Pizza e Pasta Italiana - Ottobre 2022

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PIZZA A REGOLA D’ARTE. PROVA LA NUOVA LINEA DI MOLINO CASILLO.

UNA NUOVA GAMMA DI FARINE E SEMOLE SUPER PREMIUM DALLE ECCELLENTI PROPRIETÀ TECNOLOGICHE E ORGANOLETTICHE, IN GRADO DI ASSICURARE PERFORMANCE STRAORDINARIE E UN PRODOTTO FINITO ECCELLENTE.

Molino Casillo dedica alla linea per pizzeria tutta la sua esperienza in campo molitorio per produrre farine che siano il punto di partenza ideale per soddisfare anche i maestri pizzaioli più esigenti.

MOLINOCASILLO.COM

Afinox p. 9

Albinea Canali p. 63

Brimi p. 31

Casa Penelope p. 39

Castelli Forni p. 91

Cerutti Inox p. 41

Conserve Italia p. 27 Cuppone p. 87

Di Marco Corrado Srl p. 35

Dr Zanolli p. 81

Farmfrites p. 57

Fiera Catania p. 16

Gi Metal p. 119

Greci p. 132

Hot Box p. 109

Industria Alimentare Tanagrina p. 75

Industria Molitoria Perteghella p. 69

Italforni p. 29, 115

Kuma Forni p.37

Lactalis Galbani p. 71

Latteria Montanari p. 85

La Torrente p. 105

Lilly Codroipo p. 17

Macinazione Lendinara p. 21

Mam Eredi Malaguti p. 43

Millberg p. 121

Molecola p. 2

Molini Valente p. 77

Molino Agugiaro e Figna p. 111

Molino Casillo p. 3

Molino Colombo p. 65

Molino Cosma p. 131

Molino Dallagiovanna p. 53

Molino Denti p. 47

Molino Magri p. 11

Molino Naldoni p. 15

Molino Pasini p. 7

Mulino Padano p. 59

Refrattari Reggello - Forni Valoriani p. 101

Sacar Forni p. 49

Sanfelici p. 13

Sitta p. 51

Unitech Srl p. 95

Vito Italia Srl p. 23

Waico p. 83

— Sommario

editoriale

di Antonio Puzzi 8-10

prima pagina a cura della redazione 12-14 pizza news a cura della redazione

ristorazione domani Un felice ritorno al passato di Giampiero Rorato

l’area del rinnovamento: veneto, piemonte, lombardia, la pizza del nord

Quando il Nord Ovest scoprì la pizza: Tramonti di Antonio Puzzi

l’area del rinnovamento: veneto, piemonte, lombardia, la pizza del nord

L’area del rinnovamento: giù al Nord a cura della redazione

l’area del rinnovamento: veneto, piemonte, lombardia, la pizza del nord Evoluzione della pizza nel Nord Italia di Giampiero Rorato

Pizza e cocktail. Un matrimonio che s’ha da fare! di Paolo Rancati

—AZIENDE 6
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38 4 pizza e pasta italiana ottobre 2022 44
32 24

48

Le pizze senza glutine nel nord Italia di Alfonso Del Forno 54

Il “Nord - Nerd” ossia la tecnologia al servizio della pizza secondo i locali del Nord di Domenico Maria Jacobone 60

La ristorazione in cantina di Monica Pisciella e Domenico Jacobone 66

La pizza proteica di Marisa Cammarano 72

I formaggi del Nord Italia e la pizza di Caterina Vianello

dal nostro mondo 78 70 anni di Zanolli

a cura della redazione 82

Pizza e salumi: una carrellata di Caterina Vianello

le spezie La Vaniglia di Giampiero Rorato

la birra 92

I birrifici del nord Italia di Alfonso Del Forno

non di solo pizza 96 Ylenia e il Cavaliere…perso di Noemi Caracciolo 98

La parola ai pizzaioli

a cura della redazione 102 Simone Padoan di David Mandolin 106

Andrea Merlini: ritorno al padellino di A.P. e N.C.

112

88Un napoletano a Sanremo. Giovanni Senese di Noemi Caracciolo 116

Napoli in Brianza. Corrado Scaglione dialoga con Antonio Puzzi 122

La smorfia di Rosa Gatti. Nonantola di Noemi Caracciolo 125

Scuola Italiana Pizzaioli 127 Pizza World Sharing

un libro al mese 129

La Pizza

contemporanea di Simone Padoan a cura della redazione

le aziende informano Molino Dallagiovanna p. 52

5sommario

Editoriale

Questo mese parliamo della pizza del nord Italia, analizzandone stili e storie, origini e prospettive, lasciandoci guidare soprattutto da una grande lezione magistrale da leggere, conservare e magari incor niciare, firmata dal Direttore onorario di questa rivista, Giampiero Rorato che parla del Nord-est mentre a me, da “nomade emigrante” tocca fare il punto sul Nord-ovest.

Fin qui quello che volevo dirvi su questo numero. Credo che le urgenze da trattare questo mese nella colonna d’apertura che state leggendo siano infatti altre. Non prendiamoci in giro: siamo alla canna del gas. E di un gas ridotto al lumicino. Mi perdonerete ma mi viene da sorri dere quando sento molti amici pizzaioli che dicono: “ho fatto bene a prendere il forno elettrico e non quello a gas” oppure “io uso la legna”, vedendo che poi contestualmente sono essi tra i primi a lamentarsi dei numeri delle bollette “a tanti zeri”. Ha fatto scalpore la scelta di Salvatore Grasso (ma non è l’unico) di inserire sullo scontrino le voci relati ve ai consumi energetici e del rincaro delle materie prime, al punto che qualcuno ha commentato: “E io che pensavo che quelle voci fossero già incluse nel costo di una pizza”.

Al di là però delle note di colore, la situazione è estrema mente drammatica, perché nessun bonus o adeguamento degli stipendi è stato erogato per venire incontro a questa tragedia, che – ricordiamolo – nasce per una causa giusta e condivisibile, ossia quella di ostacolare il finanziamento della Russia alla guerra. Quando avrete questo numero tra le mani, sarete in vantaggio rispetto a me perché saprete con quali percentuali siedono in Parlamento le varie forze politiche, a soli due mesi dalle dimissioni del Presidente del consiglio, Mario Draghi e con un panorama inter nazionale letteralmente da brividi. Comunque saranno redistribuiti gli scranni di Camera e Senato, ci auguriamo che i primi interventi vadano nella direzione di una equa redistribuzione delle risicate risorse a disposizione, perché aiutare le imprese senza un aumento dei compensi (siano essi salariali o di competenze per prestazioni professionali) non aiuterebbe la circolarità dell’economia e – viceversa – aumentare la liquidità delle famiglie con bonus e aiuti “una tantum”, senza pensare al polmone produttivo del Paese ci getterebbe, senza possibilità di risoluzione, in un paradosso. Di questo parleremo più diffusamente nel prossimo numero ma per ora affido queste pagine a una speranza, ovvero che i potenti della Terra rinsaviscano d’un tratto, rendendosi conto che abbiamo solo un pianeta a disposizione.

Un affettuoso saluto, nio

COLOPHON

PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura

Edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990 Anno XXXIII - n.9 ottobre 2022 - Repertorio ROC n. 5768

DIRETTORE EDITORIALE DIRETTORE ONORARIO Massimo Puggina Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Puzzi

RESPONSABILE DI REDAZIONE E DI PROGETTO David Mandolin

PUBBLICITÀ David Mandolin

REDAZIONE

Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab

DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab

IN COPERTINA illustrazione di Pepe Serra

STAMPA MEDIAGRAF S.p.A. Noventa Padovana (Pd)

COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon.

AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.).

PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO:

TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00

INVIARE UN FAX A 0421 83178 Servizio abbonamenti Pizza e Pasta Italiana

INVIARE UNA MAIL A: abbonamenti@pizzaepastaitaliana.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’an no e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile.

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE: ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q. TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007

Antonio Puzzi
6 pizza e pasta italiana ottobre 2022
MOLINOPASINI.COM@MOLINO_PASINI MOLINO PASINI LA LINEA SOFFIO RADDOPPIA TIPO 0 E TIPO 1 PER MEDIA E LUNGA LIEVITAZIONE PER UNA PIZZA CROCCANTE DAL BORDO ALTO ED ALVEOLATO AD: STUDIO OVER | IMG: MASSIMO COLONNA

Vitala: farine e miscele ricche di nutrienti per proposte originali alla vista e al palato

Ècon la linea Vitala che Molini Valente risponde alla crescente esigenza, da parte di pizzaioli e ristoratori professionisti, di farine tipo 2 e mescole non semilavorate, senza additivi e nutrizionalmente valide. Sia per offrire una vetrina ricca e diversifi cata, fatta di sapore, colore e abbinamenti creativi, sia perché il consumatore di oggi è particolarmente attento agli ingredienti e alla qualità di ciò che consuma: si atten de prodotti pregiati, non solo nel risultato finale, ma sin dalle materie prime. Ecco che Vitala, Vitala+ e Vitala Zen offrono fantasia e affidabilità ad ogni professionista: confermano gli standard qualitativi di Molini Valente e sono altamente versatili, perfette per creazioni

dolci e salate. Danno origine a prodotti genuini e gustosi, ricchi di elementi origi nali ad alto valore nutrizionale, ma anche attrattivi per occhi e palato grazie alla presenza di alghe, spezie, cereali e semi che conferiscono naturali colorazioni e sapori intensi.

Per saperne di più: www.molinivalente.it

Contatti aziendali: Molini Valente S.p.A. regione mulini, 26 15023 Felizzano (AL) www.molinivalente.it

“Frantoi Aperti in Umbria” XXV edizione

Dal 29 ottobre al 27 novembre 2022 torna sotto i riflettori Fran toi Aperti in Umbria, evento clou dell’oleoturismo nazionale, che dà lustro all’Umbria dell’olio da ben 25 anni. Anche per questa XXV edizione, Frantoi Aperti celebrerà per cinque fine settimana l’arrivo del nuovo Olio extravergine di oliva nel periodo della frangitura delle olive, proponendo iniziative in frantoio, tra gli olivi e nelle piazze, legate al mondo dell’olio di qualità.

Nei frantoi in lavorazione, cuore pulsante dell’iniziativa, si terrà lo spin-off “Olio a fumetti – LIVE drawing nei frantoi” che, grazie all’innovativa collaborazione tra le realtà più creative della produzione olea ria e l’industria del fumetto, trasformerà i frantoi, luoghi produttivi per eccellenza, in veri e propri laboratori culturali in centrati sul rapporto “storico” tra l’olio e l’Umbria. Frantoi Aperti 2022 è un evento organizzato dall’Associazione Strada dell’olio e.v.o. Dop Umbria in collaborazio ne con la Regione Umbria e con tutti gli attori del comparto olivicolo umbro.

a cura della redazione PRIMA PAGINA 8 pizza e pasta italiana ottobre 2022

Pizza Re…evolution!

Via Venezia 4, 35010 Padova (PD)

Tel. +39 0499638311

Fax. +39 049552688

facebook.com/Afinoxsrl/

L'ultimo decennio ha rivo luzionato il mondo della pizza, portando una ventata di aria fresca e miglioramenti indiscussi di quello che, da sempre, non è il semplice consumo di uno dei prodotti gastrono mici più popolari di tutto il mondo, ma un vero e proprio rito di aggregazione sociale.

Sono numerosissimi gli esperimenti nati negli ultimi anni, un po' ovunque, che hanno radicalmente modificato l’idea di pizza tradizionale, già patrimonio cultu rale immateriale dell’umanità UNESCO.

La filosofia contemporanea identifica la pizza non più come un piatto semplice ed economico, uno street food da consumare al volo, ma una vera e propria esperien za del gusto gourmet.

L’ultimo trend di questa continua spe rimentazione e ricerca è sicuramente focalizzato sulla qualità e tipologia degli impasti. Le parole chiave? Perfetta alve olatura e digeribilità, attenzione ai valori nutrizionali e croccantezza.

Ciò si traduce in una perfetta gestione del le modalità e tempistiche di lievitazione e maturazione, oltre che utilizzo di minor quantità e diverse tipologie di lieviti.

Certamente al dilatarsi del tempo di lievi tazione deve corrispondere una maggior attenzione e conoscenza dei processi di gestione dell’impasto. Facile a dirsi ma… quanto può essere elevato il margine d’errore?

Fortunatamente oggi si può scegliere di non incappare in variabili difficilmente controllabili facendo ricorso a strumen ti tecnologici che consentano l’utilizzo di temperature e livelli di umidità controllati, in grado di garantire, sempre e comunque, lentezza e costanza del pro cesso, necessarie per ottenere un prodotto qualitativamente ineccepibile e di facile digeribilità in ogni stagione e condizione ambientale.

Ciò significa clienti fedeli e soddisfatti ma anche professionisti pizzaioli più padroni del proprio tempo che, una volta realizza ta la magia dell’impasto perfetto, possono scegliere di aumentare la produzione, o semplicemente godersi il proprio tempo libero.

Poter programmare e anticipare la produzione, significa avere la libertà di scegliere a quali attività (spesso mag giormente remunerative) dedicarsi.

Una moderna tecnologia, quale quella di Mekano Pro, consente di sfruttare in un’unica macchina i numerosi benefici della gestione controllata di umidità e temperature, attraverso cicli combinati che alternano fasi controllate di lievi tazione e fasi di abbattimento rapido.

Se sei curioso di saperne di più e vuoi capire come realizzare un impasto omo geneo in ogni stagione senza difficoltà o vuoi scambiare con noi le tue idee, seguici sui nostri canali social e vieni a trovarci nella nostra azienda-laboratorio: saremo felici di condividere con te la nostra esperienza!

LE AZIENDE INFORMANO www.afinox.com AFINOX SRL
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Premiate a Bologna le Migliori Birre

Artigianali Gluten Free e Bio

Le migliori birre artigianali senza glutine, insieme alle migliori birre biologiche, sono state premiate a Bologna, nell’ambito delle at tività del SANA, 34° salone internazionale del biologico e del naturale.

Il World Gluten Free Beer Award e il pre mio Best Bio Beer, organizzati rispettiva mente dai portali web Nonsologlutine e Piacevolezza, da questa edizione hanno ricevuto il supporto di Unionbirrai, la cui partnership ha determinato il cambia mento delle regole di partecipazione, con la presenza di sole birre artigianali.

Il WGFBA, giunto alla nona edizione, ha visto la partecipazione di settantasette birre, distribuite nelle sei categorie previ ste dal concorso, con diciotto premi asse gnati. La giuria, composta da Unionbirrai Beer Tasters (UBT), ha giudicato le birre secondo i criteri di Birra dell’Anno, il più importante concorso sulle birre artigia nali italiane organizzato da Unionbirrai.

“Le edizioni 2022 del WGFBA e Best Bio Beer sono state entusiasmanti – afferma Alfonso Del Forno, fondatore dei due concorsi – La partnership con Unionbirrai ha determi nato scelte importanti sul regolamento, contribuendo alla valorizzazione delle birre artigianali. Bello il segnale ricevuto anche dal mondo del biologico, con una crescita importante di questo settore, sempre più attenzionato dal mercato”.

“WGFBA e Best Bio Beer sono due concorsi che hanno già una loro natura consolidata. Quest’anno Unionbirrai ha deciso di patro cinarli, contribuendo a dare un maggior risalto a queste birre artigianali dalle carat teristiche specifiche verso le quali c’è oggi un’esplosione di interesse, come abbiamo potuto constatare anche durante la nostra partecipazione a SANA già a settembre 2021, rinnovata poi nell’edizione in corso.” – aggiunge Simone Monetti, segretario generale Unionbirrai.

La premiazione è avvenuta nello spazio collettivo di CiaAgricoltori Italiani, dove Unionbirrai è presente con uno stand informativo e la presenza di 6 birrifici italiani che producono birra biologica.

LE BIRRE VINCITRICI

WORLD GLUTEN FREE BEER AWARD 2022

Categoria A: bassa fermentazione - bassa grada zione alcolica (<5,5%)

1. La bionda senza glutine – Aleghe Categoria B: alta fermentazione - bassa gradazione alcolica (<5,5%)

1. Rock Jumper – Barbaforte Categoria C: bassa e alta fermentazio ne - alta gradazione alcolica (≥5,6%)

1. Mayo – Birrificio 61Cento Categoria D: bassa e alta fermentazio ne - luppolate (Ipa, Apa, Aipa, Neipa, etc…)

1. Extra Life – Jungle Juice Categoria E: bassa e alta fermentazio ne - birre scure (stout, porter, dark lager, etc…)

1. Due Cilindri – Birrificio del Forte Categoria F: bassa e alta fermentazio ne - birre speziate e speciali

1. Wahine – Antikorpo

BEST BIO BEER

1. Impera – La Stecciaia

a cura della redazione PRIMA PAGINA 10 pizza e pasta italiana ottobre 2022

Grande festa al Molino Dallagiovanna per i suoi 190 anni

Sbato 10 settembre a Gragnano Trebbiense (PC) si è cele brato il compleanno di Molino Dallagiovanna, che ha festeggiato 190 anni di attività con un grande evento e tanti ospiti illustri, ritrovatisi nella sede di Madonna del Pilastro.

Per Molino Dallagiovanna è stata l’occasione per ripercorrere la sua storia dal 1832 e per ringraziare tutti coloro che negli anni hanno contribuito alla sua crescita e al suo successo nel mondo. Nel corso della grande festa sono stati premiati dipendenti, collaboratori, clienti, distributori e i tanti protagonisti dell’arte bianca presenti. Tra questi Iginio Massari, Achille Zoia, Leonardo Di Carlo, Luigi Biasetto, Denis Dianin e Claudio Gatti e i Campioni del Mondo della Pasticceria.

A fare gli onori di casa la famiglia Dallagiovanna al completo, con la quinta generazione rappresentata dai cugini Pier Luigi e Sergio e la sesta con Paolo, Sabrina, Renza e Stefania. Ad affian carli sul palco dei 190 anni, presentatori d’eccezione come An drea Mainardi e Daniele Persegani, chef e volti televisivi e Giaco mo Ciccio Valenti, noto conduttore di RDS 100% Grandi Successi.

La grande festa ha visto anche la finalissima nazionale della prima edizione della Pizza Bit Competition, la gara che Molino Dallagiovanna ha ideato per i pizzaioli professionisti con la col laborazione del Gambero Rosso.

Packaging, Conserve Italia punta sulla sostenibilità

Dalle polpe e passate di pomodoro Cirio per il mercato estero alle zuppe Jolly Colombani per i consumatori italiani, passando per i legumi Valfrutta venduti sia nel mercato interno che in altri Paesi: sono i principali prodotti che possono essere realizzati con la nuova linea di riempimento e confezionamento per contenitori Tetra Recart che Conserve Italia ha di recente messo in funzione nello stabilimento di Pomposa (FE), il principale del Gruppo cooperativo. Avviata in concomitan za con la campagna del pomodoro e dopo cinque mesi di lavoro, la nuova linea Tetra Recart si distende per una lunghezza di 800 metri coprendo una superficie di circa 3.000 metri quadrati; per consentirne la realizzazione all’interno dello stabilimento (esteso su 433.000 mq) è stato costruito un nuovo e apposito capannone e sono stati riorganizzati alcuni magazzini, così da ottimizzare gli spazi.

“Con questo intervento, a fronte di un investimento di oltre 10 mi lioni di euro, possiamo raddoppiare la produzione di confezioni Tetra Recart nello stabilimento di Pomposa, fino ad un potenziale di 160 milioni di pezzi all’anno” dichiara Pier Paolo Rosetti, diret tore generale di Conserve Italia. “Tali imballaggi, così performanti sia nella riduzione dell’impatto ambientale per i materiali utiliz zati, sia nell’efficienza per la logistica e i trasporti grazie all’otti mizzazione degli spazi da riempire, consentono di movimentare molte più referenze in una stessa spedizione. La tendenza alla ri cerca di confezioni più sostenibili – continua Rosetti – cresce anche in Italia, dove abbiamo di recente lanciato la Polpa Fine Valfrutta Green in confezione Tetra Recart che riduce dell’83% le emissioni di CO2 rispetto ad altri materiali (fonte studio Ifeu per l’Italia, ndr) ed è ottenuta per oltre il 70% con materie prime rinnovabili e prove nienti da fonti vegetali”. “Questo investimento – conclude Rosetti

rientra nel processo di automazione, digitalizzazione e infor matizzazione delle fasi produttive che l’Azienda ha intrapreso da tempo, decidendo di puntare sull’innovazione tecnologica 4.0 per aumentare la propria competitività sui mercati di tutto il mondo”.

cura della
PIZZA NEWS a
redazione 12 pizza e pasta italiana ottobre 2022

La prima community italiana della birra conquista palato e portafoglio degli italiani

Ilprimo birrificio condiviso in Italia, 620 Passi, ispirato al modello dello scozzese BrewDog, dopo aver chiuso il primo semestre 2022 con volumi di produzione qua druplicati rispetto all’anno precedente, raggiunge in meno di un mese l’overfunding (superamento del primo obiettivo eco nomico di 100mila euro) su CrowdFundMe, unica piattaforma di Crowdinvesting (Equity Crowdfunding, Real Estate Crowdfun ding e Corporate Debt) quotata a Piazza Affari.

La startup friulana, di Gorgo Latisana (Udine), che produce cin que linee di birre artigianali e che consente, a chi sceglie di cre dere nel progetto, di diventare socio dell’azienda, ha lanciato a inizio agosto la sua seconda raccolta fondi raccogliendo in meno di 30 giorni l’interesse di 115 investitori.

“L’obiettivo per questa nuova campagna di crowdfunding è du plice. Da una parte, puntiamo ad ampliare la community di 620 Passi, raggiungendo quota 500 soci entro la chiusura del round. Dall’altra, vogliamo invece sostenere la raccolta fondi di 1 milio ne di euro prevista dal nostro piano industriale 2022”, dichiara Andrea Menegon, amministratore delegato di 620 Passi.

La campagna di 620 Passi su CrowdFundMe si concluderà a metà ottobre e servirà per potenziare ed efficientare la capacità pro duttiva del birrificio friulano: “Nello specifico, Riccardo Caliari, presidente di 620 Passi, i fondi raccolti ci permetteranno di fi nanziare i lavori previsti per lo sviluppo del nostro stabilimento a Gorgo di Latisana e di acquistare due nuovi fermentatori di grande dimensione”.

Con Farinaria, Molino Naldoni vince il BIO AWARDS 2022

CCon la “Farina Biologica Tipo 00 Ideale per pizza - Fari naria 100% grani italiani” Molino Naldoni vince il BIO AWARDS 2022 categoria Farine, indetto da Tespi Media Group e celebrato in occasione della giornata di apertura di SANA, Salone Internazionale del Biologico e del Naturale, 34esi ma edizione.

Dichiara Federico Naldoni, Supply Chain Manager Molino Naldoni: “Abbiamo scelto di dedicare esclusivamente alla pro duzione biologica il nostro storico mulino di Marzeno di Bri sighella (RA) immerso tra i colli romagnoli. Farinaria è per noi è un grande orgoglio perché tutto il grano macinato in questo mulino non è solo biologico ma italiano e a km zero.

Farinaria testimonia così il nostro impegno verso i clienti ai quali vogliamo sempre offrire la massima qualità e contempo raneamente il nostro contributo all’economia locale con un occhio sempre vigile sulla sostenibilità.”

www.farinaria.it

www.molinonaldoni.it

PIZZA NEWS 14 pizza e pasta italiana ottobre 2022
MADE IN ITALY
Ristorazione domani
UN FELICE RITORNO AL PASSATO
18 pizza e pasta italiana ottobre 2022

Nel numero precedente ci era vamo soffermati sulla cucina spettacolo, affermando che badava più all’apparenza che alla sostanza. In verità, in quegli anni, ma già anche nell’ultimo periodo del secolo scorso, i media – quotidiani, riviste e TV – si sono impossessati della cucina in un modo che a molti è parso esagerato, come ad esempio a Edoardo Raspelli, da sempre cultore della vera qualità e non dell’appa renza. Nelle edicole, le riviste ripiene di immagini di cucina, generose di ricette firmate da cuochi eccellenti e da ignote casalinghe, sono andate occupando spazi sempre maggiori ed anche i grandi quoti diani nazionali hanno iniziato ad allegare settimanali o mensili dedicati alla cucina. C’è stato - diciamolo con sincerità - uno stordimento culinario che, purtroppo, ancora continua, con biografie, ricette e immagini dei cuochi più disparati, scelti nei diversi continenti, più per colpire

l’immaginazione dei lettori che per aiutare a mangiare meglio, più sano, con una più intelligente scelta della materia prima, tale anche da rispettare la terra e la sostenibili tà dei prodotti stessi.

In mezzo a tutto questo folclore, per nulla educativo, per nulla utile, di cui sono parse innamorate anche tante reti televisive, sono faticosamente emerse delle fiam melle, via via irrobustite, che invitavano a riflettere con più serenità e cultura sui temi dell’alimentazione.

Anche qualche programma TV ha compiu to delle scelte controcorrente, senza bada re in modo spasmodico all’audience ma af frontando con serietà e con protagonisti di cui fidarsi i temi dell’alimentazione. E cito un esempio per tutti: il programma Geo di Rai 3 che, oltre a presentare straordinari documentari geografici, indaga sulle tradi zioni alimentari italiane, attualizzandole in studio in diretta con bravissime cuoche e cuochi sia professionisti che non.

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IL

VALORE DELLA STORIA

L’excursus che la bravissima Sveva Sagra mola compie nella sua trasmissione sulla cucina regionale italiana, basata soprat tutto sui prodotti dei singoli territori – regioni, ma anche comuni o minuscole frazioni – insegna alcune cose importan ti. Innanzitutto, che l’Italia è davvero un territorio felice dove crescono migliaia di prodotti: dall’aglio della Val Resia alle oltre dieci varietà del peperoncino calabrese. In secondo luogo, in quella trasmissione si racconta la storia di quei prodotti, le loro caratteristiche nutritive e salutari e il loro impiego, come risulta nei ricettari storici e nella tradizione locale ancora in vita. Un po’ di cultura fa sempre bene, perché, lo ripeto con grande convinzione, i prodot ti e i piatti che hanno superato l’esame del tempo, che hanno superato indenni i secoli (signorie, ducati, repubbliche e regni; guerre, carestie, siccità e invasioni) meritano di essere guardati con grande attenzione, studiati e ripresentati.

