hanno guidato gli sforzi di risposta e di recupero. La mobilitazione globale dei giovani è un attore fondamentale nel riunire tutti per un futuro di cui vogliamo far parte”. Durante la visita di tre giorni a Ginevra, i Big Six hanno condiviso i punti salienti e le raccomandazioni con agenzie multinazionali, istituzioni, governi, responsabili politici e società per dare priorità ai bisogni dei giovani della Global Youth Mobilization. Questi sono stati tratti dal rapporto sull’impatto “Powering Change: Young People Leading the COVID-19 Response and Recovery” della GYM. Ad oggi la mobilitazione globale dei giovani ha già portato 200.000 giovani attivamente impegnati nell’affrontare le conseguenze della pandemia di COVID19 nelle loro comunità locali. Sono stati in prima linea nella ripresa dalla pandemia, realizzando fino ad oggi oltre 260 progetti in 77 paesi e supportando 800.000 beneficiari della comunità. Per l’Italia il tema della tutela della salute e il benessere psico-fisico dei giovani è l’argomento prioritario nell’agenda della Federazione YMCA Italia, per YMCA
Health e per tutte le associazioni locali. INFO: https://globalyouthmobilization.org/local-solutions/
La Global Youth Mobilitation (GYM), lanciata a dicembre 2020, è un movimento di giovani che agiscono per migliorare le loro vite e le loro comunità ora e in un mondo post-COVID-19. Alimentato dalla Big Six - Young Men’s Christian Association, YMCA; Associazione Cristiana Mondiale delle Giovani Donne, YWCA; Organizzazione Mondiale del Movimento Scout; Associazione mondiale delle guide e delle scout femminili; Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, IFRC; e il Premio Internazionale del Duca di Edimburgo, che insieme raggiungono attivamente 250 milioni di giovani in tutto il mondo – e supportato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla Fondazione delle Nazioni Unite, il GYM mira a sfruttare questo slancio per affrontare l’impatto negativo della pandemia su giovani e aiutarli a ricostruire meglio. Con il supporto del COVID-19 Solidarity Response Fund, la mobilitazione globale dei giovani sostiene e amplia le soluzioni guidate dai giovani, reinventando i modelli di finanziamento e rivitalizzando i programmi di coinvolgimento dei giovani in tutto il mondo.
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FOCUS ON CITTÀ
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LA RINASCITA DI BUDAPEST PASSA DAL PIÙ GRANDE E AMBIZIOSO PARCO URBANO CULTURALE D’EUROPA Il Liget Budapest Project è attualmente il più grande progetto di sviluppo culturale urbano su scala europea, finalizzato al rinnovamento del parco della città e dello sviluppo della rete culturale delle istituzioni e collezioni pubbliche nazionali. Il Progetto, già in corso di realizzazione, prevede il completo rinnovamento del parco pubblico più grande e iconico di Budapest. Tale riqualificazione sarà attuata secondo gli standard attuali, del 21° secolo, ma nel pieno rispetto del patrimonio del parco di 200 anni. Grazie a questo mega-investimento nascerà un gioiello della corona per Budapest, che diventerà il polo di attrazione imperdibile della capitale sia per i locali sia per i visitatori. L’unicità di questo magnifico progetto risiede nella capacità di riunire il meglio di due mondi senza compromessi: la rinnovata Városliget sarà un’oasi verde nel mezzo della città che offre esperienze di svago e culturali senza rivali, sia per i cittadini di Budapest che per i turisti di tutto il mondo. Dopo essere stata selezionata al MIPIM 2017 per il premio “Best Futura Mega Project” da una giuria internazionale composta dai principali esperti immobiliari e architetti internazionali, l’intera comunità professionale europea monitora il Progetto Liget Budapest, che è già in fase di esecuzione. Il 2018 è stata una pietra miliare nella storia del Progetto Liget Budapest, quando dopo sei anni di lavori preparatori è iniziata l’esecuzione dei piani.
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A riprova di ciò, il primo ministro Viktor Orbán ha consegnato a maggio 2019 uno degli elementi più importanti del progetto Liget Budapest, il Centro nazionale di restauro e stoccaggio. L’istituto dispone di depositi all’avanguardia, laboratori di restauro, sale di ricerca e uffici, i progetti hanno anche assegnato uno spazio in un edificio medico ricostruito all’Istituto di ricerca sulla storia dell’arte dell’Europa centrale nel complesso edilizio di circa 37.000 metri quadrati attrezzata per soddisfare ogni esigenza professionale. Il Centro è una delle istituzioni più avanzate del suo genere nell’Europa centrale. Il progetto ha già alzato il profilo del suo quartiere: come sviluppo di attrazione ha attratto diversi investitori nella location e ha anche aumentato il valore degli immobili circostanti. Il traffico automobilistico attraverso il parco cesserà, così come i parcheggi fuori terra. Nel 2018 ha aperto i
battenti un parco avventura per cani, un giardino sensoriale e un campo sportivo per giovani, il primo di sette rinnovati o costruiti ex novo per praticare sport all’aria aperta. Nell’ambito della seconda fase del progetto Liget Budapest, sono stati completati il rinnovato giardino botanico, un nuovo parco avventura e la pista circolare illuminata del City Park, lunga due chilometri. Il giardino botanico Mőcsényi Mihály attende i visitatori come uno spazio comune colorato e suggestivo e un centro di conoscenza sulla natura, mentre gli appassionati di sport possono utilizzare la pista scozzese circolare. Come risultato di questi sviluppi, oltre 150.000 m² di area verde sono stati rinnovati durante l’attuazione del progetto Liget Budapest insieme alla piantumazione di quasi 500 nuovi alberi sani. L’ultimo tassello del progetto a essere inaugurato, lo scorso 23 maggio 2022, è stato il museo etnografico, nel cuore del rinascente parco cittadino. La nuova sede della storica istituzione ungherese è stata progettata dallo studio NAPUR dell’architetto Ferencz Marcel, vincitore di un arduo concorso internazionale contro i maggiori studi di architettura del mondo, diventando la prima struttura costruita assecondando le necessità specifiche di un museo di etnografia. Lo spettacolare edificio, che evoca nel design due colline, è caratterizzato dalla grande facciata, composta da mezzo milione di tessere che riproducono una serie di motivi etnografici ungheresi e internazionali, e dal giardino pensile di oltre 7mila metri quadri (con circa duemila piante), che si apre sul panorama collinare che circonda la capitale ungherese. Questo progetto va infatti ad aggiungersi al restauro del Museum of Fine Arts, concluso nel 2018, al National Museum Restoration and Storage Centre e alla Olof Palm House (entrambi del 2019) e alla meravigliosa House of Music, Hungary dello studio giapponese Sou Fujimoto, aperta lo scorso gennaio. Ancora attendono invece i progetti per la House of Hungarian Innovation e la New National Gallery dello studio SANAA, che sarebbe dovuto essere il pilastro del rinnovamento urbano ma è stato bloccato dal sindaco della città Gergely Karácsony, con una visione progressista e aperto all’Unione europea, in quanto troppo impattante a livello ecologico.
Un grande progetto di sviluppo urbano riguarda Budapest, la città capitale dell’Ungheria, che vedrà il completo rinnovamento del parco più bello e antico della città, il Liget Budapest Project.
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Dakar: una Biennale africana nel segno dell’identità per vincere le sfide della contemporaneità Si è svolta fino al 21 giugno la 14a edizione della Biennale di Dakar, slittata al 2022 a causa della pandemia. � NDAFFA, questo il titolo scelto per l’edizione 2022, che in lingua Sérère significa “forgiare”; un verbo per suggerire la libertà di trasformare la materia, e le molteplici possibilità che offre la materia trasformata. A livello più “pratico”, c’è un preciso richiamo al processo di produzione, che a sua volta chiama in causa la manualità, il lavoro dell’individuo che riprende il sopravvento sulla macchina.
biente e la qualità della vita con obiettivi e principi innovativi di sviluppo sostenibile. In questo contesto sono in corso importanti programmi: la messa in servizio di un sistema intelligente di semafori, il programma di ripristino e ampliamento delle strade comunali, il programma di ampliamento degli impianti di illuminazione stradale ad energia solare, il programma di pavimentazione stradale, che rappresenterà una potente leva per generare occupazione, specie giovanile.
Il messaggio è assai profondo, come spiega El Hadji Malick Ndiaye, Direttore artistico della Biennale: “Attingere alle tradizioni africane, rivisitare le forme del sapere locale, negoziare rappresentazioni del mondo a livello locale, prendere in considerazione questo patrimonio e contestualizzarlo nella storia, anche dell’arte, sono comportamenti culturali da esplorare per forgiare una nuova consapevolezza civile e artistica in Africa. La storia è il frutto di una fucina, perché il tempo è metallo da plasmare. Scrivere la storia significa idealmente entrare in questa fucina”.
Una città unita, attraverso le dinamiche sociali pre-esistenti, sviluppa la priorità dell’istruzione e dell’educazione attraverso il programma “The City in good student’s parent” che ha alleggerito drasticamente le responsabilità dell’educazione dei genitori, ha aumentato le attrezzature tecniche presenti nelle strutture sanitarie e ha ampliato la fornitura di cure.
La recente pandemia ha sollevato molteplici questioni relative al rispetto della natura e all’autonomia delle società africana, e ha visto emergere tante nuove voci che chiedono sia di correggere lo squilibrio, sia di curare l’anima di un’umanità che il razzismo non ha mai smesso di avvelenare.
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Barthélémy Dias, Sindaco della città insediatosi a gennaio 2022, succede a Khalifa Ababacar Sall, che ha avviato un intenso e profondo processo di rinnovamento della città. La città di Dakar è stata creata nel 1857, occupa un’area di 83 km² e la sua popolazione è stimata in oltre 2 milioni. Dakar è divisa in diciannove municipalità, ciascuno guidato da un amminsitratore. La città di Dakar è una città moderna che sta cercando di gestire l’urbanizzazione imprevista e non pianificata, che l’ha coinvolta in questi ultimi decenni, attraverso la strutturazione di investimenti che migliorino l’am-
Una città che sta cercando di imporre sicurezza attraverso il Fondo di Sviluppo e Solidarietà Municipale (FODEM), che è il principale strumento di politica socio-economica promuovendo l’attività e il coinvolgimento di donne e giovani, attraverso il finanziamento a micro-progetti come l’orticoltura, che ha effetti sulla sicurezza alimentare e sulla lotta alla povertà, criticità innegabili. Una città dinamica e aperta che si candida a città di riferimento per la regione e per il futuro della cultura urbana africana.
