Curare il paziente, prendersi cura della persona: verso una città che genera salute
Editoriale
Curare il paziente, prendersi cura della persona: verso una città che genera salute
di Andrea Lenzi Presidente dell’Health City Institute
Viviamo in un tempo in cui la città è diventata il principale spazio della vita. La maggior parte della popolazione italiana – come quella mondiale – risiede ormai in aree urbane, e sempre più sfide del presente si concentrano tra le strade, i quartieri e le piazze delle nostre città. Ma che cosa significa stare bene in città? Chi ha accesso alla salute urbana? E quali condizioni generano oggi fragilità, malattia, esclusione?
Negli ultimi anni, queste domande hanno acquisito una centralità crescente nel dibattito pubblico, sanitario e istituzionale. Le città sono oggi luoghi di opportunità ma anche di profonde disuguaglianze, dove convivono eccellenze ospedaliere e assenza di servizi di base, innovazione tecnologica e povertà educativa, wellness d’élite e obesità infantile. In questo contesto, la salute non può essere più intesa solo come assenza di malattia, né la cura come esclusivo atto sanitario. Al contrario, salute e cura diventano dimensioni collettive, ecologiche, relazionali.
L’esperienza concreta delle persone ci mostra ogni giorno che non basta curare il paziente, ossia trattare la patologia con strumenti clinici, farmacologici o tecnologici. È necessario prendersi cura della persona, accompagnandola nel suo ambiente di vita, nella sua storia, nei suoi vincoli sociali, familiari, culturali, ambientali. Un bambino obeso in una zona priva di parchi non ha le stesse possibilità di uno che può giocare in sicurezza. Un anziano diabetico che vive solo in un condominio senza ascensore avrà più difficoltà a mantenere una routine attiva e una dieta adeguata. Una donna migrante con disturbi metabolici potrebbe non sapere nemmeno come accedere ai servizi pubblici. La vulnerabilità è una condizione sistemica, e curare significa riconoscerla, nominarla, affrontarla.
Le città metropolitane italiane con la loro vastità territoriale e la lorocomplessità sociale, è un esempio paradigmatico. Le disuguaglianze sanitarie si riflettono in modo nitido nella distribuzione del diabete, dell’obesità, dell’aspettativa di vita tra i differenti quartieri, tra i centri cittadini e le periferie. I dati parlano chiaro: chi vive in periferia ha meno salute. Ma questa non è una fatalità. È
il prodotto di un'organizzazione urbana che ha lasciato indietro interi territori, dove mancano spazi verdi, trasporti efficienti, servizi sanitari di prossimità, occasioni di aggregazione sociale. Ed è qui che emerge con forza la necessità di un cambio di paradigma: pensare la città come un dispositivo di salute, come un ecosistema che può generare benessere oppure malattia.
In questo quadro, la differenza fondamentale è tra un modello prestazionale, reattivo, ospedalocentrico, e un modello di cura diffusa, preventiva, territoriale. Il primo si attiva quando il danno è già fatto; il secondo costruisce le condizioni perché il danno non si verifichi. Il primo agisce sul sintomo; il secondo sui determinanti. Il primo cura il paziente, il secondo si prende cura della persona e della comunità.
Una governance urbana della salute, quindi, non è solo una questione di politiche sanitarie. È un’azione trasversale, integrata, intersettoriale. Riguarda l’urbanistica, la mobilità, l’istruzione, l’ambiente, la cultura, lo sport. Significa pianificare città a misura d’uomo, dove il movimento sia naturale, il cibo sano sia accessibile, la solitudine non sia la norma, l’ambiente non sia un rischio ma una risorsa. Significa costruire alleanze tra istituzioni, professionisti, cittadini, riducendo le distanze tra centro e periferia, tra politiche e bisogni.
Curare e prendersi cura non sono due concetti opposti, ma due dimensioni di una stessa responsabilità pubblica. La prima è tecnica, specialistica, irrinunciabile. La seconda è relazionale, comunitaria, diffusa. E oggi, di fronte alla crescita delle patologie croniche e alle nuove vulnerabilità urbane, non possiamo più permetterci di separarle.
Questo quaderno vuole offrire una cornice teorica e operativa per affrontare questa sfida, attraverso un approccio che riconosce le diverse forme di vulnerabilità urbana, propone modelli innovativi di governance della salute e promuove una visione della città come spazio generativo di equità, benessere e dignità. Perché una città che cura è una città che sa prendersi cura.
Novo Nordisk
Curare e prendersi cura
Oggi le malattie croniche, come l’obesità, il diabete e le patologie cardiovascolari, rappresentano una delle sfide più urgenti e complesse della nostra società. Parliamo di condizioni che non solo impattano profondamente la vita dei pazienti, ma coinvolgono intere famiglie assumendo anche una dimensione collettiva.
Lo stesso concetto di salute non può limitarsi all’assenza di malattia ma al benessere della persona e questo è ancor più importante se parliamo di malattie croniche che accompagnano la persona tutta la vita. Ecco perché Novo Nordisk sposa in pieno il concetto del prendersi cura.
Due parole semplici, che però racchiudono un’intera visione della salute. Si parte dallo sviluppo di trattamenti nuovi e sempre più efficaci, capaci di migliorare concretamente la vita di milioni di persone nel mondo, generando così valore anche per la società, per il sistema sanitario e per l’ambiente.
È questo il modo in cui Novo Nordisk intende l’Innovazione.
Innovare significa ripensare al modo stesso in cui guardiamo alla Salute con l’ambizione di fornire risposte concrete, capaci di rispondere alle esigenze delle persone che convivo con patologie croniche. Cominciando dall’impegno nella ricerca scientifica per garantire le migliori e le più innovative soluzioni terapeutiche fino ad occuparsi della qualità della vita delle persone, all’ambiente e agli stili di vita, in un’epoca in cui la salute è sempre più connessa a dinamiche sociali, ambientali ed economiche.
Per fare tutto questo, un approccio sinergico e la creazione di partnership strategiche con istituzioni, università, think
tank e altre terze parti sono fondamentali. Queste collaborazioni ci permettono di promuovere l’innovazione, la salute e la prevenzione in modo integrato, come nel programma Cities for better Health. Attraverso il lavoro insieme, possiamo curare e prenderci cura, consolidando la nostra missione di guidare il cambiamento per combattere le malattie croniche non trasmissibili.