20 pizza e pasta italiana ottobre 2022 Ristorazione domani

UNA CUCINA DALLERADICISOLIDE

Il lettore che segue un po’ le trasmissioni TV dirà che anche “Linea verde” o “L’Italia che mi piace” di Edo ardo Raspelli e altre si interessano di cucina. È vero e ci sono delle buone trasmissioni, molto serie ma gli approfondimenti comprensibili a tutti, che troviamo nella trasmissione di Sveva Sagramola per me sono i migliori, perché lontani da ingerenze pubblicita rie, tesi a far conoscere e a far amare il made in Italy gastronomico. Perché la cuoca o il cuoco che inter viene nella trasmissione, raccontando e realizzando in diretta la ricetta proposta, legata a un territorio, racconta una pagina di storia alimentare locale vista in chiave moderna. Perché questa è la cucina più interessante, quella che affonda le radici nella storia, quella che ha superato l’esame del tempo, quella che si rivela ancora pienamente attuale e, per di più, rispondente alle esigenze nutritive del nostro tempo.

Una cucina che è “grande cucina”

A questo punto, nasce una domanda obbligatoria: ma i piatti della tradizione possono dar vita ad una “grande cucina”? Più semplicemente: la cucina della nonna può essere “grande cucina”?

Per rispondere, mi permetto ci citare alcuni piatti di una delle massime chef italiane, Valeria Piccini del ristorante “da Caino” a Montemerano (Grosseto), la quale afferma che la sua cucina è a base di piatti poveri, cioè della gente di quella parte della Maremma, elaborati nel corso dei secoli con i prodotti locali, che lei ha ripreso e rielaborato in chiave gourmet, cioè affinandoli, equilibrando i gusti e i sapori, abbellendo le presentazioni.

Ecco alcuno suoi piatti attuali: Ravioli di olio evo, Pap pardelle all’aglio e rosmarino, Maialino di cinta senese, Agnello alla brace, Piccione con peschenoci. Come comprendiamo bene, si tratta di piatti tradizionali, re alizzati con prodotti del territorio, attentamente scelti ed elaborati con la grande professionalità e un pizzico di fantasia dalla celebre cuoca.

Dunque è possibile realizzare una cucina capace di incantare i più raffinati ed esigenti gourmet inter nazionali, quei turisti che arrivano in Italia da tutto il mondo per conoscere, gustare e godere la cucina italiana, partendo dai prodotti del territorio e dai piatti della tradizione, senza inscenare commedie gastro nomiche che di fatto diventano un incrocio ibrido tra cucina “esotica”, cucina fusion, cucina molecolare e, soprattutto, cucina spettacolo. Il mondo, teniamolo bene a mente, sta andando da un’altra parte rispetto alle fantasiosità di certe cucine e di certe trasmissioni TV. Dopo una pandemia che fatica a lasciarci tranquilli, una guerra assurda alle porte dell’Europa, una scarsità di fonti energetiche con strabiliante aumento dei prezzi, rincorrere la cucina spettacolo è del tutto irrazionale. Riflettiamo, dunque, per capire da che parte va la sto ria e, con essa, anche la nostra cucina.

22 pizza e pasta italiana ottobre 2022 Ristorazione domani

daera’Lle ir n n ova mento: ùig la Nord

a cura della redazione

La pizza è espressione indiscussa dell’italianità e, in quanto tale, rappresenta una “identità plurale” fatta di stili, forme e combinazioni diverse.

Se è vero che Ancel Keys, padre de gli studi sulla Dieta Mediterranea si sente rispondere ancora negli anni ’50 del Novecento a Roma che la pizza è “una cosa da Napoleta ni”, dopo il boom industriale degli anni Sessanta, grazie alle emi grazioni dal Sud al Nord, il piatto conquista anche il resto d’Italia. Si racconta che, a rendere celebre la pizza in tutto il nord Italia, sia stato il commercio di mozzarella, come diremo più diffusamente nell’articolo / intervista dedicato a Tramonti, nel quale ricostruiamo la storia di Luigi Giordano che da “Gigino ‘a Casettara” si trasformò in “Gigino ‘o Miliardario” proprio grazie alle pizzerie.

La pizza al Nord si suddivide sostanzialmente in due tipologie: quella dei locali ispirati alla pie tanza napoletana e quella dei piz zaioli locali che usano tecniche e talvolta grani del luogo in cui ope rano. Qui è comunque maggior mente diffusa la cottura nel forno elettrico, a temperature più basse e in tempi più lunghi; in diversi casi, anche la pizza di tradizione partenopea appare più croccante, anche perché il panetto d’impasto è di peso inferiore rispetto a quello del sud e chiaramente il cornicio ne è anche meno pronunciato. Negli ultimi due decenni si sono però sviluppate molte pizzerie gourmet e altrettante che com merciano pizza alta al taglio, in teglia d’asporto, rettangolare o ro tonda, ma comunque in generale “alta, morbida” e magari croccante sul fondo. Ecco il nostro viaggio nell’area del rinnovamento.

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Piemonte

A Torino la pizza napoletana arriva grazie a Valter Picariello, in arte Gennaro Esposito, di origine campana, che lotta non poco per far affermare negli anni ’70 il suo locale nei pressi di piazza Statu to, oggi meta indiscussa per gli amanti del genere. A Picariello si deve la formazione di molti bravi pizzaioli oggi attivi in Piemonte, tra cui si distingue sicuramente Domenico Martucci, il patron della pizzeria Per Bacco, sita in uno dei luoghi più belli d’Italia: La Morra. Negli ultimi anni, poi, è sta to tutto un popolarsi di eccellenze campane: da Starita a Sorbillo fino a Da Michele e Da Zero.

Una pizza di Gennaro Esposito

Viene condita con elementi semplici come quelli della classica Margherita napoletana o con mozzarella, friarielli o burrata. I torinesi amano mangiarla nei locali retrò, spesso periferici. Oggi esponente di spicco di questa cultura sono locali come “Bricks” o “Farinata e Padellino”.

A rinnovare il modo di far pizza in Piemonte è stato però Patrick Ricci, di cui abbiamo diffusamente parlato qualche numero addietro: è lui che a San Mauro Torinese ha concepito una proposta di cucina in cui il linguaggio adoperato è quello della pizza.

Se però siamo alla ricerca di un prodotto tradizionale, dobbia mo rintracciare il celebre “pa dellino” o “tegamino”, una pizza cotta – per l’appunto – in un tegamino. Considerata la protagonista dello street food, questa pizza è alta, mor bida, prevede una doppia lievitazio ne e il fondo è pra ticamente fritto.

Padellino

In Val Chisone e in Val di Susa sono diffusi i gofri, ovvero delle cialde di pasta fatte di acqua, farina e lievito, con grigliatura a nido d’ape. Questa pietanza ha origini francesi ed è soprattutto dolce. Nell’Ottocento i Piemontesi hanno ben pensato di elaborarne una versione salata, più sottile e croc cante di quella francese, farcita con prosciutto e formaggio o con salumi locali. Chiaramente la versione francese, essen do l’impasto dolce, pre vede l’uso di maggiori ingredienti come burro, latte, uova e zucchero e sono decisamente più alti e morbidi.

La preparazione dei gofri salati è semplice e pre vede una lievitazione abbastanza veloce, motivo per il quale, nei paesini più reconditi, venivano spesso usati al posto del pane. La pastella, lievitata per un paio d’ore sotto un panno umido, viene cotta sulla “gofriera”. Una padella di ghisa con il coperchio, preven tivamente unta con il lardo, che conferisce ai gofri la tipica forma a quadretti.

Gofriera per gofri piemontesi

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di Rec

Liguria

In Liguria è diffusissima la focac cia, la quale si dirama in varie tipologie. Ai primi posti nella classifica delle “più conosciute” ci sono la focaccia genovese e la focaccia di Recco.

La focaccia di Recco, invece, è una preparazione tipica di Recco appunto, altresì detta fugassa de Réccu. La sostan ziale differenza con la focaccia genovese è la lievitazione: la focaccia in questione, infatti, non ne necessita affatto. Un altro elemento

è l’utilizzo della crescenza, la quale contribuisce a renderla dol ciastra. Nel ricettario antico però, al posto della crescenza, era usata la prescinsêua: un prodotto a metà tra lo yogurt e la ricotta, il quale, a causa della sua troppa acidità, è stato poi messo da parte.

Il borgo di Dolceacqua, in pro vincia d’Imperia, è famoso per la preparazione della focaccia verde, altrimenti detta fugasùn

Si tratta di un misto tra una focaccia e una torta salata ricca di ingredienti: impasto di farina 00, olio extravergine d’oliva, sale e acqua. All’interno troviamo zuc chine grattugiate, bieta, cipolle, maggiorana, uova, sale, pepe e del riso che verrà cotto diretta mente in forno. Viene ricoperta da un altro strato di pasta buche rellato e spennellata con l’olio.

discorso a parte merita anche la farinata, la cui ricetta è diffusa in molte zone del nord Italia, seppur con nomi diversi. Questa pietanza è una torta salata bassissima creata dall’impasto di farina di ceci, acqua, sale e olio. La leggenda vuole che sia nata “per errore” e che risalga addirittura al 1284, anno in cui ci fu la battaglia della Meloria tra Genova e Pisa. Si narra che alcuni barili d’olio e sei sacchi di ceci si rovesciarono, inzup pandosi di acqua salata, durante una forte tempesta. Al sorgere del sole questo impasto si seccò e i membri dell’equipaggio, affamati, la mangiarono con ingordigia e si accorsero così di quanto fosse buona. Tornati sulla terra ferma alcuni genovesi decisero di per fezionare questa ricetta scoperta per pura fatalità e provarono la cottura in forno. È così che si dice sia nata la farinata.

La prima è nota anche come fugàssa, letteralmente “cotta sul fo colare”: è una pizza alta, pizzicata in superficie e condita con acqua, olio extravergine d’oliva e granelli di sale grosso. Nonostante questa sia la versione più semplice, non mancano le varianti. Celebre è divenuto in tal senso il lavoro di Dennis Pirrello, patron di Zena Zuena a Genova. La particolarità di questa focaccia genovese è la lun ghissima lievitazione, la quale non dura mai meno di venti ore. La tra dizione vuole che venga cotta nel forno a legna. È un prodotto che si può gustare a colazione, insieme al cappuccino o come aperitivo. Si dice che fossero i “camalli”, ovvero gli scaricatori di porto, a mangiar la a metà mattina, intinta in un bicchiere di vino, così da spezzare la fame ed evitare il pranzo.

Nasce poi in Liguria anche la pi scialandrea o pizza d’Andrea, una focaccia a base di acqua, farina, lievito e olio extravergine ripiena. La farcitura origi nale prevede un battuto di cipolla e acciughe salate chiamate macchettu. Alta e soffice, la ricetta di questa focaccia risalirebbe addirittura al 1400. Alcuni sostengono che il nome pi scialandrea derivi da pissalan dière, una preparazione di origine romana diffusa in Provenza, il cui nome a sua volta deriverebbe da peis salat, ossia pesce salato. Altri attribuiscono l’origine del nome ad Andrea Doria, un ammiraglio che ha dominato la politica genovese nel Cinquecento e che – pare – ne andasse ghiotto. Una variante della piscialandrea è la sarde naira, tipica di Sanremo, che è un po’ più bassa e condita con le sardine. Tra le specialità liguri,

F u g à s s a
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Piscialandrea Fcaco c i a
Sardenaira
Farinata

Legumi, cereali, verdure: una linea completa di cotti a vapore, che garantisce agli chef ingredienti di alta qualità, genuini, buoni e pronti da utilizzare, senza sprechi e senza perdite di tempo.

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Valle d’Aosta

La focaccia valdostana è una schiac ciata a base di pasta lievitata, ri piena di fontina, prosciutto crudo e olio. Le origini di questa ricetta, sebbene antiche, sono sconosciu te. Nel tempo, è nata ad esempio la versione con le patate, con i formaggi oppure con la grappa nell’impasto, ritenuta oggi una delle versioni più classiche.

Chizolina

A Mantova invece, già a partire dal Cin quecento, in testa alla classifica delle specialità tradizionali , una schiacciata la cui ricetta prevede talvolta l’uso di acqua, farina, sale e un po’ di bicarbonato, talvolta il grasso di cottura del cotechino, le uova e il latte. Questa viene cotta al forno in una teglia di rame.

A Felonica invece, in provincia di Mantova, la specialità in tema di focacce è senza dubbio il tiròt. Il nome di questa pietanza prende ispirazione dalla modalità di preparazione: l’impasto viene “ti rato”, steso, dentro la teglia prima della cottura in forno.

EmiliaRomagna

La crescenta, tipica di Bologna, è una focaccia alta e soffice, pre parata con farina, acqua, lievito, strutto, sale e spesso, in aggiunta, si usano i ciccioli di maiale. Viene condita con i salumi locali ed ha origini molto antiche. I fornai in tempi lontani erano soliti conservare gli avanzi della pasta del pane e, unendoli allo strutto e al gambuccio, ottenevano una gustosa focaccia.

Lombardia

In questa regione è possibile trovare i prodotti da forno più disparati. A Romagnese, un piccolo comune della Val Tidone, i cui abitanti sono meno di 700, la tradizione è la matrice del quotidiano. Ogni giorno, infatti, i cittadini s’impegnano assidua mente nella ricerca di ricette storiche da riportare in auge e lo fanno attraverso sagre ed eventi. La più nota tra queste ricette è quella della brusadela: una focac cia a base di acqua, farina, sale e lievito, cotta in forno a legna e condita con salumi e formaggi locali.

Nato nell’Ottocento, il tiròt veniva preparato tradizionalmente da maggio a settembre, ossia nel periodo di raccolta delle cipolle bionde. Queste, infatti, sono uno degli ingredienti della focac cia, il cui impasto è fatto con farina, strutto, sale, acqua e lievito.

A Milano è dif fusa la pizza al trancio, la cui versione più famosa è quella “alla Spontini”, dal nome dell’o monima pizzeria che ha inventato il suo personalissimo stile di pizza dal 1953. Questa pizza, che comun que ricorda una focaccia, viene fatta lievitare per un’ora e viene condita con polpa di pomodoro, sale, pepe e mozzarella, con un tocco finale di origano e acciughe. È alta, soffice, cotta in forno, ha la base croccante ed è praticamen te ricoperta di mozzarella. Una versione di pizza Lom barda più recente è nata dal genio del pizzaiolo Gegè e dalla cuoca Anna Moroni nel 2019. L’impasto prevede una parte di grano sarace no, un ingrediente tipico Lombardo e nella sua prima versione è stata condita con pere caramellate, asparagi bian chi, mozzarella e gorgonzola.

Nella regione del tortellino però non possono mancare anche altri tipici prodotti di “acqua e farina”, come le tigelle, di dimen sione ridotta, alte e poco lievitate e lo gnocco fritto, una sorta di piz za fritta ma ripiena di aria al suo interno. L’Emilia Romagna vanta però anche il primato di essere la Regione con la prima pizzeria con forno a legna in un aero porto: è quella voluta da Luca Di Massa, di recente vincitore della categoria Mastunicola alle Olimpiadi della Verace Pizza Na poletana che aprì la sua pizzeria, oltre che a Castenaso anche allo scalo Guglielmo Marconi.

Focaccia valdostana Tiròt Tigelle Crescenta
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TrentinoAlto Adige

Sebbene oggi questa regione sia dominata dalla presenza di una donna straordinaria, qual è Marzia Buzzanca che ha portato la sua pizza all’Hofstätter Garten di Termeno, anche il Trentino vanta diverse tradizioni.

La pizza tipica di questa regione è sottile, croccante e leggera. Viene cotta in forno a legna, ma anche in casa, seguendo il metodo della doppia cottura. L’impasto è quello di una pizza tradizionale: prima della cottura “ultima” però si fa riscaldare preventivamente uno stampo in ghisa nel forno e, una volta caldo, vi si adagia la pizza con la mozzarella e il celebre formaggio Puz zone di Moena e si ripone in forno. All’usci ta si aggiunge lo speck.

Un piatto ampiamente diffuso in Trentino è lo smacafam: l’origine del termine rimanda alla capacità di placare l’appetito. Questa sorta di focaccia arriva dalla cucina povera delle campagne e oggi viene chia mato anche “focaccia di Carnevale”, questo in quanto, essendo un cibo piuttosto grasso, viene preparato soprattutto nel periodo carnascia lesco. Si ottiene con farina bianca, farina di grano saraceno e latte nell’impasto mentre il condimen to è dato da olio, luganega fresca, pancetta affumicata, fiocchetti di burro in superficie e sale. Da mangiare fredda.

Friuli - Venezia - Giulia

La pizza non è esattamente il prodotto di punta della Regione. Proprio per questo merita una menzione quanto fatto a Buja da Marco Facini, il quale ha pensato di creare una pizza 100% made in Friuli: farina 0 con cereali tutti coltivati nel medio Friuli, salsa di pomodori locali, olio e mozzarella prodotta dalla latteria Gôt di Gemona.

Veneto

Chiudiamo il nostro viaggio con il Veneto, la terra della sperimen tazione. È qui infatti che è nata la prima scuola italiana per pizzaioli, fondata da un maestro indiscusso dell’arte della lievitazione, nonché appassionato artigiano: Graziano Bertuzzo. Ed è ancora qui che, dalla fine della prima decade del terzo millennio, i pizzaioli hanno scelto di usare farine più grezze e ingredienti innovativi. Si deve a questa Regione la nascita del Manifesto della Pizza italiana ed è qui che nomi come Renato Bosco e Simone Padoan hanno fatto scuola. Se però dobbiamo cercare il Big Bang da cui tutto ciò è stato originato, forse dobbiamo fare riferimento a Giuseppe Vignato, uno dei più grandi protagonisti della comunicazione della pizza, a partire dalle materie prime, un immenso professionista scompar so troppo presto.

Da non perdere, tra le esperienze venete, la pizza con la gallina padovana di San Martin a Cornedo Vicentino o quella del Settimo cie lo di Petra Antolini a Pescantina.

Smacafam

Tra i prodotti tradizionali del territorio, troviamo lo “schizo to”, ossia un pane-focaccia che vanta un’antica tradizione. La caratteristica principale di questa pietanza è l’assenza, o comunque la minima quantità, di lievito presente nell’impasto. Nella sua preparazione, oltre a farina, acqua e sale, vengono aggiunti anche grasso d’oca, strutto o bur ro. Solitamente si prepara in casa e ogni famiglia ha una propria ricetta. Spesso, in passato, la cot tura avveniva nel camino e, oggi quanto ieri, viene accompagnata da salumi e formaggi.

Non ci resta che augurarvi buon appetito… anzi, buon viaggio!

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Quando il Nord Ovest scoprì la pizza:

Tramonti

E se anche la storia della pizza al Nord iniziasse da Sud? No, non sono “gli autoironici e assolutamente non permalosi napoletani” a dirlo ma l’analisi dei flussi migratori, incrociata con i dati degli archivi storici e camerali. E Napoli c’entrerebbe poco o nulla. Il merito sarebbe di Tramonti, piccolo comune in provincia di Salerno, da cui sarebbe partita questa “colonizzazione” alla volta di Lombardia e Piemonte.

Abbiamo chiesto al Vicesindaco di Tramonti e storico della città, Vincenzo Savino di raccontarci la bella storia di Luigi Giordano.

Vincenzo, una città con poche migliaia di abitanti vanta il numero più alto di pizzaioli nel

mondo:

è leggenda o realtà?

È assolutamente realtà. In molti si stupiscono che la patria dei Pizzaioli sia tra le valli della Costiera Amalfitana, ma così stanno le cose. La storia di Tramonti è un tutt’uno con quella della pizza: una storia che parla di sacrificio e di straordinarie intuizioni, ma anche di emigrazione. Proprio quest’ultima ha fatto in modo che un borgo di poche migliaia di abitanti diventasse l’epicentro

della diffusione della pizza in Italia e nel mondo, viaggiando insieme alle migliaia di pizzaioli che, soprattutto tra gli anni Cinquanta e Ottanta del Novecento, hanno lasciato Tramonti senza mai dimenticare le proprie origini.

qual è la vera pizza di Tramonti?

Agli inizi del '900, la maggior parte delle famiglie aveva in casa il forno a legna per fare il pane biscottato di farina integrale e, ogni qualvolta si preparava la famosa “cotta di pane”, era un rito fare anche la pizza con lo stesso impasto, condita con pomodori “sponsilli” o pomodoro Re Fiascone o Corbarino, olio di oliva, aglio, origano, sugna e qualche cubetto di lardo. Questo piatto rustico è l’antesignano dell’attuale Pizza di Tramonti, a cui si è giunti, attraverso varie modifiche nel corso dei decenni, che però non ne hanno snaturato l’origine e la fisionomia squisitamente contadina.

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Veniamo a Luigi Giordano: ci racconti la sua storia?

Nel secondo dopoguerra, molti giovani di Tramonti hanno lasciato il loro paese natìo, partendo per il nord. Luigi Giordano è stato uno di questi: partendo da una semplice idea e tanta motivazione, è riuscito a creare un impero e ad indicare la strada a centinaia di compaesani. Dopo aver svolto il servizio militare a Novara, decise di stabilirvisi definitivamente e, spinto dai numerosi pascoli di vacche della zona, di aprire qui un caseificio sul modello dei tanti esistenti a Tramonti per la produzione del fior di latte, prodotto ancora sconosciuto al Nord. Luigi ebbe l’intuizione di affiancare al caseificio una piccola pizzeria, così da poter sfruttare la merce invenduta per la produzione della pizza e ridurre al minimo gli sprechi. Il successo della prima pizzeria “del nord” non tardò ad arrivare: le numerose richieste di pizza con il fior di latte indussero Luigi Giordano ad avviare una

rete di ristoranti in tutto il nord dell’Italia richiamando a sé tutti i pizzaioli di Tramonti. Ad oggi in 9 regioni italiane ci sono circa 2000 pizzerie a gestione “tramontana”.

Dove sono oggi i pizzaioli di Tramonti? Ancora nel

nord Italia o soprattutto all’estero?

Molti paesi del mondo possono vantare una o più pizzerie gestite da tramontani, ma è innegabile che sia ancora il Nord Italia ad ospitare molti dei pizzaioli di Tramonti. Qualche dato: sul territorio tramontano si contano circa venti pizzerie; allargando la ricerca all’Italia settentrionale se ne trovano più di duemila. Regioni come l’Emilia Romagna, la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, il Veneto e il Friuli Venezia Giulia sono quelle con la più forte presenza di pizzerie di origine tramontana.

Quali particolarità ha la pizza di Tramonti?

La pizza di Tramonti ha un’origine rustica: viene realizzata a partire da un impasto a lunga lievitazione (lo stesso da cui si ricava l’ottimo pane locale), con l’impiego di lievito madre e l’aggiunta di finocchietto selvatico. Questa particolare preparazione le conferisce caratteristiche uniche, esaltate delle materie prime con cui viene condita, prevalentemente a chilometro zero. Si distinguono, ad esempio, il pomodoro “corbarino” o il rinomato pomodoro Re Fiascone, l’olio di oliva di origine tramontana, così come tramontano è il latte con cui viene prodotto il fiordilatte dei Monti Lattari. Lo stesso impasto è realizzato con farine integrali macinate a pietra (farro, mais, segale), di grano duro, lavorate nei migliori mulini d'Italia.

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Che legame c’è oggi tra i pizzaioli di Tramonti nel mondo e la città da cui provengono?

I pizzaioli che hanno lasciato Tramonti per emigrare, soprattutto verso le regioni del Nord Italia, non hanno mai dimenticato la loro origine. Un legame che è rimasto forte negli anni e che è stato suggellato dalla creazione, nel 1989, di una corporazione delle pizzerie di Tramonti che permettesse di mantenersi in contatto tra loro e con il loro paese natale. Nel 2019, questa corporazione è confluita nella creazione di una nuova “Associazione Pizza Tramonti” che ho l’onore di presiedere. Tra gli obiettivi che la nuova Associazione si è prefissa vi è la creazione di un vero e proprio marchio per tutelare la Pizza di Tramonti e le sue peculiarità: un grande passo avanti in questa direzione è stato fatto con l’ottenimento della certificazione De.Co. (denominazione comunale, ndr), unica in Italia a riuscirci.

E anche il vincitore del Campionato Mondiale della Pizza di Parma, organizzato proprio da questa rivista, è un pizzaiolo tramontano…

Proprio così: l’attuale campione del mondo nella categoria “Pizza Classica”, una delle più ambite e contese, è Paolo Moccia, pizzaiolo originario di Tramonti e membro della già citata Associazione. Paolo incarna appieno lo spirito dei nostri maestri pizzaioli: ha saputo unire con la sua arte le tradizioni della propria terra natale con i colori e i profumi dell’Emilia-Romagna, dove si è realizzato professionalmente. Per ottenere il titolo di campione, ha dovuto sfidare concorrenti provenienti da più di 40 paesi del mondo, aggiudicandosi la prima posizione con una pizza in cui gli ingredienti tradizionali, come il fior di latte e le farine integrali, si sposavano sapientemente con la zucca, il Parmigiano Reggiano e l’Aceto Balsamico di Modena. Un’intuizione apprezzata dalla giuria e che l’ha condotto alla vittoria.

Un altro straordinario esempio di pizzaiolo di origine tramontana è quello di Giuseppe Giordano, che porta lo stesso cognome di quel Luigi, capostipite dell’emigrazione imprenditoriale dal sud verso

il nord. Giuseppe è il titolare della pizzeria “Il pizz’ino” di Alessandria, un innovatore con i piedi ben saldo nella tradizione.