Arroccata nel punto più occidentale dell’Africa, la cosmopolita Dakar è la città simbolo dell’Africa Occidentale e ha ospitato quest’anno la Biennale, puntando a valorizzare la creatività della regione a partire proprio dalla sua capitale.
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FOCUS ON SPORT E CITTÀ
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LA FONDAZIONE SPORTCITY INAUGURA L’OSSERVATORIO PERMANENTE SULLO SPORT A distanza di due anni dalla nascita della Fondazione Sportcity, il laboratorio indipendente di idee e progetti nato dalla necessità di studiare l’impatto dello sport e dell’attività fisica sul benessere delle aree urbane e sulla qualità della vita dei cittadini, si moltiplicano sempre di più le attività e gli eventi. Oggi, la Fondazione ha inaugurato l’Osservatorio permanente sullo sport, un’attività di ricerca strategica e decisiva per il futuro della nostra società e dello sport. “La rivoluzione dolce delle Sportcity sta diventando una meravigliosa realtà – dice il Presidente della Fondazione Fabio Pagliara. A partire dalla nascita del nostro laboratorio di idee non ci siamo mai fermati nell’organizzare meeting, webinar, tavole rotonde e soprattutto eventi in decine di città italiane, e siamo coscienti che dobbiamo proseguire su questa linea per ottenere dei risultati importanti. Per questo siamo convinti che investire in studi e ricerche sia decisivo per il raggiungimento degli obiettivi, perché occorre competenza di contesto e dati strategici che consentano di studiare il presente per capire il futuro e intercettarlo per tempo”.
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A presiedere l’Osservatorio sarà Federico Serra, Presidente dell’International public policy advocacy association (Ipaa) a livello mondiale, che sin dall’inizio ha creduto nel lavoro della Fondazione ricoprendo il ruolo di editor in chief della rivista scientifica Sportcity Journal. “Sono contento della responsabilità che mi è stata affidata dagli amici e colleghi di Fondazione – dichiara Serra. Insieme allo Sportcity Journal che già realizziamo, da oggi faremo funzionare un Osservatorio permanente sullo sport, con studi specifici che partiranno dai concetti di benessere, socialità e cultura del movimento. Sarà una bella scommessa utile per immaginare lo Sport del futuro in questo Paese”.
SPORTCITY DAY 2022: UNA NUOVA EDIZIONE, IL NETWORK SI ALLARGA Dopo il grande successo della prima edizione dello SportCity Day che lo scorso 19 settembre ha visto protagoniste 18 città italiane coinvolgendo migliaia di cittadini attivi, l’evento organizzato dalla Fondazione SportCity tornerà ad animare le piazze e le aree verdi urbane in tutta italia e anche all’estero. Il 18 settembre 2022 avrà luogo la seconda edizione dello SportCity Day con oltre 25 città già aderenti e pronte a coinvolgere le comunità locali in una giornata interamente dedicata allo sport all’aria aperta. Sarà riproposto il webinar live da ogni città e per quest’anno l’evento si estenderà anche oltre i confini italiani, pronti a lasciare la nostra impronta a livello europeo, grazie a partnership strategiche internazionali. Tante già le tappe di avvicinamento organizzate in varie città italiane per promuovere l’evento del 18 settembre, come quella realizzata a Villa Pamphili a Roma, consapevoli che la rivoluzione dolce promossa da FondazioneSportCity ha bisogno di una costante presenza territoriale come dimostrano, con orgoglio, le tante città stanno seguendo questo percorso.
Per info e adesioni scrivere a: presidenza@fondazionesportcity.it
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Storytelling o storydoing? Strategie di eccellenza nella dimensione sportiva dei Territori tra narrazione e azione Pur nell’incertezza geo-politica del momento, la capacità e volontà di investire sul futuro farà sempre la differenza, per le persone così come per quei territori che sanno portare le loro politiche ben oltre una semplice e talvolta sterile narrazione, politiche che devono ispirare azioni capaci di attrarre ricchezza e sostenibilità per il proprio tessuto socioeconomico. Tra queste azioni il consolidamento dell’offerta turistico sportiva riesce spesso a garantire risorse “pregiate” in termini qualitativi e quantitativi, offerta turistico sportiva che nel caso degli eventi e manifestazioni sa appunto portare azioni concrete in termini di risorse tangibili (infrastrutture), intangibili (clima, brand, reputation) e umane (management, operatori e loro professionalità). Saper pianificare e realizzare eventi sportivi di qualità, non occasionali ma in coerenza con le altre politiche di sviluppo contribuirà rapidamente a riposizionare il brand di una località senza costosissime campagne di marketing e/o improbabili storytelling, dando spazio viceversa ad un concreto storydoing dove a raccontare saranno i protagonisti e i numeri di quella manifestazione…
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Un esempio recente nel cuore delle montagne del Friuli, dove si è lavorato per dare continuità ad un progetto nato per condividere passione e competenza tra i dirigenti delle storiche società sportive del territorio e una decina di Allievi e Allieve della 24Ore Business School – Master Sport Management che sulla Carnia hanno realizzato il tirocinio “Sport Event Management & Tourism: dai podi a sviluppo sostenibile per il territorio” con l’obiettivo di ideare, progettare, realizzare e comunicare un evento sportivo in vari contesti territoriali e ambientali, anche grazie ad una borsa di studio offerta dal C.I.N.S.A. (Consorzio Interuniversitario Nazionale per le Scienze Ambientali) per trascorrere alcuni giorni in Friuli Venezia Giulia impegnati nell’organizzazione fianco a fianco degli organizzatori e amministratori locali. Tirocinio che ha fatto scoprire curiose analogie spor-
tivo-politiche dal deserto alle dolomiti carniche dove, pur cambiando la geologia non sono cambiate le motivazioni che hanno portato qualche anno fa il movimento ciclistico friulano a celebrare con alcune gare in linea, il passaggio di Sappada (referendum nel marzo del 2008) dal Veneto al Friuli, iter terminato dalla votazione positiva nel novembre 2017 alla Camera, in analogia (referendum a parte) con alcune challenges ciclistiche che celebravano fatti storici di una marcia nel deserto (la Marche verte) di quasi mezzo secolo fa, nel 1975 con un Francisco Franco morente e il governo spagnolo ansioso di decolonizzare il Sahara liberandosi dello storico fardello coloniale, ansia geopolitica che i servizi segreti spagnoli ebbero l’accortezza di condividere con il Marrocco e il suo re Hassan II che dal 6 al 9 novembre 1975, guidò circa 350.000 sudditi provenienti da tutto il Marocco, radunandoli presso la città di Tarfaya in attesa di dare il segnale per attraversare il confine con il Sahara occidentale, E proprio a Tarfaya vi è l’arrivo, forse tra i più belli e suggestivi di tutte le corse ciclistiche del mondo, di una delle tre tappe de “Les Challenges de la Marche verte” che partono da Laayoune, dove lasciando le morbide dune di sabbia, il gruppo si trova d’incanto la linea del traguardo praticamente a ridosso dell’Oceano, a pochi metri da dove nel 1920 la compagnia aerea francese Aéropostale costruì un minuscolo aeroporto, dove i corridori appena dopo lo sprint si facevano i selfie accanto a un monumento che ricorda l’aviatore e scrittore francese Antoine de Saint-Exupéry, autore de “Il Piccolo principe” che fu direttore dell’aeroporto di Tarfaya e pilota della compagnia postale che collegava Tolosa a Dakar. In entrambi i casi, seppure completamente differenti dal punto di vista politico e geografico, i territori hanno trovato negli eventi sportivi uno degli strumenti per lavorare (prima) e raccontare (poi) le proprie eccellenze.
di Marco Benedetti CINSA – Consorzio Interuniversitario Nazionale per le Scienze Ambientali
di Maurizio Damilano
In questi giorni si è rinnovato il protocollo d’intesa tra ANCI e FIDAL (Federazione Italiana di Atletica Leggera) che riguarda la promozione dell’attività fisica e dello sport diffuso all’interno delle città. In modo particolare si fa riferimento al progetto Bandiera Azzurra. Un progetto nato nel 2017, su un’idea proposta da Maurizio Damilano, e che ha suscitato interesse e un buon successo organizzativo negli scorsi anni. Ad avviare il progetto stimolando quelle che sono le finalità che lo sostengono, è stata l’area progetti speciali della FIDAL con il sostegno della segreteria generale e l’area salute. Oggi quindi FIDAL e ANCI rinnovano un percorso fatto congiuntamente e che vuole dare continuità all’idea del rapporto tra sport e città, sottolineando come questo binomio sia indispensabile nello sviluppo di una maggiore pratica e di una promozione efficace dello sport.
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Cos’è Bandiera Azzurra? È un progetto che vuole riconoscere, ad un numero massimo di 8-10 città ogni anno, l’impegno profuso per permettere ai cittadini di praticare in modo diffuso sport ed esercizio fisico attraverso la presenza o realizzazione di luoghi destinati alla pratica e l’organizzazione di attività ed eventi che stimolino una pratica continuativa. In modo particolare il progetto è incentrato su due attività tipiche dell’atletica come camminare e correre. Tra l’altro si tratta delle due principali attività che la popolazione europea dichiara di praticare. Infatti secondo l’indagine Nilsen sulla pratica dello sport in Europa, correre e camminare, rispettivamente con il 33% e il 32% dei favori, risultano ai vertici degli sport più praticati dai cittadini Europei. Si tratta di un dato molto importante se pensiamo che a seguire vi è il fitness nel suo complesso con il 27%, mentre sport, in Italia e non solo, molto popolari come il calcio, il tennis, il ciclismo si pongono ben distanti. Il calcio coinvolge il 17% dei cittadini, il tennis il 12%, il ciclismo il 14%. Non è però solo questo il motivo di interesse e di successo del progetto Bandiera Azzurra. Tra le sue peculiarità vi è quella di guardare allo sport e proporre pratica nell’interesse della salute pubblica. Camminare e correre come strumenti di salute e non obbligatoriamente di ricerca prestativa.
