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L’AUTORE

TORNA IN LIBRERIA TERESA CIABATTI PRONTA PER IL PREMIO STREGA

“La scrittura mi ha salvato. Ma la mia adolescenza infelice è stata la mia fortuna”

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di Flavia Piccinni

Esiste qualcosa di più bello che essere giovani, sentirsi amati e in qualche modo onnipotenti? Forse, leggendo l’ultimo libro di Teresa Ciabatti, sembra quasi che questa cosa esista, e che corrisponda all’essere giovani, e tagliati fuori dai giri che contano. Perché, se non hai niente da perdere, non perdi mai. Si tratta ovviamente di una provocazione, ma tutto il libro dell’autrice toscana, trapiantata da adolescente a Roma, è una straordinaria provocazione. Fin dal titolo: “Sembrava bellezza” (Mondadori, pp. 240).

Protagonista della narrazione è una voce stridula e disturbante, quella di una scrittrice che finalmente – dopo anni di tentativi, e di ambizioni frustrate – ha conquisto il suo ambito posto al sole. È una donna di successo, che passa da un’intervista a una presentazione. Almeno in apparenza. Ed è una voce molto simile alla protagonista de “La pià amata” che, uscito nel 2017, aveva portato nella cinquina finalista Ciabatti (secondo rumors editoriali sempre più pressanti, dovrebbe gareggiare anche quest’anno). “Vede – mi spiega lei, la voce delicata che si interrompe ogni tanto per fare una risata - la mia è una predisposizione innata per i narratori inattendibili. L’immaginazione serve a ricostruire, a manipolare. Quella voce è da sempre dentro di me. È quello che io non sono mai riuscita ad essere. Sono tutte le ragazze belle, bionde e ricche che non sono mai stata. Se non fossi stata un’adolescente emarginata, un’adolescente grassa e nell’angolo, non sarei diventata quello che sono: un’adulta dall’immaginazione vivace,

Teresa Ciabatti.

con tante paure mai vinte. Gli adulti dei miei libri si portano sulle spalle delle paure che non hanno mai risolto. Io mi ricordo di tutti e nessuno si ricorda di me, sapevo tutto di quelli più popolari, che erano la mia giovinezza. Io però non sono stata la giovinezza di nessuno”.

Il suo romanzo è punteggiato da molte domande. A un certo punto scrive: “Esiste un momento nella perdita di una persona amata in cui si piange se stessi. Per i noi perduti con lei”.

Ci sono persone che rappresentano per gli altri una perdita minore. E poi quelle che vengono idealizzate. Nel lutto c’è sempre una parte di narcisismo. A volte penso che nessuno si ricordi di me, ai tempi della scuola, e questo mi commuove. Forse non sarebbe venuto nessuno al mio funerale. Ecco, io sarei stata una perdita minore.

E ora?

So di avere degli amici che mi vogliono bene. Ho imparato a scegliermele, le persone da avere vicino.

Forse, però, nessuno è una perdita maggiore.

Probabilmente è così, ed è bellissimo. Quando muoiono le persone ti rendi conto che tutto precede ugualmente.

Un grande tema del romanzo è quello dell’autobiografia ideale. Un esercizio, quello di lavorare sulla propria dimensione, che accomuna molti suoi scritti.

La voce narrante riscrive la sua memoria, per poi rendersi conto che non era tutto come credeva. Questo a me non è accaduto. Al mio tempo c’era poco da fraintendere.

“Sembrava bellezza” Teresa Ciabatti Mondadori 240 pagine 18 euro

“La mia letteratura è fatta di gesti mancati: quello che non ho fatto io, lo fanno i miei personaggi. Tutt’oggi non reagirei a uno sgarbo. Mentre la mia protagonista andrebbe a casa di quell’amica, prenderebbe tutte le foto e le farebbe in mille pezzi”.

In che senso?

Io credevo al giudizio degli altri, che mi interessavano tantissimo. Con gli anni ho imparato a essere molto orgogliosa della mia adolescenza passiva. Se non ci fosse stato questo scollamento fra me e gli altri, non sarei diventata una scrittrice. All’epoca soffrivo, ma oggi sono felice di quei pomeriggi trascorsi a mangiare tutto il giorno. È stato un percorso di formazione della mia sensibilità, che affronto ancora oggi.

Ancora oggi?

Mi piacerebbe provare a essere la più bella, ma non è più una sofferenza.

Guarda mai le foto di come era da ragazza?

Mai, e per fortuna non ce ne sono. Anche se un giorno andai a casa di una mia amica e mi fece vedere l’album di una gita in Grecia: ero ovunque, e tutte le foto erano bruttissime. Feci finta di niente. Continuammo a chiacchierare, a mangiare la torta, a bere il caffé. Poi tornai a casa, e piansi tantissimo.

È come se lei avesse abbracciato l’epopea della vulnerabilità: il raccontare tutto del suo passato, per creare la massima corazza intorno a sé.

Adesso non è più un problema. Ma vedere quell’album mi mise davanti alla realtà: io non volevo foto, eppure fra quelle pagine ero ovunque. Ecco, anche se ci provi, non puoi avere il controllo di tutto.

Con la scrittura però è diverso.

La mia letteratura è fatta di gesti mancati: quello che non ho fatto io, lo fanno i miei personaggi. Tutt’oggi non reagirei a uno sgarbo. Mentre la mia protagonista andrebbe a casa di quell’amica, prenderebbe tutte le foto e le farebbe in mille pezzi.

Però agisce per gli altri.

Con l’età ho acquisito la forza di difendere gli altri.

Qual è l’ultima persona che hai difeso?

Non mia figlia, lei non la difendo. Posso consolarla, rassicurarla, ma il dolore, l’umiliazione, sono cose che vanno vissute. Sono semplicemente importantissime.

I cinque finalisti del Premio Strega del 2017. Da sinistra, Paolo Cognetti (vincitore con “Le otto montagne”), Wanda Marasco, Alberto Rollo, Teresa Ciabatti e Matteo Nucci.

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