Pizza e Pasta Italiana - Marzo 2022

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Saremo presenti presso lo stand di Starmix

PAD B7D7-006 12-16 March 2022

A new group is born, and now boarding


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pizza e pasta italiana marzo

2022

AZIENDE Albinea Canali

p. 77

Cameo

p. 45

Cerutti Inox

p. 97

Cibus - Fiere Parma

p. 130

Cuppone

p. 125

Di Marco Corrado Srl

p. 49

Dr Zanolli

p. 17

Dr Schaer

p. 101

Effedue

p. 132

Farmfrites

p. 73

Gam International

p. 39

Gi Metal

p. 9

Greci

p. 15

Gruppo Cellino

p. 89

Industria Alimentare Tanagrina

p. 51

Internorga

p. 68

Italforni Kuma Forni Lactalis Galbani

p. 27, 121 p. 33 p. 2

Latteria Montanari

p. 117

La Torrente

p. 107

Lilly Codroipo

p. 85

Macinazione Lendinara

p. 67

Mam Eredi Malaguti

p. 93

Mecnosud

p. 81

Millberg

p. 115

Molecola

p. 37

Molini Valente

p. 131

Molino Agugiaro e Figna

p. 111

Molino Cosma

p. 59

Molino Grassi

p. 43

Molino Denti

p. 31

Molini Lario

p. 11

Molino Naldoni

p. 55 p. 7

Sacar Forni

p. 99

Sanfelici

p. 23

Sitta

p. 63

Sunmix

p. 21

Velma

p. 83

Vitella

p. 3

Vito Italia Srl

p. 13

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Italiani. Limiti e possibilità delle nuove tendenze gastronomiche tricolori. a cura della redazione

editoriale

34

di Antonio Puzzi

8-10

prima pagina a cura della redazione

12-14-16

pizza news

speciale filiera, blockchain, origine dei prodotti

a cura della redazione

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ristorazione domani

Arriva la nouvelle cuisine di Giampiero Rorato

24

p. 105

Molino Magri Molino Pasini

— Sommario —

I ristoratori, “alfieri del territorio”. Il modello Licet raccontato da Enza Laretto di Antonio Puzzi

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speciale filiera, blockchain, origine dei prodotti

Homo dieteticus. Le tendenze del cibo dopo la pandemia. Antonio Puzzi dialoga con Marino Niola

speciale filiera, blockchain, origine dei prodotti

La rivoluzione della blockchain nella ristorazione di Domenico Maria Jacobone e Monica Pisciella.


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sommario

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Oltre le calorie: i valori nutrizionali nelle etichette dei prodotti.

La parola ai pizzaioli a cura della redazione

Nutriscore o NutrInform?

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di Marisa Cammarano

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Grano italiano: vuol dire sempre “qualità”?

Una bakery nella terra della pizza napoletana contemporanea. La sfida di Marco Coppola a cura della redazione

Le certificazioni e l’export

64

La pizza Canotto© di Carlo Sammarco di C.O.

Ristorazione “senza glutine” e certificazione

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di Alfonso Del Forno

non di solo pizza

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Servizio pubblico. L’etichetta narrante dei Presidi Slow Food a cura di Slow Food Italia

non di solo pizza

La Chitarra, Napoli di A. P.

di Caterina Vianello

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108

Torna il Campionato Mondiale della Pizza di David Mandolin

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La Bresaola della Valtellina Igp ed il Consorzio di Tutela

Il cubebe dell’isola di Giava

94

118

di Giampiero Rorato

la birra

di D.M.

Provoloni a Marchio Dop: Le due eccellenze italiane, espressione di Nord e Sud

le spezie

di C.O.

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a cura della redazione

60

Le denominazioni

90

a cura della redazione

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di Marisa Cammarano

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La Comunità Europea e l'alcool

122

Il cuore di Napoli a Bolzano. Vincenzo “Zio Alfonso” Canzanella si racconta

di Giampiero Rorato

127

a cura della redazione

un libro al mese

128

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"Una Verace... senza glutine. Il gusto del gluten free a Bologna" di Alfonso Del Forno

Scuola Italiana Pizzaioli Alla ricerca della pizza perfetta a cura della redazione

le aziende informano Molini Valente

p. 69

Sunmix

p. 57


pizza e pasta italiana marzo

2022

Editoriale Antonio Puzzi

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Talebani si dicono preoccupati per le vittime civili e invitano tutte le parti a “desistere dall'assumere posizioni che potrebbero aumentare la violenza”, il presidente turco Erdogan si candida come mediatore tra Russia e Ucraina mentre l’Unione Europea che all’art. 3 della sua Costituzione varata il 20 giugno 2003 proclama che “si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli” annuncia di inviare armi ai militari e ai civili in Ucraina. Basterebbe questo per comprendere la follia della guerra, uno “strumento” (così lo definisce la Costituzione della Repubblica Italiana) ripudiato dalla nostra nazione sia come “offesa alla libertà degli altri popoli” sia “come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. La guerra cambia non solo gli assetti geopolitici del pianeta ma l’animo stesso degli uomini perché in guerra tutti hanno paura. Anche chi la provoca. E questo può portare a comportamenti irrazionali che rendono sempre più concreta la minacciosa profezia del compianto fondatore di Emergency Gino Strada: “Se la guerra non viene buttata fuori dalla storia dagli uomini, sarà la guerra a buttare fuori gli uomini dalla storia”. Dobbiamo rendercene conto, immediatamente. Perché quando questo giornale sarà stampato e nelle vostre mani potrebbe già essere troppo tardi. Mentre stiamo chiudendo in redazione questo numero, sono infatti in corso i negoziati in Bielorussia, all’indomani dell’annuncio di Putin di innalzare allo stato di massima allerta la difesa nucleare. Nel contempo, la nostra tv di stato continua a trasmettere immagini di politici italiani ed europei e di giornalisti che inneggiano alla resistenza armata ucraina e che sembrano essere stati catapultati in una delle scene iniziali di Via col vento quando, alla colazione presso le Dodici Querce di Ashley Wilkes, tutti volevano la guerra di secessione. È interessante ricordare che il romanzo di Margaret Mitchell da cui è tratto il film è del 1936 mentre la pellicola esce nelle sale nel 1939, proprio all’alba del secondo conflitto mondiale. Ma questo racconto, che viene costruito attraverso il crollo sociale di coloro che saranno i vinti, ci mostra come la guerra trasformi tutti e come nessuno ne esca vincitore. E, di fronte alla minaccia di un conflitto nucleare, davvero non c’è possibilità di salvezza per alcuno. Uno studio dello Stevens Institute of Technology di qualche anno fa stimava che se una bomba da 150 chilotoni esplodesse a New York, tale potenza sarebbe dieci volte superiore rispetto a quella della bomba sganciata su Hiroshima, al punto che una persona a Stamford, nel Connecticut, a 57 km potrebbe essere esposta a 116 rad di radiazioni nel corso di 5 ore, tanto da indurre malattie che possano indebolire il sistema immunitario. Ci siamo interrogati a lungo se una rivista che parla di pizza e di agroalimentare dovesse aprire con un editoriale sulla guerra ma la risposta è stata: assolutamente sì. Dobbiamo aprire gli occhi, alzare la voce della Pace di fronte a queste urla sconsiderate di guerra, dobbiamo renderci conto che da una guerra nessuno può sentirsi escluso. Dobbiamo avere la coscienza che se non si parte da qui, corriamo il serio rischio di non avere più nulla di cui parlare. Perché al centro di tutto ci devono essere la Terra e l’umanità. Sempre. Un saluto di pace, nio

COLOPHON

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PIZZA E PASTA ITALIANA Mensile di Pizza, Pasta, Enogastronomia e Cultura Edito da PIZZA NEW S.p.A. Autorizzazione Tribunale di Venezia n.1019 del 02/04/1990 Anno XXXIII - n.3 marzo 2022 - Repertorio ROC n. 5768 DIRETTORE EDITORIALE Massimo Puggina

DIRETTORE ONORARIO Giampiero Rorato

DIRETTORE RESPONSABILE Antonio Puzzi RESPONSABILE DI REDAZIONE E DI PROGETTO David Mandolin SEGRETERIA DI REDAZIONE Caterina Orlandi PUBBLICITÀ David Mandolin, Caterina Orlandi REDAZIONE Via Sansonessa, 49 - 30021 CAORLE (VE) Tel. 0421/ 212348 - Fax 0421/81007 - E-mail: redazione@pizzaepastaitaliana.it www.pizzaepastaitaliana.it

PROGETTO GRAFICO Manuel Rigo, Paola Dus, Elena Cazzuffi — Mediagraf lab DIGITAL PUBLISHING Maura Trolese — Mediagraf lab IN COPERTINA illustrazione di Valentina Bongiovanni STAMPA MEDIAGRAF S.p.A. Noventa Padovana (Pd) COMITATO TECNICO E REDAZIONALE Marisa Cammarano, David Mandolin, Gianandrea Rorato, Caterina Vianello, Caterina Orlandi, Alfonso Del Forno, Luciano Cescon. AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI Pete La Chapelle (N.A.P.O. - Pizza Today, U.S.A.), P.M.Q. Steve Green (U.S.A.), P.M.Q. Russia, P.M.Q. Cina.

PER INFORMAZIONI, SOTTOSCRIVERE UN ABBONAMENTO O RICHIEDERE UN ARRETRATO: TELEFONARE AL NUMERO 0421 212348 dal lun. al ven.: 10:00 – 12:00 / 15:00 – 17:00 INVIARE UN FAX A 0421 83178 Servizio abbonamenti Pizza e Pasta Italiana INVIARE UNA MAIL A: abbonamenti@pizzaepastaitaliana.it L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno e dà diritto a ricevere 11 numeri della rivista. L’abbonamento andrà in corso dal primo numero raggiungibile.

PER LA PUBBLICITÀ SULLE RIVISTE: ITALIA Pizza e Pasta Italiana; U.S.A. Pizza Today, P.M.Q. TEL 0421.83148 — FAX 0421.81007


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pizza e pasta italiana marzo

2022

PRIMA PAGINA a cura della redazione

Pivetti Lab: al via i corsi professionali 2022 per pastai, pizzaioli, pasticceri e panettieri

A

l via la seconda edizione dei corsi Pivetti Lab dedicati ai professionisti dell’arte bianca. Pasta fresca, Pizza, Pasticceria e Panificazione sono i quattro percorsi formativi, che si rivolgono non solo a chi è già esperto e vuole perfezionare le proprie conoscenze, ma anche e soprattutto a chi vuole avviar-

Cuochi e Ristoratori: La “Brigata” Buona del cibo italiano Al via il Protocollo d’Intesa tra FIC e FIPE-Confcommercio per rafforzare le competenze degli operatori e rilanciare azioni e politiche per il settore.

si alla professione sviluppando un’idea imprenditoriale. Pivetti Lab è la piattaforma formativa nata dalla volontà di Molini Pivetti di mettere a disposizione dei professionisti, attuali e futuri, la sua lunga esperienza nelle farine, combinando tradizione, artigianalità e digitalizzazione. I corsi sono fruibili online e in presenza e hanno l’obiettivo di insegnare le competenze e i "trucchi" del nobile ingrediente a pastai, pizzaioli, panificatori e pasticceri con uno sguardo alle innovazioni in atto e alle nuove figure di esperti del food che si vanno sviluppando. “Molini Pivetti si occupa di farina dal 1875.” - afferma Gianluca Pivetti, titolare di Molini Pivetti - “Viviamo responsabilmente il nostro ruolo nel fornire prodotti di altissima qualità, ottenuti da grani

L’

obiettivo del Protocollo si riassume in due parole: formazione e promozione; il modo per realizzarlo si sintetizza invece in una sola: collaborazione. FIPE-Confcommercio, Federazione italiana dei Pubblici Esercizi, e FIC, Federazione Italiana Cuochi, hanno siglato un Protocollo d’Intesa con l’intento di unire le forze nel mondo della ristorazione per lavorare sul rafforzamento delle professionalità e delle competenze e, dall’altra parte, impegnarsi sul fronte della promozione e della difesa della

pregiati ed attentamente selezionati anche grazie al contatto diretto con gli agricoltori, che ci contraddistingue da sempre. Con il progetto "Pivetti lab", guardiamo alle professioni intercettando quelle che saranno le tendenze di settore da approfondire prefiggendoci di affiancare i professionisti del food nella crescita del loro business”. www.molinipivetti.it

cultura enogastronomica italiana, dalla partecipazione a competizioni internazionali di rilievo del settore al contrasto del fenomeno dell’Italian sounding. L’Italia, infatti, pur potendo contare su una quantità e qualità senza eguali nella cultura alimentare, sia all’interno delle cucine che dal punto di vista dell’accoglienza, è ancora molto indietro rispetto ad altri Paesi concorrenti nella promozione dell’enogastronomia e vive una penalizzante scarsità nel rinnovamento delle professionalità, esplosa in questo periodo storico. “Qualità e Cultura sono i vantaggi competitivi del nostro Paese nella ristorazione e parti costituenti della nostra identità enogastronomica: va cercato il modo di difenderle, promuoverle e rinnovarle il più possibile.” - spiega il presidente di FIPE-Confcommercio, Lino Enrico Stoppani – “Imprenditori e cuochi sono due anime fondamentali della ristorazione italiana, che a volte coincidono, ma interpretano comunque due aspetti diversi e complementari che vanno integrati per riuscire a valorizzare pienamente il patrimonio alimentare del Paese.”


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pizza e pasta italiana marzo

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PRIMA PAGINA a cura della redazione

Giovani che non studiano e non lavorano (NEET)

A

Monza prende il via un corso di formazione gratuito riservato ai NEET, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano. Il corso fa parte del progetto “Trame Inclusive”, è rivolto a persone in età lavorativa residenti nei Comuni dell’ambito territoriale di Monza (Brugherio, Monza e Villasanta) ed è realizzato con il sostegno del Fondo Sociale Europeo, Regione Lombardia - POR FSE 2014-2020 Opportunità e inclusione. Promosso da Sodexo Italia, A&I, Consorzio Comunità Brianza e l’Ambito Territoriale di Monza, il corso di formazione, che ha preso il via lo scorso febbraio a Desio, è sviluppato per formare profili di addetti mensa ed è destinato a giovani disoccupati tra i 16 e i 24 anni che non studiano e non lavorano e non sono percettori di Reddito di Cittadinanza. Nadia Bertaggia, HR Director di Sodexo Italia, sottolinea: “Da molti anni siamo impegnati nella ricerca delle migliori soluzioni per tutti quei giovani che si trovano in contesti difficili. Attraverso i nostri servizi e numerose collaborazioni strutturate, riusciamo a garantire opportunità per l’inserimento di giovani nel mondo del lavoro. Siamo orgogliosi quindi di partecipare attivamente a questo corso di formazione organizzato da A&I, il Consorzio Comunità Brianza e Comune di Monza, mettendo a disposizione la nostra professionalità e le nostre strutture a quei ragazzi che vogliono imparare nuovi mestieri come quello di addetto mensa, attraverso l’acquisizione di competenze per arricchire il proprio bagaglio di conoscenze, sempre utili nel mondo del lavoro e trasferibili anche in contesti diversi.” Per Info iscrizioni e scrivere a silvia.re@aei.coop oppure telefonare ai numeri 3665675394 – 0239400911.

False etichette e frodi alimentari Persico (CTO Trackyfood): “Etichetta digitale supportata da blockchain unica soluzione efficace contro le numerose contraffazioni”

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ome pubblicato sul documento del servizio studi della Camera dei Deputati “Tutela della qualità dei prodotti agroalimentari e produzione con il metodo biologico” la tutela della qualità delle produzioni agroalimentari rappresenta per l'Italia uno dei principali obiettivi della politica agroalimentare, considerato che l’Italia vanta il maggior numero di prodotti a marchio registrato, oggetto di numerosi e sofisticati tentativi di contraffazione. Strettamente collegata alle frodi alimentari è la questione dell’e-

tichettatura degli alimenti, molte merci sequestrate dalle autorità competenti presentano spesso errori e irregolarità riguardanti l’etichettatura e la tracciabilità o ne sono completamente sprovviste. Visto il numero crescente di contraffazioni, si è reso necessario implementare la regolamentazione europea con norme più stringenti e vincolanti inserendo in modo obbligatorio in etichetta l’origine delle materie prime per alcuni prodotti agricoli. Le etichette rappresentano il trait d’union tra produttore e consumatore e la trasparenza è l’unico modo efficace per tutelare il made in Italy e la qualità dei prodotti. “È importante difendere il made in Italy e i prodotti a marchio registrato, ed è fondamentale che il consumatore finale sia correttamente informato sulla provenienza del prodotto che si trova in tavola per un acquisto consapevole. Attraverso la scansione di un Qr-code è possibile accedere su smartphone a tutte le informazioni di un prodotto: ingredienti, tabelle nutrizionali, tracciabilità dei lotti e tutto quello di cui si ha bisogno per compiere un acquisto consapevole. – spiega Federico Persico, Chief Technology Officer di Trackyfood- Grazie all’etichetta interattiva di TrackyFood, un servizio cloud di gestione e valorizzazione della tracciabilità delle filiere agroalimentari, che si differenzia dal classico sistema gestionale di tracciabilità, supportata dalla blockchain, da un lato fornisce al produttore una soluzione completa, integrabile con eventuali processi di tracciabilità già esistenti; dall’altro è in grado di acquisire dati da più fonti, di metterli insieme, certificarli e renderli fruibili al consumatore finale”. La tecnologia e la digitalizzazione negli ultimi anni hanno contribuito in maniera significativa alla tutela della sicurezza alimentare con la messa a punto di sistemi molto avanzati che rappresentano oggi il modo più efficace a contrastare le contraffazioni e a supporto della tutela del made in Italy.