«Sono nato il 26 settembre 1972 –racconta Giuseppe – e sono figlio della prima generazione nata nel nord Italia dall’ondata migratoria dei pizzaioli di Tramonti».

Quanto è importante per te

oggi essere riconosciuto come “pizzaiolo di Tramonti”?

Ti rispondo con la storia, perché l’orgoglio è racchiuso in essa. Luigi Giordano e suo fratello Amedeo furono i primi a produrre nel 1947 il fior di latte nel caseificio di Arona: il fior di latte, materia prima indispensabile per la nascita di Margherita. La ricostruzione storica oggi ci dice che nel 1890 l’unico paese sui Monti Lattari che produceva fior di latte era Tramonti, anzi l’economia di Tramonti si reggeva pressoché esclusivamente sulla produzione del fior di latte: i contadini allevavano le mucche andando a raccogliere per loro le erbe migliori dei Monti Lattari; producevano e vendevano il latte alle migliori famiglie casare che lo trasformavano in fior di latte che, a spalla, veniva portato a Napoli attraverso il valico di Chiunzi. Ai primi del Novecento erano decine le famiglie casare a Tramonti e una di queste era quella di Luigi Giordano che aprì la sua prima pizzeria nel 1951 mentre il fratello Amedeo continuava a occuparsi del caseificio; in dieci anni aprì circa 100 pizzerie, chiamando a lavorare (e finanziando) altrettante famiglie di Tramonti.

E tra queste famiglie ci fu anche la tua?

Non proprio. La mia famiglia si trasferì ad Alessandria alla fine degli anni Sessanta. Mio padre e mia madre provenivano entrambi da famiglie tramontane che, sebbene con percorsi diversi, si erano trasferite a Tramonti sulla scia di questo fenomeno migratorio. La mia casa era sopra la pizzeria Piedigrotta e, da piccolo, il mio pongo, la mia plastilina era il panetto d’impasto della pizza. Il pizzaiolo, a quel tempo, era mio cugino Costantino ma, da adolescente, tutto avrei pensato di fare, men che il pizzaiolo perché mentre i miei amici uscivano e vivevano la movida, io lavoravo per servire la movida. A 13 anni, però, iniziai a fare pizze e a 18 anni ero già un pizzaiolo completo,

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“finito”, come si dice in gergo. Avevo imparato a cuocere la pizza tutta sul suolo, secondo lo stile tramontano, a una bassa temperatura (350°C circa) e fino a ottenere l’effetto crunch, oggi tanto ricercato.

Eri soddisfatto?

Per niente. Anche perché godersi il successo fu impossibile: mio padre fu colpito da un male che non perdona e morì all’età di 48 anni, quando io ne avevo meno di 20. Ero il fratello maggiore e toccava a me portare avanti le economie di famiglia. Fu allora che feci una scommessa con me stesso: se avessi dovuto fare il pizzaiolo (mestiere che odiavo), avrei dovuto farlo alla grande. Così, nel 1994 ho aperto il “Piedigrotta 2 Express”, una pizzeria da asporto in un locale da 70 metri quadri: volevo far mangiare una buona pizza anche dopo averla trasportata a casa.

E ci sei riuscito?

Sì, ma non potevo certo fermarmi. Gli anni passavano e il fuoco aumentava, così nel 2010 ho inventato la cottura “a pizz’ino” che nel 2012 ho deciso di brevettare. Il pizz’ino è uno strumento di cottura che ho ottenuto sfondando a mano un padellino, ricavandone una corona. Il risultato è stato entusiasmante, anche perché avevo la consapevolezza di avere unito le due cotture tipiche al forno: su mattoni e in tegame.

Cosa c’entra la pizza al tegamino con Tramonti? Non era una tua tradizione ma una tradizione torinese…

Sbagliato! Quando emigrarono, i pizzaioli di Tramonti furono i primi a far conoscere le caratteristiche della loro cottura, oltre che della

Dunque, tutto arriva da Tramonti!

No, non tutto ma la tecnica di cottura più diffusa al mondo sì. A Tramonti la pizza si cuoce a 350°C (a Napoli a 450°C circa, ndr) e oggi nel mondo credo di poter dire che ci sia quasi il 90% delle pizzerie che cuoce a questa temperatura: sarà un caso?

Parliamo di te: qual è la pizza che più ti rappresenta? Sei un grande difensore della tradizione ma poi hai creato una tecnica di cottura tutta tua.

Sì, è vero che mi sono innovato ma rispettando la tradizione della “mia” cottura a 350°C, la cottura del mio paese, quel paese che mi ha fatto conoscere mia moglie Sabrina, dall’infinita pazienza, che mi ha reso padre di due bellissime bambine: Vittoria e Beatrice.

Dove possiamo assaggiare il Pizz’ino?

Nel mio locale di Alessandria che si chiama proprio così e che è una pizzeria e american bar: è la mia personale sfida per far sì che un forno possa essere un luogo dove darsi appuntamento per un aperitivo. Un pizz’ino sfornato al momento e accompagnato da ottimi cocktails è un finger food da gustare anche nel dopocena.

E chi l’ha detto dunque che la tradizione è sempre uguale a se stessa?

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Diversi studiosi hanno cercato di fissare una data da cui partire per capire la strada che ha imboccato la pizza nel Nord Italia, differenziandosi dalla tradizionale pizza napoletana. Questa ricerca, in verità assai confusa e poco approfondita, ha comunque messo a fuoco il rapporto della pizza con il Veneto.

Evoluzione della pizza nel Nord Italia

La data scelta è stata il novembre 2012, quan do a Vighizzolo d’Este, in occasione della sesta edizione di PizzaUP, è stato lanciato il “Manifesto della Pizza italiana contem poranea”. Va subito aggiunto che l’evento di Vighizzolo d’Este è stato poi lanciato nel mondo della pizza da un forte battage comunicativo che ha coinvolto anche importanti personalità della gastronomia italiana e che ha lasciato il segno, soprattutto nel Nord Italia e fra i clienti del Mulino Quaglia, ideatore della interessante novità.

Il Manifesto dà un “decalogo” cui i pizzaioli do vrebbero attenersi per far sì che, come recita la 10ª regola: “la pizza italiana diventi strumento di divulgazione del gusto italiano e della ricchezza della Dieta Mediterranea, che dai suoi prodotti trae origine”.

Un bell’impegno, non c’è dubbio, ma un po’ presun tuoso perché, diciamolo con franchezza, la pizza è un grande prodotto napoletano, diffusosi già alla fine dell’800 in Nord America e dopo la metà del secolo scorso in Nord Italia, grazie alle migliaia di

di Giampiero Rorato
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operai meridionali arrivati a lavorare nelle fabbriche del Nord e alle migliaia di giovani mandati a far servizio militare di leva nelle caserme del Nordest. Il prodotto dell’emigrazione dal Sud al Nord, che ha coinvolto an che numerosi pizzaioli campani, non è stato il primario “strumento di divulgazione del gusto” del Veneto o del Friuli Venezia Giulia. Al contempo ricordiamo per la cronaca che la Dieta Mediterranea è un modo di alimen tarsi, studiato da Ancel Keys negli anni ’50 del secolo scorso e diffuso in Sud Italia, Grecia, Spagna e poi Cipro, Croazia e Portogallo; espressione di un’ottima cultura alimentare, si basa su un’ampia varietà di prodotti come ad esempio il grano, da cui per millenni si è ottenuto il pane; l’olio d’oliva, usato nel mondo greco per ungere e massaggiare gli atleti e in quello romano anche per condire asparagi e altre verdure e altri prodotti. La troppa enfasi non è mai consigliata, ma comunque gli incontri di Vighizzolo d’Este e “Il manifesto della pizza italiana contemporanea” hanno aiutato a far con siderare la pizza nel suo valore alimentare, preparando bravi pizzaioli a diffondere la pizza “napoletana” e “italiana” nel mondo, preparandola con ottimi prodotti e nel migliore dei modi.

Tutto era iniziato prima

In verità, nel Nord Italia la pizza non ha conosciuto un’esaltazione solo nel 2012 ma, come sopra accennato, la pizza è nel Nord Italia da subito dopo la fine della se conda guerra mondiale, quindi attorno al 1950. E ci sono pizzaioli campani che qui producono pizze da oltre 50 anni, come Pino Giordano, oggi uno dei più noti pizza ioli del Nordest. Poi, attorno agli anni ’70 del secolo scor so, oltre ai pizzaioli arrivati dal Sud, sono apparsi anche pizzaioli locali. Da allora, vengono aperte via via nuove pizzerie, quasi tutte organizzate per mangiare la pizza sul posto, tanto che nel decennio dopo si sentì il biso gno di un qualche intervento per formare in maniera seria ed organica i ragazzi desiderosi di intraprendere la professione di pizzaiolo.

Iniziò un ristoratore friulano, amante ed esperto della pizza, operante a Caorle, cui si unì qualche anno dopo un manager esterno e, dalla loro unione, partì la prima scuola italiana per pizzaioli. L’idea geniale fu quella di coinvolgere un docente della Facoltà di Agraria dell’U niversità di Padova che insegnò l’arte della lievitazione, soprattutto quella con lievito madre. Fu un successo! E la Scuola aprì in breve tempo numerose sedi in Italia e all’estero, dalla Francia agli USA.

La Scuola - cosiddetta - di Caorle modificò la pizza tipica di Napoli proprio nella elaborazione delle palline di pasta, pronte dopo prolungata fermentazione e matu razione, rendendo la pizza, anche se sostanziosa, molto più leggera e digeribile.

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Sempre dalla Scuola di Caorle e da questa rivista, che ha raggiunto i 33 anni di vita, mai fermandosi, nacque l’annuale Campionato Mondiale della Pizza, caratterizzato da una serie di concorsi per specia lità, con confronti e dibattiti che favorirono una maggior diffusione della pizza italiana nel mondo, come ad esempio nei Paesi arabi, in Giappone, in Cina, in Australia. Con quell’evento si iniziò ad offri re (e si continua ancor oggi) ai pizzaioli provenienti da tutto il mondo un palco dove scambiarsi idee ed esperienze, confrontare le varie tecniche operative e ove è possibile individuare le nuove tendenze, come avvenne più di dodici anni fa per la gara di “Pizza a due”: una competizione in cui un pizzaiolo - che prepara il disco di pasta – gareggia assieme ad un cuoco qualificato che realizza la farcia, e che voleva simboleggiare l’avvicinamento tra pizza ed alta cu cina, facendo nascere la cosiddetta “pizza gourmet”.

I protagonisti

Questa rivista ha già raccontato le ricerche, le esperienze e i risultati raggiunti da ormai numerosi pizzaioli italiani che hanno sperimentato nuove forme di pizza, facendo evolvere questo piatto, tanto da poter essere presentato in ristoranti stellati. In questa occasione, desidero riferirmi a due per sonaggi veneti la cui attività può essere d’esempio a molti pizzaioli che desiderano rinnovarsi per ri spondere ai gusti detti anche “esperienziali”, perché regalano nuove, interessanti, piacevoli esperienze gustative.

Renato Bosco, con attività a San Martino Buon Albergo (Pizzeria Saporè) in provincia di Verona, è un serio professionista, da sempre innamorato di pane, dolci, pizze e lievito madre. Perché è diventato un importante personaggio, studiato, ascoltato, imitato non solo nel mondo della pizza? Bosco, un bel giorno, s’è guardato attorno e ha fatto delle scelte. In particolare, per lui la materia prima deve essere per quanto possibile del territorio, impiegata solo quando è pronta, quindi nel rispetto della stagionalità e, fra i prodotti stagionali del territorio, impiega solo i migliori. La sua regola è: filiera corta e prodotti freschi di assoluta qualità.

Bosco ha capito che scegliendo i prodotti migliori della sua terra e impiegando il lievito madre, può preparare pizze di grande bontà, con attenzione all’antica tradizione delle focacce morbide, servite in spicchi, sapientemente farcite con prodotti o locali o stagionali.

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Per capire le novità apportate da Renato Bosco (e dal suo collega Simone Padoan), occorre anche sapere che la parola “pizza” per lui non si riferisce solo alle preparazio ni storiche, tipo la “Margherita” e simili, ma anche ciò che somiglia a una focaccia, preparata con i medesimi ingredienti della pizza ma con diversa lievitazione e farcitura

Altro personaggio importante nella nostra storia, come abbiamo appena ricordato, è Simone Padoan, veronese con attività a San Bonifacio (I Tigli). Per lui, la parola pizza è un piacevole pretesto per giocare con intelligenza su questo vecchio piatto che, nel corso degli ultimi decenni del secolo scorso e nei primi due di questo, ha assun to forme nuove sia nell’impasto con lievito madre che nella farcia. La pizza di Padoan regala gusti nuovi, nuove esperienze ga stronomiche, tanto da essere stata definita da qualche esperto “Pizza gourmet”.

Verso il futuro

Perché abbiamo citato Renato Bosco e Simone Padoan? Semplicemente perché stanno mostrando che il pizzaiolo ha la possibilità di soddisfare nuove esigenti richieste, giocando su impasti e accosta menti, uscendo dai canoni storici della pizza tradizionale. Certo, non è facile, perché, oltre a possedere una grande cultura professionale, bisogna sentire dentro la voglia ed avere poi il coraggio di lasciare la tradizione sperimentando nuove strade; bisogna trasformare la stessa sala dove i clienti mangiano la pizza in un salotto elegante che già da solo ci dice che lì si è in un ristorante importante, dove la professionalità del cuoco-pizzaiolo offre piatti diversi, spicchi che incantano, quasi si fosse nei celebrati ristoranti pluristellati che atti rano i gourmet da tutto il mondo. E poi Bosco e Padoan non sono solo pizzaioli, sanno fare il pane e sono pure raffinati pasticceri!

La conclusione? Nel Nord c’è già stato, negli anni ’80, un centro innovatore che va ricordato come la “Scuola di Caorle” e, in questi ultimi due decenni, le notevoli esperienze di Bosco, Padoan e – aggiungo - Denis Lovatel di Alano di Piave (Bellu no), ci assicurano che il Nordest non solo s’è fortemente innamorato della pizza ma ha dei pizzaioli che stanno aprendo nuove strade per fare della pizza un piat to per raffinati gourmet e i locali dove la si produce dei luoghi gastronomici ricercati dai buongustai internazionali. Ciò non toglie che vi sia ampia rap presentanza per il lavoro dei pizzaioli legati alla tradizione, i quali negli ultimi tempi, frequentando corsi di varia spe cializzazione, sono diventati esperti di farine, di lievitazione tradizionale e col lievito madre, di farce nuove e sperimen tali, dimostrando di saper essere al passo con i tempi e capaci di soddisfare bene le esigenze dei loro clienti,

42 pizza e pasta italiana ottobre 2022

44 pizza e pasta italiana ottobre 2022 Pizza e

un matrimonio che s’ha da fare!

Nel mondo culinario poche preparazioni riescono a riassumere le tradizioni e l’innata creatività italiana come invece fa la pizza.

Dalla classica Margherita che, guarda caso, con una fogliolina di basilico a fine cottura richiama cromaticamente proprio la nostra bandiera tricolo re, la pizza vede oggi innumerevoli combinazioni di ingredienti e impasti diversi.

Un'evoluzione resa possibile grazie alle competenze e alla fantasia del pizzaiolo che la crea.

Un cocktail di sapori. Ecco, un cocktail appunto! E che cos’è un cocktail se non un'espressione delle competenze e della fantasia del barman? Una ricetta liquida, insomma!

Avendo a disposizione un'enorme gamma di prodot ti per la sua realizzazione, un cocktail può raggiun gere i livelli desiderati di acidità, dolcezza, struttura o sensazione amaricante, più agevolmente rispetto ad altre bevande.

La versatilità di entrambi rende facile pensare alla creazione e successiva proposta di un cocktail in abbinamento alla nostra pizza.

Ma quindi un Margarita con la Margherita? Andiamo con calma, ci vuole il cocktail giusto!

Pizze con ingredienti di carattere e persistenza aromatica andranno a braccetto con un cocktail dall’importante struttura: dal sempre attuale Mar tini alla sua variante Vesper, fino ad un White Lady, mentre altre pizze con impasti o elementi che dona no spiccata sapidità richiederanno un cocktail dalla bevuta più lunga e rinfrescante, come un Mojito o l’immancabile Gin Tonic.

E il Bloody Mary non potrà mai trovare spazio allora?

Una pizza bianca potrebbe trovare il pomodoro per duto proprio nell’abbinamento con il drink, mentre in una pizza tradizionale risulterebbe ridondante la ripetizione di questo ingrediente.

Oggi la mixology, potendo sfruttare molteplici ricet te ufficiali di cocktail, con rispettive varianti o corre zioni da parte del barman, tende la mano al mondo della pizza creando un sodalizio gastronomico.

Cocktail 45

Questi due mondi, però, non sono stati sempre così a stretto contatto. Fino a poco tempo fa, una pizzeria e un cocktail bar erano due ambienti diversi che a stento comunicavano tra loro.

Oggi sempre più locali si stanno specializzando in ricette di pizze articolate e fantasiose proposte con cocktail sapientemente selezionati. Ad aprire la strada sono stati alcuni locali di Milano, su tutti il Dry, nati una decina di anni or sono, che hanno da subito puntato all’accostamento.

In pochi anni, visto l’incredibile successo, sono nate realtà in molte città italiane, ovviamente a Napoli, capitale della pizza, ma anche a Firenze o Roma.

Pizza e cocktail sono entrambi come una tela bian ca dove l’artista può dare sfogo alla sua creatività e realizzare incredibili opere. Non c’è alcun dubbio: il matrimonio s’ha da fare!

Paolo Rancati nasce professional mente come barman, lavorando per importanti locali di Milano, ha vinto gare nazionali Aibes e un master internazionale a Singapore nel 2013. Successivamente è diven tato sommelier Ais, si è diplomato presso la scuola internazionale di cucina Alma e ha lavorato in due ristoranti stellati a Piacenza e Vicenza come sommelier e maitre. Nel contempo, ha conseguito il wset 3. Attualmente ricopre la posizione di channel manager per Ghilardi se lezioni e si occupa di gestire i canali della ristorazione e delle enoteche sul territorio nazionale.

46 pizza e pasta italiana ottobre 2022

Le senzapizzeglutine nel Nord Italia

Quando si sente parlare di pizza, inevitabil mente si associa questo prodotto a Napoli, la Campania e comunque al sud del nostro paese. Se per certi versi questo può avere una discreta fondatezza per quel che riguarda la pizza napoletana, non bisogna dimenticare che la pizza ha infinite interpretazioni in tutto lo stivale e che per questa caratteristica può essere inteso come un piatto globale, con le sue differenti varianti, che la rendono unica in qualsiasi città italiana. Questo concetto mi porta sempre a pensare, per la mia espe rienza di assaggi in giro per l’Italia, che la Campania del nord, per quanto riguarda la pizza, sia il Veneto. Questa è la regione dove ho trovato un grande fermento in termini di sperimentazione nel settore pizza, con risultati eccellenti, che non sono da meno rispetto a ciò che accade nel sud Italia.

Il mio primo pensiero va a Federico De Silvestri e la sua pizzeria focacceria Quattrocento a Marzana, vicino Verona. Il pluripremiato pizzaiolo veronese è un vulcano di idee, che sviluppa sempre tenendo i piedi saldamente a terra.

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La sua pizza senza glutine si ispira a quella napoletana, anche se è leggermen te più cotta, caratteristica che la rende fragrante, ma con il cuore soffice. Non da meno sono le sue pizze in teglia, dalle alveolature importanti, che risultano difficili da distinguere da quelle con glutine. La sua pizzeria è bene attrezzata, con forno indipendente e lontano da quello con glutine, con una ottima offer ta di birre senza glutine.

Rimanendo in provincia di Verona, a Settimo di Pescantina troviamo la pizze ria Settimo Cielo di Petra Antolini. La pizzaiola dall’animo rock ha intrapreso il percorso della pizza senza glutine per un senso di responsabilità verso i consuma tori che necessitano di mangiare senza la proteina a loro proibita. L’approccio non è solo quello di dare la possibilità di tro vare un prodotto gluten free, ma anche di mangiarlo senza che la qualità sia infe riore a quella dei prodotti glutinosi. In una recente esibizione a Roma, Petra ha preparato una focaccia guarnita per gli ospiti della serata, lasciandola assaggiare senza dire che fosse senza glutine, per poi svelare il tutto a fine degustazione, con lo stupore dei presenti per la bontà della pizza.

Spostandoci in Emilia-Romagna, mi piace segnalare la pizzeria bolognese La Verace. Caratteristica di questa pizzeria è il prezzo unico per tutte le pizze, dalla semplice margherita alle pizze più com plesse. Quando l’ho visitata ho deciso di prendere una quattro stagioni, per co noscere meglio, oltre all’impasto, anche le materie prime usate per il topping. La sorpresa è arrivata con l’assaggio, grazie all’impasto ben cotto che faceva da base alla guarnizione realizzata con materie prime molto buone e ben combinate nei quattro gusti: margherita; pomodoro, funghi e origano; pomodoro, capperi, olive e carciofi; salsiccia, friarielli e mozzarella.

Forno con alimentazione elettrica, dalle dimensioni contenute, concepito per la cottura di 1 o 2 pizze da 33 cm.

PULCINELLA NAPULE 2T

Forno elettrico a due camere concepito per la cottura di pizze e pinsa, in teglia e a pala.

Forni tradizionali costruiti in materiale refrattario di alto spessore. Disponibile in varie dimensioni e nella versione a legna o con bruciatore a gas.

Forni a tunnel con tappeto di cottura in refrattario. Montato su ruote e con gurabile per ogni esigenza. Disponibile anche con tecnologia Industria 4.0.

SaCar Forni s.r.l.

www.sacarforni.it info@sacarforni.it 49

senza glutine

La città simbolo del nord resta sempre Milano. Nella città meneghina, in pieno centro, ho mangiato una ottima pizza da O Peperino. Il locale è fortemente ispirato alla tradizione napoletana ed è specializzato nella preparazione di piatti senza glutine. La pizza è il centro del mondo in un posto del genere, ma non sono da sottovalutare i fritti, con delle ottime montanarine fritte, che per i nostalgici del sud Italia sono un must a cui non si può rinunciare.

senza glutine

senza glutine

Tornando alla pizza, questa è realizzata in maniera esemplare, molto leggera e ben cotta, al punto da far venir voglia di mangiarne due.

Sempre a Milano, da poco è presente la filiale lombarda della Pizzeria Positano, nata a Battipaglia dalle sapienti mani di Carmine Manzo. La pizza senza glutine di questo locale è la classica ruota di carro, molto sottile al centro, la cui fetta stenta mantenersi dritta per quanto l’impasto è morbido ed elastico. Uno dei punti forti di questa pizzeria è anche la presenza di fritti fatti in casa che richia mano la tradizione napoletana, permet tendo agli ospiti di sentirsi catapultati nella città partenopea, pur rimanendo nel centro del capoluogo lombardo.

senza glutine

50 pizza e pasta italiana ottobre 2022 senza glutine

accanto Carmine Manzo e il suo team sopra Il Duomo di Milano
Mantenimento ad alto

Pizza Bit Competition: Andrea Clementi vince

la finalissima e conquista il titolo di Pizza Ambassador 2023 per Molino Dallagiovanna

Località Pilastro 2 Gragnano Trebbiense (PC)

Ecommerce:

www.shopdallagiovanna.it

Sabato 10 settembre a Gragnano Trebbiense (PC) presso la sede di Molino Dallagiovanna si è disputa ta la finalissima di Pizza Bit Competition, la gara che l’azienda piacentina ha ideato per i pizzaioli professionisti con la collabo razione del Gambero Rosso come media partner. La finale si è disputata durante la giornata celebrativa dei 190 anni dell’a zienda, fondata nel 1832: un grande evento a cui hanno partecipato tanti personaggi di primo piano nel mondo dell’arte bianca che negli anni hanno contribuito alla cre scita e al successo dell’azienda. Ad aggiu dicarsi l’ambìto titolo di “Dallagiovanna Pizza Ambassador 2023” è stato Andrea Cle menti della pizzeria Punto Pizza di Venezia che ha presentato la pizza “Assaporando settembre” a base di petto di piccione. Sarà lui per l’intero 2023 il volto ufficiale del Molino per il settore pizza in Italia e nel mondo. Nella sfida finale Clementi ha superato gli altri 8 pizzaioli provenienti da tutte le zone d‘Italia ottenendo il punteg gio più alto dalla qualificata giuria tecnica composta dai pizzaioli Massimiliano Prete, Cristian Romano, Simone Lombardi, dai giornalisti Annalisa Zordan (Gambero Rosso), Antonio Fucito (Dissapore) e Luca

Sessa (Guide Espresso) e da Mattia Masala (Molino Dallagiovanna) e Nicola Roberti (Moretti Forni).

Alto il livello di preparazione di tutti i finalisti che sono stati valutati in base a ricetta dell’impasto, presentazione del piatto finale, assaggio e professionalità del candidato.

A premiare Clementi, insieme a Sabrina Dallagiovanna, Sales & Marketing Manager del Molino, sono stati i due chef e volti tele visivi Andrea Mainardi e Daniele Persegani con Giacomo Ciccio Valenti, noto condut tore di RDS 100% Grandi Successi, Official Radio di Pizza Bit Competition a partire dalle semifinali con i suoi DJ set.

I numeri delle varie fasi della 1^ edizio ne di Pizza Bit Competition:

- oltre 400 richieste di partecipazione

- 180 pizzaioli ai nastri di partenza

- 27 semifinalisti

- 9 finalisti

- 1 Pizza Ambassador

Il 30 settembre apriranno le iscrizioni per partecipare alla seconda edizione di Pizza Bit Competition.

LE AZIENDE INFORMANO www.dallagiovanna.it
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“Il Nord-Nerd” ossia la tecnologia al servizio della pizza secondo i locali del Nord

Che si parli di Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna o Piemonte, le aperture di locali dedicati ad asporto e delivery nell’ultimo triennio ha vissuto un vero e proprio exploit.

