A LattePiù, anteprima dei trend economici mondiali del settore
Greenwashing, pronta la direttiva sulle black list
Casaro, professionalità a 360 gradi
Le acquisizioni societarie come opportunità di crescita
A LattePiù, anteprima dei trend economici mondiali del settore
Greenwashing, pronta la direttiva sulle black list
Casaro, professionalità a 360 gradi
Le acquisizioni societarie come opportunità di crescita
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DIRETTORE RESPONSABILE
Giorgio Albonetti
DIRETTORE EDITORIALE TECNICO-INDUSTRIALE
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COMITATO EDITORIALE TECNICO-INDUSTRIALE
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Scienza e Tecnica Lattiero-Casearia
Autorizzazione del Tribunale di Parma n. 377 del 31.03.1965
Iscrizione al ROC n. 12191 del 29.10.2005
Macroscopio
Il conto che fa tornare i conti 4
G. Mucchetti
Innovazione e formaggi DOP, si può fare? 6
S. Milanello
Primo Piano
Tendenze mondiali
Meno latte e più costoso 8
D. Gaggia
Focus
Diritto e rovescio
Professionalità a 360 gradi 14
S. Milanello
Economia
Le acquisizioni societarie come opportunità di crescita 18
L.A. Ferraro
Ricerca scientifica internazionale
Tecnica
Laboratorio
Determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina nei prodotti lattiero-caseari 26
S. Milanello Tecnica
Sanificazione
Verso un Cleaning-in-Place (CIP) sostenibile grazie agli enzimi
S. Milanello
Tecnologia applicata
Fiore Sardo DOP: il formaggio dei pastori
M. Halker
Normativa Pillole legislative
Greenwashing, pronta la direttiva sulle black list
C. Marinuzzi
Cultura
Storia lattiero-casearia
Alle (lontane) origini dei nomi del formaggio
Parmigiano Reggiano: 20 anni di piani produttivi
indietro per andare avanti
Scelsi
Ai sensi dell’art. 13 Regolamento Europeo per la Protezione dei Dati Personali 679/2016 di seguito GDPR, i dati di tutti i lettori saranno trattati sia manualmente, sia con strumenti informatici e saranno utilizzati per l’invio di questa e di altre pubblicazioni e di materiale informativo e promozionale. Le modalità di trattamento saranno conformi a quanto previsto dagli art. 5-6-7 del GDPR. I dati potranno essere comunicati a soggetti con i quali Quine Srl intrattiene rapporti contrattuali necessari per l’invio delle copie della rivista. Il titolare del trattamento dei dati è Quine Srl, Via G. Spadolini 7 - 20141 Milano, al quale il lettore si potrà rivolgere per chiedere l’aggiornamento, l’integrazione, la cancellazione e ogni altra operazione di cui agli articoli 15-21 del GDPR.
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GERMANO MUCCHETTI
Professore ordinario di Scienze e tecnologie alimentari
L’equazione di Van Slyke e Publow predice la resa di caseificazione del Cheddar dal 1908 e molte altre sono seguite utilizzando due modelli diversi. Il primo, teorico, non dipende dal tipo di prodotto. Sulla base dei fattori di recupero di grasso, proteine e altri solidi di materia prima (latte, crema o siero) nel rispettivo prodotto derivato di trasformazione (formaggio, burro o ricotta), l’equazione predice la massa di prodotto con l’umidità attesa ottenibile da 100 kg di materia prima. Il secondo, empirico, si applica a specifiche tipologie di formaggio. L’equazione si ricava da un insieme di osservazioni sperimentali che associano il tenore di proteine e grasso del latte alla massa di formaggio ottenuta.
Il contenuto di umidità dei prodotti di trasformazione è determinante ai fini della loro massa e la gestione riproducibile dell’acqua è probabilmente la parte più difficile del lavoro. Al valore finale di umidità del formaggio contribuiscono taglio del coagulo, cottura, filatura, salagione e condizioni di stagionatura. Altre operazioni decidono l’umidità di burro o ricotta.
Quale sia il modello seguito, la previsione della resa è strumento con cui: a) valutare su quali prodotti conviene economicamente allocare il grasso e le proteine del latte; b) realizzare un efficace controllo di processo; c) stabilire il valore del latte, la materia prima all’origine di tutti i derivati.
Il rialzo del contenuto di grasso del formaggio è trend comune nel momento in cui il prezzo del burro è poco remunerativo. Ma se il trend cambia, quando e come conviene allocare in modo diverso il grasso del latte? Utilizzare tutta la caseina per fare formaggio o destinare parte del latte alla ricotta? Quante proteine del siero conviene trattenere nel formaggio sottraendole alla ricotta? Quale deve essere il tenore in grasso della crema che si separa dal latte? Un volume superiore di una crema meno ricca in grasso rappresenta una perdita di latte magro che diventerà latticello anziché formaggio. Quel latticello potrebbe tuttavia diventare ricotta. Tante domande, ancor più le possibili risposte. Prevedere le masse di formaggio, burro e ricotta ottenibili da 100 kg di latte è la prima condizione per ottenerle. Senza il confronto tra previsione e dato puntuale è tuttavia difficile valutare l’efficacia del proprio processo produttivo. Resta il confronto con la letteratura o con la performance del vicino, troppo poco per un’industria moderna. La valutazione delle potenzialità di trasformazione del latte è infine di aiuto per una corretta remunerazione del suo prezzo, un mezzo più performante rispetto agli attuali schemi di integrazione del prezzo del latte secondo qualità, soprattutto in ambito cooperativo quando sono i soci produttori di latte a poter decidere quali e quanti derivati fare.
Predire la propria resa è un esercizio di conto che può davvero migliorare i conti.
Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica
Dal 1992, anno del Regolamento 2081/92, sono in continuo aumento le IG, sia in volume che a valore. Un successo dovuto alla differenziazione dei prodotti, al legame con il territorio e all’effetto sulle economie locali. Quello che spesso ci si chiede è se tradizione e innovazione possano coesistere. La rigidità dei disciplinari di produzione delle DOP e delle IGP spesso ostacola l’innovazione dal punto di vista tecnologico, sollevando qualche preoccupazione riguardo all’effettiva concorrenzialità delle IG a livello globale.
Nella rubrica Dritto&rovescio pubblicata nel n. 6/2023 di Scienza e tecnica lattiero-casearia è stato affrontato l’argomento dell’innovazione tecnologica nel settore latiero-caseario. Nell’articolo “Innovazione tecnologica: alcuni settori di applicazione”, parlando di Parmigiano Reggiano, Flavio Tosi, tecnologo caseario, ha citato innovazioni che hanno riguardato l’eliminazione del termine “semigrasso” e il rapporto grasso/proteina. Quindi, di cosa stiamo parlando? Di adattamenti al mercato e ai gusti dei consumatori.
L’automazione di processo è sempre più presente nell’industria lattiero-casearia, ma richiede una standardizzazione della materia prima, spesso di difficile attuazione nei formaggi DOP. Stesso discorso per quanto concerne i coagulanti del latte. Nel settore caseario si sta assistendo a una progressiva sostituzione dei coagulanti di origine animale, ancora impiegati per i formaggi DOP, con coagulanti microbici. L’utilizzo di siero o lattoinnesto sembra una pietra miliare a discapito dell’utilizzo di LAB autoctoni delle aree DOP. Stesso terreno minato se si parla di separazione con centrifuga che consentirebbe di ottenere risultati migliori dell’affioramento, in tempi rapidi, in modo più riproducibile. Quanto sono ancora attuali questi vincoli? Non sarebbe meglio arrivare a definire dei descrittori oggettivi di qualità, rispettati i quali proporre delle vere innovazioni, fermo restando che queste non debbano intaccare l’identità e riconoscibilità dei formaggi DOP? Studi che riguardano da vicino le filiere DOP ci sono. Solo che rischiano di essere discussi solo a livello scientifico e non trovare mai applicazione nei caseifici.
The representatives of the dairy community will be proactively sharing insights around key topics:
contributing to food safety (making the French dairy sector more competitive), ensuring the viability of the sector (attractiveness, new blood), accelerating environmental transition, supporting sustainable and responsible production.
The IDF World Dairy Summit will take place in Paris from October 15-18 2024, a landmark event bringing together the entire dairy industry.
This event will provide an opportunity to share success stories with all the different stakeholders (dairy farmers, processing companies etc.) as well as the challenges facing the business (economic and social crises, changing societal expectations from consumers and ecosystems) and join forces to achieve a resilient, innovative and attractive dairy sector.
The summit aims to strengthen members’ commitment to developing increasingly sustainable solutions to meet the growing demand, embodied in this year’s theme «Proudly committed to a sustainable world».
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L’analisi dei trend di mercato degli esperti intervenuti a LattePiù non lascia dubbi: se da una parte i costi aumenteranno, crescerà anche la domanda a livello mondiale di latte e prodotti derivati
Diletta Gaggia
Il lattiero-caseario è il secondo settore alimentare italiano (dopo carni e salumi) e rappresenta poco meno del 10% del fatturato complessivo dell’industria alimentare. Un settore che continua a dimostrare la sua resilienza grazie all’appeal dei formaggi nazionali e fa dell’export il suo punto di forza. Ne hanno parlato a LattePiù i
“Il tema della sostenibilità è un elemento chiave che l’Italia tende però a sottovalutare”
maggiori esperti del settore evidenziando le criticità, ma anche le opportunità che si presenteranno nei prossimi anni.
Da quasi quattro anni il settore lattiero-caseario affronta un periodo caratterizzato dalla diminuzione della quantità di latte disponibile all’interno del territorio europeo. Inizia con numeri in calo l’intervento di Christophe Lafougère, CEO Gira Group. Ma, analizzando i dati a livello mondiale, nei prossimi cinque anni non è prevista alcuna crescita della raccolta di latte né per l’UE che per la Nuova Zelanda, con numeri che potrebbero diventare addirittura negativi nel 2029. È veritiero presumere che la capacità di export dell’UE si ridurrà notevolmente, mentre importeremo sempre più latte dagli Stati Uniti. Pur rimanendo in positivo (1,5%) anche la Cina registrerà un calo della crescita della raccolta latte nei prossimi anni.
Ma se da una parte avremo meno latte proveniente dalle grandi regioni esportatrici, dall’altro lato crescerà dell’0,8% il consumo di prodotti lattiero-caseari. Per rispondere a questa domanda nel futuro saranno necessarie 20 milioni di tonnellate di latte in più, di cui la percentuale maggiore sarà richiesta da Cina e Stati Uniti. Al contrario l’Europa è un continente maturo dal punto di vista del consumo (-8%), calo mondiale che non influenzerà il formaggio, per cui produzione ed export registrano andamenti in continua crescita. Prospettive rosee anche per la panna, mentre si dimostra in sofferenza il burro.
Nei prossimi anni avremo meno latte, ma sarà un latte più caro. Si alza, infatti, il prezzo minimo e le aziende dovranno confrontarsi con costi di produzione in continuo aumento, perché sarà obbligatorio soddisfare sempre più requisiti di carattere ambientale.
“Ci sono sempre più incertezze e la situazione è destinata a peggiorare. In futuro
sarà prodotto meno latte all’interno delle zone chiave per le esportazioni. Confermato il bisogno di avere più latte, è fondamentale assicurare ai nostri allevatori un ‘futuro migliore’, altrimenti perdurerà il problema di dover pagare un latte sempre più caro, riducendo così la redditività dei singoli trasformatori. Non dimenticate mai la sostenibilità, elemento che l’Italia tende a sottovalutare”, conclude Lafougère.
Nonostante la chiusura di numerose stalle l’Italia presenta ancora una dimensione media delle stalle inferiore a quella europea, si stima che gli allevamenti di latte vaccino siano circa 25 mila unità. Luigi Antonio Ferraro, consulente marketing Cerved Group, ha fornito una panoramica delle dinamiche di mercato a livello nazionale. I dati sulla filiera del latte rilevano, invece, una produzione nazionale di latte crudo che nel 2023 si attesta su circa 14mila ton-
nellate. Le vendite sui mercati esteri non raggiungono dimensioni significative, mentre le quotazioni valgono il 6% dei consumi interni a volume, pari a 890mila tonnellate. Le consegne di latte vaccino crudo alle latterie nel 2023 sono state pari a 12 milioni 196mila tonnellate, in calo dello 0,7% rispetto all’anno precedente. Così come la produzione complessiva di latte crudo. Le differenze tra le consegne di latte vaccino e la produzione di latte crudo sono date dalle vendite dirette e dalle consegne di latte bufalino, ovino e caprino stimate complessivamente in poco più di un milione di tonnellate. Il latte vaccino naturalmente è preponderante con quasi il 95% dei volumi complessivi. La produzione cala (-0,7%), mentre il mercato interno registra un +1,4% in termini reali influenzato dalla crescita del latte di importazione (+47,8%), grazie al sensibile calo del prezzo medio (-16,2%) e alla minore disponibilità del latte nazionale.
In prospettiva, nel 2024 il settore, dopo due anni di ridimensionamento, dovrebbe registrare un’inversione di tendenza, riportando la produzione a crescere leggermente in termini reali (+0,3% stimato) sostenuta da un ulteriore sviluppo di formaggi, a partire dalle principali DOP, trainati soprattutto dalle vendite sui mercati esteri. Ciò porterà a mantenere alte le quotazioni del latte, incentivando la produzione. La gran parte del latte crudo nazionale è utilizzato per la formazione di formaggi DOP, grazie ai quali l’Italia è protagonista nel settore caseario mondiale e leader nella produzione ad alto valore aggiunto. Continueranno ad essere positive anche le importazioni, condizionate da un mercato interno in crescita, rimarranno non significative le esportazioni.
La struttura produttiva è costituita da poco più di 3.600 imprese, in prevalenza di piccole dimensioni, spesso a carattere artigianale o gestite da allevatori associati in cooperative. Nel 2023 la produzione lattiero-casearia
LUIGIANTONIO FERRARO
Consulente marketing Cerved Group
“Dopo due anni di rallentamento, il 2024 potrà registrare un’inversione di tendenza, sostenuta dalle vendite
dei DOP all’estero”
ha raggiunto i 18,8 miliardi di euro, di cui 5,4 miliardi sono realizzati sui mercati esteri, importanti gli scambi commerciali con un export sulla produzione che sfiora il 29% a valore. L’export italiano è trainato da formaggi quali Grana Padano, Parmigiano Reggiano e mozzarella. Ma esistono eccellenti possibilità di crescita anche per molti altri prodotti tipici, soprattutto per i formaggi della tradizione italiana che hanno una certificazione riconosciuta: sono 56 le produzioni casearie del nostro paese che si possono fregiare della denominazione di origine. Ci sono anche dei prodotti unici nel panorama mondiale che hanno buone potenzialità di sviluppo sui mercati esteri come il mascarpone, la ricotta e la crescenza. A queste tipologie si possono anche aggiungere la burrata e la stracciatella che hanno raggiunto straordinari risultati negli ultimi anni.
Dal punto di vista comunitario, a seguito delle proteste che ci sono state e dell’ap -
prossimarsi delle elezioni, si è instaurato un nuovo dialogo tra la Commissione europea e gli attori della filiera agroalimentare. Inizia con parole confortanti il saluto di Giovanni Guarneri, presidente del MilkDairy Group Copa-Cogeca, secondo cui gli obiettivi di riduzione delle emissioni non devono essere perseguiti esclusivamente attraverso una riduzione produttiva, che significa recessione, riduzione dei posti di lavoro, dell’attività agricola e di presidio del territorio. Ma attraverso una maggiore efficienza e un migliore impiego della tecnologia nella produzione zootecnica. E dall’altra parte deve essere valutata con maggiore attenzione l’altro grande elemento agricolo che è la fissazione del carbonio attraverso attività agronomiche. Elemento che fino ad ora non è mai stato considerato nei calcoli europei, nonostante le attività agricola e zootecnica contribuiscono alla fissazione nelle loro produzioni vegetali, ovviamente se eseguite con le migliori tecniche disponibili, riducendo l’uso dei fertilizzanti e dei carburanti.
Presidente del MilkDairy Group
Copa-Cogeca
“Sul tema della sostenibilità va ricordato quanto le attività agricole e la zootecnia contribuiscano alla fissazione del carbonio”
Analizzando il mercato, i prezzi in comunità europea sono stabili e alti, però va considerato - secondo Guarneri - che quando si parla di valori alla stalla è fondamentale avere un focus sui margini, quindi prezzi e costi. Nel 2023 i margini nella fase di produzione del latte sono stati buoni, ma in calo rispetto al 2022 che è stato un anno eccezionale.
A livello comunitario è in lavorazione un importante dossier legato al benessere animale, incentrato in questo momento sulle regole di trasporto, ma è previsto anche un focus sull’attività di gestione dei vitelli e dei parti. Le istituzioni europee si impegnano a fornire linee guida sempre più chiare e puntuali per il settore. A tal proposito è stata annunciata la promulgazione di nuove normative che metteranno tutti gli operatori comunitari sullo stesso piano per quanto riguarda l’uso dei green claims, al fine di contrastare il greenwashing, e una normativa dedicata al riuso del packaging. Nel panorama mondiale rimangono fondamentali gli accordi bilaterali che sono centrali nella trattativa che la comunità europea intrattiene con i paesi terzi, in partico-
lare per quanto riguarda le commodities, come le polveri. Nei paesi terzi le indicazioni geografiche hanno un ruolo da protagonista, perché sono un esempio di sostenibilità economica e sociale particolarmente efficace.
“Un elemento che nel futuro potrebbe essere chiave per condividere la logica di filiera è avere un’OCM di mercato dedicato al settore lattiero-caseario”, termina con un suggerimento l’intervento del dott. Guarneri.
PUNTO FORTE
Come potranno le nostre aziende mantenere la loro competitività? Una domanda che Paolo Zanetti, presidente Assolatte, dal palco di LattePiù vorrebbe condividere con il Governo e le organizzazioni agricole. Avremo un latte più caro e una minore disponibilità, pertanto i trasformatori avranno un minore margine e i costi aziendali non sono ancora ritornati alla fase pre inflattiva. Il nostro paese raggiunge performance incredibili nell’export dimostrando una continua crescita (+11,6% nel 2022 in
Appuntamento
Presidente Assolatte
“Il nostro settore dovrebbe imparare a raccontarsi meglio e ad approcciare le politiche comunitarie in modo diverso”
quantità, +5,7% nel 2023 nonostante il necessario rialzo dei prezzi per contrastare l’inflazione). Ma - secondo Zanetti - al momento l’export extra-UE desta anche molte preoccupazioni: in USA, per esempio, sono prossime le elezioni presidenziali ed entrambi i partiti annunciano dazi doganali;
performance negative in Giappone che rendono necessarie un’implementazione dell’accordo EPA; l’India ha bandito i formaggi a caglio animale. Il mercato extraUE continua, quindi, a rappresentare una grande opportunità per il settore ma genera anche tanti rischi.
Il settore lattiero-caseario è in continua evoluzione, anche dal punto di vista delle figure professionali richieste, grazie a percorsi formativi, teorici e pratici altamente professionalizzanti, in aiuto del moderno casaro o per una formazione universitaria in grado di affrontare tematiche attuali, che vanno oltre le tecnologie produttive
Il casaro rimane uno dei mestieri maggiormente richiesti nel nostro Paese. Le produzioni casearie italiane devono la loro qualità e unicità non solo alle materie prime, ma anche alla capacità di trasformarle, sia in ambito artigianale che industriale, nell’ottica di una continua evoluzione e innovazione. Il casaro moderno deve
essere un operatore tecnico specializzato, che ha seguito un percorso didattico in aula e in azienda, con conoscenze che vanno oltre il mero processo produttivo, ma che riguardano anche la sostenibilità e la biodiversità, la qualità delle produzioni, la gestione amministrativa dei caseifici, l’analisi sensoriale, competenze di chimica, microbiologia, zootecnia, di legislazione in materia alimentare. Al casaro moderno è
Il settore lattiero-caseario oggi più che mai ha bisogno di figure professionali preparate nei diversi ambiti lavorativi: non solo casari, ma anche ingegneri e tecnologi alimentari, tecnici delle produzioni lattiero-casearie, in grado anche di affrontare tematiche attuali come la sostenibilità delle produzioni.
