Plot magazine 6-7

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Il documentario si sviluppa su tre livelli: il primo riguarda il personaggio di Gabriel come cittadino tanzaniano che gestisce il suo negozio. Lo seguiamo nella sua quotidianità in un normale giorno di lavoro, cercando di capire il contesto, la Tanzania, un paese africano che si sta adattando rapidamente ai cambiamenti di un mondo sempre più industrializzato e occidentalizzato. Il secondo livello di narrazione mostra il nostro protagonista Sairiamu che si riappropria delle tradizioni nel suo villaggio masai, tornando ad uno stile di vita molto semplice, in un ambiente duro come la savana. Il terzo livello è la rappresentazione del mondo interiore di Sairiamu/Gabriel, il punto di convergenza o il corto circuito tra i quei due mondi che coraggiosamente sta tentando di far convivere.

CONTESTO Senza terra e bestiame, non ci saranno più Masai (Tepilit ole Salitoti) Tra le popolazioni indigene meglio conosciute, i Masai sono ormai familiari a tutti coloro che si trovano a viaggiare nella grandiosa savana africana. Sono riusciti a sopravvivere sino ai nostri giorni secondo le loro più antiche tradizioni grazie alla loro potenza e alla loro reputazione di guerrieri coraggiosi. Tuttavia, oggi i Masai si trovano a combattere per mantenere la loro cultura distintiva e quel che rimane della loro terra. I Masai sono principalmente pastori seminomadi, suddivisi in varie sezioni e clan, distribuiti su un vasto territorio che va dal Kenya meridionale alla Tanzania settentrionale, ma accomunati dalla stessa lingua, il Maa. Secondo alcune ricostruzioni, i Masai si sono insediati nell’Africa orientale, arrivando da nord, si ipotizza dalla valle del Nilo, probabilmente intorno al XV secolo d. C. Fino al XIX secolo hanno dominato le fertili piane che si estendono dal lago Naivasha fino all’oceano Indiano e dagli altipiani di Nairobi fino alle steppe della Tanzania settentrionale. Indiscussi padroni della savana, i Masai sono stati costretti a fronteggiare nuove difficoltà: prima la peste bovina nel 1890, che decima il bestiame, poi un’epidemia di vaiolo, che spazza via migliaia di persone, mentre le terre sono acquisite dai colonizzatori europei a colpi di trattati amministrativi britannici. L’indipendenza del Kenya e della Tanzania, all’inizio degli anni ’60, non porta alcun miglioramento al problema delle terre: l’istituzione di parchi nazionali e riserve naturali proteggono la fauna africana, ma privano i Masai dei preziosi pascoli per il loro bestiame. Oggi i Masai sono costretti a vivere in un’area molto ridimensionata, nei distretti di Kijado e Narok in Kenya e nella zona di Ngorongoro, Kiteto e Simanjiro, nella regione di Arusha in Tanzania. La vita dei Masai è basata sulla pastorizia, in particolare le mucche assumono un ruolo centrale nella loro vita, soddisfacendo i bisogni fondamentali alla loro sopravvivenza. Le mucche sono tutto: cibo, materiali e molto di più in termini culturali e rituali, simbolo di ricchezza e motivo di orgoglio. L’intera vita dei Masai ruota intorno alle esigenze del bestiame: trovare fertili pascoli, acqua abbondante e proteggerlo dagli attacchi dei grandi predatori della savana. In passato erano molto frequenti guerre fra tribù proprio per i pascoli e per le predazioni di bestiame. Tra l’altro, i Masai credono fermamente che tutto il bestiame appartenga a loro di diritto in quanto, secondo la loro credenza, il dio Ngai ha affidato loro il compito di prendersi cura di tutte le vacche sulla terra, da quando il Cielo si è separato dalla Terra per dare origine al mondo. Tale credenza è talmente radicata che qualsiasi attività che non sia dedita al bestiame è una mancanza di rispetto verso il

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12/04/2006, 17.40


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