La concentrazione di grandi città, con una densità media di popolazione per km decisamente più alta di alcune regioni del sud, ha indubbiamente decretato un adattamento della ristorazione verso format sempre più specializzati: dalla pizzeria gourmet al laboratorio dark kitchen che vive solo di delivery, il cliente trova più occasio ni per consumare la pizza, che resta in cima ai preferiti in Italia e nel mondo!

Qual è l’approccio tecnologico che differenzia le scelte e soprattutto quali sono gli esempi più interessanti di tecnologia applicata al settore della pizzeria? Parlando di tecnologia ed applicativi c’è l’imbarazzo nella scelta dei macchinari che ogni giorno sup portano le attività nella ristorazione: quasi tutti i grandi produttori italiani (nel mondo della pizzeria siamo lea der assoluti nel mondo) hanno forni in grado di coprire tecnologie miste per la cottura, ma soprattutto connes si in modalità 4.0 alla rete aziendale e quindi in grado di interagire con noi, ad esempio, per l’accensione e la gestione del forno anche in remoto. Non solo: il 4.0 fino a fine 2022 dà co munque accesso al credito di imposta agevolando (e non di poco) il pensie ro dell’investimento.

Che si parli di grandi o piccoli pro duttori, il forno è il cuore pulsante della pizzeria.

In Italia abbiamo moltissimi produt tori di forni di ultima generazione: si tratta di scegliere chi produca quello più adatto alle esigenze del proprio locale e del proprio stile produttivo, che va adattato anche alla tipologia di servizio. Moltissimi sono i produt tori presenti in Italia, ma tra centro e nordest sicuramente troviamo delle fucine tecnologiche che ci invidia il resto del mondo.

di Domenico Maria Jacobone
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Proprio tra la fine di agosto e settembre 2022, con i drammatici rincari di luce e gas, è apparso quanto sia importante evitare anche il minimo spreco di energia per tenere il più basso possibile il consumo energetico ed i conse guenti costi.

Passando alle impastatrici, sempre rimanendo nel 4.0, sono rimasto stupito da alcuni prodotti polifunzionali. Per citarne uno: una planetaria a braccia tuffanti di un'azienda del nordest che ha una mescolata sempre più simile a quella di una mano.

Grazie alla possibilità di modifi care velocità e braccia d’impasto, questa planetaria può preparare impasti di idratazione e consi stenze diverse per avere un solo macchinario in grado di lavorare sia per la pizzeria che per la parte panetteria e pasticceria, in modo da coprire tutte le varie esigenze di un moderno locale gourmet che voglia portare in tavola tutta la sua maestria nell’arte bianca “fatta in casa”.

Ribaltiamo la ricerca della tecnolo gia per cercare di dare un servizio in più al cliente e, nel contempo, creare per l’azienda un risparmio di tempo e denaro.

Un’azienda italianissima sta diventando il riferimento nazio nale per i pagamenti in negozio ed online: Satispay, nata a Torino ed oramai di casa a Milano. Nei pagamenti tramite smartphone sta crescendo quotidianamente e sempre più ristoratori, localiz zati inizialmente nel nord Italia, stanno implementando questo sistema di pagamento garanti to che lavora direttamente ed univocamente in conto corrente. I costi di commissione sono veramente bassi e le transazioni tra le più sicure che si possano fare. Ovviamente tramite qr-code da inquadrare o ricerca sull’app il cliente può pagare anche a domicilio: un buon sistema per contenere costi e strumenti finanziari della pizzeria.

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Tornando alla tecnologia, oggi tutto quello che poteva sembra re fantascienza qualche anno fa è diventato di uso comune: smartphone per fare gli ordini, fattorini che viaggiano con mezzi elettrici, pagamenti che si possono ricevere in più di cinque modi diversi, clienti che possono ordinare online e pre notazioni dirette ed indirette.

A proposito di prenotazioni e di online, è interessante sapere che i professionisti dei servizi online come The Fork, (che ha la sede ita liana a Milano) oggi possono esse re integrati con Google Maps (che ha assorbito Google My Business) attraverso link diretti, così come la pubblicazione dei menù online ed il link per gli ordini online sia sfruttando app dirette che mar ketplace come Glovo, Justeat, Uber Eats, Alfonsino... Usare queste accortezze significa essere portati in cima ai risultati ed essere poten zialmente a portata di mano da un pubblico più ampio.

Ovviamente, nelle città dove hanno sede le primarie aziende di servizi, le adesioni sono partite prima e c’è una concorrenza spietata:

il mio consiglio è di tenere i pro fili sempre aggiornati, sfruttare le foto migliori e gestire la parte social e l’advertising in modo controllato, soprattutto verifican done e misurandone i risultati.

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Aggiungete un tocco di colore al vostro piatto con le Patate Fiesta Fries 100% naturali. Farm Frites International B.V. | www.farmfrites.it | @farmfritesitaly CSC-Spain-Italy-Portugal@farmfrites.com | 0032 11717305

Chiudiamo con una postilla, un po’ più a nord dei confini nazionali: se siete veri appassionati di tecnologia e nerd per la pizza non potrete non visitare quella che attualmente è la pizzeria più innovativa in Europa: “Pazzi” a Parigi. Pazzi (un nome, una garanzia?) sembra uscita da un romanzo di Asimov: la partico larità è nell’essere una pizzeria completamente robotizzata. Un ingresso in un locale con vetrate a vista sul banco e forno, dove braccia meccaniche si alterna no al lavoro di preparazione.

Accolgono il cliente dei menù interattivi su tablet o su app onli ne che trasmettono l’ordine ai robot pizzaioli che si occupano di condimento, cottura, guarni zione e mettono la vostra pizza in cartone prima di tagliarla, richiudere il cartone e passarla nelle mani dei clienti attraverso un passa vivande (ovviamente automatizzato anche questo). Poi al cliente la scelta se consu mare l’asporto in loco su tavoli e panche o portare a casa questa pizza.

Una volta assaggiata, assicuro che molti dubbi sulla sua qualità vengono fugati: la scelta degli ingredienti è di buona qualità (ad esempio usano pomodoro italiano) ed

il risultato finale è decisamente meglio di alcune pizze assaggia te in tanti viaggi…

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La ristorazione in cantina

Parlando delle persone che lavorano o sono proprietarie di attività legate al food o alla cucina o al beverage, sia esso declinato come vino o birra, ci troviamo spesso al cospetto di grandi appassio nati. Persone che ogni gior no lavorano strenuamente alla ricerca della perfezione, con un’attenzione al limite del maniacale per il det taglio. Avrete forse notato come questa concentrazio ne spesso allontani le con taminazioni che avvengono felicemente in luoghi a volte lontanissimi da quello di pro duzione: un buon vino viene consumato al ristorante o in casa, un’ottima pizza si va a gustare al ristorante.

Trovare un luogo nel quale si affianchi alla produzione del vino o della birra un ristorante o - ancor più difficile - una pizzeria è una caccia agli unicorni!

di Monica Pisciella e Domenico Jacobone
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CITABIUNDA

Eppure, qualcuno ha coraggio samente deciso di sperimentare: partiamo dalla birra per arrivare alla pizza in una storia che lega in un continuum grano, acqua e lievito per dar vita a due prodot ti diversi: birra e pizza. Molto interessante e per certi aspetti “didattico” è il caso del birrificio artigianale Citabiunda (lette ralmente traducibile in “bimba bionda”) a 325mt sul Bricco (crinale) di Neive, in provincia di Cuneo, in Piemonte.

Immaginate un luogo quasi onirico, fra colline e vigneti, sospeso fra tradizione e modernità in un territorio che fa del vino e dei ristoranti le sue bandiere.

Eppure, nel 2007 nasce questo micro-birrificio artigianale, al quale si affianca presto la som ministrazione di cibo, caratte rizzata da una cucina semplice e genuina, che trova nelle doti dei due soci Stefano Lombardi e Luca Cerato l’occasione di un’evoluzio ne che la connota come elemento di distinzione e di qualità.

Citabiunda, il cui claim è “La Birra, La Pizza, Il Cibo”, ha la parti colarità di essere nata occupando gli spazi della vecchia scuola elementare del Bricco di Neive, dove avviene anche la produzio ne della birra, che oggi si aggira intorno ai 400 ettolitri all’anno.

Partendo dalla scelta del format, nonostante gli anni ed il successo, la scelta di produrre birra quasi esclusivamente per l’autoconsu mo lascia la libertà di sperimen tare tutto il panorama degli stili birrai, mantenendo alcuni capi saldi sempre disponibili. Si passa dalla Blanche alle Belgian Pale Ale, dalla Doppio malto alla Christmas Porter: le sperimentazioni avvengono con l’utilizzo delle spezie che si ritrovano nei piatti, dei cereali locali, delle barrique o dei lieviti da spumante, che creano un legame intenso con il territorio e con la vite.

L’esperienza di Citabiunda è un viaggio di degustazione sapiente mente accompagnato dalle pizze, dai piatti cucinati e abbinati con le birre in un menù stagionale in grado di soddisfare le richie ste di chi cerchi divagazioni sul tema street food, carne, primi e i dessert. Tutto viene preparato giornalmente e sono home made anche il pane e le focacce cotte a legna che accompagnano i pasti.

“La Birra, La Pizza, Il Cibo”
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La produzione della birra avviene in modo manuale ed artigianale ed è destinata quasi totalmente al consumo interno: l’obiettivo aziendale è la somministrazione di tutto ciò che si produce, all’in terno dei tre locali. Fanno eccezio ne le poche bottiglie, che i clienti possono acquistare e portare a casa per assaggiare o degustare a domicilio.  Grande protagonista del processo evolutivo aziendale tra produzione di birra e la decisione di aprirsi al mondo del food è stata la pizza, che seguendo una precisa volontà ed una lunga fase di ricerca, è stata messa a punto dopo mesi di esperimenti degustativi e di ripe tuti assaggi e miglioramenti.

La ricetta della pizza “Citabiunda” fa il suo debutto nel 2013. È una pizza a lievitazione lenta (minimo 36 ore) e naturale, nata dallo sviluppo di un lievito madre isolato nel lon tano 2009 dalle birre Citabiunda, impastata a forcella e cotta a le gna. Anche qui è gran de l‘importanza data all’utilizzo delle migliori materie prime, come il pomodoro S. Marzano D.O.P., la mozzarella Fiordilatte vaccino e gli ingredienti stagionali, tra i preferiti per la farcitura. Le farine sono biologiche, di tipo 1 e 2, macinate a pietra, frutto di un’attenta selezione tra i migliori produttori Piemontesi.

L’obiettivo alla base di questo passaggio è dare un maggior ser vizio al cliente, che fino ad allora l’aveva trovata disponibile solo occasionalmente, soddisfare un’e sigenza e al tempo stesso dare un impulso evolutivo volto alla maggior completezza dell’offerta ristorativa di Citabiunda. Il pubblico che ama frequentare Citabiunda è trasversale perché negli anni le proposte sono cre sciute con la clientela che oramai può contare stabilmente su famiglie, anziani, coppie di gio vani, gruppi di amici o avventori dell’ultima ora che cercano una buona pizza o un piatto e una bir ra fino a tardi e tutti hanno modo di trovare qualcosa che soddisfi aspettative e palato.

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Unico esempio del Nord Italia di pizzeria collegata a una cantina è quello di cui abbiamo già parlato di Marzia Buzzanca che porta in tavola la sua arte a Termeno presso l’Hofstätter Garten, il ristorante della cantina Hofstäetter in Alto Adige. Spesso ci si imbatte inoltre in realtà anche medie e grandi che sono proprietarie o hanno impor tanti partecipazioni in ristoranti di rilievo (a volte anche stellati Michelin), ma che sono completa mente scollegati dalla sede e dal business produttivo vinicolo.

Una gradevole eccezione che vor rei citare è l’Hosteria Toblino, sita all’interno della struttura della Cantina di Toblino, immersa nella lussureggiante Valle dei Laghi in Trentino.

In questa osteria è pos sibile usufruire del ban cone e consumare de gustazioni guidate dei vini della cantina e del territorio, ma c’è il tocco di artigianalità con grandi lavagne sulle quali vengono apposti

i vini ed i piatti del giorno extra menù con le porzioni disponibili (costantemente aggiornate).

Un menù degustazione o la scelta dal menù à la carte sono in grado di far avvicinare gli avventori alle tante prelibatezze del territorio sapientemente mixate in un con testo che resta conviviale, ma che pur ha una sua eleganza e ricerca tezza fino all’ultimo particolare.

Il menù racconta storie di viticoltori che coltivano coraggiosamente pendii scoscesi, si incontrano con chi caccia selvaggina o stagiona in malga i formaggi e insieme traducono questo incontro in un poetico ed affascinante contesto enogastronomico e territoriale.

A proposito di pizza: qualche volta anche all’Hosteria Toblino si fanno degli esperimenti con pizze rie laborate con ingredienti trentini per meglio avvicinarsi all’abbina mento con i vini generosamente prodotti in cantina.

Un coraggio che dovremmo provare a incitare localmente. Siamo sicuri che moltissimi vini potrebbero incontrare il gusto delle pizze e stupire la propria clientela con qualche abbinamen to lontano dai soliti cliché

Valle dei Laghi Vigneti sulle Dolomiti in Trentino di Marzia Buzzanca Cantina di Toblino HOFSTÄTTER GARTEN HOSTERIA TOBLINO
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La pizza… proteica

a cura della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

La pizza, sebbene sia un alimento tipico ita liano, ormai, è ben presente nella maggior parte dei territori esteri economicamente sviluppati, dove costituisce parte integrante della gastronomia locale.

Inbase alla natura dei suoi ingredienti, la pizza è considerata uno dei pro dotti tipici della cucina mediterranea, anche se questo concetto oggi può essere condiviso solo parzial mente date le innumerevoli novità, il più delle volte dettate solo dalla moda del momento. La pizza non rientra in manie ra distinta né nella categoria dei primi piatti, né in quella dei piatti unici: ciò è dovuto non tanto per il suo apporto ener getico, che è sempre parecchio elevato, bensì per la ripartizione nutrizionale che lo caratterizza. Va anche specificato che, nonostante la pizza sia considerata un "alimento tradizionale", varie tipologie di pizza possono essere tranquillamente etichettate come fast food o addirittu ra junk food. Gli ingredienti della pizza possono essere suddivisi in due categorie: quelli per l'impasto base e quelli per il condimento. I primi vengono così rias sunti: farina di frumento, acqua, agenti lievitanti, grasso da condimento, sale da

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cucina. I secondi, invece, dipendono prin cipalmente dal tipo di pizza in questione; quelli più diffusi sono: pomodoro, mozza rella, carne e pesce conservati, formaggi vari, verdure, funghi, olio extravergine di oliva, ecc. Oggi, esistono molte qualità di pizza "dietetica", dove per dietetico si intende un alimento che soddisfi alcu ne necessità specifiche tra cui – a mo’ di esempio - l'assenza di glutine, l'assenza di lattosio, il maggior contenuto di fibre, il minor apporto calorico, l'assenza di lievito di birra, iperproteiche con l'utilizzo di farine alternative ecc. In definitiva, di pizza ne esistono varie tipologie, differenti per:

impasto base, forma, metodo di cottura, condimento e modalità di consumo (fast food o tradizionale). La pizza è un alimen to parecchio energetico, le cui calorie pro vengono sostanzialmente dai carboidrati complessi e dai lipidi, mentre le proteine svolgono un ruolo minoritario. Per dirla tutta, il contenuto nutrizionale della pizza varia in maniera più che rilevante in base al condimento, soprattutto per quel che riguarda la frazione dei grassi. Considerando anche solo un paio di tipologie basilari di pizza, non è possibile fare un'unica valutazione chimica dell'a limento.

Composizione Nutrizionale

NUTRIENTI

PIZZA CON POMODORO

PIZZA CON POMODORO E MOZZARELLA

Acqua 40,50 g 39,3 g

Proteine 4,0 g 5,6 g

Lipidi 4,0 g 5,6 g

Acidi Grassi Saturi 0,68 g 1,99 g

Acidi Grassi Monoinsaturi 2,64 g 2,84 g

Acidi Grassi Polinsaturi 0,60 g 0,56 g

Colesterolo 0,0 mg 0,0 mg

Carboidrati  totali 51,9 g 53,9 g

Zuccheri Solubili 12,6 g 12,9 g

Fibra Alimentare 3,1 g 3,8 g

Energia 247,0 kcal 271,0 kcal

Sodio 210,0 mg 986,0 mg

Potassio 176,0 mg 302,0 mg

Ferro 2,0 mg 2,0 mg

Calcio 12,0 mg 12,0 mg

Fosforo 49,0 mg 48,0 mg

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Dal riassunto nutrizionale emergono alcu ne differenze sulla composizione chimica delle due tipologie di pizze menzionate. È necessario ricordare che i valori sono stati trascritti direttamente da tabelle di composizione degli alimenti e non sono dunque il frutto della traduzione indiret ta riferita ai singoli ingredienti. Questa precisazione è fondamentale per compren dere che le dosi e, di conseguenza, i valori nutrizionali possono cambiare in maniera determinante in base alla ricetta.

I glucidi della pizza sono prevalentemen te di tipo complesso e sono costituiti dall'amido della farina; la frazione di quelli semplici è, invece, limitata al maltosio resi duo dalla cottura, al fruttosio del pomo doro ed eventualmente al lattosio della mozzarella. In merito ai lipidi totali, questi sono essenzialmente costituiti dai triglice ridi presenti soprattutto nel grasso da con dimento (olio o strutto) ed eventualmente nella mozzarella. Grazie all'utilizzo di olio extravergine di oliva, anche conside rando una quantità media di mozzarella, la maggioranza degli acidi grassi è di tipo monoinsaturo; al contrario, nel caso in cui si prediligesse lo strutto, la prevalenza diverrebbe quella dei saturi. Per quel che riguarda le proteine, quelle dell'impasto sono a medio valore biologico, mentre quelle della mozzarella hanno un pool completo di amminoacidi essenziali.

La quantità di sali minerali e vitamine del la pizza non è strabiliante; la presenza di mozzarella dovrebbe incrementare i livelli di vitamina A, certe vitamine del gruppo B e soprattutto calcio e fosforo. Facendo, però, il focus sulle proteine, quali preferire? Proteine animali o proteine vegetali? Va portato all’attenzione che oggi sempre più persone si approcciano ad una dieta vegetariana o vegana per mangiare meno carne; di contro, gli onnivori mangiano sempre più carne, formaggi, salumi e sempre meno pesce e legumi. A livello nutrizionale, le proteine animali non sono uguali a quelle vegetali. Le proteine svolgono funzioni fondamen tali all’interno del nostro organismo; esse infatti hanno un ruolo plastico e funzio nale, in quanto permettono la crescita e la riparazione dei tessuti e delle strutture cellulari, sono coinvolte nella contrazione muscolare, nella risposta immunitaria, nella coagulazione del sangue e possono agire come recettori, ormoni, anticorpi e trasportatori. Le proteine giornalmente sono soggette ad un continuo turnover (processo di demolizione e di sintesi) che ne determina una perdita compre sa tra i 20 e gli 80 grammi al giorno. È evidente quindi l’importanza di fornire all’organismo una quantità giornaliera di proteine che consenta di ripristinare questa perdita. Secondo i LARN (livelli di assunzione di riferimento di nutrienti e di energie), le proteine devono fornire circa il 15-20% dell’energia totale giornaliera: i 2/3 di queste proteine devono derivare da prodotti di origine animale, 1/3 da prodotti

68 pizza e pasta italiana ottobre 2022
La pizza napoletana non ammette imitazioni. Cornicione alto e soffice che racchiude un cuore morbido e ricco dei migliori ingredienti. Questa è l’essenza della vera Napoli che ritrovi con le nostre farine approvate da AVPN. Se vuoi la Vera Napoli scegli BellaNapoli! @farine.perteghella @molino_perteghella

di origine vegetale. In termini quantitativi, l’apporto proteico giornaliero raccoman dato deve corrispondere, salvo diversa indicazione medica, a 0,8-0,9 gr per kg di peso desiderabile.

L’uomo soddisfa il proprio fabbisogno pro teico mangiando alimenti contenenti pro teine vegetali presenti nei legumi, cereali, semi e alghe, e proteine animali presenti in carne, pesce, uova, latte e derivati. Le proteine sono costituite da aminoacidi e alcuni di essi sono detti essenziali, in quan to l’organismo non è in grado di produrli ed è fondamentale assumerli con la dieta. Le proteine animali sono definite “nobili” o “complete” poiché contengono tutti gli aminoacidi essenziali in quantità ed in rapporti equilibrati. Al contrario, le proteine vegetali sono definite incomplete poiché carenti in uno o più aminoacidi essenziali. Invece, per quel che riguarda la digeribilità, le proteine vegetali presen tano una digeribilità inferiore (ciò vale soprattutto per i cereali). Il Coefficiente di digeribilità (parametro che indica la per centuale di cibo che effettivamente viene assorbita) è decisamente più elevato nella carne e nelle uova che nei legumi. Gli ali menti contenenti le proteine vegetali, es sendo una buona fonte di fibra, hanno un alto potere saziante e sono poco calorici ma sono spesso carenti di ferro e vitamina B12. È doveroso precisare, però, che a livello nutrizionale la quantità di proteine non è l’unico parametro da considerare; affinché l’alimentazione possa ritenersi equilibrata, occorre considerare la qualità proteica intesa in termini di composizione ammi noacidica.  Le proteine vegetali, a causa della loro carenza in aminoacidi essenziali,

non sono da preferire poiché non rappre sentano un’alternativa corrispondente a quelle animali. In realtà, questa carenza può essere superata combinando alimenti vegetali di origine diversa. Il binomio tra impasto della pizza e topping a base di carne, pesce o latticini, rappresenta quindi un ottimo abbinamen to di complementazione proteica, poiché gli aminoacidi di cui è carente il frumento vengono forniti dal topping e viceversa. In particolare, la farina di frumento è carente di lisina, che è presente negli alimenti di origine animale, mentre in questi ultimi è presente la metionina che è carente nella farina di frumento. Si tratta di aminoacidi essenziali importanti, poiché la carenza di lisina può determinare un deficit di vitami na B3 (niacina), fondamentale per il fun zionamento del sistema nervoso e per la re spirazione cellulare mentre la metionina è importante per la crescita dei capelli, delle unghie e per la sintesi di glutatione: un po tente antiossidante in grado di proteggere le nostre cellule dallo stress ossidativo. Per ovvie motivazioni, le proteine animali non sono da preferire a quelle vegetali poiché hanno un alto potere acidificante e, se da un lato è vero che il nostro organismo combatte l’acidosi attraverso i “sistemi tampone”, dall’altro, a lungo andare, gli stessi sistemi possono determinare una “decalcificazione delle ossa”. Inoltre, gli alimenti contenenti proteine “nobili”, essendo di derivazione animale, sono ricchi di grassi saturi, colesterolo e carenti di vitamine e sali minerali. In conclusione, una dieta varia ed equilibrata rappresenta sempre la migliore strategia per soddisfare il fabbisogno giornaliero di determinati nutrienti, la cui carenza può indurre o favorire lo sviluppo di patologie.

70 pizza e pasta italiana ottobre 2022

I formaggi del Nord Italia e la pizza

Quello tra formaggio e pizza è certamente un matrimonio collaudato e indissolubile:

i latticini sono infatti un ingrediente fonda mentale, capace di sostenere qualsiasi ac costamento, sia con verdure, sia con salumi, sia con frutta secca.

Gorgonzola

A seconda della consistenza della pasta (siano più stagionati o cremosi) e del sapore (dalle note dolci di latte e burro, fino a quelle più sapide e quasi piccan ti), aggiungono carattere alla farcia o al condimento e riescono a dar vita a risultati memorabili. Siamo andati ad esplorare le eccellenze casearie delle regioni del Nord Italia e abbiamo deciso di uscire un po’ dai binari ben noti e confortevoli del Parmi giano Reggiano o del Grana Padano che, a scaglie o grattugiati, in cottura o fuori dal forno, sono ormai una presenza diventata un grande classico. Ecco quindi una carrel lata su una serie di formaggi - alcuni quasi scontati, altri meno – cui prestare attenzio ne per abbinamenti e farce inedite.

Inconfondibile per le sue venature bluver dastre e/o grigio-azzurre, dovute al proces so di erborinatura che utilizza il ceppo fun gino Penicillium Roqueforti, il Gorgonzola prende il suo nome dall’omonima città in provincia di Milano. La sua storia risale al X-XII secolo. Prodotto a marchio Dop, si produce in Lombardia (province di Berga mo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano, Pavia, Varese, Monza) e Piemonte (Biella, Cuneo, Vercelli, Novara, VerbanoCusio-Ossola e in 31 comuni appartenenti alla provincia di Alessandria). Distinto nelle tipologie Dolce e Piccante, si ottiene pastorizzando il latte vaccino, inseminato con fermenti lattici e con una sospensione di spore di Penicillium e di lieviti selezio nati, aggiungendo quindi caglio di vitello. Dopo la rottura della cagliata, che viene lasciata spurgare del siero, la massa è mes sa in forma per 24 ore in stampi forellati, detti fasceruoli, e sottoposta a salatura a secco per alcuni giorni a una temperatura di 18-24°C. È proprio in fase di maturazione che si sviluppano varietà e ceppi di Penicil lium responsabili della classica pasta del formaggio. La forma è cilindrica con facce

pizza e pasta italiana p. 72 ott. 2016 72 pizza e pasta italiana ottobre 2022

piane, crosta di colore grigio e/o rosato; la pasta è di colore bianco e paglierino, con screziature dovute appunto allo sviluppo di muffe con venature caratteristiche. Al palato, il sapore varia da dolce o legger mente piccante a molto piccante. Se non ci son dubbi che il Gorgonzola sia un ottimo formaggio da tavola, da consumare in purezza, è pur vero che sono moltissime le preparazioni gastronomiche che lo vedo no protagonista e riescono a valorizzarlo al meglio, anche in cottura. In versione dolce, è uno dei 4 latticini utilizzati per la pizza 4 formaggi ed è probabilmente quello che, tra i 4, riesce a lasciare il palato addolcito ma senza banalità, viste le note erborinate. Ottimo sulla pizza anche accostato alle noci, oltre che con verdure tipicamente invernali, come il radicchio. In versione piccante, vale la pena provarlo in abbina mento al carattere docile della ricotta, cui si possono affiancare anche delle erbette o degli spinaci, a richiamare il verde delle screziature.