La formazione universitaria è sempre più richiesta dalle aziende del settore. Quindi corsi omnicomprensivi come il Corso di laurea triennale in Scienze dell’Alimentazione e Gastronomia, che ha come obiettivo la formazione di una figura professionale qualificata che possa lavorare nel settore delle tecnologie agro-alimentari, dell’alimentazione e della gastronomia. O il corso di laurea triennale in Scienze e tecnologie per alimenti sostenibili. O ancora il Master di Alta Formazione FSM in Food Safety Management, organizzato da CSQA Scuola di Management Agroalimentare in partnership con ISTUM Istituto di Studi di Management, progettato per garantire le massime competenze e certificazioni per coloro che vogliono ambire a occupare o sviluppare la propria carriera come Food Safety Manager e Auditor in aziende di medio-grandi dimensioni. Si tratta di figure altamente specializzate in grado di inserirsi nei settori della produzio-
ne, della conservazione e della distribuzione di alimenti e bevande e in settori connessi. Le aziende richiedono una preparazione forte in termini produttivi e, allo stesso tempo, consapevole dell’importanza della sostenibilità degli alimenti in termini di analisi, controllo, certificazione e indagini per la tutela e la valorizzazione delle produzioni alimentari.
Anche la formazione universitaria strizza l’occhio al settore lattiero-caseario. Non solo corsi e master che si occupano più in generale di ciò che accade nell’industria alimentare, ma anche corsi pensati ad hoc. È il caso del corso di laurea a orientamento professionale in Tecnologie e gestione dell’impresa casearia che ha l’obiettivo di formare un professionista esperto nell’ambito della tecnologia lattiero-casearia e della gestione delle attività produttive ed economiche legate al settore. Alla fine del corso, i tecnici lattiero-caseari qualificati saranno in grado di seguire le produzioni lattiero-casearie, comprendere e risolvere le problematiche legate alle diverse tipologie di formaggio e altri derivati, anche grazie all’esperienza acquisita in campo nelle aziende del settore durante il tirocinio, le attività di laboratorio, i seminari, tenuti da personale qualificato
chiesto di coniugare identità, qualità e competitività, caratteristiche fondamentali per emergere nei mercati nazionali e internazionali. Il casaro non è più un mestiere antico, ma uno moderno e al passo coi tempi. A disposizione, ci sono diversi percorsi formativi, teorici e pratici altamente professionalizzanti, che prevedono anche stage e visite a importanti realtà casearie.
operante nelle aziende lattiero-casearie, visite tecniche a allevamenti, centri di raccolta del latte, strutture produttive di impianti e materiali di confezionamento.
I corsi di laurea moderni tengono in grande considerazione temi attuali come l’impatto delle produzioni lattiero-casearie in termini di sostenibilità ambientale, gestione dei reflui, riduzione degli scarti.
Solo un’alleanza virtuosa tra il sistema della formazione, della ricerca, della produzione può generare figure professionali moderne in grado di soddisfare a pieno le esigenze del settore lattiero-caseario al passo coi tempi. Abbiamo chiesto ad Andrea Summer, Direttore del Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, Ordinario di Zootecnia Speciale all’Università degli Studi di Parma, Guido Tallone, che si occupa dell’assistenza tecnica casearia, coordinamento, formazione, promozione di Agenform (Agenzia dei Servizi Formativi della Provincia di Cuneo) e Salvatore Claps, Direttore CREA-ZA, Centro di ricerca Zootecnia e Acquacoltura, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria di parlaci della loro esperienze in ambito della formazione delle figure professionali più richieste nel settore lattiero-caseario.
h
formazio N e specialistica a tutto to N do
Direttore del Dipartimento di Scienze Medico Veterinarie, Ordinario di Zootecnia
Speciale all’Università degli Studi di Parma
“Figure professionali in grado di affrontare le sfide tecnologiche e di mercato”
Il settore lattiero-caseario è in forte evoluzione e deve sempre più confrontarsi con sfide tecnologiche e di mercato che chiedono risposte immediate e puntuali. Per affrontare questi cambiamenti occorrono figure professionali che, partendo da solide conoscenze e competenze, sappiano evolversi a loro volta. Si rendono quindi necessarie figure professionali con competenze sulla valutazione della sostenibilità delle produzioni lattiero-casearie, intesa non solo dal punto di vista ambientale ma anche economica e sociale. Il nuovo corso di laurea Tecnologie e gestione dell’impresa casearia, interateneo con l’Università di Milano e l’Università Cattolica del Sacro Cuore e in collaborazione con il CREA - Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria, sede di Lodi, farà emergere figure professionali che, grazie ai lunghi tirocini presso aziende che operano nel settore lattiero-caseario previsti al secondo e al terzo anno, saranno in grado di inserirsi immediatamente nel mondo del lavoro, mettendo a frutto le conoscenze e le competenze tecnico-scientifiche acquisite, in
termini di gestione della materia prima, impiantistica, sanificazione, sicurezza e legislazione alimentare, e applicazione dei piani di autocontrollo aziendale e di logistica. I laureati potranno trovare occupazione in aziende private dedite alla trasformazione del latte in formaggi e derivati, in laboratori e strutture di controllo oppure svolgere attività libero-professionale come consulenti aziendali. I possibili sbocchi professionali del laureato di questo corso di studio spaziano dal responsabile di controllo dei processi nell’industria lattiero-casearia, al consulente nell’acquisto delle materie prime nella filiera lattiero-casearia, al responsabile controllo qualità filiera lattiero-casearia, al responsabile laboratori di analisi del latte e dei derivati, allo specialista nella valutazione qualitativa del latte, all’analista di dati di mercato e dati economici d’imprese casearie, al consulente nella commercializzazione del prodotto trasformato. Inoltre, i laureati e le laureate, alla fine del percorso formativo, saranno abilitati all’iscrizione al Collegio Nazionale degli Agrotecnici e Agrotecnici Laureati.
h c hi è il “ tec N ico delle produzio N i lattierocasearie ”?
In base alle richieste che provengono al nostro centro di formazione, il profilo professionale più ricercato è relativo alla produzione nella figura del tecnico di produzione e dell’operaio di produzione. In particolare, il tecnico delle produzioni lattiero casearie viene formato in un corso di Agenform della durata totale di 1000 ore, di cui 360 di stage pratici e 640 di lezioni tra aula, labo-
ratori di chimica e microbiologia e pratica nel proprio caseificio didattico. Vengono trattate teoricamente e praticamente tutte le principali categorie casearie con latte di vacca e alcune caseificazioni anche con capra, pecora e bufala. Il corso consente di acquisire le competenze per: pianificare, eseguire e monitorare analisi chimiche, microbiologiche e sensoriali con l’utilizzo
“Operatori Tecnici Specializzati in grado di lavorare in realtà complesse e in continua evoluzione”ANDREA SUMMER
Assistenza tecnica casearia, Coordinamento, Formazione, Promozione di Agenform (Agenzia dei Servizi Formativi della Provincia di Cuneo)
di strumentazione specifica; trasformare il latte in prodotti caseari, attuando le diverse fasi del processo produttivo; operare consapevolmente e in sicurezza con attrezzature e impianti; applicare procedure di riferimento (normative igieniche, disciplinari di produzione, certificazioni dei pro-
dotti); interagire con il mercato e l’azienda in modo costruttivo, organizzando la produzione lattiero-casearia e gestendo i processi di trasformazione. Il settore agroalimentare lattiero-caseario è costantemente alla ricerca di Operatori Tecnici Specializzati che siano in grado di lavorare in realtà complesse e in continua evoluzione. Il tecnico delle produzioni lattiero-casearie è una figura professionale specializzata nelle tecnologie di produzione e di analisi, che lavora in caseificio con la possibilità di ricoprire diversi ruoli: casaro, tecnico del controllo qualità e tecnico di laboratorio, responsabile di linea e di produzione.
L’artefice principale del settore lattiero-caseario è il casaro o operatore delle trasformazioni lattiero-casearie, ossia colui che produce formaggi (freschi o stagionati) e altri derivati (es. yogurt). La nostra tradizione casearia è millenaria e consolidata e l’Italia continua ad avere necessità di casari. Oggi quella del casaro rientra tra le trenta professioni più richieste dal mercato del lavoro nazionale, soprattutto a livello di produzioni artigianali. Il casaro deve essere in grado di dominare, secondo tecniche tradizionali e innovative, la produzione di prodotti caseari freschi e stagionati agendo sull’intero processo di trasformazione: scelta del latte, trattamenti termici, filatura, formatura e stagionatura, confezionamento ecc., utilizzando metodologie e tecnologie specifiche per le diverse lavorazioni. Oltre alla manualità e alla consapevolezza della tradizione, deve avere buone basi di chimica, microbiologia, zootecnia, e conoscere la legislazione in materia alimentare e le problematiche relative all’igiene e alla sanificazione delle attrezzature.
Deve possedere, inoltre, competenze di base relativamente ai controlli della qualità e all’impiantistica. Il settore richiede, sempre di più, figure professionali altamente specializzate, preparate mediante le competenze multidisciplinari. In quest’ottica è nata la prima Scuola CREA, presso la sede di Bella (PZ) del CREA-ZA, in collaborazione con la sede di Potenza del Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia (CREA-PB), per “Tecnico delle produzioni lattiero-casearie tradizionali sostenibili”, rivolta a giovani sotto i 40 anni in possesso di diploma tecnico, professionale o con competenze acquisite nel settore lattiero-caseario. Si tratta di un percorso didattico di 540 ore, di cui 240 di stage in aziende convenzionate, per acquisire molteplici competenze in differenti ambiti disciplinari: sostenibilità e biodiversità; qualità delle produzioni primarie; impianti, metodi e certificazioni per la qualità; gestione amministrativa dei caseifici tradizionali e innovativi; paste filate; formaggi a pasta fresca e molli; formaggi a pasta dura; formaggi ovini e caprini; sostenibi-
Direttore CREA-ZA, Centro di ricerca Zootecnia e Acquacoltura, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria
lità e innovazione; stagionatura dei formaggi; caseificazioni con diverse tipologie casearie ad analisi sensoriale.
I continui e intensi mutamenti dei mercati e la loro velocità di evoluzione portano le aziende alla ricerca di strategie efficaci per competere
Le imprese, orientate verso una crescita dimensionale, possono agire in modo diverso secondo l’obiettivo che ciascuna di essa si pone. Alcune puntano a un mercato locale, altre preferiscono operare in mercati di nicchia, altre invece puntano a nuovi mercati di sbocco. Da ciò quindi scaturisce un’internazionalizzazione delle proprie attività e contemporanea-
mente un conseguente sviluppo delle proprie dimensioni e della propria struttura organizzativa.
La crescita di dimensioni di un’impresa può avvenire per via interna o per via esterna. Mentre la crescita per linee interne avviene in maniera lenta e graduale e richiede un piano di investimenti ben strutturato, spesso oneroso, nonché una certa ca-
pacità imprenditoriale, quella per linee esterne consiste nell’aumentare le proprie dimensioni di mercato e nel realizzare sinergie effettuando una o più operazioni straordinarie come fusioni o acquisizioni societarie.
Se si considera che diversi mercati del lattiero-caseario nazionale sono maturi o addirittura in contrazione, diventa fonda-
Specialista di analisi competitiva esperto del comparto lattiero-caseario Cerved Group
mentale potersi espandere in nuovi mercati, che spesso offrono migliori opportunità di crescita aziendale, specie se ciò è accompagnato da un allargamento della gamma di prodotti offerti e, dall’acquisizione di nuove tecnologie e processi produttivi. Non meno importante, infine, è la necessità di beneficiare di migliori economie di scala.
A tal fine, le acquisizioni societarie, indubbiamente, possono rappresentare un’importante opportunità.
La multinazionale francese (Grafico 1) ha costruito negli anni la sua posizione di leader nel settore lattiero-caseario proprio attraverso numerose acquisizioni che si sono susseguite negli anni, sia sul mercato nazionale (Locatelli, Invernizzi, Cademartori, Galbani, Parmalat, Nuova Castelli) che sui mercati esteri, tra cui le più rilevanti sono alcune attività casearie e la licenza di alcuni marchi di Kraft Heinz e Royal Bel Leerdammer NL, che comprende Bel Italia S.p.A., ora Lactalis Italia S.p.A. Ultima in ordine temporale in Italia, l’acquisizione dell’intero capitale sociale di Ambrosi S.p.A., approvata dalla Commissione
europea a giugno 2023. All’operazione di cessione ha aderito anche la multinazionale svizzera Emmi, titolare del 25% del capitale dell’azienda. L’azienda è specializzata nella produzione e distribuzione di Grana Padano e Parmigiano Reggiano e diversificata nei formaggi freschi, con un fatturato consolidato di circa 437 milioni di euro nel 2022.
Fra le ultime operazioni all’estero si segnala l’acquisizione da parte di Lactalis dell’azienda portoghese di formaggi Sequeira & Sequeira, proprietaria del brand Paiva (marzo 2024), e della joint venture Dairy Partners Americas Brazil (detenuta per 51% da Fonterra e per il 49% da Nestlé), dopo il via libera dell’autorità Antitrust brasiliana (ottobre 2023). Dairy Partners Americas Brazil è una delle più grandi aziende produttrici di yogurt, dessert a base di latte, latte fermentato e formaggi cremosi in Brasile.
Anche Granarolo, secondo player del lattiero-caseario, ha raggiunto importanti obiettivi di crescita grazie a operazioni straordinarie finalizzate al rafforzamento del posizionamento competitivo del gruppo in Italia e all’estero. Negli anni, fra le operazioni più rilevanti si segnala l’assunzione del controllo del Gruppo Yomo (Sitia Yomo S.p.A., Caseificio Pasquale Pettinicchio S.p.A., Caseificio F.lli Merlo S.p.A.), della Centrale del Latte di Milano, Sail
S.p.A. (azienda pugliese attiva nel latte alimentare) e di Lat Bri Latticini Brianza
S.p.A., società operante nella produzione e commercializzazione di formaggi, focalizzata nella mozzarella. Quest’ultima acquisizione in particolare ha permesso al Gruppo di aumentare la gamma di prodotti offerti, con particolare riferimento al settore dei formaggi freschi, oltre che beneficiare di una forte quota di export.
Sempre finalizzata allo sviluppo dimensionale dell’azienda, in particolare sui mercati esteri, si segnalano le acquisizioni del Gruppo caseario francese Cipf Codipal (2013), attivo nella produzione e distribuzione di formaggi freschi e stagionati e fra i leader in Francia nelle vendite di formaggi italiani, Gennari S.p.A. (2015), società parmense con una lunga tradizione nella produzione di Parmigiano Reggiano, Grano Padano, Midland Food Group (2015), consolidato distributore di prodotti alimentari freschi nel Regno Unito, Venchiaredo S.p.A., azienda lattiero-casearia friulana, specializzata nella produzione di stracchino. Le diverse recenti acquisizioni (nel 2021 Mario Costa S.p.A., Calabro Cheese, Mulino Formaggi S.r.l., nel 2022 Industria Latticini G. Cuomo S.r.l.) confermano che la strategia del Gruppo Granarolo punta su di una crescita dimensionale per linee esterne funzionale al mantenimento di una forte posizione competitiva nell’industria lattiero-casearia in Italia e all’estero. In quest’ottica si legge anche l’ultima operazione che a marzo 2024 ha visto la firma del contratto di affitto del ramo d’azienda relativo alla produzione e commercializzazione di latte del Consorzio Produttori Latte Maremma.
Funzionale al percorso di crescita è l’operazione di rafforzamento patrimoniale varata nel 2023 che prevede un aumento di capitale di 160 Mn di euro, con contestuale ingresso nell’azionariato di Granarolo
S.p.A. di Patrimonio Rilancio-Fondo Nazionale Strategico, gestito da Cassa Depositi e Prestiti e di Enpaia (Ente Nazionale di Previdenza per gli addetti e gli impiegati in Agricoltura).
Oltre ai due colossi del lattiero-caseario, altre aziende hanno optato per la crescita per linee esterne. Fra le più rilevanti e recenti segnaliamo:
Fonte: Cerved
CASEIFICI GRANTERRE
Dal 1° gennaio 2021 è operativa l’acquisizione di Parmareggio di Agriform, attiva nella produzione, stagionatura e confezionamento di formaggi a indicazione geografica tipica, dopo essere stata formalizzata, ai primi di dicembre 2020, con la notifica all’Agc. L’accordo fra il leader del Parmigiano Reggiano e la prima realtà veneta dei formaggi DOP (Grana Padano, Asiago, Piave e altri) ha dato vita alla più grande realtà italiana nel settore dei formaggi DOP dando il via a un polo caseario con un fatturato aggregato di oltre 600 milioni di euro circa, di cui 1/3 circa realizzati all’estero. L’operazione ha portato il Gruppo a diventare il terzo player del set-
tore lattiero-caseario in Italia. Da marzo 2022 Caseifici Granterre è il nuovo nome della società.
A febbraio 2024 è stato siglato l’accordo tra Granterre e CAO Formaggi, principale cooperativa nazionale di raccolta e trasformazione di latte di pecora con quasi 800 aziende di soci conferitori. L’operazione allarga la gamma del gruppo ai formaggi pecorini e in particolare di una grande DOP come il Pecorino Romano.
A gennaio 2023 Latteria Soresina ha acquisito la totalità delle quote della società “F.lli Oioli S.r.l.”, con sede in Cavaglietto
(NO), caseificio specializzato nella produzione di Gorgonzola DOP. Si tratta di un’operazione strategica volta ad aggiungere tra i prodotti di filiera controllata di Latteria Soresina, anche una DOP importante come quella del Gorgonzola (il caseificio nel 2022 ha sfiorato un fatturato di 14 Mn di euro).
Anche la cooperativa negli anni ha acquisito diverse aziende, tra cui Centrale Produttori Latte Lombardia (2013) e Brescialat (2017), attiva nella produzione di Grana Padano, ma anche formaggi freschi.
Dopo l’entrata nel 2013 nel mercato della mozzarella con l’acquisizione del Caseificio Villa di Erbusco (BS), nel 2020 ha assunto il controllo di Giordano S.r.l., società con elevata specializzazione nell’ambito del mercato mozzarella. A dicembre 2022 Gennaro Auricchio ha siglato oggi un accordo in seguito al quale 3B Latte S.r.l. entra a far parte del Gruppo. 3B Latte, con sede a Brignano Gera d’Adda (BG), è specializzata nella produzione di formaggi tipici lombardi e annovera nella sua gamma formaggi a base di latte di capra, di bufala e vaccino. Il fatturato realizzato dalla società supera i 35 milioni di euro.
Di notevole importanza, l’acquisizione da parte di Newlat Food della Centrale del Latte d’Italia S.p.A. (2020). L’operazione ha permesso di aggregare impianti industriali, strutture accessorie e marchi con un’elevata riconoscibilità sia a livello regionale che nazionale (Centrale del Latte di Torino, Polenghi, Optimus, Mukki, Tapporosso, Centrale del Latte di Vicenza, Latte Tigullio, Giglio, Centrale del Latte di Salerno, Matese, Torre in Pietra).
Grafico 1. STRUTTURA SOCIETARIA: GRUPPO LACTALIS ITALIASEE, azienda leader nel settore del packaging alimentare, si distingue per il suo impegno incessante nel soddisfare le esigenze dei clienti con soluzioni di confezionamento sempre più efficienti e sostenibili. Nel contesto del settore lattiero-caseario, che ha segnato un anno di successo nel 2023 grazie alle robuste performance delle esportazioni, SEE ha intensificato i suoi sforzi per rispondere alle crescenti richieste del mercato.
