Scienza e Tecnica Lattiero-Casearia n. 1-2 Aprile 2025
Il mercato dei formaggi da tavola e delle mozzarelle
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Prodotti trasformati con ingredienti DOP e IGP: regole e opportunità
Ecosistemi complessi e microbiota: dal grande al piccolo e viceversa
I vantaggi della scienza applicata a latte e latticini ovini e caprini
ad alto valore aggiunto con la filiera DOP. I formaggi rappresentano una delle maggiori produzioni di tutto l’agroalimentare italiano con un valore che supera gli 11 miliardi di euro e con un peso sul lattierocaseario che sfiora i due/terzi del totale. All’interno del comparto, fra le diverse ripartizioni possibili, si può suddividere in quattro grandi aree: i formaggi da tavola (vaccini, bufalini, caprini e misti), i formaggi duri che sono prevalentemente da grattugia, formaggi fusi che sono utilizzati prevalentemente come ingrediente e i formaggi ovini. In questa occasione consideriamo solo i formaggi da tavola nei suoi principali due segmenti: i formaggi freschi che comprendono la ricotta vaccina e i formaggi stagionati a pasta molle e semidura. È un settore che vale 7,3 miliardi di euro nel 2023, gli scambi commerciali con l’estero hanno un peso importante, le esportazioni rappresentano il 34% della produzione a valore, mentre a volume la percentuale supera di poco il 44%. Incidono sul prezzo medio le numerose produzioni di operatori italiani per catene estere della distribuzione moderna. Le importazioni rappresentano il 29,1% del consumo nazionale a valore, mentre a volume la percentuale sfiora il 49%, evidenziando un prezzo medio basso giustificato dal fatto che la maggior parte dell’import riguarda prodotti base, in particolare per pizzerie e catering, referenze da discount e prodotti di primo prezzo a marchio di aziende casearie nazionali.
DIMENSIONE
DEL SETTORE E TREND
La crescita della produzione settoriale è pari all’11,1% ed è da attribuirsi sia al continuo sviluppo delle vendite sui mercati esteri sia al mercato interno influenzato da un sensibile incremento dei prezzi di quasi tutti i prodotti settoriali. In termi -
ni reali invece la produzione settoriale registra un ridimensionamento del 3,5%, negativamente influenzata da una sensibile crescita dei prodotti di importazione, gli unici a registrare un ridimensionamento dei prezzi nel 2023, pari al 4,7%.
Notevoli i dati registrati dalle imprese nazionali sui mercati esteri, dove nel 2023 hanno realizzato vendite per un valore di 2,5 miliardi di euro, con una crescita dal 13,1% a valore e dell’11,7% a volume. In forte crescita anche il mercato a valore che raggiunge i 6,8 miliardi di euro con un
+9% rispetto al 2022. Mentre a volume si segnala, nonostante l’ulteriore incremento dei prezzi dei prodotti finiti, dopo quello registrato anche nel 2022, solo un lieve calo (0,5%). I formaggi da tavola freschi e la ricotta vaccina registrano nel 2023 una lieve crescita dei volumi pari allo 0,4% e di un incremento a valore dell’8,7%. Impattano positivamente alcuni segmenti come la ricotta e le altre paste filate fresche, esclusa la mozzarella, in particolare citiamo il fenomeno burrate e stracciatelle che registrano un ulteriore forte svilup -
po con una crescita a due cifre anche nel 2023 in termini reali. In calo invece i consumi dei formaggi da tavola stagionati che nel 2023 hanno registrato un ridimensionamento pari al 2% in termini reali, mentre a valore crescono del 9,5%. L’area, rispetto ai formaggi freschi, è penalizzata da un prezzo superiore e della forte concorrenza del Grana Padano utilizzato anche come prodotto da tavola.
PRIMO FORMAGGIO
PER CONSUMI:
LA MOZZARELLA
La mozzarella è la prima produzione casearia nazionale e primo formaggio per consumi in Italia con un’incidenza di circa il 54% sul totale dei freschi a volume e quasi un terzo sul totale dei formaggi da tavola. Il settore della mozzarella è caratterizzato dalla presenza di pochi grandi operatori e numerose piccole-medie aziende. Nel 2023 le imprese rilevanti attive nel settore si stimano intorno alle 350 unità. Il settore sviluppa un giro d’affari pari a 2,6 miliardi di euro, in crescita del 9,2% rispetto al 2022. Nonostante la tipologia del prodotto, gli scambi commerciali con l’estero hanno un peso importante, oltre un terzo della produzione nazionale a valore è destinata ai mercati esteri, per un valore pari a 921 milioni di euro. Significative anche le importazioni che hanno un peso sui consumi interni pari al 19% e raggiungono nel 2023 i 396 milioni di euro.
L’export, in tendenziale crescita dal 2013 al 2019, dopo una sostanziale stabilità nel 2020, nell’ultimo triennio ha ripreso a crescere a ritmi sostenuti. Ampio il saldo positivo degli scambi commerciali, anche se rimangono importanti le importazioni. Si segnala che la distribuzione del prodotto estero è destinata soprattutto a catering e alle pizzerie. Analizzando il settore in termini reali, i consumi di mozzarella nel
2023 sono negativi, registrano infatti un ridimensionamento pari all’1% attestandosi a 306.950 tonnellate.
Pur impattando positivamente il buon andamento delle vendite sui mercati esteri, la produzione è negativamente influenzata dal sensibile sviluppo dei prodotti di importazione. L’export ha registrato un aumento dei volumi pari al 3,9% rispetto al 2022, attestandosi sulle 142 mila tonnellate, nonostante i prezzi in forte crescita. L’incremento a valore è stato infatti pari al 10% per vendite che nel 2023 raggiungo -
no i 921 milioni di euro. Anche l’import a volume registra un +6% e in maniera contenuta a valore (+1,9%), evidenziando un calo del prezzo medio. Analizzando il mercato nel dettaglio: il segmento della Mozzarella vaccina pesa sul totale consumi per l’84,5% in volume, il restante riguarda la Mozzarella di bufala. La produzione di mozzarella nell’Italia settentrionale presenta per lo più caratteristiche industriali, come le aziende che la producono, con una produzione su larga scala, un gusto poco differenziato e una shelf life più lunga. Nel cen-
tro e nel meridione viene effettuata la maggioranza della produzione di mozzarella da gastronomia e della Mozzarella di bufala che presentano caratteristiche organolettiche elevate. Anche prodotti, modalità di consumo e distribuzione sono differenziati nel territorio nazionale. Nonostante un 2023 segnato da tensioni geopolitiche, alta inflazione, stretta creditizia e perdita del potere d’acquisto dei consumatori, il settore dei formaggi nella sua totalità, e quelli da tavola nello specifico, dimostrano ancora una volta di essere dotati di dinamicità, registrando solo un lieve calo a volume nonostante i forti incremento di prezzo.
Andiamo a fare la spesa
I consumatori fanno una spesa più frequente e con scontrini più bassi per cercare di compensare l’aumento dei prezzi e ridurre gli sprechi. Introduce così Armando Brescia , Direttore responsabile Distribuzione Moderna, il momento di confronto, tenutosi durante la sessione di LattePiù 2024, con Stefano Giannelli , Responsabile Business Unit Latte e Derivati di Coop Italia; Paolo Slaviero , Director National Buying di Aldi e Alfio Schiatti , Chief Commercial Officer di Fattorie Garofalo.
Come sono cambiate le scelte di acquisto dei consumatori?
Stefano Giannelli: Confermo la tendenza dei consumatori nell’effettuare spese meno corpose e più frequenti durante la settimana. Questo dettato anche dal fatto che c’è un’attenzione maggiore rispetto a prima alla gestione domestica del cibo. Il consumatore si organizza meglio rispetto al passato per consumare gli alimenti prima della data
di scadenza ed evitare di doverlo buttare, grazie a una spesa sempre più attenta. Comportamento nato per contrastare la forte inflazione che nel comparto si registra in continua crescita ormai da un paio d’anni.
L’andamento inflattivo si è un po’ ridimensionato rispetto alla media del 2023 nel primo quadrimestre 2024 o continua ad avere un impatto significativo nel mondo dei formaggi? S tefano Giannelli: È sempre un tema rilevante, ma l’aspetto importante da considerare è l’incidenza promozionale che si è dimostrata più rilevante rispetto ai mesi del 2023. Il consumatore fa sempre più riferimento alle marche che sono tornate a concentrarsi sulla leva del prezzo; strategia scelta dai distributori per recuperare i volumi persi.
Come hanno affrontato questa dinamica inflazionistica i discount?
Paolo Slaviero: Sicuramente il discount ha come ragione di esistere quella di far risparmiare il consumatore. L’attenzione che il consumatore italiano ha dimostrato in questi anni nei confronti di questo canale è sicuramente un segnale del bisogno di risparmio.
Una parte del risparmio proviene dalla struttura del discount stesso, nel caso di Aldi è legato, ad esempio, all’efficientamento della catena logistica. Risparmio che poi viene riversato sul consumatore attraverso prezzi competitivi. In queste dinamiche inflattive molto violente, è fondamentale il rapporto con i nostri fornitori, fin dalla materia prima, e partner commerciali per offrire soluzioni al mercato.
Questa dinamica inflattiva ha modificato le abitudini di acquisto orientandoli verso una riduzione degli sprechi e una maggiore cautela negli acquisti. Ha avuto un riflesso anche sulle scelte
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E DI SICUREZZA SANITARIA
Milk sounding: il chiarimento definitivo
La denominazione “latte” è riservata esclusivamente al prodotto della secrezione mammaria normale
AVV. CHIARA MARINUZZI
Studio Legale
Gaetano Forte
Evocazione, usrupazione, agganciamento dei termini associati al latte e alle carni: la discussione sul meat e milk sounding arriva a una definizione con la sentenza della Corte di Giustizia UE,
sez. 2° del 4 ottobre 2024 nella causa C-438/23 che si è espressa sull’uso di termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale per designare un prodotto contenente proteine vegetali.
LA CONTROVERSIA
Nel luglio 2022, Protéines France, che rappresenta gli interessi delle imprese attive sul mercato francese delle proteine vegetali, ha presentato ricorso dinanzi al Consiglio di Stato (Francia), chiedendo l’annullamento di un decreto che vietava alcune denominazioni tradizionalmente associate ai prodotti di origine animale per designare prodotti contenenti proteine vegetali e ne definiva un elenco. A sostegno dell’annullamento del decreto intervenivano nel procedimento, rispettivamente, l’EVU e l’AVF, che promuovono il vegetarianismo, la prima nell’Unione e la seconda in Francia.
I ricorrenti nella causa principale fanno valere, in particolare, che detto decreto – il quale vieta, per designare prodotti trasformati contenenti proteine vegetali, l’uso di nomi come “bistecca” o “salsiccia”, senza e anche con l’aggiunta di dettagli aggiuntivi come “pianta” o “soia” – contrasta con il Regolamento n. 1169/2011. Il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte alcune articolate questioni pregiudiziali.
LA DECISIONE DELLA
CORTE DI GIUSTIZIA
Nel corso del giudizio, è intervenuto il governo italiano (che aveva adottato un decreto analogo a quello francese ma la cui notifica alla Commissione UE era stata archiviata) ha sostenuto che: “Poiché gli Stati membri, in mancanza di una denominazione giuridica prescritta dalle disposizioni
dell’Unione legge, possono adottare misure per attribuire denominazioni legali a determinate derrate alimentari, deve essere loro concesso anche il potere di vietare l’uso di determinate denominazioni per determinate derrate alimentari [...]. Il divieto di utilizzare una denominazione per taluni prodotti alimentari equivale all' imposizione di una denominazione legale per prodotti alimentari che presentano caratteristiche diverse da quelle oggetto del divieto in questione”.
Contro tale argomentazione, la Corte rileva che “una denominazione legale non può essere considerata equivalente all’adozione di provvedimenti che vietino l’uso di determinati termini, non definiti giuridicamente da tali provvedimenti, per designare prodotti alimentari che presentino determinate caratteristiche, in particolare per quanto riguarda la loro composizione”.
Osserva inoltre che il diritto dell’Unione non prevede una norma che riservi ad alcuni prodotti alimentari, specificatamente definiti come di origine animale, l’uso di denominazioni legali contenenti termini provenienti dai settori delle macellerie, dei salumifici e delle pescherie, disciplinati dal decreto francese. Pertanto, considerato che il decreto francese non contiene una “denominazione legale”, ma riguarda la questione di quali “nomi usuali” o “nomi descrittivi”, la Corte ritiene che essi non possano essere utilizzati per designare prodotti alimentari a base di proteine vegetali. La Corte inoltre ritiene che gli obblighi previsti dal Reg. Ue 1169/2011 di indicare i c.d ingredienti sostitutivi (articolo 7, paragrafo 1, lettera d), e allegato VI, parte A, punto 4) sono sufficienti a escludere il rischio di inganno del consumatore sulla composizione del prodotto, per cui lo Stato membro non appare legittimato ad adottare misure generali e astratte per prevenire tale ipotetico rischio. La Corte osserva in
ogni caso che “se un’autorità nazionale ritiene che le modalità concrete di vendita o di promozione di un prodotto alimentare inducono in errore il consumatore, essa può perseguire l’operatore del settore alimentare interessato”.
LE DIFFERENZE RISPETTO AL MONDO DEL LATTE
La sentenza in oggetto chiarisce in modo netto le differenze rispetto al mondo lattiero-caseario. Nel corso del giudizio il Governo Italiano aveva sostenuto che il divieto di utilizzare una data denominazione per taluni alimenti equivale all’imposizione di una denominazione legale per gli alimenti che presentano caratteristiche diverse da quelle oggetto del divieto di cui trattasi. A sostegno di tale argomentazione, richiamava la sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com (nella causa C-422/ 16), in cui la Corte avrebbe escluso che le denominazioni “latte” e “prodotti lattierocaseari” possano essere utilizzate per designare alimenti non derivati dalla secrezione mammaria.
Nella sentenza in esame, viene ribadito che tale mancanza di equivalenza non è messa in discussione dagli insegnamenti della decisione TofuTown da cui emerge che: “Le disposizioni del Regolamento (UE) n.1308/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti […] definiscono in modo preciso i requisiti che gli alimenti devono rispettare per poter utilizzare la denominazione «latte» e denominazioni proprie dei «prodotti lattiero-caseari». In forza di tali disposizioni, da un lato, la denominazione «latte» è riservata esclusivamente al prodotto della secrezione mammaria normale. D’altra parte, i «prodotti lattiero-caseari» sono quelli derivati esclusivamente dal latte e solo tali prodotti possono utiliz-
zare le denominazioni di un elenco allegato al Regolamento n.1308/2013 e le denominazioni, ai sensi dell’articolo 17 del Regolamento n.1169/2011, effettivamente utilizzate per tali prodotti. È alla luce di tale quadro giuridico specifico che, nel dispositivo della sentenza del 14 giugno 2017, TofuTown.com [...], la Corte ha statuito, in sostanza, che tali disposizioni impediscono che la denominazione «latte» e le denominazioni riservate ai soli «prodotti lattiero-caseari» siano utilizzate per designare, nella commercializzazione o nella pubblicità, un prodotto puramente vegetale, anche se tali denominazioni sono integrate da indicazioni esplicative o descrittive che indicano l’origine vegetale del prodotto in questione, a meno che non sia prevista un’eccezione dal diritto dell’Unione”. In ciò sta la differenza rispetto al mondo delle carni, ossia: “Il diritto dell’Unione non prevede alcuna norma che riservi a determinati alimenti specificamente definiti come di origine animale l’uso di denominazioni legali contenenti termini dei settori della macelleria, della salumeria e della pescheria”.
CONCLUSIONI
La decisione della Corte di Giustizia definisce in modo molto chiaro la posizione dell’Unione europeo in materia di armonizzazione normativa e di limiti degli Stati membri su determinate materie. Mentre per il mondo delle carni l’assenza di denominazioni definite a livello comunitario esclude la possibilità di intervenire con norme nazionali che limitino l’uso termini tradizionalmente associati ai prodotti di origine animale per designare un prodotto contenente proteine vegetali, per il mondo del latte viene confermato quanto già statuito, ossia il divieto di utilizzo delle denominazioni riservate al latte e ai prodotti lattiero-caseari per prodotti vegetali.