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pizza e pasta italiana marzo

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PIZZA NEWS a cura della redazione

Marco Oberti per Molini Valente: focacce liguri in chiave moderna

da sempre lavoro le farine Molini Valente della Linea Classica Novelli per la preparazione delle tradizionali focacce liguri, genovese e tipo Recco anche in versione 100% italiana grazie alla Linea Piemolino. A SIGEP avrò anche modo di rivisitare le mie produzioni in chiave moderna con l’utilizzo delle farine Integrali TSC e delle linee Vitala” . Per saperne di più: www. molinivalente.it

“La Pizza della salute” a sostegno del Passaporto

A

ppuntamento a SIGEP 2022 con Molini Valente: padiglione D5, stand 27, dove tra i protagonisti ci sarà Marco Oberti. Genovese DOC, è il titolare del panificio “Il Forno di San Nicola” a Genova; docente nei corsi teorico pratici presso Molini Valente, ricopre la carica di Vicepresidente dell’Associazione Panificatori di Genova e Provincia e ama il pane e la focaccia simbolo della sua città. Focaccia rigorosamente in teglia, stirata, coi buchi, oliata quanto basta, croccante sopra e morbidissima sotto, è la sua specialità. “Nelle mie produzioni metto tutto me stesso - racconta - un connubio di rigore e precisione con amore e passione;

Ematico

L Nonsologlutine compie dieci anni

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onsologlutine compie dieci anni e per festeggiare lancia un contest sulla pizza senza glutine fatta in casa: Home Gluten Free Pizza! La sfida è lanciata a food blogger e appassionati, che potranno mostrare le proprie creazioni ad una giuria d'eccezione composta da tre grandi pizzaioli: Francesco Martucci, Diego Vitagliano e Federico De Silvestri. I migliori quattro selezionati dalla giuria, si sfideranno online su Instagram, grazie al voto popolare dei follower. Il vincitore del concorso terrà uno show cooking al Pizza World Forum, durante il 29° Campionato Mondiale della Pizza a Parma. Le quattro ricette finaliste inoltre saranno pubblicate su Pizza e Pasta Italiana.

a Fondazione Polito, a sostegno del Passaporto Ematico, promuove “La Pizza della salute”. Il Passaporto Ematico riguarda proposte e disegno di legge finalizzati a prevenire e impedire le patologie ematiche per tutti coloro che si accingono a praticare attività sportive, agonistiche e non. I controlli dei valori ematici e cardiaci sono indispensabili per il rilascio del certificato di idoneità all’attività sportiva. Essi hanno il preciso scopo di indagare e rilevare eventuali anomalie, disturbi fisici o altre patologie, e permettono di intervenire tempestivamente a tutela della salute. Il suddetto certificato di idoneità, fondamentale per la pratica di ogni tipo di sport, agonistico e non, potrà essere rilasciato ai giovani sportivi a partire dai sei anni di età, solo se i controlli ematici e cardiaci obbligatori avranno dato un esito negativo. La Pizza della Salute va a sostegno di questo progetto. Diverse attività di ristoro (ristoranti e pizzerie in prima linea) hanno aderito alla promozione di una “Pizza speciale”, chiamata appunto “Pizza della Salute”. I clienti dei rispettivi locali potranno dunque richiederla a prezzo scontato e saranno informati circa le iniziative della Fondazione. Gli ingredienti? Salutari: mozzarella di bufala, datterini gialli, granella di noci, acciughe e completata con un cucchiaio di colatura di alici in uscita. www.fondazionepolito.it


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pizza e pasta italiana marzo

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PIZZA NEWS a cura della redazione

Ooni Pizza Ovens al fianco di Galbani

Alessandro Proverbio

per il concorso “Diventa

è il nuovo Direttore Generale

un vero pizzaiolo”

di Molini Lario

O

M

oni Pizza Ovens, azienda attiva nella produzione di forni per pizza da esterno, sarà partner di Galbani, per supportare il concorso “Diventa un vero pizzaiolo”, attivo fino al 30 aprile 2022 e destinato a tutti gli appassionati della pizza fatta in casa.

olini Lario annuncia la nomina di Alessandro Proverbio come nuovo Direttore Generale dell’azienda a far data dal primo gennaio 2022; subentra a Mauro Milani, in carica dal 2014, che ha raggiunto il pensionamento e che l’azienda ringrazia per il suo operato.

Gli ultimi due anni hanno registrato un netto aumento di interesse da parte di tutti gli italiani nel mettersi alla prova ai fornelli tramite la realizzazione di pizze, focacce e lievitati di vario altro tipo. Proprio per questo motivo Galbani ha recentemente presentato il concorso “Diventa un vero pizzaiolo”, secondo il quale con l’acquisto di una confezione di mozzarella per pizza del brand, i consumatori hanno la possibilità di vincere un corso di 5 videolezioni per diventare pizzaioli professionisti. Ma non finisce qui, perché in palio, per i più fortunati, ci saranno dieci forni Koda 16, top di gamma nella sezione dei forni alimentati a gas in casa Ooni.

La carriera di Proverbio inizia nel 2006 all’interno del reparto Controllo Qualità dove approfondisce la conoscenza sia della materia prima, il grano, con le sue caratteristiche chimico-fisiche/varietali, sia del prodotto finito, la farina, con le sue caratteristiche reologiche/applicative.

La partnership si fonda su una comunanza di valori tra il brand italiano e Ooni, che basa la sua mission proprio sulla condivisione e sulla gioia del cucinare in famiglia, circondati dal calore e dall’affetto dei propri cari. Un’idea nata con l’obiettivo di invogliare sempre più persone a mettersi in gioco con l’arte bianca e condividere momenti di felicità e divertimento con la propria famiglia all’interno delle mura domestiche, sviluppando allo stesso tempo le proprie doti creative.

Nel 2008 diventa il Responsabile del Reparto Controllo Qualità, assumendo poi nel 2013, il ruolo di Responsabile Acquisti Materie Prime. Nel 2015 con l’apertura di Accademia Farina si occupa anche del settore Ricerca e Sviluppo interno all’azienda, fino ad estendere le sue competenze all’ambito commerciale di vendita della farina per il canale industriale negli ultimi due anni. Molini Lario La sede di Alzate Brianza raggiunge un livello di assoluta leadership tecnologica nella lavorazione del grano tenero grazie all’utilizzo dei migliori grani rigorosamente selezionati, un processo produttivo che si avvale di tecniche molitorie d’avanguardia e un costante e rigoroso monitoraggio nei suoi laboratori dei grani impiegati e delle farine prodotte. Nel 2019 Molini Lario ha festeggiato un compleanno davvero importante: quello dei 100 anni di attività. L’Accademia Farina Molini Lario Accademia Farina di Molini Lario nasce nel 2015, si avvale di un Centro Applicativo e di Ricerca e Sviluppo per sperimentare nuove farine, nuove metodiche al fine di ottenere i migliori risultati nella panificazione. Accademia Farina è diventata così centro di formazione e punto di incontro tra l’azienda e la sua più qualificata clientela artigianale, favorendone le reciproche conoscenze.



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PIZZA NEWS a cura della redazione

Cattel SpA, distributore in Italia di Future Farm, intensifica la good practice per gli obiettivi dell’agenda 2030 www.cattel.it

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attel, brand veneto leader nella distribuzione di prodotti food e no-food nel canale ho.re.ca. nel Nord-Est d’Italia si dedica anche a chi vuole ridurre il consumo di carne - per motivi etici, ecologici o per preferenze personali. Nasce da qui la collaborazione con Future Farm, azienda foodtech brasiliana che utilizza prodotti naturali non OGM per creare la migliore carne a base vegetale.

Ingredienti vegetali certificati, prodotti responsabilmente, e packaging sostenibili le chiavi del successo di Future Farm, la giusta risposta agli attuali problemi climatici e un contributo concreto al raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 per l’adozione di pratiche più sostenibili per l’ambiente e il cambiamento climatico. Cattel, già certificata e sensibile al tema ambientale, ha colto l’importanza del progetto e ottenuto la distribuzione di Future Farm in Italia. “Nel nostro vastissimo assortimento, composto da oltre 7000 prodotti in grado di soddisfare trasversalmente qualsiasi scelta e tradizione alimentare, non poteva mancare una proposta 100% vegetale di altissimo livello come quella di Future Farm”, ha dichiarato Simone Fantato, category manager carne dell’azienda.

Ciro Salvo alfiere di Grano nostrum, la nuova farina di Molino Caputo da grani 100% del Sud Italia.

G

rano nostrum è la farina di Molino Caputo da grani 100% del Sud Italia: un progetto nato cinque anni fa, frutto di una ricerca condotta sui semi e le varietà in sei regioni del Sud Italia - Campania, Puglia, Molise, Abruzzo, Basilicata e basso Lazio -, e che ha dato luogo al primo Contratto di filiera di grano tenero del sud Italia. La farina prodotta è di tipo 0, di media forza, cento per cento italiana, e vede come alfiere il pizzaiolo Ciro Salvo di 50 Kalò che la utilizzerà nelle sue pizzerie. «Poter sfornare una pizza 100% italiana, a cominciare dalla farina, è un progetto che mi appassiona», spiega Ciro Salvo, «Ho sempre creduto nell’eccellenza campana, tutti i giorni cerco di valorizzare attraverso le mie pizze le produzioni di piccoli artigiani locali, dal pomodoro all’olio extravergine d’oliva, dai latticini ai salumi, agli ortaggi che scelgo per le mie pizze vegetali. Con un impasto da farina di alta qualità, proveniente solo da grano italiano, del Sud Italia, è come chiudere un cerchio». Ad oggi partecipano a Grano nostrum un gruppo nutrito di agricoltori che insistono su 3000 ettari sparsi nelle regioni del Sud grazie ad un contratto di filiera premiante che tutela il lavoro dei piccoli imprenditori agricoli, che favorisce la ricerca scientifica, il lavoro in campo, dalla semina al raccolto, sino alle tecniche di stoccaggio per rendere il più possibile omogenea la resa agricola durante tutto l'anno e in modo naturale.


ESPONIAMO A


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Ristorazione domani

A L A V ARRI

E L L E V U O N E N I S I CU

di Giampiero Rorato


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Sono gli anni ’70 del Novecento ed è una grande rivoluzione nella cucina internazionale

T

utto ha inizio ufficialmente nel 1973 quando i due più importanti critici gastronomici francesi, Henri Gault e Christian Millau, scrissero nella rivista che ha come titolo i loro cognomi - Gault et Millau - le due magiche parole: nouvelle cuisine. Questi due personaggi si erano accorti che la cucina francese stava cambiando, che diversi cuochi proponevano ai clienti dei loro ristoranti una cucina più semplice della precedente, senza più i famosi i fondi bruni, ottenuti facendo cuocere lentamente e lungamente le ossa degli animali di cui, a parte, si usava la carne e senza più ricorrere a numerosi ingredienti per ammaliare il consumatore. C’era il desiderio di presentare piatti più “moderni”, più in linea con le nuove esigenze nutritive e diversi grandi cuochi stavano sperimentando e proponendo piatti molto diversi da quelli di pochi anni prima. Il merito di Gault e Millau è stato quello di studiare quanto stava realmente avvenendo nelle cucine dei ristoranti francesi e tradurlo in alcune regole di cucina, che diedero vita alla nouvelle cuisine. Prima di tutto questa nuova cucina, come ripeteva da tempo Paul Bocuse, uno dei più grandi cuochi francesi, vuole prodotti freschi di mercato, quindi meno frigorifero, anzi senza frigorifero; in secondo luogo cotture più brevi per conservare alle materie prime impiegate il loro valore nutritivo, senza perdere vitamine, minerali ed altre sostanze preziose per l’organismo umano.

Ed ancora via i menu lunghi: bastano pochi piatti, scrissero i due gastronomi francesi, per soddisfare il palato mostrando nel contempo la bravura del cuoco. E, soprattutto, via le salse, via i fondi bruni e molta attenzione alla dietetica, come dire che il ristoratore e il cuoco devono far da mangiare in modo tale che il cliente gusti piatti di qualità e quel cibo lo aiuti a conservare la sua salute, possibilmente a stare meglio. La nouvelle cuisine è tutta qui e gli interpreti principali e diffusori di questo nuovo modo di cucinare e preparare dei menu sono stati, fra diversi altri, il grande Paul Bocuse, i due fratelli Troisgros, Alain Senderens, Michel Guérard. Quest’ultimo ebbe particolare attenzione per la dietetica e per l’estetica, sostenute da una grande capacità creativa. È Interessante sottolineare che la nouvelle cuisine consacra il declino dei piatti da parata, delle formule prefissate, delle loro preparazioni pompose e accademiche e si uniforma al modo di vita moderno, come la cucina “borghese” si addiceva alla vita [signorile, ben s’intende] del XIX secolo.


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Ristorazione domani

E L L E V U O A N V I R LA R A E N I S A I L CUI A T I N I

Va detto che i cuochi citati ed altri che, come loro, avevano innovato e ammodernato la propria cucina, non erano riuniti in un club speciale ma ciascuno seguiva la propria linea che combaciava nelle intuizioni fondamentali, dedotte anche dal consenso della clientela: prodotti freschi, cucina corta, via le salse, attenzione alla salute. In secondo luogo, pur non detta in pubblico, era la ribellione alla “grande cucina” di Carême e di Escoffier, una ribellione alla loro scuola ancora imperante dopo la seconda guerra mondiale. Pur nati e cresciuti alla scuola di Escoffier, cui molto dovevano per la propria cultura gastronomica, i cuochi francesi citati la sentivano piuttosto vecchia e sorpassata, anche se essa continuava con successo in diverse parti d’Europa e pure in Italia, nei grandi alberghi di Venezia, i cui ultimi celebri chef di quella scuola, fra cui il grande Nando Alzetta che gettò le basi della moderna cucina veneziana, sono ricordati nel Museo dell’Arte Cucinaria a Polceni-

go (Pordenone). E, nei primissimi decenni dell’ultimo dopoguerra, come a Venezia, le cucine italiane considerate di più alta qualità – da Milano a Firenze, a Roma, a Taormina e in tante altre città - erano proprio quelle ispirate al grande Escoffier. Poi la ribellione, portata in Italia nel 1977 da Gualtiero Marchesi, il quale dopo un periodo in Francia presso alcuni grandi cuochi ed anche alla corte dei fratelli Troisgros, apre a Milano, in via Bonvesin de la Riva, il suo ristorante con nell’insegna il proprio nome. Ed è qui, in questo locale, che facendo tesoro delle straordinarie novità apprese in Francia, realizza una cucina nuova per l’Italia: più leggera, con menu più corti, ricca di novità per quanto riguarda accostamenti, colori, aromi, profumi, gusti. E rinnova tutto volendo piatti, bicchieri e posate originali capaci di dare il senso del nuovo, come la musica che lui stesso regalava ogni tanto ai suoi clienti, suonando al pianoforte con grande bravura. E da lui accorrono molti giovani ed altri arriveranno anche quando si sposta ad Erbusco in Franciacorta, nel ristorante L’Albereta, luogo di silenzi e di pace e molti di quei giovani diventeranno poi cuochi famosi.



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E LA ? A Z Z PI In Italia Marchesi, considerato a buon titolo il Maestro della moderna cucina italiana, pur consapevole dell’importanza delle novità dei colleghi d’Oltralpe, ha seguito un suo percorso gastronomico, con un principio che era soltanto suo, quello della “cucina totale”, vale a dire, leggera, senza salse, con cotture brevi, ma i prodotti devono essere i migliori che trovi, diceva, i migliori di tutto il mondo. Poi, negli anni di Erbusco si indirizzò pian piano verso la cucina della memoria, rivalutando i piatti “della nonna”, quindi verso piatti italiani che andò destrutturando e ricomponendo con l’arte che solo lui possedeva. Con Gualtiero Marchesi e con l’ALMA di Colorno, l’Alta Scuola di cucina di cui Marchesi fu Preside e ispiratore, era nata anche in Italia una nuova cucina, lontana parente della nouvelle cuisine, ma ispirata autonomamente agli stessi principi, una cucina moderna, bella, di alta qualità che ha fatto conoscere la ristorazione italiana nel mondo, grazie innanzi tutto alla bravura di una schiera di grandi cuochi, al diffondersi delle Scuole per cuochi e, è doveroso non dimenticarlo, alla Guida Michelin la più seguita dai turisti stranieri che vengono in Italia.

Negli anni ’70 del secolo scorso era ancora relegata a un ruolo secondario, ma non mancava molto alla sua esplosione e al riconoscimento dei suoi valori alimentari e gastronomici, cui si aggiunge un valore che l’alta ristorazione non possiede, cioè la socialità, perché in pizzerie ci si trova in tanti, si conoscono persone nuove, nascono nuove amicizie e si rafforzano i rapporti interpersonali. E questo è un valore spesso poco considerato, ma importantissimo specie in una società come la nostra nella quale sta crescendo una nuova realtà per nulla simpatica, la solitudine.


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HOMO DIETETICUS Le tendenze del cibo dopo la pandemia. Marino Niola dialoga con Antonio Puzzi

In questi due anni ne abbiamo visti di cotti e di crudi. Ma anche di stracotti e soufflé. Parliamo di cibo, ovviamente. La sospensione del tempo avvenuta a febbraio 2020 ci ha traslato infatti immediatamente dalla condizione di individui in costante lotta con le lancette dell’orologio a quella di persone che, scegliendo la cucina quale surrogato dell’ufficio, hanno dovuto iniziare a fare i conti con l’impietosa lancetta della bilancia.

Da critici gastronomici improvvisati ci siamo trasformati dunque, più o meno tutti, in cuochi provetti, rispolverando ricette di famiglia e tuffandoci tra i portali di gastronomia contemporanea. Le protagoniste e i protagonisti delle cucine dei ristoranti hanno trasferito sul web buona parte dei loro saperi e le giornate improvvisamente dilatate hanno reso tutti i consumatori un po’ più “slow”.

Nelle ore in cui scrivo queste righe sono molte le voci della politica e della scienza che in Italia e nel resto del mondo fanno a gara per annunciare la fine della pandemia: a fine marzo potremmo addirittura togliere le mascherine nei luoghi al chiuso e dopo due anni esatti (un anno in meno di quelli serviti a inizio Novecento per debellare l’epidemia Spagnola) dovremmo tornare a vivere in un mondo che avevamo quasi dimenticato. Come ci sentiremo? E cosa mangeremo? Per rispondere a queste domande, ho chiesto aiuto al professor Marino Niola.