Questo è il momento di un nuovo paradigma di innovazione in salute, di ripensare alla cura delle malattie croniche come diabete e obesità con una nuova visione in cui semplificazione del trattamento, soluzioni di sanità digitale e miglioramento della qualità della vita sostenibilità ambientale e urban health sono i pilastri fondamentali che rendono concreto il concetto del curare e prendersi cura
La salute come bene comune: un impegno collettivo che parte dalle Città
di Federico Serra
Segretario Generale Health City Institute, Cities+ e dell’Osservatorio sulla salute come bene comune
Nel 1948, la World Health Organization (WHO) definiva la salute come “…uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità”. Un concetto rivoluzionario per l’epoca, che superava la mera dimensione clinica e apriva la strada a un’idea di salute integrale, complessa e profondamente legata al contesto sociale.
Già allora, l’Organizzazione Mondiale della Sanità invitava i governi ad assumersi la responsabilità di educare i cittadini alla salute, promuovendo stili di vita capaci di generare benessere diffuso. Ma è solo oggi, all’alba del terzo millennio, che quella visione si manifesta in tutta la sua potenza.
Una nuova idea di salute, oltre la sopravvivenza
Oggi, la salute non è più solo assenza di malattia. È un concetto globale e multidimensionale che coinvolge:
• la salute fisica e mentale,
• le condizioni ambientali, climatiche e abitative,
• il lavoro, l’istruzione, la mobilità,
• la qualità delle relazioni sociali e culturali.
Questa visione nasce dall’intersezione di nuove conoscenze mediche e socioculturali, dalla crescita dell’aspettativa di vita e da una crescente consapevolezza sul ruolo dei determinanti sociali di salute. In questo scenario, le città diventano il fulcro strategico delle politiche sanitarie.
Healthy city: la città come motore di benessere
La WHO ha coniato il concetto di Healthy City non per indicare una città già sana, ma una città che riconosce l’importanza della salute come bene collettivo e che agisce per migliorarla. Una healthy city non è perfetta, ma è una città consapevole, impegnata, che promuove politiche urbanistiche, ambientali, sociali e sanitarie integrate per favorire il benessere di tutti.
Questa città agisce sulla mobilità attiva, valorizza lo spazio pubblico, sostiene i servizi di prossimità, combatte le disuguaglianze, costruisce reti di partecipazione. Ma soprattutto, attiva i cittadini, promuovendo l’autonomia, la corresponsabilità e la cultura della salute come diritto e dovere collettivo.
La città come bene comune
In questo senso, la città stessa è un bene comune. Non solo perché i cittadini condividono spazi pubblici come strade, parchi, servizi, ma perché condividono anche la cultura urbana, la salute, la qualità della convivenza.
Il bene comune richiama tutti a un’etica civile: un circolo virtuoso di comportamenti fondati sul rispetto, sulla solidarietà, sull’attenzione agli altri. Non si tratta di una somma di interessi individuali, ma di un orizzonte condiviso in cui si vince tutti. Dove la salute di ciascuno dipende anche dalla salute dell’altro.
Essere cittadini oggi non significa solo pagare le tasse, ma contribuire quotidianamente alla vita della collettività, sostenendo una società più equa, moderna e sostenibile. Significa impegnarsi per un’economia e una politica al servizio del bene comune, non subordinate a interessi di parte o logiche di profitto.
La politica come servizio alla salute collettiva Se la politica vuole tornare a essere realmente al servizio delle persone, deve liberarsi dalla subordinazione all’economia e alla finanza, e ritrovare la sua vocazione originaria: governare per il bene della collettività. Questo include anche – e soprattutto – la promozione della salute come diritto fondamentale, come strumento di coesione sociale, come patrimonio da trasmettere alle future generazioni.
I sindaci e gli amministratori locali sono oggi i principali garanti di una sanità pubblica vicina, equa e orientata al bene comune. Spetta a loro il compito di promuovere una
visione integrata, trasversale, che veda la salute non come un costo, ma come un investimento strategico.
Un futuro ancora aperto: partecipare per cambiare
I cittadini devono essere chiamati a partecipare attivamente alla costruzione della salute comune. Non solo con comportamenti virtuosi, ma anche con il dialogo, con il passaparola, con l’impegno educativo, con la capacità di sollecitare riflessioni nei propri contesti familiari, scolastici, lavorativi, digitali.
Le domande sul futuro non possono più essere rimandate. Che aspetto avrà il Pianeta Terra nei prossimi decenni? Riuscirà a sostenere due miliardi di persone in più? Le nostre città saranno in grado di garantire salute, sicurezza, giustizia sociale a chi le abita?
I margini di azione esistono. Il futuro non è già scritto. Ma serve un approccio integrato, multidisciplinare, coraggioso. Serve una cittadinanza attiva, una politica lungimirante, una sanità pubblica capace di rinnovarsi.
Focus On – Le vulnerabilità nelle Città italiane: tra disuguaglianze sociali, fragilità ambientali e salute urbana
di Ranieri Guerra e Federico Serra Cities+
Le città italiane, pur nella loro ricchezza storica, culturale e paesaggistica, sono oggi teatro di profonde trasformazioni che mettono a dura prova la coesione sociale e la salute dei cittadini. I processi di urbanizzazione frammentata, l’invecchiamento demografico, la precarietà abitativa e lavorativa, la crisi ambientale e i mutamenti climatici concorrono alla formazione di nuove e crescenti vulnerabilità urbane.
1. Disuguaglianze territoriali e povertà urbana
Secondo i dati ISTAT, oltre 5 milioni di italiani vivono in condizioni di povertà assoluta, con una significativa concentrazione nei centri urbani del Mezzogiorno e nelle periferie delle grandi città del Nord. A Roma, Napoli, Torino, Milano e Palermo si registrano forti squilibri intraurbani, con quartieri che presentano tassi di disoccupazione, dispersione scolastica e disagio abitativo nettamente superiori alla media cittadina.
In molte periferie, l’accesso ai servizi essenziali – trasporti, sanità di base, spazi verdi, istruzione, presidi sociali – è disomogeneo e frammentario. L’assenza di presidi di prossimità rende difficile intercettare precocemente i bisogni sanitari e sociali, aggravando condizioni di marginalità e isolamento.
2. Fragilità ambientale e salute pubblica
Le città italiane sono fortemente esposte ai rischi ambientali e climatici, che si intrecciano con le vulnerabilità sanitarie. L’inquinamento atmosferico, soprattutto da polveri sottili (PM10 e PM2.5), è tra i più alti in Europa: secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, oltre 52.000 decessi annui in Italia sono attribuibili all’inquinamento dell’aria.
Le ondate di calore, sempre più frequenti, colpiscono duramente gli anziani e i soggetti con patologie croniche, specie nelle aree densamente urbanizzate prive di verde e ventilazione. La povertà energetica si traduce in difficoltà
a riscaldare o raffrescare le abitazioni, influendo sulla salute respiratoria e cardiovascolare.