Bevande vegetali: latte più o latte meno?
Il latte vaccino e le bevande a base di piante sono prodotti completamente diversi, sia per quanto riguarda il contenuto di nutrienti che gli effetti sulla salute
Diletta Gaggia
Da quando l’uomo ha imparato, attraverso una mutazione genetica, a poter digerire il latte ne ha avuto soltanto dei vantaggi. “Perché il latte è un alimento altamente nutriente e contiene proteine di ottima qualità”, spiega Elisabetta Bernardi, Nutrizionista, biologa, specialista in Scienza dell’Alimentazione.
COME SI FA UNA BEVANDA VEGETALE?
Si inizia scegliendo la materia prima, ovvero degli estratti acquosi, per esempio, di cereali come l’avena o il riso, di pseudo cereali come la quinoa, oppure di legumi come soia e arachidi, o di frutta a guscio come le mandorle e il cocco. Dopo la pulitura della materia prima, e l’eventuale ammollo per renderle più facilmente lavorabili, si procede con la macinazione che serve per rompere la struttura cellulare e facilitare l’estrazione del latte. In alcuni casi si aggiunge anche acqua. Per quanto riguarda l’estrazione, il composto di acqua e materia prima macinata viene quindi spremuto e filtrato per separare i solidi dai liquidi. Il liquido risultante è appunto quello che vie -
ne chiamato latte vegetale. Ma a questo punto subisce anche un’altra fase di filtrazione e raffinazione, perché può essere necessario rimuovere delle particelle indesiderate. Questo passaggio a volte, però, oltre alle sostanze indesiderate rimuove anche parte dei grassi e della fibra che invece sono dei componenti importanti di questi alimenti. Per farlo assomigliare maggiormente, dal punto di vista nutrizionale, al latte vaccino si procede all’addizione di alcuni nutrienti e di aromi, come calcio e vitamine B e B12. Le fasi conclusive sono l’omogeneizzazione, la pastorizzazione o sterilizzazione, a cui segue l’imballaggio.
ALCUNE DIFFERENZE
È normale che la fibra sia contenuta solo ed esclusivamente negli alimenti di origine vegetale, però i due prodotti possono avere un contenuto di zuccheri diversi. Sono decisamente differenti nel contenuto di proteine e anche nella composizione dei grassi, in particolare nel latte vaccino è presente una componente di grassi saturi, mentre nel latte vegetale è molto inferiore questa componente a favore degli acidi grassi e insaturi. Per quanto riguarda, invece, i microelementi come calcio, magnesio, selenio e potas-
sio, troviamo molte differenze. Da segnalare che le alternative vegetali hanno anche dei cosiddetti antinutrienti che limitano l’assorbimento dei microelementi e rendono meno digeribili le proteine. “Ci troviamo di fronte a due prodotti diversi e parlare del latte vegetale come di un’alternativa al latte vaccino non è proprio esatto”, insiste la dott.ssa Bernardi. “Molti studi si sono occupati di tale confronto e c’è una posizione netta secondo la quale sia meglio non introdurre latti vegetali prima dei 12 mesi di età perché comunque ci possono essere anche dei problemi di allergia. Dopo c’è un’apertura un pochino maggiore, ma il consiglio è sempre quello di introdurli gradualmente”.
A prescindere dal tipo di legume o di cereale che viene utilizzato, i latti vegetali presentano caratteristiche differenti l’uno dall’altro (Review “Plant-Based Dairy Alternatives - A Future Direction to the Milky Way” - DOI: 10.3390/foods12091883). L’articolo “Nutritional assessment of plant-based beverages in comparison to bovine milk” (DOI: 10.3389/fnut 2022 957486) mette in luce il fatto che molto spesso questi prodotti sono anche più costosi del latte vaccino. E nell’ambito di una spesa famigliare possono essere non vantaggiosi. L’unico prodotto dal
Ecosistemi complessi e microbiota: dal grande al piccolo
e viceversa
Un viaggio andata e ritorno, dalla singola cellula batterica alla comunità microbica, necessario per meglio comprendere i segreti del mondo microbico
ERASMO NEVIANI
Prof. Ordinario di Microbiologia Agraria. Presidente del Comitato italiano FIL-IDF. Membro Onorario di SIMTREA (Società Italiana di Microbiologia agraria, ambientale, alimentare)
Sono frequenti e variegate le difficoltà che si incontrano nel tentativo di comprendere il “funzionamento biologico” di alcune comunità microbiche complesse, caratteristiche di diversi sistemi ambientali. È indiscutibile che negli ultimi anni lo studio delle singole cellule microbiche, che partecipano e sono le unità base di tali ecosistemi, si è spinto fino alla dettagliata comprensione delle differenze tra specie, biotipi e varianti e i risultati ottenuti hanno permesso progressi “entusiasmanti” nella comprensione del loro funzionamento e nella loro caratterizzazione. Nondimeno qualcosa sembra ancora sfuggirci nella comprensione di insieme delle popolazioni complesse, in particolare se cerchiamo di ricostruire a partire da singole cellule selezionate la complessità dei sistemi dai quali queste cellule sono state isolate.
INTERAZIONI TRA
MICRORGANISMI NEGLI
ECOSISTEMI COMPLESSI
Molte le evidenze di come queste variegate popolazioni, frequentemente costituite da differenti specie e biotipi microbici, condi-
zionino il funzionamento di diversi ecosistemi agroalimentari. Le interazioni tra i microrganismi negli ecosistemi complessi risultano probabilmente il fattore chiave che ne definisce sviluppo e sopravvivenza. La singola cellula trova infatti, in questi sistemi, il suo significato metabolico non solo come unità cellulare ma anche – forse soprattutto – nella sua capacità di comunicare e interagire con le altre cellule microbiche presenti nell’ecosistema. Alcuni biotipi microbici, ad esempio, sopravvivono e si moltiplicano solo se all’interno di una popolazione. Anzi in numerosi studi è stato possibile osservare come una parte importante dei biotipi presenti in differenti ecosistemi complessi non siano in grado di moltiplicarsi se posti a crescere in colture pure dopo l’isolamento. Il ruolo biologico di queste cellule batteriche, dette non coltivabili (almeno in nelle condizioni di laboratorio standard), nell’ambito degli ecosistemi microbici rimane ancora molto discusso e necessiterà di ulteriori approfondimenti per la sua esatta comprensione. Anche lo sviluppo di mutanti può favorire l’evoluzione di una coltura e la sua capacità di adattarsi a fattori ambientali ostili. La presenza nello stesso microambiente di diverse varianti isogeniche, cioè di cellule geneticamente identiche che esprimono fenotipi differenti, assume spesso uno specifico significato nella sopravvivenza e nella capacità di adattamento dell’ecosistema. Infatti, l’eterogeneità fenotipica presente in biotipi della stessa specie può favorire la persistenza della comunità in ambienti soggetti a frequenti modifiche delle caratteristiche abiotiche (disponibilità di differenti nutrienti, pH, aW, potenziale redox, etc).
La sommatoria di questi fattori sembrerebbe favorire la resilienza dell’ecosistema e potrebbe spiegare la sua sopravvivenza e la capacità di perpetuarsi e adattarsi nel tempo. In sintesi, seguendo i principi det-
tati da Darwin, le cellule in grado di sopravvivere agli stress che caratterizzano un dato ecosistema, si adattano e divengono dominanti. Se “scopo” primario dei microrganismi è quello di sopravvivere e moltiplicarsi, le comunità microbiche complesse possono essere, dunque, considerate dei sistemi di sopravvivenza molto efficaci.
In breve, il singolo microrganismo nell’ecosistema complesso sarebbe di fatto intrappolato in profonde reti di interdipendenza, sia evolutiva che ecologica.
Alcune, recenti ricerche hanno sottolineato come sarebbe utile, al fine di comprenderne la natura e i segreti, studiare e pensare agli ecosistemi microbici complessi come organismi multicellulari. La comprensione e gestione di questi ecosistemi microbici porterebbe, quindi, a considerarli quasi dei “super-organismi”, costituiti da unità unicellulari singole (perlopiù procarioti) che interagiscono e comunicano.
Ovviamente la rete di interazioni e la comunicazione sarebbero gli aspetti chiave nello sviluppo del sistema. Si tratta di un modello di interpretazione che sembra svilupparsi e guardare in direzione opposta rispetto all’approccio della ricerca negli ultimi decenni. Ricerca che giustamente è dedicata allo studio delle singole unità cellulari e all’inseguimento del sempre più “piccolo”, del suo significato ecologico e alla sua caratterizzazione. Uno studio, quindi, delle singole unità cellulari microbiche, discriminandole dal sistema che le conteneva e al quale appartenevano, è stato una necessità, utile anche a comprendere i confini della biodiversità e per trovare applicazioni pratiche di interesse tecnologico (ad esempio le colture selezionate). Ora, alla luce delle conoscenze sviluppate, credo che anche procedere a ritroso e considerare la complessità dei sistemi e il loro effetto sulle singole entità cellulari che li compongono sia possibile e utile.
STARTER NATURALI VS STARTER SELEZIONATI
Nell’ambito agroambientale e alimentare, sono sempre maggiori le evidenze che la comprensione del funzionamento biologico e della sopravvivenza di alcuni ecosistemi complessi non può rinunciare alla comprensione del ruolo e delle interazioni dei e tra i microrganismi che li popolano. In questo senso casi interessanti per comprendere l’efficienza di tale complessità sono gli starter naturali impiegati per la produzione di molti alimenti fermentati. Si tratta, come noto, di colture complesse dalla grande efficienza tecnologica, dotate della capacità di adattarsi a produzioni artigianali, non standardizzate, e di evolvere nell’alimento nel corso della sua produzione. Colture non sempre facilmente sostituibili a partire da starter selezionati. Si pensi ad esempio, viste in particolare le finalità di questa rivista, ai sieroinnesti naturali utilizzati nelle caseificazioni a Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP. Il sieroinnesto naturale costituisce un caposaldo della tecnologia casearia italiana, proposto tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 come metodo per indirizzare i processi fermentativi in caldaia, il basso costo di preparazione, la semplicità di utilizzo e il successo tecnologico ne hanno favorito l’affermazione nel tempo. L’evoluzione di questa coltura naturale e della sua composizione è stata ovviamente in stretta relazione con l’evoluzione delle pratiche di
caseificazione. Una funzionalità tecnologica che si riassume in una capacità di evolvere della coltura nel suo insieme favorendo la sopravvivenza e il sopravvento dei biotipi più adatti all’ecosistema e alle sue modificazioni abiotiche. La coltura nel suo insieme sembra essere un sistema di “protezione” dei suoi singoli componenti, un sistema che assiste e sostiene l’attività dei ceppi dominanti e li sostituisce quando il biotipo più veloce che guida la fermentazione non è più favorito e meno si adatta perché cambiano le condizioni al contorno. La resistenza all’infezione da batteriofagi di queste colture naturali è un perfetto esempio della loro capacità di adattarsi ed evolvere. Ovviamente nei diversi ecosistemi complessi le popolazioni microbiche possono svolgere ruoli dalla differente rilevanza. Anche in questo caso sono le interazioni che
La presenza nello stesso microambiente di diverse varianti isogeniche assume uno specifico significato nella sopravvivenza
definiscono le modalità di sopravvivenza, sviluppo e funzionalità tecnologica del microbiota, e dell’ecosistema del quale il microbiota è parte integrante.
IL CASO UMANO
In campo umano un ottimo esempio di comunità microbica complessa è sicuramente il microbiota intestinale. Diversi i quesiti restano aperti in merito alle caratteristiche di tale ecosistema. Ancora oggi poco sappiamo del reale numero delle differenti specie e biotipi che lo compongono.
Quali i ruoli peculiari dei differenti microrganismi presenti? Quali sono i microrganismi attivamente coinvolti nell’interazione tra microbiota e stati fisiologici o patologici nell’individuo? Quanti microrganismi vivono, o sopravvivono, all’interno dell’ecosistema microbico esclusivamente grazie alle interazioni con gli altri microrganismi, mentre presi singolarmente non sarebbero in grado di svilupparsi o di esprimere alcuni metabolismi rilevanti per la nostra salute? Le cellule eucariote che costituiscono la superficie dell’intestino possono a loro volta “comunicare” col microbiota, definendone l’attitudine alla colonizzazione? Sempre più si discute dell’asse intestino-cervello, interpretando in modo diverso la vecchia sentenza circa l’uomo che è ciò che mangia.
Tamponi, spugne, panni e COPRISTIVALI
Si tratta di dispositivi adatti a campionare superfici di ogni genere e ampiezza, punti difficilmente raggiungibili, attrezzature, carcasse animali, allevamenti ecc.
Vengono inumiditi con una soluzione sterile, spesso neutralizzante rispetto ai comuni disinfettanti, e poi strisciati sulla superficie delimitata da una cornice sterile di 10x10 cm o 5x5 cm. Infine vengono processati per seminare specifici terreni di coltura e determinare il numero di UFC.
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Credo che ogni essere umano sia caratterizzato da un sistema “ecosistema intestinale” peculiare spesso a sua volta in evoluzione per gli stessi fattori che condizionano il microbiota (età, salute, alimentazione etc.). Questi aspetti potrebbero essere la base dei motivi per i quali alcuni preparati probiotici funzionano in modo non sempre simile nei differenti soggetti che li utilizzano. Solo lo studio e la comprensione dell’ecosistema anche nel suo insieme e quindi delle interazioni che lo governano potranno permettere alcune risposte definitive in tal senso.
UN VIAGGIO A RITROSO
In conclusione, le comunità microbiche dovrebbero, quindi, essere studiate in termini di funzione biologica oltre che di composizione. In questo contesto, le popolazioni complesse potrebbero essere intese come collettività che, però, diventano unità fondamentali della vita. È ancora molto il lavoro da sviluppare per la comprensione di questi sistemi complessi. Meglio imparare a conoscerli bene prima di trarre frettolose conclusioni. Le semplificazioni in materia, pur necessarie in alcuni casi per la comprensione, potrebbero favorire conclusioni superficiali e poco attendibili. Resta il fatto che, dopo aver dedicato utilmente tempo e sforzi per comprendere le singole cellule microbiche e per entrare nei meccanismi del loro funzionamento, forse è tempo per un viaggio a ritroso “dal piccolo al complesso”. Viaggio necessario per unaf migliore comprensione del mondo microbico, degli ecosistemi microbici complessi e della loro importanza per la nostra vita.
Utilizzo del microbioma il caso della Mozzarella di Bufala
Due recenti studi condotti dai partner di METROFOOD-
IT
mettono in evidenza
come l’integrazione dell’intelligenza artificiale con dati sul microbioma potrebbe aiutarci a conoscere l’origine di un prodotto alimentare
a cura della Redazione
Quante volte ci è capitato di dibattere su quale fosse la migliore Mozzarella di Bufala a Denominazione di Origine Protetta (DOP)? O per i più diplomatici e imparziali chiedersi almeno se effettivamente differissero tra loro quelle di Caserta e Salerno? Sebbene entrambi i prodotti siano meritevoli del titolo di eccellenza, esistono delle differenze che vanno oltre il semplice palato. Grazie alle nuove tecnologie e alla ricerca scientifica, oggi possiamo scoprire che la mozzarella
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di bufala porta con sé una firma invisibile: il suo microbioma. Il microbioma partecipa propriamente a definire il terroir della mozzarella, ovvero l’insieme di fattori legati al territorio che ne determinano le caratteristiche (altri esempi sono altitudine, precipitazioni, suolo, clima).