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Marino Niola è docente di Antropologia dei Simboli presso l’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli e di Storia della gastronomia nei Paesi dell’area mediterranea all’Università “Federico II”. Editorialista per La Repubblica, dirige con Elisabetta Moro, il MedEatResearch – Centro di ricerche sociali sulla Dieta Mediterranea e il Museo Virtuale della Dieta Mediterranea (www.mediterraneandietvm.com). Niola è inoltre autore di numerose ricerche sulle culture del cibo, tra cui particolarmente significativa è quella presentata

Professor Niola, nel 2015 lei ha parlato per la prima volta dell’homo dieteticus: chi è costui e come è cambiato negli ultimi anni?

È questo timore a renderci oggi così particolarmente attratti dai prodotti che esibiscono marchi di certificazione, come le Dop e le Igp?

"L’homo dieteticus è il figlio spaventato dell’homo oeconomicus, il quale – a dispetto del nostro – era convinto che tutto sarebbe andato meglio.

"La più grande domanda di oggi nel mondo è la domanda di sicurezza. La sicurezza è la merce più domandata e più offerta sui mercati sociali, su quello della politica e su quello della salute. La domanda aumenta perché l’insicurezza dilaga. Non è solo insicurezza fisica ma anche incertezza del domani, di come sarà la nostra vita, quella dei nostri figli e delle persone a noi care. Per questo, noi cerchiamo di placare questa grande insicurezza, dai tanti volti, attraverso una risposta sicuritaria. E niente è più sicuro di una certificazione.

L’homo dieteticus ritiene invece particolarmente incerto il futuro e quindi fa del cibo lo specchio del suo rapporto con la realtà, della sua paura.

nel libro Homo dieteticus.

La parola stessa “tracciabilità” ci dà l’illusione di rendere trasparente la realtà e di poter vedere come è fatta ogni cosa dal di dentro.

Sostanzialmente, l’homo dieteticus di oggi resta nei lineamenti fondamentali lo stesso ma, visti gli ultimi anni, i suoi timori sono maggiormente accresciuti".

Se ci pensiamo bene, è un meccanismo infantile perché ci comportiamo allo stesso modo di quando da bambini smontavamo il giocattolo appena ricevuto per vedere come fosse fatto dentro".


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In Homo dieteticus lei sostiene che oggi ci troviamo in balia delle “tribù alimentari”: cosa intende? "Le tribù si combattono. Il meccanismo tribale è infatti un meccanismo di fronteggiamento e di contrapposizione ed è solo quando le tribù si confederano che nasce una società. Il tribalismo è simbolo di insicurezza ed anche quello contemporaneo delle tribù alimentari lo è. Oggi dunque chiedo al cibo quella sicurezza che prima chiedevo alla religione".

E faccio così del cibo la mia religione. "Certo, ma una religione integralista perché rifiuto “il cibo degli altri” e, così facendo, finisco per isolarmi. Il cibo che, per natura, è condivisione diventa divisione".

"Il cibo che, per natura, è condivisione diventa divisione"

In questi anni sta aumentando a dismisura la domanda dei cibi halal e kasher, sacri per i Musulmani e gli Ebrei: a cosa attribuisce questa ricerca di cibo “sacro”?

A fine marzo la fine dello stato di emergenza sanitaria in Italia dovrebbe sancire formalmente il cambio di rotta se non la fine della pandemia: cosa accadrà alle nostre tendenze alimentari?

"Halal e Kasher hanno come fonte un’autorità religiosa. Ci fidiamo più dell’autorità religiosa che dell’authority alimentare. Il mercato dei cibi halal e kasher è in crescita esponenziale dovunque ma in America già nel 2009 il 30% dei prodotti venduti nei supermercati era kasher. Ora però gli Ebrei – coloro per cui nasce il cibo kasher – sono meno del 2% della popolazione degli Stati Uniti, quindi è evidente che ad acquistare questo cibo sono in larga parte persone che lo fanno non per motivi religiosi ma perché si sentono maggiormente rassicurati, perché hanno l’impressione di mangiare "come Dio comanda"."

"Costruiremo una terza via tra lo sbraco alimentare di prima e l’attenzione salutista di oggi. In questi due anni, la tradizione è tornata molto in voga perché, nei momenti di crisi, la tradizione rassicura, viene da lontano. Sarà così sempre di più: avremo meno tataki e più spaghetti. Ed è molto probabile che le persone saranno meno disposte ad assecondare esperimenti stellati e stellari a favore invece del recupero della tradizione".


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Limiti e possibilità delle nuove tendenze gastronomiche tricolori

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Il 6% della popolazione nazionale (pari a 3 milioni di Italiani) si professa vegetariano e un ulteriore 3% (ovvero 1,5 milioni di Italiani) dichiara di essere vegano. E questa è solo la punta dell’iceberg dell’identità gastronomica estremamente frammentata che il popolo italiano sta costituendo in questo primo

ventennio del XXI secolo.


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E non è tutto: il 7% si professa già "reducetariano", parola mal tradotta dall’Inglese in cui to reduce sta per "ridurre". Il 15% dei nostri connazionali segue inoltre una dieta "amica del clima" e sono numeri per i quali è facile ipotizzare un aumento. Il 40% degli Italiani ha infatti affermato che nei prossimi anni aumenterà il proprio impegno nella lotta per contrastare il cambiamento climatico mentre il 47% sostiene che si occuperà di più della propria salute. In che modo? Ovviamente attraverso il cibo: il 38% degli Italiani preferirà prodotti alimentari salutari e benefici e la stessa percentuale opterà per prodotti "sostenibili".

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Sapevate che un italiano su quattro sta riducendo o eliminando il consumo di carne?

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Scorrendo le pagine del Rapporto Coop Italiani 2021 realizzato con il Centro Studi Nomisma e pubblicato a ottobre dello scorso anno, le curiosità infatti sono tante. Ma tanti sono soprattutto gli spunti di riflessione che se ne possono trarre. Per orientarvi tra le pagine di questa ricerca (che è disponibile gratuitamente per tutti sul web), fondamentale per capire quale sarà l’imminente domanda a cui sarà sottoposto il mondo della ristorazione proviamo in questo articolo a fornirvi una bussola.

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Per finire, se è vero che siamo ancora riconosciuti nel mondo come il Paese della Dieta Mediterranea, iscritta dall’Unesco nella lista del Patrimonio immateriale dell’Umanità attraverso le sue Comunità emblematiche (di cui una è in Cilento, in Italia), solo il 29% degli Italiani continua a considerarsi aderente a tale regime alimentare.

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Non meno importante è ciò che emerge in merito alla ricerca di informazioni sui prodotti: il 49% degli Italiani (che vuol dire praticamente 1 Italiano su 2) ha esplicitamente dichiarato di ricercare con maggiore attenzione informazioni sulla qualità del cibo: ecco perché menù in cui si segnalano informazioni dettagliate o la semplice preparazione e disponibilità del personale a fornire specifiche sui prodotti presenti nel piatto diventa sempre più un "must".

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Se andiamo avanti nella lettura dei dati, possiamo scorgere un altro significativo balzo in avanti nel consumo di prodotti vegetali freschi: il 53% degli Italiani ha dichiarato infatti di avere aumentato nel 2021 i consumi di frutta e verdura.

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Non è un caso che si stiano moltiplicando in questo periodo le pokerie, in cui il piatto di punta è la "poké bowl" ossia una ciotola in cui si trovano, tagliati a cubetti o blocchi, ingredienti disparati tra cui spiccano carboidrati e/o verdure. E si stima che il fatturato dell’anno appena concluso abbia sfiorato per questo settore i 100 milioni di euro.

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Questo vuol dire che i secondi, i condimenti delle pizze e i nostri buonissimi "bun" potrebbero necessitare di alcuni ripensamenti o almeno di una differenziazione dell’offerta.

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Aumenta invece considerevolmente il numero che definisce la propria dieta con il termine "bio" perché formata per la quasi totalità da prodotti biologici: sono il 18% degli Italiani. Non è da sottovalutare neppure (soprattutto per il settore al quale questa rivista arriva) quel 7% che si professa "no carb" (ossia senza pane, pasta e carboidrati). Si tratta di un numero molto vicino a chi dichiara invece di seguire un regime dietetico iperproteico: sono il 6%. Se è vero però che quando si parla di proteine, si pensa soprattutto alle carni, sono in forte crescita coloro che preferiscono assumerle dai vegetali (+15,6% rispetto al 2020). Ecco perché potrebbe essere una soluzione – soprattutto per quei locali del centro e del Nord Italia – affiancare alle pizze proposte una farinata o una cecina… o qualcos’altro che la fantasia sicuramente aiuterà a individuare.

In definitiva, però, ciò che è davvero importante è rendersi conto che se si pensava di aver esaurito le attenzioni rivolte al pubblico con una proposta vegetariana e una pizza senza glutine, si è totalmente fuori strada.

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Ecco perché, in alcuni locali, stanno già iniziando a proliferare marchi e certificazioni di ogni tipo: non più dunque solo premi e riconoscimenti ma anche simboli che riconducono a una specifica tipologia di cibo (veg, no carb…). E, più che le guide, molto spesso diventano dei veri e propri punti di riferimento i gruppi che sui social (da Facebook a Telegram) segnalano locali di tendenza per alcune ristrette cerchie di persone, ovvero coloro che ricercano informazioni per andare a cena fuori in un locale che rispecchi al meglio la propria identità gastronomica.

+15% preferisce proteine



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I RISTORATORI, “ALFIERI DEL TERRITORIO” IL MODELLO LICET RACCONTATO DA ENZA LARETTO

Negli ultimi anni, il tema della sostenibilità è divenuto uno dei punti attraverso i quali si celebra la partita di un nuovo modello di ristorazione. Ne abbiamo discusso con Enza Laretto, che da anni impegna la propria professionalità al servizio delle certificazioni UNI e che ha ideato il modello LICET, ovvero un insieme di linee guida per compiere azioni che abbiano valori Legati al territorio, Innovativi, Competitivi, Eco-sostenibili e capaci di Tutelare la salute, la sicurezza ed il benessere delle persone. Le sue riflessioni sono confluite nel volume “La ristor-azione virtuosa” edito da FrancoAngeli.


35 Cosa vuol dire oggi “sostenibilità” e come la ristorazione può dare il proprio contributo al raggiungimento di tale obiettivo? "La sostenibilità oggi è genericamente intesa come una caratteristica delle scelte integrate e virtuose in grado di generare valore nel lungo periodo tenendo conto degli impatti economici, ambientali e sociali. A queste tre classiche dimensioni, nel manuale “LA RISTOR-AZIONE VIRTUOSA”, ne ho aggiunte altre due riguardanti il legame con la cultura del territorio e l’innovazione, intesa come creatività. Ho spiegato anche che chi si occupa di ristorazione può diventare un “Alfiere del territorio”, non solo raggiungendo l’obiettivo della sostenibilità delle sue scelte e azioni, ma contribuendo a generare benessere e qualità della vita per sé stesso, gli altri ed il territorio. In questo senso,

la sostenibilità diventa un mezzo per un obiettivo più grande, realmente differenziate ed identitario".

Quali azioni virtuose può mettere oggi in campo la ristorazione? "Oggi è difficile parlare di azioni virtuose, a causa del Covid19 e delle scelte fatte per gestirlo, che comportano restrizioni, sommate a regole poco chiare che mettono in difficoltà tutto il settore. Ho scritto “LA RISTOR-AZIONE VIRTUOSA” poco prima che il Covid19 imponesse le chiusure, già per fare riflettere sulla sicurezza e l’attenzione alla salute. L’approccio di prevenzione e attenzione al benessere delle persone, spiegato con una visione olistica, a 360°, si è confermato essere l’unica arma per poter gestire questa situazione di crisi. Secondo il modello di sviluppo sostenibile LICET ®, le azioni virtuose sono definite secondo 5 valori: Legate al territorio, Innovative, Competitive, Ecosostenibili e capaci di Tutelare la salute, la sicurezza ed il benessere delle persone. In un acronimo che compone la parola LICET, dal latino “è lecito, è possibile”. La ristorazione virtuosa ha la capacità di influire sulla percezione di benessere e di influenzare l’approccio che le persone hanno all’alimentazione, al territorio, all’ambiente e alla qualità della vita. Il menu è il risultato di una progettazione e per farlo occorre: scegliere gli ingredienti genuini, nutrienti, stagionali e capaci di valorizzare la biodiversità; apprezzare tutti i pezzi della materia prima per evitare sprechi; far conoscere la provenienza risaltando le qualità dei fornitori e facendoli sentire parte del ciclo di vita del pasto ottimizzando le risorse e la logistica: ridurre gli impatti ambientali gestendo la sicurezza. Il tutto accompagnato dalla capacità di rispondere ai diversi bisogni delle persone e di emozionarle per l’attenzione alle persone e al loro benessere".

LE AZIONI VIRTUOSE SONO DEFINITE SECONDO 5 VALORI: LEGATE AL TERRITORIO, INNOVATIVE, COMPETITIVE, ECOSOSTENIBILI E CAPACI DI TUTELARE LA SALUTE, LA SICUREZZA ED IL BENESSERE DELLE PERSONE.


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Chi oggi ha maggiori possibilità di essere “sostenibile”: un locale con molti coperti, una piccola osteria tradizionale o una multinazionale? "Con piccoli o grandi numeri, si è comunque insostenibili se si pensa a fare profitto immediato depauperando la cultura locale, consumando risorse, non dedicando attenzione agli sprechi e ai rifiuti. Al contrario si è sostenibili se si è impegnati a programmare con merito, equità ed inclusione per creare ricchezza per sé stessi, gli altri ed il territorio. Oggi è sostenibile chi si dimostra essere un “Alfiere del territorio”. Si tratta di un’espressione innovativa nella ristorazione e che va oltre ai criteri di dimensione, soffermandosi invece sulle competenze, sul concetto di merito e di responsabilità. L’Alfiere del territorio difende e tutela il luogo di appartenenza, ne condivide gioie e dolori, lo conosce bene, se ne fa paladino e portavoce. Si assume la responsabilità di una gestione equilibrata dei 5 valori di sostenibilità LICET ® e si impegna a collaborare con gli altri attori del territorio, quale anello di congiunzione tra filiere produttive e i consumatori, consapevole che può influenzare le scelte di consumo, agendo su: comportamenti sostenibili, motivazione alla collaborazione e alla conoscenza del territorio per il benessere condiviso. Sa fare un’analisi approfondita delle proprie buone pratiche, le mette a valore, le condivide con i propri ospiti – da cui si attende un riscontro per poter migliorare – e ne comunica i risultati con consapevolezza. L’Alfiere del territorio non è il paladino statico, difensore del ristorante solo come risorsa economica. Piuttosto, egli utilizza il ristorante per compiere con consapevolezza una missione e ne va orgoglioso".

Come possiamo essere virtuosi anche cucinando in casa? "Anche a casa l’essere virtuosi o meno dipende dalle nostre scelte. Il modello LICET® ha un sistema di valutazione partecipato che coinvolge le persone, rendendole consapevoli dell’importanza delle loro scelte e capaci di dare feed back utili al miglioramento del ciclo di vita del pasto. Per essere consapevoli e partecipare al miglioramento occorre prima di tutto condividere gli stessi valori di sostenibilità ed utilizzare un linguaggio comune tra produttori e consumatori. Un consumatore LICET ® in cucina scopre le ricette della cultura locale, si informa, legge le etichette, spende responsabilmente facendo attenzione al rapporto qualità/prezzo, difende l’ambiente riducendo gli sprechi ed i consumi, valorizza la biodiversità e prepara cibi con tutte le parti di un alimento. Presta attenzione alla salute e alla sicurezza consumando il pasto in un clima conviviale. A tale proposito ritengo interessante citare i risultati della ricerca condotta dall’università Palermo (polo didattico di Agrigento) in collaborazione con PLEF, AIQUAV E AREGAI, organizzatori del premio nazionale Bezzo che utilizza il sistema di valutazione LICET ® per premiare la ristorazione virtuosa. La ricerca, vinta dal comune di Agrigento, ha riguardato la valutazione del benessere percepito nella alimentazione locale ed ha dimostrato che la soddisfazione alimentare è una funzione della cura prestata all’alimentazione stessa e, in fondo, comincia all’atto dell’acquisto.

Più l’atteggiamento all’atto dell’acquisto è responsabile, inclusivo, altruista, maggiore è la soddisfazione per la propria alimentazione. Chi sta meglio con gli altri gode di maggior benessere ed è anche più soddisfatto della propria alimentazione. È una indicazione importante se si persegue la qualità a tavola: non bisogna dimenticarsi della dimensione conviviale dell’alimentazione".



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Esistono marchi di qualità per riconoscere oggi un "ristorante sostenibile"?

"Ci sono diversi marchi di qualità, alcuni dei quali li affronto nella prima sezione del libro, insieme alle diverse norme o linee guida per la ristorazione, come quelle elaborate dall’UNI sui requisiti minimi di progettazione del capitolato di appalto della ristorazione collettiva (UNI 11407) e quella della progettazione del menu (UNI 11584). È fondamentale però riflettere sul fatto che non c’è marchio o certificazione sufficiente se non ci sono persone capaci di apprezzarla. Un consumatore al quale non parli al cuore e alla mente sceglierà più facilmente un prodotto più economico e così farà anche un dipendente quando trova un’azienda che le offre un salario più alto. Ritengo che più che dover riconoscere un ristorante sostenibile oggi sia necessario creare le condizioni affinché si generi un migliore incontro domanda – offerta e che insieme consumatori e ristoratori siano in grado di collaborare per garantire una sempre più elevata attenzione ai bisogni di benessere di tutte le persone. Anche il modello LICET ® insieme ai diversi strumenti, ha un marchio collettivo. Unico nel suo genere, identifica e differenzia l’“Alfiere del territorio” che fa RISTORAZIONE VIRTUOSA assumendo un ruolo fondamentale del contribuire ad un sistema territoriale attento ai bisogni delle persone, a partire dall’alimentazione e ridisegnando le loro esperienze in tutto il ciclo del cibo nel fare scelte e azioni più consapevoli.