Va detto che questa filosofia, che per ANCI è assolutamente centrale per le politiche delle aree urbane, per una Federazione sportiva è un primis assoluto. In effetti l’Atletica dimostra ancora una volta di essere Federazione leader per capacità di visione. Il progetto Bandiera Azzurra fa parte di un concetto innovativo per lo sport italiano: quello della terza missione dello sport. Naturalmente i primi due obiettivi di missione sono ovvii per tutte le federazioni. Essi rappresentano il cuore delle loro attività e sono: il raggiungimento di risultati ed obiettivi di alta prestazione (vincere medaglie nei grandi eventi mondiali), e il reclutamento affinché la base di pratica sia sufficientemente ampia da permettere quella selezione che porta ad ottenere gli obiettivi della prima missione. La terza missione, che come detto ad oggi solo la Fidal ha introdotto nei suoi piani di sviluppo, vuole entrare nel tessuto sociale con nuovi obiettivi che riguardano il benessere delle persone, la qualità di vita all’interno delle città, lo sviluppo di luoghi e situazioni per una pratica sempre più diffusa. Pertanto non solo un ritorno interno in quanto a numero di tesserati, ma una visione più ampia per trovarsi sempre più vicina alle persone e stimolare pratiche alla portata di tutti come camminare (vedasi le recenti aperture a progetti come il fitwalking ed il nordic walking) e correre. In Italia si stima siano quasi 4 milioni le persone che in modo spontaneo, vale a dire nella maggioranza dei casi senza essere legati al sistema organizzativo sportivo, praticano corsa o cammino. In modo specifico è proprio il cammino, oggi di tipo dinamico e veloce, a registrare la maggiore crescita di pratica e, soprattutto, ad essere quello di maggior interesse per le città in quanto si c
Il protocollo ANCI-FIDAL sancisce una nuova edizione per Bandiera Azzurra
Ogni città che abbia interesse a partecipare al progetto, abbia i requisiti richiesti e persegua politiche che si collegano agli scopi del progetto può rivolgersi all’indirizzo: bandierazzurra@fidal.it
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YMCA HEALTH Via Severino Delogu 6 - 00145 Roma (RM)
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CITIES CHANGING DIABETES
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Napoli aderisce al progetto mondiale Cities Changing Diabetes Il 31 marzo 2022 presso la Sala Giunta del Comune a Palazzo San Giacomo, Napoli ha ufficialmente aderito al programma Cities Changing Diabetes tra i cui partner nazionali ci sono l’Health City Institute, l’ANCI ed ISTAT. L’annuncio è stato dato nel corso della conferenza stampa organizzata in collaborazione con il Comune di Napoli e la Regione Campania. Al progetto, oltre alle Amministrazioni comunale e regionale, hanno aderito le Università di Napoli, le componenti accademiche, sociali e scientifiche della città. Nella Città metropolitana di Napoli risiedono oltre 200 mila persone con diabete, pari al 6,7 per cento della popolazione, percentuale superiore della media nazionale del 5,8 per cento; in Campania il tasso di mortalità per diabete più alto d’Italia, 5,3 decessi per 10.000 abitanti; 4,9 per 10.000 a Napoli. Pertanto parlare di Urban Health e diabete urbano in questa metropoli oggi è fondamentale e prioritario: si tratta di una sfida globale, per la quale tutte le grandi città sono chiamate a diventare centri di innovazione nella gestione e nella risposta ai fenomeni epidemiologici in atto. Una strategia efficace richiede un approccio multidisciplinare e trasversale, in cui i saperi, a partire da quello medico e scientifico, possano supportare le scelte di salute pubblica da parte di decisori politici così come dei cittadini stessi. La città metropolitana di Napoli sta sperimentando questa alleanza che senza dubbio potrà rappresentare un modello per tutto il territorio regionale e questo è stato sottolineato da tutte le personalità intervenute. 86
Si sono susseguiti ai microfoni il prof Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute e del Comitato Nazionale Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della Vita - Presidenza Consiglio dei ministri; il dr Pietro Buono, Dirigente Struttura Supporto Tecnico Operativo Direzione Generale Salute, Regione Campania; la prof.ssa Annamaria Colao e la prof.ssa Katherine Esposito rispettivamente Presidente del Comitato Esecutivo e Presidente del Comitato Scientifico ed
Alessandro Mantineo Head of EA Novo Nordisk. Forte adesione anche da parte delle componenti del terzo settore Fabiana Anastasio, Coordinatrice Regionale Associazioni pazienti diabetici, Francesca Migliaccio, Amici Obesi e Lorenzo Latella, Cittadinanzattiva, ma particolarmente incisivo è stato l’intervento del Sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, che ha aderito con convinzione come amministrazione comunale al programma dichiarando di essere consapevole che serva una risposta collettiva all’allarmante incremento del diabete negli ambienti urbani. Gli enti locali da questo punto di vista devono adoperarsi in maniera concreta e bisognerà lavorare per rendere questa grande città più vivibile e sostenibile, poiché la salute è un bene comune e gli ultimi due anni lo hanno dimostrato. Non bisogna pertanto far calare l’attenzione su patologie delicate come il diabete e Napoli sarà in prima linea per la tutela della salute.
In Campania c’è il tasso di mortalità per diabete più alto d’Italia, e il dato più alto dato di obesità pediatrica. Per evidenziare il rapporto tra urbanizzazione e diabete e prevenire la malattia, la città di Napoli partecipa alla sfida di Cities Changing Diabetes®, in partnership tra University College London (UCL) e il danese Steno Diabetes Center, con il contributo di Novo Nordisk.
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Cities presentato Changing l’Atlas di Diabetes Genova Il documento contiene la fotografia del contesto sociodemografico ed epidemiologico per il diabete nella Città Metropolitana di Genova ed è stato realizzato grazie al supporto di tutti gli enti istituzionali che a livello centrale sono coinvolti nel progetto (ANCI, Health City Institute, C14+, CORESEARCH, Fondazione CENSIS, ICom, Bhave) e alla collaborazione di tutti gli attori locali che ruotano attorno alla patologia diabete: Istituzioni (Regione Liguria, Comune di Genova, ANCI Liguria ), Enti Sanitari (Alisa, Asl 3 Genovese, IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, E.O.Galliera, IRCCS G.Gaslini), Accademia (Università degli Studi di Genova) Società Scientifiche (SID, AMD, SIEDP, SIMG, OSDI) e Terzo Settore (Associazioni Pazienti diabetici e di cittadinanza) che hanno contribuito al successo dell’iniziativa con la loro presenza e i loro prestigiosi interventi. Si sono succeduti gli interventi di: Andrea Lenzi, Presidente Health City Institute, l’On. Roberto Pella, Vice Presidente Vicario ANCI, Massimo Nicolò, Vice Sindaco e Assessore alla Salute del Comune, Luciano Grasso, Presidente del Comitato Esecutivo di Genova Cities Changing Diabetes, Diego Ferone, Presidente del Comitato Scientifico, Enrico Torre, Coordinatore Data Analisys Board, l’On. Stefano Anzalone in rappresentanza della Regione, Nicoletta Dacrema, Prorettrice Vicaria dell’Università di Genova oltre a tavole rotonde con i DG della sanità ligure e genovese, Società Scientifiche e Associazioni pazienti. Il Sindaco Marco Bucci ha chiuso la giornata con un sentito contributo particolarmente apprezzato dai presenti in sala.
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È stato questo un importante step della fase “MAP” per Genova che ha aderito al programma di studio internazionale nel novembre del 2020, aggiungendosi ad altre città italiane – Milano, Bari, Bologna, Roma, Torino, Napoli – e ad altre in tutto il mondo, 41, firmatarie dell’Urban Diabetes Declaration, con l’intento di sviluppare azioni concrete partendo dallo studio dei dati per poter arrivare all’identificazione delle dinamiche culturali e sociali che influiscono sulla vulnerabilità
del diabete. Tra gli obiettivi, infatti, spicca quello del superamento delle fragilità orografiche del territorio per favorire stili di vita sani nei luoghi di lavoro, nelle grandi comunità e nelle famiglie, promuovendo un’adeguata cultura alimentare, migliorando l’accesso allo sport e alle pratiche di esercizio fisico per tutte le età e sviluppando politiche di trasporto urbano orientate alla sostenibilità e attenzione all’accesso alle cure per la popolazione che è tra le più anziane in Italia. Proprio quest’anno, Genova, insieme a Milano e Roma, ospita la seconda edizione del percorso di alta formazione per Health City Manager, promosso e organizzato da ANCI grazie al coordinamento scientifico di Health City Institute e dell’Università Sapienza di Roma, finanziato dal Ministero per le politiche giovanili, rivolto a 120 giovani laureati under 35. LINK ATLAS https://issuu.com/raffaelecreativagroupcom/docs/a tlas_genova3
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Cities Changing Diabetes: Milano presenta l’Action Plan 202225 L’Action Plan 2022-2025 è la continuazione della fase di MAP e SHARE sul diabete tipo 2 nell’area della città metropolitana di Milano all’interno del progetto internazionale Cities Changing Diabetes (CCD), dove Milano è inserita in un contesto che vede coinvolte 41 città a livello globale impegnate nello studio dell’impatto dell’urbanizzazione sul diabete di tipo 2 e sull’obesità. CCD, che è il primo progetto dedicato all’Urban Diabetes al mondo, ha come obiettivo lo studio dell’impatto del diabete nei grandi contesti urbani e si compone di tre fasi: MAP, SHARE e ACT. La fase di MAP, realizzata in collaborazione all’University College of London e dallo Steno Center di Copenaghen, è stata condotta in Italia dall’Health City Institute in collaborazione con il Ministero della Salute, l’ANCI, Milano Città Metropolitana, l’Istituto Superiore di Sanità, l’ISTAT, la Fondazione CENSIS, CORESEARCH, I-COM, l’IBDO Foundation, Bhave e tutte le Università di Milano, le Società Scientifiche del Diabete e della Medicina Generale (AMD, SID, SIEDP, SIMG) e dell’Obesità (SIE, SIO, ADI) e le associazioni pazienti e di cittadinanza e ha visto coinvolti in tre anni di lavoro 80 esperti e ricercatori.