Stracchino

Prodotto con latte vaccino intero e stagionato per massimo 30 giorni, ha origini lombarde e deve il suo nome al termine dialettale “stracch” (stanco), riferito al formaggio che si produceva una volta, durante le soste lungo i percorsi di transumanza, con il poco latte crudo intero appena munto dalle vacche affaticate per il viaggio. Ha pasta molle ma compatta, forma a parallelepipedo e pezzatura variabile. Proprio in relazione alle sue origini – si doveva preparare veloce mente, senza scaldare il latte e senza i tempi lunghi di coagulazione e di spurgo – il latte si lascia coagulare con caglio di vitello per circa mezz’ora. Dopo la rottura della cagliata in due fasi successive si versa la pasta nelle fascere e inizia la stufatura per circa un giorno. Quando la superficie si ricopre di muffa bianca – indi ce che ha raggiunto la giusta consistenza - inizia la fase di salatura e successivamente quella di stagionatura. Dopo circa due settimane, viene messo in commercio. Ha pasta bianca, cremosa, e dal sapore dolce e burroso, talvolta leggermente acidulo: si gusta ovviamente dopo pochi giorni dalla preparazione. Il migliore, dal punto di vista gustativo e “storico” è quello “all’antica” delle Valli Orobiche, tutelato da un Presidio Slow Food, che riunisce un gruppo di piccoli allevatori e casari de terminati a preservare la ricetta tradizionale. Il gusto è morbido e cremoso nel sottocrosta, più pungente ver so il cuore, dove la pasta di fa più compatta e friabile; il profumo richiama quello dei pascoli e note di fieno.

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Taleggio

È uno dei formaggi italiani più antichi: le sue origini risalgono probabilmente a prima del X secolo. Originario della Val Taleggio, da cui prende il nome, questo formaggio era oggetto di scambi commerciali già nel XIII secolo, come provano diversi documenti dell’epoca. La sua produzione, inizialmente scaturita dall’esigenza di conservare il latte che superava il fabbisogno di autoconsu mo, avveniva con il latte delle mucche di ritorno dai pascoli estivi, chiamate per questo motivo “stracche” (vedi sopra, a proposito dello stracchino: la famiglia è infatti la stessa), per il lun go tragitto percorso. Fino agli inizi del XX secolo viene addirittura chiamato “stracchino quadrato di Milano”, poi mutato in Taleggio per tutelarne pro cesso produttivo e nome. Rispetto agli inizi, oggi la zona di produzione si è progressivamente allargata e, oltre alle province lombarde di Bergamo, Brescia, Como, Cremona, Lecco, Lodi, Milano e Pavia, il Taleggio viene pro dotto anche in Piemonte, in provincia di Novara ed in Veneto, in provincia di Treviso. Tra i pochissimi formaggi italiani a crosta lavata, viene prodotto con latte vaccino interno, crudo o

pastorizzato. Il caglio utilizzato è quello di vitello, che viene aggiunto al latte riscaldato. La cagliata viene rotta in due passaggi: uno più grossolano, seguito da un secondo per ottenere una massa i cui grani abbiano la dimensione di una noc ciola. Viene quindi posta in fascere qua drate di circa 18-20 cm di lato, adagiate su tavoli spersori, leggermente inclinati, in modo tale da facilitare lo spurgo del siero. Segue quindi la fase di stufatura, in cui le forme vengono rivoltate con cadenza precisa e durante la quale viene apposto

Castelmagno

Noto fin dal XIII secolo, deve il nome al piccolo comune del cuneese situato tra le Alpi Marittime e le Alpi Cozie ed è uno degli unici tre comuni piemontesi (oltre a Pradleves e Monterosso Grana) dove si produce. È un formaggio pressato a pasta cruda ed erborinata, ottenuto da latte vaccino crudo (prodotto di due mungiture consecutive, serale e mattutina) al quale può essere aggiunto latte ovino e/o capri no. Il termine “erborinatura” rimanda al dialettale lombardo “erborin”, vocabolo con il quale si indica il prezzemolo: le venature delle forme più stagionate di Castelmagno, infatti, dovute allo sviluppo di speciali muffe appartenenti al genere pennicillium, sono di colore leggermente verdastro.

il caratteristico marchio: le tre “T” ed un nu mero che permette di risalire al caseificio di produzione. Segue la salatura, a secco o in salamoia, che permette la formazione della crosta e dà sapore, e quindi la stagionatura (35-40 giorni), durante la quale si formano muffe e lieviti che regalano alla superficie esterna il caratteristico colore giallognolorosato, con screziature grigie e verde salvia. Il colore della pasta va dal bianco al paglierino. Dolce al palato, aromatico e persistente, si fa più sapido e quasi piccante nelle forme più stagionate.

La lavorazione prevede che la cagliata ven ga rotta due volte a distanza di due giorni: tritata, viene salata con sale grosso, posta in fascere e pressata.

Le forme vengono stagionate per almeno due mesi. Assi di legno ospitano le forme allineate, ad una temperatura compresa tra i 5° ed i 15 °C e umidità tra il 70% e il 98%: in questo modo le muffe naturali scre ziano il Castelmagno lasciato maturare a lungo. Il risultato è un cilindro con diame tro che va dai 15 ai 25 cm: sotto una crosta sottile tra il giallo brunastro delle forme più giovani e l’ocra di quelle più mature, si cela una pasta friabile – più compatta man mano che si procede nella maturazio ne – priva di occhiature, dal colore bianco avorio, giallo acceso fino all’ocra carico screziato di blu. Il sapore è fine e raffinato: erbaceo e delicato nelle forme più giovani, diventa quasi piccante e marcatamente sapido in quelle più vecchie.

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Asiago

La sua storia risale all’alto Medioevo, quando nella zona racchiusa dai fiumi Astico e Brenta si produceva formaggio, ricavato dal latte delle pecore (chiamato appunto “pegorin”), preziose per la lana. La svolta avvenne attorno al 1500, quando all’allevamento ovino si sostituì progressivamente quello bovino, a seguito del miglioramento delle zone destinate al pascolo e della modernizzazione delle stesse tecniche di allevamento. Il merito di una tale rivoluzione pare debba essere attribuito ai Cimbri, antica popolazione di origine germanica migrata nell’Altopiano dei Sette Comuni, che introdussero le vacche nel territorio asiaghese. La loro influenza, com binata alla perizia dei monaci nella pratica casearia, trasformò presto l’altopiano in una zona di eccellenza nella produzione del for maggio omonimo, che viene oggi prodotto in caseifici e malghe. La zona di produzione copre una parte della provincia di Padova, di Treviso e sconfina in tutta quella di Trento. Formaggio a pasta semicotta, viene prodotto in due tipologie distinte: quello fresco (o pressato, perché le forme sono sottoposte a pressatura con torchi manuali o idraulici) e quello stagionato (o d’allevo), più antico. Il fresco ha la morbidezza del Pan di Spagna ed una bella elasticità, il profumo è quello dello yogurt e del burro e il sapore è delicato e dolce. Aggiunta del caglio al latte, semicot tura, rottura della cagliata, taglio della pasta, porzionatura, pressatura, messa in fascera e marchiatura sul bordo della forma rappre sentano le fasi principali della lavorazione, che si conclude con la salatura e la stagiona tura, che va dai 20 ai 40 giorni. Più deciso il ca rattere dell’Asiago d’Allevo: al latte si aggiun ge il caglio; una volta coagulata, la cagliata viene tagliata con lo spino, fino ad ottenere granuli della dimensione di una nocciola. Seguono cottura, lavorazione in forma, messa in fascera, marchiatura, frescura e salatura. La stagionatura è la fase che ne forma il carattere: le declinazioni sono mezzano, stagionato da 4 a 6 mesi e dal sapore ancora dolce; vecchio, stagionato per 10-15 mesi, più deciso e leggermente piccante, stravecchio, invecchiato oltre i 15 mesi, decisamente più intenso e piccante.

Le origini del formaggio valdostano per eccellenza sono complicate da rintracciare. La prima data certa cui far risalire il nome è il 1717, la prima classificazione è del 1887 con “Le Fontine di Val d’Aosta” mentre la seconda si ha negli anni ’30-‘40 da parte del Ministero dell’Agricoltura. Anche l’etimolo gia è confusa: alcuni lo legano all’alpeggio Fontin, altri lo associano al villaggio di Fon tinaz o ancora al cognome di una famiglia. Altri infine, per complicare ulteriormente le cose, lo fanno derivare dal termine fran cese antico “fontis” o “fondis”, a indicare la particolare capacità della pasta di fondersi col calore. Prodotta a marchio DOP dal 1995, la Fontina è uno dei migliori formaggi a latte crudo d’Italia. Si produce a partire dal latte delle vacche di razza Pezzata Rossa e Pezzata Nera Valdostana (gli alpeggi si trovano ad un’altezza massima di 2500 m), che deve essere lavorato al massimo entro due ore dalla mungitura. Senza scrematura e crudo, il latte viene fatto coagulare, in caldaie in rame o in acciaio e con l’aggiunta di caglio di vitello. La rottura della cagliata

deve permettere di ottenere granuli grandi quanto un chicco di mais, poi fatti spur gare. La massa viene estratta e infagottata in tele, che vengono impilate e poste sotto pressa. Pressatura e rivoltamento precedo no la fase dell’immersione in salamoia, in vasche contenenti una soluzione di acqua e sale. La fase di stagionatura è quella più importante, durante la quale il formaggio acquista la tipica consistenza fondente, il profumo inconfondibile e il sapore dolce: dura in media 4-5 mesi. Nei primi tre, le forme vengono rivoltate quotidianamen te, alternando un giorno di salatura e un giorno di strofinamento della superficie con spazzole inumidite con acqua salata. Al termine del periodo di maturazione – in genere almeno 90 giorni, in locali umidi o grotte – la crosta avrà acquistato il ricono scibile colore marrone e la pasta avrà il suo carattere tipico: molle, consistente ed elastica, con occhiatura fine e irregolare, di colore paglierino più intenso nei formaggi prodotti in estate. Al palato il tratto incon fondibile è la dolcezza.

Robiola

Chiudiamo il nostro viaggio nei formaggi del Nord con la Robiola, la quale ha origini molto antiche, risalenti addirittura al perio do celtico-ligure. Deve il suo nome al latino “rubere”, che significa rosseggiare: questo formaggio, chiamato “Rubeola”, diventava infatti sempre più rossiccio man mano che la stagionatura procedeva. Si prepara con latte ovino, vaccino o caprino, a seconda delle zone di produzione, che sono concen trate nell’Italia settentrionale. È il Piemonte tuttavia a farla da padrone, con i territori di Alba, Monferrato, Introbio, Valsassina e Roc caverano, dove si produce la Robiola Dop. Tratto tipico della robiola è la consistenza della pasta: morbida, quasi burrosa all’in terno. La stagionatura varia da un minimo di qualche giorno fino ad arrivare a un paio di settimane e, a seconda del grado

di maturazione, cambia anche il gusto del formaggio, che è delicato nel prodotto fresco, con note acidule, per diventare poi più deciso ed equilibrato. La Robiola di Roccaverano viene prodotta esclusivamente con latte ovino, caprino e vaccino. Dopo che è avvenuta l’acidificazione naturale, al latte viene addizionato caglio di origine animale e poi lasciato a riposo per la coagulazione. La cagliata viene quindi trasferita in stampi forati muniti di fondo e rivoltata periodica mente. La salatura è effettuata a secco sulle due facce del prodotto durante i rivoltamen ti o al termine del processo di formatura. La maturazione naturale avviene conservando il prodotto fresco in appositi locali per almeno tre giorni: la Robiola di Roccavera no è considerata stagionata a partire dal decimo giorno dalla messa negli stampi.

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70 anni di Zanolli

Il 12 settembre Dr Zanolli

ha compiuto 70 anni di vita, un traguardo importante che rappresenta anche un’occasione per conoscere più da vicino l’azienda, la sua storia ed il pensiero strategico che la muove ogni giorno. Ne parliamo con Erika Brighenti, pronipote del fondatore, responsabile marketing.

Come nasce l’azienda Zanolli?

Giovanni Zanolli, il fondatore, inizialmente lavorava per una ditta che si chiamava Antonello & Orlandi che produceva forni per l’arte bianca. Iniziò col fare l’operaio per poi divenirne rappresentante commerciale. Ad un certo punto se ne staccò, aprì un’officina ed iniziò a lavorare per loro in conto terzi; ad un certo punto, l’Antonello & Orlandi diede a Giovanni Zanolli, in cambio di alcuni crediti, dei macchinari e con questi iniziò prima a rigenerare i loro forni, poi a produrre girarrosti ed in seguito a produrre e vendere forni con il cognome Zanolli, che divenne poi il marchio dell’azienda.

Erika Brighenti, responsabile marketing
DAL NOSTRO MONDO 78 pizza e pasta italiana ottobre 2022

La prima sede fu in corso Milano a Verona: all’inizio era un’officina, che un po’ alla volta si allargò prima spostandosi in Z.a.i (zona industriale artigianale n.d.r.) a Verona, vicino al quartiere fieristico della città, e poi a Sommacampagna nel 1991, dove siamo tuttora. Ora la parte produttiva dell’azienda, nell’attesa di completare il trasloco anche degli uffici, dello showroom e della sala demo, si è trasferita a marzo di quest’anno a Villafranca di Verona (dove c’era già la logistica), in un’ottica di ampliamento dell’intera struttura.

Vi sono altre tappe salienti che contraddistinguono il percorso?

Negli anni precedenti già alcuni brevetti ci avevano permesso di posizionarci a livello europeo. Negli anni ‘80 abbiamo messo a punto il primo forno modulare, quelli “a piani” per intenderci: non in blocco unico bensì singoli blocchi - per l’appunto modulari - mentre nel 1987 abbiamo brevettato il primo forno a tunnel in Italia, che già c’era negli Stati Uniti mentre qui era sconosciuto. Questi sono rimasti i prodotti simbolo dell’azienda, pur ovviamente con un’evoluzione: ad esempio il forno a tunnel prima era statico mentre ora il Synthesis è ventilato.

fatta salva qualche oscillazione annuale, frutto di una lungimiranza commerciale iniziata già negli anni ‘80, quando si cominciò un po’ alla volta ad esportare nei paesi vicini.

Qual è la mission aziendale?

Noi vogliamo soddisfare totalmente il cliente; uno dei nostri slogan in passato era: “Al tuo fianco nella cottura”. Se guardiamo alla pizzeria, c’è un’evoluzione in questo momento perché ci sono sempre più esigenze da parte del pizzaiolo e noi ci proponiamo di spiegare loro che con i nostri strumenti si può fare più di quanto si possa pensare. Prendiamo ad esempio il forno Augusto: ti permette di fare sicuramente la pizza napoletana perché raggiunge i 500 gradi ma non è solo un forno per pizza napoletana. È un concept che ha due brevetti e permette di lavorare anche a temperature diverse: un brevetto è sul design e l’altro è l’Air Trap System. Lavorando infatti a bocca aperta dovevamo trovare un modo per mantenere l’equilibrio del calore, che tende naturalmente ad uscire ed abbiamo così pensato ad una lama di aria calda che, sfruttando il calore che si accumula dentro la cupola, permette di incanalarlo e creare una sorta di barriera che consente di non fa uscire il calore all’esterno. In sostanza, questo forno permette al pizzaiolo di lavorare vicino al forno senza subire troppo il caldo che fuoriesce dal forno, oltre a mantenere il calore uniforme all’interno della camera.

Per quali segmenti di mercato nasce Zanolli inizialmente?

Sicuramente, assieme alla pizzeria, vi erano anche i forni da pane: forni molto grandi, monoblocco. L’esigenza di produrre forni modulari probabilmente nasce perché già negli anni 80 si sentiva l’esigenza di servire clienti che avevano spazi operativi che iniziavano a diventare sempre più ridotti, a dover contenere i costi di installazione e di un eventuale spostamento. Attualmente, noi serviamo la pizzeria, che è il nostro canale di vendita principale, la pasticceria e poi la panificazione. Nel segmento pizzeria, il mercato Italia pesa per un 20%,

A volte bisogna dire di no a qualche richiesta che viene dal settore. Ci sono mille varianti possibili ma i forni sono versatili, vanno conosciuti in tutte le loro potenzialità e spesso bastano adattamenti minimi agli impasti per ottenere il risultato ottimale.

La chiave è sempre la formazione, sulla quale noi insistiamo da molto tempo.

Come gestite le richieste di variazioni tecniche che provengono dal mercato?
a cura della redazione 79

DAL NOSTRO

Come per tutti gli altri settori, oggi chi ha un canale social ed è bravo ad usarlo in maniera efficace, in poco tempo può diventare un punto di riferimento per il grande pubblico ma magari dietro c’è meno sostanza di quanto ti potresti aspettare. Basti pensare al forno a tunnel, che non molti sanno usare correttamente, ma che ad esempio negli Usa ed in Europa è diffusissimo e ti risolve davvero tanti problemi, primo tra tutti quello del personale.”

Un motivo in più per insistere nella formazione?

Si, è fondamentale per noi, ed è anche per questo che collaboriamo con diverse realtà formative, oltre ad avere un forte gruppo di professionisti che collaborano direttamente con noi.

Zanolli oggi dove va?

Il cambiamento di sede per noi non è dovuto solo a ragioni di spazio ma anche ad un’esigenza di riorganizzazione: stiamo implementando i concetti della Lean Production, che implica un cambiamento importante. Vogliamo quindi soddisfare sempre più il cliente sulle tempistiche di consegna, operando in maniera sempre più snella ed ottimizzando i processi, alzando ancor più l’asticella sulla qualità del prodotto. Senza considerare lo sviluppo reale sul concetto di 4.0, che va fatto in maniera esaustiva e completa; siamo convinti che tutto questo ci permetterà di diventare più efficienti e di dare risposte più rapide al mercato.

Zanolli e la sostenibilità: quale rapporto?

Per quanto riguarda i forni, da sempre cerchiamo di far trovare al cliente il giusto rapporto tra il massimo ottenibile e il corretto consumo. Dal lato della produzione, a noi piacerebbe essere autosufficienti ma per ora il fotovoltaico che abbiamo installato non ci permette ancora di essere autonomi, sebbene

sia una delle cose a cui puntiamo. Poi, ci sono quelli che potrebbero essere considerati “piccoli” aspetti su cui siamo attenti, come la scelta degli imballi e l’eliminazione di tutta una serie di sprechi lungo la filiera produttiva.

Se vogliamo allargare lo sguardo al futuro delle attività, con questi aumenti dell’energia e delle materie prime, purtroppo riteniamo ci sarà un’ulteriore ondata difficile, dopo ciò che è accaduto con il Covid. Fuori dall’Italia, essendo la pizzeria vissuta meno come momento conviviale di ritrovo serale, certi problemi si sentono meno, hanno costi di gestione diversi. Da noi aumentare continuamente i listini lungo tutta la filiera diventa difficile.

In ogni caso, dobbiamo tutti resistere e questo è il messaggio che ci sentiamo di dare: ce la dobbiamo fare e ce la faremo, ampliando le proprie vedute e la propria conoscenza professionale.

Avete sempre manifestato un’attenzione particolare allo sport e all’arte: perché?

Da dove viene?

Questa sensibilità viene dalla famiglia Zanolli ed in particolar modo da Cristiano Zanolli, Presidente dal 1995, da sempre attento e vicino ai valori che lo sport suscita: correttezza, fair play, impegno, passione. C’è anche la volontà di sostenere il talento e di “arrivare” con il lavoro in questa nostra attenzione per il mondo dello sport e dell’atletica leggera in particolare. Lo stesso accade per l’arte e la cultura: passione di famiglia; è anche un modo per non fossilizzarsi e ampliare le nostre vedute con riverberi positivi anche nella nostra attività lavorativa quotidiana. In questo concetto di contaminazione culturale rientra anche l’iniziativa pensata per i 70 anni dell’azienda, ovvero quella di chiedere ai nostri tecnologi, ognuno per la sua area di competenza, di pensare un prodotto con un’eccellenza tipica del territorio veronese, ovvero il Recioto della Valpolicella.

MONDO 80 pizza e pasta italiana ottobre 2022

Pizza e salumi: una carrellata

La varietà di salumi che compon gono il nostro “atlante gastro nomico” non ha probabilmente uguali nel mondo.

Se l’utilizzo degli affettati sulla pizza è ormai uso comune, ci sono tuttavia delle accortezze da tenere presente. La prima è quello di conoscere bene le caratteristiche gustative, organolettiche e geografiche di ogni prodotto, per esaltarlo al meglio; la seconda è quella di fare attenzione alla cottura, che rischia nella maggior parte dei casi di far perdere ai salumi tutta la loro ricchezza aromatica. La terza è quella di non temere la semplicità e di usare un salume per volta, riuscendo così a valoriz zare al massimo ogni prodotto seleziona to. Detto ciò, ecco una carrellata di salumi pronti per essere fatti a fette.

. Prosciutto crudo

Avendo a disposizione un vero e proprio patrimonio di prodotti a marchio Dop o Igp, capaci di trasfor mare ogni farcia in vero e proprio piatto, il primo accorgimento è quello di non utilizzare il prosciutto crudo in cottura ma di aggiungerlo fuori dal forno. Le alte temperature infatti rischiano di aumentare la sapidità del salume e di asciugarlo eccessivamente, facendogli inoltre perdere qualità organolettiche e caratteristiche gustative. Meglio evitare quindi di sprecare un prodotto eccellente e, piuttosto, scegliere con cura quale usare, magari valorizzando le specifi cità dei sapori (dolcezza, note aromatiche, sapidità) e il territorio. Il campionario tra cui scegliere è ampio: prosciutto di Parma (Dop, Emilia-Romagna), San Daniele (Dop, Friuli Venezia Giulia), Amatriciano (Igp, Lazio), di Carpegna (Dop, Marche), di Modena (Dop, Emilia-Romagna), di Norcia (Igp, Umbria), di Sauris (Igp, Friuli Venezia Giulia), Toscano (Dop, Toscana); Veneto Berico-Euganeo (Dop, Veneto), Crudo di Cuneo (Dop, Piemonte).

Speck

Gusto intenso, saporito, con sentori di fumo, spezie ed erbe aromatiche. Non servirebbero altre presenta zioni per lo speck. L’Alto Adige ne ha fatto uno dei suoi prodotti di punta e, anche in questo caso, visto un sa pore già marcato, è bene aggiungerlo sulla pizza a fine cottura per evitare di seccarlo. È ancora una volta il sa pore a guidare gli abbinamenti, per i quali dobbiamo prediligere formaggi delicati, in modo da non andare a contrasto ma creare piuttosto un bel bilanciamento.

Bene anche l’aggiunta di altri ingredienti che richia mino il contesto montano, come i funghi.

di Caterina Vianello
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Prosciutto cotto

La delicatezza, gustativa e cromatica, è l’essen za del prosciutto cotto, cui la sottile bordatura di grasso arriva a conferire un sapore più pieno. Sotto la dicitura generale tuttavia, piuttosto vaga, ci sono delle enormi differenze, soprattutto legate all’utilizzo di conservanti e coloranti o relative alle condizioni di alleva mento dei maiali. La legge italiana identifica per i prosciutti cotti tre categorie qualitative ben distinte, che si differenziano per rapporto tra percentuale di acqua e di carne magra: il “prosciutto cotto”, ottenuto dalla coscia del suino, la cui umidità deve essere inferiore o uguale all’82%; il “prosciutto cotto scelto”, per il quale devono essere identificabili almeno 3 dei 4 muscoli principali della coscia intera e con un’umidità inferiore o uguale al 79,5%; infine, il “prosciutto cotto alta qualità”, con un tasso di umidità inferiore o uguale al 76,5%.

Pancetta

Tesa o arrotolata, più saporita o dai toni più dolci grazie all’abbraccio avvolgente del grasso, anche per la pancetta vale la regola di un’aggiunta delle fette fuori dal forno o proprio negli ultimi istanti di cottura. Anche in questo caso il calore gioca un ruolo fondamentale, sprigionando ed esaltando gli aromi. Da appuntarsi, in particolare, la Pan cetta di Calabria (Dop), dalla buona sapidità e che può essere resa ancora più accattivante dall’aggiunta di peperoncino o la Pancetta Piacentina, più delicata e dolce.

Salame

Da nord a sud, c’è l’imbarazzo della scelta. Se la Lombardia vanta Brianza (Dop), Cremona (Igp, Lombardia) e Salame di Varzi (Dop), l’Emilia Romagna risponde con il Felino (Igp) e il Piacentino (Dop), la Sicilia con quello di S. Angelo (Igp), mentre praticamente tutta l’Italia è unita nella produzione dei Salamini Italiani alla Cacciatora (Dop). Qui il consiglio è quello di studiarne bene caratteristiche e tratti distintivi nel gusto per valorizzarli al meglio e, conseguentemente, meglio aggiun gerli a fine cottura, per evitare che il forno ne azzeri il sapore.

Mortadella

Se la mortadella è così dolce e delicata, il merito va tutto al grasso di gola, forse il più pregiato tra i tessuti adiposi. Colore rosa, profumo leggermente speziato e intenso, superficie vellutata, sapore delicato: la mor tadella è uno dei salumi che meglio si presta ad essere utilizzata sulla pizza, a patto di non smorzarne il carattere elegante e goloso insieme. Anche in questo caso, quindi, meglio procedere con abbinamenti non in contrasto ma in corrispondenza e meglio aggiungere le fette una volta che la pizza è stata sfornata. Burrata, stracciatella, pistacchi: sono tra gli accostamenti migliori, non solo per i toni gentili, ma anche, nel caso dei pistacchi, per la croccantezza che gioca con la rotondità del salume e dei formaggi.