Tecnicamente chi ha il marchio usa il linguaggio comune LICET ®, misura le azioni in modo partecipato (autovalutazione – valutazione tecnica e valutazione dei feedback), comunica in modo trasparente il suo impegno con la SMART LABEL LICET ® una etichetta dinamica e parlante con cui interagisce con le parti interessate per definire e attuare il miglioramento secondo un programma condiviso. La correlazione con le dimensioni dell’indice territoriale di benessere equo e sostenibile (BES), inserito nella legge di bilancio per la valutazione delle politiche pubbliche e con gli obiettivi di sviluppo sostenibile SDGs dell’agenda 2030, permette di valorizzare gli effetti dell’impegno messo in atto dal ristoratore dandogli una valenza fondamentale per lo sviluppo locale.

L’Alfiere del territorio diventa così un attore fondamentale per quei comuni che intendono cogliere l’opportunità del PNRR per costruire progetti ad alto valore aggiunto con una visione innovativa della propria Terra."

NON C’È MARCHIO O CERTIFICAZIONE SUFFICIENTE SE NON CI SONO PERSONE CAPACI DI APPREZZARLA


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La rivoluzione della blockchain nella ristorazione di Domenico Maria Jacobone e Monica Pisciella

L’innovazione dedicata alla ristorazione passa sempre di più attraverso la tecnologia, che si avvale di strumenti nuovi come la blockchain.

Il Digitale permea la nostra vita, che lo si voglia o no, e sarà sempre di più così. Tanto vale informarsi e farne un punto di forza, sfruttare questa tendenza per rendere migliore e più

Sempre più spesso sen-

fruttuoso il nostro business.

Si tratta infatti di una rete informatica e consente di gestire e aggiornare, in modo univoco e sicuro, un registro contenente dati e informazioni senza la necessità di un’entità centrale di controllo e verifica. Il suo contenuto infatti, una volta scritto tramite un processo normato, non è più né modificabile né eliminabile, a meno di non invalidare l'intero processo.

In parole più semplici, le informazioni inserite

si di un’identità digitale.

E allora via all’utilizzo di strumenti ormai di uso comune come lo SPID, che ci permette di essere riconosciuti anche senza necessità della presenza di un funzionario pubblico e di accedere in autonomia a documenti online, pratiche e altri servizi prima accessibili solo dopo lunghe code allo sportello.

E molti, anche tra i non

La blockchain, letteralmente "catena

sovrascritta, bensì aggiunta in

addetti ai lavori, hanno

di blocchi”, è per il momento ancora

un altro blocco di informazioni:

già sentito parlare almeno

un concetto un po’ nebuloso per mol-

da questo il termine block

una volta di "Metaverso".

ti, ma altrettanto utile da scoprire.

(blocco) chain (catena).

tiamo parlare di certificati digitali, per non dire della necessità diffusa di dotar-

sono raggruppate in "blocchi", concatenati in ordine cronologico, e ogni informazione non viene


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Workflow della blockchain - delivery

origine della materia prima

procedure

Nel lavoro quotidiano di ristorazione, ad esempio, viene utilizzato il registro dell’HACCP. La digitalizzazione di questa incombenza potrebbe rappresentare un primo passo verso la blockchain. Immaginate di avere un sensore che registra le variazioni di temperatura e umidità di una cella frigorifera, poi salva i dati sul cloud e compila il registro di autocontrollo digitale (quindi sicuro), inviando report quotidiani all’operatore addetto al piano HACCP. Quanto tempo prezioso potremmo risparmiare! Integrando poi una funzione di allarme nel caso di anomalie della temperatura, si potrebbe diminuire sensibilmente il rischio di perdita di prodotti e quindi di guadagni. Oggi i sensori e le apparecchiature di monitoraggio remoto hanno costi realmente accessibili. La blockchain è nata insieme alla prima criptovaluta, cioè una valuta virtuale, i cosiddetti Bitcoin. Questo sistema di pagamento valutario internazionale venne creato nel 2009 da un anonimo inventore, noto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto. Forse vi stupirà sapere che il primo prodotto acquistato con i Bitcoin, utilizzando i protocolli di blockchain, furono proprio DUE PIZZE! Si, avete capito bene, due pizze! Nel 2010, infatti, a quasi due anni dall’invenzione della criptovaluta, non era ancora stato acquistato nulla utilizzando il pagamento in Bitcoin.

misurazione della temperatura degli addetti ai lavori

registro delle sanificazioni

packaging

stampa dell'etichetta adesiva con il QR code

visualizzazione della storia del cibo e della tracciabilità alimentare

scansione del QR code da parte del consumatore

consegna

etichetta applicata al packaging

Per dimostrare che la criptovaluta funzionava, Laszlo Hanyecz, uno sviluppatore americano, nel forum Bitcointalk propose una ricompensa di 10.000 Bitcoins (all’epoca circa 30 dollari di controvalore) a chi avesse fatto recapitare a casa sua due pizze. Un membro inglese del forum accettò la sfida: ordinò due pizze e gliele fece recapitare con consegna a domicilio nella città di Jacksonville, in Florida. Due pizze che hanno fatto la storia e che oggi credo possano essere definite le due pizze più costose della storia! Infatti quei 10.000 Bitcoin, al cambio attuale del Febbraio 2022, avrebbero un controvalore di quasi 362 milioni di euro! Ogni anno in tutto il mondo il 22 Maggio si celebra il “Bitcoin Pizza Day”, per ricordare questo evento. Colpisce osservare come di anno in anno aumenti il numero dei locali in cui è possibile pagare in Bitcoin, e non solo negli USA. Qualche coraggioso ristoratore e pizzaiolo che accetta criptovalute lo abbiamo anche in Italia!

La blockchain si è evoluta ben oltre la sola criptovaluta ed è oggi un protocollo in grado di garantire registri, processi e procedure fino a diventare una certificazione affidabile e riconosciuta dal mercato, quindi adottata a più livelli: dalle multinazionali così come dai produttori agricoli, dalla ristorazione, etc.

La blockchain garantisce la certezza e la sicurezza dei dati grazie al fatto che non possono essere manomessi dal sistema o da operatori esterni. I “blocchi” fanno sì che le informazioni possano solo aggiungersi una all’altra, un po’ come quando scrivete una lista della spesa con gli ingredienti uno sotto l’altro. Sono proprio gli ingredienti di quella lista che trasformerete in piatti del vostro menù quelli che potrebbero valorizzare la blockchain nella ristorazione!


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Workflow della blockchain - ristorante

origine della materia prima

procedure

misurazione della temperatura degli addetti ai lavori

registro delle sanificazioni

stampa dell'etichetta adesiva con il QR code

Alla ricerca di informazioni e di ispirazione sull’argomento, abbiamo intervistato alcuni protagonisti della blockchain alimentare. Siamo rimasti colpiti dall’esperienza di Massimo Morbiato, CEO di "EZ Lab", una PMI innovativa specializzata in soluzioni digitali avanzate per il settore Smart Agri-food. L’azienda ha sede italiana nell’incubatore universitario padovano Start Cube e uffici a San Francisco e a Reims.

Morbiato ci ha raccontato del progetto di EZ Lab chiamato “AgriOpenData”, in cui la tecnologia blockchain viene utilizzata per certificare in modo trasparente ogni attività lungo l’intera filiera produttiva, dall’agricoltore al consumatore finale. Questo significa poter dare al cliente informazioni sulla qualità e la provenienza di ciò che sta consumando, ma soprattutto rappresenta un modo per valorizzare i produttori. Spesso il contadino o il produttore sono le persone che lavorano di più e vengono remunerate meno perché sono le più lontane dal cliente finale. In questo caso

visualizzazione della storia del cibo e della tracciabilità alimentare

la blockchain rappresenta un’opportunità per chi produce di trasmettere il valore del proprio lavoro al cliente ed aumentare i propri guadagni, certificando per esempio le rese per ettaro o la coltivazione con protocolli biologici.

Il consumatore ha a disposizione un QR code che rimanda ai certificati, ma anche al “viaggio” che ha fatto quel prodotto dalla pianta al suo piatto. Applicato nel nostro ambito, significherebbe poter certificare gli ingredienti scelti e inseriti nel menù specificandone le aziende produttrici, con il vantaggio di far vivere al nostro cliente un’esperienza immersiva anche nella realtà dei nostri fornitori: sarà possibile infatti tramite il video, ad esempio, vedere la posizione e lo stato della pianta che ha generato l’oliva che sta degustando nel piatto.

scansione del QR code

etichetta messa a disposizione del consumatore

Sono davvero molti i progetti del settore food in cui è coinvolta la blockchain: la produzione di farina da grani antichi, ma anche di riso e pasta. Approfondendo le varie occasioni di utilizzo abbiamo trovato un produttore di formaggio Asiago, vari produttori di vino e alcuni agricoltori. E persino una grande azienda nazionale che produce alimenti bio. Queste informazioni sono state illuminanti su quello che sarà il valore percepito del prodotto dal consumatore del futuro: oltre i post, le foto e gli strumenti social, sarà sempre più interessato alla provenienza di ciò che troverà nel menù.


ABBIAMO CURA DELLE TUE CREAZIONI

LINEA PIZZA FARINE DI FRUMENTO TENERO TIPO “00” Sono due gli ingredienti fondamentali per ottenere un ottimo risultato: l’esperienza di chi lavora e la scelta di materie prime di qualità. Dal 1934 selezioniamo solo i grani migliori per offrirvi una gamma di farine e semole dalle caratteristiche eccellenti, una selezione specificamente creata per trasferire i valori del Made in Italy in prodotti dall’alta qualità e tipicità. Il nostro obiettivo? Garantire, ad ogni maestro dell’arte bianca italiana, una farina tecnicamente adatta ad ogni utilizzo, un’alleata nel lavoro quotidiano e un’ispirazione nelle preparazioni, dalla più classica alla più creativa. La linea Pizza professional è composta da 6 referenze di farina 00, che si differenziano principalmente per i tempi di lievitazione garantiti: Fast H6, Speedy H10, Midi H12, Extramidi H16, Slow H24 e Bio.

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Ho esplorato gli esempi di aziende certificate in blockchain tra quelle della filiera che serve la ristorazione e ci siamo imbattuti nell'esperienza di Giovanni Procaccino, dell’azienda pOsti, che ci ha aiutati a comprendere come si stiano diffondendo queste tecnologie tra gli intermediari e i grossisti alimentari. Cominciano ad essere numerosi quelli che hanno avviato una massiccia campagna di certificazione dei produttori per portare al ristoratore il valore aggiunto di un’esperienza vicina a quella della ricerca diretta che si faceva trent’anni fa, girando romanticamente con l’auto (nel giorno di chiusura del ristorante) a caccia di piccoli produttori di eccellenze.

Oggi inquadrando il QR code da smartphone si può risalire a come è alimentata, dov’è cresciuta e dove vive la gallina che vedete razzolare nel video, di cui il vostro fornitore di fiducia vi ha appena consegnato le uova, e tutto con i rispettivi certificati di provenienza, igiene, temperatura e filiera.

Un altro esempio è quello di Peroni, la birreria italiana oggi di proprietà di un gruppo straniero, che sta curando un progetto di certificazione blockchain del malto di provenienza 100% italiana. Lo potete riscontrare dal QR code stampato sulle attuali etichette in distribuzione presso i rivenditori. Un consiglio: provate a leggerne una e a vedere dove vi porta il codice QR. Farete scoperte interessanti!

Un approccio comune all’esperienza di Pino Coletti, di Authentico, che ha sviluppato un software chiamato “Certifood”, utile a certificare con un protocollo blockchain l’intera filiera del ristorante/pizzeria. Anche in questo caso si appone un’etichetta adesiva sul prodotto affidato in delivery. Questa ha ovviamente una funzione meccanica di sigillo, che garantisce al consumatore che dopo il confezionamento nessuno abbia aperto o toccato il cibo all’interno. Il cliente avrà l’opportunità di scansionare il QR code sull’etichetta adesiva per verificare il rispetto delle pratiche in materia di igiene alimentare del cibo che ha acquistato, controllare l’origine delle materie prime e consumare con sicurezza il prodotto.

Tra l’altro pOsti nel 2018 ha certificato la prima ricetta al

Proprio la sicurezza del cibo

mondo tracciata in blockchain:

trasportato è uno dei motivi

si tratta della panzanella dello

che creano maggiori dubbi

Chef Colonna al Palazzo Delle

nel consumatore nei confronti

Esposizioni di Roma.

dell’acquisto di cibo a domicilio e

Oltre a questa esperienza, Procaccino ci ha raccontato un aspetto interessante della food delivery Giusta (di cui è uno dei soci fondatori) emerso durante la pandemia. C’è stato infatti un significativo incremento della clientela puntando sulla sicurezza. Su ogni confezione trasportata dai rider, il ristoratore committente appone un’etichetta di sigillo antimanomissione in blockchain, dotato di un codice univoco, grazie al quale il cliente che riceve la consegna può risalire al ristoratore ed ai suoi certificati HACCP, ma anche agli ingredienti utilizzati ed alla loro provenienza.

che rappresentano un freno per il 25% della clientela. La certezza della qualità e della sicurezza del cibo nel piatto sarà un valore sempre più importante da trasmettere anche a chi viene a sedersi in sala al ristorante. E allora la blockchain può essere davvero un valido aiuto per rassicurare il cliente in questa transizione e per valorizzare al meglio il vostro lavoro, non solo nella preparazione del piatto ma anche nella selezione delle migliori materie prime e dei fornitori più affidabili, un punto di forza e di distinzione in più per conquistare la fiducia dei clienti.

Buon lavoro!



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Oltre le calorie: i valori nutrizionali nelle etichette dei prodotti della Dott.ssa Marisa Cammarano, biologa nutrizionista

T

utti i prodotti alimentari confezionati sono forniti di un' etichetta alimentare da imparare a leggere con la dovuta attenzione per comprendere tutte le informazioni in essa contenute ed avere la giusta consapevolezza di ciò che si mangia. Un’attenta lettura delle diverse voci riportate all’interno delle etichette alimentari, almeno all’atto del primo acquisto, permette, infatti, di effettuare scelte migliori e più consapevoli. Leggere sempre l’etichetta è importante anche per non fidarsi delle indicazioni promozionali; se, per esempio, in una etichetta compare l’indicazione senza zucchero sarebbe opportuno leggere tutte le altre indicazioni apposte nell’elenco riguardo gli ingredienti perché si potrebbe trovare la presenza di sciroppo di glucosio, di sciroppo di fruttosio, di succo di mela, di succo d’uva, di maltosio, di sciroppo di cereali, prodotti, questi, tutti ad alto

indice glicemico. La lista degli ingredienti, inoltre, presenta delle informazioni indispensabili e fondamentali per la salute dei soggetti allergici e/o intolleranti, grazie alla dichiarazione degli allergeni. Inoltre, tale lista rappresenta un importantissimo strumento di valutazione della qualità del prodotto, ma non è sufficiente da sola a conferire al consumatore una percezione dell’impatto nutrizionale. La lista degli ingredienti è, quindi, da integrare con le informazioni riportate nella dichiarazione nutrizionale che, in etichetta, vengono espresse sia per 100 grammi o millilitri di prodotto sia per porzione. Le prime permettono al consumatore di poter paragonare due prodotti appartenenti alla stessa categoria merceologica, ma di marchio diverso, mentre le seconde danno informazioni sull’entità della porzione e sull’impatto che avrà sull’intera giornata alimentare. Comprendere al meglio i valori riportati nella dichiarazione nutri-

zionale permette, ad esempio, di aiutare il consumatore a monitorare l’assunzione giornaliera del sale che, come indicato in diversi studi epidemiologici, rappresenta un rischio cardiovascolare in quanto un elevato consumo è associato ad ipertensione arteriosa. Ma è doveroso aggiungere, però, che un’accurata lettura e comprensione delle etichette non può prescindere dalla conoscenza dei principi base di una corretta e sana alimentazione. L’etichetta rappresenta, dunque, una sorta di carta di identità del prodotto; deve essere scritta in forma chiara e completa oltre che rispondere al vero. A questo proposito il Regolamento comunitario n. 1169 del 25 ottobre 2011 e la successiva integrazione con il Regolamento delegato (UE) n. 78/2014, ha introdotto nuove norme sulle informazioni nutrizionali obbligatorie e volontarie per l’etichettatura dei prodotti agroalimentari, soddisfacendo così la necessità di avere regole comuni europee, applicate in


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tutti gli stati membri. L’etichetta alimentare, per permettere al consumatore di accedere facilmente alle informazioni sul prodotto che sta acquistando, deve essere: chiara leggibile comprensibile indelebile (non deve cancellarsi)

non deve: indurre in errore i destinatari attribuire proprietà di guarigione o prevenzione di malattie

Alcune delle innovazioni apportate dal regolamento del 2011 sono state necessarie per far fronte ad alcuni problemi di salute pubblica. • Per quanto riguarda la dicitura oli e grassi vegetali l’indicazione generica della categoria non è più sufficiente; le indicazioni relative ai grassi devono specificare la natura degli oli e grassi utilizzati (es. olio di palma, di cocco, di soia, di colza). Nel caso di miscele di oli va utilizzata la dicitura in proporzione variabile accompagnata dall'elenco dei vari oli componenti la miscela (es. olio di palma, olio di cocco, grassi idrogenati ecc.). • Una delle novità più rilevanti riguarda l’obbligo dell’indicazione delle sostanze che possono dare allergia (allergeni) evidenziandone il nome con un carattere di stampa diverso per dimensioni, stile o colore, da quello utilizzato per gli

altri ingredienti, in modo da renderlo rapidamente visibile. L'obiettivo è di permettere al consumatore di essere informato di tutte le sostanze allergeniche presenti nell'alimento, sotto forma di ingredienti, additivi, aromi, coadiuvanti tecnologici o altro, che potrebbero causare allergie, ipersensibilità o intolleranze alimentari. • Nel caso del latte e dei prodotti a base di latte (incluso il lattosio) per esempio, sarà evidenziata la parola “latte”, e non lo specifico allergene (es., “proteine del latte”). Il regolamento n. 78/2014 introduce, inoltre, l’obbligo di indicazione della presenza di determinati cereali che provocano allergie o intolleranze e di prodotti alimentari addizionati di fitosteroli. • Per la tutela e per la sicurezza del consumatore, gli alimenti preconfezionati possono essere commercializzati solo se accompagnati dall’indicazione della pro-