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I dati prodotti e pubblicati nell’ATLAS Milano CCD (2019) e nel Primo Milano CCD Report (2020), che fanno riferimento ai dati clinico epidemiologici concessi da ATS Città Metropolitana di Milano e ai dati socio demografici forniti da ISTAT, danno evidenza che non solo la prevalenza del diabete differisce tra le diverse zone del territorio che compone la città metropolitana di Milano, ma che essa è strettamente legata alle differenze del contesto in cui si vive. La disuguaglianza si riflette anche nel fatto che le implicazioni di una vita con il diabete sono relativamente più rilevanti per alcuni gruppi della popolazione. La connotazione del tessuto urbano e le azioni per modificarlo sono significative per la prevenzione e la cura della malattia e, in ultimo ma non meno importante, per tutelare i cittadini mettendoli al centro delle decisioni relative alla loro salute. Innescare un circolo virtuoso in cui, prevenzione, accesso alle cure, fruibilità delle terapie e sostenibilità degli stili di vita siano il frutto di azioni integrate sul territorio, per il territorio e con i cittadini è l’obiettivo da perseguire. Milano Cities Changing Diabetes ci indica come studiare a livello dell’area metropolitana di Milano i determinanti della salute sul diabete, attraverso una forte alleanza tra Comuni, Università, Aziende Sanitarie, Centri di Ricerca, Privati e Terzo Settore, è oggi un obiettivo non solo auspicabile, ma concretamente perseguibile, per migliorare la qualità di vita dei cittadini
e delle persone con diabete. Reddito, occupazione ed educazione sono fattori decisivi per lo stato della salute delle persone. Al punto di poter stabilire una relazione chiara fra questi determinanti socioeconomici e gli anni vissuti in salute, la frequenza di malattie croniche e più in generale la longevità. Sono questi i cosiddetti determinanti sociali di salute, assurti da qualche anno alla ribalta della sanità pubblica e delle conseguenti politiche di salute. Lo status sociale, la posizione lavorativa, il reddito, il livello educativo, il capitale sociale, sono di fatto straordinari fattori prognostici dello stato di salute delle persone. Il contesto urbano della città metropolitana di Milano e le differenze al suo interno rendono necessario intervenire per ridurre le differenze nei determinanti sociali di salute prima ancora che sugli outcome di salute, ad essi significativamente correlati. La Carta di Milano sull’Urban Obesity, promossa dal Centro di Studio e Ricerche sull’Obesità (CSRO) dell’Università degli Studi di Milano in collaborazione con Comune di Milano, Regione Lombardia, ANCI, Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”, Health City Institute, e sottoscritta da tutte le Società Scientifiche, è il documento che individua 10 punti sui quali viene dichiarata un’assunzione di responsabilità per rendere le nostre città ambienti più salutari e meno obesogeni, definendo gli aspetti strategici di azione per migliorare la salute nelle città attraverso un approccio di tipo olistico, per quanto riguarda la persona, e di tipo multisettoriale, per quanto attiene alle politiche di promozione della salute nell’ambito del contesto urbano. LINK ACTION PLAN https://issuu.com/raffaelecreativagroupcom/docs/milano_ccd_action_plan_2022_1_
Martedì 28 giugno, nella cornice della Sala Alessi di Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, si è svolta la presentazione dell’Action Plan 2022-2025 di Milano Cities Changing Diabetes.
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INDAGINI E STUDI
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di Eleonora Mazzoni Direttore Area Innovazione Istituto per la Competitività (I-Com)
Lo scorso 29 maggio 2022 l’Organizzazione Mondiale della Sanita (OMS) ha pubblicato un report dal titolo “Tobacco: Poisoning Our Planet” che studia come il tabacco inquina il pianeta e danneggia la salute delle persone durante tutto il suo ciclo di vita. Secondo il rapporto il tabacco danneggia direttamente la nostra salute attraverso l’uso diretto ma anche tramite l’esposizione al fumo passivo e, soprattutto, il suo impatto negativo sull’ambiente. Quest’ultimo avviene in varie fasi, dalla produzione allo smaltimento dei prodotti del tabacco. Per questa ragione la call to action verso cui è diretto e con cui si conclude il rapporto dell’OMS è rivolta principalmente a istituzioni e policy makers per sostenere un ambiente più pulito e protetto dai prodotti del tabacco.
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I rischi per la salute derivanti dal fumo di sigaretta sono ben noti. Basti pensare quest’ultimo rappresenta il principale fattore di rischio per l’insorgenza del tumore polmonare ed è responsabile dell’85%-90% dei casi osservati in Italia. Si stima che coloro che fumano più di 40 sigarette al giorno abbiano un rischio 60 volte superiore ai non fumatori di sviluppare la malattia ma lo stesso rischio si riduce in rapporto al numero di anni dalla cessazione del fumo e alcune evidenze mostrano un rischio azzerato se si smette di fumare prima dei 35 anni. Ciononostante, secondo gli ultimi dati dell’Istituto Superiore di Sanità, circa il 24,2% della popolazione italiana oltre i 15 anni fuma (1 italiano su 4) e la curva non segnala una riduzione rilevante da più di dieci anni. Negli ultimi due anni, inoltre, la percentuale è aumentata sia per gli uomini che per le donne. Lo stesso Presidente dell’ISS, Silvio Brusaferro, ha dichiarato nel comunicato stampa dello scorso 31 maggio che “L’aumento dei fumatori rilevato dal report è un segnale che desta preoccupazione rispetto al quale è importante attivare azioni di prevenzione a partire dai più giovani per garantire una vita più lunga, con meno disabilità e qualitativamente migliore per noi e per chi ci vive accanto”. Ai rischi per la salute derivanti dall’abitudine al fumo l’Organizzazione Mondiale della Sanità aggiunge e ricorda il rischio che esiste per chi entra in contatto passivamente con la nicotina (reazione di ossidazione che crea fattori inquinanti secondari) e per i lavoratori della
filiera del tabacco. Il 25% di questi ultimi, secondo il rapporto, presenta una forma di intossicazione da nicotina dovuta al contatto con le foglie di tabacco. Inoltre, continua, la nicotina può poi essere portata in casa, esponendo al rischio categorie fragili come le donne in gravidanza e aumentando il rischio di aborti spontanei. Ultimo, ma non meno importante, si stima che i costi in sanità per la cura di patologie legate alla nicotina si aggiri attorno all’1,8% del PIL mondiale. Anche per quanto riguarda l’ambiente i rischi non sono pari a zero. La coltivazione del tabacco richiede infatti un uso intensivo di risorse naturali e di pesticidi. Particolarmente critico è l’uso di risorse idriche. Occorrono circa 3,7 lt per produrre una sigaretta e a questi vanno sommati i litri inquinati dalle scorie, che possono danneggiare seriamente gli ecosistemi marini e fluviali. Anche il consumo di suolo e la deforestazione rappresentano un campanello di allarme: la coltivazione di tabacco è responsabile per il 5% della deforestazione mondiale e circa 200.000 ettari vengono disboscati ogni anno per far spazio alle coltivazioni, per lo più in zone già ad alto rischio nel sud del mondo. A ciò si aggiungono le alte emissioni di co2, ossidi nitrosi e metano durante i processi di produzione e distribuzione e si arriva al processo di smaltimento, nella maggior parte dei casi improprio. La call to action dell’OMS insiste allora sull’implementare programmi di educazione ed informazione già al tempo dei percorsi scolastici e per gli operatori sociali e sanitari, sensibilizzando non solo rispetto ai rischi dell’abitudine al fumo, ma educando cittadini e consumatori anche rispetto agli altri rischi collegati ai prodotti del tabacco, per l’ambiente e per la salute del pianeta. Le istituzioni e i policy makers vengono invitati ad implementare la responsabilità estesa del produttore seguendo l’esempio della Francia, ed è valutata positivamente anche l’introduzione di una tassa ambientale, per ridurre le esternalità negative. Tutto questo si auspica venga preso a consiglio per fare buon uso della 27a sessione della Conferenza delle Parti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (COP 27), per collaborare e avanzare l’agenda per il controllo del tabacco.
I rischi del tabacco secondo l’OMS: dalla salute, all’ambiente
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ARTICOLI
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RELAZIONE AL PARLAMENTO 2021 SUL DIABETE MELLITO Il Ministero della Salute ha inviato al Parlamento la Relazione annuale 2021 sul Diabete Mellito. Un documento completo che fotografa questa patologia in Italia e che contiene un capitolo interessante e innovativo sull’Urban Health. Sono circa 422 milioni le persone che nel mondo soffrono di diabete mellito e 1,5 milioni i decessi direttamente attribuiti al diabete ogni anno. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), la prevalenza del diabete mellito è in costante aumento negli ultimi decenni. Cresce soprattutto il diabete tipo 2, che rappresenta circa il 90% dei casi, fortemente legato all’eccesso ponderale, a sua volta riferibile a iperalimentazione e a scarsa attività fisica ma anche alla struttura stessa della società. Il diabete tipo 1, invece, insorge, di solito, in giovane età e l’unico trattamento possibile è quello con insulina. Mentre il diabete di tipo 2 è, in parte, prevenibile modificando gli stili di vita dei soggetti a rischio, particolarmente per quel che riguarda la nutrizione e l’attività fisica, il diabete di tipo 1 può essere difficilmente prevenuto, in quanto sono ancora poco chiari i fattori di rischio che interagiscono con la predisposizione genetica scatenando la reazione autoimmunitaria. Nella Regione europea dell’OMS, quasi 62 milioni di persone convivono con il diabete. La prevalenza di questa malattia è in crescita in tutta la Regione, arrivando, in alcuni Stati, a tassi del 10-14%. Tale crescita, in parte dovuta all’invecchiamento generale della popolazione, è principalmente secondaria alla diffusione di condizioni a rischio, come sovrappeso e obesità, scorretta alimentazione, sedentarietà e diseguaglianze socio-economiche (diabete tipo 2). Nel 2021, in Europa, oltre 1,1 milioni di decessi sono stati causati dal diabete, che rappresenta la quarta causa di morte nell’Unione Europea. 98
In Italia i dati di prevalenza del diabete derivano dal monitoraggio annuale dello stato di salute della popolazione condotto dall’ISTAT e dal sistema di sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia), che raccoglie informazioni sugli stili di vita e sui fattori di rischio comportamentali della popolazione italiana adulta. I dati del sistema Passi rilevano la prevalenza del diabete tipo 2.