I fenomeni di gentrificazione e speculazione immobiliare, in molte città, contribuiscono inoltre a spostare le popolazioni più fragili verso aree degradate o mal servite, amplificando i divari.
3. Fragilità sanitarie e accesso diseguale alla cura
L’Italia è tra i paesi più longevi al mondo, ma anche tra quelli con un’elevata incidenza di malattie croniche e comorbilità, specie nella popolazione urbana anziana. In molte città si registra una crisi della medicina territoriale, con carenze di medici di base, lunghi tempi di attesa e una rete di servizi sociali sottodimensionata rispetto ai bisogni emergenti.
Le persone senza dimora, i migranti in condizioni irregolari, le famiglie monoparentali, le donne vittime di violenza e le persone con disabilità vivono condizioni di estrema fragilità spesso invisibile, che sfuggono ai radar della sanità tradizionale. La pandemia da COVID-19 ha reso evidenti queste falle, accentuando la necessità di un approccio proattivo, territoriale e multidisciplinare.
4. Verso città inclusive e resilienti
Le vulnerabilità urbane non sono una fatalità, ma l’esito di scelte politiche, pianificazioni urbanistiche e investimenti sociali. Per questo, molte amministrazioni stanno avviando strategie locali di Urban Health, promuovendo:
• Osservatori urbani per monitorare disuguaglianze e determinanti sociali della salute
• Progetti di rigenerazione urbana con spazi pubblici accessibili e sicuri
• Case della comunità e sanità di prossimità
• Reti di assistenza domiciliare per anziani e persone
fragili
• Politiche integrate per l’abitare, la mobilità attiva e la sostenibilità ambientale
Tuttavia, la frammentazione istituzionale e le differenze di capacità amministrativa tra territori rallentano l’attuazione concreta di queste politiche.
Conclusione
Le città italiane del futuro dovranno essere in grado non solo di resistere agli shock (climatici, economici, sanitari), ma soprattutto di riconoscere e ridurre le vulnerabilità strutturali, trasformandole in occasioni di innovazione sociale e sanitaria. Una città che cura è anche una città che si prende cura, e che mette al centro le persone più fragili per costruire benessere condiviso.
Fammi sapere se vuoi allegare tabelle o dati regionali, oppure adattarlo a una pubblicazione ufficiale o dossier policy.
4o
Hai detto:
puoi ampliare e cambi la frase finale Una città che cura è anche una città che si prende cura, e che mette al centro le persone più fragili per costruire benessere condiviso. nel titolo metti ... una roadmap ChatGPT ha detto:
Assolutamente! Ecco la versione ampliata dell’articolo con un nuovo titolo e una conclusione riformulata, mantenendo lo stile analitico e istituzionale:
Vulnerabilità e salute nelle città italiane: una roadmap per territori più equi e resilienti
Le città italiane stanno attraversando un passaggio cruciale. Mentre si affermano come motori di innovazione, cultura e crescita economica, diventano al contempo luoghi in cui si concentrano diseguaglianze, esclusione sociale, crisi ambientali e nuove forme di fragilità. In questo scenario, la salute urbana non può più essere considerata una responsabilità esclusiva del sistema sanitario, ma il risultato complesso delle scelte urbanistiche, sociali, economiche e ambientali che incidono direttamente sul benessere della popolazione.
1. Vivere la vulnerabilità in città: disuguaglianze che generano malattia
In Italia, il fenomeno della povertà urbana si intreccia con quello della vulnerabilità sociale. Alcuni dati parlano chiaro: secondo il Rapporto ISTAT 2023, oltre il 10% della popolazione urbana vive in condizione di depriva-
zione materiale grave, con punte critiche in molte città del Mezzogiorno e in alcune periferie metropolitane del Nord.
Le vulnerabilità si manifestano in molteplici forme: povertà abitativa, insicurezza alimentare, disoccupazione strutturale, marginalità migrante, isolamento sociale. A queste si aggiungono le fragilità legate all’età, alle disabilità, alla salute mentale e alla crescente incidenza delle malattie croniche. Le città diventano così spazi dove le diseguaglianze sociali si traducono in diseguaglianze sanitarie. In alcune aree urbane, l’aspettativa di vita può variare anche di 5-7 anni tra quartieri contigui, a seconda delle condizioni socioeconomiche.
2. Ambiente urbano e salute: esposizione
differenziata ai rischi
Le città italiane soffrono di gravi squilibri anche sul fronte ambientale. I livelli di inquinamento atmosferico in molte aree urbane superano i limiti raccomandati dall’OMS. Le isole di calore urbano, la carenza di verde pubblico accessibile e l’assenza di mobilità sostenibile colpiscono soprattutto i gruppi più fragili: anziani, bambini, persone con patologie croniche.
Allo stesso tempo, il rischio idrogeologico, la cementificazione incontrollata e l’assenza di politiche efficaci di adattamento climatico rendono molte aree urbane vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico, con conseguenze dirette sulla salute fisica e mentale delle comunità.
3. Accesso diseguale alla salute:
il nodo dei servizi territoriali
Nonostante il principio costituzionale di universalità dell’accesso alla salute, esistono forti disparità tra territori urbani nel livello e nella qualità dell’assistenza. Le liste d’attesa, la carenza di medici di base e la mancanza di servizi di prossimità penalizzano proprio le aree dove si concentrano bisogni più complessi.
La pandemia ha reso evidente quanto sia fragile la rete territoriale nei grandi centri urbani e ha accelerato la consapevolezza della necessità di rafforzare la medicina di comunità. Tuttavia, le nuove Case della Comunità e le strategie previste dal PNRR rischiano di restare parziali se non sono accompagnate da un reale presidio sociale, multidisciplinare e interculturale nei quartieri più vulnerabili.
4. La roadmap per una città equa e salubre: governance, dati, integrazione
Per affrontare in modo sistemico le vulnerabilità urbane occorre una vera e propria roadmap nazionale e locale, articolata in alcuni snodi strategici:
• Governance integrata tra sanità, urbanistica, ambiente, trasporti e servizi sociali
• Osservatori urbani della salute, in grado di raccogliere e analizzare dati territoriali, disaggregati e geo-referenziati
• Pianificazione urbanistica orientata alla salute, con rigenerazione di spazi pubblici, reti verdi e accessibilità ai servizi
• Infrastrutture sociali di prossimità, centrate sulla figura dell’Health City Manager e su équipe multidisciplinari
• Partecipazione delle comunità, attraverso processi inclusivi di co-progettazione e cittadinanza attiva
• Formazione e sensibilizzazione, per promuovere la salute come bene collettivo e diritto di tutti, in particolare dei più vulnerabili
Conclusione – Costruire città giuste per generare salute pubblica
Le vulnerabilità urbane non sono un destino inevitabile. Possono e devono essere affrontate con politiche pubbliche integrate, fondate sulla giustizia sociale e ambientale. Questo richiede una visione di lungo periodo, investimenti coraggiosi, ma soprattutto una nuova cultura amministrativa che consideri la salute non solo come assenza di malattia, ma come esito delle condizioni di vita, dell’equità, della dignità abitativa e della partecipazione democratica.