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duzione da cui provengono. Quest’ultima è costituita da un codice cosiddetto alfanumerico, vale a dire formato da lettere e numeri, che indica senza possibilità di errore il lotto di appartenenza della derrata alimentare, in modo da poterla rintracciare e da seguire il percorso degli alimenti “dai campi alla tavola”. Grazie all’indicazione della partita è possibile rintracciare tempestivamente il prodotto in caso di problemi, in modo da poter intervenire immediatamente con azioni correttive, ritiri o richiami dal mercato. L’art. 9 del regolamento introduce l’obbligo di fornire a tutti gli alimenti preconfezionati una etichettatura nutrizionale con le indicazioni delle calorie (valore energetico) e della quantità di alcune sostanze nutritive, espresse per 100 grammi (g) o per 100 millilitri (ml) o per porzione. L’obbligo della dichiarazione nutrizionale riguarda tutti i prodotti alimentari confezionati tranne alcune categorie di

alimenti soggette a proprie regole in materia di etichettatura, come gli integratori alimentari, le acque minerali naturali, gli alimenti destinati ad una alimentazione particolare. Il regolamento UE n. 1169/2011 stabilisce le informazioni obbligatorie da riportare in etichetta che possono essere integrate con uno, o più, contenuti facoltativi. La dichiarazione nutrizionale obbligatoria deve indicare: il valore energetico in chilojoule (kJ) e in chilocalorie (kcal) per 100 gr o per 100 ml. le quantità di: grassi acidi grassi saturi carboidrati zuccheri proteine sale

• Con la dizione grassi si intendono i grassi totali, sia quelli presenti naturalmente negli alimenti sia quelli aggiunti durante la lavorazione. I componenti principali dei grassi sono i cosiddetti acidi grassi saturi prevalentemente, ma non esclusivamente, presenti negli alimenti di origine animale e gli acidi grassi insaturi prevalentemente, ma non esclusivamente, presenti negli alimenti di origine vegetale. Il contenuto di grassi saturi deve essere obbligatoriamente indicato poiché esiste una stretta correlazione tra il loro consumo eccessivo ed il rischio di malattie cardiovascolari. A questo proposito, per prevenirne la comparsa attraverso un’alimentazione corretta, si suggerisce alle persone di tutte le età di limitare il consumo di grassi saturi a non più del 10% dell’apporto energetico totale. Poi, ci sono i grassi insaturi: presenti negli alimenti di origine vegetale che possono essere consumati con una certa libertà. I polinsaturi essenziali: presenti soprattutto nei pesci dei mari del nord e negli oli vegetali, sono particolarmente salutari, in quanto proteggono il nostro organismo dalle malattie cardiovascolari. Per questo motivo è buona regola sostituire la carne con il pesce almeno due o tre volte alla settimana. I trans: molto pericolosi per la nostra salute, sono raramente presenti in natura, ma si possono ottenere in laboratorio per migliorare le caratteristiche organolettiche e di conservazione di un alimento. E’ bene limitare il più possibile il loro consumo. Attenzione agli inganni. Spesso viene pubblicizzato in modo ingannevole il basso contenuto in colesterolo di un alimento. Secondo l'astuto produttore l'assenza di colesterolo basterebbe per rendere l’alimento salutare. In realtà occorre sempre accertarsi che il cibo sia allo stesso tempo privo di acidi grassi trans ed a basso contenuto di grassi saturi. Se nell’elenco degli ingredienti compare la dicitura “margarina” o “grassi vegetali”, con o senza l’espressione “totalmente o parzialmente idrogenati”, forse sarebbe bene riporre l’alimento nello scaffale. Sostituire i grassi di origine animale, ricchi di colesterolo, con grassi vegetali idrogenati, non migliora certo la situazione, anzi, per alcuni aspetti, la peggiora. I grassi hanno principalmente funzione energetica ma intervengono anche nella regolazione ormonale e nell’isolamento corporeo. L’assunzione raccomandata di grassi è intorno al 25-30% dell’energia totale.



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• Con la parola carboidrati sono indicati tutti quelli utilizzabili dall’uomo, compresi i polioli, una classe particolare di carboidrati contenuta naturalmente in alcuni tipi di frutta e verdura ed usata spesso come dolcificante (sorbitolo, mannitolo, maltitolo ecc.); con la parola zuccheri, invece, sono indicati gli zuccheri semplici (glucosio, fruttosio, saccarosio ecc.) presenti in un alimento. L’assunzione raccomandata di carboidrati è intorno al 50-55% dell’energia totale quotidiana fornita dalla dieta. Il consumo di zuccheri semplici non dovrebbe invece superare il 10-12%. Invece, le proteine hanno funzione plastica e come tali intervengono nei meccanismi di rinnovamento tissutale. Rappresentano inoltre il principale costituente dei muscoli e ne regolano la contrazione. • Le proteine hanno, in particolari condizioni, anche funzione energetica, ma in una alimentazione bilanciata questo ruolo è marginale. Si consiglia di assumere durante l’arco della giornata una quantità di proteine pari a circa il 15-20% dell’apporto calorico giornaliero, pari a circa 1 g di proteine per Kg di peso corporeo. Tale fabbisogno aumenta in fase di crescita, gestazione e allattamento. Queste proteine dovrebbero derivare per i 2/3 da prodotti di origine animale e per 1/3 da prodotti di origine vegetale. • Anche il contenuto in sale, presente naturalmente nell’alimento e/o aggiunto, deve essere obbligatoriamente indicato a causa della stretta correlazione tra il suo consumo eccessivo e la pressione alta; la riduzione di pochi grammi di sodio, presente nel sale da cucina, al giorno determina una diminuzione della pressione del sangue sia nelle persone che soffrono di pressione alta sia in coloro che hanno valori normali. Per la popolazione italiana i livelli raccomandati di sale devono essere inferiori a 5 gr al giorno. L’etichetta deve recare la parola sale e non sodio. Alla dichiarazione nutrizionale obbligatoria possono essere aggiunte altre indicazioni, facoltative, riguardanti le quantità di uno o più dei seguenti elementi: acidi grassi monoinsaturi acidi grassi polinsaturi polioli amido fibre sali minerali vitamine

Qualora sull’etichetta di un prodotto alimentare sia descritta la presenza di una sostanza che si pensi possa produrre effetti benefici sulla salute, deve esserne indicata la quantità. Un esempio potrebbe essere la presenza di omega-3 o di beta-glucani (componenti della fibra alimentare). La loro quantità deve essere indicata nella stessa zona dell’etichetta nutrizionale che ne descrive la presenza. Abitudini alimentari errate, oggi essenzialmente riconducibili ad un’alimentazione eccessiva, potrebbero essere modificate anche con l’aiuto di campagne di informazione e di educazione alimentare.

La lettura attenta delle etichette degli alimenti, intanto, grazie alle informazioni presenti sulle sostanze nutritive e sulle calorie contenute, può contribuire ad educare ed orientare il consumatore verso una alimentazione corretta.


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Nutriscore o NutrInform? Il Nutri Score (in Italia definito “etichetta a semaforo”) è un logo informativo nutrizionale a cinque colori proposto da ricercatori accademici francesi indipendenti specializzati in alimentazione e salute pubblica.

Dott.ssa Marisa Cammarano, Biologa nutrizionista


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Le etichette sono state ipotizzate per la prima volta dal gruppo di ricerca nel 2013, con la pubblicazione di un rapporto contenente diverse proposte relative alla salute pubblica tra le quali si sosteneva l'importanza di adottare un sistema di voti alfabetico dalla A alla E e di colori da stampare sulle confezioni alimentari per consentire al consumatore un facile confronto tra le qualità nutrizionali di diversi prodotti.

Il

calcolo del punteggio tiene conto di sette diversi parametri di informazioni nutritive per 100 g di cibo e 100 ml di bevande le quali sono già attualmente disponibili sulle confezioni degli alimenti. Un alto contenuto di frutta e verdura, fibre e proteine promuove un punteggio più alto, mentre un alto contenuto di energia, zucchero, acidi grassi saturi e sodio si traduce in un punteggio negativo. La scala nasce dall'idea di semplificare, quindi, la lettura della tabella nutrizionale classica e permettere una scelta di prodotti più rapida in base alle esigenze del consumatore; secondo il Ministero della Sanità francese, questo sistema dovrebbe permettere un più facile accesso ai cibi confezionati "sani" nonché contribuire alla "lotta all'aumento delle malattie cardiovascolari, l'obesità ed il diabete. L’intento, dunque, era quello di creare un sistema per aiutare i consumatori a giudicare, in poco tempo, la qualità nutrizionale degli alimenti al momento dell’acquisto, guidandoli verso scelte alimentari più favorevoli alla salute. Nonostante i buoni propositi il Nutri-Score è stato oggetto di numerosi attacchi da parte delle lobby dell’industria alimentare. Attualmente, il logo è ufficial-

mente adottato da diversi paesi europei, ma gli oppositori sono molto attivi e sono affiancati dalla maggior parte delle grandi multinazionali che continuano ad osteggiarlo. Da un lato c’è la Commissione Europea che ha programmato la strategia Farm to Fork per il 2022, il cui obiettivo è “rendere i sistemi alimentari equi, sani e rispettosi dell’ambiente”, dall’altro ci sono gli oppositori del Nutri-Score che cercano di evitare l’adozione ufficiale e obbligatoria dell’etichetta a semaforo. La strategia Farm to Fork si pone l’obiettivo di guidare la transizione dell’agricoltura verso pratiche più sostenibili: si punta a ridurre l’uso di pesticidi chimici e fertilizzanti e ad introdurre pratiche rispettose dell’ambiente. Non solo, l’intera filiera alimentare sarà più trasparente. In questo modo i consumatori avranno a disposizione maggiori informazioni sugli aspetti nutrizionali e sull’origine degli alimenti, grazie ad una migliore etichettatura. La strategia propone alcune misure per facilitare l’accesso al cibo sano e sostenibile, sia dal punto di vista economico sia da quello fisico; le istituzioni pubbliche, come le scuole e gli ospedali, dovranno rispettare standard più rigorosi in materia di appalti pubblici per la fornitura dei pasti. Anche le aziende dovranno

adottare misure per ridurre il proprio impatto ambientale e rivedere l’offerta di alimenti seguendo le linee guida per una dieta sana e sostenibile. L'algoritmo Nutri-score è stato criticato da diversi governi tra i quali quello italiano, da gruppi industriali, dall’associazione di agricoltori europei e da numerosi nutrizionisti per aver semplificato eccessivamente le informazioni nutrizionali e ridotto gli alimenti complessi ai singoli ingredienti. Secondo il Prof. Philippe Legrand, direttore del Laboratorio di Biochimica della Nutrizione Umana dell'agrocampus Inserm, l'algoritmo penalizza indebitamente gli alimenti ad alto contenuto di grassi e non riesce a distinguere tra diversi tipi di grassi, alcuni dei quali sono indispensabili per la salute umana. In quanto tale, Nutri-score non fornisce informazioni sulla composizione del cibo ma dà un verdetto generale sul cibo. Non è né più

né meno che un'opinione o un giudizio e, quindi, come fonte di informazioni scientifiche, è insufficiente. Il Nutri-score è stato criticato da molti nutrizionisti per aver dato dei voti alti ai cibi ultra processati. I consumatori possono sostituire cibi ricchi di grassi con cibi apparentemente più sani ma altamente elaborati con un Nutri-score più alto. I settori della produzione agricola, invece, che si oppongono alla generalizzazione del Nutri-Score lo fanno perché ritengono che i loro prodotti non siano ben classificati e quindi ritengono il logo penalizzante. Ad essi si aggiungono altri attori, rafforzati dall’atteggiamento di politici, che usano il patriottismo alimentare a fini elettorali, mobilitati dal timore che il Nutri-Score possa diventare obbligatorio a livello europeo. Tra i settori interessati ci sono quelli dei salumi e dei formaggi, che sono in parte classificati con la lettere ‘D’ ed ‘E’ per l’alto


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contenuto di acidi grassi saturi e sale, oltre che per l’elevata densità calorica. Solo alcuni formaggi e alcune carni poco grasse e meno salate sono classificate ‘C’, o addirittura ‘B’ per i prosciutti cotti a ridotto contenuto di sale. Non si tratta, ad onor del vero, di un giudizio intenzionale: la classificazione viene effettuata con totale trasparenza ed obiettività sulla base della composizione riportata sull’etichetta. Il punteggio del Nutri-Score riassume solo le informazioni dell’etichetta nutrizionale obbligatoria presente sulle confezioni, che spesso risulta difficile da decodificare. L’etichetta a semaforo non fa altro che fornire informazioni semplificate sulla composizione nutrizionale complessiva degli alimenti. Spiega, cioè, ai consumatori che alcuni prodotti possono far parte di una dieta equilibrata, ma solo se consumati in quantità moderate e con frequenza limitata. In questo, il NutriScore è pienamente coerente con le raccomandazioni nutrizionali per salumi e formaggi che spingono a limitarne il consumo. Infatti, la Dieta mediterranea è caratterizzata da un elevato consumo di frutta, verdura, legumi e cereali integrali, un consumo moderato di pesce e latticini, compresi i formaggi, poca carne rossa e salumi, e grassi principalmente apportati da olio extravergine di oliva. Il punteggio assegnato dall’etichetta a semaforo premia tutti gli alimenti a basso contenuto di grassi, zucchero o sale e ricchi di fibre, frutta e verdura, legumi e frutta secca a guscio. In altre parole, gli elementi principali della Dieta mediterranea. Inoltre, classifica l’olio d’oliva nella migliore categoria possibile per i grassi, la ‘C’. Bisogna anche precisare, inoltre, che “cibo tradizionale” non fa necessariamente rima con “qualità nutrizionale”, come invece alcuni creando confusione, sostengono ed affermano che il punteggio Nutri-Score penalizzerebbe i

cosiddetti cibi tradizionali considerati parte di un patrimonio culinario nazionale o regionale. Il tentativo di contrapporre l’etichetta a semaforo ad un modello alimentare tradizionale è, effettivamente, un tentativo di disinformazione. Si tratta purtroppo di false argomentazioni che vengono sfruttate, spesso anche dai politici di turno, per cercare di confondere il pubblico, sottolineando che verrebbero penalizzati salumi e formaggi che fanno parte del panorama culinario e gastronomico di una regione. La stessa cosa succederebbe ad alcuni alimenti con etichette di qualità collegate a cibi tradizionali (DOP, IGP, STG, ecc). Si tratta, infatti, di marchi che garantiscono l’origine di un prodotto alimentare ed il fatto che sia stato trasformato e confezionato in una determinata area geografica, secondo una procedura riconosciuta in linea con regole scritte nei disciplinari, o che abbia qualità sensoriali e condizioni di produzione superiori ad altri prodotti simili sono tutte informazioni utili al consumatore ma non riguarda il concetto di “qualità nutrizionale”. I prodotti con un’etichetta Dop, Igp, Stg o biologici restano comunque salumi o formaggi ricchi di acidi grassi, sale e calorie e quindi vengono “penalizzati” dal Nutri-Score. Questi alimenti devono essere inquadrati come gli altri e ricevere un giudizio nutrizionale secondo i criteri del Nutri-Score e non possono essere esentati dall’esporre il punteggio che, anzi, aiuta a completare le informazioni sulla qualità del prodotto. La difesa del prodotto Made in Italy è un argomento largamente utilizzato anche dalla politica che fa appello al patriottismo culinario, all’orgoglio alimentare nazionale, alla difesa dei valori tradizionali italiani ma è pur vero che in nessun momento, nelle argomentazioni sostenute, si evoca la salute di consumatori e, in

particolare, le grandi sfide di salute pubblica che l’Italia deve affrontare. Recentemente, l’Italia ha proposto, come alternativa, il sistema NutrInform Battery, che valuta non i singoli cibi, quanto la loro incidenza all’interno della dieta.

L’etichetta è pensata come una batteria e reca l’indicazione di tutti i valori relativi ad una singola porzione consumata. All’interno del simbolo vengono indicate quindi le percentuali di energia, grassi, grassi saturi, zuccheri e sale apportati dalle singole porzioni rispetto alla quantità giornaliera raccomandata. In pratica la percentuale di energia o nutrienti contenuti dalla singola porzione sono rappresentati dalla parte carica della batteria, così da quantificarli visivamente. L’obiettivo è quello di contribuire a definire un metodo per combattere le patologie legate a scorrette abitudini alimentari. Tutti gli studi indipendenti mostrano, però, che i sistemi alternativi indicati sono più difficili da comprendere e interpretare per i consumatori. Inoltre, non consentono confronti tra alimenti e quindi non hanno un impatto positivo sul comportamento di acquisto dei consumatori. In questo confronto fra la salute pubblica ed interessi economici, 400 scienziati europei e 30 associazioni in rappresentanza di centinaia di esperti (nel gennaio 2022 diventati rispettivamente 1000 scienziati e 42 società scientifiche) hanno deciso di unire le forze per ricordare che solo i dati scientifici dovrebbero guidare le decisioni politiche nel campo

della salute pubblica. Tutto ciò per ricordare che la scelta di un logo nutrizionale efficace per l’Europa deve rispondere solo a questa esigenza e non essere dettata dagli interessi di alcuni operatori economici o degli Stati membri che li difendono. In pratica a scontrarsi non sono soltanto due tipi diversi di etichetta ma due modi opposti di considerare gli alimenti ed il loro apporto nutrizionale. La più diffusa e consolidata letteratura scientifica, infatti, sottolinea che non esistono cibi buoni o cibi cattivi, ma solo diete più o meno equilibrate e che ogni cibo può entrare a far parte di una dieta equilibrata nella giusta misura. Senza tralasciare, però, il fatto che un’indicazione specifica sulla quantità di nutrienti, andrebbe maggiormente incontro alle diverse necessità delle persone rispetto ad un giudizio complessivo sui prodotti mettendole, così, in condizioni di capire quanti zuccheri, sali o grassi contenga un alimento”. Nutrirsi in modo equilibrato, dunque, non significa rinunciare od eliminare un prodotto, bensì consumare tutti gli alimenti secondo porzioni e frequenze temporali adeguate.


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Grano Italiano:

a cura della redazione

vuol dire sempre

“Qualità”? 100% grano italiano. Quante volte lo avete letto in etichetta e quante volte vi siete domandati: “sarà vero”? Partiamo da un dato di fatto: se una siffatta informazione non corrispondesse a verità ci troveremmo di fronte a una frode alimentare, perseguibile penalmente. Al di là di

questo, però, sappiate che ora avete a disposizione qualche strumento in più per capire quanto quel “grano italiano” sia davvero meritevole della vostra attenzione. Perché – come sempre – è importante ricordare che “c’è grano e grano”, anche in Italia.