Per rispondere alla domanda sempre più esigente dei consumatori nel settore lattiero-caseario, SEE ha ampliato la sua gamma di prodotti, introducendo nuove varianti dei sacchi termoretraibili della serie CRYOVAC® Brand OptiDure™ Bags (ODA e ODF).
Queste nuove soluzioni, nonostante uno spessore minimo, offrono una combinazio-
ne impeccabile di durabilità, protezione, e resistenza, adattandosi perfettamente alle esigenze operative delle linee di confezionamento del settore.
La tendenza verso prodotti funzionali e salutistici ha dominato le preferenze dei consumatori, riflettendo un crescente interesse per il benessere personale. Inoltre, la sostenibilità e l’etica hanno giocato un ruolo significativo nelle decisioni d’acquisto, con una crescente attenzione alla trasparenza nelle filiere e alla riduzione dell’impatto ambientale.
Per soddisfare la crescente domanda di soluzioni sostenibili e convenienti, SEE ha inoltre introdotto due innovative soluzioni di Film Mono PE barriera riciclabili. L’Eco BDF20M, realizzato al 100% con materiali vergini, e l’Eco rBDF20M, contenente il 30%
di resine circolari certificate (CCR), dimostrano l’impegno dell’azienda nel ridurre l’uso di plastica fino al 90% rispetto ai laminati spessi e ai materiali di termoformatura. Entrambi i prodotti rispettano i rigorosi protocolli stabiliti dall’Associazione dei Riciclatori di Plastica (APR) e dai Riciclatori di Plastica Europei (PRE). Queste soluzioni leggere e sottili rappresentano un passo avanti significativo nella ricerca di una maggiore sostenibilità nel settore lattiero-caseario. L’impegno di SEE per un futuro sostenibile non si limita solo al confezionamento. L’azienda si impegna anche nell’ottimizzazione dei processi e nella riduzione degli sprechi, promuovendo la produttività e la redditività nel settore.
SEE www.sealedair.com
DOI: 10.1016/j.idairyj.2023.105820
Effetti del caglio di vitello e dei coagulanti microbici e vegetali sulle proprietà reologiche del latte per la produzione del formaggio Grana Padano DOP
Effects of calf rennet, and microbial and plant coagulants on rheological properties of milk for Grana Padano PDO cheese production. International Dairy Journal, Volume 149, febbraio 2024
G. Niero, E. Chiarin, M. Cassandro, M. De Marchi, M.Penasa
L’obiettivo del presente studio è valutare l’effetto di diversi coagulanti a diverse diluizioni sull’MCP mediante analisi lattodinamografica. Per tutti i coagulanti testati, l’RCT è stato relativamente breve, probabilmente a causa dell’aggiunta del siero di latte starter. Come previsto, il caglio di vitello ha mostrato i migliori risultati in termini di prestazioni di coagulazione e una diminuzione della quantità di coagulante è stata linearmente associata a un allungamento di RCT e k20. Tuttavia, diluizioni diverse da quella di riferimento erano
caratterizzate da una ripetibilità inferiore, probabilmente a causa della mancanza di coagulante e di reazioni non specifiche (ovvero, i risultati di ripetibilità erano più stabili alla diluizione di riferimento). I risultati suggeriscono anche che l’uso di coagulanti microbici e vegetali a diluizioni leggermente inferiori non ostacola in modo significativo il modello di coagulazione del latte. Ciò può comportare vantaggi in termini di risparmio sui costi e riduzione della comparsa di sapori amari quando si adottano coagulanti vegetali per la produzione di formaggio stagionato.
DOI: 10.3168/jds.2023-23673
Sviluppo e implementazione di uno strumento digitale nella catena di approvvigionamento per prevedere il deterioramento del latte dovuto a sporigeni psicrotolleranti
Development and deployment of a supply-chain digital tool to predict fluid milk spoilage due to psychrotolerant sporeformers. Journal of Dairy Science, Disponibile online dal 23 agosto 2023
C. Qian, SI. Murphy, TT. Lotto, NH. Martin, M. WiedmannGli sporigeni psicotolleranti rappresentano una sfida per il mantenimento della qualità del latte liquido. I cambiamenti dinamici della
temperatura lungo la catena di approvvigionamento possono favorire la germinazione e la crescita di questi batteri e portare al deterioramento del latte. Questo studio mira ad ampliare il lavoro precedente dei ricercatori sulla previsione del deterioramento del latte dovuto a sporigeni psicrotolleranti. Le innovazioni chiave del modello includono: la capacità di tenere conto delle variazioni di temperatura lungo la catena di approvvigionamento e un’interfaccia intuitiva per consentire un facile accesso al modello. Utilizzando le frequenze e le concentrazioni di 8 sottotipi Bacillales specifici del latte raccolto a New York, il modello ha simulato la crescita di sporigeni in mezzo gallone di latte pastorizzato ad alta temperatura per tempi brevi (HTST), trasportato dall’impianto di lavorazione al negozio al dettaglio e quindi al consumatore. Le simulazioni Monte Carlo avevano previsto che il 44,3% dei mezzi litri di latte erano avariati (definiti come aventi una concentrazione batterica > 20.000 cfu/mL, una stima conservativa che rappresenta il limite normativo della Pasteurized Milk Ordinance [PMO]) dopo 21 giorni di conservazione in frigorifero e presso il domicilio del consumatore. È stato dimostrato che il modello era il più accurato nel prevedere la concentrazione media di sporigeni a basse temperature
DOI: 10.1016/j.foodchem.2023.138101
Is milk fat globule size correlated with milk fat content in Ruminants? Food Chemistry, Volume 439, 1 maggio 2024
M. Zhang, Z. Liu, F. Kang, K. Wu, H. Ni, Y. Han, Y. Yang, T. Fu, G. Yang, T. Gao, L. Han
Nel latte, il grasso esiste sotto forma di globuli (MFG). La dimensione media (globuli di grasso medi di diverse dimensioni delle particelle) è il parametro più comune quando si descrive la dimensione MFG. Esistono opinioni diverse sull’esistenza di una correlazione tra le dimensioni del MFG e il contenuto di grassi del latte. La dimensione del MFG è correlata al contenuto di grassi del latte nei ruminanti? Per rispondere a questa domanda, sono stati condotti due esperimenti. Nell’esperimento I, le mucche (n = 40) e le capre (n = 30) sono state divise ciascuna in un gruppo normale e un gruppo a basso contenuto di grassi in base al contenuto di grassi del latte.
Nell’esperimento II, le mucche (n = 16) e le capre (n = 12) sono state divise ciascuna in un gruppo normale e un gruppo a basso contenuto di grassi indotto da acido linoleico coniugato (CLA). I gruppi normali sono stati alimentati con una dieta basale, mentre i gruppi a basso contenuto di grassi indotti da CLA sono stati alimentati con la dieta basale + 300 g/giorno di CLA (mucche) o con la dieta basale + 90 g/giorno di CLA (capre). In entrambi gli esperimenti, è stata determinata la correlazione tra le dimensioni dell’MFG, la composizione del latte e la distribuzione dell’MFG. I risultati hanno mostrato che nei gruppi normali e a basso contenuto di grassi, la dimensione della MFG non era correlata al contenuto di grassi, proteine o lattosio del latte o al rapporto grasso/proteine. Inoltre, non è stata riscontrata alcuna differenza nella distribuzione dei MFG grandi, medi e piccoli (P > 0,05). Tuttavia, nei gruppi a basso contenuto di grassi indotti da CLA, è stata trovata una correlazione tra le dimensioni del MFG, il contenuto di grassi del latte e il rapporto grassi/ proteine (R2 > 0,3). Inoltre, si è verificato un cambiamento significativo nella distribuzione dimensionale dei MFG. Nel latte naturale, la dimensione del MFG non era correlata al contenuto di grassi del latte. Dopo l’integrazione con CLA, la dimensione dell’MFG è stata correlata al contenuto di grassi del latte. I risultati hanno rivelato che è il CLA, e non il grasso del latte, a influenzare la distribuzione e le dimensioni del MFG. (cioè a 3 e 4°C; rispetto a temperature più elevate a 6 e 10°C) entro i primi 21 giorni di conservazione del consumatore, con un errore quadratico medio rispettivamente di 0,29 e 0,34 log10cfu/mL. Le analisi di sensibilità globale hanno indicato che la temperatura di conservazione domestica, la temperatura di trasporto dalla struttura alla vendita al dettaglio e la concentrazione iniziale di spore erano i 3 fattori più influenti per prevedere il deterioramento del latte al giorno 21 della durata di conservazione. Gli scenari ipotetici indicano che si prevedeva che la microfiltrazione fosse la strategia più efficace per ridurre il deterioramento. Si prevede che l’implementazione di questa strategia (che si presume riduca la concentrazione iniziale di spore di 2,2 log10cfu/mL) ridurrebbe la percentuale di latte avariato del 17,0% punti sul giorno 21 di stoccaggio e ritarderebbe la data entro la quale il 50% di mezzo gallone di latte è andato a male dal giorno 25 al giorno 35. Nel complesso, il modello è facilmente implementabile come strumento digitale per valutare il deterioramento del latte lungo la catena di approvvigionamento e valutare l’efficacia delle strategie di intervento, comprese quelle che mirano alle temperature di stoccaggio nelle diverse fasi della catena di approvvigionamento.
DOI: 10.1016/j.jfoodeng.2023.111424
A non-invasive method for detection of freshness of packaged milk. Journal of Food Engineering Volume 346, giugno 2023
S. Kapse, P. Kedia, A. Kumar, S. Kausley, P. Amico, S. Rai
Il latte rimane fresco solo per pochi giorni o mesi, a seconda delle condizioni di conservazione, della tecnica di lavorazione e del confezionamento. A causa del deterioramento, prima di raggiungere il
DOI: 10.3168/jds.2023-23538
Interrelazioni tra caratteristiche fisiche e chimiche del formaggio: un caso di studio su fattori latenti esplicativi e raggruppamento di 37
Interrelationships among physical and chemical traits of cheese: a case study on explanatory latent factors and clustering of 37 categories of cheeses. Journal of Dairy Science, Disponibile online dal 9 novembre 2023
G. Bittante, N. Amalfitano, A. Ferragina, A. Lombardi, F. Tagliapietra
Il formaggio presenta una grandissima variabilità di caratteristiche fisiche, chimiche e sensoriali a seconda della varietà dei
negozio o dopo aver raggiunto il consumatore, ogni anno viene sprecata un’enorme quantità di latte. L’imballaggio multistrato è una soluzione a questo problema, poiché garantisce che il latte rimanga fresco per un periodo prolungato senza l’uso di conservanti e temperature fredde. Tuttavia, anche con questo tipo di imballaggio, a volte il latte può andare a male a causa dello shock termico e dei danni all’imballaggio durante il trasporto e la distribuzione. In tali scenari, i consumatori possono scoprire se il latte è fresco o meno solo quando aprono la confezione. Pertanto, è necessario rilevare la qualità del latte in un contenitore confezionato. In questo lavoro è stato sviluppato un nuovo metodo non invasivo per rilevare la freschezza del latte confezionato utilizzando un tag NFC (Near Field Communication) capacitivo e uno smartphone abilitato NFC. Una variazione di capacità nel barattolo del latte (dovuta a una variazione della costante dielettrica del latte) è stata catturata utilizzando un condensatore a piastre parallele integrato nel tag NFC standard. È stata osservata una variazione di capacità nel barattolo di plastica nell’intervallo 40,5 pF-41,6 pF per il latte fresco e nell’intervallo 42,1 pF-45,6 pF per il latte avariato. Allo stesso modo, 36,8 pF-40,6 pF per il latte fresco e 40,9 pF-42,7 pF per il latte avariato se conservato in un barattolo di vetro. Lo smartphone visualizzerà un messaggio come “Il latte è fresco” o “Il latte è andato a male” durante la scansione di un tag NFC capacitivo basato sulla capacità attraverso il barattolo del latte, sia esso a singolo o multistrato.
metodi e delle condizioni di lavorazione. Le relazioni tra le numerose caratteristiche dei formaggi sono note per alcuni formaggi, ma non per tutti. Si tratta di un caso di studio che utilizza le proprietà registrate su 1.050 diversi formaggi di 107 produttori raggruppati in 37 categorie con lo scopo di analizzare e quantificare le interrelazioni tra le proprietà chimiche e fisiche di molti tipi di formaggi. I 15 tratti del formaggio considerati sono: durata di maturazione, peso, consistenza e adesività, caratteristiche chimiche e colore. Poiché le 105 correlazioni tra i 15 tratti del formaggio sono molto variabili, è stata effettuata un’analisi multivariata. Sono stati estratti quattro fattori esplicativi latenti, che rappresentano l’86% della matrice di covarianza: il primo fattore (38% di covarianza) denominato “Solidi” perché legato principalmente positivamente a grasso, proteine, azoto idrosolubile, ceneri, consistenza, adesività e maturazione lunghezza e negativamente all’umidità e L*; il secondo fattore (24%) denominato “Tonalità” perché legato positivamente ad a*, b* e C*, e negativamente a h°; il terzo fattore
DOI: 10.1016/j.fochx.2023.100825
Assessment of cheese frauds, and relevant detection methods: A systematic review. Food Chemistry, Volume 19, 30 ottobre 2023
A. Abedini, M. Salimi, Y. Mazaheri, P. Sadighara, M. Alizadeh Sani, E. Assadpour, SM. Jafari
I latticini sono ampiamente consumati nel mondo per le loro caratteristiche nutrizionali e funzionali. Il formaggio in particolare ha un prezzo elevato rispetto ad altri latticini. Per questo motivo può essere soggetto a frodi in tutto il mondo. Le frodi nei prodotti alimentari minacciano la sicurezza alimentare mondiale e possono causare gravi danni alla salute umana. Lo scopo di questa revisione è identificare il tipo di formaggio più suscettibile alle frodi e i metodi efficaci per valutarle in tutti i tipi di formaggi. La mozzarella è risultata il formaggio con la percentuale maggiore di adulterazione a causa dei suoi molteplici usi. Inoltre, i metodi utilizzati per valutare diversi tipi di frodi sul formaggio sono stati PCR, spettrometria, isotopo stabile, analisi delle immagini, elettroforesi, ELISA, sensori, analisi sensoriale, vicino infrarosso e NMR. I metodi più utilizzati per individuare le frodi sono PCR e spettrometria, mentre quello meno utilizzato è la valutazione sensoriale.
(17%) denominato “Dimensione” perché legato positivamente al peso, al tempo di maturazione, alla consistenza e alle proteine; e il quarto fattore (7%) denominato “Basicità” perché legato positivamente al pH. Le 37 categorie di formaggi sono state raggruppate in 8 cluster e descritte utilizzando i fattori latenti: cluster Grana Padano (caratterizzato principalmente da punteggi elevati di “Dimensione”); Formaggi di montagna a pasta dura (prevalentemente punteggi “Solidi” elevati); Formaggi molto morbidi (punteggi “Solidi” bassi); Formaggi erborinati (punteggi elevati di “Basicità”), formaggi giallastri (punteggi elevati di “Tonalità”) e altri 3 cluster (formaggi a pasta molle, pasta filata e crosta trattata e formaggi di montagna a pasta dura) in base a combinazioni specifiche di fattori latenti intermedi e tratti del formaggio . In conclusione, in questo caso di studio, l’elevata variabilità e interdipendenza dei 15 principali tratti del formaggio può essere sostanzialmente spiegata da soli 4 fattori latenti che consentono di identificare e caratterizzare 8 cluster di tipi di formaggio.
Una scheda informativa
dell’IDF confronta i metodi per la determinazione dell’ALP e i loro limiti per facilitare il processo decisionale della loro selezione
Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica
Attualmente esistono cinque metodi standardizzati IDF/ISO per la determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina. Essi differiscono in parametri quali principio analitico, portata del campione e limiti di rilevamento. La scheda informativa dell’IDF n° 30/2023: “Metodi standardizzati per la determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina nei prodotti lattiero-caseari: confronto per un utilizzo efficace” (Standardized methods for the determination of alkaline phosphatase activity in dairy products: Comparison for effective use), rivista nel gennaio 2024, fornisce un confronto tra questi metodi IDF/ISO per il loro utilizzo efficace. Descrive inoltre alcune limitazioni del test dell’attività ALP.
L’ATTIVITÀ DELLA
FOSFATASI ALCALINA?
La determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina (ALP) viene utilizzata per verificare il processo di pastorizzazione convenzionale di prodotti lattiero-caseari bovini. La pastorizzazione inattiva/denatura l’ALP naturalmente presente nel latte crudo. Il test ALP è stato inizialmente stabilito sulla base del risultato che l’ALP nel latte aveva una cinetica di inattivazione simile all’inattivazione dei batteri patogeni Coxiella burnetii e M. tuberculosis. Pertanto, quando ALP viene inattivato, serve come indicatore che indica che il latte è stato adeguatamente trattato. La Tabella 1 mostra alcuni esempi dei livelli ALP regolamentari.
La pastorizzazione è un processo termico
ampiamente utilizzato nell’industria lattiero-casearia. Una panoramica delle principali caratteristiche tecniche, gli aspetti microbiologici e nutrizionali si trovano nel Bollettino dell’IDF n° 496/2019 (Federazione Internazionale Dairy, 2019). La misurazione dell’attività ALP viene tradizionalmente applicata al latte bovino immediatamente dopo il trattamento di pastorizzazione convenzionale (72°C per 15 secondi). Più recentemente è stato preso in considerazione il test ALP applicato a prodotti lattiero-caseari come il formaggio, come mezzo per controllare presuntivamente la pastorizzazione dei prodotti lattiero-caseari (Egger et al., 2016). Per questa applicazione può essere presente anche ALP microbica. Ciò può derivare dalla contaminazione microbiologica post-elaborazione, dall’attività della coltura iniziale etc., quindi c’è bisogno di metodi per determinare l’attività ALP che siano rapidi, facili da usare e in grado di distinguere l’ALP microbica da quella del latte bovino e siano efficaci per una varietà di prodotti lattiero-caseari.
LIMITAZIONI DEL TEST
DELL’ATTIVITÀ ALP
Sebbene il test ALP sia considerato il metodo più appropriato per verificare la pastorizzazione convenzionale del latte bovino, vi sono diversi fattori che ne influenzano l’utilizzabilità nella pratica.
Il latte di specie diverse contiene diversi
livelli di ALP con attività diverse e differenti suscettibilità al trattamento termico. Ciò dovrebbe essere tenuto in considerazione quando si stabiliscono i criteri per l’analisi ALP, poiché il test è stato convalidato e testato principalmente su prodotti di origine bovina. Tipicamente, il latte vaccino crudo mostra un’attività ALP circa cinque volte superiore a quella del latte di capra, circa tre volte inferiore a quello del latte di pecora (Klotz et al., 2008). Anche questo varia a seconda della razza all’interno delle specie e dei fattori individuali (Raynal-Ljutovac et al., 2007). Come risultato della pastorizzazione una riduzione di dieci volte del livello iniziale, il livello residuo post-pastorizzazione varierà con il livello iniziale nel latte crudo. Di conseguenza, è necessaria un’interpretazione diversa a seconda dell’origine del latte. I valori limite non sono stati stabiliti legalmente per i prodotti di origine ovina e caprina. Il rapporto dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) suggerisce un’attività ALP al di sotto del limite di 300 mU/L e 500 mU/L rispettivamente per il latte pastorizzato di capra e di pecora (EFSA et al., 2021). Tuttavia, è stato raccomandato di raccogliere ulteriori dati. Per il latte equino, la sensibilità attuale del test non consente l’uso del test ALP poiché l’attività endogena dell’ALP è molto elevata. Il latte di cammello contiene
La determinazione dell’attività della fosfatasi alcalina (ALP) viene utilizzata per verificare il processo di pastorizzazione convenzionale di prodotti lattiero-caseari bovini
Tabella 1. Esempi di livelli di attività ALP nel latte pastorizzato e metodi di riferimento
Paese Limite di attività ALP
Metodo di riferimento Riferimento Internazionale 10 µg p-nitro-fenolo equivalente/mL.