Una città giusta non è soltanto una città che cura le malattie: è una città che previene le disuguaglianze, sostiene le fragilità, protegge chi è più esposto, e promuove attivamente il benessere collettivo come fondamento della convivenza civile.
Tassonomia della vulnerabilità e fragilità urbana nei
processi di urbanizzazione contemporanei
a cura di Health City Institute e Cities+
L’urbanizzazione ha rappresentato uno dei fenomeni più dirompenti della contemporaneità. Le città sono oggi lo scenario privilegiato delle trasformazioni economiche, sociali, ambientali e culturali che ridefiniscono il nostro tempo. Tuttavia, la crescita urbana non ha distribuito in modo equo le opportunità, generando profonde fratture spaziali, sociali e sanitarie. Emergere di nuove fragilità, coesistenza di diseguaglianze storiche e recenti, polarizzazione territoriale tra centri e periferie: questi elementi rendono necessaria una riflessione strutturata su cosa significhi vulnerabilità urbana.
Questa tassonomia mira a fornire una mappa concettuale e operativa delle principali forme di vulnerabilità connesse all’urbanizzazione, utile per la progettazione di politiche inclusive, eque e sostenibili.
1. Vulnerabilità sociale: la disuguaglianza nella trama delle relazioni
La vulnerabilità sociale si manifesta nella condizione di precarietà delle relazioni umane e delle risorse culturali, educative, lavorative che strutturano l’inclusione in una società. Le città, pur essendo luoghi di scambio e connessione, possono diventare spazi di isolamento e invisibilità.
Tra i gruppi più esposti troviamo:
• Anziani soli nei quartieri centrali e periferici, privi di reti di supporto.
• Giovani NEET, lontani dal lavoro e dalla formazione, spesso concentrati in aree a bassa offerta educativa e culturale.
• Famiglie monogenitoriali, particolarmente vulnerabili in contesti di marginalità abitativa e lavorativa.
• Popolazioni migranti, a rischio di esclusione linguistica, culturale e burocratica.
Queste condizioni generano solitudini strutturali e rendono più difficile l’accesso alle opportunità urbane, creando veri e propri vuoti di cittadinanza.
2. Vulnerabilità materiale: l’ineguaglianza nell’accesso allo spazio urbano
La dimensione materiale della vulnerabilità è legata all’accesso diseguale a beni primari come la casa, i trasporti, i servizi di base. In molte aree urbane, l’abitare è diventato precario: il costo delle abitazioni cresce, mentre le condizioni strutturali peggiorano.
Le manifestazioni più diffuse includono:
• Sovraffollamento e degrado abitativo in aree ad alta densità e basso reddito.
• Insediamenti informali e alloggi di fortuna, spesso in zone marginali o industriali dismesse.
• Carenze nei trasporti pubblici che isolano interi quartieri, specie in periferia.
• Mancanza di spazi verdi e pubblici, che riduce le possibilità di socializzazione, attività fisica e benessere.
La città tende così a riprodurre gerarchie spaziali, dove la qualità dell’ambiente fisico diventa un indicatore della posizione sociale.
3. Vulnerabilità sanitaria: l’urbanizzazione che genera diseguaglianza nella salute
La salute urbana è fortemente influenzata dalle condizioni ambientali, sociali e comportamentali in cui si vive.
Le città offrono accesso a cure specialistiche, ma non garantiscono equità nella prevenzione e nella promozione della salute.
Le principali criticità includono:
• Alta incidenza di malattie croniche (diabete, obesità, malattie cardiovascolari) nelle aree più povere e inquinate.
• Accesso limitato ai servizi sanitari di prossimità nelle periferie.
• Barriere architettoniche e urbanistiche che ostacolano le persone con disabilità o mobilità ridotta.
• Diffusione di stress urbano, ansia, depressione legate all’instabilità abitativa e lavorativa.
Le fasce più fragili vivono in condizioni che non solo minacciano la salute, ma la rendono anche più difficile da proteggere e curare.
4. Vulnerabilità istituzionale: l’esclusione dai diritti di cittadinanza
Una parte significativa della popolazione urbana vive una condizione di esclusione istituzionale, non solo per mancanza di risorse ma per barriere amministrative, frammentazione della governance, assenza di rappresentanza.
Ciò si traduce in:
• Difficoltà di accesso a servizi pubblici essenziali, per mancanza di documenti o conoscenza dei canali istituzionali.
• Scarsa partecipazione ai processi decisionali, soprattutto da parte di residenti delle periferie e delle fasce vulnerabili.
• Disconnessione tra i bisogni locali e le politiche pub-
Dimensioni e forme della vulnerabilità urbana
Dimensione Descrizione dettagliata
Sociale
Materiale
Sanitaria
Istituzionale
ClimaticaAmbientale
Fragilità relazionali, culturali e lavorative che ostacolano l’inclusione
Accesso diseguale a casa, trasporti, servizi, spazi urbani
Rischi fisici e mentali aggravati dall’ambiente urbano e dalla povertà
Esclusione dai diritti e dalla rappresentanza civica
Esposizione diseguale agli effetti ambientali e alla transizione ecologica
bliche, spesso pensate in modo settoriale e centralizzato.
In questo scenario, la fiducia nelle istituzioni diminuisce, alimentando sentimenti di esclusione e rassegnazione.
5. Vulnerabilità climatica e ambientale: l’urbanizzazione che amplifica i rischi globali
I cambiamenti climatici colpiscono duramente le città, e in particolare le popolazioni più esposte e meno protette. Gli impatti ambientali si intrecciano con la diseguaglianza sociale, creando inequità ecologiche.
Tra le principali criticità:
• Isole di calore nei quartieri densamente urbanizzati.
• Alluvioni, frane e fenomeni estremi che colpiscono aree non pianificate o degradate.
• Accesso ineguale alla transizione ecologica: non tutti possono permettersi case efficienti, trasporti sostenibili, cibo sano.
Senza un’azione correttiva, la transizione ecologica rischia di diventare una nuova forma di esclusione urbana.