IL RUOLO DEL VOLATILOMA
Quando si parla di formaggi il microbioma gioca un ruolo fondamentale. Infatti, ogni tipologia di formaggio è popolata da un microbioma diverso, il quale svolge un ruolo fondamentale nel processo produttivo e nello sviluppo di aromi unici. Attraverso il loro metabolismo, i microrganismi producono un insieme di molecole, che possiamo definire “volatiloma”, responsabili del flavour del prodotto. Il microbioma agisce come un vero e proprio artigiano invisibile. Nell’ambito di tali ricerche si collocano due studi recentemente pubblicati dai partner
nel consorzio METROFOOD-IT sulla Mozzarella di Bufala Campana DOP, coordinati dalle Professoresse Francesca De Filippis del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e Sabina Tangaro del Dipartimento di Scienze del Suolo, della Pianta e degli Alimenti dell’Università degli Studi di Bari. Nelle due province di Caserta e Salerno sono distribuiti l’86% dei caseifici che producono la Mozzarella di Bufala DOP. Un areale piuttosto ristretto, dove però sono sorprendentemente ampie le differenze tra le
RIFERIMENTI
mozzarelle, che non si fermano all’aspetto o alla consistenza. Il primo studio ha mostrato che le mozzarelle provenienti dalle due aree, nonostante vengano prodotte utilizzando la stessa tecnologia di produzione, come specificato dal disciplinare della DOP, presentano una differente biodiversità microbica. Nello stesso studio è stato osservato che anche il volatiloma è diverso tra le due province, rivelando come questi formaggi, pur rispettando lo stesso disciplinare di produzione DOP, presentino marcate differenze in base alla loro provenienza geografica. In uno studio successivo, i dati sulla composizione del microbioma degli stessi campioni di Mozzarella di Bufala DOP sono stati integrati in algoritmi di machine learning per sviluppare un modello in grado di riconoscere con elevata accuratezza l’origine della mozzarella.
PROSPETTIVE FUTURE
Le implicazioni di queste ricerche sono numerose e promettenti. Da un lato, ci permettono di apprezzare ancora di più la diversità e la ricchezza delle produzioni tradizionali, ricordandoci che anche all’interno di una stessa categoria di formaggi esistono sfumature legate al terroir e alle tradizioni artigiane. Dall’altro, ci dimostrano come l’integrazione dell’intelligenza artificiale con dati sul microbioma, in futuro, potrebbe permetterci di conoscere l’origine di un prodotto alimentare, supportando il sistema di tutela delle produzioni tipiche e Made in Italy e contrastando le frodi alimentari.
» Magliulo, R. et al. Microbiome signatures associated with flavor development differentiate Protected Designation of origin water Buffalo Mozzarella cheese from different production areas. Food Research International 192, (2024).
» Magarelli, M. et al. Explainable artificial intelligence and microbiome data for food geographical origin: the Mozzarella di Bufala Campana PDO Case of Study. Front Microbiol 15, (2024).
DOI: 10.1016/j.ifset.2024.103647
Pastorizzazione non termica del latte mediante campo elettrico
moderato con elettrodo allungato: analisi chimica e sensoriale durante la conservazione a freddo e determinazione della durata di conservazione
Non-thermal pasteurization of milk by elongated electrode moderate electrical field: Chemical and sensory analysis during cold storage and shelf-life determination. Innovative Food Science & Emerging Technologies, Volume 94, giugno 2024
A. Wali M. Alsaedi, AR. Al-Hilphy, AJ. Al-Mousawi, M. Gavahian
È stato dimostrato che gli elettrodi allungati a campo elettrico moderato (EEMEF), una tecnologia emergente di pastorizzazione del latte, riducono il consumo di energia. Il presente studio mira a studiare gli impatti dell’EEMEF sui parametri sensoriali e chimici e sulla durata di conservazione del latte.
L’EEMEF ha prodotto latte pastorizzato con valore di perossido, pH e acidità simili alla pastorizzazione termica, ma con una durata di conservazione più lunga del 25% e punteggi sensoriali più elevati. La gascromatografia-spettrometria di massa (GC-MS) ha rivelato che la pastorizzazione termica alterava significativamen-
te il profilo degli acidi grassi, mentre l’EEMEF colpiva principalmente gli acidi grassi a catena più corta, come l’acido butirrico e caprilico. La spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier (FTIR) rivela che la composizione del latte EEMEF era simile al latte crudo, priva di ampia denaturazione proteica e di prodotti della reazione di Maillard rilevati nel latte pastorizzato. Una durata di conservazione prolungata e una migliore qualità sensoriale e nutrizionale potrebbero motivare le applicazioni industriali dell’EEMEF a raggiungere emissioni nette pari a zero e obiettivi di sviluppo sostenibile.
DOI: 10.1016/j.foohum.2024.100301
Revisione comparativa delle proprietà nutri-funzionali e sensoriali, dei benefici per la salute e dell’impatto ambientale dei latticini (latte bovino) e del latte vegetale (latte di soia, di mandorle e di avena)
Comparative Review of Nutri-functional and Sensorial Properties, Health Benefits and Environmental Impact of Dairy (Bovine milk) and Plant-Based Milk (Soy, Almond, and Oat milk). Food and Humanity, Volume 2, maggio 2024
P. Vashisht, A. Sharma, N. Awasti, S. Wason, L. Singh, S. Sharma, A. Pradeep Raja Charles, S. Sharma, A. Gill, A. Kaur Khattra
Con le crescenti preoccupazioni circa l’effetto ambientale della produzione di latte lattiero-caseario e i casi elevati di allergie alle proteine del latte e di intolleranza al lattosio, si è verificata una domanda significativa di latte vegetale. Nonostante ciò, il mercato del latte bovino è ancora stabile grazie alle proprietà funzionali favorevoli e ai nutrienti più biodisponibili.
DOI: 10.1016/j.procir.2024.02.032
Valutazione del ciclo di vita (LCA) e analisi decisionale multicriterio (MCDA) di imballaggi ecocompatibili per prodotti lattiero-caseari e di quarta gamma
Life Cycle Assessment (LCA) and Multi Criteria
Decision Analysis (MCDA) of eco-friendly packaging for dairy products and fourth range. Procedia CIRP, Volume 122, 2024, Pagine 927-932
MP. Desole, A. Gisario, L. Fedele, M. Barletta
Nell’attuale contesto normativo europeo si pone sempre più l’accento sulla necessità di sviluppare materiali di imballaggio di quarta gamma e per prodotti lattiero-caseari più sostenibili dal punto di vista ambientale. In risposta a questa esigenza, è stata condotta un’analisi del ciclo di vita (LCA) per valutare l’idoneità della sostituzione delle tradizionali scatole in polistirene espanso e delle vaschette in polipropilene (PP) e polietilene tereftalato (PET) con imballaggi in cartone ondulato e rivestiti in bioplastica. L’analisi del ciclo di vita mostra che gli imballaggi in cartone rivestito in bioplastica hanno un impatto ambientale inferiore, nonostante l’impatto della produzione di bioplastica di mais e canna da zucchero. Nel caso degli imballaggi per prodotti lattiero-caseari, è stato considerato uno scenario o uno scenario di smaltimento migliorati, in particolare in termini di riciclaggio.
Nel secondo caso, sono state considerate materie prime totalmente o parzialmente riciclabili. Per la vaschetta in cartone, la riciclabilità è del 100%, mentre per PET e PP rispettivamente del 50% e del 4%, a causa di processi di riciclo e decontaminazione insufficienti. In questo scenario, l’impatto delle plastiche fossili diminuisce sostanzialmente, sebbene gli imballaggi in cartone ondulato e in bioplastica siano ancora una volta la scelta migliore. Per confermare questi risultati è stata condotta un’analisi decisionale multicriterio (multi-criteria Decision Analysis), che ha corroborato le conclusioni ottenute tramite l’analisi del ciclo di vita.
uesta recensione mette a confronto le proprietà nutrizionali, funzionali e sensoriali del latte di mandorle, soia e avena con il latte bovino. Sono stati inoltre discussi i vantaggi intrinseci (benefici per la salute) e i limiti del latte bovino e confrontati con questi latti a base vegetale insieme all’impatto ambientale di ciascun settore. È stato osservato che il latte bovino è intrinsecamente ricco di componenti nutrizionali e presenta caratteristiche funzionali migliori rispetto alle bevande vegetali in esame. Anche i punteggi sensoriali erano più alti. Mentre tra i latti a base vegetale, il mascheramento del sapore era considerato un’opzione praticabile per soddisfare le preferenze dei consumatori. La letteratura ha riportato un minore impatto ambientale dei latti a base vegetale, tuttavia è necessaria un’ampia valutazione della sostenibilità per un migliore confronto con il latte bovino.
DOI: 10.1039/d3gc04304e
Valorizzazione del siero di latte: chiusura del ciclo dall’estrazione delle proteine al compostaggio in film di proteine del siero di latte
Valorization of cheese whey: closing the loop from protein extraction to whey protein film composting. Green Chemistry, volume 26, numero 7, 2 aprile 2024
M. Uribarrena, E. Rovira-Cal, L. Urbina, M. José Suarez, E. Aymerich, P. Guerrero, K. de la Caba, A. Etxabide
Le proteine del siero di latte estratte dai sottoprodotti della produzione del formaggio sono state analizzate come potenziale alternativa sia per la valorizzazione dei rifiuti alimentari che per la riduzione dei rifiuti di imballaggio alimentare.
Le proteine del siero di latte sono state ultrafiltrate dal siero del formaggio locale e utilizzate per la produzione di film tramite stampaggio a compressione. La caratterizzazione fisico-chimica della proteina estratta ha mostrato che la purezza della proteina estratta era del 91,6% in peso. Le analisi FTIR e XRD, nonché le immagini SEM, hanno rivelato la presenza di lattosio nella proteina estratta. La solubilità delle pellicole realizzate in acqua indicava che le pellicole di proteine del siero di latte sarebbero adatte per il confezionamento di alimenti grassi, ad esempio il formaggio, seguendo così la strategia dell’economia circolare.
Inoltre, poiché la biodegradabilità dei film era superiore al 70% dopo 48 ore in condizioni di compostaggio, si può concludere che i film di proteine del siero di latte sono rapidamente compostabili
in qualsiasi impianto di compostaggio industriale, evidenziando il carattere più sostenibile di questi film. Infine, la valutazione ambientale ha confermato che il processo di produzione della pellicola è stata la fase che ha contribuito maggiormente all’impatto ambientale e, quindi, questa fase dovrebbe essere ottimizzata per ridurre l’impronta ambientale dei film sviluppati. Le proteine del siero di latte estratte dai sottoprodotti della produzione del formaggio sono state analizzate come potenziale alternativa sia per la valorizzazione dei rifiuti alimentari che per la riduzione dei rifiuti di imballaggio alimentare.
DOI: 10.1016/j.jafr.2024.101150
Impronta idrica della mozzarella di bufala italiana
Water footprint of Italian buffalo mozzarella cheese. Journal of Agriculture and Food Research, volume 16, giugno 2024
G. Grossi, U. Bernabucci, C. Rossi, F. Cesarini, N. Lacetera, C. Evangelista, G. Turriziani, A. Vitali
Questo studio presenta una valutazione complessiva del Water Footprint (WF) per la produzione e il consumo di mozzarella di bufala relativa a un’area dell’Italia centrale ad alta concentrazione di allevamenti di bufala. Utilizzando la metodologia Water Footprint Network (WFN), è stato esaminato il consumo di frazioni di acqua verde, blu e grigia (Wfc) lungo tutta la catena di approvvigionamento. Lo studio ha coinvolto nove allevamenti di bufale, due caseifici, quattro punti vendita al dettaglio e una coorte di 243 consumatori, fornendo una panoramica completa dell’intero processo, dalla produzione del latte crudo e della mozzarella fino alla fase finale del consumo domestico. I risultati dello studio sono stati espressi
DOI: 10.1016/j.foohum.2024.100341
Metaboliti funzionali dei batteri lattici probiotici nei prodotti lattiero-caseari fermentati
Functional metabolites of probiotic lactic acid bacteria in fermented dairy products. Food and Humanity, Volume 3, Dicembre 2024
T. Jayasree Joshi, Salini S.V., L. Mohan, P. Nandagopal, GJ. Arakal
I prodotti lattiero-caseari probiotici hanno guadagnato popolarità grazie al loro potenziale di miglioramento della salute generale. Questi prodotti contengono batteri vivi, come i batteri dell’acido lattico (LAB), che aiutano a migliorare l’omeostasi intestinale e potenziano le prestazioni del sistema immunitario. Oltre ai batteri vivi, anche i metaboliti prodotti dai batteri probiotici e dalle loro controparti non vitali forniscono benefici per la salute. I principali metaboliti prodotti includono acido organico, esopolisaccaridi, batteriocine, vitamine, peptidi e amminoacidi. La quantificazione di questi metaboliti lattiero-caseari probiotici offre prospettive future per comprendere i loro effetti fisiologici e le azioni terapeutiche. Tecniche spettroscopiche, cromatografia, analisi enzimatiche e biosensori vengono utilizzati per la quantificazione dei metaboliti LAB. La quantificazione precisa dei metaboliti nei prodotti lattiero-caseari offre diversi vantaggi funzionali e tecnologici, supportando così lo sviluppo di prodotti alimentari nutrienti che forniscono migliori benefici per la salute. Il documento fornisce una panoramica dei diversi metaboliti LAB nei prodotti lattiero-caseari, delle loro proprietà probiotiche e delle tecniche di quantificazione.
DOI: 10.1016/j.idairyj.2024.105957
Colostro nel latte di formaggio: effetti sulle caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche del latte,
del siero e del formaggio fresco
Colostrum in cheese milk: effects on physicochemical and microbiological characteristics of milk, whey and fresh cheese. International Dairy Journal, volume 155, agosto 2024
D. Sánchez-Macías, B. Herrera-Chávez, L. Quevedo-Barreto, A. Maldonado-Bonifaz, Á. González-Castillo, AJ. Trujillo Mesa
La presenza di colostro nel latte può causare problemi nei processi industriali. L’obiettivo di questo studio è valutare le caratteristiche del siero di latte e dei formaggi freschi modello prodotti con latte contenente fino al 10% di colostro. Sono state valutate le caratteristiche fisico-chimiche e microbiologiche del colostro, del latte, del formaggio e del siero di latte. È stato analizzato anche il contenuto di IgG. La presenza di colostro ha modificato la composizione del latte, i parametri fisico-chimici, il contenuto di IgG e la conta microbica. All’aumentare della presenza di colostro, i formaggi presentavano un contenuto proteico e di umidità più elevato, mentre il numero di aerobi mesofili e coliformi diminuiva. Il colore del formaggio e del siero di latte erano leggermente o notevolmente diversi quando veniva aggiunto fino al 10% di colostro. La concentrazione di IgG nel siero di latte aumentava significativamente quando il latte conteneva il 5% e il 10% di colostro. Ciò dovrebbe essere preso in considerazione quando questo sottoprodotto può essere potenzialmente utilizzato nella produzione di prodotti lattiero-caseari o nutraceutici a valore aggiunto.
come litri di acqua per kg di mozzarella di bufala consumata. La WF totale era di 6820 ± 1490 L per kg di mozzarella, con la Wfc verde, blu e grigia che contribuiva rispettivamente per il 59%, 12% e 29%. Il Wfc verde è stato influenzato prevalentemente (88%) dai mangimi provenienti da aziende esterne all’azienda agricola. Il Wfc blu è stato influenzato principalmente dall’alimentazione esterna (61%), seguita dall’irrigazione delle colture interne, dall’acqua potabile per i bufali e dalle attività dei caseifici. Il consumo domestico ha avuto un impatto trascurabile sull’WF complessiva. Il Wfc grigio ha portato alla luce preoccupazioni ambientali, principalmente dovute alla lisciviazione dei nitrati. Sebbene le colture
esterne abbiano avuto un effetto notevole sul Wfc grigio, la coltivazione di colture interne è stata responsabile del 69% di questa frazione. In particolare, una parte significativa del Wfc grigio proveniva da aree agricole lasciate a riposo per parti dell’anno, con conseguente mancato assorbimento di azoto residuo da parte delle colture. Aderendo alle linee guida WFN, questa ricerca non solo amplia le conoscenze sulla WF della mozzarella di bufala, ma evidenzia anche i punti critici per l’acqua. Sottolinea la necessità per i produttori di latte di perfezionare l’irrigazione e la gestione del suolo, incorporando precise strategie di irrigazione e rotazione delle colture, per mitigare in modo efficiente gli impatti sul Wfc.