Secondo i dati ISTAT 2020, la prevalenza del diabete diagnosticato in Italia è di circa il 5,9% (5,9% negli uomini, 5,9% nelle donne) pari a oltre 3,5 milioni di persone, con un trend in lento aumento negli ultimi anni. La prevalenza aumenta al crescere dell’età fino a un valore del 21% nelle persone con età uguale o superiore a 75 anni. Secondo il sistema Passi 2017-2020, il 4,7% della popolazione adulta di 18-69 anni riferisce una diagnosi di diabete; la prevalenza del diabete cresce con l’età (è inferiore al 3% nelle persone con meno di 50 anni e supera il 9% fra quelle di 50-69 anni); è più frequente fra gli uomini che fra le donne (5,3% vs 4,1%); è più frequente nelle fasce di popolazione socio-economicamente più svantaggiate per istruzione o condizioni economiche. Questi sono alcuni dati contenuti nella Relazione al Parlamento 2021 sul diabete mellito, elaborata dal Ministero della Salute, come previsto dalla legge 16 marzo 1987, n. 115, e trasmessa al Parlamento il 21 aprile 2022. Nella Relazione è posta anche l’attenzione sugli approcci terapeutici e sulle azioni nazionali e internazionali messe in atto dal Ministero nel campo della prevenzione e della gestione della patologia. È, inoltre, riportata un’indagine sul funzionamento dei Servizi diabetologici nel corso dell’emergenza da SARS-Cov2 svolta, col supporto del Ministero, dall’Associazione Medici Diabetologi (AMD). Nella Relazione è, poi, dato spazio sia alle azioni di prevenzione e comunicazione del Ministero della Salute sul diabete sia alle linee di intervento nazionali e internazionali sulle malattie croniche. Tra queste, in particolare, rientrano quelle sull’Urban Health (l’influenza dell’urbanizzazione e delle politiche urbanistiche sullo stato di salute della popolazione) e sull’Health Literacy (l’alfabetizzazione alla salute, cioè la capacità dei cittadini di comprendere le informazioni per la propria salute e orientarsi nel mondo sanitario)
che influiscono indirettamente ma in modo importante sull’insorgenza e sull’evoluzione della patologia diabetica così come delle principali patologie croniche. Urban Health nel rapporto al Parlamento del Ministero della Salute sul diabete Il diabete mellito e molte altre patologie trovano una loro eziopatogenesi in fattori ambientali. L’ambiente, infatti, nella sua accezione più completa e complessa, comprensiva di stili di vita e condizioni sociali ed economiche, è un determinante fondamentale per il benessere psicofisico e, quindi, per la salute delle persone e delle popolazioni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha presentato un rapporto globale sull’impatto dell’inquinamento ambientale sulla salute, che stima 12,6 milioni di morti nel mondo attribuibili all’inquinamento ambientale. Secondo l’OMS investimenti mirati possono aiutare a ridurre a livello globale e in modo significativo il crescente numero di malattie cardiovascolari e respiratorie, così come di diabete e tumori, e, al tempo stesso, a ridurre i costi del sistema sanitario. L’OMS rileva, inoltre, che nelle città si concentra sempre più la popolazione mondiale e che, se 30 anni fa 4 persone su 10 vivevano in città, nel 2050 questa proporzione arriverà a 7 su 10. Contemporaneamente, le persone con più di 60 anni aumenteranno fino a rappresentare quasi un quarto della popolazione, con evidenti ricadute sul carico di malattia rappresentato dalle malattie croniche. Le periferie delle nostre città, come sono oggi, creano, inoltre, forti disuguaglianze dal punto di vista sia sociale sia sanitario. La stessa Organizzazione per le Nazioni Unite (ONU), nel contesto dell’Agenda 2030, con i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), esprime un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale. In particolare, con l’Obiettivo 11, propone di rendere le città e le comunità
sicure, inclusive, resistenti e sostenibili. Secondo l’ONU, infatti, l’ambiente che ci circonda può influire drasticamente sulle nostre abitudini e stili di vita. Per questo motivo, il miglioramento, in ottica sostenibile, dei nostri spazi vitali è un obiettivo imprescindibile entro il 2030. La pianificazione urbana gioca, quindi, un ruolo decisivo nella promozione di stili di vita sani. Una buona pianificazione dell’assetto urbano, il miglioramento della circolazione urbana e la riqualificazione di zone degradate dove maggiori possono essere il disagio e l’isolamento sociale, la creazione di spazi verdi, di piste pedonali e ciclabili e di percorsi sicuri casa-scuola sono misure semplici ma, al tempo stesso, efficaci per ridurre le malattie connesse all’inquinamento dell’aria e, allo stesso tempo, per promuovere l’attività motoria nella popolazione. La chiave di lettura è, dunque, creare un sistema tra diverse competenze, pianificatori e urbanisti, salute pubblica e decisori, che insieme attuino una serie di accorgimenti di tipo tecnico volti a ottimizzare le politiche di pianificazione urbanistica in un’ottica di salute. Anche nell’ambito dei nuovi Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), peraltro, si è cercato di fornire strumenti in grado di facilitare il controllo del settore sanitario sulla pianificazione urbanistica. Il livello della “Prevenzione collettiva e sanità pubblica”, infatti, include le attività e le prestazioni volte a tutelare la salute e la sicurezza della comunità da rischi infettivi, ambientali, legati alle condizioni di lavoro, correlati agli stili di vita. In particolare, i Programmi previsti per la Tutela della salute e della sicurezza degli ambienti aperti e confinati includono la valutazione igienico-sanitaria degli strumenti di regolazione e pianificazione urbanistica attraverso la promozione, negli strumenti di regolazione edilizia e urbanistica, di criteri per la tutela degli ambienti di vita dagli inquinanti ambientali, per lo svi-
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luppo di un ambiente favorevole alla promozione della salute e dell’attività fisica e alla sicurezza stradale. Sono, quindi, previste valutazioni preventive dei piani urbanistici e il supporto agli Enti preposti nella definizione di strumenti di pianificazione e regolazione urbanistica, con particolare attenzione al rapporto tra salute e pianificazione urbanistica. Inoltre, il Comitato Scientifico del CCM, nel 2017, ha selezionato un progetto dal titolo “Urban Health: buone pratiche per la valutazione di impatto sulla salute degli interventi di riqualificazione e rigenerazione urbana e ambientale”19 che si è proposto, principalmente, l’obiettivo di elaborare buone pratiche, basate su modelli di Health Impact Assessment (HIA), sulla letteratura e su casi studio, da trasferire ai decisori per orientare le politiche urbane nell’ottica dell’invecchiamento in salute e dell’equità nei programmi di rigenerazione urbana . In tale ottica, il 22 settembre 2021 è stato sottoscritto l’Accordo tra il Governo, le Regioni e le Autonomie locali sul “Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di Salute Pubblica – Urban Health”. Il documento rappresenta il frutto dell’impegno del “Tavolo di lavoro su Città e Salute (Urban Health)”, che ha operato tra maggio 2018 e marzo 2021 presso la Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute.
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Il Tavolo ha visto coinvolti i principali stakeholder con l’obiettivo di produrre un documento di indirizzo che, facendo seguito a quanto previsto dai LEA, rappresentasse uno strumento di orientamento metodologico operativo a supporto di strategie intersettoriali e di programmi dei Piani regionali della Prevenzione in coerenza con quanto previsto dal Piano Nazionale della Prevenzione 2020–2025 nel campo della Urban Health. Il documento approvato, partendo dai risultati ottenuti dal già citato progetto CCM 2017 sulla Urban Health, si è, dunque, posto l’obiettivo di individuare al-
cuni criteri che possano aiutare gli operatori e i decisori nella valutazione della pianificazione urbanistica finalizzata alla promozione della salute e dei corretti stili di vita e nell’ottica della Urban Health. Il risultato è stata la produzione di uno Strumento di valutazione multicriteriale per la definizione delle implicazioni di salute negli interventi urbani che, sperimentato nel corso del Progetto, ha identificato un set di 20 indicatori, in grado di fornire un efficace e flessibile supporto volto sia a orientare le scelte dei decisori fin dalla fase di predisposizione di piani e programmi urbanistici verso un approccio di Urban Health sia a supportare gli attori/operatori coinvolti nella formulazione di pareri sui procedimenti urbanistici, nei contesti previsti dalla vigente normativa. Gli indicatori di Urban Health di cui è costituito lo strumento, raggruppati in sette Macroaree tematiche, permettono di stimare non solo la capacità di un piano di controllare possibili fattori di rischio per la popolazione, ma anche quella di proporre un contesto costruito e organizzato in grado di soddisfare i bisogni sociali e migliorare la qualità della vita delle persone, mediante condizioni che favoriscono la mobilità dolce e il trasporto pubblico, oppure la riqualificazione di contesti periferici con attenzione all’equità nei programmi di rigenerazione e ri-funzionalizzazione urbana o, ancora, attraverso strategie che permettono l’invecchiamento in salute. Mentre la prima Macroarea “Criteri Generali” prevede, in particolare, l’analisi dei dati di contesto demografici, socioeconomici ed epidemiologici, le altre 6 Macroaree (“Ambiente”, “Suolo e sottosuolo”, “Sostenibilità e igiene del costruito”, “Sviluppo urbano e sociale”, “Mobilità e trasporti” e “Spazi esterni”) costituiscono, invece, il vero e proprio strumento di valutazione. Le Macroaree di valutazione rappresentano, infatti, i principali aspetti del piano urbanistico che possono avere ricadute dirette e indirette sulla salute, mentre i singoli indicatori in esse contenuti esaminano uno specifico
tema in riferimento alla Macroarea di appartenenza. A ciascun indicatore è stata attribuita una valutazione in funzione della coerenza del Piano con gli obiettivi dell’Urban Health, intesa come maggiore o minore capacità di aderirne ai principi, secondo il seguente schema: � Alta: rappresenta la prestazione maggiormente coerente con gli obiettivi dell’Urban Health, in riferimento al singolo criterio analizzato; � Moderata: costituisce il livello intermedio e si riferisce a una prestazione coerente ma migliorabile; � Bassa: non considera alcuna strategia di Urban Health, limitandosi al mero rispetto di quanto previsto dalla normativa di settore. L’uso di tale strumento durante la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) può, pertanto, consentire, a proponenti e valutatori, di orientare il Piano stesso verso alternative in grado di guadagnare salute prima che vengano realizzati gli interventi programmati. Inoltre, lo strumento può essere di aiuto anche per la valutazione di Piani e Programmi successivamente alla VAS, monitorando la coerenza tra le politiche di pianificazione e gli obiettivi di sostenibilità ambientale e di tutela e promozione della salute pubblica, già supportati dal processo di Valutazione Ambientale Strategica.