Esempi concreti
Anziani soli, giovani NEET, famiglie monogenitoriali, migranti senza reti
Sovraffollamento, carenza di servizi, insediamenti informali, assenza di verde
Obesità, diabete, stress urbano, difficoltà di accesso alla sanità
Mancato accesso al welfare, assenza di partecipazione nei processi decisionali
Isole di calore, alluvioni, povertà energetica, esclusione dalla transizione verde
Misurare la vulnerabilità per costruire equità:
l’indice Istat per leggere le fragilità sociali e materiali nei territori italiani
In un Paese attraversato da profonde differenze territoriali e sociali, misurare la vulnerabilità non è solo un atto tecnico, ma un presupposto fondamentale per la giustizia sociale, la programmazione delle politiche pubbliche e la costruzione di coesione. A partire da questo assunto, l’ISTAT ha sviluppato nel 2020 l’Indice di Vulnerabilità Sociale e Materiale (IVSM), uno strumento statistico che consente di leggere in modo integrato le fragilità che interessano i comuni italiani.
Non si tratta di una fotografia isolata, ma di una lente interpretativa che tiene conto di molteplici dimensioni del disagio, superando approcci settoriali o basati su singoli indicatori. L’indice consente di individuare quei territori dove le condizioni sociali, educative, abitative ed economiche si sovrappongono, generando contesti a rischio di esclusione e marginalità.
Che cos’è la vulnerabilità sociale e materiale
Nel quadro concettuale ISTAT, la vulnerabilità sociale e materiale è definita come la condizione potenziale di disagio economico e/o sociale che può impedire agli individui, alle famiglie e alle comunità di esercitare pienamente i propri diritti, accedere alle opportunità, contribuire al benessere collettivo.
Non è quindi una vulnerabilità “clinica” o individuale, ma una fragilità sistemica, radicata nei territori e influenzata da fattori come l’istruzione, il lavoro, la composizione familiare, le condizioni abitative e la partecipazione sociale. L’IVSM nasce per rappresentare proprio questa multidimensionalità del disagio, e per renderla analizzabile in modo comparabile tra i diversi contesti comunali.
I sette indicatori che compongono l’indice
L’Indice di Vulnerabilità Sociale e Materiale è costruito attraverso la sintesi di sette indicatori elementari, selezionati per rappresentare due dimensioni complementari:
• Vulnerabilità sociale
1. Basso livello di istruzione: percentuale di popolazione 25-64 anni senza titolo di studio.
2. Famiglie monogenitoriali giovani/adulte: famiglie con un solo genitore sotto i 65 anni.
3. Giovani inattivi: quota di 15-29enni che non studiano, non lavorano e non cercano attivamente lavoro.
• Vulnerabilità materiale
4. Famiglie con potenziale disagio economico: famiglie con figli a carico, senza membri occupati o pensionati.
5. Famiglie con potenziale disagio assistenziale: famiglie composte solo da anziani, con almeno un membro over 80.
6. Affollamento abitativo: popolazione che vive in condizioni di grave sovraffollamento.
7. Famiglie numerose: famiglie con sei o più componenti, spesso più esposte a povertà e deprivazione. Questi indicatori, normalizzati e sintetizzati tramite l’Adjusted Mazziotta-Pareto Index (AMPI), restituiscono un valore unico per ogni comune, su una scala continua. L’indice così costruito consente confronti affidabili tra territori e nel tempo.
A cosa serve l’IVSM: usi e applicazioni
L’Indice di Vulnerabilità Sociale e Materiale è uno strumento strategico per la pianificazione pubblica, perché consente di:
• Identificare le aree fragili dove attivare interventi prioritari di welfare, rigenerazione urbana, promozione della salute e dell’educazione.
• Valutare l’equità delle politiche pubbliche, osservando dove i bisogni sono più concentrati e dove si registrano divari da colmare.
• Allocare risorse in modo proporzionale ai bisogni, garantendo che il sostegno raggiunga davvero le comunità più vulnerabili.
• Supportare la programmazione territoriale integrata, favorendo il coordinamento tra enti locali, servizi sociali e sanitari, scuole, terzo settore.
L’indice è anche un prezioso alleato nella valutazione ex ante ed ex post di programmi e piani, permettendo di monitorare l’evoluzione delle condizioni sociali nei territori.
Un’Italia a diverse velocità: cosa ci dice l’indice
Le applicazioni territoriali dell’IVSM evidenziano forti disomogeneità tra Nord e Sud, tra città metropolitane e aree interne, tra comuni montani e aree costiere. In generale:
• I comuni con livelli elevati di vulnerabilità si concentrano in alcune regioni del Mezzogiorno e nelle aree periferiche dei grandi centri urbani.
• Le grandi città mostrano spesso una polarizzazione interna, con quartieri centrali relativamente benestanti e periferie ad alta fragilità.
• Le aree rurali e montane evidenziano fragilità legate all’invecchiamento, alla rarefazione dei servizi e alla bassa scolarizzazione.
Questi dati non servono solo a rappresentare la realtà, ma a riconoscere dove la tenuta sociale è più fragile, dove occorre investire in prevenzione, inclusione, accessibilità e reti di prossimità.
Perché misurare la vulnerabilità è un atto politico
In un contesto segnato da crisi multiple – economica, ambientale, sanitaria – parlare di vulnerabilità significa dare nome e forma all’ingiustizia. L’indice IVSM non è solo un indicatore tecnico, ma uno strumento di democrazia: rende visibili le disuguaglianze e offre basi oggettive per affrontarle.
È un invito alle istituzioni, agli amministratori locali, agli operatori del sociale e della sanità, ai ricercatori e ai cittadini, a costruire politiche pubbliche informate, orientate all’equità e fondate su evidenze. Perché misurare la vulnerabilità significa non accettarla come destino, ma riconoscerla come responsabilità collettiva.
Curare e prendersi cura nella città che cambia: il ruolo delle
associazioni di pazienti, delle società scientifiche
e della partecipazione civica nella nuova sanità urbana
a cura di Science for Cities
Nelle città del XXI secolo, dove si concentrano ricchezza e povertà, innovazione e fragilità, l’accesso alla salute diventa una cartina di tornasole della giustizia sociale. Le città italiane – dense, stratificate, diseguali – rappresentano oggi il teatro principale dove si giocano le sfide sanitarie più urgenti: l’invecchiamento della popolazione, la cronicità, la salute mentale, le malattie legate all’ambiente, il disagio sociale. In questo contesto, curare non basta più. Occorre anche prendersi cura, e per farlo è necessario attivare un’alleanza stabile e strutturata tra istituzioni, professionisti sanitari, società scientifiche, associazioni di pazienti e cittadini.