Il latte come fonte nutrizionale di iodio
I prodotti lattiero-caseari rappresentano una delle principali fonti naturali di iodio nella dieta, grazie anche alla pratica dell’integrazione nei mangimi bovini. Tuttavia, il loro ruolo è spesso ignorato dal pubblico
Chiara Scelsi
Lo iodio è un oligoelemento indispensabile per la sintesi degli ormoni tiroidei, fondamentali per lo sviluppo cerebrale e la crescita, soprattutto
durante la gravidanza e l’infanzia. Una carenza significativa può portare a gravi danni neurologici, aborto spontaneo e aumento della mortalità infantile. Anche carenze lievi o moderate sono associate a riduzioni del quoziente intellettivo nei bambini e a pro -
blemi cognitivi. Dal 1991, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha promosso la iodoprofilassi attraverso la iodizzazione universale del sale. Tuttavia, politiche di riduzione del consumo di sale per combattere malattie cardiovascolari stanno compli-
FATTORI
SOCIODEMOGRAFICI:
INFLUENZA LIMITATA
L’età, il livello di istruzione e lo stato occupazionale influenzano solo parzialmente la consapevolezza, principalmente per pesce e frutti di mare. Le persone più anziane, con istruzione elevata e occupate sono più consapevoli. Tuttavia, queste variabili non modificano la percezione rispetto a latte, carne o vegetali. Anche il genere ha un impatto minimo: le donne mostrano leggermente maggiore attenzione all’importanza dello iodio, ma senza differenze sostanziali sugli alimenti.
CONCLUSIONI E IMPLICAZIONI PER IL
SETTORE LATTIEROCASEARIO
Il basso livello di consapevolezza sul ruolo del latte come fonte di iodio apre nuove opportunità di comunicazione e marketing per l’industria lattiero-casearia. Etichettature nutrizionali che valorizzino il
contenuto iodico, campagne educative e collaborazioni con enti sanitari possono contribuire a migliorare l’informazione dei consumatori. In un contesto in cui la iodoprofilassi via sale è in declino, il latte può rappresentare una risorsa chiave per il mantenimento di un adeguato apporto iodico nella popolazione.
Lo studio internazionale, condotto su un campione di 4.704 rispondenti che hanno partecipato volontariamente a un questionario online autocompilato, ha messo in evidenza una discreta consapevolezza sul ruolo dello iodio nella salute umana, ma una conoscenza limitata circa le sue fonti alimentari. In media, i partecipanti hanno riconosciuto correttamente pesce e frutti di mare come fonti efficaci di iodio, mentre il latte e i prodotti lattiero-caseari sono stati significativamente sottovalutati come fonte primaria di questo micronutriente. Alcune percezioni errate sono emerse in maniera marcata in specifici paesi: in Giappone e negli Stati Uniti, ad esempio, i cereali e la carne sono stati erroneamente
ritenuti buone fonti di iodio. In generale, una maggiore consapevolezza del contenuto di iodio negli alimenti e dei suoi effetti benefici sulla salute è risultata associata a livelli più elevati di istruzione, mentre le differenze di genere sono emerse solo in relazione alla percezione generale dell’importanza dell’elemento per la salute.
Alla luce di questi risultati, gli enti pubblici sono invitati a considerare nuove strategie di comunicazione per migliorare la conoscenza della popolazione riguardo alle reali fonti alimentari di iodio, in particolare i prodotti lattiero-caseari, e al loro contributo nella prevenzione di carenze nutrizionali. Tra le azioni raccomandabili, vi è l’adozione di etichette nutrizionali più chiare che riportino il contenuto di iodio degli alimenti e l’inserimento di claim salutistici specifici per lo iodio sulle confezioni dei prodotti ad alto contenuto, come latte e derivati. Questi strumenti informativi potrebbero rappresentare un canale efficace per colmare il divario tra conoscenza percepita e realtà nutrizionale.
L’erborinato per eccellenza
Il Gorgonzola è un formaggio a pasta cruda di colore bianco paglierino, le cui screziature verdi sono dovute al processo di erborinatura, ovvero alla formazione di muffe. Cremoso e morbido con un sapore particolare e caratteristico: leggermente piccante il tipo dolce, più deciso e forte il tipo piccante, la cui pasta risulta più erborinata, consistente e friabile
Martina Halker
Esperta in tecnologie alimentari e divulgatrice scientifica
Il Gorgonzola è un formaggio antico. Per molti trae le sue origini nella località omonima alle porte di Milano, intorno all’879; per altri, invece, a Pasturo nella Valsassina, grande centro caseario da secoli, grazie alla presenza di grotte naturali la cui temperatura consente al Gorgonzola di avere le caratteristiche tutti conoscono. Pare che anticamente fosse chiamato “stracchino”, che deriva da “stracco” (stanco) e si riferiva, già in epoca romana, alle transumanze delle mandrie di vacche dalle Alpi alle marcite della Valle Padana, particolarmente fiorenti dopo l’intervento di frati e monaci, che razionalizzarono l’agricoltura di allora. Vediamo cosa dice il disciplinare di produzione.
DEFINIZIONE, ZONA DI PRODUZIONE E LEGAME
CON IL TERRITORIO
Secondo il disciplinare di produzione, il Gorgonzola è un formaggio erborinato, prodotto esclusivamente con latte vaccino intero pastorizzato, a pasta cruda, unita, di colore bianco paglierino, screziata con ve -
nature caratteristiche blu-verdastre e/o grigio-azzurre dovute allo sviluppo di muffe (erborinatura). La zona geografica delimitata comprende l’intero territorio delle province di Bergamo, Biella, Brescia, Como, Cremona, Cuneo, Lecco, Lodi, Milano, Monza, Novara, Pavia, Varese, VerbanoCusio-Ossola, Vercelli e 31 comuni della
provincia di Alessandria. Queste zone forniscono abbondanti foraggi destinati all’alimentazione delle lattifere e favoriscono lo sviluppo di microrganismi determinanti per le caratteristiche organolettiche e di colorazione del formaggio. La metodologia di produzione, che include l’inseminazione del latte con fermenti lattici e con una sospensione di spore di Penicillium e di lieviti selezionati e l’addizione di caglio di vitello alla temperatura ideale, la salatura a secco, la caratteristica foratura della pasta durante la stagionatura, è frutto della tradizionale casearia tramandata nei secoli nella zona geografica specifica.
TECNOLOGIA PRODUTTIVA
Essendo un formaggio DOP, gli allevamenti delle bovine da latte per la produzione di gorgonzola devono essere ubicati nella zona di produzione. Inoltre, almeno il 50% della sostanza secca degli alimenti per le bovine, su base annuale, deve provenire dalla zona di produzione, così come le fasi di produzione e stagionatura.
Il latte intero di vacca viene pastorizzato, inseminato con fermenti lattici e con una sospensione di spore di Penicillium e di lieviti selezionati, addizionato con caglio di vitello a una temperatura di 28-36°C. La forma ottenuta viene sottoposta a salatura a secco che è continuata per alcuni giorni con temperatura di 18-24°C.
Quando la forma è ancora tra le tre e le quattro settimane viene forata da grossi aghi metallici (5-6 mm di diametro) prima in una faccia poi nell’altra faccia, permettendo all’aria di entrare nella pasta per favorire lo sviluppo delle colture di Penicillium caratteristici del Gorgonzola, determinanti la colorazione bluverdastra e/o grigio-azzurra. La stagionatura della forma, che varia secondo le tipologie, si effettua in ambienti con temperatura di -1/+7°C e con umidità relativa di 85-100%.
CARATTERISTICHE
Il Gorgonzola presenta le seguenti caratteristiche:
- Dorma: cilindrica con facce piane a scalzo diritto;
- Dimensioni: altezza minima dello scalzo di cm 13, diametro compreso tra cm 20 e cm 32;
- Crosta: di colore grigio e/o rosato, non edibile;
- Pasta: unita, di colore bianco e paglierino, screziata per sviluppo di muffe (erborinatura) con venature caratteristiche blu-verdastre e/o grigio-azzurre;
- Grasso sulla sostanza secca: minimo 48%;
- Classificazione sulla base dei criteri del peso, sapore e stagionatura: per la forma dolce, peso compreso tra 9 e 13,5 kg, con sapore dolce e con durata minima di stagionatura di cinquanta giorni e massima di centocinquanta giorni; per la forma piccante, peso compreso tra 9 e 13,5 kg, con sapore decisamente piccante e con durata minima di stagionatura di ottanta giorni e massima di duecentosettanta giorni; per la forma piccola piccante, peso tra 5,5 kg e inferiore a 9 kg, con sapore decisamente piccante e con durata minima di stagionatura di sessanta giorni e massima di duecento giorni.
I MARCHI CHE NE
COMPROVANO L’ORIGINE
Il Gorgonzola è contraddistinto da due marchi che vengono apposti nella zona di produzione e di stagionatura, che attestano che il prodotto possieda le caratteristiche organolettiche e qualitative descritte nel disciplinare di produzione.
Il marchio all’origine viene apposto su entrambe le facce piane e contiene il numero di identificazione del caseificio; quello al momento in cui il prodotto ha raggiunto le caratteristiche per l’immissione sul mercato consiste in un foglio di alluminio goffrato che avvolge la forma e la mezza forma con taglio in orizzontale che consente rimanga impresso il marchio all’origine riportante il numero identificativo del caseificio ben visibile sulla faccia piana, e di avere sull’altra metà il marchio identificativo goffrato, riportato sull’alluminio a garanzia dell’autenticità e tracciabilità del prodotto. Sul foglio di alluminio goffrato ci sono inoltre la Denominazione di Origine Protetta “Gorgonzola” accompagnata dal simbolo dell’Unione della DOP e la dicitura “piccante” per la forma “piccante”, la forma “piccola piccante” e le rispettive mezza forma con taglio in orizzontale e frazioni, da riportare accanto o al di sotto della Denominazione di Origine Protetta “Gorgonzola”, utilizzando caratteri grafici di dimensioni inferiori a quelli utilizzati per quest’ultima.
IMMISSIONE
AL CONSUMO
Il Gorgonzola può essere commercializzato in forme intere, in mezze forme con taglio in orizzontale o in frazioni, avvolte dal foglio di alluminio goffrato. Può anche essere immesso sul mercato in frazioni preconfezionate, anche prive del foglio di alluminio goffrato, previa certificazione dell’organismo di controllo autorizzato op -
pure, qualora da quest’ultimo delegato, di altro organismo di controllo. Le frazioni preconfezionate devono essere ottenute da forme intere, mezze forme e frazioni di forme la cui origine sia stata certificata dall’organismo di controllo autorizzato. Ciò perché non è possibile procedere al taglio meccanico della forma e della mezza forma con taglio in orizzontale, considerato che la forma di Gorgonzola non presenta alcuna marchiatura sullo scalzo. Sono consentiti il taglio e il confezionamento di frazioni di Gorgonzola nel punto vendita al dettaglio su richiesta del consumatore, purché sia visibile il foglio di alluminio goffrato a garanzia dell’autenticità.
CARATTERISTICHE
ORGANOLETTICHE
Secondo l’ONAF (Organizzazione Nazionale degli Assaggiatori di Formaggio), il Gorgonzola dolce ha odore e aroma abbastanza delicati, con riconoscimenti di lattico cotto e sottobosco. A nche il sapore è poco aggressivo, con una leggera piccantezza, un’evidente tendenza dolce e, talvolta, una leggerissima nota di amaro. Il Gorgonzola piccante ha una pasta paglierina in cui spicca abbondante l’erborinatura con colonie blu-verdastre. Il profilo olfatto-gustativo è intenso e aggressivo. Odore e aroma, molto evidenti e persistenti, hanno riconoscimenti di fun -
go, di erbaceo fermentato e, a stagionatura avanzata, anche di ammoniaca, il tutto su base di lattico cotto. Il sapore è dominato dalla sapidità pronunciata, da una intensa piccantezza e, spesso, da una apprezzabile nota amara finale bilanciata da una persistente tendenza dolce. La pasta, compatta, è abbastanza molle, plastica, inizialmente appena adesiva, ma nel finale molto solubile.
CROSTA NON EDIBILE
Il Consorzio di Tutela del Gorgonzola obbliga i produttori a riportare in etichetta la dichiarazione di non edibilità della crosta del formaggio. Le motivazioni addotte riguardano soprattutto l’impossibilità di controllare eventuali contaminazioni di natura microbiologica che possono riguardare la crosta del Gorgonzola dalle fasi produttive al momento del consumo. In tutte le fasi produttive, fino al termine della maturazione in caseificio, la crosta entra in contatto con l’ambiente e quindi si può contaminare.
Contaminazione che si può ampliare ulteriormente nel percorso dal caseificio alla tavola del consumatore. Il Gorgonzola gode di una microflora di crosta importante per la maturazione del prodotto.
Il Consorzio sottolinea che: “Evidenze sperimentali suggerivano come, anche se saltuariamente, viste le caratteristiche della crosta disacidificata di questo particolare formaggio, potesse presentarsi il rischio di presenza di microrganismi indesiderati. Presa coscienza di questo rischio, i produttori, oltre a mettere in pratica differenti iniziative tecnologiche volte alla riduzione del rischio specifico, al fine di garantire la sicurezza hanno preferito indicare al consumatore un preciso comportamento, l’eliminazione della crosta, che aumenta la sicurezza di consumo del prodotto”. Il maggior pericolo microbiolo -
gico che riguarda la crosta del Gorgonzola e di altri formaggi a pasta molle ed erborinati è la Listeria monocytogenes , grazie alle loro caratteristiche intrinseche come pH sufficientemente alto (5,0-6,3), alta aw (> 0,97), alta umidità (55-58% e più) e bassa quantità di sale (1,4-1,6%). Inoltre, nei formaggi erborinati, a crosta lavata o fiorita a causa dell’intenso metabolismo delle muffe, si ha un innalzamento di pH durante la maturazione e questo porta, in presenza di contaminazione, a una crescita del batterio. L’applicazione del trattamento termico è generalmente sufficiente per inattivare l’agente patogeno presente nel latte crudo. Tuttavia, la Listeria può contaminare il formaggio nell’ambiente di stagionatura durante le fasi successive alla produzione. Le caratteristiche di L. monocytogenes e del prodotto consentono al patogeno di sopravvivere e moltiplicarsi durante la maturazione e la conservazione. La contaminazione, se presente, sembra essere limitata alla crosta. Lo studio “Frequenza e dinamiche di contaminazione da Listeria monocytogenes in forme di Gorgonzola DOP”, presentato durante la Giornata studio “Laboratorio Nazionale di Riferimento per Listeria monocytogenes”, Teramo, nel 2017, si è pre -
fisso di valutare la frequenza di contaminazione della crosta e della pasta alla fine del processo di stagionatura, prima che il formaggio sia sottoposto ad affettatura, stimare l’entità della contaminazione superficiale della crosta, valutare la frequenza e la quantità di trasferimento della contaminazione dalla crosta alla pasta durante l’affettatura, considerando i diversi strumenti utilizzati per il taglio con taglierina a filo e a ultrasuoni, stimare la curva di crescita di Listeria monocytogenes durante il periodo di conservazione del formaggio e valutare la frequenza di contaminazione della crosta in seguito alle misure di prevenzione adottate dalle aziende. È risultato che la contaminazione non era uniformemente distribuita sulla superficie della crosta delle forme contaminate. Il livello di contaminazione del filo non aumenta all’aumentare del numero di tagli e lo stesso vale per la contaminazione della superficie di taglio della pasta. I livelli di contaminazione dovuti alla diffusione della contaminazione superficiale durante il processo di taglio sono piuttosto bassi, specialmente con l’uso della taglierina a ultrasuoni, in genere sono molto al di sotto delle 100 cellule batteriche/cm 2 e, di conseguenza, inferiori a 100 cellule/g.