Ad avere acceso l’attenzione sull’importante questione è stata l’Università della Tuscia che ha costituito, a partire dal 2019, un tavolo di lavoro, il quale si è assunto l’onere di strutturare format e linee guida per accordi e contratti utilizzabili da tutti gli operatori che volontariamente vogliano entrate a far parte della filiera grano-duro pasta di qualità italiana. Il primo risultato del progetto è stato concordare pochi parametri, con valori soglia comprensibili e comunicabili a tutti gli operatori della filiera, validi in tutto il contesto nazionale. Grazie al sistema di trasmissione e analisi dei dati “FRUCLASS”, criteri e metodologie condivise saranno validate con rilevazioni e valori raccolti in più annate. Questo lavoro permetterà la definizione di un chiaro riferimento nazionale con cui


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distinguere in modo oggettivo due classi di qualità per il grano duro: (Q) Qualità e (HQ) Alta qualità. I due parametri scelti per questa valutazione sono facilmente scalabili e dunque oggettivi: le proteine (almeno il 13% per il marchio Q e 16,25 per quello HQ) e il peso specifico (che deve essere pari a 78 per il marchio Q e 97,5 per quello HQ).

seme, oltre che da altri fattori esterni. Per le proteine invece, il discorso di avere un alto valore è molto importante proprio nel caso specifico della pasta ma ricordiamo che questo – a differenza del primo – non è un dato assoluto, in quanto molto dipende dall’utilizzo che intendiamo fare della farina ottenuta con quel grano.

Il motivo della scelta di questi parametri rispetto a tutti gli altri è presto detto: un peso specifico alto sta ad indicare che l'annata è stata buona e, se lo è stata, vuol dire che la pianta ha estrinsecato bene i fattori dello sviluppo, ha vegetato bene. In generale, per semplificare, vuol dire che lo sviluppo della pianta è stato favorito anche dalle caratteristiche intrinseche del

I primi dati ottenuti dal progetto “FRUCLASS” hanno riguardato le campagne 2019, 2020 e 2021 e constano nell’elaborazione dei conferimenti di oltre 70 centri di stoccaggio in Italia per un totale di oltre 410mila tonnellate di grano duro. Il sistema “FRUCLASS”, ideato dall’Università degli Studi della Tuscia, è stato realizzato grazie all’impulso delle associazioni firmatarie

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pizza e pasta italiana marzo

2022

del protocollo d’intesa “Filiera grano duro-pasta di Qualità”, ovvero Alleanza Cooperative Agroalimentari, Assosementi, Cia-Agricoltori Italiani, COMPAG, Confagricoltura, Copagri, ITALMOPA - Associazione Industriali Mugnai d’Italia e i pastai di Unione Italiana Food.

La presentazione dei risultati è avvenuta a inizio febbraio alla presenza del Sottosegretario alle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Gian Marco Centinaio, il quale ha espresso parole di apprezzamento e grande soddisfazione per il percorso intrapreso: “FRUCLASS è un sistema ambizioso e innovativo, che ha puntato a riconoscere e a premiare quanti nel nostro Paese tutelano e garantiscono l’approvvigionamento di materia prima nazionale di qualità. Con questa piattaforma è stato fatto un importante lavoro come filiera grano duro-semolapasta, con il quale si è andati a dare una risposta concreta per la crescita del settore e per andare incontro alle richieste dei consumatori, che vogliono sempre di più materie prime e prodotti Made in Italy”.

Secondo Massimiliano Giansanti, Presidente di Confagricoltura, con FRUCLASS si è “raggiunto l'obiettivo di voler qualificare il grano duro nazionale andando a creare un vantaggio per il modello Paese e per il modello mondo perché, se si parla di pasta, siamo leader indiscussi: un primato difficile da mantenere ma non se lo facciamo tutti insieme in modo sincrono”.

Sulla stessa lunghezza d'onda si è espresso Paolo Barilla, vicepresidente vicario di Unione Italiana Food, che ha inteso sottolineare un aspetto troppo spesso dato per scontato: “Non possiamo fare un prodotto eccellente se non partiamo dall'agricoltura, una strada dovuta”.


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pizza e pasta italiana marzo

2021

Le Denominazioni comunitarie hanno l’obiettivo di tutelare gli standard qualitativi dei prodotti agroalimentari,

di C.O.

salvaguardarne i metodi

Questo enorme patrimonio

di produzione, fornire ai

informativo per il

consumatori informazioni

consumatore è assicurato

chiare sulle caratteristiche

dal rispetto di disciplinari

che conferiscono valore

di produzione. Ecco di

aggiunto ai prodotti.

seguito come funzionano:


61

DOP

La Denominazione di Origine Protetta è un nome che identifica un prodotto originario di un luogo, regione o, in casi eccezionali, di un determinato Paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani e le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata. Attualmente sono stati riconosciuti in Italia 578 prodotti con la Denominazione DOP, di cui 170 prodotti agroalimentari e 408 vini.

STG

I prodotti riconosciuti STG (Specialità Tradizionale Garantita) seguono specifici metodi di produzione e ricette tradizionali. Materie prime ed ingredienti utilizzati tradizionalmente rendono questi prodotti delle specialità, a prescindere dalla zona geografica di produzione. Attualmente sono state riconosciute in Italia 3 Specialità Tradizionali Garantite: la Mozzarella, la Pizza Napoletana e l'Amatriciana Tradizionale.

Le prime sollecitazioni partono solitamente dalle aziende che appartengono alla filiera di produzione, passano attraverso la costituzione di un Comitato Promotore, arrivano al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali che inizia poi un dialogo sia con i promotori che con le regioni interessate per approdare alla Commissione Europea per l’eventuale approvazione. Fulcro dell’iter, oltre alla costituzione dell’apposito comitato promotore (composto da un gruppo di produttori/trasformatori che attengono al territorio delimitato e che trattano il medesimo prodotto oggetto della richiesta) è sicuramente il Disciplinare che delinea quella che sarà la futura tipicità riconosciuta ufficialmente. Citiamo solo alcuni dei punti che il disciplinare deve contenere rigorosamente:

Il processo di

IGP

che identifica

• •

riconoscimento è un L’Indicazione Geografica Protetta è invece un marchio

un prodotto anch’esso originario di un determinato luogo, regione o paese, alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualità e la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata. In tutto il territorio nazionale sono attualmente riconosciuti come IGP 257 prodotti come Indicazioni Geografiche, di cui 139 prodotti agroalimentari e 118 vini.

vero e proprio lavoro di squadra, che ha la

finalità da una parte di sostenere gli sforzi produttivi del sistema

Paese e del tessuto aziendale che lo compone, dall’altra di valorizzare prodotti agroalimentari di qualità, la cui provenienza è prevalentemente rurale.

• • •

il nome da proteggere; la descrizione del prodotto, comprese se del caso le materie prime, nonché le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche od organolettiche; la definizione della zona geografica delimitata nonché gli elementi che dimostrano che il prodotto è originario della zona geografica delimitata; la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto e, se del caso, dei metodi locali nonché le informazioni relative al confezionamento; gli elementi che stabiliscono il legame fra il prodotto e l’ambiente geografico; il nome e l’indirizzo dell’organismo di controllo; qualsiasi regola specifica per l’etichettatura del prodotto in questione, qualora presente.


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pizza e pasta italiana marzo

2021

Se il dialogo con gli Enti promotori ha buon esito, avviene la pubblicazione della candidatura a Denominazione comunitaria in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana con cui viene sancita la richiesta alla Commissione Europea; quest’ultima ha 6 mesi di tempo per analizzare il fascicolo. In caso di eventuali osservazioni, il Ministero rimanda tutto al Comitato promotore al fine di risolvere eventuali dubbi o precisazioni necessarie, altrimenti il percorso si completa con l’approvazione ufficiale.

Particolarmente interessante in questi ultimi anni si sta rivelando un nuovo strumento di tutela dell’agroalimentare che è totalmente nelle mani dei Comuni: la DE.C.O.

DE.C.O.

La sigla sta per Denominazione Comunale di Origine ed è la carta d’identità di un prodotto, un’attestazione che lega in maniera anagrafica un prodotto/produzione al luogo storico di origine. In altri termini, è un certificato notarile contrassegnato dal Sindaco a seguito di una delibera comunale, che certifica il luogo di “nascita” e di “crescita” di un prodotto e che ha un significativo valore identitario per una Comunità. Attraverso le De.C.O. ogni comune d’Italia può conseguire obiettivi da un punto di vista economico e sociale perché permette di valorizzare la propria produzione locale legata all’enogastronomia, all’agroalimentare e alla cultura che permea la comunità (e di conseguenza promuoverne il territorio) oltre che salvaguardarne il patrimonio culturale e le tradizioni. Valorizzando le proprie produzioni tipiche è possibile inoltre per i comuni promuovere il proprio territorio (ed il tessuto economico di appartenenza) privilegiandone quello che è il punto di forza, ovvero la comunità.

A introdurre nel dibattito pubblico la De.C.O. fu Gino Veronelli alla fine degli anni ‘90, al fine di tutelare quelli che lui definiva veri e propri “giacimenti gastronomici d’Italia”, facenti parte a tutti gli effetti di un patrimonio storico e civile che caratterizza la stessa identità della nazione.


Mantenimento ad alto


Le certificazioni 64

pizza e pasta italiana marzo

2022

Esportare all’estero non è però una formula magica che si verifica ad uno schioccar di dita; richiede invece

Un importante ruolo nella

quelle nazioni nelle

bilancia commerciale

quali nel tempo il Made

del nostro paese vede

in Italy si è radicato

come protagonista

progressivamente,

l’export tricolore di

entrando a far parte della

prodotti agroalimentari

way of life locale.

e tecnologia verso tutte

uno scrupoloso esame delle normative vigenti nei Paesi in cui si va ad esportare ed è un

e l’export

processo lungo e spesso anche molto costoso,

che non tutte le aziende possono permettersi, pur essendo nei desiderata

di D.M.

dei manager.

I

n questo articolo proviamo dunque a fornire un piccolo vademecum su quali sono le azioni a cui porre attenzione, senza voler entrare troppo nello specifico: spesso infatti ogni nazione ha regole proprie e si tratta comunque di materie che richiedono per le aziende un accompagnamento passo dopo passo da parte di enti e agenzie qualificate che permettono di evitare errori e dispendi economici e di energie notevoli.


L’agroalimentare Il commercio internazionale deve rispondere all’esigenza di garantire la sicurezza degli alimenti in rapporto alla tutela della salute delle persone, ma anche all’esigenza di prevenire la diffusione da un Paese all’altro di malattie di animali e piante. È necessario dunque anzitutto conoscere lo stato sanitario e fitosanitario dei luoghi di produzione, prestando attenzione sia alle malattie degli animali e dell’uomo, sia a quelle delle piante. In Italia, il controllo Ufficiale sui prodotti alimentari ai sensi del Regolamento Comunitario 25/2017 compete ai Servizi di igiene degli alimenti e della nutrizione (SIAN) ed ai Servizi veterinari della ASL, agli organi competenti delle Regioni e Province Autonome in materia di sicurezza degli alimenti e al Ministero della Salute. In particolare, all’Autorità sanitaria compete la verifica delle procedure di autocontrollo attuate dai produttori e l’adozione dei provvedimenti nei casi di procedure inadeguate.

65 Il requisito generale per l’esportazione è dunque la conformità alle disposizioni in materia di igiene degli alimenti vigenti nel Paese esportatore; il rispetto dei Regolamenti (CE) 852/2004 e 853/2004 per i Paesi comunitari e quindi per l’Italia è il requisito di base. È dirimente dunque per il produttore garantire la tracciabilità dei prodotti alimentari dall’origine della materia prima fino al tavolo del consumatore. Qualora venga identificato un potenziale pericolo per il consumatore in un lotto di produzione di un alimento, va bloccato attraverso l’applicazione delle apposite procedure previste che consentano di rintracciare il prodotto immesso in commercio e di ritirarlo, anche nel caso di prodotti esportati. Garantendo la sicurezza dei prodotti esportati si creano le condizioni di reciprocità con i Paesi terzi, ai quali devono essere richieste le stesse garanzie di sicurezza per i prodotti che vengono importati in Italia. L’Organizzazione Mondiale per

il Commercio (WTO) è un organismo internazionale che si impegna ad eliminare le barriere al commercio laddove non siano comprovati i pericoli sanitari. In tal senso questo organismo si occupa della gestione del contenzioso internazionale, come ad esempio nel caso tra USA ed Unione Europea sul divieto europeo di impiego degli ormoni nella produzione delle carni o sulle limitazioni al commercio di prodotti alimentari contenenti OGM. Nell’ambito del Codex Alimentarius - organismo internazionale coordinato dalla FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) e dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) - vengono invece stabilite le regole internazionali per la produzione di alimenti sicuri. Nel Codex sono state individuate le procedure HACCP (analisi del rischio e controllo dei punti critici) che sono alla base di processi di produzione che minimizzano il rischio per i pericoli microbiologici, fisici e chimici.

Carni e prodotti a base di carne Il settore delle carni e dei prodotti a base di carne è quello maggiormente regolamentato da accordi internazionali, che ne limitano la commercializzazione in rapporto alla specie animale ed all’area geografica di produzione. In generale l’esportazione dall’Italia di carni bovine, ovine e caprine è fortemente limitata a causa degli effetti correlati al pericolo BSE/TSE che ha interessato nel recente passato l’intera Unione Europea. Ai fini della sicurezza del prodotto sono richiesti per i prodotti a base di carne cotti con trattamenti termici specifici o, per i prodotti a base di carne crudi, periodi di stagionatura prolungati.

Altri prodotti di origine animale I prodotti a base di latte rappresentano una categoria di prodotti largamente esportata in numerosi Paesi terzi e senza specifiche limitazioni. La FDA (Food and Drug Administration) degli Stati Uniti d’America effettua periodicamente visite ispettive negli stabilimenti.

Prodotti alimentari di origine non animale Nel caso dei prodotti vegetali non si dispone di accordi specifici con Paesi terzi. In generale l’esportazione avviene senza particolari ostacoli. La Russia richiede di fatto l’assenza di residui di fitofarmaci sui prodotti ortofrutticoli freschi. Ciò comporta un forte ostacolo all’esportazione, in quanto le norme comunitari consentono limiti di tolleranza compatibili con trattamenti eseguiti nel rispetto di quanto prescritto per i singoli principi attivi e di buone pratiche di coltivazione.


Il La tec- marnolochio gia CE 66

pizza e pasta italiana marzo

2022

La situazione cambia invece per i prodotti tecnologici o che

contengono comunque componenti riconoscibili come opere dell’ingegno da parte dell’uomo. In questo caso, in Europa il requisito fondamentale è la marcatura CE (Conformità Europea) mentre al di fuori dell’Unione si entra in un territorio sempre complesso ma che varia da nazione a nazione, come vedremo nelle sezioni dedicate a Stati Uniti e Canada.

La marcatura CE non è un marchio di qualità o di origine, ma attesta semplicemente la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza, fissati dalle disposizioni comunitarie. È obbligatorio che il fabbricante l’apponga sui prodotti in questione e sui relativi imballaggi, perché essa sostituisce la certificazione di conformità agli standard comunitari e consente su tutto il territorio comunitario e del SEE la libera circolazione dei prodotti, che vengono esclusi in tal modo da qualsiasi misura restrittiva. Chiaramente per poter apporre l’apposito marchio il produttore deve rispettare le

Nella progettazione di macchine e prodotti tecnologici destinati agli USA si sente spesso parlare di “certificazione UL”, mentre per il Canada di “certificazione CSA”. La certificazione UL è rilasciata da un NRTL. Essa attesta la conformità di un prodotto ad una determinata norma ed ha valore negli Stati Uniti; nell’Unione Europea è comunemente conosciuta come “UL” perché spesso riferita a norme denominate Underwriters Laboratories (UL), ma in realtà è un acronimo che rappresenta solo uno tra i tanti NRTL e le norme UL non sono le uniche

Gli USA e il Canada

condizioni richieste all’origine ovvero le prove di laboratorio, le certificazioni rilasciate da appositi organismi e tutta la documentazione necessaria descritta nelle apposite normative (Reg nr 339/1993). La marcatura “CE” riguarda sia la fase di progettazione che quella di fabbricazione attraverso una serie di controlli diretti a verificare che risultino soddisfatte le condizioni richieste, che vanno periodicamente testate. Il logo “CE” va apposto anche sui prodotti di origine terza, se destinati all’immissione in consumo nel territorio comunitario. I controlli e le verifiche sul rispetto delle normative comunitarie spettano alle dogane dei singoli paesi membri, che devono accertare la con-

formità alle norme tecniche (comunitarie, internazionali e nazionali) e rispettare i requisiti minimi di qualità fissati dalla legislazione. Qualora i controlli diano esito negativo si istituisce una pratica all’interno del sistema Rapex, che permette un rapido scambio di informazioni tra le amministrazioni nazionali e comunitarie, al fine di tutelare i cittadini dell’Unione su potenziali rischi per consumatori e fruitori dei prodotti controllati. Ricordiamo invece che la marcatura CE non ha alcun valore negli USA e non è riconosciuta dall’OSHA (ente di cui parleremo in seguito). Una macchina marcata CE può essere venduta e utilizzata negli USA, ma non garantisce il rispetto dei requisiti normativi statunitensi.

norme di riferimento. Gli NRTL sono organizzazioni private qualificate accreditate dall’OSHA (Occupational Safety & Health Administration - agenzia federale del Dipartimento del Lavoro) per eseguire test di sicurezza e certificazioni di prodotto indipendenti, come richiesto dal Code of Federal Regulation (CFR -codice delle norme emanate dall'Esecutivo e dalle Agenzie Federali degli Stati Uniti d'America). Ogni NRTL è riconosciuto dall’OSHA per una lista di determinati standard: testano e certificano i prodotti per determinarne la conformità agli standard di sicurezza appropriati. Una volta superati i positivamente i test, l’NRTL emette un certificato e rilascia

al produttore l’autorizzazione ad applicare il marchio di certificazione dell'NRTL stesso su tutte le unità prodotte ed al contempo lo inserisce nella lista pubblica dei prodotti certificati dall’NRTL. L’azienda che decide di sottoporsi all’iter di certificazione lo fa infatti su base volontaria e a proprie spese. Per i consumatori, la presenza del marchio è indice di garanzia, per le aziende invece rappresenta un importante riconoscimento che accresce notevolmente il valore del prodotto e l’immagine del brand. Il marchio UL può essere relativo solamente ad alcuni aspetti o equipaggiamenti della macchina, a seconda della norma applicata.