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Bresaola

Inevitabile pensare a quella della Valtellina (Igp): colore rubino, consistenza soda, pro fumo aromatico e gusto moderatamente sapido. Ecco perché meglio aggiungerla a crudo e utilizzarla preferibilmente su pizze bianche, magari riproducendo il classico accostamento al piatto con rucola e parmigiano in pizze bianche o in abbina mento con il taleggio.

‘Nduja

Dedicata agli amanti dei sapori piccanti: nata per recuperare gli scarti di lavorazio ne, è ormai diventata un prodotto iden titario della Calabria. Si può cuocere, e in questo caso la sua consistenza cremosa, in pasta, si farà ancora più morbida, oppure aggiungerla dopo la cottura, a piccoli tocchi. Accostamenti imperdibili con olive e ricotta, anche per regalare vivacità di colori alla base dell’impasto.

Capocollo

Si ottiene dalla fascia muscolare del suino tra il capo e le vertebre. Aggiunto sulla pizza appena estratta dal forno, rilascia profumo e aromi di stagionatura. Vale la pena provare quello di Calabria, a marchio Dop: all’esterno ha colore roseo o rosso più o meno intenso (per la presenza di pepe nero o peperoncino) mentre al taglio ha colore roseo vivo con striature di grasso. Delicato al palato, ha un profumo di giusta intensità. L’accostamento con formaggi freschi (stracciatella) e verdure (carciofi), riesce a valorizzarlo al meglio.

Ciauscolo

Eccellenza marchigiana, fa della spalma bilità della pasta il suo punto di forza. Si ottiene dalla doppia macinatura di tagli pregiati di carne suina come pancetta, spalla e rifilature di prosciutto e lonza. Le “fette” sono omogenee, di colore rosso-ro seo uniforme. Il profumo è delicato, tipico e speziato con un gusto sapido e saporito. Abbinato a formaggi delicati e verdure, e con l’accortezza di aggiungerlo in uscita dal forno, riesce a dare il meglio di sé.

Porchetta

Non poteva mancare in quest’elenco la porchetta. Di Ariccia, ovviamente, emblema della cucina romana. Si caratterizza per una crosta croccante (anche dopo di versi giorni dalla cottura), sotto la quale si celano carni di colore bianco-rosa inframmezzata dal colore delle spezie. Inconfon dibile al gusto per la presenza di rosmarino, aglio e pepe nero, è stata sapientemen te valorizzata dalla “scuola romana”. A fette, accostata a verdure, patate e/o formaggi, ha un alto tasso di golosità.

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La Vaniglia

di Giampiero Rorato
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Per capire quanto sia vera questa affermazione, avviciniamoci un po’ di più a questa spezia. La sua storia è molto antica: sembra infatti che questa pianta sia stata coltivata per la prima volta circa mille anni fa dai Totonac del Messico centrorientale e, quando gli Aztechi del nord ne conquistarono le terre nel XV secolo, s’innamorarono del profumo e del gusto

della vaniglia che unirono alla cioccolata, loro bevanda preferita.

Lo stesso fecero poi gli Spagnoli che conquistarono il Messico nel 1521 con Hernan Cortez. Poco dopo, il cacao fu portato in Spagna e si ripeté l’abbinamento con la vaniglia, diventando velocemente una bevanda che dalla Spagna si diffuse a Parigi, a Londra e in Italia.

La pianta

La pianta della vaniglia è una delle 100 specie di orchidea vaniglia, una rampicante con fiori gialloverde pallido e lunghi baccelli verdi. La sua terra di origine, come abbiamo scritto sopra, sarebbe il Messico. Ma passare dalla pianta al prodotto che conosciamo richiede un lavoro abbastanza lungo e complesso, come vedremo fra poco.

Flessibile e poco ramificata, la liana rampicante di vaniglia forma dei lunghi e sottili fusti che si arrampicano su alberi, esattamente come in passato facevano le viti dalle nostre parti, aggrappandosi ad altre piante e salendo anche per più di dieci metri.

I fiori, in gruppi di otto o dieci, formano dei piccoli bouquet.

Di colore bianco, verdastro o giallo pallido, hanno una struttura classica di un fiore d'orchidea, malgrado un'apparenza alquanto regolare. La fecondazione nelle regioni d'origine è effettuata da un genere di api senza pungiglione. Dopo la fecondazione, l'ovario si trasforma nella capsula pendente lunga da 12 a 25 centimetri.

I frutti freschi e ancora inodori hanno un diametro da 7 a 10 millimetri. Contengono migliaia di semi minuscoli che vengono liberati per apertura della capsula. La raccolta si fa a frutti immaturi (verdi) ma passare dalla pianta al prodotto che conosciamo richiede un lavoro abbastanza lungo e complesso.

Sul finire del ‘700 il celebre buongustaio francese Jean Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826), ha scritto:
“I secoli che ci hanno preceduto hanno dato al gusto un’aggiunta importante: la vaniglia”.
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La spezia

La trasformazione di frutti inodori in una spezia vellutata e gradevolmente profumata ha bisogno di una preparazione minuziosa e metodica, i cui principi furono sviluppati in Messico – sembra – fin dal tempo dei Totonac, poco meno di mille anni fa. Per lungo tempo, si seguì un metodo denominato “preparazione diretta”, che consiste nel lasciar maturare il baccello, alternandone l'esposizione all'ombra e al sole. In tempi più recenti, quell’antico metodo fu abbandonato per un metodo denominato “preparazione indiretta”, che consiste nel provocare un trauma violento al baccello per arrestarne la vita vegetativa detto "killing", seguito da una serie di operazioni di trasformazione, di essiccazione e di smistamento che durano all'incirca dieci mesi prima di ottenere un bastoncino di vaniglia commercializzabile.

Nella storia

All’inizio del XVII secolo, il farmacista della regina Elisabetta I, Hugh Morgan, consigliò di impiegare la vaniglia per aromatizzare budini dolci e, negli anni ’80 del Settecento, i Francesi scoprirono che, abbinata al gelato, dava risultati molto interessanti e piacevoli. Il gelato alla vaniglia divenne presto di gran moda a Parigi, tanto che il diplomatico americano di stanza a Parigi e futuro Presidente degli USA, Thomas Jefferson, se ne innamorò e volle scriverne la ricetta, ora conservata nella Biblioteca del Congresso a Washington.

Tra gli altri personaggi celebri per la storia della vaniglia, forse quello più importante è Edmond Albius, un giovanissimo schiavo de La Réunion, isola dell’Oceano indiano, ad est del Madagascar, di pertinenza francese. A 12 anni, Edmond rivoluzionò quasi per gioco il metodo di impollinazione, rivoluzionando anche il mercato mondiale della vaniglia per sempre, portandola sulle tavole del mondo e abbassandone il costo. A quell’epoca l’isola si chiamava Bourbon, da cui il nome di “Vaniglia Bourbon”.

Nella cucina italiana

Sulla vaniglia (Vanilla planifolia) si potrebbe scrivere un libro anche solo per l’Italia; va detto in primis che, dopo lo zafferano, è la spezia più costosa al mondo e che i maggiori produttori sono il Messico e il Madagascar. Molto usata da cuochi e pasticceri, la vaniglia è presente in: Budini, Vov alla vaniglia, Panna cotta, Yogurt, Gelato, Tè, Crema bavarese, Cioccolato di Modica e in alcune creme usate in pasticceria. Comunque oggi a cuochi, pasticceri e pizzaioli la fantasia non manca e nuovi abbinamenti, se fatti bene, sono sempre graditi.

90 pizza e pasta italiana ottobre 2022
F o r n i p r o f e s s i o n a l i m o d u l a r i e m o n o b l o c c o , u n a g a m m a c o m p l e t a p e r l e e s i g e n z e d e l l a p i z z e r i a m o d e r n a . E l e v a t a c a p a c i t à p r o d u t t i v a . R i d o t t i c o n s u m i e n e r g e t i c i C o m a n d i s u t o u c h s c r e e n o e l e t t r o m e c c a n i c i . G e s t i o n e c a l i b r a t a d e l l a c o t t u C o n f i g u r a z i o n i , a l l e s t i m e n t i e d i m e n s i o n i p e r s o n a l i z z a b i l i . 0 0 1 7 6 R o m a ( I t a l y ) V i a F o r t e b ra cc i o , 3 3 Te l ( + 3 9 ) 0 6 2 1 7 0 0 1 7 3 Fa x ( + 3 9 ) 0 6 2 1 7 0 1 3 4 1 w w w c a s t e l l i f o r n i i t • i n f o @ c a s t e l l i f o r n i i t FO R N I M ACC H I N E E AT T R E ZZ AT U R E P E R P I ZZ E R I E PA ST I CC E R I E TAVO L E C A L D E I M P I A N T I P R O F E SS I O N A L I P E R L A R I STO RA Z I O N E scegli I N N O VA Z I O N E E D E F F I C I E N Z A Con gli incentivi offerti da I N D U S T R I A 4 . 0 o g g i p u o i r i s p a r m i a r e f i n o a l 6 4 % d e l t u o i n v e s t i m e n t o

del Nord

di Alfonso Del Forno LA BIRRA
92 pizza e pasta italiana ottobre 2022 I birrifici
Italia

Il settentrione del nostro paese è stato il motore portante del movimento brassicolo italiano. È proprio in questa zona che sono nati, nel 1996, i primi birrifici italiani e dove hanno trovato terreno fertile per crescere e svilupparsi nel tempo.

Piemonte

Il Piemonte, insieme alla vicina Lom bardia, è stata la regione che ha fatto da incubatrice per il mondo della birra artigianale italiana. Qui sono nati i primi birrifici e da allora il numero di produt tori brassicoli è cresciuto costantemente, consolidando la sua posizione tra le regioni leader per numero di impianti di produzione della birra artigianale in Italia. Tra i pionieri della birra artigianale italiana troviamo Baladin, il progetto nato dalla mente di Teo Musso. Al centro delle Langhe, nel 1996, nasce il Birrificio Baladin, inizialmente realizzato a sup porto dell’omonimo locale presente nella piazzetta di Piozzo (CN). Qui prende vita il progetto brassicolo italiano più noto al mondo, grazie alle capacità comunicative del suo fondatore e alle continue innova zioni proposte negli anni.

Altro birrificio che ha fatto la storia del movimento brassicolo italiano è Beba, che ha sede a Villar Perosa (To). Ancora oggi questo birrificio produce utilizzan do la sala cotta e la cantina del 1996, a dimostrazione che prima ancora della tecnologia, quello che conta è la capacità del birraio di saper progettare e realizzare ottime birre.

Spostandoci a Trecate (No) possiamo conoscere da vicino il birrificio Croce di Malto. Alessio Selvaggio e Federico Casari sono i due pilastri dell’azienda. Grazie alla loro versatilità, le birre di Croce di Malto sono espressione della cultura europea di produrre birra, con ricette che si ispirano, con grande eleganza, agli stili conti nentali più interessanti.

Grazie all’acqua più dolce d’Euro pa e alla capacità di interpreta

re gli stili di bassa fermentazione, le birre di Elvo sono tra le più interessanti che il mercato propone. Le basse fermentazioni di Elvo sono tra le migliori mai assaggia te, capaci di competere con i grandi clas sici tedeschi. Molto interessante anche il locale che hanno aperto a Biella.

La magia delle birre ancestrali è appan naggio del birrificio Loverbeer, che ha sede a Marentino (TO). Le lunghe matura zioni in botte e la grande capacità del bir raio Valter Loverier di utilizzare le materie prime del territorio, rendono queste birre davvero uniche. Ogni bottiglia rappresen ta una vera opera d’arte brassicola.

A Montegioco (Al) troviamo l’omonimo Birrificio Montegioco, creatura di Riccar do Franzosi. Il birraio piemontese è una persona verace, che vive il suo territorio in maniera profonda e ama rispettare il tempo necessario affinché le sue birre possano essere consumate nel migliore dei modi. Maturazione in botte e utilizzo della frutta sono i suoi punti forti.

Lombardia

La Lombardia è la regione italiana con il maggior numero di birrifici, non solo in termini numerici, ma anche dal punto di vista della qualità. In queste terre sono nati alcuni dei primi microbirrifici defi niti “pionieri”, che hanno dato vita, nel 1996, al movimento della birra artigianale italiana. A Limido Comasco (Co) ha sede Birrificio Italiano, la creatura di Agostino Arioli, tra i padri fondatori della birra italiana, non solo per motivi anagrafici, ma soprattutto per le strade aperte negli anni. La sola Tipopils basterebbe per presentare questo birrificio, ma sarebbe riduttivo rispetto alle tante produzioni e sperimentazioni che si sono succedute nei venticinque anni di attività, tra cui il progetto Klanbarrique e quello recente dedicato al mondo dei distillati.

Altro pioniere del movimento artigianale italiano è il Birrificio Lambrate, nato nell’omonimo quartiere milanese.

Tra i soci fondatori ci sono Giampaolo Sangiorgi, il Monarca della birra, e Fabio Brocca, il birraio.

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Nato come brewpub, ben presto è andato oltre i confini di Via Adelchi, sede storica del birrificio milanese. Con un successo esteso fuori dai confini nazionali. Le birre di Lambrate sono tante, alcune classiche come la Montestella, pilsner iconica, o la Ghisa, elogio dei malti scuri, e le ultime nate confezionate in lattina, come l’Ato mic e la Rocket realizzate per il venticin quesimo anniversario.

A Comun Nuovo (Bg) troviamo Elav, birri ficio che punto tanto sul consumo locale, favorito dalla presenza di quattro locali a proprio marchio nel bergamasco. Molto eclettica la produzione, con tante etichet te che abbracciamo diverse filosofie bras sicole. Punta di diamante è la Punks do it bitter, birra di ispirazione anglosassone, molto beverina. Altro pilastro di Elav è la Dark Metal, birra in cui giocano in grande equilibrio le tostature dei malti e l’amaro dei luppoli.

Spostandoci a Desio (Mb) troviamo il Birrificio Rurale, un birrificio che in breve tempo ha conquistato grandi fette di mercato della birra artigianale italiana grazie alla grande capacità di produrre grandi birre che si ispirano a tradizioni brassicole di diverse provenienze. La Seta è una delle birre che hanno reso famoso il birrificio, grazie alla sua capacità di esprimere le caratteristiche dello stile (blanche) nella sua forma classica, spe ziata e beverina. Come la Seta, anche la 405040 interpreta lo stile delle Italian Pils in maniera egregia, con le note speziate ed erbacee che accompagnano la grande beva.

In pieno centro a Monza, in Piazza Indi pendenza, troviamo il Birrificio Carrobio lo, con annesso il pub. Pietro Fontana è l’arte fice di questo progetto

nato nel 2008 e che stupisce gli appassio nati di birra artigianale per la capacità di alternare birre rigorosamente fedeli allo stile d’ispirazione a quelle innovative con ingredienti poco convenzionali nel mondo della birra, come il pomodoro e i funghi porcini. La sua Keller è molto beverina, caratterizzata dai sentori della crosta di pane e dalla luppolatura mai invadente. Grande esercizio di stile è la Mo Scanzati Azzo, Italian Grape Ale realiz zata con mosto di Moscato di Scanzo, che regala note speziate e di frutti rossi.

Veneto

Il Veneto, insieme a Lombardia e Piemon te, è una delle regioni italiane che detiene il numero più alto di birrifici artigianali sul proprio territorio. Uno dei più cono sciuti è Cr/Ak. L’impianto di produzione è a Campodarsego (Pd) ed è gestito da Anthony Pravato e Marco Ruffa. La filoso fia del Birrificio Cr/Ak è quella di proporre birre dalla forte presenza di luppoli, anche se in grande equilibrio con le altre materie prime. Questo ha permesso a Cr/ Ak di affermarsi come Birrificio dell’Anno nell’edizione 2018 di Birra dell’Anno. Belle le lattine in alluminio, che hanno dato inizio a una svolta nell’utilizzo di questo contenitore in Italia. Molto interessante la linea Cantina, dedicata a Italian Grape Ale, Sour beer e birre invecchiate in botte. Altro nome importante nel mondo delle birre artigianali è 32 Via dei Birrai, il birrificio di Fabiano Toffoli, che produce a Pederobba (Tv). L’idea di base di Fabiano è quella di produrre birre che tengano alta l’asticella della qualità e che rispettino l’ambiente. Il fortissimo legame con il territorio si esprime con l’elaborazione di progetti che promuovono l’utilizzo di cereali locali come il farro e la speri mentazione sui luppoli autoctoni. Molte belle e di grande personalità le bottiglie, premiate negli anni scorsi come tra le più belle al mondo.

Spostandoci in provincia di Vicenza, per la precisione a Isola Vicentina, troviamo il birrificio Birrone. Simone Dal Cortivo è il birraio di questo grande impianto da 60hl, uno dei più grandi in Italia, tra i birrifici artigianali. Le birre, quasi tutte di bassa fermentazione, sono caratterizzate dalla grande bevibilità, qualità fonda mentale per attrarre l’attenzione di chi ama bere per il piacere di stare insieme. Facendo un salto in provincia di Venezia, arriviamo a Martellago, dove troviamo BAV, Birrificio Artigianale Veneziano, una realtà ormai consolidata e di grande affidabilità. Le birre sono prodotte con un occhio attento al rigore delle ricette origi nali cui s’ispirano, per avere una bevuta semplice e piacevole. Ritornando in provincia di Vicenza, a Sovizzo, troviamo un birrificio artigianale che sta crescendo sempre più nell’ambito della ricerca e della qualità dei singoli prodotti: Ofelia. Le birre prodotte da An drea Signorini sono estremamente bilan ciate e l’utilizzo di prodotti del territorio (cereali, spezie e frutta) non interferisco no con il grande equilibrio delle birre. Un birrificio artigianale cui prestare grande attenzione si trova a San Martino Buon Albergo, nei pressi di Verona. Il suo nome è Mastino ed è conosciuto per le sue birre di bassa fermentazione, senza però dimenticare alcune interessanti birre di alta prodotte in birrificio. Le lunghe maturazioni permettono a queste birre di essere molto pulite, sia nel bicchiere che al palato, garantendo una interessante bevibilità, senza andare a discapito della complessità generale della birra. Progetto interessantissimo, che mostra quanto vino e birra possano essere vicini, è quello di Sieman, azienda agricola nata dal lavoro di sei mani, quelle di tre fratel li, Marco, Daniele, Andrea Filippini. Nella loro azienda di Villaga, zona di Barbarano Vicentino, sui Colli Berici, si coltivano uve per i loro vini, che spesso trovano spazio nelle ricette delle birre, che fermentano con i lieviti indigeni dei vigneti di fami glia e maturano per molti mesi in botti di rovere.

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LA BIRRA

Non di solo pizza

La cucina è (anche) donna e ce lo conferma Ylenia Salviato, una giovane donna che fin dai tempi della scuola ha capito quale fosse il suo scopo nella vita: deliziare il prossimo con la sua arte culinaria. Ylenia è chef e titolare dell’osteria Al cavaliere perso, a Pordenone.

Ylenia e il Cavaliere… perso

Chi è Ylenia? Quando e come nasce la sua passione per la cucina?

Quando ero alle scuo le medie ero bravis sima in matematica e infatti pensavo di voler frequentare la ragioneria. Prima di terminare la terza media, con la scuola sono stata ad una fiera in cui ci mo stravano anche le professioni manuali. Quando ho visto l’am bito della cucina, me ne sono innamorata. Sono tornata a casa e ho detto a mia madre: “voglio fare la cuoca”. Lei chiaramente non era d’accordo, voleva che facessi ragioneria. Così mi sono impuntata e le ho detto che sarei stata capace di farmi bocciare. Alla fine, ho intrapreso la scuola per studiare cucina. Mia mam ma vendeva medicinali per gli animali, era veterinaria e l’anno in cui ho iniziato la scuola alber ghiera ha mollato l’attività e ha preso un’osteria. Oggi ho tren tasei anni e ho iniziato a lavorare quando ne avevo diciotto.

A sinistra Ylenia Salviato
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Pordenone

Parlami del ristorante: per chi lo hai pensato?

Il ristorante è stato aperto nel 1999, a settembre, proprio quan do ho iniziato la scuola. I primi quattro anni sono stati un po’ difficili. All’inizio eravamo sol tanto un bar; solo dopo abbiamo avuto la licenza per poter cucina re. Inoltre, non avevamo trovato il personale giusto. Quando ho finito la scuola, subito, a diciotto anni, ho preso in mano le redini dell’attività con la mia mamma. Inizialmente c’era un socio, che poi è andato via e io ho preso il suo posto.

Mi sono posta subito degli obiettivi, come avere una cucina più grande, ristrutturare il locale e portare una maggiore clien tela. Oggi come allora, cerco di trasmettere il mio amore per la cucina a chi mangia i miei piatti. Questo è ciò che i miei clienti apprezzano di più: mi ammirano perché si vede che c’è passione in ciò che faccio e questa è la mia soddisfazione più grande.

Sei diventata una chef e un’imprenditrice in un mondo di uomini. Come l’hai vissuta e come la vivi oggi?

Non credo che la società predi liga il lavoro maschile perché le donne, se vogliono, possono tirar fuori un bel carattere.

Diciamo che anche tra donne imprenditrici non scorre esattamente buon sangue: c’è molta invidia, molta competizione…

Dipende. Il mio locale è gesti to da una donna. Penso che le donne possano essere molto collaborative tra loro, possono essere aperte al confronto. Non è detto che debbano essere in competizione, tutto dipende chiaramente anche dal carattere della persona in questione.

Parlami del tuo stile e della tua cucina. Come selezioni i tuoi ingredienti e quali non devono assolutamente mancare nella tua dispensa?

Sono partita con due primi e due secondi, ho cercato di portare avanti il mio sogno da ragazza molto giovane; sono cresciuta pian piano in cucina, nessuno nasce maestro, tutti hanno bisogno di imparare. Non si smette mai di imparare. Oggi la selezione dei nostri ingredienti è principalmente quella del terri torio. Cerchiamo di valorizzare i prodotti senza elaborare troppo. Anzi, cerco di rielaborare le ricet te di una volta. Quei piatti tipici che tanti amano mangiare, ma che non preparano a casa.

Qual è l’accostamento più audace che hai provato per un piatto?

La cucina friulana è una cucina molto povera ed ha materie pri me molto povere. Quindi i nostri piatti tipici sono semplici. Dal frico al musetto, al toc in brade, che è una polenta morbida, che preparo con la polenta Taragna.

E il piatto che più ti rappresenta, quello che bisognerebbe assolutamente assaggiare?

Il mio piatto principale e quello che più mi rappresenta è la millefoglie. Una mia elaborazio ne, un piatto fatto con la pasta sfoglia che viene assemblato al momento. Lo preparo con provola, fonduta di asiago e nel periodo in cui ci sono, ci metto i porcini spadellati e la pancetta. Assolutamente da provare.

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La parola ai pizzaioli

Il “segnalatore”

Nome: Massimiliano

Cognome:

Gusto Divino

Cavour, 21 Saluzzo

https://www.massimilianoprete.it/

Storia professionale

"Il mio percorso professionale inizia prestissi mo: a 15 anni lascio il Salento, mia terra d’ori gine, e lavoro ad Asti, in una tipica pizzeria di Tramonti e successivamente a Saluzzo, come pizzaiolo e pasticciere. Nel 2000, coadiuvato da mia moglie Erica, rilevo e gestisco la caffet teria pasticceria PiazzAffari a Saluzzo. Nel 2011 apro Teatro del Gusto, un ristorante pizzeria che, per 7 anni, ha accolto ogni gior no saluzzesi e turisti. Nel 2014, la svolta: dopo l’Università della Pizza di Molino Quaglia, cambio completamente la mia visione della pizza; studio e mi innamoro del mondo dei lievitati, delle farine di qualità, dell’impasto (o meglio degli impasti) a regola d’arte, buo ni, leggeri e digeribili. Chiudo PiazzAffari per aprire, nel medesimo locale completamente rinnovato, Gusto Divino, proponendo un nuovo concetto di pizza: la pizza gastrono

mica. Nel 2016, inauguro anche Gusto Madre, pizzeria contemporanea in pieno centro ad Alba, cuore delle Langhe e regno dell’eccellen za culinaria piemontese; nel dicembre 2017 Gusto Madre sbarca in centro a Torino. Non amo definirmi pizzaiolo, bensì lievitista, per ché sono gli impasti il vero fiore all’occhiello della mia proposta culinaria e la peculiarità che differenzia le mie pizze gastronomiche da tutte le altre. Questo mi porta, nel set tembre 2018, a focalizzare l'attenzione sui locali di Torino e Saluzzo e a lasciare Gusto Madre Alba. Chiudo intanto Teatro del Gusto e regalo al locale di Torino un nuovo nome: Sestogusto. Il sesto gusto, secondo i ricercato ri, è infatti la sensibilità della bocca al sapore dei carboidrati. In pratica, quello che ci fa provare un grande amore per la pizza, il pane e tutti gli impasti a base di grano. Tra qualche mese, Sestogusto raddoppierà: sto ultimando i lavori del secondo locale che aprirò in via Stampatori, sempre nel centro di Torino. Non voglio però parlare solo di aperture! Negli ul timi anni ho anche sviluppato collaborazioni con chef stellati e maestri della pizza quali Enrico Crippa, Matteo Baronetto, Corrado As senza, Gabriele Bonci, Federico Zanasi... fino a Buonissima Torino 2021 dove ho realizzato il cestino del pane per le cene evento di Mas simo Bottura, Ferran e Albert Adrià, Ana Roš, Mauro Uliassi, Norbert Niederkofler, Matteo Baronetto, Jessica Rosval; ho inoltre tenuto docenze presso prestigiosi istituti culinari. Sono poi lieto di aver ricevuto riconoscimenti quali i 3 spicchi della Guida del Gambero Rosso dal 2016 ad oggi, l’inserimento tra “Le

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Prete Città di nascita: Torino Ristorante:
piazza

Migliori Pizzerie d’Italia” de L’Espresso dal 2016 ad oggi, nella guida “il Gatti-Massobrio” dal 2016 ad oggi, nella guida mondiale “Whe re to eat pizza” di Phaidon Edizioni e di essere stato nominato “Maestro d’Impasti 2017” dal Gambero Rosso, “Ambasciatore della Pizza” da Slow Food e “Ambasciatore del Gusto” dall’omonima Associazione".