Il Gorgonzola, eccellenza italiana DOP
a cura della Redazione
Nato, pare per sbadataggine, intorno all’anno 1000 nella cittadina di Gorgonzola (MI), la storia del “Re degli erborinati” trova oggi radici nell’operosità di oltre 400 maestri casari del territorio di produzione, a cavallo tra Piemonte e Lombardia, che ogni giorno danno vita al Gorgonzola DOP mantenendo viva una straordinaria tradizione casearia italiana fatta di gesti antichi rimasti identici nel tempo. Dalle 39 aziende consorziate, dislocate nelle 15 province di produzione, sono partite nel 2022 più di 5 milioni di forme dirette in tutto il mondo, per un giro d’affari stimato in circa 800 milioni di euro. Oltre un terzo delle forme prodotte vola all’estero soprattutto verso Germania e Francia, Paesi in cui il Gorgonzola DOP è storicamente molto amato come dimostrano testi francesi in cui viene menzionato già nel ’700. Con il boom delle casere di stagionatura agli inizi del secolo scorso, le esportazioni si intensificarono. Nel 1912 compariva nel menu di prima classe del Titanic, salpato da Southampton, in Inghilterra, alla volta di New York. Durante gli anni ’40, nei fine settimana partiva da Novara un treno merci carico di forme dirette a Londra. Una delle destinazioni? Il ristorante della Camera dei Comuni. Nell’ottobre 1955, la denominazione di origine controllata “Gorgonzola” viene ufficialmente riconosciuta in Italia (con D.P.R. 1269). Per vigilare sul suo utilizzo, nonché sulla produzione e sul commercio del prodotto, nel 1970 nasce il Consorzio per la tutela del formaggio
Gorgonzola, ente senza fini di lucro che opera per tutelare produttori e consumatori. Più tardi, nel 1996, il Gorgonzola viene inserito nella lista dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta dell’Unione Europea e diventa DOP. Oggi il Gorgonzola DOP è sulle tavole di tutto il mondo, con una diffusione in 87 Paesi esteri, soprattutto nel continente europeo.
FA BENE PERCHÉ…
Grazie all’alto contenuto di minerali e vitamine, il Gorgonzola DOP è un alimento completo ad alta digeribilità, naturalmente privo di glutine e lattosio. Secondo la psicobiotica, ovvero la scienza che studia i batteri presenti nell’intestino e la loro capacità di influenzare il nostro umore, il Gorgonzola può essere definito un “mood food” perché è capace di contrastare l’ansia e aumentare il tono dell’umore. Secondo una ricerca condotta dal Weizmann Institute di Israele e pubblicata sulla rivista scientifica Cell Metabolism, i formaggi erborinati come il Gorgonzola DOP, insieme a piselli, soia e mais, sono in cima alla lista degli alimenti che potrebbero aiutare a
I NUMERI DEL GORGONZOLA
prevenire alcune gravi malattie come il cancro, il morbo d’Alzheimer e quello di Parkinson perché naturalmente ricchi di spermidina (Agi.it). Un’altra importante ricerca è quella commissionata questa volta direttamente dal Consorzio al Prof. Mario Del Piano, medico gastroenterologo, per appurare il quantitativo di lattosio presente nel Gorgonzola. I risultati della ricerca, che evidenziano come il Gorgonzola DOP sia “naturalmente privo di lattosio” (<0.1 g/100g), vengono confermati da una sperimentazione in collaborazione con il Centro di Ricerca CREA di Lodi. Il Gorgonzola può essere, quindi, consumato anche da chi soffre di intolleranze alimentari (circa il 70% della popolazione adulta).
Fonte Istat, Dati 2020
• È il 3° formaggio di latte vaccino nel panorama dei formaggi DOP italiani, dopo i due grana.
• È il 5° prodotto DOP per importanza nell’intero comparto agroalimentare italiano.
• 5.178.975 le forme prodotte nel 2023.
• 800 milioni di euro circa è il volume d’affari del Gorgonzola DOP al consumo oggi.
• 15 province di produzione, distribuite tra Piemonte e Lombardia.
• 38 aziende associate e circa 1.800 aziende agricole dedicate alla produzione di Gorgonzola DOP.
• Più di 1/3 della produzione è destinata all’esportazione verso 87 paesi sovrani.
• 115 milioni di Euro il valore dell’export. Principali Paesi importatori: Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Austria, Belgio e Svizzera
Hygienic Design per le custodie in acciaio inox
EiQ Industrial presenta la sua linea completa di carpenterie per quadri elettrici conformi agli standard Hygienic Design. Questa serie innovativa è stata sviluppata per rispondere alle esigenze sempre più rigorose di settori industriali come l’alimentare, dove la progettazione igienica è fondamentale per garantire sicurezza ed efficienza degli impianti. Per soddisfare queste esigenze, EiQ Industrial ha investito nella realizzazione di una gamma di quadri elettrici progettati appositamente per semplificare la pulizia, garantire la protezione e rispettare le normative internazionali in materia di igiene. L’intera gamma di prodotti Hygienic Design è certificata 3-A.
La linea di quadri elettrici Hygienic Design di EiQ Industrial è stata sviluppata seguendo i principi guida della progettazione igienica, con l’obiettivo di minimizzare i punti
di accumulo di batteri e facilitare la pulizia. I materiali utilizzati sono resistenti alla corrosione, non tossici e facili da igienizzare. Le carpenterie sono progettate per evitare spigoli vivi e fessure, eliminando ogni potenziale zona di accumulo di sporco, pur mantenendo la massima protezione dei componenti elettrici interni.
Un ulteriore valore aggiunto è rappresentato dalla facilità di accesso per la manutenzione e l’ispezione. I particolari costruttivi delle carpenterie sono facilmente smontabili, igienizzabili e rimontabili anche da parte dell’utente finale.
EIQ INDUSTRIAL www.eiqindustrial.com
Bottiglia per il latte in plastica bianca R-PET
Parmalat introduce la bottiglia in R-PET bianco per latte UHT in Italia, confermando il suo impegno per un’economia sempre più circolare. Il team di Ricerca & Sviluppo di Parmalat ha attivamente collaborato con la filiera del riciclo nel corso dell’ultimo anno, per migliorare l’intero processo arrivando a definire un flusso specifico dedicato alle bottiglie bianche per il latte, per ottenere PET riciclato
con cui realizzarne di nuove. Con un contenuto pari al 50% di PET riciclato sarà possibile non immettere nel mercato l’equivalente di circa 150 milioni di nuove bottiglie all’anno e risparmiare così oltre 3.000 tonnellate di PET vergine, corrispondenti a 2.536 m3 di plastica vergine. Da rifiuto a risorsa: ogni bottiglia, al fine del suo ciclo di vita, potrà quindi essere riciclata e reinserita all’interno del sistema produttivo, creando nuovo valore per i consumatori, le aziende e l’ambiente. Un successo reso possibile dalla collaborazione con Dentis Recycling Italy, operatore del mondo del riciclo, con cui l’azienda ha contribuito a sviluppare la prima filiera in Italia del riciclo per le bottiglie in PET bianco opaco. La composizione della bottiglia rende il packaging sempre più sostenibile confermando i più alti standard di sicurezza alimentare.
PARMALAT www.parmalat.it
Serbatoio di raffreddamento del latte conforme al Regolamento Europeo FGas
Il Regolamento Europeo FGas prevede che, a partire da gennaio 2025, tutte le nuove apparecchiature autonome di refrigerazione installate, chiller esclusi, utilizzino gas refrigeranti con GWP (Global Warming Potential) inferiore a 150. Gli impianti preesistenti potranno essere utilizzati e riparati per la durata della loro vita economica.
Tuttavia, a partire dal 2032, i sistemi di raffreddamento che utilizzano refrigeranti con un valore di GWP superiore a 750, chiller esclusi, non potranno più essere riempiti durante gli interventi di manutenzione e assistenza. La gamma di tank refrigeranti DFC 953 è disponibile per la mungitura robotizzata con 1-8 robot, con una capacità variabile tra i 3.200 e i 30.000 litri. Il compressore della gamma di serbatoi di raffreddamento del latte DFC 953 opera con controllo di frequenza, mantenendo l’esatta velocità di
cui il processo necessita. Sia un piccolo lotto da 20 litri di latte che uno da 200 litri, verranno refrigerati alla giusta temperatura, così da impedire la formazione di ghiaccio nel serbatoio. I serbatoi della gamma DFC 953 sono compatibili con ogni ogni robot di mungitura e sono disponibili diversi kit di adattatori. Il sistema di controllo offre molteplici opzioni per un’adeguata agitazione e per il monitoraggio della temperatura, così come avanzate funzioni di allarme. Un pulsante per il consumo interno permette agli utenti di prelevare il latte per le proprie necessità. Un ugello a spruzzo garantisce un’accurata pulizia all’interno del tank, eliminando eventuali depositi di calcio e impedendo la proliferazione batterica.
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L’ERP di Centro Software aumenta il valore delle imprese
Centro Software offre le proprie soluzioni altamente customizzate anche per le aziende del settore caseario, con comprovati risultati che permettono alle aziende di beneficiare di un miglioramento complessivo di produttività, che spesso si concretizza anche in crescita e aumento di valore, come dimostrano i casi di Caseificio Elda e Podere dei Leoni. Grazie all’ERP di Centro Software, infatti, le aziende hanno la capacità di gestire tutte le fasi specifiche delle operazioni alimentari, che vanno dallo stoccaggio delle materie prime al controllo qua-
lità, alla tracciabilità e al controllo delle scadenze, gestione del magazzino e distribuzione. Il software ERP per il settore alimentare sviluppato di Centro Software, ad esempio, è una soluzione studiata appositamente per la gestione dei processi aziendali tipici delle aziende di questa filiera: può rivoluzionare l'efficienza e la tracciabilità lungo tutta la catena di fornitura, offrendo un controllo completo e una gestione ottimale dei lotti e delle scadenze. Grazie alla capacità di gestire tutte le fasi specifiche delle operazioni alimentari, dallo stoccaggio alla distribuzione internazionale, il software ERP di Centro Software ha consentito a Caseificio Elda e Il Podere dei Leoni di adattarsi rapidamente alle specifiche dinamiche del mercato del fresco e di mantenere alti standard di qualità e sicurezza, fondamentali per il successo nel settore alimentare moderno.
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La DOP economy gode di buona salute
La categoria dei formaggi conta 57 denominazioni, rappresentando oltre il 60% del valore alla produzione e quasi il 59% del valore dell’export del comparto IGP
Diletta Gaggia
La DOP economy italiana è in buona salute, nonostante le ben note criticità del sistema produttivo agricolo e dei mercati. “Nel 2023 il valore complessivo dei prodotti alimentari e dei vini DOP e IGP
italiani si è attestato, per il secondo anno consecutivo, sopra i 20 miliardi di euro, registrando un’ulteriore lieve crescita su base annua (+0,2%) nonostante gli effetti degli aumenti dei costi di produzione e dei cambiamenti climatici abbiano messo a dura prova il settore delle IG e tutta l’agricoltura”,
scrive Sergio Marchi, Direttore Generale Ismea, nell’editoriale di apertura della XXII edizione del “Rapporto Ismea - Qualivita 2024 sulle produzioni agroalimentari e vitivinicole italiane DOP, IGP e STG”. “La DOP Economy continua così a rappresentare circa un quinto del valore complessivo della
produzione del settore agroalimentare del nostro Paese, a testimonianza di come tale sistema, che conta circa 195 mila operatori tra aziende agricole e trasformatori, costituisca un asset strategico e stabile per la valorizzazione delle filiere agricole attraverso la certificazione di qualità”, prosegue Marchi.
FORMAGGI DOP, IGP E STG
La categoria dei formaggi conta 57 denominazioni e rappresenta oltre il 60% del valore alla produzione e quasi il 59% del valore dell’export del comparto cibo IG. Torna a crescere la produzione certificata raggiungendo il livello più alto dell’ultimo quinquennio, grazie soprattutto al contributo di alcune delle principali DOP.
Continuano a crescere valore alla produzione, che supera i 5,5 miliardi di euro, ed export che, grazie a prezzi ancora sostenuti, oltrepassa i 2,7 miliardi di euro.
I VALORI DELLA
DOP
ECONOMY
La DOP economy italiana conferma nel complesso i dati positivi degli ultimi anni. “Il valore totale della produzione certificata di cibo e vino DOP e IGP nel 2023 resta sopra la soglia dei 20 miliardi di euro per un +0,2% su base annua e un contributo del 19% al fatturato dell’agroalimentare nazionale. Risultati che sono frutto di un andamento opposto fra il comparto cibo in crescita del +3,5%, che raggiunge 9,17 miliardi di euro, e il settore vitivinicolo in calo del -2,3% con un valore di 11,03 miliardi di euro”, si legge nel report Ismea-Qualivita.
Gli impatti territoriali delle filiere DOP e IGP, dopo due anni consecutivi di crescita diffusa nelle regioni e nelle province, nel 2023 presenta un quadro più variegato.
Sul fronte esportazioni il comparto DOP e IGP nel 2023 raggiunge 11,6 miliardi di euro (-0,1%), con 4,67 miliardi di euro per il cibo e 6,89 miliardi di euro per il vino. Nel merca-
to interno la spesa per i prodotti DOP e IGP nella GDO è cresciuta del +7,2% su base annua, fino a raggiungere i 5,9 miliardi di euro, con il +9,5% per i prodotti alimentari e il +2,7% per il vino, dati confermati nei primi nove mesi del 2024 (+1,2% rispetto allo stesso periodo del 2023).
195 MILA OPERATORI
E 850 MILA OCCUPATI
Il comparto del cibo e del vino a Indicazione Geografica genera un valore da anni in crescita sui mercati di tutto il mondo e ricopre un rilevante peso economico nel sistema agroalimentare dell’Italia. La DOP economy rappresenta un ambito strategico perché è espressione di un patrimonio che appartiene ai territori, non delocalizzabile, espressione di un insieme di fattori ambientali, culturali, storici e sociali. Alla base di questo sistema vi sono gli operatori, che fanno parte di varie fasi della filiera produttiva DOP e IGP e aderiscono ai criteri dei disciplinari di produzione. “Nel complesso, nel 2023 si riscontrano in Italia 194.387 operatori della Dop economy, di cui 186.547 produttori e 31.197 trasformatori. Il settore
REG. EU 2024/1143 -
vitivinicolo DOP IGP conta 107.175 operatori e il comparto agroalimentare 87.212. Le categorie con il maggior numero di operatori sono oli di oliva (25.004), formaggi (24.598) e ortofrutticoli e cereali (21.438)”, evidenzia il documento. Il Rapporto Ismea-Qualivita 2023 approfondisce per la prima volta l’impatto della DOP economy sull’occupazione, elaborando i dati INPS sui rapporti di lavoro nella fase agricola e nella fase di trasformazione delle filiere produttive DOP e IGP: “Nel complesso, si stimano 847.405 occupati nella DOP economy italiana nel 2023.
Nella fase agricola si riscontrano 510.260 occupati, fra rapporti di lavoro di operai agricoli dipendenti, lavoratori agricoli autonomi e coltivatori diretti.
Nella fase di trasformazione si contano 337.145 occupati, fra rapporti di lavoro a tempo indeterminato e rapporti a tempo determinato o stagionali. Il settore vitivinicolo DOP IGP conta 332.506 occupati, mentre il comparto agroalimentare 585.543. Le categorie con il maggior numero di occupati sono ortofrutticoli e cereali (163.670) e carni fresche (158.480), cui seguono oli di oliva (110.789) e formaggi (94.950)”.