Europa
Stati uniti
Stati uniti
350 milliunità di attività enzimatica per litro (mu/L) di latte vaccino
Per i formaggi non è previsto alcun limite legale.
Meno di 350 milliunità/l per prodotti fluidi e altri prodotti lattiero-caseari mediante procedure elettroniche approvate per la fosfatasi.
• 20 μg di fenolo/1 g per i Brick cheese, a pasta semimolle e a pasta semimolle scremato;
• 16 μg di fenolo/1 g per il formaggio Limburger;
• 12μg di fenolo/1 g per tutti gli altri formaggi e prodotti caseari correlati.
Nuova Zelanda 350 mu/L nel latte vaccino, panna, latte aromatizzato e formaggio.
anche bassi livelli e un ALP stabile al calore, quindi il test ALP è un mezzo per farlo verificare che la corretta pastorizzazione non sia appropriata neanche per queste specie (Malissiova et al., 2022).
Il contenuto di grassi del latte, che è influenzato dalla stagione e dalla fase di lattazione, influenza l’attività dell’ALP. L’ALP viene facilmente assorbita dai globuli di grasso, pertanto l’aumento dei livelli di grasso determina un aumento dell’attività dell’ALP (Painter & Bradley, 1997). Le concentrazioni tipiche di ALP endogena nel latte bovino sono 400 µg/ mL per il latte scremato, 800 µg/mL per il latte intero e 3500 µg/mL per il 40% di panna (FAO e OMS, 2004). Pertanto, l’influenza di fattori compositivi potrebbero essere presi in considerazione nei limiti normativi.
I microrganismi aggiunti intenzionalmente ai latticini possono produrre ALP microbica che potrebbe farlo interferire con i test per l’ALP residua. Pertanto, per ottenere risultati validi, il test dovrebbe essere eseguito immediatamente dopo il trattamento termico. In caso
Metodo con fenolo. FAO e OMS (2004).
ISO 11816-1 | IDF 155-1 (IDF e ISO, 2013) o equivalenti.
M-a-98 Ordinanza ufficiale sul latte pastorizzato (PMO) di grado “A”
Test di laboratorio normativi per latte e prodotti lattiero-caseari di grado “A” e acqua di caseifici e impianti lattiero-caseari di grado “A”.
Valore equivalente del fenolo.
Regolamento (uE) n. 2019/6272.
Ordinanza statunitense sul latte pastorizzato di grado A 2019 Rev FDA gAMS M-a-98.
u.S. Food & Drug Administration, 21 Codice dei regolamenti federali parte 133 - Formaggi e prodotti caseari correlati.
ISO 22160 | IDF 209 (IDF e ISO, 2007).
di risultato positivo dopo il test ALP, l’American Public Health Association raccomanda la ripetizione del processo di pastorizzazione per distinguere tra ALP microbica o bovina. Se l’attività non si riduce considerevolmente dopo la ripastorizzazione, l’attività ALP originaria è dovuta alla presenza di batteri. Tuttavia, alcuni batteri possono produrre ALP sia termolabile che termostabile (Murthy & Kaylor, 2020). Pertanto, in alcuni casi, la differenziazione dell’ALP bovina da quella microbica può essere problematica.
L’ALP può essere riattivata nel tempo in molti prodotti lattiero-caseari (panna, formaggio, ecc.) (FAO e OMS, 2004). La riattivazione è stata segnalata nel latte UHT e nei prodotti ad alto contenuto di grassi. Pertanto, per ottenere risultati validi, il test deve essere eseguito immediatamente dopo il trattamento termico. Esistono alcune misurazioni alternative per verificare la pastorizzazione. Per saperne di più, si rimanda i lettori alla revisione completa dell’EFSA (EFSA et al., 2021). È importante notare che l’uso
Ministero delle industrie primarie della Nuova Zelanda - Documento guida: test della fosfatasi alcalina, 7 aprile 2022.
di metodi analitici alternativi sono accettabili quando sono convalidati rispetto al metodo di riferimento conformità ai protocolli e alle regole di buona pratica di laboratorio accettati a livello internazionale.
CONFRONTO DEGLI
ATTUALI METODI STANDARDIZZATI
L’IDF in collaborazione con l’ISO sviluppa standard per l’analisi e il campionamento del latte e dei prodotti lattiero-caseari, compresa la determinazione dell’attività ALP. La Tabella 2 mostra i metodi standardizzati IDF/ISO esistenti e li confronta per facilitare il processo decisionale della loro selezione e utilizzo. Tutti questi metodi si basano su reazioni chimiche con substrati specifici, ma possono avere principi di determinazione diversi. Il riconoscimento normativo, così come la disponibilità delle attrezzature e il supporto tecnico del metodo possono influire sulla decisione su quale metodo sia adatto. È importante notare che in letteratura esistono altri metodi non standardizzati (Shaban et al., 2022).
Riferimento
ISO/TS 4985|
IDF/RM 255 (IDF e ISO, 2023)
Fluorimetria
ISO 11816-2|
IDF 155-2 (IDF & ISO, 2024)
ISO 11816-1|
IDF 155-1 (IDF e ISO, 2024)
Fluorimetria
Prodotti lattiero-caseari (fluidi e solidi)
0,006% latte vaccino pastorizzato u = μmol/min 4,1
Non testato in prodotti di specie diverse.
Altre caratteristiche (inclusi substrato e prodotto, lunghezza d’onda)
Analisi in una piastra da 96 micropozzetti.
Substrato: 4-metilumbelliferone-fosfato, Prodotto: 4-metilumbelliferone. Ex 365 nm/Em 450 nm.
Fluorimetria
Formaggi (formaggi a pasta molle, semidura e dura), a condizione che eventuali muffe siano presenti solo in superficie e non nella parte interna.
Latticini liquidi di mucca, pecora e capra. Latte intero crudo e trattato termicamente, latte parzialmente scremato e latti aromatizzati. Latte in polvere dopo la ricostituzione.
Latte vaccino pastorizzato 0,006%. 5 mu/Kg
u = μmol/min 4,3
Non specifica se il metodo è applicabile a formaggi di specie diversa dalla mucca. Metodo proprietario. Trattamento campione specifico per formaggi a pasta dura/ molle.
Latte vaccino pastorizzato 0,006%. 15 mu/L u = μmol/min 4.4
Metodo proprietario
Substrato fluorogenico: estere monofosforico
Fluorophos®, Prodotto: Fluorogiallo®. Ex 440 nm/Em 520 - 560 nm.
Substrato fluorogenico: estere monofosforico
Fluorophos®, Prodotto: Fluorogiallo®. Ex 440 nm/Em 520 - 560 nm.
ISO 3356|
IDF 63 (IDF & ISO, 2009) Colorimetria
Latte, latte in polvere, latticello e latticello in polvere, siero di latte e siero di latte in polvere.
0,1 - 0,2% di latte di vacca pastorizzato 1 μg fenolo/ mL NR
Non specifica se il metodo è applicabile a campioni diversi dal latte vaccino. Metodo a bassa sensibilità. Possibili interferenze nei latticini colorati.
un risultato ≥ 2,5 μg di fenolo indica un latte che non è stato pastorizzato correttamente. Substrato: fenolo, Prodotto: dibromoindofenolo. Misurazione a 610 nm.
ISO22160|
IDF 209 (IDF & ISO, 2007) Chemiluminescenza
Latte e bevande a base di latte di mucca, capra, bufala e pecora. Ciò include il latte intero, scremato e aromatizzato. Inoltre, crema con grasso al 20%.
0,005 - 0,2% latte vaccino pastorizzato 15 mu/L u = μmol/min 7,5
Metodo a bassa sensibilità. Metodo proprietario.
ALP: fosfatasi alcalina; Es: Eccitazione; Em: Emissione; RSDR: deviazione standard relativa della riproducibilità; NR: non riportato
Nessun requisito di preparazione del campione.
Substrato chemiluminescente: Sale disodico del 3-(2’-spiroadamantanano)4-metossi-4(3”-fosfato fenil-1,2 diossetano (reagente Charm AP®), Prodotto: categoricamente 1,2-diossetano Misurazione a 540 nm.
Gli enzimi offrono numerosi vantaggi: ridotto consumo di acqua, temperature operative più basse, tempi di pulizia più brevi e costi inferiori per il trattamento delle acque reflue. È necessaria una maggiore conoscenza relativa ai costi, al controllo del processo, alla riutilizzabilità delle soluzioni enzimatiche e al potenziale di attività residua, compresi i possibili effetti sugli alimenti
Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica
Il CIP (cleaning-in-place) impiega trattamenti termici e sostanze chimiche non biodegradabili (acidi e alcali), che richiedono un’adeguata neutralizzazione prima dello smaltimento, con conseguenti sfide di sostenibilità. Inoltre, i biofilm rappresentano una delle principali fonti di contaminazione e deterioramento nelle industrie lattiero-casearie e si ritiene che gli attuali protocolli CIP chimici non li distruggano completamente. L’uso degli enzimi come agenti efficaci per la CIP e come alternativa più sostenibile ai trattamenti chimici e termici sta guadagnando interesse. Gli enzimi offrono numerosi vantaggi se utilizzati per il CIP, come un ridotto consumo di acqua richiesta per il risciacquo, temperature operative più basse con conseguente risparmio energetico, tempi di pulizia più brevi e costi inferiori per il trattamento delle acque reflue. Inoltre, derivano generalmente da fonti naturali, sono facili da neutralizzare e non producono rifiuti pericolosi. Tuttavia, nonostante tali vantaggi, gli enzimi per il CIP nel settore della lavorazione lattiero-casearia continuano a concentrarsi principalmente sulla pulizia delle membrane. Si prevede un’adozione crescente del CIP a base enzimatica per le industrie casearie in attesa di una maggiore conoscenza relativa ai costi, al controllo del processo (cinetica di inattivazione), alla riutilizzabilità delle soluzioni enzimatiche e al potenziale di attività residua, compresi i possibili effetti sui successivi lotti di prodotto. Tali studi sono essenziali affinché l’industria casearia si muova verso soluzioni di pulizia più efficienti dal punto di vista energetico e sostenibili.
AGENTI CHIMICI
Gli impatti ambientali primari sulla lavorazione del latte e sulla produzione lattierocasearia sono associati all’elettricità, all’energia termica, all’acqua e ai prodotti per la pulizia, senza considerare gli impatti della produzione di latte. Pertanto, l’utilizzo di enzimi come alternativa agli agenti chimici nel CIP presenta alcuni vantaggi, come ridurre il potenziale inquinamento causato dai rifiuti chimici ed evitare i problemi associati alla natura corrosiva degli agenti chimici. Anche la rimozione di biofilm può trarre giovamento dall’utilizzo di preparati a base di enzimi, in combinazione con biocidi. I processi CIP utilizzati regolarmente nell’industria lattiero-casearia mostrano, infatti, risultati variabili contro i biofilm a causa della resistenza ai trattamenti chimici e fisici.
Gli enzimi possono essere utilizzati per abbattere i depositi organici sulle superfici di lavorazione, riducendo la necessità di prodotti chimici aggressivi e migliorando la sostenibilità. Il CIP mediante una combinazione di enzimi e disinfezione chimica a base acida ha dimostrato di avere il più basso impatto ambientale e potenziale di acidificazione in una LCA delle procedure di pulizia utilizzate nelle industrie lattiero-casearie, compreso l’utilizzo di energia e acqua. Ulteriori vantaggi derivanti dall’utilizzo degli enzimi per il CIP includono la minore manipolazione di prodotti chimici detergenti corrosivi e pericolosi da parte dei lavoratori e la
riduzione dello stress chimico e termico sulle apparecchiature di lavorazione. Gli studi si stanno focalizzando sull’ottimizzazione della dose di enzimi, del controllo del processo e dei costi. Le proteasi si sono dimostrate utili nel CIP in vari settori ma, per livelli di efficacia più elevati, diversi studi suggeriscono l’integrazione con una miscela di altri enzimi, l’aggiunta di tensioattivi o l’implementazione di una fase di pulizia aggiuntiva. Studiando approfonditamente parametri quali gli impianti di lavorazione, le metodologie di produzione, il tipo di prodotto alimentare e i rischi specifici dell’attività enzimatica residua sui prodotti alimentari, la pulizia enzimatica ha un grande potenziale per essere utilizzata per il CIP in combinazione con i metodi di sanificazione tradizionali per migliorare l’igiene delle piante.
ENZIMI COME AGENTI
PER LA RIMOZIONE DEL BIOFILM
Gli enzimi potrebbero essere utilizzati anche come soluzione alla resistenza del biofilm ad alcuni agenti chimici, in sostituzione o in combinazione con questi. La complessità della composizione dell’EPS nei biofilm può variare tra le specie batteriche.
Gli enzimi possono degradare i componenti della matrice dell’EPS nei biofilm, il che facilita l’inattivazione e la rimozione delle cellule staccate durante le procedure di pulizia e disinfezione industriale. Recenti studi su preparati a base di enzimi hanno dimostrato risultati promettenti per la ri-
I biofilm rappresentano una delle principali fonti di contaminazione e deterioramento nelle industrie lattiero-casearie
mozione dei biofilm microbici formati su varie superfici. Talvolta gli enzimi stessi potrebbero non essere in grado di eliminare i biofilm, ma piuttosto consentire l’ingresso del disinfettante nella matrice del biofilm. Gli enzimi funzionano prendendo di mira la matrice dei biofilm e allentandola per innescare il rilascio di cellule planctoniche; questo aiuta gli agenti disinfettanti standard a raggiungere le loro cellule bersaglio planctoniche. Alcuni dei vantaggi dell’utilizzo degli enzimi per degradare i biofilm sono la loro elevata specificità e velocità di reazione rapide in condizioni moderate di temperatura, pH e concentrazione. È stato dimostrato che una combinazione di ossidoreduttasi con enzimi idrolizzanti i polisaccaridi agisce efficacemente contro biofilm modello di organismi patogeni come Staphylococcus epidermide, Pseudomonas aeruginosa, S. aureus e Pseudomonas fluorescens su super-
fici in polipropilene e acciaio, come confermato mediante microscopia a fluorescenza e un’analisi indiretta test di conduttanza o test delle emissioni di anidride carbonica. Tuttavia, gli enzimi sono stati ampiamente studiati come strategia antibiofilm nei biofilm monospecie, ma i biofilm misti sono più comuni negli ambienti reali. Uno studio ha valutato l’efficacia di nove preparazioni enzimatiche commerciali nel trattamento di sette tipi di biofilm a doppia specie contenenti L. monocytogenes e batteri associati provenienti da impianti di trasformazione alimentare. Lo studio ha rilevato che i ceppi di L. monocytogenes erano ugualmente suscettibili all’attacco enzimatico nei biofilm giovani sia mono che bispecie, ma l’effetto dell’associazione è stato benefico per alcuni dei suoi partner come E. coli e S. saprophyticus. Sebbene l’uso di enzimi non abbia ottenuto buoni risultati in termini di riduzioni
del registro delle cellule vitali attaccate nei biofilm a doppia specie, le immagini al microscopio confocale a scansione laser (CLSM) hanno mostrato un danno strutturale significativo dopo il trattamento enzimatico con DNasi I, pronasi e pectinasi. Gli enzimi potrebbero essere uno strumento utile per indebolire la struttura dei biofilm sulle superfici degli impianti di trasformazione alimentare, in combinazione con un trattamento di disinfezione, e possono essere utilizzati per sondare la struttura esterna o accessibile del biofilm. Le classi di enzimi con il maggior potenziale che possono essere utilizzate per l’eliminazione del biofilm sono cellulasi, proteasi, amilasi, lipasi o DNasi. In particolare, considerando che le proteine sono il componente strutturale più vitale, soprattutto nella matrice dei biofilm dei latticini, le proteasi sono considerate gli enzimi più potenziali contro i biofilm. Questi enzimi legano e
idrolizzano le molecole proteiche e le convertono in unità più piccole che escono attraverso la membrana cellulare e vengono metabolizzate. Studi suggeriscono che la proteasi funziona in maniera più ottimale in modo indipendente, richiedendo quindi un ritardo nel suo rilascio per consentire agli enzimi che degradano i polisaccaridi di funzionare. Sebbene questi enzimi siano parzialmente in grado di degradare i biofilm da soli, la combinazione degli enzimi di degradazione dei polisaccaridi riduce significativamente le cellule del biofilm. Alcuni studi hanno valutato l’attività delle cellulasi contro i biofilm. Questi enzimi danneggiano la cellulosa che è uno dei componenti principali dei biofilm. I tre gruppi di cellulasi che possono distruggere la cellulosa sono esoglucanasi, endoglucanasi e β-glucosidasi. Il bersaglio principale delle cellulasi sono i legami β-1,4 nella struttura della cellulosa. Le cellulasi si sono dimostrate particolarmente efficaci nell’inibizione dei ceppi ad alto contenuto di polisaccaridi. Anche in questo caso, gli studi raccomandano una combinazione di cellulasi con altri enzimi per aumentare l’efficacia della bonifica del biofilm. Il gruppo di enzimi più studiato nelle procedure di pulizia enzimatica sono le amilasi. La glucoside amilasi e l’α-amilasi rappresentano il 25% del mercato globale della pulizia enzimatica. Le amilasi idrolizzano i legami α-1,4-glicosidici nelle strutture dei biofilm provocandone la rottura. Diversi studi hanno studiato l’effetto dell’α-amilasi e della cellulasi in combinazione contro i biofilm provando una significativa riduzione della biomassa del biofilm a causa della rottura dei legami glicosidici nella matrice EPS e della dispersione e del rilascio di batteri planctonici, aumentando così l’efficacia dei successivi trattamenti antibiotici. Anche i lipidi sono un componente importante della struttura dell’EPS nei biofilm e
contribuiscono alla struttura e alla stabilità dei biofilm batterici e formano il doppio strato lipidico delle membrane batteriche. Di conseguenza, le lipasi hanno un alto potenziale per la distruzione dei biofilm. Il DNA extracellulare (eDNA) è un altro componente importante dei biofilm poiché facilita l’adesione, il trasferimento genico e l’aggregazione dei batteri e funge da impalcatura strutturale per loro. L’uso delle DNasi potrebbe rivelarsi uno strumento efficace contro i biofilm. Tuttavia, in diversi studi si fa notare che la degradazione dei biofilm da parte della DNasi dipende dalla maturità dei biofilm; i biofilm giovani sono principalmente suscettibili al trattamento con DNasi, mentre man mano che il biofilm invecchia, la suscettibilità alla DNasi diminuisce.
Poiché sono state condotte poche ricerche sull’efficacia e la fattibilità del CIP enzimatico nel settore lattiero-caseario, gli enzimi sono attualmente utilizzati prevalentemente nella pulizia delle membrane. Anche
se studi di laboratorio e su scala pilota hanno rivelato un grande potenziale negli enzimi come agenti CIP, sono necessarie maggiori informazioni per la loro applicazione, in particolare nell’industria casearia. Le proteasi sono gli enzimi più studiati poiché sono efficaci nella rimozione dei depositi proteici formati negli impianti lattiero-caseari e aiutano anche a rimuovere lo strato EPS dei biofilm. La pulizia enzimatica è interessante come agente igienizzante efficace per l’industria casearia e lattiero-casearia in generale, con vantaggi come una maggiore sostenibilità, tra cui una migliore gestione/biodegradabilità dei rifiuti, uso di energia e acqua e relativi costi economici rispetto al CIP tradizionale. Altri vantaggi includono processi CIP specifici del substrato, la possibilità di rottura mirata dei biofilm per l’ingresso di disinfettanti e così via. Prima di poter stabilire protocolli CIP enzimatici nell’industria casearia, è necessario considerare i costi, il potenziale di riutilizzo, l’impatto dell’attività enzimatica residua sui prodotti successivi e l’inattivazione/rimozione degli enzimi dopo l’uso.
