Plot magazine 6-7

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L A C O P P A M E R I C A

a vedersi con un tizio, il proprietario di un negozio del centro commerciale. La sera, dopo averglielo raccontato, Elisa gli chiese: “Vincè, ma Sandro che fine ha fatto?” E Vincenzo, nonostante aveva capito che Sandro non gli aveva detto tutta la verità: “Non lo vedo da quasi tre mesi.” “Ma dove sta questo cantiere dove lavori?” Vincenzo rimase in silenzio. Quando arrivò la telefonata di Rosa, Vincenzo stava nel nuovo cantiere con una squadra di operai esperti. Era mezzogiorno, ma sole non ce n’era. Anzi, era scuro e sembrava che doveva piovere. “È nato. Elisa sta bene. Più tardi ti richiama lei. Ma insomma, ’sto nome quando lo decidete?” Vincenzo era contento come un ragazzino. Anzi, forse era tornato ragazzino. Come quella volta che arrivò di corsa dopo l’allenamento con Maradona, che poi non aveva parlato più. Si è messo di nuovo a vomitare le frasi, che non c’era verso di farlo finire. Mentre si alzava il vento, gli altri operai lo guardavano sbalorditi. “Vincè, ma che ’nge sta dinto a ’sto panino?” Secondo me non era mai stato così contento. Sono sicuro che era ancora più contento di quella volta con Maradona. Allora Vincenzo smise di parlare. E anche questa volta è successo. Vincenzo stava là per terra, immobile e sanguinante, quando Sandro è arrivato. Ormai stava facendo buio. “Dottò, noi gliel’abbiamo detto a Don Franco che quell’impalcatura era pericolosa. Lui ha detto che non ci poteva fare niente, che il responsabile eravate voi, che dovevamo stare zitti e lavorare.” E Sandro, sconvolto: “Perché cazzo avete fatto salire a lui che era il meno esperto?” “Nessuno voleva salire. Allora Vincenzo s’è fatto avanti lui.” Quando Sandro è arrivato, Vincenzo già non poteva più parlare. Se era già morto o no, io questo non lo posso dire. Quello che so è che Don Franco ha chiamato Sandro e gli ha detto che doveva pensarci lui, che la responsabilità era sua. In quel momento stava già cominciando a piovere. E Sandro: “Ci penso io. Sistemo tutto. State senza pensiero.” Io invece quel giorno me l’ero presa comoda. La mattina alle undici avevo chiamato a Don Franco dicendogli di preparare i soldi, che ero pronto per la consegna. E lui: “Lascia tutto a casa. Vengo io da te domani mattina. È più sicuro.” Per un momento avevo pensato di rimandare, che la mattina dopo a Bagnoli c’era la demolizione dell’ultimo capannone della fabbrica rimasto in piedi, quello dov’era morto mio padre. Ma di fronte a duecentomila euro voi cosa avreste fatto? Il pomeriggio avevo due o tre appuntamenti per le mie ultime manutenzioni. Il giorno dopo avrei salutato baracca e burattini. L’appuntamento finale era alle diciannove. Mi avevano chiamato a mezzogiorno: un reclamo urgentissimo proprio nel palazzo di Don Franco. Il portinaio m’ha detto che i telefoni di alcuni appartamenti non funzionavano più, che era un difetto del mio sistema. In realtà il problema era che qualcuno che non teneva niente di meglio da fare aveva tagliato certi fili dal pianerottolo. Io il guasto l’ho riparato in mezz’ora. Avevo finito. Ero pronto a tornare a casa, dove Lucia stava preparando la nostra prima cenetta intima. Ma il portinaio di Don Franco sembrava che lo faceva apposta a tenermi là. E prima una cosa, e poi un’altra. In ultimo sono andato dalla vecchia signora che teneva installato in casa tutto il pacchetto risparmio del condominio. A me lei non mi ha detto niente, ma il portinaio insisteva che ci stavano troppe lucette e quindi la vecchia non riusciva a dormire. Io la pioggia la vedevo cadere fuori al balcone. Ma non la sentivo. Non faceva rumore. E anche il campanello di casa della vecchia signora non l’ho sentito quando ha bussato. E pure Sandro stava zitto, lì dov’era caduto Vincenzo, ad aspettare sotto la pioggia che non faceva rumore. C’era il silenzio, in città, quella sera. Nelle facce spaventate di quattro uomini, in quella notte di pioggia, su quella strada di periferia. Nel trillo testardo di un telefonino chiuso nel bagagliaio di un furgone. Elisa sorridente che chiama Vincenzo. Vincenzo che non risponde ad Elisa. Elisa in clinica, con Vincenzino in braccio che piange. In un furgone che si ferma senza rumore, coi quattro uomini che scendono furtivi, che si guardano attorno prudenti, che aprono il bagagliaio, che sistemano lo scooter vicino al burrone come fosse un incidente stradale, che prendono il corpo di Vincenzo e senza una

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12/04/2006, 17.40


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