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In foto Elena Lipetskaia, tecnologo e brand ambassador Molini Valente

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F

arine tipo 2 e mescole, innovative e versatili, al servizio della creatività di ogni Maestro dell'arte bianca: sono le linee Vitala, Vitala+ e Vitala Zen, frutto del know how di Molini Valente, storica realtà piemontese attiva dal 1854. Si tratta di referenze facilmente lavorabili, capaci di unire fantasia e affidabilità tecnica, studiate dal laboratorio Ricerca e Sviluppo interno al molino per risultati garantiti in ogni settore dell'arte bianca pasticceria, panificazione, pizza - così da rispondere alle mutevoli esigenze di pubblico. Ecco che le linee Vitala vanno nella direzione dei cibi “rich in”, ossia ricchi di nutrienti preziosi, sempre più richiesti, ma anche in quella dell'innovazione, permettendo a chef, pizzaioli e pastry chef di dare spazio alla fantasia, contando su prestazioni precise e costanti. Le farine Vitala sono di tipo 2 e conservano germe, parti cruscali e tutti i principi nutrizionali contenuti nel chicco di grano. Oltre a carboidrati e proteine, sono preziosa fonte di fibra e sali minerali (fosforo); nella gamma si trovano Vitala Delicata, Vitala Omnia, Vitala Forte, ciascuna con caratteristiche peculiari che le rendono perfette per brevi, medie e lunghe lievitazioni.

Troviamo poi le miscele Vitala+, che combinano con equilibrio, fantasia e sapienza la farina di frumento tenero tipo 2 e farine integrali di cereali diversi: Orzo e Avena, Riso Venere, Cereali e Semi, 7 Cereali, Grano Saraceno, Farro, Segale. Infine Vitala Zen: cinque mescole non semilavorate, senza additivi, con ingredienti naturali, preziosi e originali. Per pizze e lievitati - dolci e salati - gustosi, appetitosi e facilmente digeribili. Vitala Zen Sole, con curcuma, Vitala Zen Acqua, con alga spirulina, Vitala Zen Erba arricchita con erba di grano, ma anche Vitala Zen Fuoco con grano arso e Vitala Zen Terra ai semi di canapa compongono l'innovativa gamma. Palcoscenico per Vitala è SIGEP: appuntamento con Molini Valente al padiglione D5, stand 27, dove Elena Lipetskaia, Luigi Stamerra e Marco Oberti, brand ambassador dell'Azienda, daranno prova della grande flessibilità e versatilità delle linee Vitala. Per saperne di più: www.molinivalente.it


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pizza e pasta italiana marzo

2022

Ristorazione “senza glutine”

di Alfonso Del Forno

Mangiare fuori casa è

un istante dopo la

ingerire alcuni alimenti e

sempre stato uno dei

diagnosi, quando si

tra questi ci sono quelli

grandi limiti di tutti i

realizza che nella propria

che abitualmente si

celiaci. Questo tipo di

alimentazione bisogna

consumano fuori casa,

preoccupazione nasce

stare attenti a non

come la pizza o i panini.

e certificazione


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I

l problema più grande non è tanto la reperibilità di prodotti senza glutine, che un qualsiasi ristorante, pizzeria a pub può offrire senza tante difficoltà, ma quanto siano attrezzati i locali per garantire pasti assolutamente sicuri. La sicurezza alimentare, nella ristorazione senza glutine, non è figlia solo della scelta di materie prime senza glutine, ma anche di processi di trasformazione delle stesse esenti da contaminazione crociata. Un locale attento a queste problematiche, così come a tutte quelle relative alla gestione degli allergeni, risulta essere sicuro per un pubblico di avventori che vuole godersi un pranzo o una cena fuori casa con tutta la serenità che potrebbe avere solo nelle proprie mura domestiche. Affinché questo si verifichi, è necessaria una forte sensibilizzazione su questi argomenti e di una profonda formazione tutti gli operatori, di cucina e di sala.

Uno dei grandi problemi della ristorazione, soprattutto negli ultimi anni, è la continuità di presenza dei dipendenti, che spesso cambiano all’interno della forza lavoro di un locale, che andrebbero costantemente formati, per poter garantire una adeguata informazione su questi argomenti. Questo diventa il grosso limite di alcuni progetti come AFC (Alimentazione Fuori Casa) dell’Associazione Italiana Celiachia. Questo progetto prevede la formazione del personale dei ristoranti, a valle della quale il locale viene inserito in una sorta di guida dei locali formati sull’argomento, consultabile dai celiaci per avere una mappa sul territorio nazionale. Nonostante i buoni propositi del progetto, bisogna tener conto sempre del fattore umano, cioè della capacità degli operatori di mantenere fede a quanto imparato nei corsi e di trasmettere ai nuovi dipendenti le nozioni base della gestione di alimenti senza glutine. Questo tipo di approccio, tra le altre cose, genera anche molta confusione tra i consumatori, che continuano a pensare che l’inserimento dei locali nella Guida AFC sia una certificazione dei locali stessi. Purtroppo, questa certificazione non esiste ed è facilmente intuibile che non potrebbe essere concessa con il semplice conseguimento di un corso di formazione.


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2022

C

ertificare un processo produttivo, come la preparazione di cibo senza glutine, implica la verifica costante delle procedure atte al conseguimento degli obiettivi che ci si pone ed è impossibile verificare quotidianamente questi processi in tutti i locali aderenti a progetti come questi. Di recente è nato anche un altro progetto, allargato a tutte le categorie degli allergeni, tra cui i cereali contenente glutine, che tende a tutelare i consumatori affetti da allergie. Il nome di questa iniziativa è “Per Federica”, presentato nel mese di ottobre scorso a Bari dalla Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), promotrice dell’iniziativa. Il progetto ha lo scopo di diffondere conoscenze indispensabili per consentire

agli allergici di poter consumare cibo e bevande fuori casa con più tranquillità, potendo contare su professionisti della ristorazione informati e formati sul tema delle allergie alimentari. I corsi gratuiti saranno svolti da personale esperto di SIAAIC in modalità online della durata di quattro ore e forniranno le conoscenze indispensabili per preparare pasti sicuri ma anche per riconoscere le allergie e intervenire attivando le procedure corrette in caso di emergenza. I ristoranti che completeranno la formazione e supereranno i test di verifica potranno esibire all’ingresso dei locali il bollino arancione “Qui Mangi Sicuro!”. Anche in questo caso si può parlare di locali informati, ma non di certificazione, per gli stessi motivi di cui sopra.


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pizza e pasta italiana marzo

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Servizio pubblico L'etichetta narrante dei Presidi Slow Food a cura di Slow Food Italia www.slowfood.it


75 Photo credits: Archivio Slow Food - A SINISTRA Cheese - @EventoLive - A DESTRA Raffaella Ponzio - @Paolo Properzi

Cosa sono i Presìdi Slow Food? Come comprendere e raccontare la differenza tra i Presìdi Slow Food e altri prodotti agroalimentari? Abbiamo chiesto a Raffaella Ponzio che fa parte di Slow Food dal 2000 e supervisiona per l’associazione i progetti legati alla biodiversità (Arca del Gusto, Presìdi, Mercati della Terra, Alleanza Cuochi), di farci entrare nel mondo “slow” delle etichette narranti.

Q

uando i ristoratori presentano il proprio menù, dicono spesso: “Abbiamo Dop, Igp e Presìdi Slow Food”: perché questa “assimilazione”?

Quando assimilano i Presìdi ai prodotti certificati comunitari secondo me i ristoratori fanno un’associazione tra due sistemi che per certi versi sono simili come impianto e obiettivi, ma che hanno ovviamente alcune differenze sostanziali. Le Dop e le Igp sono strumenti di tutela pubblici, controllati da organismi terzi di nomina ministeriale, mentre i Presìdi sono progetti realizzati da un soggetto privato (Slow Food, per l’appunto), “collettivo” in quanto associazione, che attribuisce un marchio privato (Presidio Slow Food) a quei produttori che rispettano alcune regole: non c’è un controllo pubblico sulle produzioni. I Presìdi sono dunque progetti collettivi di produttori che condividono pratiche, convinzioni, valori e in generale la filosofia di Slow Food.

A

ncora oggi pare ci sia molta confusione su cosa significhi veramente Presidio Slow Food: potresti spiegarcelo in poche parole?

Slow Food ha lavorato per avviare quelli che oggi sono 622 Presìdi in 79 Paesi del mondo perché, 20 anni fa, ha avvertito l’esigenza di valorizzare tradizioni produttive legate a territori specifici, la necessità di salvare la biodiversità locale a rischio ed evitare la sua scomparsa promuovendone il consumo e quindi l’acquisto. I Presìdi focalizzano legami con aree territoriali particolari, si propongono di promuovere la qualità delle produzioni e la loro unicità che deriva da un mix di saperi artigianali, terroir, biodiversità agroalimentare. I Presìdi hanno anche un contenuto politico, se vogliamo: Slow Food vuole preservare certi prodotti non esclusivamente in maniera fine a se stessa (cioè, il piacere del gusto è importante ma è solo un aspetto del progetto) bensì perché sono strumenti di salvaguardia di culture locali, territori marginali e anche di mestieri pure loro a rischio per via dell’industrializzazione del sistema di produzione alimentare. Slow Food vuole inoltre aiutare i piccoli produttori artigianali o contadini e allevatori di piccola scala che gestiscono aziende diversificate. In tempi più recenti abbiamo iniziato ad approfondire il valore delle produzioni sostenibili dei Presìdi, anche da un punto di vista nutrizionale e quindi salutistico: biodiversità e sostenibilità delle produzioni vuol dire spesso anche “migliori valori nutrizionali”, sia a livello di macro che di micro nutrienti.


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D

a qualche anno Slow Food ha lanciato il progetto “etichetta narrante”: in cosa consiste?

L’etichetta narrante prevede un testo che spiega le caratteristiche del prodotto, descrive il territorio, le tecniche di allevamento (se è un prodotto di origine animale) o di coltivazione (se di origine vegetale) e anche di trasformazione (laddove si tratti di un trasformato). NON sostituisce l’etichetta obbligatoria per legge ma la affianca. Slow Food aiuta i produttori nella redazione del testo e i consulenti del Laboratorio Chimico della Camera di Commercio di Torino ci affiancano per evitare che il testo riportato contenga imprecisioni o termini non consentiti per legge. L’etichetta narrante è a tutti gli effetti un’autocertificazione. Tutti i Presìdi Slow Food la devono esibire e proprio in questi mesi stiamo completando il lavoro di raccordo con i produttori, affinché entro fine anno, tutti i produttori possano utilizzarla. A volte l’etichetta può essere letta con un QR-code e, in alcuni casi, può rimandare anche a video che mostrano al consumatore il campo di raccolta o il produttore all’opera (come accade se inquadrate il QR-code che trovate in questa pagina e che vi porta nei campi delle antiche mele piemontesi, ndr).

Q

uali sono gli obiettivi dell’etichetta narrante?

L’obiettivo è fornire ai consumatori uno strumento che finalmente racconti veramente tutti gli aspetti della produzione, quelli che sono cruciali per poter prendere una decisione di acquisto consapevole. Il progetto parte dall’assunto che la legge sull’etichettatura è gravemente insufficiente, in generale, e sembra fatta a volte per garantire che si dichiari il meno possibile: riduce all’osso le informazioni per il consumatore e non coglie sovente quelle essenziali. Basti pensare anche alle origini per certe filiere, alla tipologia di produzione, all’uso di certi additivi… e, non appena un produttore vuole dichiarare qualche aspetto in più del tuo lavoro, la norma te lo impedisce di fatto, per proteggere i consumatori da dichiarazioni che possono essere mendaci. È davvero un impianto assurdo! Peraltro, cosa c’è di più mendace che implicitamente acconsentire che un produttore industriale inserisca in etichetta un disegno di una vacca al pascolo per vendere un prodotto realizzato invece con vacche stabulate e alimentate a mangimi tutto l’anno? Tutti i bimbi sono convinti che le vacche vadano al pascolo e invece raramente una vacca lattifera che sta all’origine della confezione di latte in tetrapak va al pascolo, purtroppo.

E

infine i cuochi. Quelli dell’Alleanza Slow Food sono abili “narratori” della qualità di un prodotto: quali strumenti hanno per raccontare al meglio il lavoro dei produttori da cui acquistano le materie prime? Intanto il racconto e la parola: insostituibili. L’osteria è un momento di convivialità, socialità e niente sostituisce il racconto di un cuoco o di un personale di sala preparato. Noi abbiamo poi realizzato un modello di tovaglietta (un poster) che riassume i contenuti del progetto (e che trovate rappresentata in questa pagina, ndr) ma i cuochi dell’Alleanza Slow Food dovrebbero conoscere bene i prodotti del loro territorio, così come i produttori e avere quindi tutti gli elementi per una comunicazione che non può essere sostituita da nessun (per quanto efficace) supporto grafico.



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Napoli

pizza e pasta italiana marzo

2022

Non di solo pizza Peppe Maiorano è un oste vero. La verità è rappresentata dalla sua cucina, essenziale, di tradizione. In una sola parola: potente. Sempre cordiale, disponibile, professionale e anche felice di fare il mestiere che fa. È con questi ingredienti che “La Chitarra” si appresta a festeggiare i suoi trent’anni di vita, nel centro antico di Napoli, a due passi dalla storica sede dell’Università “Federico II”.

La Chitarra, Napoli di A.P.

Peppe, come nasce La Chitarra? È cambiato il locale in questi anni? "La Chitarra nasce da un’idea mia e di mio fratello Luigi. Era il 1995: il lavoro che facevamo prima attraversava una brutta crisi e pensammo così di aprire un piccolo ristorante, un’osteria, una cosa facile da gestire in famiglia. Abbiamo aperto a settembre 1996 e da allora quel locale è rimasto pressoché invariato. Anzi no, qualcosa è cambiato: dal 2011 infatti a gestirlo siamo solo io e mia moglie, Anna Maria."

A fare cucina nel centro storico di Napoli si corre il rischio di diventare un locale per turisti: come ha fatto La Chitarra a farsi amare dai Napoletani? "Si può diventare un locale per turisti! Non la vedo una brutta cosa. Fondamentale è però non diventare una “trappola per turisti”: il turista va rispettato, trattato meglio - se possibile del pubblico locale. Sono convinto che far conoscere la nostra cultura gastronomica è importante. Sì, voglio ribadirlo: si può diventare un locale per turisti, non è una brutta parola (ride, ndr)."


79 Siete particolarmente amati dalla critica gastronomica che racconta la "tradizione": quanto conta oggi essere presenti in una Guida e quanto invece conta la comunicazione che il locale fa direttamente ai propri clienti? "Siamo abbastanza apprezzati da chi ama la tradizione perché siamo semplici e consapevoli che quello che facciamo non è niente di trascendentale: le nostre mamme e le nostre nonne lo facevano forse anche meglio e con meno comodità. Essere presenti in una Guida ha una grande importanza ma… ovviamente dipende da quale Guida e anche da come ci si è entrati. Ti confesso però che credo che attualmente il pubblico usi un poco di più le piattaforme di recensioni (da TripAdvisor a Google, ndr) e qui si potrebbe scrivere un libro. Meglio soprassedere. Oggi allora è meglio comunicare col cliente, quasi quotidianamente, attraverso i social."

Le richieste della clientela sono cambiate rispetto al passato? Qual è oggi il piatto più richiesto?

Qual è l'ingrediente in più che mettete nel piatto, ovvero ciò a cui La Chitarra non rinuncerebbe mai?

"Le abitudini alimentari delle persone oggi sono un po’ cambiate. Sicuramente si fa molta più attenzione ai grassi e ai fritti, ma chi viene da noi sa che deve “sgarrare” (ride, ndr)".

"Sarebbe facile dire amore, passione, sacrificio, blablabla… E invece ti dico solo: l’onestà. L’onestà di dare un prodotto buono e rispettoso del lavoro di tutta la filiera."

Sì, perché in Napoletano “sgarrare” vuol dire “eccedere”. E l’eccesso è uno degli ingredienti in più di questa Osteria dal sapore antico ma profondamente immersa nel contemporaneo. Proprio come la città di Napoli in cui è ospitata. Tuttavia è proprio questo suo “ridere di gusto” alle mie domande che fa sorgere in me un’ultima richiesta all’oste.


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LE AZIENDE INFORMANO

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ECNOSUD, l’azienda italiana leader nella produzione di Impastatrici per Pizzeria, amplia la sua gamma di prodotti, presentando la linea massIma. Disponibili nella versione da banco Kg 7 (massIma M7) e da pavimento Kg.40 (massIma M40), sono entrambe dotate di alimentazione monofase con variatore di velocità che consente di raggiungere i 280 RPM, e di lavorare tutti i tipi di impasto, dal classico napoletano a quello ad alta idratazione per teglia e pala. Entrambe sono caratterizzate da vasca a fondo semisferico (tipo pane), spirale sagomata ed asta taglia-pasta con piede di raccolta. La massIma M40 unisce a queste caratteristiche le dimensioni compatte, che consentono il suo posizionamento sotto il tavolo da lavoro. Le impastatrici MECNOSUD della linea massIma, saranno partner tecnico del Campionato Mondiale Pizza 2022 in Parma.