finizione di efficaci risposte ai problemi di salute delle comunità locali; � sviluppare una cultura della prevenzione che, superando la mera verifica dello standard normativo, si proponga di implementare un metodo innovativo, che faccia leva sulla promozione della salute e sia impostato su indicatori prestazionali Health Evidence-Based e criteri di Urban Health; � aumentare consapevolezza e competenze sui processi di advocacy, informazione e ingaggio dei decisori politico-amministrativi in relazione all’impatto delle loro scelte sulla salute dei cittadini, secondo criteri di equity health (attenzione alle fragilità legate all’età, alla presenza di disabilità psicosociali, motorie, fattori di inclusione). Il Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 e i relativi Piani Regionali costituiranno l’immediato banco di prova del Documento di indirizzo e dello Strumento di valutazione in esso contenuto.
INFO: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3229_allegato.pdf
Tuttavia, lo Strumento di valutazione multicriteriale si concretizza, soprattutto, in un ausilio all’operatività degli Operatori di Salute Pubblica del territorio per: � aumentare conoscenze e competenze dei Dipartimenti di Prevenzione e delle Aziende Sanitare in materia di Urban Health; � valutare Piani di Governo del Territorio (e loro varianti) e Piani Attuativi secondo principi di Urban Health e mediante processi di integrazione interna e approcci il più possibile omogenei, finalizzati alla de-
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DIABETE TIPO 2: LE DONNE PIÙ PENALIZZATE NELL’ACCESSO ALLE CURE
Il dato emerge dalla quindicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report, realizzato da Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation, in collaborazione con Istat e con il contributo di CORESEARCH e BHAVE. Sono le donne a rinunciare più spesso alle prestazioni sanitarie in presenza di diabete e di altre malattie croniche Nel 2020, inoltre, la percentuale di donne con diabete ha raggiunto quella degli uomini: pesano i fattori socioeconomici, come livello di istruzione e reddito ===========================================
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Il diabete è sempre stata una malattia più diffusa tra i maschi, ma nel 2020 la percentuale di donne con diabete ha raggiunto quella degli uomini, attestandosi al 5,9 per cento, in linea con la media nazionale. A dispetto di questo aumento, sono proprio le donne a rinunciare più spesso alle prestazioni sanitarie, in particolare in presenza di diabete e di altre malattie croniche, ovvero il 22,7 cento contro il 17,2 per cento di uomini. Lo documenta la quindicesima edizione dell’Italian Diabetes Barometer Report “La pandemia del diabete tipo 2 e il suo impatto in Italia e nelle regioni” che è stata presentata il 16 Giugno u.s., durante l’evento patrocinato da Ministero della Salute, ANCIAssociazione Nazionale Comuni Italiani, Istat e Intergruppo Parlamentare Obesità e Diabete, con la collaborazione di IBDO Foundation, Università Tor Vergata di Roma, CORESEARCH e BHAVE e gli auspici di AMD-Associazione medici diabetologi, SID-Società italiana di diabetologia e SIMG-Società Italiana di medicina generale e delle cure primarie e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk, nell’ambito del progetto Driving Change in Diabetes. Questo andamento è spiegabile con una pluralità di motivi, tra cui un ruolo importante lo gioca sicuramente la maggior longevità delle donne, tanto che il tasso aggiustato per età fa sì che la prevalenza tra le
donne sia più bassa, ovvero del 4,7 per cento rispetto al 5,5 per cento tra gli uomini. «Oltre alla maggior longevità, nelle donne hanno un maggior impatto le disuguaglianze socioeconomiche; considerando il titolo di studio, per esempio, nella fascia di età 45-64 anni è stata riscontrata una prevalenza tre volte più elevata tra le donne con bassa istruzione, il 5,8 per cento rispetto l’1,8 per cento tra le più istruite. Negli uomini la differenza è sempre marcata, ma più contenuta, ovvero si passa dal 7,4 per cento al 4,3 per cento. Lo stesso per il reddito: nelle donne over 45 la percentuale con basso reddito che soffre di diabete si attesta all’11 per cento rispetto al 6,4 per cento tra chi ha un reddito maggiore», spiega Roberta Crialesi, Dirigente Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia, Istat. «Questi dati indicano il peso delle disparità sociali per l’insorgenza di malattie croniche come il diabete, dove le persone maggiormente colpite sono quelle in condizioni socioeconomiche più disagiate e spesso si tratta di donne. Bassa istruzione e scarso reddito si associano spesso a stili di vita non salutari, come cattive abitudini alimentari, sedentarietà, insufficiente ricorso alla prevenzione primaria e secondaria, maggior rischio di obesità e di insorgenza di malattie metaboliche. Inoltre, tali condizioni possono ridurre le opportunità di accesso a servizi e prestazioni sanitarie di qualità o causare il ritardo nell’accesso ai servizi per la presenza di lunghe liste di attesa», commenta Paolo Sbraccia, Vicepresidente IBDO Foundation Le donne sono anche quelle che rinunciano più spesso alle prestazioni sanitarie, in particolare se affette da diabete e altre malattie croniche. «La rinuncia a prestazioni sanitarie laddove necessario mette in evidenza problemi di accesso e quindi di equità del sistema sanitario. Le difficoltà di accesso generalmente sono determinate da problemi di varia natura, a partire da quelli economici, a quelli logistici, come la difficoltà nel raggiungere i luoghi di erogazione del servizio o le lun-
ghe liste di attesa. Ovviamente anche i motivi legati al Covid-19 sono stati causa di rinuncia a prestazioni sanitarie negli ultimi anni, anche in questo caso più frequentemente nelle donne rispetto agli uomini», dice Simona Frontoni, Presidente del comitato scientifico di IBDO Foundation, che aggiunge: «Se è vero che le donne vivono più a lungo degli uomini, è anche vero che trascorrono meno anni in buona salute. Per esempio, le disparità salariali o pensionistiche di genere mettono le donne anziane in particolare a rischio di povertà ed esclusione sociale, fattori che creano ostacoli per l’accesso alle cure». «Negli ultimi anni si sono fatti grandi progressi nella lotta al diabete, ma si può ancora fare molto contro la crescente sfida posta da questa patologia a livello globale, europeo e italiano. La pandemia da Covid-19 ha dimostrato l’estrema fragilità e vulnerabilità delle persone con diabete. Questo report, prodotto dall’Italian Barometer Diabetes Observatory (IBDO) Foundation in collaborazione con ISTAT e con il contributo di CORESEARCH e BHAVE è stato realizzato con la convinzione che la raccolta e la condivisione di informazioni, alla base del confronto e dei processi decisionali, possano contribuire a riuscire a gestire in maniera adeguata questa malattia e contribuire così in modo significativo anche alla prevenzione di altre malattie croniche che ne condividono i fattori di rischio, i determinanti e le opportunità di intervento», chiarisce Domenico Cucinotta, Coordinatore e Editor dell’Italian Diabetes Barometer Report. «I dati dell’iniziativa Annali AMD dimostrano che la diabetologia italiana è stata in grado di rispondere con
efficacia e tempestività alla crisi provocata dalla pandemia di Covid-19 nel nostro Paese. Alla contrazione, inevitabile, del numero di viste in presenza si è infatti sopperito con una notevole attività di contatto a distanza, evidenziando tutte le potenzialità della telemedicina come complemento all’assistenza tradizionale. Anche se non tutti i pazienti potranno essere candidati all’assistenza in remoto, una nuova strutturazione dei centri specialistici, in grado di integrare l’assistenza in presenza con sistemi di telemedicina, potrebbe essere sicuramente un valido strumento per favorire l’accesso alle cure e scongiurare la rinuncia da parte delle persone che incontrano più ostacoli», sottolinea Antonio Nicolucci, Direttore CORESEARCH. «Nessuna decisione o politica pubblica, a ogni livello decisionale, può essere correttamente agita se non dispone di dati che ne avvalorino le linee di intervento e di azione prioritarie. Per questo motivo, l’Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”, costituito in seno alla XVIII Legislatura quale spazio di dialogo e confronto parlamentare permanente e bipartisan sui temi dell’Obesità e del Diabete, accoglie sempre con entusiasmo iniziative come l’Italian Diabetes Barometer Report, auspicando possa contribuire a un accesso uniforme alle cure e ai trattamenti su tutto il territorio nazionale», conclude Roberto Pella, Presidente Intergruppo parlamentare “Obesità e Diabete”. LINK REPORT https://issuu.com/raffaelecreativagroupcom/docs/barometer_report_2022
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PUBBLICATA LA ENACTMENT GUIDE PER LE CITTÀ DELLA YEONSU DECLARATION CON IL CONTRIBUTO DELLA CATTEDRA UNESCO ON URBAN HEALTH Con oltre la metà della popolazione mondiale residente nelle città, in quasi tutti i paesi colpiti dalla pandemia di COVID-19, le città sono state gli epicentri dell’infezione e le prime linee per far fronte alle vaste implicazioni di questa emergenza sanitaria pubblica (UIL, 2020; OCSE, 2020). L’attuale crisi sanitaria ha portato tutte le città del mondo a mettere le questioni di salute pubblica in cima alla loro agenda (OMS, 2020a). La pandemia ha evidenziato che non si possono attuare misure di salute pubblica senza, o addirittura contro, la buona volontà della popolazione. La popolazione non è il “problema”, è parte della soluzione alla crisi sanitaria. Anche se il ruolo primario delle città non è stato storicamente quello di attuare politiche sanitarie, è ormai ampiamente riconosciuto che le città potrebbero avere un ruolo più centrale, perché i fattori che influenzano la salute e il benessere delle persone vanno ben oltre il sistema sanitario (OMS e ONUHabitat, 2016). La pianificazione urbana, i trasporti, l’edilizia abitativa, i servizi sociali e l’approvvigionamento idrico sono tutti fattori determinanti. Per quanto riguarda il rapporto tra salute e luogo, i quartieri - e, per estensione, le città - sono stati descritti come “essenzialmente implicano la disponibilità e l’accesso a risorse rilevanti per la salute in un’area geograficamente definita” (Bernard et al., 2007).