Qual è la pizza per te più rappresentativa del tuo lavoro?

Che tipo di pizza cerchi di proporre ai tuoi clienti, con quali concetti e perché?

"Come ho già avuto modo di dire, la mia pizza è “gastronomica”, realizzata con tecniche che fondono la pasticceria, l’alta ristorazione e l’arte dei lievitati; è un connubio di gusto e leggerezza, grazie a guarniture raffinate ed abbinamenti inconsueti ma soprattutto a impasti buoni e digeribili, vero punto focale del mio lavoro e plus della mia proposta culinaria. Do valore a tutti gli ingredienti, facendo della stagionalità e dell’alta qualità dei prodotti due punti fermi; sono sempre alla ricerca di un’armonia nell’equilibrio dei contrasti. Il concetto per me fondamentale è permettere al cliente di fare una scelta: non mangia solo una pizza ma sceglie come nutrirsi e che tipo di mercato e di produttore sostenere. Alcuni dei miei impasti vengono realizzati con il mio grano evolutivo autopro dotto (in collaborazione con Molino Quaglia): una scelta sostenibile per il consumatore, per il pianeta e per l’agricoltore. La maggior parte degli ingredienti delle mie pizze arriva da piccoli produttori artigianali, come nel caso del caprino che acquisto da un pastore che nutre i suoi animali con i fiori o i pomodori di collina del Vesuvio colti a mano, come già faceva il nonno dell’attuale coltivatrice o le primizie di stagione che acquisto al mercato contadino di Saluzzo, davanti al mio locale".

"La scelta è difficile, perché ognuna racconta un pezzo di me o della mia filosofia ma direi Gambero Rosso, perché racconta le mie origini (con gambero e burrata) ma anche il Piemonte che mi ha accolto perché la base è realizzata con la farina di mais. Questa pizza racchiude tante diverse sfaccettature che si rivelano contrasti armonici: la croccantezza della base e la “scioglievolezza” di gambero e burrata, la piccantezza della salsa guacamole e la delicata dolcezza del lardo di Patanegra. Mi ricorda un po’ il mio percorso che, tra piz zeria e pasticceria, mi ha regalato un ruolo trasversale: quello del lievitista, che è anche ristoratore, imprenditore, docente. Discipline diverse, ma affrontare con la stessa filosofia: Pazienza. Precisione. Poesia".

La ricetta

"Croccante Il Gambero Rosso Impasto ad alta idratazione stile romana. Si lascia fermentare tutta la notte e poi si aggiunge farina di mais e semi di girasole. Viene realizzata una boccia di 280 gr, stesa in forma tonda, su cui viene adagiato il lardo di Patanegra. Poi si procede alla cottura a 280°C e, in uscita, dopo aver tagliato in 8 spicchi, si procede a guarnire con Burrata di Gioia del Colle, salsa guacamole (realizzata con avocado, lime, pomodoro e cipolla) e gamberi rossi crudi".

La pizzeria consigliata

"Ivano Veccia - Qvinto Restaurant , Via Fornaci di Tor di Quinto, 10, Roma. Lo consiglierei semplicemente perché rea lizza un prodotto eccellente nel locale più esclusivo di Roma".

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La parola ai pizzaioli

Il “segnalato”

Storia professionale

Ivano Veccia, classe 1981, inizia a confron tarsi con il mondo della pizza già da gio vanissimo, lavorando in diverse pizzerie della sua isola natìa, Ischia, seguendo i consigli del suo maestro, Enzo Barone, dietro al bancone di Terra del Fuoco.

Dopo le esperienze formative a Piacenza e Milano, in cui Veccia inizia utilizzare alcu ni prodotti di eccellenza, a Londra impara l’arte della pizza napoletana, sotto la guida del maestro Antonio Magno presso Rosso Pomodoro. Nel 2006 torna a Ischia, spinto dal grande desiderio di migliorarsi e inizia a lavorare al Palm Beach: lì conosce lo chef Nino Di Costanzo, oggi Due Stelle Michelin con il suo Danì Maison. Il pizzaiolo e lo chef avviano una collaborazione preziosa, che ha permesso a Ivano di girare tutto il mondo.

Dopo un periodo di stop, arriva al ristoran te il Limoneto e, nel frattempo, segue un corso di formazione dallo storico pizzaiolo napoletano Enzo Coccia. Nel 2015, diventa

responsabile della pizzeria dell’evento Ischia Safari e lancia per la prima volta la sua Lasagna povera: una pizza ispirata alla famosa Cosacca, completata con l’origano ischitano, una proposta che ha riscosso un enorme successo. Dopo il Limoneto, Veccia inizia a lavorare nel nuovo ristorante pizze ria “Da Ciccio” a Forio, con collaborazioni ed eventi in giro per l’Italia, oltre a impor tanti consulenze all’estero. Dal 2016 Veccia lavora accanto a Giorgio Belotti del Molino Belotti per la realizzazione di una farina ad hoc per le sue pizze. Nel novembre 2018 la sua carriera decolla, con la sua avventura da Qvinto Restaurant, la pizzeria più grande di Roma, con oltre 400 posti: una consulenza iniziale, che si trasforma in un lavoro a tempo pieno come responsabile della pizzeria. E, nel 2021, arriva un ricono scimento importantissimo: la sedicesima posizione nella guida 50 Top Pizza. E non solo: la sua Capricciosa diventa anche pizza dell’anno per la stessa Guida. Il 2021 si con clude con un altro prestigioso premio: i Tre Spicchi Gambero Rosso, confermati anche per il 2022.

A giugno riceve il riconoscimento civico di ambasciatore dell’Isola d’Ischia nel Mondo da parte del sindaco Irene Iacono di Serra ra Fontana.

Il 26 luglio 2022, al Teatro Mercadante di Napoli, la pizzeria di Qvinto ha conquista la tredicesima posizione in 50 Top Pizza Italia. E il 7 Settembre il locale capitolino ha ottenuto la venticinquesima posizione nella guida 50 Top Pizza World.

La pizza di Ivano

La pizza napoletana di Ivano Veccia ha spopolato nella Capitale: sui topping, il pizzaiolo di Qvinto predilige i grandi clas sici, che ama rivisitare con forti richiami alla sua isola, ai profumi e alle tradizioni ischitane e con evidenti omaggi a Roma, la sua città d’adozione. Tra le sue pizze, è impossibile non citare la Pizzaiuolo, con San Marzano Dop, crema di grana, Mamma Bruna grattugiato (monolatte di razza bruna), fior di latte affumicato, sette tipi di pepe provenienti da tutto il mondo e olio Evo affumicato fatto in casa. Sul nuovo menu saranno protagoniste due pizze: la nuovissima 4 Stagioni, divisa in Primavera, condita con crema di zucchine, crema di Mamma Bruna, fiori di zucca e menta, l’Estate, con crema di Mamma Bruna, fior di latte, pomodoro cuore di bue, pesto liofilizzato, buccia di limone e basilico, l’Autunno, con crema di Mamma Bruna, funghi chiodini, pancetta di nero casertano e, infine, l’Inverno, con crema di Mamma Bruna, friarielli e scaglie di Giove (caciocchiato di Bruna Alpina). La seconda new entry sarà invece la pizza Omaggio a Uliassi (il grande chef, ndr), condita con fondente di patate, fior di latte e comple tata, in uscita, con mazzancolle grigliate e tartufo fresco.

La ricetta

“La pizza che ora è un must e la Pizzaiuolo. Sarebbe una Margherita con provola e pepe…. A Napoli si dice essere la pizza dei pizzaiuoli; io l’ho arricchita con 7 tipi di pepe da tutto il mondo, ristandoli prima di metterli sulla pizza e aggiungendo la crema di mamma Bruna (stagionato di bruna alpina) e l’olio affumicato sul corni cione in uscita, mentre invece in entrata c’è un blend pugliese.”

100 pizza e pasta italiana ottobre 2022
Nome: Ivano Cognome: Veccia Il Quinto quarto Via Flaminia 638, Roma https://www.ilquintoquarto.it/
Forni Valoriani, da oltre 100 anni al vostro servizio
di David Mandolin Chi è Simone Padoan? Come si definisce?
102 pizza e pasta italiana ottobre 2022 Simone #
"Simone Padoan è una persona innamorata del proprio mestiere, lo stesso che porta avanti da ormai trent’anni e che ogni giorno rimette in discussione se stesso per riuscire a migliorare il prodotto e l’esperienza del cliente." PadoAn.

Che cos’è la pizza per lei? Questo concetto si è evoluto nel tempo e, se sì, come?

"La mia idea di pizza si evolve ogni giorno ormai da 25 anni, sin da quando (fine anni ‘90) abbia mo rivoluzionato il nostro modo di concepire la pizza. Lo abbiamo fatto per una nostra esigenza: il fatto che poi sia diventato il mo tore e l’elemento scatenante per un cambiamento globale non era prevedibile."

La mia idea di pizza si evolve ogni giorno ormai da 25 anni

“La pizza deve anche essere espressione della creatività del pizzaiolo, affinché il suo grado di cultura e di conoscenza del passato diventino semi di innovazione continua.”

Questo era il secondo punto del Manifesto della Pizza Contemporanea, presentato nel 2012. Come lo interpreta quotidianamente e nel lungo periodo?

"Sono passati ormai 10 anni e, prima del Mani festo, io già portavo avanti le mie idee da altri 15. Rimango coerente con il mio pensiero e ogni giorno cerco di trasferirlo nel prodotto e nel servizio. Per comprendere il nostro approccio all’innovazione del prodotto, bisogna venire ai Tigli. Descrivere a parole la sintesi di 25 anni di storia del nostro locale è, per me, impossibile."

Quali sono stati a suo avviso i fattori che le hanno permesso di rivoluzionare (con successo) la proposta di pizza fino ad allora esistente?

"La pizza è un piatto che merita tutta l’attenzione che riscuote oggi. Ma è pur sempre un piatto. I fattori che da sempre spingono l’uomo a rivoluzionare qualcosa sono sempre i medesimi: basti pensare a tutte le Storie, soprat tutto a quelle ben più importanti della pizza. Ad ogni modo, quan do i Tigli hanno rivoluzionato questo settore nel 1999, le mie motivazioni erano sia personali che professionali."

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Quanto ruolo ha il pubblico/ cliente e la sua evoluzione nel gusto e nelle aspettative in questo cambiamento di percezione del prodotto pizza? L’una ha trainato l’altra o sono andate di pari passo?

"Non sono andati di pari passo. Trent’anni fa il cliente non aveva tutte le conoscenze che ha ora, né l’abitudine a porsi delle domande in merito a un prodotto come la pizza. Gran parte del mio lavoro si è concentrato proprio in questa direzione: educare il pubblico a quelli che sarebbero stati i nuovi gusti. Rallentare il servizio (da qui la necessità di una degustazione a spicchi, agli antipodi rispetto al fast food) per ragionare su ciò che si sta gustando. Dare valore a ciò che già ne aveva, ma che non veniva percepito come tale."

OTradizione ed innovazione possono convivere in una pizza? Se si, come?

"Credo che queste due parole, soprattutto insieme, siano state enormemente abusate dal mon do della cucina e della pizza. Sono una facile scorciatoia per ridurre a schema un pensiero, che deve essere assolutamente personale, del pizzaiolo o del cuoco. Nella pizza deve esserci il pensiero di chi la realizza e l’attenzione per chi dovrà riceverla."

Non solo pizza, ma anche lievitati, prodotti dolci e salati. Perché questa scelta?

"iTigli Lab nasce dall’idea di poter sviluppare a 360° il mondo del lievitato, offrendo ai nostri clienti la possibilità di portarsi anche a casa un pezzo di noi, quello più dolce. Abbiamo creato un labora torio ad hoc in cui sviluppiamo prodotti che rispettano al 100% la nostra filosofia."

Se dovesse pensare d’impulso ad una sola pizza che rappresenti il suo percorso, quale sarebbe?

“Burrata e Culatello”. È stata la pizza simbolo dei primi anni di rinnovamento dei Tigli. Fummo i primi a proporla… e oggi è una pizza presente praticamente in tutti i menu d’Italia."

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il buon pomodoro italiano

od i bio la T ente,

prendiamo c a di v .

Sarà un anno da leccarsi i baffi. C’è una ghio�a novità che darà più sapore al nuovo anno, un calendario che porterà la giusta nota di colore. Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Ar�s� della pizza”. O�obre è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Vincenzo Oliva che con la sua specialità “Regina Partenope” ha lasciato tu� a bocca aperta.

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Andrea Merlini:

ritorno al Padellino

di A.P. e N.C.

La pizza al padellino è uno degli esempi più virtuosi dell’arte di fare di necessità virtù. La sua origine risalirebbe all’esigenza delle “cadreghe” (osterie popolari) torinesi di trovare una soluzione veloce, gustosa, economica e in grado di saziare - nei ristretti tempi imposti dalla pausa pranzo - gli operai delle numerose fabbriche della città. Rappresen tava dunque l’esatto opposto di un altro grande classico all’ombra della Mole: la “merenda sinoira”. Quest’ultima era stata cele brata, tra gli altri, anche da Cesare Pavese, perché ricchissima di pie tanze, per lo più fredde (come salumi e formaggi… ma anche molto altro), da gustare senza dover guardare l’orologio (ecco il perché di “sinoira”, cioè “senza ora”).

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AMolto più umili invece le atten zioni riservate al padellino. Esso veniva preparato al mattino dai locali più vicini ai poli produttivi: veniva effettuata una precottura; una parte dei padellini era con base bianca (formaggio), l’altro con base rossa (pomodoro). Dopo la precottura, si conservava poi il padellino in frigo fino a ora di pranzo quando il cliente arrivava e sceglieva come completarlo. A quel punto, venivano messi gli ultimi ingredienti e rigenerato velocemente in forno, pronto per essere gustato.

Sia la storia del padellino che quella della “merenda sinoira” stanno fortunatamente tornando di moda, in una sorta di revanche del passato che tende a ingentilire i prodotti del popolo. Fino a oggi invece era stato proprio il deside rio di affrancamento da quella vita dei ceti “proletari” ad avere fatto mettere da parte il padellino. Ma, si sa: i tempi cambiano.

Si dice spesso inoltre che trovare un buon padellino a Torino non sia semplice ma negli ultimi anni se ne fanno diversi, dall’ottimo gusto e frutto di un’attenta ricer ca, come nel caso di “Padellino & Farinata”, il locale di Andrea Merlini dedicato a questi due grandi classici.

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Andrea è un ragazzo di origini indiane che è stato adottato, quando era molto piccolo, da una famiglia torinese e si è diplomato a Torino come tecnico dell’arte bianca. Dopo sei mesi di gavetta, ha aperto la sua prima pizzeria a Pianezza, il suo paese, poco distante dal capoluogo sabaudo, in cui faceva sia pizza in pala che padellino. Nel 2018, ha deciso di lasciare questa pizzeria alle cure di un suo collaboratore per aprir ne una a Torino, facendo però una scelta di campo: proporre esclusi vamente la pizza al padellino.

r«Il mio segreto è il tem po», dice Andrea. «Per servire un prodotto digeribile, è necessario, infatti, rispettare i di versi tempi di lievita zione e maturazione. Nella ristorazione, accelerare i tempi non porta mai a cose buone. Per la farinata, ad esem pio, per chi desidera mangiarla al tavolo, c’è un tempo d’attesa di circa quindici minuti perché non servo mai la farinata già pronta, non è la mia filosofia. È meglio aspettare un po’ ma degustare un prodotto fragrante, con la crosticina esterna e la cremina morbida nel mezzo».

Il mio segreto è il tempo. Per servire un prodotto digeribile, è necessario, infatti, rispettare i diversi tempi di lievitazione e maturazione.
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Andrea, tu hai scelto di recuperare una tradizione dei ceti popolari, pur essendo giovanis simo. Perché?

"Tradizione e innovazione posso no convivere benissimo. Il padelli no veniva cotto in un tegame il cui diametro è di 25 cm e così per me è ancora. Nel contempo però, ho fatto un mio impasto con farine macinate a pietra e molto idrata to, ovvero al 75%. Discorso analogo per la farinata, che tradizional mente si cuoceva in una teglia di rame mentre oggi la cuocio in un padellino di ferro. Venendo ai condimenti, se prima c’era la pizza Napoli con le acciughe, oggi facciamo quella “innovativa” con pomodoro, acciughe e, a fine cot tura, la stracciatella, così da offrire un duplice contrasto: caldo/fred do e dolce/sapido."

Che cos’è per te la pizza?

"La pizza per me è vita, è passione. Le dedico molto tempo, ci vuole amore per ciò che si fa. È sacrifi cio, perché è un lavoro duro che t’impegna, sia fisicamente sia mentalmente. Si lavora continua mente, anche durante le feste, quando gli altri si riposano. È ricerca. La mia filosofia è quella di investire sulle materie prime d’eccellenza e personalmente prediligo quelle del territorio: le farine, ad esempio, oppure la mozzarella. Infine, per me la pizza è divertimento: adoro stare con le mani in pasta, sperimen tare nuovi tipi di impasti, creare nuove pizze speciali con ingre dienti atipici come, per esempio, la robiola di Roccaverano col salmone affumicato oppure la scarola in padella con olive, acciu ghe, pinoli e peperoncino."

Ecco, a tale proposito: qual è la tua pizza preferita?

La mia pizza preferita è la “gor gonzola e cipolla” ma mi piaccio no anche quelle con i formaggi e i salumi. Qui in Piemonte siamo pieni di ottimi produttori ed io mi ritengo fortunato a poter col laborare con molti di loro.

eTradizione e innovazione possono convivere benissimo.
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Combina sapore intenso piacevolmente dolce con caratteristiche tecniche equilibrate per una lavorabilità tradizionale. Offre un sapore caratteristico, pieno e dolce che risalta nella degustazione dei prodotti da forno.

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Un napoletano a Sanremo.

Giovanni SeneSe

Parole di Giovanni Senese, un pizzaiolo di origine parteno pea e di adozione ligure, che si è avvicinato al mondo della pizza a soli quattordici anni.

Quando non sapeva ancora molto della vita, ma era asso lutamente certo di una cosa, non voleva più andare a scuo la, voleva imparare il mestiere del pizzaiolo. Come si suol dire: pizzaioli si nasce!

Giovanni Senese ha aperto la sua pizzeria a Sanremo; dopo tanto peregrinare e tanti sa crifici, è riuscito a realizzare il suo desiderio: proporre in ogni piatto un po’ di sé e delle sue esperienze, miste a pro dotti biologici, rigorosamente a km zero.

Un sentimento troppo grande da spiegare”.

“La perfezione non esiste ma, se ti concentri e tenti di raggiungerla, allora conquisterai comunque un ottimo risultato. Questo per me è la pizza: passione, emozione, sacrificio, concentrazione.
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"Giovanni Senese è prima di tutto un umile pizzaiolo. Ho scoper to la mia passione quando ero molto giovane. A quattordici anni passavo tanto tempo nel ristorante dei miei parenti, da Antonio&Antonio, sul lungomare di Mergellina. Già a quindici anni non volevo più andare a scuola e i miei genitori all’epoca mi hanno detto: “condividiamo le tue scelte, ma a casa senza far niente non ti teniamo”. Andava bene per me, così ho iniziato con la mia prima esperienza, quella dell’accoglien za. Poi ho fatto l’aiuto cameriere. Mi appassionava guardare, mi incuriosiva la lavorazione, volevo andare dall’altra parte del banco. La mattina arrivavo prima per stare con i pizzaioli. Ho fatto anche le consegne a domicilio, così la mattina mi dedicavo anche alla preparazione. A mio pare re bisogna sempre partire dal basso: non lo trovo degradante, anzi. In questo modo acquisisci conoscenza, sicurezza e sei sem pre meno incompleto. Bisogna faticare però. Se dovessi dare un consiglio ai giovani che intendo no intraprendere questo percor so, gli direi sicuramente che non bisogna mai essere costruiti e di non farlo solo per necessità, questo lavoro lo puoi fare solo se lo ami. Bisogna studiare e soprat tutto essere votati al sacrificio. I sacrifici sono necessari, altrimen ti non raggiungi niente."

Aprire una pizzeria tutta tua era il sogno di una vita, non sarà stato facile: quale percorso e quali scelte hai fatto per arriva re dove sei ora?

"Ho aperto la mia prima pizze ria quando ero ancora molto inesperto, però quell’inesperien za e gli errori che ho commesso mi hanno permesso di essere la persona che sono oggi. All’inizio non avevo padronanza sul banco, mi affidavo a dei collaboratori. Quell’esperienza è stata una sorta di test. Ho girato l’Italia, l’Europa, sono stato in Oriente… ho ini ziato con una pizza tradizionale, ma la mia mente cercava altro, qualcosa di più ricercato. Girare all’estero mi è servito tanto. Oggi ho due forni a legna, un reparto “senza glutine” e una piccola postazione esterna dove coltivo le mie erbe aromatiche e dove propongo una degustazione ad un tavolo che sta proprio lì, in mezzo alle erbe.

ITi svelo una chicca: aprirò un laboratorio accanto all’Ariston, dove, parlando di valorizzazio ne del territorio, proporrò un impasto che possa richiamare alcuni dei piatti della tradizione ligure. Il locale, infatti, ha una storia: lì si mangiava la migliore sardenara ligure, un’ottima torta verde, la farinata… io sto cercan do proprio di racchiudere tutto in un unico impasto. I sapori tradizionali della Liguria secondo la mia visione."

Quindi: tradizione, innovazione o entrambe?

"Nasce tutto dalla tradizione. Se non la conosci, allora non puoi conoscere l’innovazione. Secondo me sono due cose che cammina no parallele sullo stesso binario."

Cosa rende unica la tua pizza?

"Ho sempre cercato di portare a tavola la mia filosofia. Cerco in nanzitutto di valorizzare i nostri territori. Tanto il mio luogo di nascita che è Napoli, tanto il mio luogo di adozione che è Sanremo. Soprattutto cerco di esaltare la so stenibilità. È una cosa alla quale tengo tanto, infatti lavoro molto con i vegetali. Mi gratifica. Il 90% dei prodotti che uso sono coltiva ti da me, sono prodotti biologici, a km zero."

Quale ingrediente non può e non deve mai mancare nella tua dispensa?

"Sicuramente ho un debole per i prodotti vegetali. Cambio il mio menù quattro volte l’anno, non uso mai prodotti fuori stagione. Per esempio, da buon napoletano da me trovi i friarielli, ma solo nel periodo invernale. Ci tengo a dare valore alla stagionalità. Da me trovi prodotti italiani e, laddove propongo prodotti esteri, è perché cerco di raccontare anche un po’ di me. Ci sono delle pizze, per esempio, che si chiamano “i miei viaggi”. Sai, cerco di portare quelle esperienze di vita anche a tavola."

Mi appassionava guardare, mi incuriosiva la lavorazione, volevo andare dall’altra parte del banco
GChi è Giovanni Senese?
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“114 pizza e pasta italiana ottobre 2022 La pizza per me è emozione

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Parlami invece del tuo impasto

"È un impasto lievitato 48 ore, con una piccola percentuale di un mio personale “prefermen to”. Cerco di ricreare leggerezza, fragranza e digeribilità. Uso farine grezze, propongo un impasto semi-integrale, molto delicato fatto con farine con un apporto proteico molto basso e, proprio per tentare di portare a tavola un prodotto più naturale possibile, con dei valori nutrizio nali equilibrati, collaboro con nutrizionisti e dietologi.

Ho anche un impasto 100% inte grale, ma non c’è molta differen za con il primo. Cerco di portare a tavola un prodotto che piace in primis a me e di trasmettere questo mio piacere al cliente, un prodotto che faccio io e non che fanno tutti insomma."

C’è Giovanni Senese nel piatto quindi…

"Si. Mi confronto sicuramente con altri colleghi, può essere co struttivo, ma resto sempre fedele a me stesso."

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Come mai la scelta di aprire la tua attività a Sanremo e non nella tua Napoli?

"Sono arrivato a Sanremo per puro caso, dopo un’esperienza fatta in Germania. C’era la pos sibilità di un lavoro, mi ci sono fermato per valutare la situazione ed è stato amore a prima vista. Questa città ha molto in comune con Napoli, a partire dal mare, il clima. E poi il casinò mi ha fatto pensare alla tombola! Inoltre, desideravo far conoscere il più possibile l’arte del pizzaiolo napoletano. Ho trovato tanta carenza e tanta confusione in merito, soprattutto sulla vera pizza napoletana. Molti discrimi nano Napoli ma tutti sono bravi a scrivere fuori al locale “vera pizza napoletana”. Anche fuori a dei lo cali nei quali poi entri e di Napoli non c’è proprio niente. Specifico che anche io oggi non preparo la pizza napoletana originale stg, faccio una pizza contemporanea, però ho la conoscenza e le basi giuste, perché sono nato con quelle tradizioni e ne conosco le vere caratteristiche."

Come è stata accolta e come lo è ancora oggi, la tua pizza al nord?

"Ho iniziato la mia esperienza a Sanremo in un locale dove sono stato tre anni: mi sono accorto subito che le persone apprezzava no il mio modo di interpretare la pizza e quindi mi sono promesso di mettermi in gioco e sprigiona re tutte le mie idee.

In ogni posto, comunque, ci sono tanti campani, tanti napoletani…

I preconcetti ci sono ovunque e nei confronti di chiunque, ma è sbagliato.

Il Nord è il Nord e il Sud è Sud, però le persone, se ti sai compor tare, ti apprezzano in ogni luogo."

Che cos’è per te la pizza e qual è quella che ti rappresenta di più?