Lyras ha lanciato una nuova macchina di Raslyzazione, la più grande al mondo per il trattamento UV di alimenti liquidi. Questa nuova unità, chiamata Raslysation Castor, può produrre 380.000 l/h, dieci volte di più rispetto alla più venduta della società, la Raslysation Sirius. La raslyzazione inattiva in modo efficace i batteri e altri microorganismi nei liquidi, quali, per esempio, il siero o il succo, risparmiando al contempo tra il 60% e l’80% di acqua e tra il 60% e il 90% dell’energia che richiedono gli apparecchi di pastorizzazione tradizionali. Il sapore e la struttura del prodotto si conservano, dal momento che si evita il riscaldamento. Con la raslyzazione, un caseificio dotato di una sola macchina Lyras può ridurre il proprio consumo energetico, diminuendo inoltre le emissioni annuali di CO2 di circa 850 tonnellate. Oltre a risparmiare acqua ed energia, la raslyzazione offre un maggior rendimento del prodotto e garantisce un controllo microbico totale con costi operativi inferiori. Le preziose proteine della materia prima si conservano nella loro forma originale, in quanto si evita il riscaldamento. La tecnologia assicura un’elevata qualità alimentare in liquidi opachi, come i latticini, grazie alla luce ultravioletta e a un sistema idraulico unico che inattiva i microorganismi in modo efficace. Quando si utilizza la tecnologia per sostituire la filtrazione in profondità, si garantisce un maggior rendimento e un maggior grado di automazione del processo di produzione. Il liquido passa attraverso una sorgente di luce UV, combinata con un filtro di luce in un movimento controllato, in modo da illuminare tutte le parti del prodotto. In questo modo vengono inattivati tutti i microorganismi non voluti, conservando la maggior parte del sapore originale, così come le vitamine e le proteine.
LYRAS www.lyras.com
Con l’attivazione dell’impianto fotovoltaico presso il Caseificio di proprietà Colline di Selvapiana e Canossa sull’Appennino Reggiano, DalterFood Group compie un ulteriore passo concreto nell’essere sempre più sostenibile. L’impianto, della potenza nominale da 100KW/ora, consente la produzione autonoma del 30% del fabbisogno di energia elettrica.
Un processo che ha permesso di individuare azioni di miglioramento, in termini di efficienza energetica e di costi, tali da ridurre ulteriormente l’impatto ambientale.
Oltre a questi investimenti, altri importanti progressi sono stati fatti da DalterFood Group, sempre in ottica di sostenibilità, sul fronte della gestione dei rifiuti, come ad esempio, quelli generati da imballaggi in plastica, oggi ridotti del 31% rispetto ai livelli del 2021. Sempre su questo tema, complesso e non privo di problematiche legate alla varietà dei materiali da smaltire, prosegue l’impegno nel limitarne la quantità e nello sviluppare trattamenti sempre più efficaci. In particolare, ad oggi, sono attivi tre sistemi di raccolta differenziata. Questi sistemi consentono di separare i rifiuti, sia nelle aree di produzione che negli uffici, con un conseguente aumento della quota da recuperare e riutilizzare.
DALTERFOOD GROUP www.dalterfood.com
Il nuovo Regolamento Europeo FGas prevede che, a partire da gennaio 2025, tutte le nuove apparecchiature autonome di refrigerazione installate, chiller esclusi, utilizzino gas refrigeranti con GWP (Global Warming Potential) inferiore a 150. Gli impianti preesistenti potranno essere utilizzati e riparati per la durata della loro vita economica. Tuttavia, a partire dal 2032, i sistemi di raffreddamento che utilizzano refrigeranti con un valore di GWP superiore a 750, chiller esclusi, non potranno più essere riempiti durante gli interventi di manutenzione e assistenza. A partire dal 2027 verranno introdotte ulteriori restrizioni sulla quota d’immissione di refrigeranti sintetici sul mercato europeo, limitandola a 20 milioni di tonnellate circa di CO2 all’anno.
La gamma di tank refrigeranti DFC 953 è disponibile per la mungitura robotizzata con 1-8 robot, con una capacità variabile tra i 3.200 e i 30.000 litri. Il compressore della gamma di serbatoi di raffreddamento del latte DFC 953 opera con controllo di frequenza, mantenendo l’esatta velocità di cui il processo necessita. Sia un piccolo lotto da 20 litri di latte che uno da 200 litri, verranno refrigerati alla giusta temperatura, così da impedire la formazione di ghiaccio nel serbatoio.
I serbatoi della gamma DFC 953 sono compatibili con ogni ogni robot di mungitura e sono disponibili diversi kit di adattatori.
Il sistema di controllo offre molteplici opzioni per un’adeguata agitazione e per il monitoraggio della temperatura, così come avanzate funzioni di allarme. Un pulsante per il consumo interno permette agli utenti di prelevare il latte per le proprie necessità. Un ugello a spruzzo garantisce un’accurata pulizia all’interno del tank, eliminando eventuali depositi di calcio e impedendo la proliferazione batterica.
Il gonfiore tardivo è un problema significativo nella produzione di formaggi a pasta dura o semidura, perché contribuisce allo spreco alimentare, diminuisce l’efficienza e genera gravi perdite economiche all’industria casearia. La causa sono i clostridi butirrici; FIL-IDF ha confrontato i metodi di rilevazione (https:// tinyurl.com/mf9kc8pa) e quantificazione di questi batteri e il sistema AMP-6000 di SY-LAB, distribuita in esclusiva in Italia da Generon SpA, risulta di gran lunga più affidabile rispetto a quelli finora utilizzati. L’analisi è miniaturizzata, automatizzabile e richiede solo due giorni contro i tradizionali sette.
GENERON SPA www.generon.it
Di origini antichissime, il Fiore Sardo si ottiene da latte intero di pecora, rottura spinta della pasta e una formatura in appositi stampi, salatura e stagionatura con l’affumicatura con mezzi naturali
Il Fiore Sardo DOP è considerato il tradizionale formaggio dei pastori, di origine antichissima risalente sulla base di testimonianze storiche a epoche precedenti la conquista romana, alla civiltà nuragica. La tradizione casearia è di esclusiva origine sarda così come il latte utilizzato che deve provenire solo da ovini di razza locale. Etimologicamente il nome richiama l’antico coagulante di derivazione vegetale, il Caglio Fiore, nello specifico il fiore del carciofo che messo in infusione dava vita a un liquido con azione coagulante. Un’altra teoria sul nome si deve al fatto che in passato venivano utilizzati di stampi in legno di castagno (o in alternativa di pero) sul cui fondo era scolpito un fiore simile all’asfodelo, spesso accompagnato dalle iniziali del produttore, che con essi ne marchiava le forme.
La dominazione romana rappresentò il periodo di maggior produzione del formaggio, sino all’avvento delle industrie casearie del-
la fine del XIX secolo. Citato nella Convenzione di Stresa del 1951 sull’uso dei nominativi di origine e delle denominazioni dei formaggi, il Fiore Sardo fu riconosciuto a Denominazione Tipica nel 1955 e a Denominazione d’Origine dal 1974, ottenendo infine la Denominazione d’Origine Protetta (DOP) nel 1996.
Le particolari caratteristiche delle zone destinate all’allevamento ovino in Sardegna sono i pascoli naturali ricchi di essenze spontanee conferenti particolari qualità al latte inviato alla trasformazione casearia. La lavorazione del Fiore Sardo DOP riveste un’importanza enorme dal punto di vista socio economico per la popolazione isolana della pastorizia tradizionale che spesso risulta essere l’unica fonte di reddito in zone prive di risorse alternative.
Come da disciplinare, la DOP Fiore Sardo è riservata al formaggio a pasta dura, cruda, di forma costituita da due tronchi di cono schiacciati, a basi orizzontali uniti per la base maggiore. La zona di produzione comprende l’intero territorio della Sardegna. Il latte deve provenire da animali di razza sar-
da. Si tratta di un formaggio ottenuto da latte intero, crudo di pecora. Può essere caseificato separatamente il latte della munta serale e della mattina o miscelando il latte delle due munte. Il latte può essere inoculato con fermenti lattici autoctoni e dell’area di produzione. Il latte crudo deve avere un pH intorno al 6,6, percentuale media di grasso tra 6,2 e 7,5, percentuale media di proteine tra 5,5 e 6,3.
Sequenza operativa: Coagulazione: il latte dopo aver riposato per poco tempo dopo la mungitura viene filtrato e versato nella caldaia di coagulazione. Viene coagulato con l’aggiunta di caglio in pasta di agnello e/o capretto alla temperatura di circa 34°C nella stagione primaverile estiva e di circa 36°C nel periodo invernale. Per la coagulazione di 100 litri di latte si usano quantità comprese tra 35 e 40 grammi di pasta di caglio e comunque tale da determinare la coagulazione in 12-17 minuti (tempo di presa). Il successivo rassodamento della cagliata avviene tra 20-28 minuti (tempo di indurimento).
Rottura della cagliata: avviene con uno strumento chiamato “chiova“, è molto
energica e si protrae per circa tre minuti così da ridurre la stessa in grani assimilabili a un chicco di miglio. Ultimate le operazioni di rottura la pasta viene lasciata riposare e depositare sul fondo della cagliata per almeno 5 minuti.
Messa in forma della pasta: vengono prelevate porzioni di pasta e sistemate entro lo stampo, le Pischeddas, contenitore a tronco conico che dà al formaggio il tipico scalzo a forma di schiena di mulo. In passato veniva realizzato utilizzando il legno di pero o comunque poco poroso, in cui veniva inciso un fiore sul fondo, riconducibile alla famiglia produttrice del cacio. Le Pischeddas sono due, dove il formaggio viene continuamente ribaltato prima da una parte e poi dall’altra, proprio per dare la tipica forma allo scalzo. Questa operazione viene ripetuta fino all’ottenimento della forma.
Rivoltamenti: completata la modellatura del formaggio iniziano le operazioni di rivoltamento e di rifinitura delle forme poste sul tavolo spessore per il completamento dello spurgo del siero. Durante questa fase i formaggi subiscono ulteriori rivoltamenti.
Scottatura: l’ultima fase della lavorazione è la scottatura, che consiste nel favorire la formazione di una crosta più resistente mediante l’uso di scotta e/o acqua calda.
Salatura: completato lo spurgo le forme vengono poste in salamoia satura. Il piatto della forma che fuoriesce dal ba-
gno salino può essere ricoperto con sale. La salatura si protrae per circa 36-48 ore. Terminata questa fase le forme vengono estratte dal bagno salino e avviate alla stagionatura.
Stagionatura: prevede tre fasi: la prima fase avviene subito dopo la salatura. Il formaggio è posto ad asciugare sopra un graticcio situato nello stesso locale di trasformazione o in un locale attiguo. Quindi subisce l’affumicatura per circa due ore al giorno alla temperatura di 18-20°C. Per la produzione del fumo vengono utilizzati rami freschi delle arbustive ed erbacee tipiche. Questa fase dura circa due settimane in questo periodo i formaggi subiscono ripetuti rivoltamenti. L’affumicatura ha origini antichissime. Infatti il Fiore Sardo veniva prodotto nel pinnetto, ovvero la tipica capanna dei pastori della Sardegna centrale, costituita da una base circolare di pietre e una copertura di frasche su un telaio di rami d’albero piuttosto resistenti. Nel pinnettu, il pastore viveva durante la transumanza, produceva il cacio, cucinava, si riscaldava e faceva asciugare le forme. Queste venivano posizionate su dei graticci sopra il focolare e di conseguenza affumicati in maniera naturale.
La seconda fase della stagionatura avviene nel locale attiguo a quello della prima fase e dura circa tre mesi alla temperatura di 1015°C. Sono previsti frequenti rivoltamenti della forma.
Il Presidio è nato per salvaguardare la produzione pastorale in alcuni piccoli comuni della Barbagia, quali Gavoi, Ollolai, Ovodda, Lodine, Fonni e Orgosolo (provincia di Nuoro). Qui esiste ancora una caseificazione artigianale portata avanti da una ventina di allevatori, in particolare di pecore di razza Sarda, che producono alcune decine di quintali di pecorino a latte crudo intero, senza l’utilizzo di fermenti industriali e con cappatura naturale e caglio autoprodotto. La produzione avviene dal mese di dicembre al mese di giugno, la stagionatura si protrae per almeno quattro mesi.
La terza e ultima fase avviene in apposite cantine di maturazione con temperatura non superiore ai 15°C e umidità relativa pari a 80-85%. I formaggi subiscono frequenti rivoltamenti accompagnati da oliatura della crosta con un’emulsione composta da olio d’oliva, aceto di vino e sale da cucina.
CARATTERISTICHE DEL FORMAGGIO FINITO
La DOP Fiore Sardo deve avere: peso da 1,5 a 4 kg con variazioni più in meno legate alle condizioni tecniche di produzione;
crosta da giallo carico a marrone scuro; pasta bianca o giallo paglierino; sapore più o meno piccante a seconda dello stadio di maturazione; grasso sulla sostanza secca minimo 40%.
Il formaggio Fiore Sardo è usato, oltre che da tavola, anche da grattugia se la stagionatura si è protratta per almeno sei mesi.
Il Presidio Slow Food ha gentilmente concesso tutte le foto presenti all’interno del presente articolo.
Salutata come un punto di partenza per il contrasto al greenwashing, la Direttiva (UE) 2024/825 interviene, per quanto di interesse in questa sede, sulla Direttiva 2005/29/CE attuata in Italia con il Codice del Consumo, definendo una serie specifiche di pratiche commerciali sleali (“black list”).
Il legislatore Italiano dovrà recepire la direttiva entro il 27 marzo 2026 e le relative disposizioni nazionali dovranno essere applicate dal 27 settembre 2026. È ormai noto a tutti che con il termine “greenwashing” si intende l’impiego di asserzioni ambientali ingannevoli o informazioni in-
Le asserzioni ambientali generiche sono vietate a meno che non possa essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali
gannevoli sulle caratteristiche sociali dei prodotti o delle imprese degli operatori economici o i marchi di sostenibilità non trasparenti e non credibili.
La normativa nasce con l’obiettivo di obbligare gli operatori economici a fornire informazioni chiare, pertinenti e affidabili per permettere ai consumatori di prendere decisioni di acquisto informate, contribuendo in tal modo a modelli di consumo più sostenibili.
Saranno inserite nella “black list” delle pratiche commerciali sleali: esibire un marchio di sostenibilità che
non è basato su un sistema di certificazione o non è stabilito da autorità pubbliche;
formulare asserzioni ambientali generiche di cui non si è in grado di dimostrare l’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali pertinenti all’asserzione;
usare un claim ambientale concernente il prodotto nel suo complesso o l’attività dell’operatore economico nel suo complesso quando riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o uno specifico elemento dell’attività dell’operatore stesso;
Studio Legale
Gaetano Forte
asserire, sulla base della compensazione delle emissioni di gas a effetto serra, che un prodotto ha un impatto neutro, ridotto o positivo sull’ambiente in termini di emissioni di gas a effetto serra; vantare caratteristiche comuni ossia presentare come propri e differenziali requisiti imposti per legge per tutti i prodotti della stessa categoria.
Sarà comunque possibile sanzionare una pratica commerciale come sleale anche se tale particolare pratica non è elencata nella “black list” sopra citata; ciò sulla base dell’art. 6, par. 1, Dir. 2005/29/CE (corrispondente all’art. 21 del Codice del Consumo) relativo alle Azioni ingannevoli, ai sensi del quale: “È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso”; è infatti modificato aggiungendo le caratteristiche ambientali e sociali e gli aspetti relativi alla circolarità quali elementi che possono essere oggetto di pratiche ingannevoli.
Disposizioni particolari sono applicate alle comunicazioni comparative: gli operatori economici sono tenuti a fornire ai consumatori informazioni sul metodo di raffronto, sui prodotti raffrontati e sui fornitori di tali prodotti, così come sulle misure predisposte per tenere aggiornate le informazioni. I raffronti devono essere infatti oggettivi, in particolare grazie al raffronto di prodotti che svolgono la medesima funzione, all’impiego di un metodo comune e di assunti comuni e al raffronto fra caratteristiche rilevanti e verificabili dei prodotti in questione.
Come visto, è vietata l’esibizione di marchi di sostenibilità che non sono basati su un sistema di certificazione o che non sono stati stabiliti da autorità pubbliche. Nei casi in cui l’esibizione di un marchio di sostenibilità comporti una comunicazione commerciale che suggerisce o dà l’impressione che il prodotto abbia un impatto positivo o nullo sull’ambiente oppure sia meno dannoso per l’ambiente rispetto ai prodotti concorrenti, tale marchio di sostenibilità è considerato come un’asserzione ambientale.
Esempi di asserzioni ambientali generiche, in “black list”, comprendono: «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «verde», «amico della natura», «ecologico», «rispettoso dal punto di vista ambientale», «rispettoso dal punto di vista del clima», «che salvaguarda l’ambiente», «rispettoso in termini di emissioni di carbonio», «efficiente sotto il profilo energetico», «biodegradabile», «a base biologica» o asserzioni analoghe che suggeriscono o danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali. Tali asserzioni ambientali generiche sono vietate a meno che non possa essere dimostrata un’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali.
L’asserzione ambientale non è considerata generica se la specificazione dell’asserzione stessa è fornita in termini chiari ed evidenti tramite lo stesso mezzo, quale il medesimo annuncio pubblicitario, la confezione del prodotto o l’interfaccia di vendita online. Ad esempio, l’asserzione «imballaggio rispettoso dal punto di vista del clima» sarebbe una asserzione generica, mentre affermare che «il 100 % dell’energia utilizzata per produrre questo imballaggio proviene da fonti rinnovabili» sarebbe una asserzione specifica che non sarebbe soggetta a questo divieto.
L’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali è dimostrabile mediante la conformità al Regolamento (CE) n. 66/2010 o a un sistema di assegnazione di marchi di qualità ecologica EN ISO 14024 riconosciuto ufficialmente negli Stati membri.
In ogni caso, un operatore economico non dovrebbe formulare un’asserzione generica come «consapevole», «sostenibile» o «responsabile» basata esclusivamente sull’eccellenza riconosciuta delle prestazioni ambientali, in quanto tali asserzioni riguardano altre caratteristiche oltre a quelle ambientali, come le caratteristiche sociali.
Il divieto, sancito come pratica ingannevole, di vantare un pregio nel suo complesso quando in realtà questo riguarda soltanto un determinato aspetto del prodotto o del servizio si applica, ad esempio, se un prodotto viene commercializzato come «realizzato con materiale riciclato» dando l’impressione che l’intero prodotto sia stato realizzato con materiale riciclato quando in realtà solo l’imballaggio è stato realizzato con materiale riciclato, o se un operatore economico dà l’impressione di utilizzare soltanto fonti energetiche rinnovabili quando in realtà vari impianti dell’operatore economico utilizzano ancora combustibili fossili.
Le asserzioni ambientali, in particolare quelle relative al clima, fanno sempre più spesso riferimento alle prestazioni future ai fini della transizione alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica, oppure di un obiettivo analogo, entro una determinata data. con tali asserzioni gli operatori economici danno l’impressione che acquistando i loro prodotti i consumatori contribuiscano a un’economia a basse emissioni di carbonio.
Sono incluse nella c.d. “black list”, ad esempio, asserzioni quali: «neutrale dal punto di vista climatico», «certificato neutrale in termini di emissioni di CO2», «positivo in termini di emissioni di carbonio», «a zero emissioni nette per il clima», «compensazione climatica», «impatto climatico ridotto» e «impronta di CO2 ridotta». Tali claim possono essere consentiti solo se si basano sull’impatto effettivo del ciclo di vita del prodotto in questione e non sulla compensazione delle emissioni di gas a effetto serra al di fuori della catena del valore del prodotto, in quanto i primi e le seconde non sono equivalenti. Tale divieto non impedisce alle imprese di pubblicizzare i loro investimenti in iniziative ambientali, compresi i progetti sui crediti di carbonio, purché forni-
scano tali informazioni in modo non ingannevole e conforme ai requisiti stabiliti dal diritto dell’Unione.