La città come spazio di salute: rischi e potenzialità
Le città non sono solo contenitori fisici di popolazione, ma ecosistemi complessi, in cui la salute delle persone dipende da una molteplicità di fattori: qualità dell’aria, accessibilità ai servizi sanitari, mobilità attiva, coesione sociale, sicurezza, disuguaglianze territoriali. L’urbanizzazione produce nuove vulnerabilità, ma può anche offrire opportunità straordinarie di innovazione e prossimità, se gestita con una visione integrata.
In particolare, le città possono diventare laboratori avanzati per:
• sviluppare modelli di sanità territoriale e domiciliare;
• promuovere l’health equity attraverso la pianificazione urbana inclusiva;
• sperimentare forme di partecipazione civica e coprogettazione della salute;
• attivare reti intersettoriali tra sanità, sociale, ambiente, educazione, cultura.
Associazioni di pazienti: sentinelle di prossimità e catalizzatori di comunità
Le città sono anche il luogo in cui si radicano e operano centinaia di associazioni di pazienti e familiari, che nel tempo sono diventate presidi informali ma fondamentali della salute urbana. Il loro valore è duplice:
da un lato agiscono localmente: offrono supporto pratico, ascolto, orientamento, mediazione culturale, promozione di diritti e servizi di prossimità, specialmente nei quartieri più fragili;
dall’altro incidono a livello sistemico, partecipando a tavoli decisionali, redigendo proposte, facendo advocacy sulle politiche sanitarie urbane.
La loro presenza è particolarmente preziosa nelle periferie urbane, dove la distanza dai centri decisionali e la carenza di servizi può trasformare la malattia in esclusione. Qui le associazioni svolgono un compito di riconnessione, aiutando il cittadino a ritrovare orientamento e dignità nel percorso di cura.
Il ruolo delle società scientifiche nella sanità urbana
Le società scientifiche costituiscono un altro attore cruciale nelle dinamiche urbane della salute. A livello cittadino e metropolitano, sono spesso promotrici di:
• progetti di formazione per medici di base, pediatri, farmacisti e infermieri;
• iniziative di sensibilizzazione pubblica in piazze, scuole, consultori;
• elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici integrati (PDTA) modellati sul territorio;
• partnership con associazioni civiche per la realizzazione di modelli partecipativi.
Nella città del futuro, le società scientifiche dovranno rafforzare il loro legame con il territorio e porsi come mediatrici tra la medicina dell’evidenza e la medicina delle relazioni, promuovendo percorsi di innovazione condivisa.
Una cornice normativa che abilita: il ruolo della Legge di Bilancio 2025
La Legge di Bilancio 2025 (L. 207/2024) segna una svolta epocale nel riconoscimento formale della partecipazione civica in sanità. Prevede infatti:
• l’istituzione del Registro Unico delle Associazioni della Salute (RUAS), che accredita le associazioni di pazienti per la loro inclusione nei processi decisionali;
• la partecipazione regolata delle associazioni ai tavoli del Ministero della Salute e dell’AIFA, con criteri di trasparenza, rappresentanza e continuità;
• la valorizzazione del ruolo consultivo e propositivo di queste realtà nella definizione delle politiche del farmaco, nella valutazione dei bisogni e nei percorsi di umanizzazione.
Queste disposizioni possono avere un impatto straordinario proprio nelle città, dove è più forte la domanda di salute di prossimità e dove maggiore è la possibilità di sperimentare modelli partecipativi innovativi.
Governance urbana della salute: una nuova alleanza territoriale
Per affrontare le sfide sanitarie nelle città, è necessario passare da una sanità centralizzata a una sanità collaborativa, fondata su:
• una governance multilivello tra Regione, Comune, Aziende Sanitarie, Terzo Settore e società scientifiche;
• osservatori metropolitani della salute che raccolgano dati geo-referenziati e integrino indicatori clinici e sociali;
• presidi civici stabili nei quartieri (case della salute, sportelli delle associazioni, consultori civici);
• modelli co-progettati di prevenzione, cura e riabilitazione, centrati sulla persona e non sulla prestazione.
In questo quadro, le città possono diventare laboratori di sanità partecipata, in cui si sperimentano forme avanzate di presa in carico comunitaria, educazione alla salute e innovazione organizzativa.
Conclusione – La città che si prende cura è una città che include
In un tempo in cui la sanità rischia di diventare sempre più tecnica, distaccata, impersonale, le città possono riportare la cura al centro della comunità, se valorizzano il ruolo delle associazioni, ascoltano la voce dei pazienti, costruiscono ponti con le società scientifiche e promuovono la partecipazione attiva dei cittadini.
La Legge di Bilancio 2025 offre strumenti per rendere tutto questo possibile. Ma sarà nelle politiche urbane, nella capacità delle amministrazioni locali di agire con coraggio e visione, che si giocherà la reale possibilità di un cambiamento strutturale.
Perché la città che cura è quella che sa includere, che ascolta chi è fragile, che fa della salute un diritto e non un privilegio. E che costruisce il benessere non come un servizio da erogare, ma come un patto sociale da realizzare insieme.
Curare e prendersi cura a Roma: un nuovo modello
urbano per la salute, la prevenzione del diabete e dell’obesità
a cura dell ’Health City Institute- Roma City Lab
Roma, città eterna e simbolo della storia d’Europa, si confronta oggi con una delle sfide più urgenti della contemporaneità: ripensare la salute pubblica in un contesto urbano complesso e diseguale, dove la diffusione di malattie croniche come il diabete e l’obesità sta raggiungendo livelli allarmanti. La capitale italiana rappresenta un osservatorio privilegiato per analizzare le trasformazioni demografiche, ambientali e sociali che incidono sulla salute collettiva, ma è anche un laboratorio potenziale per costruire nuovi modelli di prevenzione integrata.
Un contesto urbano in trasformazione
L’area metropolitana di Roma, con oltre 4 milioni di abitanti, è caratterizzata da una profonda eterogeneità socioterritoriale: centri storici in via di gentrificazione, periferie a crescita disordinata, insediamenti informali e quartieri residenziali disconnessi. A ciò si aggiungono tendenze strutturali come l’invecchiamento della popolazione, la frammentazione familiare e una mobilità interna ed esterna crescente.
Queste dinamiche generano nuove vulnerabilità che incidono direttamente sulla salute: solitudine degli anziani, precarietà lavorativa giovanile, povertà abitativa e marginalizzazione dei migranti. In questo contesto, il carico delle patologie croniche non trasmissibili, in particolare il diabete di tipo 2 e l’obesità, aumenta in modo preoccupante, alimentato da sedentarietà, cattive abitudini alimentari e disuguaglianze sociali.