IL RUOLO STRATEGICO DEI CONSORZI DI TUTELA NELLA SOSTENIBILITÀ
Il Regolamento europeo 2024/1143, pur non introducendo obblighi specifici per le Indicazioni Geografiche in tema di sostenibilità, traccia una direzione chiara per il futuro del settore. In questo scenario, i Consorzi di tutela assumono una funzione centrale: da semplici custodi delle norme diventano promotori e coordinatori di azioni volte a sviluppare una sostenibilità concreta. Il loro impegno è indirizzare le aziende della filiera verso obiettivi condivisi che migliorino l’impatto ambientale, sociale ed economico delle produzioni DOP e IGP. Le imprese, a loro volta, devono rispondere con maggiore attenzione e partecipazione alle iniziative collettive per la sostenibilità. Il regolamento individua chiaramente le priorità da perseguire: riduzione delle emissioni di gas serra, gestione sostenibile di risorse idriche e del suolo, adattamento ai cambiamenti climatici e una comunicazione trasparente al consumatore, evitando il rischio di greenwashing.La relazione annuale sulla sostenibilità, redatta dai Consorzi di tutela come previsto dal regolamento, rappresenta uno strumento cruciale che garantisce una condivisione chiara delle scelte adottate, rafforzando la fiducia del consumatore con informazioni concrete e verificabili, oltre a fornire una solida base giuridica per il rispetto degli impegni assunti.
Formaggi DOP, IGP e STG
Dopo due anni consecutivi di crescita diffusa per la DOP economy italiana, nei quali si sono registrati dati in aumento in diciotto regioni su venti, nel 2023 il quadro si presenta più variegato secondo i dati emersi dall’analisi Ismea-Qualivita. Le quattro regioni del
Nord-Est mostrano risultati piuttosto stabili (-0,6% sul 2022) e nel complesso rappresentano il 54% del settore nazionale delle DOP e IGP con un valore totale che sfiora gli 11 miliardi di euro: a frenare è soprattutto il calo dell’Emilia-Romagna (-2,4%), mentre crescono il Friuli Venezia Giulia (+1,4%) e il Veneto (+0,4%) che, con 4,85 miliardi di euro, si conferma leader rappresentando quasi
un quarto del valore del comparto DOP e IGP italiano. Bene nel complesso il NordOvest (+1,5%) in cui la DOP economy vale 4,33 miliardi di euro, trainato in particolare dalla Lombardia, che supera per la prima volta i 2,5 miliardi di euro e con il +3,3% registra una crescita per il terzo anno consecutivo; frenano il Piemonte (-1,2%), dopo la forte crescita del 2022, e la Liguria (-2,0%),
TIENE IL NORD, SUD E ISOLE SEMPRE IN CRESCITA
Italia DOP IGP STG
Italia DOP IGP STG
DATI ECONOMICI 2023
Formaggi DOP IGP STG
sale la Valle d’Aosta (+3,2%). L’area Sud e Isole, sempre in crescita negli ultimi 5 anni, registra il risultato migliore sia in termini assoluti, con 120 milioni di euro in più rispetto al 2022, sia in termini relativi, con il +4,0% su base annua. A trainare è soprattutto la Sardegna (+19,0%), ma registrano ottimi risultati anche Abruzzo (+10,6%), Campania (+2,9%) e Sicilia (+2,2%); frena soprattutto la Puglia (-7,5%). Il Centro, al contrario, mostra i risultati peggiori con un -3,9% nel complesso condizionato soprattutto dalla Toscana (-5,5%), che rappresenta la gran parte del valore economico dell’area, e con il Lazio unica regione in crescita (+8,8%). Fra le prime venti province per valore, i risultati migliori del 2023 in termini assoluti sono quelli di Brescia (+52 mln €), Treviso (+33 mln €), Vicenza (+31 mln €), Cremona (+24 mln €) e Udine (+20 mln €). In calo soprattutto Modena (-8,6%), Verona (-4,8%), Siena (-4,4%) e Reggio nell’Emilia (-3,4%).
SEMPRE PIÙ CIBO
DOP E IGP NEL CARRELLO
DELLA SPESA
Secondo i dati dell’Osservatorio sui consumi alimentari Ismea-NielsenIQ, nel 2023 la spesa per i prodotti DOP e IGP nella Grande Distribuzione Organizzata è cresciuta del +7,2% su base annua, fino a raggiungere i 5,9 miliardi di euro, con il +9,5% per i prodotti alimentari e il +2,7% per il vino.
La dinamica della spesa dei prodotti DOP e IGP è in linea con quanto rilevato per l’intero comparto alimentare, la cui spesa nel 2023 è cresciuta del +8,6% nel complesso, con un carrello leggermente alleggerito nei volumi. Determinante l’aumento generalizzato dei prezzi, anche se nel corso del 2023 l’inflazione è rallentata, come testimonia l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), che dopo il +8,1% del 2022 ha segnato un +5,7% nel 2023. In valore, i principali comparti dei prodotti
DOP e IGP hanno registrato un aumento della spesa nella GDO, fatta eccezione per la frutta fresca; in volume sono cresciute le vendite di formaggi e oli di oliva, mentre sono diminuite quelle dei prodotti a base di carne e del vino. Si tratta comunque di performance migliori di quelle registrate dai corrispondenti prodotti generici, a conferma del fatto che gli italiani non hanno rinunciato alla qualità.
Nel corso dei primi nove mesi del 2024, i dati sulla spesa alimentare degli italiani confermano i livelli del 2023, con un +0,8% su base annua; pressoché in linea la dinamica per cibo e vino DOP e IGP, con un +1,2% rispetto allo stesso periodo del 2023. Si conferma il ruolo dei discount per i prodotti DOP e IGP che, nel corso del 2024, raggiungono una quota di mercato di oltre il 18%; anche del ricorso della GDO alle vendite in promozione che per i prodotti DOP e IGP risulta più elevato rispetto ai prodotti generici.
I vantaggi della scienza applicata a latte e latticini ovini e caprini
Una migliore conoscenza delle caratteristiche organolettiche e biologiche permette di sviluppare e migliorare gli alimenti
aziende. L’obiettivo ambizioso puntava a raggiungere un tasso di fertilità del 98%, che è quello considerato efficiente per un allevamento ben organizzato.
I risultati sono stati molto positivi, innanzitutto in termini di emissioni con una riduzione verificata del 26%, che è dipesa soprattutto dalla scelta di aumentare il numero di agnelli giovani rispetto agli adulti. Tra gli altri effetti positivi c’è stata un’auspicata crescita della produzione di latte che ha contribuito all’aumento dei guadagni, cresciuti anche per la disponibilità di un maggior numero di animali da macello. In termini numerici i risultati sono molto netti: il latte prodotto è cresciuto del 7%, del 18% e del 21% a seconda delle tecniche seguite, e il guadagno addirittura del 29% nel primo caso e del 57% nei restanti casi.
PRESERVARE
LA BIODIVERSITÀ
CON COLTURE
STARTER NATURALI
Un secondo ricercatore, Luigi Chessa, si è invece concentrato sulle colture starter naturali raccontando di uno studio che le ha utilizzate per preservare nelle produzioni lattiero-casearie la biodiversità. Con questo termine ci si riferisce in particolare alla biodiversità microbica, ossia la varietà di microrganismi presenti in un ecosistema. Il latte crudo è un ricco serbatoio di microrganismi e ognuno di essi può svolgere un ruolo specifico nel processo di trasformazione. È per questo che è così importante conoscere le caratteristiche microbiotiche; non solo per avere una migliore conoscenza della qualità del latte e per garantire la sicurezza alimentare, ma anche per adottare strategie di gestione microbica che possano migliorarne il valore nutrizionale e anche il sapore. Negli ultimi decenni si è registrata una progressiva riduzione di biodiversità in tutti i prodotti, come effetto secondario del miglioramento delle condizioni igieniche delle materie prime e dei processi produttivi. Anche per questo sono necessari gli starter mi-
crobici per avviare la fermentazione. E di starter microbici ne esistono di due categorie: le colture starter naturali e quelle selezionate. Le prime sono fondamentali per la conservazione della biodiversità microbica, contribuiscono all’unicità dei prodotti DOP, rafforzano i legami tra prodotto e territorio d’origine, sono più resistenti agli attacchi di virus batteriofagi, e sono sostenibili. Hanno tuttavia una minor concentrazione cellulare per g/mL e sono difficili da standardizzare e riprodurre. Le colture selezionate sono al contrario vantaggiose in termini di concentrazione cellulare e facilità di propagazione e sono costanti nelle performance. Tuttavia, sono più sensibili ai virus, con il loro uso intenso tendono a sostituirsi alle comunità microbiche autoctone complesse e riducono la biodiversità microbica.
Alcuni case study
Il ricercatore ha illustrato alcuni studi nei quali si è intervenuti in maniera efficace sugli starter. In un progetto dedicato al Pecori-
no Romano DOP sono stati utilizzati dei fermenti lattici naturali raccolti negli anni Sessanta. Le colture sono state rivitalizzate, concentrate e congelate a -80°C, caratterizzate e infine miscelate.
Lo studio si è concentrato su quale fosse il migliore substrato per riprodurre queste colture e ha permesso di scoprire che l’utilizzo della scotta diluita 50/50 (v/v) e chiarificata per centrifugazione permette di incrementare di 1 Log UFC/g la concentrazione microbica starter, preservando gli equilibri tra gruppi microbici, con assoluto rispetto degli indicatori relativi alla sicurezza alimentare. Da qui la successiva produzione nei caseifici di Pecorino Romano DOP con ottimi risultati qualitativi e sensoriali per i diversi formaggi stagionati a 8, 12 e 24 mesi.
Un secondo studio ha avuto invece lo scopo di trovare una coltura starter naturale direttamente per il latte crudo, evitando i sistemi che prevedono trattamenti termici. Anche in questo caso ottimi i risultati: nella coltura starter si sono mantenuti i microrganismi pro lattieri, ossia cocchi lattici ma anche bacilli (mesofili e termofili), mentre stafilococchi e coliformi, oltre che lieviti e muffe, sono spariti. La coltura ha mostrato anche buone capacità di acidificazione.
VALORI NUTRIZIONALI
DEL FORMAGGIO PECORINO
Un altro campo di studi in cui ci sono sviluppi molto importanti approfondisce gli aspetti nutrizionali dei prodotti, tema su cui è intervenuta Margherita Addis che ha presentato le analisi di tre pecorini DOP. Il primo formaggio preso in esame è stato il Pecorino Romano DOP che assorbe circa l’80% del latte conferito dai produttori dell’isola. L’indagine ha analizzato 180 forme (prima annata) e 130 forme (seconda annata), provenienti da 12 aziende che rappresentano il 64% della produzione totale, con l’obiettivo di aggiornare la tabella nutrizionale.
I valori considerati hanno fatto riferimento a porzioni da 100 e 50 grammi, quest’ultima misura è quella indicata dalle Linee Guida del CREA per una sana ed equilibrata alimentazione (anche tre volte la settimana). L’analisi è servita a confermare che anche per questa dose è corretta la dizione “ad alto contenuto di proteine”, perché almeno il 20% dell’energia fornita dall’alimento proviene dalle proteine. L’elevata quantità di acidi grassi saturi e di sale segnalata dai risultati può essere mitigata dall’assunzione di dosi ridotte (appunto di 50 gr). Per il Pecorino Sardo DOP nella versione maturo si sono analizzate 126 forme, anche in questo
caso in periodi dell’anno e tempi di stagionatura diversi. E si è confermato l’alto contenuto di proteine, con una diminuzione dell’alert sul sale.
Per il terzo formaggio in esame, il Fiore Sardo DOP, sono state analizzate oltre 50 forme nei diversi periodi e, ancora una volta, è stato confermato l’elevato contenuto di proteine della dose da 50 grammi. La ricercatrice ha sottolineato che l’importanza di questo risultato, non inaspettato, risiede nel fatto che spesso si tende a dimenticare che questi formaggi possono essere una soluzione naturale per chi desidera o necessita di un alto apporto proteico. Per i produttori lattiero-case-
ari, un risultato importante della ricerca riguarda la tolleranza, termine con cui si indica la differenza accettabile tra i valori nutritivi indicati in etichetta e quelli constatati nei controlli ufficiali. Per tutti i formaggi analizzati l’intervallo di tolleranza è stato abbastanza ampio e i valori rilevati per i diversi elementi (grassi, carboidrati, proteine e sale) sono stati all’interno dell’intervallo. Tuttavia, la variabilità e le differenze tra le diverse analisi sono elevate, in particolare per il sale, per il quale la standardizzazione in fase di produzione è più difficile. L’indagine si è preoccupata poi di analizzare altri parametri (non obbligatori) per migliorare la qualità delle informazioni nutrizionali a disposizione, quali gli acidi grassi e le vitamine scoprendo che, per tutte e tre i formaggi, 100 grammi di prodotto sono da considerarsi ad alto contenuto di vitamina A (una quantità molto più alta rispetto a quella considerata “significativa”).
Ma non solo. Dall’analisi di ulteriori 31 elementi è stato rilevato un maggior contenuto di zinco, ferro, rame e manganese nel Pecori-
no Sardo rispetto a quello Romano: in ogni caso, entrambi possono a buon diritto essere identificati come “ad alto contenuto” di calcio, fosforo, zinco e selenio.
Altro dato interessante, i formaggi prodotti nel periodo primaverile forniscono per le donne il 15% dell’apporto dietetico di magnesio consigliato. Una buona notizia è che gli elementi tossici, come il cadmio, l’arsenico, il piombo o il mercurio, non sono mai stati rilevati in concentrazioni di interesse tossicologico. Infine, un risultato importante rispetto al contenuto di lattosio per i diffusi problemi di intolleranza. Tutte le varietà di formaggi possono essere definite “naturalmente privi di lattosio” perché la quota rilevata è inferiore a 100 mg/100 g: solo 2 e 3 mg per i due pecorini e 40 per il Fiore. Inoltre, i due pecorini rispettano sia i suggerimenti più restrittivi del regolamento europeo in tema di alimenti destinati ai lattanti, sia i limiti più severi dei nostri esistenti in paesi come la Spagna e molti stati nordici (Danimarca, Svezia, Norvegia e Stati baltici).
PRODUZIONE BIOLOGICA
Di formaggi ovini biologici a breve periodo di maturazione ha parlato, infine, il ricercatore Giacomo Lai con un focus sul formaggio erborinato. I formaggi a media e lunga stagionatura rappresentano la quota maggiore della produzione casearia sarda, e necessitano di costante innovazione tecnologica. Il programma FOR.BIO si è occupato dei nuovi processi di trasformazione del latte di pecora biologico in alcuni formaggi a breve periodo di maturazione.
Anche per andare incontro alle esigenze di consumatori intolleranti si è lavorato con l’obiettivo di produrre formaggi senza lattosio (ossia con livelli inferiori allo 0,1 g per 100 g), ottenuti con coagulanti diversi da quelli di origine animale, quindi con cagli microbici. I risultati ottenuti adottando i due sistemi sono poi stati messi a confronto.
Nel caso preso in esame dal ricercatore, quello del formaggio erborinato, i parametri di resa tecnologica dei due sistemi non si
sono discostati molto. Tra i dati segnalati, la resa di trasformazione e la resa corretta con valori simili che indicano una buona standardizzazione dei processi attuati in azienda, il coefficiente di recupero del grasso con valori molto elevati, intorno al 90%, mentre il coefficiente di recupero della proteina è intorno all’80%, con oscillazioni stagionali. Il lattosio residuo basso permette quindi l’uso, come nel caso dei pecorini dello studio precedente, di utilizzare l’indicazione “naturalmente privo di lattosio”.
Anche nel caso del formaggio erborinato è stata importante l’analisi della composizione fisico-chimica e nutrizionale. Sia che fosse stato impiegato il caglio animale che quello microbico, i valori non si sono discostati fra loro e questo sia per il pH che per l’umidità (costante anche a livello stagionale), così come per i grassi (che invece crescono nella stagione estiva), le proteine (che invece diminuiscono leggermente), i carboidrati e il sale (molto contenuto). Il valore energetico complessivo registrato è
stato simile e tende ad aumentare con l’avanzare della stagione per effetto della crescita dei grassi.