Sono vietate le asserzioni che non risultano corroborate da impegni e obiettivi chiari, oggettivi, pubblicamente disponibili e verificabili fissati dall’operatore economico, e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico che indichi in quale modo tali impegni e obiettivi saranno conseguiti e che stanzi risorse a tal fine.
Tale piano di attuazione dovrebbe includere tutti gli elementi pertinenti necessari per adempiere agli impegni, quali le risorse di bilancio e gli sviluppi tecnologici. Inoltre, tali asserzioni dovrebbero essere verificate da un esperto terzo, indipendente dall’operatore economico, esente da conflitti di interessi e dotato di esperienza e competenze in materia ambientale.
Un’altra pratica commerciale ingannevole è quella di pubblicizzare come vantaggi per i consumatori caratteristiche che sono irrilevanti, in quanto comuni a tutti gli analoghi
prodotti presenti sul mercato e pertanto scontate, ad esempio asserendo che una particolare marca di acqua in bottiglia è priva di glutine o che i fogli di carta non contengono plastica.
Coerentemente è vietato in ogni circostanza presentare requisiti imposti per legge sul mercato dell’Unione per tutti i prodotti appartenenti a una data categoria, compresi i prodotti importati, come se fossero un tratto distintivo dell’offerta dell’operatore economico. Tale divieto si applica ad esempio qualora l’operatore economico pubblicizzi un determinato prodotto quale non contente una specifica sostanza chimica laddove tale sostanza è già vietata per legge nell’Unione in tutti i prodotti appartenenti alla data categoria.
Trattandosi di pratiche sleali che si inseriscono nel corpo del Codice del Consumo, sotto il profilo procedurale e sanzionatorio si applicheranno le relative disposizioni.
L’operatore rischia in caso di riscontro di una pratica ingannevole l’inibitoria alla prosecuzione del comportamento e una sanzione da 10 mila a 10 milioni di euro.
La nuova Direttiva (UE) 2024/825 rappresenta il primo passo verso la regolamentazione della comunicazione sugli aspetti “ambientali” che fino ad oggi venivano valutati sulla base di disposizioni non regolamentari non cogenti che pertanto potevano dare adito a difformità di valutazioni.
Il quadro regolatorio dovrebbe completarsi con un’altra direttiva in corso di discussione nell’UE sull’attestazione e sulla comunicazione delle asserzioni ambientali esplicite.
In tale modo l’operatore avrà a disposizione strumenti più chiari anche se molto rigorosi per la propria comunicazione “ambientale”.
LA RIVISTA DI RIFERIMENTO PER L’AGGIORNAMENTO
TECNICO E PR O FESSIONALE DELL’OPERATORE DEL COMPARTO
Siamo a Cascina Beccaria, di proprietà della famiglia Busi, in un piccolo comune in provincia di Pavia, Borgo San Siro. Abbiamo intervistato Adriana Busi, primogenita della famiglia
fiera allevatrice
David MiglioriDue parole latine caseum e formaticum, e una greca, toma: sono questi termini alla base delle lontane origini dell’attuale “formaggio”. Lontane nel tempo, non per modo di dire, perché Mario Alinei, dell’Università di Utrecht, che ha studiato in maniera approfondita l’origine e l’evoluzione etimologica dei termini, ha dovuto partire dal neolitico per giungere fino ai giorni nostri. Proviamo a fornire un sunto del suo interessante studio di Archeologia etimologica.
UN PAIO DI PREMESSE
Una prima doverosa premessa fatta da Alinei è che, sul piano linguistico, l’origine di tutte le parole è, per definizione, collegata a un iconimo, ossia a una motivazione che mira a rappresentare la parola stessa. Un paio di esempi spiegano meglio di mille parole: automobile deriva dall’unione di mobile, “che si muove”, e auto, ossia “da sé, da sola”, e quindi fornisce subito la rappresentazione di qualcosa che si muove da sola, così
come ferrovia, fornisce subito il concetto di una via di ferro. Nel caso del formaggio, come accennato all’inizio, il termine “formaggio” deriva dal latino “forma” e non a caso ancora oggi si dice “una forma di…”. Quindi volendo andare alla ricerca delle origini del nome latino caseus/m e neoitalide cacio, così come dei tipi formaticum e toma dobbiamo considerare probabile che questi nomi abbiano avuto, in origine, un iconimo collegato alla tecnica di produzione del formaggio.
Da qui una conseguenza importante, che è la seconda premessa da cui partire: visto che è storicamente dimostrato che il formaggio è stato inventato durante il neolitico, periodo in cui il latino era utilizzato come lingua, è a queste lontane origini preistoriche che bisogna andare se si vuole provare a scoprire i primi utilizzi dei termini.
Gli studi archeologici hanno scoperto che, al di fuori dell’Europa, la produzione di for-
maggio da bestie bovine era già intensamente praticata dai Sumeri: a riprova esiste un sigillo del periodo Uruk del tardo IV millennio che raffigura proprio delle stalle intervallate da caseifici.
L’invenzione del formaggio nel nostro continente si deve a quella che gli archeologi oggi chiamano la “Rivoluzione dei prodotti secondari del Neolitico”. In quel periodo, nel V e IV millennio a.C., furono introdotte in agricoltura oltre al formaggio e ad altri prodotti del latte, anche altre fondamentali innovazioni, come l’aratro e il concime. L’agro pastorizia era praticata da un paio di millenni, portata da innovatori medio-orientali e poi diffusasi progressivamente; la lavorazione del latte fu un’innovazione locale, poi diffusa, da uno o più focolai. Sono state trovate testimonianze archeologiche dell’antica produzione di formaggio in Italia, in Francia e in Svizzera; gli archeologi hanno portato alla luce alcuni degli strumenti con cui gli allevatori del Neolitico Finale fabbricavano il formaggio. Per chi fosse interessato ad approfondire la materia Alinei consiglia la lettura del capitolo
“Documenti dell’economia pastorale: la fauna e la lavorazione del latte”, nel volume Civiltà appenninica, di Salvatore Puglisi, che è considerato un classico dell’archeologia italiana, al cui interno si descrivono tra le altre cose anche i bollitori di ceramica di varia forma che i pastori usavano per fare il formaggio, assai simili a quelli usati fino a pochi decenni fa. Comunque, quel che più conta per i nostri scopi etimologici, il ritrovamento dei reperti ha confermato che la produzione del formaggio era già presente nel V millennio a.C e che l’ambito culturale a cui appartengono è la cosiddetta cultura medio-neolitica di Chassey.
Sul piano tecnico la scoperta innovativa è stata la cagliatura artificiale, ottenuta con l’aggiunta del caglio animale al latte dei mammiferi stessi. Da qui il formaggio come prodotto della somma: latte (di pecora, di capra o di vacca) + caglio.
La parola italiana o, per meglio dire toscana, formaggio deriva dal francese fromage, ma le cose sono più complesse di come possono sembrare a prima vista. L’analisi territoriale della diffusione del termine fatta da Mario Alinei lo porta a fare un’importante distinzione e a concludere che l’Italia conosce due diversi tipi di continuatori dialettali di formaticum.
In un caso il termine arriva effettivamente dalla Francia e si diffonde in Piemonte, Liguria e Toscana come formaôc, in cui la palatale sonora, divenuta finale, è divenuta sorda. Il termine diffuso nelle zone lombardo-emiliane e venete non può però essere un prestito dal francese, in quanto non ha nulla a che fare con una “presunta resa di una g o ž francese, ma mostra la caduta, perfettamente regolare in tutta l’alta Italia, delle due consonanti occlusive intervocaliche”. Da dove arriva allora il termine? L’analisi linguistica dimostra che vi sono stati due focolai di formaticum come nome del formaggio duro e semiduro: uno in alta Italia, e l’altro in Francia. Non ci sono informazioni che attestano se le cose si siano mosse simultaneamente, in maniera indipendente uno dall’altro o in qualche modo derivanti. L’ipotesi fatta alla luce delle informazioni archeologiche disponibili attualmente è che in un primo tempo i termini caseum < coagulum si siano diffusi dalla Francia all’Italia. In un secondo momento, mentre l’innovazione dialettale cagu/cažu si diffondeva nel resto della penisola, i produttori di una specifica area della val Padana (la cultura di Lagozza), abbiano coniato il termine formaticum (il cui iconimo forma è il primo che può venire in mente al produttore di formaggi duri), non solo per dare un nome alla propria produzione di maggiore importanza e successo, ma anche per distinguerla da quella, diffusa in tutta la valle e nelle valli alpine, dei più antichi formaggi freschi.
Da qui la diffusione anche verso la stessa Francia: in questo caso il tipo francese formaticum sarebbe secondario e derivativo, rispetto a quello padano.
venzione del formaggio, in
ticolare nell’area italiana e neoitalide. Anzitutto, fuori d’Europa, la produzione di formaggio da bestie bovine era già intensamente praticata dai Sumeri: lo dimostra, inequivocabilmente, la raffigurazione di stalle, inter vallate da caseifici, incisa su di un sigillo del periodo Ur uk del tardo IV millennio (v. fig. 1 e cfr. Forni [1990: 78]).
DA FORNI (1990) [FONTE: ARCHEOLOGIA ETIMOLOGICA: ALLE ORIGINI DEL FORMAGGIO. DA LAT. COAGULUM ‘CAGLIO’ A LAT. CASEUS/-M ‘FORMAGGIO’ DI MARIO ALINEI] Vediamo
Ma il latte cagliato, considerato in sé, non è legato alla produzione del formaggio, e quindi a una datazione neolitica. Il latte è un liquido organico, che le madri da sempre offrono ai propri neonati e, proprio nella forma di latte cagliato, riappare nel rigurgito dei piccoli. In più, nel Neolitico, i pastori e gli allevatori avranno spesso osservato il latte cagliato nello stomaco dei loro animali quando li macellavano. È ipotizzabile, secondo Alinei, che non esistesse ancora un termine specifico per indicarlo ma che esistesse invece l’idea e il concetto di “coagulo”, un fenomeno visibile in vari liquidi, e anche nel sangue.
L’innovazione neolitica che segna l’inizio della produzione del formaggio, dicevamo, non è quindi la scoperta del coagulo del latte come tale, bensì quella della produzione artificiale del coagulo, ossia la cagliatura del latte dei ruminanti domestici, mediante l’uso del quarto intestino chiamato abòmaso.
È ipotizzabile che l’idea di “farci qualcosa” con quel latte così stranamente raggrumato sarà venuta a qualche ingegnoso e sperimentatore allevatore neolitico che, avendo osservato che il latte conservato in un contenitore ricavato dallo stomaco di un ani-
Fig. 1 – (da Forni [1990: 79]).
male era coagulato, lo avrà assaggiato e trovato gradevole al gusto. Fu certamente importante scoprire che l’abòmaso vuotato, essiccato e stagionato si prestava a essere conservato in casa e se ne poteva usare un frammento per cagliare la quantità di latte necessaria ogni volta che si doveva produrre il formaggio.
In Europa l’invenzione del formaggio risale a quella che gli archeologi oggi chiamano, dopo le innovative ricerche dell’archeologo inglese Andrew Sherratt [1981, 1983], la “Rivoluzione dei prodotti secondari del Neolitico”: quando, cioè, nel V e IV millennio a.C., oltre al formaggio e ad altri prodotti del latte, anche altre fondamentali innovazioni, come l’aratro e il concime, furono introdotte in agricoltura. Per esemplificare, e chiarire ulteriormente il concetto al linguista storico ignaro di preistoria e di evoluzione dell’agricoltura, ricordiamo che nel primo Neolitico ( VIII millennio a.C.), per rinnovare i terreni coltivati, si usava il debbio, mentre la fondamentale innovazione del secondo Neolitico è
Il caglio/quaglio (termine utilizzato sia per indicare l’intero abòmaso essiccato che il singolo frammento) determina, dunque, il coagulo del latte, che consiste nella separazione del siero (con cui si fa poi la ricotta) dalla sua parte grassa, che si trasforma in una massa di grumi, base del formaggio, il cui nome più frequente è cagliata. Da cui si ottengono 3 tipi diversi di formaggio: 1) freschi, da consumarsi subito (in Italia stracchino, mascarpone, crescenza, robiola, giuncata, squacquerone etc.); 2) stagionati per alcuni mesi, e quindi semiduri e di media conservazione (provola, provolone, caciocavallo etc.); 3) stagionati più a lungo, e quindi duri e di lunga conservazione (pecorino, parmigiano etc.).
Passando alla ricerca etimologica, la base di partenza da cui partire, come accennato, è il riconoscimento dell’esistenza di una forma di latino già in epoca neolitica, che coe-
sisteva con altri linguemi affini nelle altre aree italidi. Il fatto che nell’area germanoceltica non sia stata coniata una propria parola ma si sia adottato il nome latino caseus/m si spiega come conseguenza della diffusione dell’innovazione del formaggio proprio dall’Europa meridionale.
In Italia sono presenti quasi ovunque i continuatori degli affini italidi di coagulum e coagulare, nelle diverse varianti caglio/cagliare, cagghio/cagghiare, cagio/cagiare, cažo/ cažare, quajjo quajjare etc.
Un tipo particolare comprende invece i derivati di prendere, nel senso di “rapprendere, rapprendersi”, che comprende i tipi preso, presa, presina, presura, presame, presore, impresa, ed è attestata in Piemonte, Trentino, Emilia e Romagna, Toscana, Marche, Corsica, oltre che in Francia, dov’è il nome standard – présure – del caglio. Ci sono evidenti prove che si tratta però di un’innovazione lessicale più recente di caglio, dovuta alla scoperta di un caglio vegetale, probabilmente una delle due erbe perenni, l’erba zolfina (o ingrassabue, caglio zolfino o presuola), il cui nome scientifico è Galium verum, o il carciofo selvatico, una compositae tubuliflore chiamata Cynara cardunculus Rispetto all’origine dell’umbro strignime, il
settembre 2024 La terza edizione del Convegno digitale di Scienza e Tecnologia Alimentare
Dal 24 al 26 settembre 2024 i protagonisti del settore si incontrano per discutere dei temi cruciali e delle principali sfide che attendono il mondo della produzione alimentare
iti di latte ’ALEIC).
ABOMASI SECCATI E RIEMPITI DI LATTE (DALL’ALEIC) [FONTE: ARCHEOLOGIA ETIMOLOGICA: ALLE ORIGINI DEL FORMAGGIO. DA LAT. COAGULUM ‘CAGLIO’ A LAT. CASEUS/-M ‘FORMAGGIO’ DI MARIO ALINEI]
questo modo diventa così uno strumento che dura a lungo e che viene addirittura passato da una generazione all’altra. Da qui è probabile che aredu sia da interpretare nel suo senso etimologico, cioè del suo iconimo di eredità, che nasce dalla sua origine da ad-heredium, arede “erede”).
Rispetto all’analisi fonetica, l’autore nota come in tutta l’area neoitalide i termini diffusi sono simili, come il nostro caglio, la versione meridionale quaglio, il sardo padzu, il francese cail, il provenzale calh, lo spagnolo cuajo, il portoghese coalho e così via. In tutta l’area, quindi, l’iconimo del nome del caglio è proprio il coagulo.
Volendo ulteriormente approfondire, la grande famiglia dei continuatori degli affini italidi di coagulum si lascia dividere in due grandi gruppi, ciascuno suddiviso in due sottogruppi, a seconda degli opposti esiti delle due sillabe coa- e glu. Quindi quelli che conservano il dittongo iniziale coa-, eventualmente mutandolo in qua- o in pa- e quelli che lo mutano in ca-. Nel secondo gruppo, quelli nei quali il gruppo interno /gl/ di coaglum passa a / yl/ e poi a /ly/ e /y/ e quelli nei quali passa, invece, prima a /gy/, poi a /g/ o a /ž/ o a /ôc/ (in finale), e infine a una sibilante.
stesso. Che il caglio finisca per indicare il formaggio non deve stupire se si pensa che per le persone che si occupano della produzione casearia è del tutto naturale che svanisca la differenza fra “latte cagliato” e “formaggio fresco”. Nella realtà il latte cagliato è già una sorta di formaggio fresco. Antinori utilizza una ricca documentazione storica per avvalorare la tesi dell’identità lessicale fra caglio e cacio. Lo fa partendo dall’area lombardo-emiliana e mostrando evidenze della corrispondenza tra i nomi del caglio, del cagliare, e della cagliata da una parte, e quello del verbo caciare dall’altro. La conclusione a cui giunge è che il termine Cacio /kašo/ altro non è che la variante sorda del kažo/ caglio/formaggio lunigianogarfagnano-alto versiliano e tosco-emiliano, che può essersi formata sia direttamente da caôc, sia, più probabilmente, da cagio, per quello che chiama un ipercorrettismo di una forma tosco-emiliana.
IL PASSAGGIO DA COAGULUM A CASEUM E IL SUO SCENARIO ARCHEOLOGICO
riferimento può essere a numerose perifrasi, prese in prestito dal linguaggio comune, per descrivere l’azione del caglio sul latte: da prendere (nel senso di “rapprendersi”), generale nell’area di presura e famiglia, a stringersi (nell’area di strignime, ma parecchio più esteso), pigliare e rappigliare, rompere, unirsi, diventare/venire fisso È curioso notare una variazione in Corsica dove viene usato il termine aredu “caglio”. Questo dipende dalla tecnica usata nell’isola per la cagliatura del latte. Lì, infatti, l’abòmaso seccato e conservato in casa non viene usato prelevandone di volta in volta un frammento da immettere nel latte, ma versandovi del latte fresco, ogni volta che occorre. L’abòmaso seccato e utilizzato in
da Scheuermeier, che nel suo classimeier 1980, p. 21) attesta l’uso di un e erba da chež, a Saludecio (Forlì) (P. na pianta simile al carciofo (si tratta 541 e 542 (par nocchia), 551, 553, 71 (presame); n loco, dimostrano che presura e pretratto da un tipo di carciofo selvatico; ra designa il Galium ver um; e bolognese di Carolina Coronedi Ber… in fiorentino il carcioffo (sic) salecisamente, quello di Gaspare Ungaifferisce dal Parsâm […]. Il Caglio si colo degli animali ruminanti lattoni. e di alcune piante del gen. del cardo». getta poi ulteriore luce sulle possibie sulla rete di associazioni iconoma-
I continuatori di coagulum hanno dato al termine tre diversi tipi di significati.
1. In un primo caso indicavano l’intero quarto stomaco dei ruminanti, cioè l’abòmaso stesso, da cui si ricava il caglio; il nome quaglio è ripreso anche nella letteratura zootecnica.
2. Ci sono poi quelli che designano il frammento di abòmaso disseccato.
3. Infine, quelli che designano il risultato finale del processo, di solito chiamato più precisamente, latte cagliato o cagliata.
L’autore segnala un ulteriore uso del termine per indicare in alcuni casi il formaggio
Il lungo periodo preistorico analizzato può essere per comodità diviso in tre differenti fasi.
1. In una prima fase neolitica ci sarebbe stata la scoperta e la successiva diffusione in tutta l’area italide della cagliatura artificiale del latte per produrre questo nuovo alimento. La grande diffusione di formaggi e l’analisi linguistica spingono a pensare che l’origine sia stata prima in Francia, più precisamente nel Midi, un’area montuosa particolarmente adatta alla transumanza. Quale sarà stato il primo formaggio fresco? Probabilmente sarà stato un pecorino o un caprino perché la transumanza estiva riguardava soprattutto gli ovicaprini. Dalla Francia meridionale, l’innovazione si è poi diffusa sia in
Iberia che in Italia, aggiungendo quindi, ai precedenti significati del tipo coaglu e dei suoi affini italidi, il senso di “latte destinato a diventare formaggio”. Questa prima fase sarebbe quindi consistita nella semplice diffusione culturale, senza altre ripercussioni, oltre a quelle semantiche, dell’innovazione del caglio artificiale del formaggio fresco, designata con lo stesso nome del “coagulo” dei liquidi organici.