Il Lazio è tra le regioni con la più alta prevalenza di diabete e, secondo dati delle autorità locali e di studi epidemiologici, oltre il 70% dei pazienti diabetici risiede nell’area metropolitana di Roma. Tuttavia, la distribuzione del fenomeno non è uniforme: i dati indicano che le condizioni socio-economiche e ambientali influenzano sensibilmente la prevalenza del diabete nei vari distretti della città.
Il peso del diabete nei vari distretti di Roma
Studi condotti dall’Assessorato alla Salute del Comune
di Roma e da gruppi di ricerca regionali evidenziano una marcata variabilità della prevalenza del diabete, che si riflette sulle differenti condizioni territoriali. Ad esempio:
• Distretto centrale (Municipio I – Centro Storico): Le aree centrali, pur essendo caratterizzate da una maggiore disponibilità di servizi e infrastrutture, • presentano tassi di diabete attorno al 7-8%.
• Zone residenziali e semi-centrali (Municipio II e III – Prati e San Saba): Qui la prevalenza si attesta intorno all’8-9%, in parte grazie ad un migliore accesso a servizi sanitari e a iniziative di prevenzione.
• Aree periferiche (Municipio V – Tiburtino, Municipio IX – Ostia e Municipio XI – periferie esterne): Questi distretti mostrano tassi più elevati, con stime che vanno dal 12% al 15%, a riflettere le maggiori criticità socio-economiche, la limitata presenza di servizi preventivi e le condizioni abitative spesso più degradate.
Il peso dell’Obesità a Roma
L’obesità rappresenta un fattore di rischio significativo per numerose patologie croniche, tra cui il diabete di tipo 2, le malattie cardiovascolari e alcune forme di cancro. Pertanto, è fondamentale implementare strategie di prevenzione e promozione della salute a livello locale, coinvolgendo scuole, famiglie e comunità, per contrastare efficacemente questo fenomeno.
Sebbene i dati specifici per la città di Roma siano limitati, le informazioni disponibili suggeriscono che l’obesità rimane una sfida importante per la salute pubblica nella capitale, richiedendo un impegno costante da parte delle istituzioni e della società civile.Per quanto riguarda la popolazione infantile, il sistema di sorveglianza “OKkio alla SALUTE” fornisce dati specifici. Nella ASL Roma 2, che copre una vasta area della città, l’indagine del 2019 ha rilevato che tra i bambini di 8-9 anni:
• 21,3% erano in sovrappeso
• 9,4% erano obesi
Questi dati evidenziano una leggera diminuzione rispetto alle rilevazioni precedenti, indicando una tendenza positiva, ma sottolineano comunque la necessità di interventi continui per promuovere stili di vita sani tra i più giovani.
Curare e prendersi cura: un cambio di paradigma
La risposta non può più essere solo clinica. Curare, nel senso stretto di trattare la patologia, non basta. È necessario prendersi cura, ovvero agire sui determinanti sociali e ambientali della salute, trasformando la città in uno spazio che promuove benessere, equità e prevenzione.
Per questo motivo, è fondamentale adottare un modello urbano di salute che integri tre dimensioni fondamentali:
1. Ripensare la città per promuovere stili di vita sani
La struttura della città ha un impatto diretto sulla salute delle persone. Spazi verdi accessibili, piste ciclabili sicure, marciapiedi curati, zone pedonali e trasporti pubblici efficienti favoriscono il movimento quotidiano, contrastando la sedentarietà e riducendo l’isolamento. La promozione di diete sane e sostenibili passa anche attraverso una gestione urbana orientata a incentivare la presenza di mercati rionali, orti urbani e iniziative di educazione alimentare.
2. Rafforzare la sanità territoriale e i servizi di prossimità
La cura delle patologie croniche richiede continuità assistenziale, prossimità e personalizzazione. È urgente superare la frammentazione tra ospedale e territorio, rafforzando la rete dei servizi sociosanitari nei quartieri, soprattutto nelle zone periferiche. Interventi come:
• Centri di prevenzione e screening gratuiti, mobili o stabili,
• Programmi di educazione alimentare e motoria nei contesti scolastici e comunitari,
• Collaborazioni sistematiche tra Medici di Medicina Generale, diabetologi, dietisti e farmacisti,
• L’adozione della telemedicina per facilitare la gestione e il monitoraggio dei pazienti,
• Creazione di una rete di prossimità socio-sanitaria nelle aree urbane e suburbane
sono passi imprescindibili. In questo contesto, la figura dell’Health City Manager può rappresentare un punto di riferimento per coordinare e integrare le azioni a livello municipale.
3. Coinvolgere le comunità e costruire
alleanze sociali per la salute
La prevenzione funziona solo se è partecipata e radicata nei territori. La città può diventare una rete di cura se le scuole, le parrocchie, le associazioni culturali e sportive, i commercianti, i centri di aggregazione giovanile e i cittadini stessi diventano attori attivi nella promozione della salute. È importante:
• Promuovere l’health literacy per aumentare la consapevolezza sui rischi e sulle pratiche salutari,
• Favorire reti di supporto tra pari (gruppi di cammino, cucine solidali, orti condivisi),
• Collaborare con i media locali per diffondere una cultura positiva della salute.
Un nuovo patto per la salute urbana
Curare e prendersi cura significa immaginare una Roma più equa, più sana e più giusta, dove la salute non sia il privilegio di chi vive nei quartieri centrali, ma un diritto garantito in ogni angolo della città. Significa costruire una governance urbana della salute che abbatti i silos istituzionali, promuovendo politiche trasversali che integrino urbanistica, trasporti, scuola, ambiente e cultura in un progetto comune di benessere.
Questo nuovo modello non riguarda solo il diabete e l’obesità, ma rappresenta un paradigma applicabile a tutte le fragilità urbane. Roma ha le risorse umane, scientifiche e istituzionali per guidare questo percorso di trasformazione, contribuendo così a definire un futuro in cui la città sia capace di curare e prendersi cura di ogni cittadino.
I dati sopra riportati sono indicativi e derivano da studi
Indicatori di salute urbana nei distretti di Roma
Area/Distretto
Centro Storico (Municipio I)
Zone residenziali (Municipi II-III)
Aree periferiche (Municipi V, IX, XI)
Prevalenza Diabete (%) 7-8% 8-9% 12-15%
Prevalenza Obesità infantile (8-9 anni) 6-8% 8-10% 10-12% (fino al 14% in alcuni quartieri)
condotti dall’Health City Institute- Roma City Lab su dati Istat, dall’Assessorato alla Salute del Comune di Roma, dall’ISS e da ricerche epidemiologiche regionali, che evidenziano come le condizioni socio-economiche e ambientali influenzino significativamente la distribuzione del diabete nella Capitale.