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La pandemia ha rivelato il fatto che, al di là di queste dimensioni ambientali della salute, anche le città hanno avuto un ruolo importante nello sviluppo della capacità della popolazione di promuovere la salute individuale e collettiva. L’istruzione e l’apprendimento sono al centro di ciò che rende possibile la “salute per tutti” (OMS, 2020b). La crisi, quindi, è stata una rivelazione per quanto riguarda i problemi di educazione sanitaria permanente. Una cultura dell’apprendimento permanente basato sul luogo potrebbe svolgere un ruolo chiave nella costru-
zione della resilienza per gli individui, le comunità e le città. Gli individui sviluppano la loro capacità di prendersi cura della propria salute per tutta la vita e gran parte di essa è basata sul luogo in cui vivono. Imparano attraverso la famiglia, ma anche attraverso la comunità, la scuola, il posto di lavoro, la cultura, lo sport, l’assistenza sanitaria e tutti i tipi di media. Tuttavia, l’attuazione dell’apprendimento permanente nel campo della salute e del benessere incontra difficoltà operative. Le capacità delle città di guidare, collaborare o ospitare “l’apprendimento per la salute e benessere” le politiche e gli interventi variano notevolmente a seconda del contesto politico, economico e contesto sociale. Non si può presumere che esista un solo modello. L’evidenza mostra che affinché l’apprendimento della politica sanitaria sia sostenibile, è necessario combinare diversi fattori: un’autentica partecipazione della popolazione; avere i mezzi per raggiungere tutte le persone e le comunità, specialmente le più vulnerabili; tenendo conto delle diverse interazioni sociali e culturali con i problemi di salute; apprezzare le norme e le percezioni delle sottopopolazioni; avere un personale sanitario municipale ben addestrato, ecc. Queste sfide sono comuni a tutte le città, ma sono più acute nei paesi più colpiti dalla povertà e dai conflitti (Brown & Brown, 2020). Sindaci, vicesindaci, funzionari, rappresentanti di 229 città dell’apprendimento in 64 paesi in tutto il mondo, dirigenti dell’istruzione, esperti di istruzione, rappresentanti delle agenzie delle Nazioni Unite, del settore privato e delle organizzazioni regionali, internazionali e della società civile si sono riuniti sia online che di persona a Yeonsu, Repubblica di Corea, dal 27 al 30 ottobre 2021 per la quinta International Conference on Learning Cities (ICLC). Al termine della conferenza è stata rilasciata una dichiarazione che include una serie di impegni per costruire città sane e resilienti, tradotti, grazie al lavoro degli ultimi mesi, in una
nella salute pubblica dei cinque continenti. Non vuole essere una bacchetta magica, ma semplicemente supportare coloro che sono coinvolti nella politica di apprendimento permanente per la salute a realizzare il loro progetto, qualunque siano le loro condizioni politiche o socio-economiche.
“Enactment Guide”, una guida abilitante volta a trasformare i principi espressi dalla Dichiarazione in schemi e progettualità concreti per le città.
Questo documento è chiamato la guida all’attuazione della dichiarazione, e non all’implementazione della dichiarazione. Infatti, a causa della diversità dei contesti politici, legali, economici, culturali e sociali delle città di tutto il mondo, non è possibile proporre un programma politico che si adatti a ciascuna situazione e che possa essere attuato. In ogni città è necessario creare una politica dedicata che si basa sulla dichiarazione ma anche su tutti gli elementi contestuali per metterla in atto. Questa guida offre un approccio passo dopo passo e si compone di quattro parti:
La Guida, pubblicata a maggio 2022 anche grazie al contributo della neonata Cattedra UNESCO on Urban Health di Sapienza, mira ad assistere i team municipali nell’attuazione concreta di questa dichiarazione. Sapendo che le politiche e le pratiche di apprendimento permanente possono contribuire allo sviluppo di città di apprendimento sane e resilienti, questa guida all’attuazione della dichiarazione di Yeonsu affronta il modo in cui le città possono promuovere l’apprendimento permanente per opportunità di salute per i loro cittadini. È destinato alle città dell’apprendimento o alle città sane, ma anche a tutte le città che desiderano attuare una politica di apprendimento permanente per la salute. È stato sviluppato con un’ampia gamma di persone coinvolte nella gestione della città, nell’istruzione e
• Contesto per l’emanazione della dichiarazione • Contenuto di una politica di apprendimento permanente per la salute • Implementazione di una politica di apprendimento permanente per la salute • Una cassetta degli attrezzi per i leader delle città
Più informazioni: www.uil.unesco.org/en/learning-cities/guide-action-lifelong-learning-health-cities
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WHO EUROPE OBESITY: L’OBESITÀ È SEMPRE PIÙ EMERGENZA GLOBALE “La vita dell’uomo è inversamente proporzionale alla larghezza della cintura.” I dati parlano chiaro: la presenza di sovrappeso e obesità aumenta il rischio di avere il diabete, di essere ipertesi, di sviluppare un cancro, di soffrire di patologie osteoarticolari, oltre che di andare incontro a ipertrofia prostatica, infertilità, asma e apnea notturna. Non sorprende, pertanto, che a livello mondiale l’obesità sia responsabile ogni anno della perdita di circa 94 milioni di anni di vita aggiustati per disabilità, con un incremento di più dell’80% negli ultimi 20 anni. Il WHO EUROPE OBESITY report, lanciato con un evento stampa il 3 maggio e presentato al Congresso Europeo sull’Obesità, rivela che nella Regione Europea il 59% degli adulti e quasi 1 bambino su 3 (29% dei maschi e 27% delle femmine) sono in sovrappeso o vivere con l’obesità. La prevalenza dell’obesità negli adulti nella regione europea è più alta che in qualsiasi altra regione dell’OMS ad eccezione delle Americhe. Sovrappeso e obesità sono tra le principali cause di morte e disabilità nella regione europea, con stime recenti che suggeriscono che causano più di 1,2 milioni di decessi all’anno, corrispondenti a oltre il 13% della mortalità totale nella regione.
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L’obesità aumenta il rischio di molte malattie non trasmissibili, inclusi tumori, malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo 2 e malattie respiratorie croniche. Ad esempio, l’obesità è considerata una causa di almeno 13 diversi tipi di cancro ed è probabile che sia direttamente responsabile di almeno 200.000 nuovi casi di cancro all’anno in tutta la regione, con una cifra destinata a crescere ulteriormente nei prossimi anni. Sovrappeso e obesità sono anche il principale fattore di rischio di disabilità, causando il 7% degli anni totali vissuti con disabilità nella Regione. Le persone in sovrappeso e quelle che vivono con l’obesità sono state colpite in modo sproporzionato dalle conseguenze della pandemia di COVID-19. Ci sono stati cambiamenti sfavorevoli nel consumo di cibo e
nei modelli di attività fisica durante la pandemia che avranno effetti sulla salute della popolazione negli anni a venire e richiederanno uno sforzo significativo per invertire. Obesità in Europa: una “epidemia” in corso Per affrontare la crescente epidemia, il rapporto raccomanda una serie di interventi e opzioni politiche che gli Stati membri possono prendere in considerazione per prevenire e affrontare l’obesità nella regione, ponendo l’accento su una migliore ricostruzione dopo la pandemia di COVID-19. L’obesità è una malattia, non solo un fattore di rischio L’obesità è una malattia complessa che presenta un rischio per la salute. Le sue cause sono molto più complesse della semplice combinazione di dieta malsana e inattività fisica. Questo rapporto presenta le evidenze più recenti, evidenziando come la vulnerabilità a un peso corporeo malsano nei primi anni di vita può influenzare la tendenza di una persona a sviluppare l’obesità. Anche i fattori ambientali che caratterizzano la vita nelle società altamente digitalizzate dell’Europa moderna sono fattori determinanti dell’obesità. Il rapporto esplora, ad esempio, come il marketing digitale di prodotti alimentari malsani per i bambini e la proliferazione dei giochi online sedentari contribuiscono alla crescente ondata di sovrappeso e obesità nella regione europea. Tuttavia, esamina anche come le piattaforme digitali potrebbero anche fornire opportunità per la promozione e la discussione di salute e benessere. Misure politiche: cosa possono fare i Paesi? Affrontare l’obesità è fondamentale per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile ed è una priorità ripresa nel Programma di lavoro europeo 2020-2025 dell’OMS. Il nuovo rapporto dell’OMS delinea come gli interventi politici che prendono di mira i determinanti am-
Il nuovo rapporto sull’obesità regionale europea dell’OMS 2022, pubblicato il 3 maggio dall’Ufficio regionale dell’OMS per l’Europa, rivela che i tassi di sovrappeso e obesità hanno raggiunto proporzioni epidemiche in tutta la regione e sono ancora in aumento, con nessuno dei 53 Stati membri della regione attualmente sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo dell’OMS di fermare l’aumento dell’obesità entro il 2025. bientali e commerciali della cattiva alimentazione a livello di intera popolazione siano probabilmente più efficaci nell’invertire l’epidemia di obesità, affrontare le disuguaglianze alimentari e raggiungere sistemi alimentari sostenibili dal punto di vista ambientale. L’obesità è complessa, con determinanti sfaccettati e conseguenze sulla salute, il che significa che nessun singolo intervento può fermare l’aumento della crescente epidemia.