Anche la proteolisi ha valori crescenti durante la stagionatura, senza differenze a seconda del caglio utilizzato e prosegue al termine della stagionatura. Si è osservato a 90 giorni un valore elevato di azoto solubile totale superiore al 50%. Ed è questo che con-
tribuisce, insieme ad altri fattori, all’ammorbidimento e alla cremosità del formaggio. Infine, lo studio ha analizzato la lipolisi: il contenuto di acidi grassi liberi è stato monitorato nel corso della stagionatura, rilevando come sia trascurabile a 24 ore, ma abbia poi uno sviluppo molto accentuato per tutti i tipi di acidi grassi. Ancora una volta il tipo di caglio non influenza il processo.
AVV. CHIARA MARINUZZI
Studio Legale
Gaetano Forte
USO DI INGREDIENTI A
DENOMINAZIONE TUTELATA:
COSA FARE?
Il settore del gelato è evidentemente un esempio che la recente Fiera del Sigep ha portato in luce, ma che in realtà il fenomeno interessa ormai trasversalmente moltissimi prodotti trasformati: Come deve regolarsi un operatore nel caso di uso di ingredienti DOP o IGP? Oggi la regolamentazione è reperibile nel recente Regolamento (UE) 2024/1143 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, relativo alle indicazioni geografiche dei vini, delle bevande spiritose e dei prodotti agricoli, nonché alle specialità tradizionali garantite e alle indicazioni facoltative di qualità per i prodotti agricoli, divenuto applicabile dal 13 maggio 2024. Il nuovo articolo 27 (Uso di indicazioni geografiche che designano un prodotto utilizzato come ingrediente nel nome di un prodotto trasformato) prevede:
1. Fatti salvi l’articolo 26 e l’articolo 37, paragrafo 7, del presente regolamento e gli articoli 7 e 17 del Regolamento (UE) n. 1169/2011, l’indicazione geografica che designa un prodotto utilizzato come ingre-
diente in un prodotto trasformato può essere usata nel nome di tale prodotto trasformato, nella relativa etichettatura o nel relativo materiale pubblicitario se:
a) il prodotto trasformato non contiene alcun altro prodotto comparabile all’ingrediente designato dall’indicazione geografica;
b) l’ingredie nte designato dall’indicazione geografica è utilizzato in quantità sufficienti a conferire una caratteristica essenziale al prodotto trasformato in questione; e
c) la percentuale dell’ingrediente designato dall’indicazione geogr afica nel prodotto trasformato è indicata in etichetta.
2. Inoltre, i produttori di un alimento preimballato, quale definito all’articolo 2, paragrafo 2, lettera e), del Regolamento (UE) n. 1169/2011, che contiene come ingrediente un prodotto designato da un’indicazione geografica, che desiderano utilizzare tale indicazione geografica nel nome di tale alimento preimballato, compreso nel materiale pubblicitario, forniscono una notifica preventiva scritta al gruppo di produttori riconosciuto, se tale gruppo esiste, per l’indicazione geografica in questione.
Tali produttori includono in detta notifica le informazioni che dimostrano che le condizioni elencate al paragrafo 1 del presente articolo sono soddisfatte e agiscono di conseguenza. Il gruppo di produttori riconosciuto conferma il ricevimento di tale notifica per iscritto entro quattro mesi. Il produttore dell’alimento preimballato può iniziare a utilizzare l’indicazione geografica nel nome dell’alimento preimballato dopo il ricevimento di tale conferma o dopo la scadenza del termine, se precedente.
Il gruppo di produttori riconosciuto può allegare a tale conferma informazioni non vincolanti sull’uso dell’indicazione geografica in questione. Gli Stati membri possono preve-
dere, in linea con i trattati, norme procedurali supplementari relative ai produttori di alimenti preimballati stabiliti sul loro territorio.
3. Fatto salvo il paragrafo 1, il gruppo di produttori riconosciuto e il produttore dell’alimento preimballato possono concludere un accordo contrattuale sugli aspetti tecnici e visivi specifici del modo in cui l’indicazione geografica dell’ingrediente è presentata nel nome dell’alimento preimballato nell’etichettatura, al di fuori dell’elenco degli ingredienti o nel materiale pubblicitario”.
Analoga disposizione era già prevista in Italia dal D.Lgs. 9 novembre 2004, n. 297 (Disposizioni sanzionatorie in applicazione del Regolamento (CEE) n. 2081/92, relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari) che prevede la possibilità di evidenziare la presenza di un ingrediente a denominazione tutelata, a condizione che vi sia l’autorizzazione del Consorzio di Tutela o, in mancanza, del Ministero delle Politiche Agricole.
Al fine di consentire ai trasformatori di essere conformi alle norme sopra citate, molti consorzi di tutela hanno fornito apposite linee guida non solo sulla modulistica autorizzativa, ma anche e soprattutto per delineare le modalità di presentazione del prodotto. Interessante, tornando al comparto delle gelaterie, il documento del Consorzio
Tutela della Nocciola del Piemonte che ha elaborato un “Promemoria per le gelaterie che intendono indicare nel segnagusto e/o locandina del loro prodotto trasformato l’indicazione ‘Nocciola Piemonte I.G.P.’” (reperibile sul relativo sito web).
Qui si legge: “Le gelaterie che intendono indicare nel segnagusto e/o locandina del loro prodotto trasformato l’indicazione “Nocciola Piemonte I.G.P.” devono:
- richiedere l’approvazione del segnagusto e/o la locandina (di cui viene dato un esem-
pio) al Consorzio attraverso la presentazione di un apposito modello di richiesta; - compilare e tenere aggiornato apposito registro di carico/scarico prodotto (di cui viene fornito il modulo).
Dal punto di vista dell’etichettatura, il segnagusto e/o la locandina devono riportare la seguente indicazione “NOCCIOLA: Prodotto ottenuto esclusivamente da ‘Nocciola Piemonte IGP’” oppure “NOCCIOLA: solo con ‘Nocciola Piemonte IGP’”.
Molti consorzi di tutela, per le modalità di etichettatura, fanno riferimento ai “Criteri per l’utilizzo del riferimento a una denominazione d’origine protetta o a un’indicazione geografica protetta nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità di un prodotto composto, elaborato o trasformato”, elaborati dal Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste e periodicamente revisionati. Due aspetti interessanti di tale documento sono che : “1. le diciture Denominazione di Origine Protetta o Indicazione Geografica Protetta o i loro acronimi DOP o IGP per essere utilizzati in etichetta dovranno essere posti di se-
guito alla denominazione tutelata, in modo che sia chiaro e non suscettibile di indurre in errore il consumatore che tali diciture o acronimi si riferiscono al prodotto registrato utilizzato come ingrediente e non al prodotto composto, elaborato o trasformato. Per tale ragione dovranno essere posti tra virgolette sia la denominazione tutelata che le diciture o gli acronimi;
2. le dimensioni del carattere utilizzato per il riferimento alla denominazione tutelata nell’etichettatura, nella presentazione o nella pubblicità del prodotto composto, elaborato o trasformato devono essere inferiori alle dimensioni del carattere utilizzato per la denominazione della ditta, dei marchi dalla stessa utilizzati nonché della denominazione di vendita del prodotto composto, elaborato o trasformato”.
RISCHI E RESPONSABILITÀ
Cosa può succedere se non rispetto le regole delle modalità di uso ed etichettatura dei prodotti trasformati con ingredienti DOP o IGP? La risposta è nel D.Lgs. 297/94 che all’art. 1 prevede una sanzione da euro 2500
a euro 16.000 per “chiunque impiega commercialmente in maniera diretta o indiretta una denominazione protetta [...] o il segno distintivo o il marchio, registrati ai sensi del citato regolamento” in assenza di autorizzazione del Consorzio di tutela della denominazione protetta riconosciuto o in mancanza del provvedimento di riconoscimento del Consorzio, dal MASAF. La sanzione è esclusa quando il riferimento alla denominazione protetta è riportato soltanto tra gli ingredienti del prodotto confezionato che lo contiene o in cui è elaborato o trasformato.
A prescindere dal caso di uso di ingredienti a denominazione tutelata non conformi alle disposizioni sopra citate, l’operatore deve sempre fare attenzione a richiami evocativi di prodotti a denominazione che potrebbero portare a contestazioni diverse e forme di pratiche commerciali scorrette.
CONCLUSIONI
Il mondo delle indicazioni di origine è in continua e forte espansione e sempre più frequente è l’utilizzo di tali prodotti negli alimenti trasformati.
Tale operazione, che è un forte appeal per il consumatore, è tuttavia soggetta a specifiche regole oggi fissate dal Regolamento UE 1143/2024 che unitamente alla normativa nazionale vigente definiscono il quadro all’interno del quale è possibile valorizzare tali ingredienti senza incorrere in sanzioni.
Alla luce delle sfide globali che l’industria alimentare è chiamata ad affrontare, AlimentiPiù ha tracciato gli scenari di mercato e di consumo, con un’attenzione ai temi della sostenibilità delle filiere tecnologie della
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grande paura a causa dei dazi. Per questo motivo serve grande attenzione da parte della politica e delle istituzioni”. “Il futuro è un futuro di crescita. Cresce la popolazione mondiale e con essa la domanda di proteine, a cui consegue la crescita della domanda di latte. L’Europa ha portato grandi vantaggi grazie al mercato unico, ma deve essere più pragmatica”, conclude Zanetti.
LA DIETA MEDITERRANEA
NON ESISTE SENZA
IL LATTIERO-CASEARIO
Qualunque piatto iconico della tradizione culinaria italiana non esisterebbe senza i prodotti lattiero-caseari.
“L’industria lattiero-casearia continua a ricoprire un ruolo di primo piano nell’industria agroalimentare italiana”, ne illustra i risultati Valerio De Molli, Managing Partner e Amministratore Delegato di The European House - Ambrosetti. “I numeri chiave del settore evidenziano tutti un trend di crescita: 25 miliardi di fatturato, di cui 21,8 mld è l’industria in senso stretto; 6,3 miliardi di export posizionandosi al 3° posto della filiera agroalimentare (con il 9% del totale); 5,1 miliardi di valore aggiunto; per concludere questo è un comparto che più di altri investe per la crescita e l’innovazione”.
COSA PUÒ
ASPETTARSI L’ITALIA?
“Siamo in un momento cruciale per quanto riguarda la politica agricola”, ricorda Herbert Dorfmann, eurodeputato e membro Commissione per l’agricoltura e lo sviluppo rurale. “Abbiamo vissuto decenni in cui c’era troppo prodotto sul mercato, per fortuna stiamo uscendo da questa fase e abbiamo un mercato più dinamico. A mio avviso avremo una situazione sempre più competitiva negli anni a venire”.
“FONTINAMI
2025”: TORNA L’EVENTO CHE PORTA LA FONTINA DOP NELL’ALTA RISTORAZIONE MILANESE
Sono stati presentati, alla Terrazza Palestro a Milano, i protagonisti della quarta edizione di “FontinaMI”, l’evento diffuso e promosso dal Consorzio Produttori e Tutela della DOP Fontina, che si svolgerà da lunedì 10 a domenica 23 febbraio 2025. Anche quest’anno saranno dodici i ristoranti milanesi coinvolti, tra new entry e veterani della manifestazione, ma con una novità: gli chef s aranno chiamati a cimentarsi con una delle tre nuove tipologie di Fontina DOP. Il Presidente del Consorzio Andrea Barmaz e la conduttrice radiofonica e docente Francesca Romana Barberini hanno invitato sul palco gli chef per estrarre a sorte la tipologia di Fontina DOP con cui realizzeranno il piatto inedito da inserire in menù durante le due settimane di “FontinaMI 2025”.
La formula della manifestazione non cambia: i dodici locali milanesi, tra ristoranti tradizionali e quelli noti anche per la proposta aperitivo, proporranno in carta un piatto creato appositamente per “FontinaMI” con una delle tre tipologie di Fontina DOP e offriranno in omaggio, ai clienti che sceglieranno quel piatto, un entrée davvero speciale: un amuse-bouche, anch’esso inedito, affiancato da un assaggio di Fontina in purezza. Secondo una recente ricerca Nomisma più del 65% degli italiani dichiara di pranzare o cenare fuori casa almeno
due o tre volte al mese per motivi diversi dal lavoro, ricercando per la maggior parte (32%) “felicità e soddisfazione” grazie a esperienze culinarie che prediligono materie prime di qualità. Il legame con la ristorazione è, dunque, fondamentale per i prodotti tutelati perché chef e personale di sala possono esserne i primi ambasciatori.
PRODUZIONE 2024: GORGONZOLA DOP
REGISTRA IL RECORD DI OLTRE 5 MILIONI 277 MILA FORME
Il Consorzio per la Tutela del Formaggio Gorgonzola DOP rende noti i dati di produzione relativi al 2024 che si attestano su 5.277.959 forme prodotte, dato assoluto più alto di sempre. Il dato cresce anche in rapporto all’anno precedente.
Le aziende associate, dislocate nelle quindici province di produzione a cavallo tra Piemonte e Lombardia, hanno prodotto, infatti, 98.984 forme in più rispetto al 2023, con una crescita dell’1,9%.
A livello regionale è il Piemonte a trainare la produzione con 3.822.245 forme totali (+1,73% rispetto al 2023), mentre la Lombardia si ferma a 1.455.714 forme prodotte, ma in crescita del 2,38%.
Relativamente alle tipologie, aumenti a doppia cifra anche per il Gorgonzola DOP di tipo piccante la cui produzione lo scorso anno si è attestata su 738.935 forme pari al 14% del totale e in aumento del 20,47% rispetto al 2023. Più che positivo anche il dato relativo alle esportazioni che, a settembre 2024, registrano poco meno di 1 milione 600 mila forme di Gorgonzola DOP esportate, in aumento del 5% rispetto al 2023. Il valore alla produzione del formaggio Gorgonzola nel 2023 è pari a 430 milioni di euro (+12% sul 2022) mentre il valore dell’export nello stesso anno ha raggiunto quota 203 milioni di euro (+38% sul 2022).
IL FORMAGGIO ASIAGO PROTAGONISTA DELLA DOP ECONOMY ITALIANA
Il formaggio Asiago conferma il ruolo di interprete della DOP Economy nazionale nel XXII rapporto ISMEA-Qualivita, fotografia del mondo delle indicazioni geografiche. Segnalato tra i primi 15 prodotti cibo DOP e IGP italiani, l’Asiago DOP, dopo i riconoscimenti ottenuti ai World Cheese Awards, vince al Concorso internazionale dei formaggi di Lione con l’Asiago Fresco Riserva Prodotto della Montagna e lo Stravecchio Prodotto della Montagna, segno del crescente apprezzamento anche all’estero e nei circuiti gourmet. In un’economia capace come poche altre di apportare benefici al sistema Italia e rappresentare, con oltre 20 miliardi di euro di valore produttivo, pari al 19% dell’agroalimentare nazionale, una leva strategica del Made in Italy nel mondo, il Veneto si conferma, con 4,85 miliardi, la prima regione d’Italia per impatto economico del sistema DOP e IGP. Il formaggio Asiago segna una crescita a valore, nel 2023
rispetto al 2022, in produzione (+13,3%), consumo (+12,7%) ed export (+6,9%). Il crescente gradimento nel mondo del formaggio Asiago premia l’impegno del Consorzio Tutela Formaggio Asiago nel valorizzare una produzione basata sugli elementi unici e identitari e conferma dell’alta qualità raggiunta. Questi risultati e i successi ottenuti ai World Cheese Awards riconoscono l’eccellenza del prodotto ma, per il Consorzio di Tutela, nell’ambito dell’evoluzione del proprio ruolo definito dal recente regolamento europeo 2024/1143, esprimono l’impegno a farsi promotore di una “DOP economy” volano di visibilità, promotrice di nuove opportunità per il territorio d’origine e di un turismo rispettoso dei luoghi e dell’ambiente.