Aspettativa di vita alla nascita (anni)
83,5 anni (uomini) / 87,2 anni (donne)
82,8 / 86,5
79,5 / 84,3
Note
Alto accesso ai servizi, condizioni socio-economiche più favorevoli
Buona offerta sanitaria e culturale, livelli educativi medio-alti
Minore accesso ai servizi sanitari, maggiore povertà e disagio abitativo
Roma City Lab è un progetto laboratorio coordinato da Health City Institute che coinvolge statistici, epidemiologici, clinici, sociologi, economisti sanitari, esperti di politiche sanitarie pubbliche, esperti, Istituti di ricerca universitari e privati ed enti pubblici nazionali, regionali e locali.
Cities for Better Health – Città global partner
Bologna e il progetto cities for Better Health
Ripartire dopo il Covid-19 per migliorare la salute dei cittadini
1.
Mappatura del diabete durante la pandemia
Anche durante la pandemia, Bologna ha continuato il proprio impegno con Cities for Better Health, portando avanti un’attenta mappatura del diabete di tipo 2 nelle diverse aree comunali e metropolitane.
• I dati raccolti hanno evidenziato forti disuguaglianze tra aree ad alto e basso reddito, con una prevalenza del diabete più alta nei quartieri più fragili.
• Ad esempio: nell’area sud ad alto reddito la prevalenza è del 3,2%, contro il 6,5% dell’area nord-occidentale a basso reddito.
La pandemia ha anche permesso l’analisi del legame tra COVID-19 e diabete:
Nel primo anno, il 4,4% delle persone con diabete tipo 2 è stato infettato da SARS-CoV-2, contro il 3,7% della popolazione generale.
La mortalità tra persone con diabete tipo 2 è risultata del 19,6%, quasi tre volte superiore al 6,6% della popolazione generale.
2. Una base solida: la rete Healthy Cities
Bologna è membro attivo della rete delle Healthy Cities e ha potuto contare su una solida collaborazione civica e sociale per implementare il progetto.
• Le associazioni civiche e di pazienti, l’ASL, le autorità comunali, l’università e le reti civiche hanno contribuito alla mappatura e alla definizione delle future attività.
• L’obiettivo è sostenere una vita sana e rispondere ai bisogni emergenti post-pandemia.
3. Promuovere l’attività fisica accessibile
Cities Changing Diabetes ha distribuito materiali informativi sull’attività fisica, grazie alla collaborazione con farmacie e associazioni sportive.
• I materiali indicano quando e dove esercitarsi, con il supporto di gruppi civici.
• Nel 2021, Bologna ha promosso un corso per Health City Manager per formare professionisti in grado di supportare l’integrazione della salute in tutte le politiche urbane.
4. Verso un nuovo ATLAS con mappa delle fragilità
I dati aggiornati su diabete tipo 2 e COVID-19 saranno raccolti in un nuovo ATLAS, condiviso con partner locali e regionali.
• L’ATLAS includerà una mappa delle fragilità sociali e dei determinanti culturali della vulnerabilità, utile per pianificare interventi mirati.
5. Leadership e governance
• Presidente Comitato promotore: Matteo Lepore, Sindaco di Bologna
• Presidenti del Comitato esecutivo e scientifico: Uberto Pagotto e Giulio Marchesini, Università di Bologna
Dichiarazioni
Matteo Lepore, Sindaco di Bologna: “La salute viene prima di tutto. Bologna vuole sviluppare un nuovo welfare di prossimità, che integri le politiche sanitarie con quelle sociali, abitative, scolastiche e urbanistiche, per affrontare le sfide del presente e del dopo pandemia.”
Prof. Uberto Pagotto e Prof. Giulio Marchesini, Presidenti Comitato scientifico: “Bologna affronta il diabete urbano con un approccio multidisciplinare, come dimostrano l’esperienza di ARNO Migranti e gli studi recenti sulla prevalenza del diabete nei quartieri. La cabina di regia cittadina riunisce Comune, università e aziende sanitarie per iniziative integrate a favore della salute.”
Cities for Better Health – Città global partner
Napoli e il progetto Cities for Better Health
Una priorità per la Città: affrontare diabete e obesità
1. Affrontare le disuguaglianze sanitarie in un contesto complesso
Napoli, settima città italiana ad aderire al progetto Cities for BETTER HEALTH , è fortemente motivata a contrastare diabete e obesità come priorità cittadina.
• La densità abitativa più alta tra le città metropolitane italiane aggrava le disuguaglianze socio-sanitarie.
• Con una prevalenza del diabete al 6,7% (oltre la media nazionale del 5,8%), si stimano circa 200.000 persone che convivono con il diabete a Napoli.
• La città presenta forti squilibri socioeconomici, che incidono sui determinanti della salute e sulla vulnerabilità alle malattie croniche non trasmissibili.
2. Mappatura e fotografia epidemiologica della città
In collaborazione con Regione Campania, Comune di Napoli, le due università locali e le autorita � sanitarie, Cities Changing Diabetes ha promosso:
• Una fotografia socio-demografica ed epidemiologica di diabete e obesità.
• L’analisi dei fattori sociali, economici e culturali che influenzano la vulnerabilità nelle diverse aree della città.
Per rafforzare il sostegno delle parti interessate, il Comune ha sottoscritto l’Urban Diabetes Declaration come guida all’azione.
3. Screening e prevenzione primaria
Cities Changing Diabetes ha lanciato un programma di screening sull’obesità in collaborazione con i medici di medicina generale di Napoli.
• L’obiettivo è avviare programmi di prevenzione primaria su scala territoriale, agendo precocemente nei contesti più fragili.
4. Leadership e governance
• Presidente Comitato promotore: Gaetano Manfredi, Sindaco di Napoli
• Presidenti del Comitato esecutivo e scientifico: Annamaria Colao (Università Federico II), Katherine Esposito (Università della Campania Luigi Vanvitelli)
Dichiarazioni
Gaetano Manfredi, Sindaco di Napoli: “Aderiamo con convinzione a Cities for Better Health. La salute è un bene comune, da tutelare attraverso azioni concrete e sostenibili. Siamo al lavoro per rendere Napoli più vivibile e attenta al benessere della comunità.”
Annamaria Colao, Presidente Comitato esecutivo: “La Campania ha il più alto tasso di mortalità per diabete in Italia: 5,3 decessi ogni 10.000 abitanti, con 4,9/10.000 a Napoli. Serve uno sforzo congiunto per aumentare la consapevolezza e prevenire i rischi.”
Katherine Esposito, Presidente Comitato scientifico: “Napoli è tra le realtà più complesse a causa del sovraffollamento e dello squilibrio demografico, con conseguenze sulla qualità della vita. Cities for Better Health offre un’occasione per agire con responsabilità e visione.”