l’accessibilità di cibi sani e le opportunità per la salute INFO:https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/106 65/353747/9789289057738-eng.pdf
Qualsiasi politica nazionale che miri ad affrontare i problemi del sovrappeso e dell’obesità deve avere alle spalle un impegno politico di alto livello. Dovrebbero anche essere globali, raggiungere le persone lungo tutto il corso della vita e prendere di mira le disuguaglianze. Gli sforzi per prevenire l’obesità devono considerare i determinanti più ampi della malattia e le opzioni politiche dovrebbero allontanarsi da approcci incentrati sugli individui e affrontare i fattori strutturali dell’obesità. Il rapporto dell’OMS evidenzia alcune politiche specifiche che si dimostrano promettenti nel ridurre i livelli di obesità e sovrappeso: - l’attuazione di interventi fiscali (come la tassazione delle bevande zuccherate o i sussidi per cibi sani); - restrizioni alla commercializzazione di alimenti malsani per i bambini; - miglioramento dell’accesso ai servizi di gestione dell’obesità e del sovrappeso nell’assistenza sanitaria di base, nell’ambito della copertura sanitaria universale; - sforzi per migliorare la dieta e l’attività fisica nel corso della vita, compresi il preconcepimento e la cura della gravidanza, la promozione dell’allattamento al seno, gli interventi a scuola e gli interventi per creare ambienti che migliorino l’accessibilità e
WHO EUROPEAN REGIONAL OBESITY REPORT 2022
SALUTE E AMBIENTE, NASCE IL SISTEMA SNPS Approccio integrato e duplice - “One Health” e “Planetary Health”alla base del nuovo Sistema nazionale di prevenzione dei rischi sanitari associati ai determinanti ambientali e climatici SPNS. Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha firmato il 9 giugno il decreto che definisce i compiti dei soggetti che fanno parte del nuovo Sistema Nazionale Prevenzione Salute dai rischi ambientali e climatici (SNPS): • Regioni e delle Province autonome • Istituti zooprofilattici sperimentali • Istituto Superiore di Sanità • Ministero della salute Il decreto, su cui è stata acquisita l’Intesa in Conferenza Stato Regioni nella seduta dell’8 giugno, dà seguito alla previsione normativa di cui all’art. 27 del DL 36/2022 che ha istituito il SNPS “allo scopo di migliorare e armonizzare le politiche e le strategie messe in atto dal Servizio sanitario nazionale per la prevenzione, il controllo e la cura delle malattie acute e croniche, trasmissibili e non trasmissibili, associate a rischi ambientali e climatici”.
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Secondo quanto si legge nel provvedimento in bozza, il SNPS, mediante l’applicazione dell’approccio integrato “one-health” nella sua evoluzione “planetary health” e tramite l’adeguata interazione con il Sistema Nazionale a rete per la Protezione Ambientale, concorre al perseguimento degli obiettivi di prevenzione primaria correlati in particolare alla promozione della salute, alla prevenzione e al controllo dei rischi sanitari associati direttamente e indirettamente a determinanti ambientali e climatici, anche derivanti da cambiamenti socio-economici, valorizzando le esigenze di tutela delle comunità e delle persone vulnerabili o in situazioni di vulnerabilità, in coerenza con i principi di equità e prossimità. L’art.23 del decreto assegna al SNSP le seguenti funzioni: a) identifica e valuta le problematiche sanitarie associate a rischi ambientali e climatici, per contribuire alla definizione e all’implementazione di politiche di pre-
venzione attraverso l’integrazione con altri settori; b) favorisce l’inclusione della salute nei processi decisionali che coinvolgono altri settori, anche attraverso attività di comunicazione istituzionale e formazione; c) concorre, per i profili di competenza, alla definizione e all’implementazione degli atti di programmazione in materia di prevenzione e dei livelli essenziali di assistenza associati a priorità di prevenzione primaria, assicurando la coerenza con le azioni in materia di livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (LEPTA). d) concorre alla individuazione e allo sviluppo di criteri, metodi e sistemi di monitoraggio integrati, anche avvalendosi di sistemi informativi funzionali all’acquisizione, all’analisi, all’integrazione e all’interpretazione di modelli e dati; e) assicura il supporto alle autorità competenti nel settore ambientale per l’implementazione della Valutazione di Impatto sulla Salute (VIS) nell’ambito della Valutazione Ambientale Strategica (VAS), della Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) e dell’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA). L’istituzione del SNPS fa parte degli interventi finanziati con il Piano nazionale per gli investimenti complementari al PNRR.
Il Decreto è consultabile sul sito del Ministero della Salute e al seguente link: https://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/renderNormsanPdf ?anno=2022&codLeg=87626&parte=1% 20&serie=null
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CEA, il futuro dell’edilizia? Innovazione e sostenibilità
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Asfalti “green” riciclati e a “scarto zero”
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ltre 400 dipendenti, radici saldamente pian tate nel bolognese e filiali in Romania, Libia e Libano e una vocazione all’innovazione che caratterizza tutta l’attività. È questa la carta d’identità di CEA – Coope rativa Edile Appennino, realtà di Calderara di Reno dalle molte anime: dall’edilizia tradizionale alla ge stione delle reti acqua e gas, dalla depurazione alla ri voluzione degli asfalti “green” riciclati e a “scarto zero”, fino al settore asphalt dams, ossia la manuten zione di dighe e bacini rivestiti in conglomerato bitu minoso, La cooperativa bolognese è, infatti, una delle tre uniche realtà in Europa ad avere le competenze per gestire questo tipo di interventi grazie alla exper‐ tise garantita, a partire dal 2014, dall’acquisizione del ramo dighe della Ing. Giuseppe Sarti & C. S.p.A., sto rico marchio italiano attivo nel settore dell’ingegneria idraulica sin dal 1950. “Dalla fondazione nel 1982 a Monghidoro a oggi, Coo perativa Edile Appennino ha scelto di percorrere la strada dell’innovazione costante, in un settore come quello edile, tradizionalmente percepito come ben poco propenso al cambiamento – spiega il presidente Marco Marchi . Nuove tecnologie, nuovi brevetti, ri cerca scientifica, investimenti per la sostenibilità ma anche formazione, crescita professionale e tecnica di ogni singolo membro della cooperativa, capacità di in dividuare settori nuovi su cui investire e coraggio per percorrere queste nuove strade: queste sono state le leve che hanno permesso a CEA non solo di sopravvi vere in un settore complesso come quello edile ma anche di attraversare le sfide degli ultimi anni conti nuando a crescere”. Innovazione e sostenibilità vanno a braccetto in CEA: “Grazie al nostro progetto di cantieri “a scarto zero” – prosegue Marchi oggi riusciamo a recuperare il 100% degli inerti che vengono rimossi per i lavori di manu tenzione delle linee acqua e gas interrate. Questo si gnifica non dare vita a scarti inerti, comunque pregiati, che in passato andavano smaltiti con gli evi denti costi ambientali. Questi materiali, poi, grazie alla nostra divisione CEA Ambiente, vengono lavorati e trattati per creare nuovo asfalto 100% riciclato senza essere costretti a utilizzare nuovo bitume, con un im patto ambientale davvero ridotto ai minimi termini. Abbiamo, inoltre, scelto di investire e credere anche nell’innovazione digitale, certi che determinati pro getti avrebbero avuto un impatto positivo sull’am biente circostante: è il caso di Vision, il nostro visore indossabile a realtà aumentata che permette ai tecnici
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della centrale operativa di vedere ciò che vede l’ope raio in cantiere e di guidare da remoto gli interventi di manutenzione. Già oggi, grazie a questo brevetto, riduciamo del 30% gli spostamenti in auto da e verso i cantieri e come obiettivo per il 2030 ci siamo posti di raggiungere la quota del 40% di chilometri percorsi in meno dai nostri operatori”. Operatori che, per CEA sono risorse preziose: “Continuiamo a puntare sui gio vani che già oggi rappresentano il cuore della coope rativa e ne portano l’età media sotto i 40 anni, investendo nella formazione, come abbiamo fatto con la scuola di saldatura, una delle pochissime in Italia”.
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E per il prossimo futuro non mancano progetti e sfide: “Sul fronte delle dighe, dopo l’esperienza in Francia, nel prossimo triennio gestiremo quattro im portanti opere in Austria – spiega il Direttore Com merciale Flavia Agusta . La nostra esperienza e la flessibilità operativa di CEA ci permettono di essere molto competitivi rispetto ai grandi player esteri, eu ropei e non: auspichiamo che anche sul fronte na zionale possa in tempi brevi aprirsi un mercato per la manutenzione di questi manufatti che, ora più che mai, rappresentano risorse preziose per i territori in cui sorgono. Rilevanti poi sono i lavori già acquisiti e quelli che potremo ottenere in futuro tramite lo strumento del Partenariato Pubblico Privato in cui abbiamo operato e stiamo continuando ad operare in ATI con l’ente finanziatore Iccrea BancaImpresa S.p.A.: a titolo di esempio cito la progettazione ese cutiva, il finanziamento, la costruzione e la manuten zione per 20 anni di un nuovo parcheggio multipiano interrato in Piazza degli Eroi Sanremesi a Sanremo e la progettazione esecutiva, esecuzione lavori di ri strutturazione, il finanziamento della RSA S. Fortu nato e della Scuola A. Manzoni di Casei Gerola con relativa manutenzione per 15 anni e la gestione in regime di concessione di servizi della RSA S. Fortu nato da parte della società Universiis Società Coope rativa Sociale. A questi fronti, poi si affianca il comparto della gestione reti che, da solo, è respon sabile di oltre il 30% del nostro fatturato e dove ab biamo stretto un’importante partnership con Hera. Negli ultimi tempi, poi, stiamo sviluppando l’attività della nostra divisione demining, per la bonifica dai materiali esplosivi: siamo gli unici in EmiliaRomagna a fornire questo servizio e presto avremo a disposi zione una seconda squadra certificata che potrà operare in Italia e all’estero. Rilevanti sono anche le acquisizioni sviluppate con Terna, che ci vedono in prima linea per la costruzione di sottostazioni elettri che su tutto il territorio nazionale”.
Sostenibilità ambientale Obiettivo 2030: riduzione del 40% di chilometri percorsi in meno dai nostri mezzi
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SAVE THE DATE
XXXIX ASSEMBLEA ANNUALE
Fiera di Bergamo | 22-24 novembre 2022
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