DALTERFOOD GROUP PUBBLICA
IL SUO TERZO BILANCIO DI SOSTENIBILITÀ
DalterFood Group ha pubblicato il suo terzo Report di Sostenibilità. Il rapporto illustra l’approccio globale del Gruppo, evidenziando importanti risultati in tutti e tre gli aspetti della sostenibilità: economico, ambientale, etico e sociale. Nel 2023, l’azienda ha proseguito le sue iniziative di sostenibilità, raggiungendo traguardi significativi nonostante un contesto difficile. L’attenzione alla sostenibilità fa parte del DNA dell’azienda ed è uno dei driver che ne guida le scelte operative e strategiche. A testimonianza del proprio impegno, nel 2023 DalterFood Group ha ottenuto la Medaglia di Bronzo EcoVadis per la sostenibilità, con un punteggio del 52%, raggiungendo il 55° percentile delle aziende del network. Un impegno ribadito nel Codice Etico, rivisto nel 2023, che rafforza la centralità dei valori di onestà, trasparenza e correttezza che caratterizzano l’azienda.
Il documento evidenzia anche l’intento di garantire il rispetto di questi standard, comprovato dalla digitalizzazione del canale di whistleblowing, il cui obiettivo è fornire a tutti gli stakeholder, interni ed esterni, un canale di segnalazione anonimo e gestito in modo imparziale. Per assicurare il rispetto degli stessi valori lungo tutta la filiera, il Gruppo ha condiviso il proprio Codice Etico con tutti i fornitori e si è dotato di un Supplier Code of Conduct, che ogni fornitore è tenuto a firmare e sottoscrivere come atto preliminare nel rapporto con tutte le società del Gruppo. Nel 2023 il Gruppo ha mantenuto il suo impegno a ridurre al minimo l’impatto ambientale ed energetico delle sue attività. Ciò è testimoniato principalmente dalla riduzione dei consumi energetici per chilogrammo di prodotto (confrontando i consumi del 2023 con quelli del 2022, l’energia
elettrica è rimasta stabile a 0,67 kWh/kg, mentre il consumo di gas naturale è diminuito da 0,12 a 0,11 m³/kg e quello di gasolio da 0,005 a 0,004 l/kg, evidenziando un miglioramento dell’efficienza energetica), ottenuta grazie a un monitoraggio continuo, che comprende audit energetici annuali in ogni impianto, e a significative iniziative di efficienza energetica.
PESTE SUINA
È stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il DM 5 dicembre 2024 che attua misure di biosicurezza per proteggere gli allevamenti suinicoli italiani, stanziando 6,5 milioni di euro per il 2024 a favore del “Fondo per interventi strutturali e funzionali in materia di biosicurezza”. La ripartizione dei fondi avverrà sulla base del patrimonio suinicolo e del numero di allevamenti per regione (escluse Sardegna e Province autonome di Trento e Bolzano), utilizzando i dati della Banca dati nazionale dell’anagrafe zootecnica (BDN). Con successivi provvedimenti dei direttori generali competenti, le risorse indicate saranno trasferite alle singole regioni, le quali dovranno presentare al Ministero dell’Agricoltura una relazione annuale sullo stato di avanzamento degli investimenti, includendo dettagli sugli interventi e sull’utilizzo dei fondi.
PROMOZIONE
La Commissione Europea ha pubblicato l’invito a presentare proposte per la promozione dei prodotti agroalimentari. Il periodo di presentazione è aperto fino al 23 aprile 2025 e i risultati delle domande selezionate saranno annunciati tra settembre e novembre 2025. L’invito riguarda i programmi semplici, per i quali sono destinati 92 milioni di euro, di cui 9 milioni esclusivamente per le Indicazioni Geografiche nel mercato interno, e i programmi multi, a cui sono riservati 40 milioni di euro, inclusi 3,1 milioni per i regimi di qualità, comprese le IG nel mer-
MERCATI
L’Agenzia Esecutiva Europea per la Ricerca dell’UE ha pubblicato un manuale pensato per facilitare l’ingresso nel mercato alimentare e delle bevande in Vietnam. Questo strumento è stato ideato come una guida pratica per i produttori agroalimentari che desiderano espandere la propria attività nel paese o stanno pianificando di farlo. Il manuale fornisce un supporto dettagliato, accompagnando i produttori passo dopo passo. Include un’analisi approfondita del mercato vietnamita suddivisa per categorie di prodotto, le procedure necessarie per accedere e stabilirsi nel mercato, e informazioni fondamentali sulla protezione della proprietà intellettuale. Inoltre, il documento offre riferimenti a contatti professionali, come acquirenti specializzati, e presenta un sistema di segnaletica e referral per ottenere contatti utili e individuare strategie efficaci per entrare con successo nel mercato vietnamita.
cato interno. Per ulteriori informazioni, è possibile partecipare alle giornate informative organizzate dalla DG Agri e dall’Agenzia Esecutiva Europea per la Ricerca (REA). Le giornate, fruibili anche online, saranno dedicate agli aspetti politici, con una discussione sulle priorità del Programma di Lavoro Annuale 2025 e sulle nuove opportunità dell’UE legate all’agenda della sostenibilità. Verranno inoltre approfonditi temi legati allo sviluppo di campagne di successo, con interventi di funzionari REA, esperti esterni e coordinatori di progetti.
EMERGENZE
Il 7 gennaio è stata pubblicata una nuova circolare da parte di Agea riguardante i pagamenti degli interventi diretti SIGC relativi all’Ecoschema 5.1. Questo documento comunica alle aziende interessate che l’11 dicembre 2024 la Commissione Europea ha approvato, con la decisione C(2024) 8662, il terzo emendamento presentato dall’Italia al Piano Strategico della PAC 2023-2027. Tale modifica, introdotta ai sensi dell’articolo 119 del Regolamento (UE) 2021/2115, apporta importanti novità, tra cui la rimozione dell’obbligo di destinare il 4% dei seminativi aziendali a superfici improduttive (BCAA 8). Grazie a queste modifiche, gli Organismi Pagatori possono ora procedere con i pagamenti previsti dall’Eco-schema 5.1, che consiste proprio nella destinazione del 4% dei seminativi aziendali a superfici improduttive, comprese quelle lasciate a riposo. Gli importi unitari per il livello 1 dell’Eco-schema 5, già indicati nella circolare prot. n. 89138/2024, sono i seguenti: 85,00 euro per i terreni a riposo base, 102,00 euro per i terreni a riposo Natura 2000 e 102,00 euro per i terreni a riposo ZVN.
Nel contesto delle emergenze, il pacchetto da 200 milioni di euro approvato in Conferenza Stato-Regioni include diverse iniziative a sostegno dell’agricoltura nazionale. Il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste ha stanziato 23 milioni di euro per supportare le aziende colpite da calamità naturali, eventi climatici avversi, epizoozie e fitopatie. Di questa somma, 10 milioni di euro sono stati destinati alle imprese suinicole per compensare i danni indiretti causati dalla Peste Suina Africana, prevedendo un risarcimento fino al 100% del danno totale subito nel periodo compreso tra il 1° dicembre 2023 e il 31 ottobre 2024. I pagamenti saranno gestiti da AGEA. Ulteriori 13 milioni di euro, provenienti dal Fondo di Solidarietà Nazionale, serviranno a coprire i danni causati nel 2024 da avversità atmosferiche assimilabili a calamità naturali.
RIFORMA IG
Sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea due nuovi regolamenti legati al nuovo Regolamento (UE) 2024/ 1143 relativo alle Indicazioni Geografiche. Il Regolamento di Esecuzione (UE) 2025/26 stabilisce le modalità operative per la gestione delle IG, coprendo aspetti come la registrazione, le modifiche ai disciplinari di produzione, la cancellazione dal registro e le specifiche relative agli alimenti per animali e alla prova di origine. Gli allegati al regolamento forniscono una guida pratica con moduli di riferimento, l’elenco ufficiale degli
operatori approvati e le istruzioni sull’uso corretto dei simboli dell’UE. Parallelamente, il Regolamento Delegato (UE) 2025/27 introduce norme procedurali che riguardano le opposizioni, le modifiche ai disciplinari di produzione, la provenienza delle materie prime e la verifica del rispetto delle regole stabilite dal disciplinare. Con l’entrata in vigore di questa nuova normativa, vengono abrogati i precedenti Regolamenti (UE) n. 668/2014 e (UE) n. 664/2014, portando così un aggiornamento significativo alle modalità di gestione delle Indicazioni Geografichea.
ACCORDI BILATERALI
La Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, e i presidenti di quattro paesi del Mercosur hanno concluso i negoziati per l’accordo di partenariato UE-Mercosur. Il testo dell’accordo include disposizioni specifiche per la tutela delle Indicazioni Geografiche, garantendo la protezione di 357 IG europee, di cui 57 italiane: 26 agroalimentari e 31 vini. L’accordo contempla alcune eccezioni per l’uti-
lizzo pregresso di nomi considerati generici, prevedendo una graduale eliminazione (phasing out) per denominazioni come Asiago, Gorgonzola, Grana Padano, Mortadella Bologna, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma e Taleggio. In questi casi, i prodotti dovranno indicare chiaramente e in modo visibile l’origine geografica effettiva. Sono inoltre previste deroghe per alcuni termini, come Fontina, Gorgonzola, Grana Padano e Parmigiano Reggiano, che potranno continuare a essere utilizzati in alcuni Paesi secondo condizioni rigorose. I prodotti non potranno essere commercializzati con grafiche, nomi, immagini o simboli che richiamino l’IG protetta. Inoltre, i termini specifici dovranno essere riportati in caratteri più piccoli rispetto al nome del marchio e distinguersi chiaramente per indicare un’origine diversa
SHRINKFLATION
La nuova disposizione introdotta dall’art. 15 bis del Codice del Consumo, tramite la Legge annuale per il mercato e la concorrenza, mira a contrastare il fenomeno della shrinkflation, ovvero la riduzione della quantità di prodotto in una confezione senza una corrispondente riduzione del prezzo. A partire dal 1° aprile 2025, i produttori saranno obbligati a inserire sulle confezioni una dicitura informativa qualora la quantità nominale del prodotto venga ridotta. La dicitura, valida per un periodo di sei mesi dall’immissione in commercio, dovrà riportare il seguente testo: “Questa confezione contiene un prodotto inferiore di X [unità di misura] rispetto alla precedente quantità L’etichetta dovrà essere chiaramente visibile nel campo principale della confezione o apposta tramite un adesivo dedicato. Tuttavia, questa normativa potrebbe esporre l’Italia a una procedura d’infrazione da parte dell’Unione Europea, per presunte irregolarità nell’iter di approvazione della norma. In particolare non sarebbero state rispettate le tempistiche previste dalla procedura TRIS, obbligatoria per leggi che potrebbero limitare la libera circolazione delle merci nel mercato unico europeo, e la versione notificata a Bruxelles risulterebbe diversa rispetto a quella approvata in Parlamento.
LEGGE DI BILANCIO
La “Legge di Bilancio 2025“, ha introdotto diverse misure rilevanti per il settore agricolo e agroalimentare. Tra queste, è previsto uno stanziamento di 1,5 milioni di euro per affrontare il problema della brucellosi, con risorse destinate allo svolgimento di indagini epidemiologiche e processi diagnostici aggiuntivi. Inoltre, è stato stabilito un contributo a fondo perduto di 10 milioni di euro per l’anno 2025, a beneficio delle imprese zootecniche colpite dall’abbattimento di animali affetti dalla malattia “blu tongue”. Un altro intervento significativo riguarda il rifinanziamento, con 15 milioni di euro, del Fondo destinato a sostenere le aziende agricole che sottoscrivono polizze assicurative finanziabili esclusivamente con risorse di intervento nazionale. In ambito di ricerca, 9 milioni di euro sono stati assegnati al CREA per finanziare attività sperimentali mediante tecniche avanzate come la mutagenesi sito-diretta o la cisgenesi, con finalità sia sperimentali sia scientifiche. Altri 3 milioni di euro sono stati stanziati per lo sviluppo di tecnologie digitali applicate alla meccatronica in agricoltura e alla modellizzazione dei sistemi agroalimentari, con particolare attenzione alla lotta contro il malsecco degli agrumi. Sul fronte fiscale, la legge prevede un’estensione e un incremento dei finanziamenti destinati al credito d’imposta per le aziende della produzione primaria che investono in beni strumentali all’interno della ZES unica del Mezzogiorno. Per questa misura, il totale stanziato ammonta a 50 milioni di euro.
Le cooperative lattiero-casearie sempre più green
Gli esempi di Pieve Ecoenergia e Plac Fattorie Cremona
Allevamenti tecnologici con monitoraggio della CO2, rendicontazione scientifica del benessere animale, gestione efficiente delle risorse con pubblicazione di bilanci di sostenibilità: questi gli investimenti e le azioni misurabili attuati dalla cooperazione lattiero-casearia nell’ottica di una visione d’insieme capace di connettere i fattori ambientali con l’innegabile valore nutrizionale e sociale di latte e suoi derivati. Esempio virtuoso di zootecnia è la cooperativa Pieve Ecoenergia dove la forte componente di innovazione tecnologica diventa il fattore determinante per agevolare la transizione sostenibile di questo settore. Grazie a un impianto di biogas per la produzione di energia elettrica, impiego del digestato come fertilizzante, teleriscaldamento e impianto fotovoltaico, l’allevamento di bovini con sede in provincia di Cremona è riuscito a massimizzare tutte le sinergie per favorire benessere animale, sostenibilità e qualità del lavoro degli operatori.
“Abbiamo anche avviato una collaborazione con il Politecnico di Milano per l’adozione di un sistema di monitoraggio dell’impronta di carbonio del litro di latte che, sulla base di un report giornaliero, contabilizza le emissioni di CO2 necessarie alla produzione e quelle recuperate grazie ai nostri impianti”, spiega Danio Federici, Presidente Cooperativa Pieve Ecoenergia. “Attualmente il sistema di monitoraggio indica un impatto che varia da 0,5 a
0,7 kg CO2/litro di latte prodotto. Si tratta di un risultato che, confrontato con i dati della letteratura scientifica secondo cui per ogni chilogrammo di latte prodotto vengono emessi una media di circa 1,37 kg di CO2 eq./ kg latte (Gislon et al., 2020), ci conferma che siamo su un percorso di transizione ecologica corretto, anche se l’obiettivo futuro è diventare latte carbon neutral”. Passando da uno scenario zootecnico a una dimensione aggregata come quella della cooperativa PLAC Fattorie Cremona, interviene il Presidente Nicola Cesare Baldrighi: “I soci hanno da poco approvato il nostro primo bilancio di sostenibilità che abbiamo scelto di redigere, prima ancora dell’entrata in vigore dell’obbligo normativo. Il bilancio vuole essere per noi uno strumento che delinea le tappe di un percorso in incessante miglioramento. Il consumo di acqua ha registrato, nell’arco di quattro anni, un calo del -70% nel più grande dei quattro stabilimenti produttivi di PLAC grazie a un impianto di concentrazione del siero; mentre sul piano dell’energia, gli impianti fotovoltaici e a biogas installati sia nelle aziende agricole associate sia nelle unità produttive, hanno generato 66,1 milioni di kWh all’anno a fronte di un consumo di 29,7 milioni”.
Conclude Giovanni Guarneri di Alleanza delle Cooperative Agroalimentari: “Sotto la lente di ingrandimento della filiera lattiero-ca-
searia oggi c’è sempre di più la necessità di attuare pratiche sostenibili, che non si esauriscono alle sole attività zootecniche, ma che passano dalla cura e sopravvivenza dei territori di cui le cooperative sono custodi, così come delle piccole realtà dislocate nelle comunità montane, dall’innovazione dei sistemi produttivi, dalla valorizzazione delle tradizioni e dalla tenuta dell’occupazione. Ecco perché, da anni portiamo avanti il progetto ‘Think Milk, Taste Europe, Be Smart’ realizzato da Confcooperative con il cofinanziamento della Commissione europea, con l’intento di sfatare le fake news sia sui meriti di latte e derivati sia sulle implicazioni che produzione e trasformazione del latte hanno sull’ambiente, portando alla luce casi virtuosi di fare impresa nell’epoca 4.0”.
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