"La pizza per me è emozione, è una cosa più grande di me. Il nostro è un lavoro artigianale, quindi la giornata “no” può capitare a chiunque, io però ci metto sempre tutto me stesso.

Non faccio il mio lavoro per una questione economica, non mi accontento, non mi fermo mai.

Sono a lavoro 24 ore su 24, sono il primo ad entrare e l’ultimo ad uscire, sempre. Chiudo solo venti giorni all’anno che dedico ai miei figli e a mia moglie, che ringrazio perché ogni giorno mi appoggia ed è al mio fianco. La pizza per me è tutto. Quella che mi rappresen ta di più è la mia “orto sinergi co”, a base di vegetali, ognuno lavorato con tecniche e cotture diverse. Ogni stagione cambia. Per crearla, sono stato ispirato da una signora vegana che una volta mi ha detto: “spero che non mi farai mangiare anche tu la solita vegetariana”.

Un’altra alla quale tengo par ticolarmente è “il mio ricordo d’infanzia”, dedicata ai miei nonni materni e paterni. Ispirata al sapore dei ricordi.

L’ho assemblata con l’aiuto dello chef Vincenzo Guarino. Abbiamo creato un’esplosione di sapori: baccalà, crema di papaccelle ros se e gialle, maionese di olive verdi e pudding di mela annurca. La pizza per me è cucina."

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Napoli in Brianza.

Corrado Scaglione

dialoga con Antonio Puzzi

Dice di essersi innamorato del lavoro, guardando la mamma all’opera in trattoria. L’emulazione e la voglia di essere utile in ambito familiare erano il motore, perché a richiederlo erano le forze economi che della casa, non troppo floride.

«Ognuno di noi tre fratelli –afferma Corrado Scaglione – alla domenica faceva qualcosa per sistemare il locale e poi si andava tutti a messa! Non avevamo un giorno di riposo se non il martedì, nel pomeriggio; era solo in quel momento che, in estate, per premiarci, papà ci portava alla piscina comunale».

Crescendo, ciascuno ha preso strade diverse e, dopo le scuole medie, Corrado avrebbe voluto frequentare l’istituto alberghiero ma era a Milano e dunque troppo lontano dalla Brianza, in cui la famiglia risiedeva, così fu “costretto” a frequentare l’ITIS di Carate Brianza, prendendo la licenza triennale «per il rotto della cuffia».

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CInsomma, non eri una cima a scuola. Poi cos’è successo?

"Intrapreso il mondo del lavoro, non mi sono più fermato! Lavoro da quarant’anni, ho iniziato in ristoranti e alberghi di gran fama, tra cui il Grand Hotel Principe Savoia di Milano, La regina a Venezia, l’Enoteca Pinchiorri di Fi renze, il Wesbury Hotel a Dublino. Un giorno, però, di ritorno a casa, papà mi disse: “o lo porti avanti tu il locale o lo vendo”. Insomma, mi ricattò. Credimi, non c'è cosa peggiore di aver lavorato per anni a quei livelli e poi trovarsi improvvisamente catapultato in una trattoria, con mio padre. Avrei voluto morire! Dopo un anno di transazione decisi con mio fratello di prendere la situa zione in mano: dovevo imparare a fare l’imprenditore, forse la cosa più difficile che ho fatto e conti nuo a fare. Nel 1994 apro il Lipen: una storia lunghissima fatta di tanti dolori e poi molte, moltissi me gioie, soprattutto per merito della pizza. All’inizio, da cuoco, la sottovalutavo e snobbavo ma oggi rappresenta la mia vita e la mia felicità."

E oggi allora cos’è la pizza per te?

"Solo a pronunciare la parola “pizza” provo tanta felicità. È stato il punto della mia riparten za, il mio completamento come appassionato del mondo del cibo. Ogni tanto faccio fatica nel sen tire i miei amici chef stellati che parlano di ingredienti fantasma gorici e poi non sanno come fare una pizza come si deve: si sono resi fighi con termini impronun ciabili e non sanno riconoscere la differenza tra una pizza napoleta na e una romana; eppure questa è cultura italiana, è il nostro ter ritorio, la nostra sostenibilità. La pizza per me è questo: cultura."

Solo a pronunciare la parola “pizza” provo tanta felicità. È stato il punto della mia ripartenza
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Tu hai vinto la sfida di portare la “pizza napoletana” in Brianza: qual è il segreto del successo?

"Wow! Direttore questo è un colpo basso. Tutto è avvenuto nell’estate 2001: fu in quel mo mento che cominciai a fare qual che pizza in maniera autonoma e non mi convinceva per nulla. Internet non era come adesso, c'era davvero poco, ma quel poco mi è bastato. Trovai un articolo che era firmato da un pizzaiolo al tempo per me sconosciuto, oggi un grande amico: tal Enzo, Enzo Coccia, che parlava della tradizione napoletana e della sua Notizia. Lasciai tutto in sospeso e cominciai a cercare un aiuto che potesse darmi uno spunto tangi bile: non potevo andare a Napoli, non avevo soldi, avevo due figli la cui somma degli anni era 3 ed ero oltretutto in procinto di una separazione societaria con mio fratello; insomma, il classico ba gno di sangue.

Nella mia ricerca “low cost”, tro vai un “Ciro" sulla mia strada, un pizzaiolo napoletano che viveva qui in Brianza da un po’ di anni e che era senza soldi come me ma, alla mia proposta, fidandosi, mi disse: “Si, ti aiuto”. Va detto però che un attimo prima mi aveva dato dello scemo perché gli avevo chiesto: “Facciamo la vera pizza napoletana in Brian za?”. Ciro aveva ragione, anche quando mi disse: “Ricordati che non deve mai mancare il basilico su una vera pizza napoletana”. Da quel momento sono passati ormai più di vent’anni e al Lipen facciamo un grande lavoro tutto l’anno e abbiamo investito tem po a spiegare il perché i nostri prodotti sono così. Anche se ogni tanto ancora oggi una richiesta di “ben cotto” me la rifilano.

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La mia risposta è sempre la stessa: “Al sangue non riesco a farla”. Ad ogni modo, sono onorato in cuor mio di aver portato le mie pizze qui in Brianza: Enzo Coccia, Gino Sorbillo, Attilio Bachetti, Gugliel mo Vuolo dicono da sempre che sono “l’undicesimo in campo”."

Da quel momento sono passati ormai più di vent’anni e al Lipen facciamo un grande lavoro tutto l’anno

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Lido Vannucchi
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LINEA EVOLUZIONE Ti svegli la mattina e impugni la tua PASSIONE

DNon di solo pizza: la tua passio ne per i lievitati ti ha portato a sfornare pane e panettoni e ad aprire un forno. Ci racconti il perché di questa scelta?

"Sai, quando cominci a imparare, la sete della curiosità aumenta e i confronti con altri colleghi ti stimolano ancora di più. Nel percorso, i mulini diventano per un pizzaiolo dei punti cardine, perché ti insegnano a conoscere sempre di più la materia prima e soprattutto come poterla plasma re. Ed è questo che fa la differenza nella crescita. Ecco, cosi ho comin ciato e oggi, durante l’anno, faccio panettoni. Poi, il Covid mi ha dato una opportunità per creare qual cosa a cui non avevo mai pensato: infatti, con il locale fermo, potevo pensare ad altro ed è cosi che è nata Cerere. Il nome è quello della dea delle messi e dei raccolti e da oggi è anche quello del mio locale, a cui ho voluto dare una veste chic, rendendolo “l’atelier del pane”. Il pubblico ha capito che non era un gioco perché il pane è una cosa seria e così sono anche arrivati i riconoscimenti, dopo solo un anno. Ora facciamo il ca lendario del pane, sia per i classici che per quelli gourmet che hanno cadenza stagionale e festiva e pre pariamo pane per ogni evenienza: dal cestino della domenica alla bomboniera per le cerimonie."

Il Nord è l’area del rinnova mento della pizza ma tu hai deciso di preservare la tradi zione: come possono convivere tradizione e innovazione?

"Se ti riferisci ai grandi innova tori, come Bosco e Padoan, non posso che dirgli “grazie”! Senza di loro, probabilmente quei riflet tori non sarebbero arrivati anche a noi, in un’area geografica con grande potenziale ma mai troppo presente nella comunicazione di settore. Persone come loro ci hanno fatto capire che c’era ancora tanto da fare e che poteva mo farlo anche noi, sempre con metodo, tecnica e cultura, con la ricettazione (senza più andare ad occhio), con una corretta comuni cazione: hanno aperto gli occhi a tanti e tanti giovani hanno deciso di emularli. Sono stati innovatori in tutto… ma anche la tradizione all’inizio è stata innovazione."

Chiudiamo con una domanda molto personale che a un pizzaiolo non dovrebbe mai essere fatta: qual è la pizza che più ti rappresenta?

"Sono tutte figlie mie e, al pari di un padre, non posso scegliere un

quando cominci a imparare, la sete della curiosità aumenta e i confronti con altri colleghi ti stimolano ancora di più.
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La Smorfia di Nonantola

Rosa Gatti

Rosa Gatti ha sognato di aprire una pizzeria tutta sua e, nonostante le avversità, contro ogni pronostico, lo ha fatto. Nel 2003 a Nonantola, nel Modenese, ha dato vita a La Smorfia. Originaria di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, Rosa è figlia di un pizzaiolo ed è un’imprenditrice e una pizzaiola di successo.

Lei prepara da sempre i suoi im pasti da sé e gestisce la pizzeria con l’aiuto della sua famiglia: un connubio perfetto di forza, amore e bontà.

Abbiamo intervistato Rosa per conoscerla meglio e, con lei, sua figlia Giulia.

di Noemi Caracciolo
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“Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di fare, incominciala”. Goethe

RRaccontami chi è Rosa e da dove nasce la sua passione per la pizza e la ristorazione

"Io sono Nata a Somma Vesuviana, ma per esigenze lavorative i miei genitori nel 1969 si sono trasferiti a Modena. Entrambi lavoravano in una fabbrica ma papà aveva il pallino di fare qualcosa di suo e così imparò a fare la pizza, pro prio a Nonantola, il paese dove attualmente ho la mia pizzeria. Nel 1973 mio padre ha aperto la sua prima pizzeria: un bel tra guardo. Fin da subito, la sua pizza si distingueva da tutte le altre: lui amava tantissimo preparare l’impasto. Io ero molto piccola, avevo quasi dieci anni all’epoca e pensavo di voler fare altro. Era un lavoro così “sacrificato” quello della pizzeria ma, nonostante tutto, dentro di me cresceva una forte passione per la pizza."

Quando e perché hai pensato di aprire La Smorfia?

"Stavo attraversando un momen to particolare, dovevo fare, do vevo realizzare qualcosa di mio. Mamma e papà erano contrari… ma io sono testarda.

Avevo già trovato una location, che però non piaceva a nessuno: per loro aveva mille difetti. Alla fine, i miei si sono arresi e con il loro aiuto ho aperto il locale. Era il 2003. Quell’anno il paese di Nonantola era gemellato con San Giorgio a Cremano. Forse non tutti sanno che la prima ludoteca a Napoli era stata aperta proprio dai Nonantolani a San Giorgio a Cremano. Volendo trovare un nome particolare per la mia pizzeria, ho deciso di ispirarmi a Massimo Troisi, che era proprio di San Giorgio a Cremano e così ho scelto La Smorfia, come il trio da lui fondato con Enzo Decaro e Lello Arena."

oNel mondo del lavoro si fa fatica ad accettare che una donna possa essere imprenditrice e indipendente? È un mondo ancora troppo declinato al maschile?

"I preconcetti secondo me pos sono cadere in ogni momento. Già nel 1973, quindi mentalmente ancora più indietro, mamma era in cucina con papà e ha imparato a fare le pizze anche lei. Per quan to mi riguarda, ripudio l’idea che la donna non possa fare questo lavoro: io tiro su i sacchi di farina come farebbe un uomo, così come lo fa anche mia figlia Giulia. Non bisogna mai pensare: “è un lavoro maschile, non lo posso fare”, bisogna provare, come per qualsiasi lavoro. Abbiamo brac cia, gambe, mani, esattamente come gli uomini."

Ecco, so che in passato preparavi tu stessa l’impasto per le pizze: oggi è ancora così?

"Si, lo preparo solo ed esclusiva mente io. Ho fatto vedere a mia figlia come si fa, perché sarà lei a prendere le redini un giorno ma, per il momento, faccio da me. Ho un laboratorio personale, ogni tanto mi ci chiudo e non deve entrarci nessuno. Poi, nel mio angolo sento sempre vicini mam ma e papà, tutti i giorni. Voglio e desidero portare avanti la nostra tradizione. Mi confronto sempre con Giulia e il suo compagno: loro sono chi mici e mi aiutano nello sperimen tare, nel fare la cosa giusta."

A proposito di questo, hai dato un tocco personale all’impasto segreto di famiglia?

"Si. Papà aveva il suo, sono partita da lì, nel senso che la base è sem pre quella, ma negli anni le cose cambiano. Ho fatto degli espe rimenti e ci ho messo qualcosa di personale, adesso lo sento proprio mio."

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“ Era un lavoro così “sacrificato” quello della pizzeria ma, nonostante tutto, dentro di me cresceva una forte passione per la pizza

Definisci la tua pizza in tre parole

"Tradizionale, innovativa - secon do me la pizza è tradizione, ma c’è e dev’esserci sempre un tocco di innovazione… e leggera."

Giulia, visto che sei qui mi rivolgo direttamente a te. La tua passione è un’eredità tramandatati da tua madre o è frutto di una passione innata?

"Sono nata e cresciuta in que sto mondo, nella pizzeria. Mi piaceva cucinare, dopotutto sono cresciuta con una nonna napoletana e una modenese che mi hanno insegnato e traman dato le tradizioni. Però vedevo la mia famiglia sempre “chiusa” lì dentro, mi spaventava e sentivo di voler fare altro.

Ho studiato biologia e, dopo un ti rocinio di sei mesi, durante i quali sono stata chiusa da sola in un laboratorio, ho capito che quello che mi faceva stare bene in realtà era stare in pizzeria, ero felice li. Il mio compagno mi ha sempre appoggiata e capita; non era facile, avevo vent’anni e stavo sempre al lavoro. Oggi in realtà siamo in quattro, La mamma, io, mio padre che è il factotum e il mio compa gno che è il sommelier."

Un servizio completo quindi…

Rosa – "Si."

Giulia – "Il nostro è un menù particolare, che non trovi nelle pizzerie del Nord. Qui la pizzeria è ancora vista come un posto dove andare in compagnia e spendere poco. Non è vista come un ristorante."

Non è ancora “cultura”…

Rosa - "Esatto. Noi stiamo cer cando di fare l’esatto opposto di quello che può essere considerata la classica pizzeria del Nord. Por tiamo anche un piccolo cadeau a fine pasto, una cosa che non si vede nelle pizzerie. Cerchiamo di distinguerci e la ricerca del prodotto è alla base di tutto."

Rosa, come è stata accettata la pizza napoletana al Nord?

"La gente apprezza tantissimo, non abbiamo mai avuto problemi di preconcetti. Una delle soddisfa zioni più grandi è quando ci capi ta di sentire: “nemmeno a Napoli ho mangiato una pizza così”."

sA tuo parere, che qualità può portare una donna in pizzeria?

"La donna secondo me ha una vista più lunga. Noi donne ten diamo ad essere molto “mamme chiocce”, quindi risulta più facile anche parlare con i ragazzi del team. Secondo me, rendiamo pos sibile l’instaurarsi di un rapporto familiare e di conseguenza di un equilibrio che si ripercuote posi tivamente sul servizio. La donna mette amore incondizionato in ciò che fa per gli altri e in fondo è questa l’arte della cucina."

La donna mette amore incondizionato in ciò che fa per gli altri e in fondo è questa l’arte della cucina.
124 pizza e pasta italiana ottobre 2022
A

La Torrente

Giuseppe Torrente è marketing manager dell’omonima azienda di Sant’Antonio Abate, dal 1965 specialista del pomodoro di qualità che nel 2022 ha vissuto la sua prima parteci pazione come partner del Campionato Mondiale della Pizza.

A distanza di qualche mese quali sono le sue riflessioni dopo la ripartenza del settore in primavera segnata dal Campionato Mondia le della Pizza?

“Dopo la lunga pausa della pandemia sembrava, per chi era riuscito a superare la bufera, che tutto stesse ripartendo alla grande e con presupposti nel medio/lun go termine di recuperare gran parte delle vendite perse, ma come se tutto quello che l’intero settore aveva subito non fosse bastato è arrivata la guerra tra l’Ucraina e Russia, una situazione che ha portato a molti squilibri mondiali e di conseguenza una grande prospettiva di crisi economica che si ripercuote sulle aziende e inevita bilmente sui consumatori.”

Che sensazioni ha avuto ed ha sullo “stato di salute” del comparto?

“Sicuramente se non fosse stato un settore (fast food, ristoranti con servizio completo e pizza da asporto) che godeva ottima salute con aumenti del 6.5% annui dal 2016 al 2019, in una situazione come quella appena superata si sarebbero regi strati perdite ancora maggiori. Ma il vero forte segnale è stato dal 2020 al 2021 dove questo settore ha mostrato tutta la sua floridità registrando un incremento del 7.8% in un mercato che aveva raggiunto il valore globale di 11415 miliardi di dollari.”

Un commento sui grandi protagonisti dell’e vento ed in generale del settore, i pizzaioli. “Comparto sicuramente sempre più specializzato e preparato, a volte con esigenze ben distinte le une dalle altre, e questo fa sì che le aziende non si “annoi no mai a fare sempre le stesse cose”… anzi in molti casi i professionisti ci mettono a dura prova e grazie a questo spesso si arriva a grandi risultati”.

Una riflessione per il futuro ed una direzio ne su dove secondo lei dovrebbe andare il comparto “Più che sensazioni mi limito a dare un’occhiata ai numeri e a riportare una mia lettura. Quello che è ancora più forte è l’incremento delle vendite delle pizze surgelate e di come i millennials accolgono questo trend, dopo le verdure ed il pesce frozen infatti tra gli alimenti preferiti da questa generazione troviamo la pizza surgelata.”

Quali le sfide che attendono il settore? “A mio avviso le sfide sono sempre lancia te dai consumatori che attualmente sono sicuramente molto attenti sulla qualità degli ingredienti, ma anche alla sostenibi lità ambientale e al rispetto degli animali, se allarghiamo lo sguardo al segmento salumi e insaccati. Altro fattore decisivo a mio avviso - visto che parliamo di un popolar food - è la tempistica per il delive ry e il suo stato all’atto della consegna, quindi oltre a porre attenzione su tutti gli aspetti prima citati non sottovaluterei il tema del packaging e della modalità di trasporto e consegna.”

In foto Giuseppe Torrente
www.latorrente.it LA TORRENTE S.R.L. Via Paludicella, 23 - 80057 S. Antonio Abate (NA) - Italia tel. +39 081 879 6236
I PARTNER DEL CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA 126 pizza e pasta italiana ottobre 2022

CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA

Greci

GRECI INDUSTRIA ALIMENTARE S.P.A. via Traversante, 58 - 43122 Ravadese (PR) Italy

L'azienda di Ravadese ha accom pagnato con la sua presenza il Campionato Mondiale della Pizza quasi fin dagli inizi. Incontriamo Marina Candellari, Responsabile Inno vation and External Relations, per un confronto post manifestazione ed in vista dell’autunno, che precederà il 30° anno di manifestazione.

A distanza di qualche mese quali sono le sue riflessioni dopo la ripartenza del settore in primavera segnata dal Campionato Mondia le della Pizza?

“Come tutti sappiamo, in primavera, nel pieno momento della ripartenza della ri storazione, è entrato in gioco anche il tema «guerra», condizionando ulteriormente le dinamiche dei consumi ma, soprattutto, quelle degli approvvigionamenti, lascian do spazio anche ad interventi speculativi. L’escalation dei costi, dagli imballaggi alle materie prime, ha investito le imprese di ogni genere e dimensione ed in particolare i costi energetici (aumentati di 10 volte) hanno costretto le aziende produttrici ad intervenire sui prezzi. Basti pensare al pomodoro che per la nostra azienda e per il comparto pizzeria riveste un ruolo centrale: si è appena conclusa la campagna di produzione 2022 ed è facile immaginare l’impatto dei costi su di una materia prima povera come questa.

Da parte nostra abbiamo deciso di assor bire quanto più possibile gli aumenti, consapevoli della situazione che si trova ad affrontare quotidianamente la clientela e puntiamo decisamente sulla sostenibilità ambientale e sulla transizione ecologica. Abbiamo sviluppato un programma trien nale, già adottato quest’anno, che prevede l’impiego di nuove tecnologie produttive e lo sviluppo di sistemi studiati interna mente per garantire una qualità sempre più alta e distintiva della nostra polpa di pomodoro.”

Che sensazioni ha avuto ed ha sullo “stato di salute” del comparto? “Nonostante tutte le complessità affronta te, il comparto ristorazione, in particolare il mondo della pizzeria, ha dimostrato resilienza e dinamicità.”

Un commento sui grandi protagonisti dell’e vento ed in generale del settore, i pizzaioli. “Il Campionato Mondiale della Pizza, dopo due anni di inattività, è stata una vera esplosione di forza ed entusiasmo in cui la presenza dei giovani ha sicuramente trion fato. Abbiamo incontrato nel nostro stand tanti pizzaioli, italiani ed esteri, mossi da curiosità, voglia di sperimentare nuove materie prime, di approfondire conoscen ze avvicinandosi maggiormente anche al mondo produttivo ed a quello agricolo.”

Dove secondo lei dovrebbe andare il comparto?

“La complessità di questa epoca e la necessità di flessibilità per affrontare i repentini cambiamenti richiedono molta attenzione e competenza in diversi campi.

Penso che le parole chiave siano «sape re, saper fare e saper comunicare»: le competenze devono essere approfondite e rinnovate perciò la formazione rimane un tema strategico su cui investire per sè stessi e per coloro su cui facciamo affidamento. Occorre sapere individuare bene i costi improduttivi e fare il calcolo del food cost, concentrandoci su cosa fa veramente la differenza del proprio locale e dei propri piatti. Il menù, che è un im portante veicolo di comunicazione, deve essere semplificato e snellito per favorire la rotazione degli ingredienti e focalizza to su proposte di qualità e di tracciabilità certa e trasparente”.

Quali le sfide che attendono il settore? “La pizzeria rimane il luogo di accoglienza per eccellenza di tutta la famiglia e del mondo giovane, pertanto deve prepararsi al ricambio generazionale dei consumato ri utilizzando anche gli strumenti digitali per sfornare, insieme a gustose pizze della tradizione o innovative, dei contenuti in grado di creare curiosità, cultura gastrono mica e memoria del cibo, mantenendone saldi i valori nel tempo.”

Al centro Marina Candellari
I PARTNER DEL
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www.greci.com
UN LIBRO AL MESE 129 La Autore: Simone Padoan Prezzo di copertina: € 60,00 Pizza Contemporanea

ILviaggio nella pizza contempo ranea compiuto in questo numero non poteva che concludersi con un libro del suo più celebre protagonista. Si mone Padoan ha infatti dato alle stampe nel 2018, per i tipi di Italian Gourmet, un li bro dove si raccontano la filo sofia, la visione, la tecnica che c’è dietro a lieviti e impasti, corredato di 60 ricette firmate dal maestro pizzaiolo veneto. Sin dalle prime pagine, si per cepisce che il libro che Padoan ha dedicato alla pizza con temporanea è unico nel suo genere, perché in esso conflui scono gli innovativi metodi di produzione e le straordinarie ricette che hanno reso celebre nel mondo lui e i suoi locali. Sono ormai vent’anni che Simone ha deciso di abbando nare il per cor so

della pizza tradizionale per creare un prodotto innovativo che si rifà molto alle abilità tecniche dell’arte della panificazione e, nello stesso tempo, strizza l’occhio all’alta cucina.

Simone Padoan è considerato il primo chef-pizzaiolo, una visione nuova che arricchisce la tecnica di cucina attraverso il linguaggio della pizza: sua è la “pizza degustazione”, per lui sono nati termini come “pizza gourmet”, è stato lui a firmare il Manifesto della Piz za italiana. Con la sua costante ricerca e attenzione al mondo delle materie prime, Padoan contribuisce alla salvaguardia del gusto ponendo nel con tempo grande attenzione agli aspetti salutari.

Chi ha avuto la fortuna di pro varla sa che la pizza di Simone Padoan è leggera e fragrante e non pochi l’hanno descritta come “una tela da dipingere”. Al centro del suo lavoro, c’è il lievito naturale ma in ogni passaggio è possibile cogliere un nuovo concetto di pizza e di pizzeria: un prodotto da ‘condivisione’, servito su un piatto diviso in 8 spicchi all’interno di un locale studiato e costruito come uno dei migliori ristoranti d’Italia.

“La pizza contemporanea” raccoglie tutta l’esperienza di Simone Padoan in un testo completo che spiega come mettere in pratica il suo me todo di produzione e ricreare i suoi impasti, ivi inclusa la creazione e la gestione della pasta madre e di una serie di altri agenti lievitanti innova tivi a base di frutta e di birra. Un capitolo fondamentale di approfondimento tecnico scientifico si focalizza su come trattare le farine e su cosa accade all’interno di un im pasto durante la lievitazione e la cottura. Le ricette pro poste, tra cui non mancano ovviamente quelle dolci, sono aperte da un paragrafo in cui l’autore spiega come acquisire le competenze per la crea zione di una ricetta originale e bilanciata, partendo dalle materie prime. Il volume si chiude con un capitolo sulla gestione moderna della pizzeria e una rifles sione sul marketing, analizzando il servizio, la creazione di una carta, il rapporto tra costi e ricavi e la comunicazione. Per questo motivo, il libro rivela la sua “destinazione d’uso”, ovvero un pubblico specializ zato e professionale che vede nella pizza non solo la propria passione ma anche il proprio business.

130 pizza e pasta italiana ottobre 2022 UN LIBRO AL MESE
60 ricette firmate dal maestro pizzaiolo veneto
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