2. In una seconda fase, del Neolitico (V millennio) e all’inizio del Calcolitico (IV millennio), la produzione del formaggio semiduro e duro iniziata in Francia meridionale si diffonde anche altrove. È la cosiddetta cultura di Chassey che porta in Italia l’innovazione culturale del formaggio semiduro e duro, che segue quella del formaggio fresco. In Italia settentrionale e centro occidentale, in Toscana, Sardegna e Corsica si diffonde il nome cagiu/caciu e variazioni
Successivamente, l’innovazione arriva nell’area lombardo-emiliana di Lagozza, dove si sviluppa maggiormente la produzione del formaggio semiduro e duro. Per designarlo si conserva il nome del caglio e del formaggio fresco cac/cago/cažo/ e variazioni. Quando la cultura di Lagozza si diffonde nel resto della penisola, con essa si diffondono anche l’innovazione – e il nome – del formaggio semiduro e duro, cacio. E, poiché nel Centro-Meridione della penisola l’allevamento era prevalentemente ovino, il cacio in quest’area nasce pecorino. Nel CentroSud e nelle isole, quindi, il tipo cacio, ormai nettamente distinto dal suo antenato quajjo quagghio e le sue variazioni coagulo, caglio e anche con il nuovo significato di “formaggio semiduro o duro”, subirà i normali processi di adattamento.
3. Con la terza fase arriviamo all’età dei metalli, in particolare nel Bronzo, quando l’egemonia economica e culturale passa al Centro-Sud, e la grande cultura dell’Appennino comincia la sua espansione, che porterà a
p p p p q g nee di quella che mi sembra la corretta soluzione.
La carta 1217 dell’AIS (‘salare il formaggio’) mostra chiaramente che l’Italia settentrionale conosce non uno ma due diversi tipi di continuatori dialettali di *formaticum: 1) il tipo esocorico (1A) formag(-i/-o/-u/-a/): piemontese meridionale e settentrionale, ligure e (tramite la Liguria), toscano, con la variante (1B) piemontese e lombarda (ma solo alpina e milanese) formac, in cui la palatale sonora, divenuta finale, è divenuta sorda (v figura 9) Questo è il tipo proveniente dalla Francia che, tramite la Toscana, è entrato nell’italiano letterario;
AREALE DEL TIPO ESOCORICO DERIVATO DA FR. FROMAGE. IL RESTO DELL’ALTA ITALIA È DOMINATO DAL TIPO FORMAY (EMILIA, LOMBARDIA ORIENTALE), FORMAYO (VENETO) E FORMADI (FRIULI), TUTTI E TRE ENCORICI [FONTE: ARCHEOLOGIA ETIMOLOGICA: ALLE ORIGINI DEL FORMAGGIO. DA LAT. COAGULUM ‘CAGLIO’ A LAT. CASEUS/-M ‘FORMAGGIO’ DI MARIO ALINEI]
Fig 9 – Areale del tipo esocorico derivato da fr fromage Il resto dell’alta Italia è dominato dal tipo formay (Emilia, Lombardia orientale), formayo (Veneto) e formadi (Friuli), tutti e tre encorici
Villanova e a Roma, il tipo cacio risale, come cavallo di ritorno, a Nord. E nasce la discrepanza fra gli esiti lombardo-emiliani in /g/ o /ž/ dei continuatori di coaglare, caciare, e quelli in /z/ per il nome del caciaio/casaro, che solo in alcuni punti conserva l’esito originale, mentre quasi ovunque è divenuto / kaz’er/, con la sibilante sonora. È nelle età dei
Metalli, insomma, che nascono il casaro e la casera padani (con la s sonora) “moderni”.
Più tardi ancora, all’inizio dell’età storica, nel Latino scritto ed elitario dell’epoca classica il tipo lessicale orale, ormai lontano dal coagulo e dal caglio originale, identificato con il formaggio stagionato, verrà ricostruito, in forma grafica, come caseus
Il tipo toma, il cui significato varia da caglio a formaggio è diffuso in un’area compatta, che dal Midi francese orientale, attraverso le Alpi Occidentali, si estende al Piemonte occidentale e alla Liguria, oltre che in tutta la Sicilia. Nel bergamasco (in particolare nella Val San Martino) si utilizza tomasciòl per indicare la parte del latte, quagliata col presame, quindi cotta, premuta e salata, che si mette nel cascino. In Romagna, tumén squaccherato o squacquerato, aggiunto di formaggio tenero e quasi liquido. In Toscana, nella comunità appenninica a Castello Sambuca, il termine tomma è il “latte già accagliato per fare il formaggio”. Curioso il caso della Sicilia. La parola toma è diffusa solo nella parte occidentale dell’isola mentre in quella nord-orientale si usa solo furmaggiu e in quella medio e sud-orientale si usa o solo il tipo frumaggiu o anche i tipi furmaggiu, fummaggiu
Il Provolone Valpadana DOP ha iniziato il
2024 nel migliore dei modi: i primi due mesi dell’anno, rispetto al corrispondente periodo del 2023, segnano crescita a doppia cifra. La produzione registra un importante +30% come pure positive risultano le ven-
dite totali, con un +13% a volume (dati consortili, marzo 2024).
“Si tratta di dati piuttosto incoraggianti”, commenta Giovanni Guarneri, Presidente del Consorzio Tutela Provolone Valpadana, “se teniamo anche in considerazione l’attuale clima di incertezze geopolitiche e il trend inflattivo che stanno incidendo sul potere d’acquisto dei consumatori. Siamo altrettanto soddisfatti del 2023 in cui abbiamo mantenuto quasi stabilmente la produzione constatando anche un significativo percorso di crescita all’estero”.
In ambito europeo, Germania e Francia si confermano mercati di riferimento, rispettivamente con un +9% e un +8,1% a volume. Cresce molto l’apprezzamento in Nord Europa dove spicca un + 67,2% in Svezia e un + 58,9 % in Belgio. Oltreoceano, si evidenzia
un incremento negli Stati Uniti con un +5,1 % e un + 47,6% in Messico. L’Australia, che si conferma tra i più importanti paesi importatori di Provolone Valpadana, regala grande soddisfazione sul fronte delle vendite di DOP che registrano un +30% rispetto al provolone generico. “Merito anche di un’importante attività di informazione e di sviluppo che abbiamo intrapreso già da tre anni sul territorio e che continueremo a portare avanti con l’obiettivo di supportare il valore della denominazione come garanzia di qualità, rafforzandone il riconoscimento e aumentandone competitività e consumo. Non solo, siamo sempre più convinti che sia fondamentale, per il Consorzio, investire sulla crescita dei mercati esteri, che rappresentano il futuro della nostra DOP” – dichiara Guarneri.
Il Consorzio del Parmigiano Reggiano prosegue a Roma gli appuntamenti legati al 90° anniversario della fondazione con un momento di incontro, tenuto il 4 aprile, a Palazzo Piacentini, sede del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, con le istituzioni (presente Adolfo Urso, ministro dell’omonimo dicastero) e i rappresentanti della stampa italiana. Per il Presidente del Consorzio, Nicola Bertinelli, è l’occasione per raccontare la crescita e l’evoluzione di uno dei marchi italiani più noti del mondo: basti pensare che dalla nascita del Consorzio, a cui aderirono oltre 2.000 caseifici che lavoravano circa 37.000 tonnellate di Parmigiano Reggiano, la produzione è più che quadruplicata. Nel 2023, infatti, i 292 caseifici aderenti (situati nella zona di origine della DOP, che comprende le province di Parma, Reggio Emilia, Modena, Mantova a destra del fiume Po e Bologna a sinistra del fiume Reno) hanno prodotto 4,014 milioni di forme, pari a circa 161.000
tonnellate. Il giro d’affari al consumo ha toccato il massimo storico di 3,05 miliardi di euro (+5% sul 2022) con risultati positivi per le vendite totali a volume (+8,4%), sostenute da un andamento positivo dell’export (+5,7%), e, soprattutto, delle vendite in Italia (+10,9%).
Il Consorzio è stato tra i protagonisti della mostra Identitalia, The Iconic Italian Brands, dedicata ai più importanti marchi che hanno fatto e stanno facendo la storia del Paese. L’iniziativa, alla quale hanno aderito 100 aziende per un totale di 113 marchi dei settori agroalimentare, abbigliamento, cura della persona, arredamento e automotive, è nata per celebrare i 140 anni dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
“La nostra DOP è un prodotto che nasce da un sogno: quello della comunità della zona di origine, di coloro che in un piccolo territorio sono stati capaci di creare un’icona del Made in Italy amata dai consumatori in Italia e all’estero, unica e inimitabile pro-
prio perché inscindibilmente legata alle sue radici. Inoltre, esattamente 90 anni fa, il 27 luglio 1934, nasceva il nostro Consorzio, il più antico d’Italia per quanto concerne i prodotti alimentari, votato alla tutela, alla difesa e alla promozione di questa eccellenza, per salvaguardarne la tipicità e pubblicizzarne la conoscenza nel mondo. È questa la missione che ci ha guidato negli ultimi 90 anni di storia del Paese e che continuerà a guidarci nel futuro. Perché il Parmigiano Reggiano non è solo un pezzo di formaggio: è parte delle nostre vite”, dichiara Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano.
L’incremento delle presenze testimonia una crescente cultura e passione per il formaggio, ormai considerato un prodotto “cool”. Produttori da tutta la nazione hanno presentato una varietà di formaggi regionali, sia tradizionali che innovativi, attirando molti nuovi espositori e giovani entusiasti, pronti a portare avanti le tradizioni familiari. Durante i quattro giorni di festa, il formaggio è stato il protagonista indiscusso, con degustazioni, acquisti, confronti e discussioni animate, culminando nella mostra mercato, nelle Masterclass e nelle Semifinali degli Italian Cheese Awards.
Gli organizzatori dell’evento esprimono grande soddisfazione: “La manifestazione continua a crescere in numeri, qualità e gradimento dei visitatori. L’interesse per l’arte casearia è in forte ascesa, e il settore del formaggio vive un fermento positivo senza precedenti”.
La rassegna ha chiuso i battenti tra l’entusiasmo degli espositori e l’apprezzamento dei visitatori. Dal 5 all’8 aprile, Cittadella è diventata il cuore pulsante dell’eccellenza casearia italiana, ospi -
tando anche il Salone dell’Alta Salumeria e una selezione di specialità gastronomiche e birre artigianali. Le Masterclass e le degustazioni guidate hanno riscosso grande successo presso la Torre di Malta. Inoltre, la Chiesa del Torresino ha accolto la Selezione per le Nomination degli Italian Cheese Awards 2024, dove il pubblico ha avuto l’opportunità di votare i propri formaggi del cuore. Il 7 aprile, sono stati annunciati i 34 formaggi finalisti che si contenderanno il prestigioso riconoscimento a novembre ad Ancona.
Il Palazzo Pretorio ha ospitato il seminario “Latte e formaggi nell’alimentazione moderna”, organizzato da ARAV, che ha messo in luce le proprietà benefiche del formaggio, sfatando miti e pregiudizi.
Il Consorzio Tutela Formaggio Asiago, partner principale, ha partecipato con nove soci produttori. “L’edizione 2024 di Formaggio in Villa”, dice il Presidente del Consorzio Fiorenzo Rigoni, “ha celebrato la varietà del formaggio Asiago e la grande qualità di questo prodotto sano, naturale, unico. Dalle apprezzate masterclass dedicate a stagionature esclusive abbi-
nate a vini di pregio, alle degustazioni proposte, per la prima volta a Cittadella, da una selezione di malghe produttrici di Asiago DOP Prodotto della Montagna, fino alla numerosa presenza di caseifici di pianura, ogni incontro è stato l’occasione per confermare l’importanza di questa produzione portabandiera del suo territorio d’origine”.
» 100.000 le presenze di pubblico e operatori del settore.
» 14 laboratori e masterclass.
» 170 espositori.
» 209 aziende coinvolte.
» 520.000 visite al sito della manifestazione.
» 2.630.000 visualizzazioni dei post sui social.
Si stimano:
» più di un 1.000.000 di assaggi e degustazioni di formaggi, salumi e di altre specialità;
» più di 60.000 kg di formaggio venduti.
L’azienda di Ascoli Piceno ha ricevuto la certificazione della parità di genere conforme alla norma UNI/PDR
125:2022, che testimonia l’impegno virtuoso perseguito nel riconoscere alle donne pari diritti e opportunità. Un risultato otte-
nuto tramite politiche aziendali e azioni concrete che hanno favorito la valorizzazione delle donne in ogni attività di business di Sabelli, tra cui l’equità salariale, il sostegno alla genitorialità, le opportunità di crescita professionale e nella cultura e strategia
Presso la Sala Turinetti di Galleria d’Italia in Piazza San Carlo a Torino, Biraghi ha festeggiato i suoi primi novant’anni ripercorrendo la propria storia e presentando il nuovo logo. Con l’occasione – alla presenza del Vice Segretario Generale e Direttore Revenue FIGC Giovanni Valentini e della Leggenda Azzurra Marco Tardelli – è stato celebrato anche il primo anniversario del legame con la FIGC che vede Biraghi come Official Partner di tutte le Nazionali di Calcio Italiane.
Attualmente la Biraghi S.p.A. conta circa 250 addetti e ogni giorno lavora circa 470.000 litri del miglior latte italiano, raccolto esclusivamente da circa 200 aziende agricole del territorio piemontese, per un to-
tale di 170 milioni di litri l’anno. L’azienda è
guidata dai figli di Ferruccio, Anna e Bruno Biraghi ed è già effettivo l’ingresso della successiva generazione con le figlie di Anna Biraghi: Monica e Daniela Bianco. L’operatività è garantita da una struttura dirigenziale guidata dall’Amministratore e Direttore Generale Manuel Porta, affiancato dagli Amministratori Fabrizio Giuggia e Claudio Testa, volta a dirigere l’azienda verso nuovi e ambiziosi obiettivi, investendo nella ricerca di nuove tecniche di produzione e nello sviluppo delle risorse umane del territorio, con l’obiettivo di rafforzare il proprio posizionamento sul mercato italiano e internazionale.
I prodotti Biraghi, in confezioni da sempre con un alto contenuto di servizio, hanno
imprenditoriale.
“La promozione dell’inclusività e della parità di genere è un obiettivo che da sempre riteniamo prioritario e perseguiamo con coerenza, all’interno di un più ampio concetto di sostenibilità che vogliamo declinare anche in chiave di responsabilità sociale”, dichiarano gli amministratori delegati Simone Mariani e Angelo Galeati. “La certificazione che abbiamo ottenuto è uno stimolo a fare ancora meglio. Abbiamo delineato un percorso chiaro per il futuro, promuovendo una cultura aziendale sempre più inclusiva e rispettosa delle diversità”.
Con la certificazione, l’azienda ha tradotto questa crescente sensibilità in un progetto strutturato, che individua diverse aree di intervento, fra cui la governance, i processi HR – sia in fase di recruitment che nella gestione dell’intero percorso professionale delle risorse – e l’attenzione al work-life balance. Un capitolo specifico della certificazione riguarda inoltre la prevenzione contro gli abusi e le molestie sul luogo di lavoro.
portato negli anni grandi risultati. Il Grattugiato Gran Biraghi è da anni al vertice delle classifiche italiane dei prodotti più venduti nel lineare freschi. L’azienda, oltre al Gran Biraghi proposto in varie pezzature – come i Biraghini, i Biraghini Snack e i Petali – per soddisfare le esigenze di tutti i consumatori, produce anche Gorgonzola DOP, Gran Ricotta Super Cremosa, Burro Tradizionale e Latte UHT.
Affinché le materie prime, come il latte o la panna, possano esprimersi appieno è necessaria la conoscenza profonda della loro intima natura. Il latte è una materia prima di straordinaria complessità e le caratteristiche dei prodotti finiti dipendono dalla sua composizione, legata a fattori ambientali e gestionali che possono essere conosciuti in modo impensabile
grazie all’impiego di avanzata strumentazione e di competenza in ricerca.
È con questa spinta e ambizione che, a tre anni dalla nascita del Brazzale Science Center, la storia della ricerca scientifica accademica in azienda, si arricchisce di un nuovo capitolo. Lo scorso 9 aprile sono stati infatti ufficialmente inaugurati i Laboratori di Ricerche Analitiche del Brazzale Science Center, dedicati a Tino Brazzale, dottore in chimica industriale e per lunghi anni responsabile tecnico dell’azienda.
Fondati dal prof. Fernando Tateo, Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari UniMi, e dalla prof. Monica Bononi, Associato di Scienze e Tecnologie Alimentari UniMi, i laboratori del Centro BSC svolgono ricerche analitiche e tecnologiche per assolvere al compito di sostegno e valorizzazione nutrizionale del latte e derivati oltre a svolgere attività di Ricerca e Sviluppo nella gestione dell’estesa produzione Brazzale.
A presiedere l’attività del Brazzale Science Nutrition & Food Research Center sono Roberto Brazzale e Piercristiano Brazzale.
La sede dei laboratori di Cogollo del Cengio (VI) dispone di strumentazione di alto livello scientifico, coprendo le attività di cromatografia in fase liquida e in fase gassosa, corredate di sistemi di riconoscimento per spettroscopia MS e MS/MS. Il parco di strumentazioni analitiche del BSC, che ha già visto la fase di collaudo, è abilitato a studi di caratterizzazione delle materie prime e di prodotti finiti per il settore lattiero-caseario, ma spazia in applicazioni di larga finalità tecnologica in settori differenziati correlati all’industria dei prodotti dolciari e derivati, pur con finalità nutrizionali diverse.
“L’attività del centro di ricerca ha cambiato l’azienda”, racconta Roberto Brazzale, che continua “oggi, ad esempio, grazie a BSC conosciamo nei minimi dettagli la meravigliosa composizione del Burro Superiore Fratelli Brazzale e del latte con cui viene prodotto. Questa conoscenza, impossibile da raggiungere con i tradizionali laboratori aziendali, ci permette di conservare l’altissima qualità in tutte le stagioni, scegliendo sempre la materia prima ideale. Ma non solo: grazie al Centro di ricerca sono nati prodotti innovativi, come il Burro Aroma Brazzale e il Gelato Fratelli Brazzale, ma anche nuove possibilità come quella della confe-
zione riciclabile nella carta per il Gran Moravia grattugiato che ne conserva perfettamente le caratteristiche. Senza dimenticare i tanti studi di cui si dà pubblica nota, che vogliono trasmettere le superiori qualità del latte per un rinascimento di questa formidabile materia prima, i temi nutrizionali, l’appoggio ai professionisti dell’arte bianca, la docenza rivolta al nostro personale, che può così far diffondere e conoscere tutto ciò che riguarda questo prodigio della natura. Con un obiettivo ancora più alto: restituire ai prodotti lattiero caseari l’apprezzamento che meritano grazie alla corretta informazione al consumatore”.
Valentino Brazzale – “il “dottor Tino”, come tutti lo chiamavano”, dicono Roberto Brazzale e F.lli – ha dedicato la sua vita professionale allo sviluppo del burrificio industriale Burro delle Alpi di Zanè, potenziato negli anni ’50 con il nuovo impianto, da primato per tecnologia e dimensioni, accanto al primo burrificio industriale degli anni ’20. Accanto al burro, Tino Brazzale aveva seguito da vicino la produzione pionieristica del formaggio Grana Padano nella pianura vicentina dopo la seconda guerra. Tra gli anni ’80 e ’90 ha vissuto la grande evoluzione delle tecnologie di confezionamento, sia del burro che dei formaggi. Nato a Zanè nel 1922, laureato in chimica industriale all’Università di Padova con una corposa tesi sul burro, Tino Brazzale era amato per la sua grande umanità e per la vivida intelligenza; curioso e arguto aveva compilato tutti i numeri de “La Settimana enigmistica” fin dal primo numero, e il suo amico di gioventù Luigi Meneghello ne aveva, sotto pseudonimo, raccontato la vivacità in “Libera nos a Malo”. Atleta di buon livello aveva tra i suoi amici più cari campioni olimpici e primatisti, che poteva frequentare al centro di atletica federale di Schio. Ha sempre sostenuto la moglie concertista Fiorella Benetti, nelle attività concertistiche, nella fondazione del festival musicale “Asiagofestival” e dell’Istituto Musicale Città di Thiene. Persona riservata e anticonvenzionale, Tino Brazzale rifiutava ogni apparizione o carica pubblica ed aveva al centro della sua vita la propria famiglia.
sfide e opportunità a 20 anni dai
Dal 2004, anno in cui sono entrati a regime i piani produttivi, la produzione di Parmigiano Reggiano è aumentata costantemente negli anni, con una crescita significativa negli ultimi 5 anni. Se il numero di caseifici è diminuito, la produzione è aumentata.
L’anno 2023 è stato un anno di grandi sfide per la DOP. Ma i dati presentati lo scorso 26 marzo a Milano, in occasione della conferenza di bilancio, lasciano pochi dubbi: i caseifici e gli operatori commerciali hanno collocato sul mercato la produzione più al-
ta, quella del 2021 (4,1 milioni di forme), in un contesto legato alle incertezze macroeconomiche causate dai conflitti internazionali e alla tendenza inflattiva che ha ridotto il potere d’acquisto delle famiglie. Il giro d’affari al consumo ha toccato il massimo storico di 3,05 miliardi di euro contro i 2,9 miliardi del 2022, con un aumento del 5%. Risultati positivi anche per le vendite totali a volume (+8,4%), sostenute da un anda mento con segno più dell’export (+5,7%), e, soprattutto, delle vendite in Italia (+10,9%) che sono cresciute grazie anche alla conve nienza di prezzo nei canali retail e ingrosso, dovuta a un calo delle quotazioni del pro-
dotto stagionato e al contemporaneo aumento dei prezzi dei prodotti alternativi. Il settore produttivo del Parmigiano Reggiano ha recentemente celebrato altri due importanti traguardi, perché il 2024 segna i 20 anni dall’attuazione dei piani produttivi e i 10 anni da un altro momento di svolta per la filiera: risale infatti al 2014 l’assegnazione diretta delle quote latte agli allevatori. Da quel momento le quote, oltre ad essere uno strumento di autogoverno produttivo, sono diventate una vera e propria ricchezza reale per i produttori, utilizzabile ad esempio anche come garanzia per l’accesso al credito bancario.
Questi risultati sono stati al centro dell’evento – promosso da Confcooperative Terre d’Emilia – “Parmigiano Reggiano: 20 anni di piani produttivi”, durante il quale si sono alternati il Presidente della centrale cooperativa, Matteo Caramaschi, il responsabile delle
coop agricole e agroalimentari reggiane, Alberto Lasagni, il direttore del Consorzio del Parmigiano Reggiano, Riccardo Deserti, Claudio Pesce, direttore commerciale del Consorzio Virgilio e l’on. Paolo De Castro, membro della Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale del Parlamento europeo. L’obiettivo del comparto era realizzare una forma di autodisciplina della produzione che ancorasse maggiormente il lavoro dei produttori alle dinamiche di mercato, superando o mitigando i rischi connessi alle produzioni altalenanti, fattori scatenanti per le ricorrenti crisi delle quotazioni.
“Il successo di questi 20 anni di piani produttivi”, secondo Caramaschi, “era a suo tempo inimmaginabile perché era difficile immaginarsi la possibilità di regolamentare la produzione viste le tante difficoltà e la complessa concezione del mercato vigente. Il passaggio fondamentale a cui siamo arrivati è che ora le quote le hanno i produttori e al centro della cooperazione ci sono i soci. Il valore della quota al socio è un punto di forza per i nostri caseifici cooperativi. È un passaggio che sembra scontato ma non lo è”.
Per Deserti “i piani di regolazione-offerta sono l’emblema dello spirito cooperativo, perché sono stati possibili solo perché la base della cooperazione ci ha creduto”. E nel suo intervento ha ribadito quanto in genera-
Novembre 2003 appunti di lavoro «riservati» per ragionarne nell’assemblea dei delegati del 19 dicembre 2003
-900 aziende
+3,5 mln q.li latte
Il piano non ha «ingessato» il sistema
Su una popolazione di 2.300 allevatori 514 stalle (22%) sono di giovani inseriti con il Piano
L’età media del conduttore Stalla-PR è calata
le i sistemi di DOP e IGP siano importanti per l’economia e la società, e di come lo sviluppo di questi sistemi possa portare benefici a entrambe le parti.
Le sfide aperte ma anche le opportunità del sistema DOP e IGP sono stata ben illustrate nelle conclusioni dell’on. Paolo De Castro: nel mercato globale sono fondamentali le attività di promozione e protezione di questi prodotti. E in questo contesto è vitale il ruolo dell’Unione Europea che deve necessariamente sostenere lo sviluppo e la crescita del sistema DOP e IGP.
Nell’ambito dell’industria lattierocasearia, la sicurezza alimentare è prioritaria. Ecco perché l’utilizzo dei bioprotettori rappresenta uno step significativo per la garanzia di prodotti di alta qualità. I bioprotettori, infatti, operano sfruttando il potenziale antimicrobico dei batteri lattici, che producono una serie di composti, in grado di ostacolare la crescita dei patogeni.
Il Gruppo Alce, attraverso un approccio scientifico rigoroso, ha sviluppato tre prodotti di punta per la protezione contro una vasta gamma di microrganismi patogeni:
PROBIALAC MXP LRPS e PROBIALAC BS, efficaci contro batteri Gram-negativi e Listeria, con differente composizione microbica.
PROBIALAC PR, con azione specifica contro coliformi, lieviti e muffe, grazie anche alla presenza di acido propionico.
Oltre alla protezione contro patogeni quali
Escherichia coli e Salmonella, questi agenti antimicrobici contribuiscono anche alla prolungata conservazione dei prodotti lattiero-caseari, riducendo la dipendenza da conservanti artificiali.
Come afferma la dott.ssa Elena Mogna, CEO del Gruppo: “I nostri ricercatori han -
no condotto test combinati – in vitro e in campo – per accertarsi che i nostri prodotti rispettino standard elevati di qualità e sicurezza, con l’obiettivo di offrire una soluzione affidabile all’industria lattiero-casearia.
Continueremo a investire nella ricerca e nello sviluppo per affrontare le sfide emergenti del settore e per offrire soluzioni avanzate, che superino le aspettative dei nostri clienti. Con i nostri bioprotettori, vogliamo non solo garantire la sicurezza alimentare, ma anche promuovere uno standard più elevato di qualità e sostenibilità nell’intero comparto”. ALCE www.alce.eu
BRENTA RENT con sede ad Arzergrande (Padova), da oltre 20 anni rappresenta il punto di riferimento per il freddo a noleggio in molteplici settori, tra cui quello lattiero-caseario.
Le macchine della flotta BRENTA RENT sono full optional e comprendono chiller con resa frigorifera da 20 kW a oltre 1 MgW, Roof-Top, unità di trattamento aria, potendo quindi evitare in situazioni di rotture, manutenzioni straordinarie o per necessità stagionali, interruzioni del ciclo produttivo o della catena del freddo.
Tra i clienti si annoverano aziende del settore primario di fama internazionale, serviti sem-
plicemente per la climatizzazione delle aree produttive e/o per il raffreddamento di acqua di processo nelle fasi di refrigerazione del latte, di produzione e conservazione dei prodotti derivati.
Negli anni è stato prestato servizio, con gruppi frigoriferi anche di circa 600 kW, ad aziende lattiero-casearia vicino a Bressanone, permettendo il raffreddamento dei prodotti pastorizzati prima del confezionamento.
BRENTA RENT supporta i clienti nell’individuazione della macchina ottimale, anche organizzando sopralluoghi in tutta Italia con i propri tecnici o con centri assistenza autorizzati.
Un sistema di teleassistenza consente all’ufficio tecnico di effettuare una lettura quotidiana e una verifica continua dello stato di funzionamento delle soluzioni installate, andando così a rilevare eventuali malfunzionamenti da remoto in tempo reale.
La flotta delle macchine a noleggio BRENTA
RENT è anche disponibile per eventuali acquisti come seconda mano garantito: i prodotti usati vengono sottoposti ad accurate operazioni di collaudo e di manutenzione, per assicurare massima funzionalità ed efficienza. BRENTA RENT
La Commissione europea ha redatto una proposta di modifica dell’Allegato III della Direttiva Nitrati, che dal 19 aprile è sottoposta a consultazione pubblica. La Direttiva proposta, finalizzata alla semplificazione dell’uso di fertilizzanti ottenuti dai liquami di allevamento, mira
a revisionare la Direttiva 91/676/CEE che stabilisce, per quanto attiene ai fertilizzanti di origine biologica di azoto ottenuto attraverso il trattamento e la trasformazione del letame animale, un limite di utilizzo che nelle zone vulnerabili è fissato a 170 kg/N per ettaro.
Pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il Decreto Masaf 23 febbraio 2024 che introduce nuove misure a sostegno dell’autoimprenditorialità giovanile e femminile in agricoltura. Il decreto prevede l’erogazione di contributi a fondo perduto fino al 35% delle spese ammissibili e mutui agevolati a tasso zero, della durata massima di 10 anni per microimprese, piccole e medie imprese agricole che operano da al-
Dopo aver consultato gli Stati membri sul tema, e aver preso atto delle conclusioni del Consiglio europeo del 17 e 18 aprile 2024, la Commissione ha deciso di adottare una proroga limitata della sezione 2.1 del quadro per il settore agricolo primario e per i settori della pesca e dell’acquacoltura. La decisione di rimandare l’eliminazione graduale del
meno due anni. I progetti ammissibili a finanziamento non possono superare 1.500.000 euro e devono perseguire il miglioramento del rendimento e della sostenibilità globale dell’azienda agricola attraverso la riduzione dei costi di produzione, l’efficientamento e riconversione della produzione oppure la realizzazione o miglioramento delle infrastrutture aziendali. Ismea gestisce la misura.
quadro mette gli Stati membri in grado di concedere aiuti di importo limitato alle imprese attive in questi settori per altri sei mesi, fino al 31 dicembre 2024 e concede inoltre agli Stati membri più tempo per attuare le misure di sostegno necessarie. La proroga non prevede un aumento dei massimali stabiliti per gli aiuti di importo limitato.
Èstato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il DM 26 febbraio 2024 recante disposizioni attuative e criteri per determinare le percentuali di riduzione applicabili per inadempienze degli obblighi della condizionalità “rafforzata” 2023-2027 e per violazione degli impegni dei regimi ecologici per il clima e l’ambiente e degli interventi di sviluppo rurale finanziati dal FEASR 2023-2027. In particolare, al beneficiario che non rispetti le regole di condizionalità è applicata una sanzione amministrativa mediante riduzione o esclusione dell’importo totale dei pagamenti
PAC. Ai fini del calcolo delle riduzioni o delle esclusioni, si tiene conto della gravità, porta-
Èstato pubblicato il Regolamento (UE) 2024/1143 relativo alle Indicazioni Geografiche dei vini, delle bevande spiritose e dei prodotti agricoli. Il nuovo Testo Unico entrerà in vigore il 13 maggio mentre la legislazione secondaria, cioè atti delegati e di esecuzione, dovrebbe essere completata nei prossimi mesi, per un’entrata in vigore prevista a gennaio 2025. Il nuovo Regola-
mento rappresenta un risultato importante, che per la prima volta mette insieme tutte le produzioni del mondo dell’agroalimentare, del vino e delle bevande spiritose a Indicazione Geografica in un’unica base legislativa, rafforzando il ruolo dei Consorzi di tutela e fornendo strumenti più efficaci per uno sviluppo competitivo e sostenibile del settore delle produzioni di qualità.
Ita, durata e ripetizione, nonché dell’intenzionalità dell’inosservanza constatata.
l Parlamento europeo ha approvato una revisione del regolamento sui piani strategici della PAC e del regolamento orizzontale della PAC. La revisione della PAC modifica le norme relative a tre condizionalità ambientali cui gli agricoltori devono attenersi per ricevere finanziamenti. Fornisce inoltre maggiore flessibilità ai Paesi UE per concedere esenzioni dalle norme della PAC in caso di problemi nell’applicarle e in caso di problemi causati da condizioni meteorologiche estreme. Le piccole aziende
agricole di dimensioni inferiori a 10 ettari saranno esentate dai controlli e dalle sanzioni in caso di inosservanza di alcune norme. Il Parlamento ha anche deciso di non sollevare obiezioni alla proposta della Commissione che integra il pacchetto di semplificazione della PAC. Secondo il testo, gli Stati membri avranno più margine di manovra nell’applicazione del requisito della PAC di mantenere il rapporto tra prato permanente e superficie agricola al di sopra del 5% rispetto al 2018 (BCAA 1)
Èstato approvato dal Parlamento europeo il Regolamento sugli imballaggi che mira a renderli più sostenibili e ridurne i rifiuti nell’UE. Le norme, frutto di un accordo provvisorio con il Consiglio, comprendono obiettivi di riduzione degli imballaggi (del 5% entro il 2030, del 10% entro il 2035 e del 15% entro il 2040) e impongono ai Paesi UE di ridurre in particolare i rifiuti di imballaggio in plastica. Determinati tipi di imballaggi di plastica monouso sa-
ranno vietati a partire dal 1° gennaio 2030, tra cui quelli per frutta e verdura fresche non trasformate, ma restano esclusi le buste dell’insalata e gli imballaggi di carta monouso nei locali con una componente in plastica inferiore al 5% del peso totale. Sono previsti obiettivi di riutilizzo specifici da raggiungere entro il 2030 per imballaggi di bevande alcoliche e analcoliche, imballaggi multipli e imballaggi per la vendita e per il trasporto.
Il Consiglio ha adottato la direttiva riveduta relativa alle emissioni industriali (IED) e il regolamento relativo alla creazione di un portale sulle emissioni industriali. Per ridurre ulteriormente le emissioni industriali, la direttiva include nel proprio ambito di applicazione più aziende zootecniche per allevamenti intensivi su larga scala, compresi gli allevamenti di suini e pollame. La nuova direttiva renderà la procedura di autorizzazione più efficiente e meno onerosa, introducendo ad esempio l’obbligo per gli Stati membri di istituire un sistema di autorizzazione elettronica entro il 2035. Inoltre, gli Stati membri stabiliranno sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive da applicare in caso di inosservanza della direttiva. La direttiva relativa alle emissioni industriali sarà ora firmata e pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione. Dopo tale data, gli Stati membri
Il Masaf ha approvato due nuovi disciplinari del Sistema di Qualità Nazionale Zootecnia (SQNZ).
Si tratta dei disciplinari del “Vitello al latte e cereali” e del “Latte crudo vaccino e derivati”, entrambi presentati dalla Regione Veneto. Il primo si applica durante il periodo di accrescimento di bovini maschi e femmine allevati per la produzione di carne di vitello, fino alla macellazione, d include alcuni requisiti e specifi-
che riguardanti fasi di produzione e attività svolte da altri operatori della filiera come macellazione, lavorazione delle carni ed etichettatura. Il secondo si applica a tutte le fasi di allevamento, mungitura compresa, di bovine in lattazione destinate alla produzione di latte crudo e include, inoltre, alcuni requisiti e specifiche riguardanti la successiva trasformazione del latte crudo in prodotti derivati del latte.
dell’UE avranno 22 mesi per recepire le disposizioni della direttiva nel diritto nazionale.
Èstata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell’UE una nuova versione dell’Allegato III al Regolamento 853/04 relativo ai requisiti specifici in materia di igiene per gli alimenti di origine animale. In particolare, sono state modificate le condizioni di macellazione direttamente in azienda estendendo la possibilità di ricorrere alla macellazione di animali domestici presso l’azienda di provenienza anche agli ovicaprini, nello specifico fino a nove animali delle specie ovina o caprina, se autorizzato dall’autorità competente.
Èstata pubblicata la circolare di Agea n. 28624 che disciplina l’applicazione delle sanzioni in relazione ai regimi per il clima, l’ambiente e il benessere degli animali (ecoschemi). La circolare disciplina l’applicazione delle sanzioni, ovvero la riduzione o l’esclusione dei pagamenti, in relazione ai regimi per il clima, l’ambiente e il benessere degli animali in attuazione dell’art. 10 del DM 26 febbraio 2024 n. 93348. La san-
zione per ogni violazione accertata è determinata nella misura del 30%, del 50% o del 100%, in base alla gravità, all’entità, alla durata e alla ripetizione della violazione. In caso di adesione a due o più eco-schemi, la violazione di uno o più impegni che si riferiscono esclusivamente a un eco-schema comporta una riduzione solo relativamente ai pagamenti relativi all’eco-schema per il quale sono state rilevate delle infrazioni.
Mercoledì 10 aprile il Parlamento europeo ha approvato in via definitiva l’accordo politico provvisorio con il Consiglio sulle norme aggiornate in materia di composizione, denominazione, etichettatura e presentazione di alcuni prodotti alimentari “per la prima colazione”, le cosiddette direttive “colazione”, con 603 voti favorevoli, 9 contrari e 10 astensioni. Vi sarà
un’etichettatura più chiara sul tenore di zucchero nei succhi di frutta e sul tenore minimo di frutta nelle confetture e nelle marmellate. La legge deve ora essere adottata dal Consiglio, prima di essere pubblicata nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrare in vigore 20 giorni dopo. I Paesi dell’UE applicheranno le nuove norme due anni dopo l’entrata in vigore.
Dopo la visita al laboratorio per le simulazioni di processo presso il Campus di Santa Monica di UNICATT-Cremona, il prof. Lorenzo Morelli, Direttore DiSTAS, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari per una filiera agro-alimentare Sostenibile della Facoltà di Scienze Agrarie, alimentari e ambientali, accompagnò il suo ospite pensionato a visitare l’Aula Magna, già famosa nel Seicento come “Duomo delle monache”, per la sua imponenza e per la ricchezza delle opere d’arte di Giuseppe Natali e Robert de Longe. Sazi d’arte e di riflessioni, pensionato e pensionando arrivarono lentamente nel “deposito del sapere”, ovvero nelle bellissime sale della biblioteca del Campus. Dove, scherzando sulle recenti evoluzioni del “sapere”, si chiesero se oggi le biblioteche siano effettivamente il “deposito del sapere o del non sapere”.
Prima di uscire dalle sale di lettura, il pensionato azzardò: “In questa biblioteca non sarebbe bello istituire una sezione dedicata al latte e ai latticini?”. Il pensionando prontamente rispose: “Certamente, se un collezionista mi desse una mano!”.
Passò qualche mese e per celebrare i 40 anni di presenza di UNICATT- Cremona, il pensionando ebbe l’idea di creare MIL-C = Milk International Library - Cremona e, condividendo il progetto con il pensionato, partì dritto verso l’obiettivo: “Mi dai una mano?”.
“Mi sbaglio o chiede una mano portante 3000 pubblicazioni per 20 metri di libri e riviste?”
“Non ti sbagli!”
“Ci penserò!”
La chiusura della telefonata avvenne sul valore incoativo dell’incoraggiata donazione: “Tu inizia con i tuoi libri, poi arriveranno i miei e quelli del prof. Vittorio Bottazzi, quindi ne arriveranno altri… Vedrai che diventerà una sezione importante!”.
Così, rileggendo i dialoghi dei messeri Avogadro e Maggio con il malghese Scaltrito nelle pagine de “Le vinti giornate dell’agricoltura, el de’ piaceri della villa” di Agostino Gallo (fine Cinquecento), il pensionato si persuase che l’ego del collezionista era secondario all’universalità dell’Università.
Quando andiamo a visitare MIL-C?
Volete dire la vostra?
Scrivete a: editorialoffice.stlc@quine.it
VINCENZO BOZZETTIdi Qualità noi di Alitest...NO
Siamo sicuri che tutto il latte sia uguale ?
Latte
Qualità è una, non può
qualità simile......
sembrano uguali, ma, la differenza sta nella Qualità, utilizzando un Test che rileva più residui, rispettando i limiti MRL
Non rischiare di buttare via il tuo latte..
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