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a cura della redazione

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La parola ai pizzaioli Emporio

Storia professionale: “Mi chiamo Jacopo Mercuro, sono nato a Roma e sto per compiere 34 anni. Dieci anni fa ho smesso di lavorare nel mondo legale per inseguire un sogno, quello di poter fare la pizza tutti i giorni. Tutto è partito dal forno di casa, dove per hobby mi divertivo a fare la pizza in teglia; nel giro di pochi anni ho lasciato tutto per aprire “Mani in Pasta”, la mia prima pizzeria al taglio. Da quel momento, sono successe tante cose: tanta sperimentazione e tanta fortuna, fino ad arrivare a “180grammi”, la pizzeria che ha portato i riflettori sulla pizza tonda romana. La pizza di “180grammi” è una pizza fina e friabile, stesa a mano e cotta in un forno a gas, con un impasto che parte dal concetto di una classica pizza romana per diventare una base indipendente, dove possiamo sperimentare la nostra cucina sulla pizza. Ogni stagione diamo un grande spazio al mondo vegetale. Eccone un esempio.

La pizza di Jacopo: “Emporio”; una pizza che gioca con la natura ed il suo ciclo. Alla base, una crema di cicerchie speziata al berberè, cicoria selvatica ripassata, chutney di barbabietola e zenzero e topinambur alla scapece.

La pizzeria consigliata:

Il “segnalatore” Nome: Jacopo Cognome: Mercuro Città di nascita: Roma Pizzeria: 180 grammi Pizzeria Romana Via Genazzano 32, Roma 180gpizzeriaromana.com

Ristorante Pupillo Pura Pizza, di Luca Mastracci

Perché? Nel mio percorso professionale ho avuto la fortuna di conoscere tanti pizzaioli, molti dei quali sono diventati amici e “compagni di viaggio”. Tra questi, segnalo Luca Mastracci, perché con la sua pizzeria riesce a fare un grande lavoro di ricerca sul territorio, valorizzando i prodotti della sua zona. Grazie alla sua amicizia, ho avuto l’opportunità di legare con piccoli produttori che oggi danno ancora più valore al lavoro che stiamo facendo: queste sono le sinergie che fanno crescere il movimento pizza.


Ti permette di cuocere con facilità pizze, sia piccole che grandi, su pietra naturale che esalta la cottura e permette di riscoprire profumi e gusti della nostra tradizione.

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La parola ai pizzaioli

Storia professionale:

La Margherita Bruciata

Il “segnalato” Nome: Luca Cognome: Mastracci Città di nascita: Roma Pizzeria: Pupillo Pura Pizza Viale Giuseppe Mazzini, 220, Frosinone e Via Giacomo Matteotti, 29, Priverno (LT) PupilloPuraPizza

Luca Mastracci, classe 1991, non è un pizzaiolo da generazioni ma è tra i coraggiosi protagonisti di una nuova generazione di pizzaioli. Il nome della sua pizzeria, Pupillo, ha origine dal vezzeggiativo adolescenziale con il quale gli amici erano soliti appellarlo e che ancora oggi caratterizza il suo entusiasmo quando si parla di lievitati. Dopo l’esperienza in Irlanda e la scuola di pizza tonda dei maestri romani, Luca apre a soli 27 anni a Priverno la sua prima pizzeria e, nell’arco di un solo anno, conquista 2 spicchi sulla Guida Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso. Un grande lavoro di ricerca sul territorio gli permette di ottenere il riconoscimento di "miglior pizzaiolo emergente d'Italia 2019". Nel 2018, inaugura insieme ai soci una seconda sede in pieno centro a Frosinone con oltre 150 posti a sedere. A sei mesi dall'apertura, la pizzeria nel capoluogo ciociaro conquista i 3 forni della Guida 50 Top Pizza. In occasione della Finale 50 Top Pizza 2019, Luca Mastracci ed il suo staff si aggiudicano il premio "Identità territoriale". Nel 2021, Pupillo conquista i tre spicchi della Guida Rossa, aggiudicandosi nel contempo la 15esima posizione tra le migliori pizzerie d’Italia. Luca Mastracci è ancora il “miglior giovane” pizzaiolo d’Italia per 50 Top Pizza.

La pizza di Luca: “La Margherita Bruciata” identifica me, il mio territorio e il mio progetto per valorizzarlo. Il pomodoro è frutto di una nostra selezione e trasformazione, assieme al fiordilatte di produzione pontina. Impasto: 1 kg di farina 0 280 W, 700 g di acqua, 2 g di lievito, 25 g di sale

La ricetta: Lasciare lievitare 24 ore a temperatura ambiente per poi stagliare e lasciare lievitare ancora a temperatura ambiente per 6 ore. Cuocere a una temperatura di 400 gradi.


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UNA BAKERY NELLA TERRA DELLA PIZZA

NAPOLETANA CONTEMPORANEA La sfida di Marco Coppola a cura della redazione


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COME MAI HAI SCELTO QUESTO PERCORSO, IN UN TERRITORIO SPESSO CONTRADDISTINTO INVECE DA UNA TRADIZIONE ORIENTATA SU ALTRE TIPOLOGIE DI PIZZA? "Abbiamo scelto questo tipo di pizza in virtù dell'esperienza maturata nel mondo della panificazione. Siamo convinti e consapevoli che un prodotto digeribile oggi è più facilmente accettato da un mercato, per fortuna più attento alla qualità e alla tecnica. E non dimentichiamo che proprio questo tipo di prodotto offre il vantaggio di avere meno competitor sul territorio."

MARCO, COME NASCE COPPOLA BAKERY? "È un’idea che arriva da lontano, perché ho iniziato a sedici anni l'attività di pizzaiolo in una storica pizzeria del mio paese, rigorosamente con forno a legna. Dopo diverse esperienze da dipendente, però, nell'agosto del 1999 ho intrapreso l'attività di bakery in proprio, con una conduzione familiare."

DA ALLORA IL MERCATO È CAMBIATO? "Di certo, da quel momento a oggi è cambiata la nostra attività perché, come recita il vecchio adagio: è il mercato a decidere. "

CHE TIPO DI PIZZA PROPONI? "I nostri prodotti di punta oggi sono due: la pizza in teglia e quella nel ruoto."

"nell'agosto del 1999 ho intrapreso l'attività di bakery in proprio"


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PARLIAMO DI FILIERA: DA DOVE PRENDI I TUOI PRODOTTI? "La scelta dei prodotti per noi è fondamentale. A partire dalle farine, che acquistiamo da un piccolo mulino a pietra, in cui il proprietario mugnaio è anche il contadino che coltiva i suoi grani antichi e di conseguenza si occupa della molitura. Gasperino Mirra (questo il nome del mugnaio) ha fatto una scelta radicale rispetto al biologico e noi lo abbiamo scelto per questo. L'olio extravergine di oliva che usiamo rigorosamente a crudo, lo acquistiamo invece presso il Frantoio Migliozzi, nel nostro paese mentre il pomodoro è rigorosamente biologica dell’azienda agricola Naturiamo."

DI PRODOTTI BUONI PERÒ CE NE SAREBBERO TANTI: PERCHÉ SCEGLI PROPRIO QUESTI FORNITORI DI CUI CI PARLI “CON NOME E COGNOME”? "Perché in realtà abbiamo sempre prediletto produttori locali. Questo ci garantisce la possibilità di tracciare tutti i prodotti che usiamo e di ridurre i km di distanza tra noi e loro: in questo modo si favorisce un commercio quanto più ecosostenibile possibile."

IN QUESTO CASO PERÒ MOLTO FA LA FIDUCIA CHE NUTRI NEI TUOI FORNITORI. QUANTO CONTA INVECE IL RAPPORTO DI FIDUCIA COI CONSUMATORI? "Siamo fortunati, perché godiamo di grande fiducia da parte dei nostri clienti, i quali non a caso ce la concedono. Dico “non a caso” perché il nostro impegno per garantire freschezza e qualità è quotidiano. Ed è sotto gli occhi di tutti."

UN PO’ DI APPETITO CE LO HAI FATTO VENIRE ORA… CHE PIZZA CI CONSIGLI DI ASSAGGIARE DA COPPOLA BAKERY?

"impegno per per garantire freschezza e qualità"

"Una delle mie preferite: la pizza “Cicerenella”. È fatta con un impasto maturato 48 ore, condita poi con ceci neri del Presidio Slow Food che trasformiamo in crema, fior di latte, parmigiano reggiano fuso in forno e, all'uscita, pancetta arrotolata artigianale della macelleria Palmiero. E, prima di servire, olio extravergine di oliva."

E se vi state chiedendo il perché del nome, basta andare ad ascoltare una celebre canzone partenopea che si chiama per l’appunto “Cicerenella” ossia “piccolo cece”, simpatico epiteto dato all’amata che è ovviamente “buona e bella”.


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LA “PIZZA

CANOTTO”© di Carlo Sammarco Di C.O.

“Ho iniziato all’età di 13 anni nella pizzeria di famiglia, facendo una dura gavetta e dedicando molto tempo al lavoro sul campo. Successivamente – all’età di 22 anni - ho iniziato a studiare. Mi sono dedicato in primo luogo alla teoria. Volevo acquisire una buona base teorica sulla pizza e ancor di più sul pane. Posso dire che è da quel momento che c’è stato un cambiamento radicale nella mia visione. È stata la mia pizza a cambiare, anzi in quel momento la pizza che facevo è diventata veramente la “mia” pizza. Ho cominciato a miscelare farine, ho iniziato a sperimentare metodi di impasto e, dopo soli 3 anni di sperimentazioni e test ho dato vita alla mia prima pizzeria, Carlo Sammarco 2.0.”

Facile dunque comprendere dalle sue parole il motivo di quel “2.0”. Quello che si assaggia nel suo locale è infatti un prodotto che viene dalla sua seconda vita, da quella vita nata dopo la ricerca. O meglio nata dopo l’inizio della ricerca.


"la mia pizza è molto riconoscibile"

E DOVE POSSIAMO ASSAGGIARE CARLO SAMMARCO 2.0? “Abbiamo due attività: la prima è ad Aversa e può vantare fino a 200 posti a sedere, serviti da 3 forni per la cottura delle pizze di cui uno dedicato al gluten free. La seconda pizzeria – seconda solo perché aperta dopo in ordine di tempo – si trova invece a Frattamaggiore ed è un intero palazzo con 1000 mq di struttura, 3 forni e 300 posti a sedere. In ambedue le strutture proponiamo gli stessi menù e la stessa concezione di prodotto, per mantenere la medesima identità”.

CHE TIPO DI PIZZA PROPONI? “La mia pizza è molto riconoscibile. Ho voluto dare al mio prodotto una forte impronta personale, immediatamente riconoscibile perché ha un cornicione particolarmente pronunciato. È un risultato che ottengo grazie a un impasto molto idratato e una cottura più lenta. Questo processo permette al cornicione stesso di asciugare l’umidità in eccesso presente al suo interno, con il risultato di ottenere un prodotto che si contraddistingue per scioglievolezza e fragranza. Mi dedico poi costantemente e con attenzione alla ricerca di materie prime, che possano caratterizzare ancor di più il mio menù”.

"mi dedico costantemente alla ricerca di materie prime"

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DA QUALI FORNITORI ACQUISTI I TUOI PRODOTTI? “I miei prodotti sono scelti solo dopo tante prove. In una linea di principio generale, cerco sempre di difendere i piccoli produttori e do un grandissimo rilievo alla stagionalità delle materie prime. Tutto questo ha un grande valore aggiunto anche nel rapporto che ho con i miei clienti, che è per me la priorità assoluta. Non capita di rado infatti che coinvolga i clienti più affezionati in un confronto per ideare e proporre nuove ricette”.

CI RACCONTI L’IDEA E L’EVOLUZIONE DELLA “PIZZA CANOTTO”? PERCHÉ HAI SENTITO LA NECESSITÀ DI UNIRE IL TUO PRODOTTO AD UNA DEFINIZIONE PRECISA DA POTER COMUNICARE AL MONDO ESTERNO? “Il termine “pizza a canotto” nasce quando due giornalisti scherzosamente – la definirono come tale. Una definizione che mi piacque molto perché la mia pizza poteva esattamente avere queste sembianze proprio per il cornicione molto pronunciato. Dietro a questo termine, però, ci sono tanto studio e tanta ricerca sull’impasto. Ritengo di essere stato il pioniere di questo tipo di pizza ed ecco perché, nel 2017, ho sentito di potere procedere alla registrazione del marchio”.

"pizza a canotto"©

LA PIZZA DI CARLO SAMMARCO PREFERITA? "La mia pizza preferita è la doppia cottura con impasto multicereali, condita con spinaci saltati con burro di Normandia e Parmigiano Reggiano stagionato almeno 36 mesi. In uscita, aggiungiamo poi il prosciutto cotto San Giovanni e il tartufo fresco uncinato."

Insomma, quella di Sammarco è una pizza con nome e cognome. Anche negli ingredienti.


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È una famiglia modenese, dove cucinare è una cosa seria.

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IL CUORE DI NAPOLI A BOLZANO.

Vincenzo “zio Alfonso” Canzanella si racconta a cura della redazione

Nel continuare la sua biografia, ci dice: “Ho fatto esperienza ancora, sempre come pizzaiolo, nelle zone più popolari di Napoli: in piazza Nazionale, in via San Giovanni a Carbonara, nel borgo Sant’Antonio, per i Napoletani, ‘o buvero, in quel luogo conosciuto dai più come “dal Maccaronaro“, un posto che serviva pizze e maccheroni sul ciglio della strada. Ricordo che anche mia zia faceva le pizzelle fritte e i pagnottelli (piccoli pani ripieni di residui della lavorazione del maiale, salumi e pezzi di formaggio) fuori al basso (tipica abitazione napoletana popolarissima, ndr), che si pagavano poche lire dopo otto giorni. All’epoca si faceva così per aiutare la gente che aveva pochi soldi ma che comunque doveva mangiare: ci si fidava della parola data. Allora si poteva fare, perché Napoli era genuina. E vera”.


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Le parole emozionate ed emozionanti di Canzanella sono la voce del ricordo e il preludio della sua storia di emigrazione. Una storia, come tante nel Sud Italia, di chi ha cercato di far emergere il proprio talento e farlo diventare ricchezza in territori ritenuti “colonizzabili” imprenditorialmente con un prodotto eccellente: la pizza. Ed è così che più di tre decenni fa, Canzanella ha deciso di aprire la sua pizzeria “Zio Alfonso” in uno dei luoghi di confine del Belpaese: Bolzano. Oggi è un Maestro Pizzaiolo certificato dall’Associazione Verace Pizza Napoletana ma è soprattutto un professionista energico ed appassionato. Perché il suo lavoro è la sua energia vitale, come ci spiega nel raccontare le varie stagioni della sua maturità e il suo arrivo in Alto Adige.

“Ho lavorato come stagionale un po’ in giro per l’Italia. Poi, nel 1972, ero alla Galleria Umberto I di Napoli, nei pressi di Piazza del Plebiscito quando un “sanzaro” (intermediario, ndr) che stava procacciando manodopera mi offrì un lavoro come pizzaiolo nella lontana Bolzano, in una pizzeria di nome Vesuvio, una tra le più vecchie della città. Accettai e rimasi lì per ben 10 anni. Andando via, cercai ancora lavoro per alcuni anni in altri locali della zona ma nel 1987 decisi finalmente, insieme a mia moglie, di aprire un locale tutto nostro: "Zio Alfonso". Negli anni, la conduzione è diventata totalmente familiare. È mia moglie infatti che si occupa della cucina, rigorosamente casalinga e tipicamente napoletana! (lo dice con orgoglio, ndr). Mia figlia invece è addetta all’organizzazione e alla gestione mentre mio figlio Armando ha imparato il mio mestiere. E lo conduce con la stessa passione e tradizione che mi ha contraddistinto nel tempo”.

E ORA VINCENZO CHE FA? VA IN PENSIONE? “Macché! Mai! Io ora mi prendo cura dei clienti. Ormai sono delle persone di famiglia e così condivido con loro qualche chiacchiera e molte coccole culinarie”.


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“Era il 1993 l’anno in cui decisi di associarmi all’Associazione Verace Pizza Napoletana, potendo garantire il rispetto di quei requisiti che da sempre portiamo avanti, iniziando dal forno a legna realizzato da mastri fornai che lavorano con la stessa passione da generazioni. E poi l’utilizzo di prodotti semplici e sempre freschi, scelti accuratamente dai produttori locali ma anche importati dalla mia terra d’origine. Credo fermamente che non sia affatto scontato ritrovare facilmente la tradizione, la semplicità e la genuinità che caratterizza noi e la vera pizza napoletana”.

SE DUNQUE VOLETE MANGIARE UNA VERA PIZZA NAPOLETANA, POTETE ANDARE A BOLZANO. VINCENZO INFATTI CON ORGOGLIO E ABNEGAZIONE È RIUSCITO A INSTILLARE IN QUESTO TERRITORIO LA PASSIONE PER UN PRODOTTO CHE RAPPRESENTA MOLTO PIÙ DI UNA TRADIZIONE. E LO HA FATTO CREDENDOCI SIN DALL’INIZIO, IN QUANTO LA TARGA ALL’ESTERNO DELLA PIZZERIA RECA IL NUMERO 58 TRA GLI ISCRITTI ALL’ASSOCIAZIONE VERACE PIZZA NAPOLETANA. SI TRATTA DI UNO DEI PRIMI LOCALI FUORI DA NAPOLI AD AVERE SCELTO QUESTO PERCORSO.

LA CURIOSITÀ CI SPINGE A CHIEDERE A ZIO ALFONSO QUALE SIA LA SUA PIZZA PREFERITA:

"solo amore ed esperienza fanno la differenza"

"La pizza è una cosa semplice: le giuste dosi di acqua, sale, farina, un pizzico di lievito di birra e il giusto tempo di lievitazione conferiscono al prodotto gusto e leggerezza. Niente di più: solo amore ed esperienza fanno la differenza. L’impasto riposa per un periodo compreso tra le 24 e le 48 ore e si condisce con pomodori pelati, fior di latte fresco, una spolverata di Parmigiano Reggiano, olio extravergine e l’immancabile basilico fresco".

Semplicità e genuinità emergono subito però leggendo tutto il menù: le specialità – oltre alla Margherita amata da Vincenzo – vanno dal calzone fritto alla pizza con salsiccia e friarielli, alla parmigiana, al ragù napoletano, alla pastiera. Eccellenze che piacciono molto anche alla critica gastronomica, a giudicare dall’attenzione sempre crescente che – in un mondo in costante rinnovamento – riconosce in “zio Alfonso” un baluardo della tradizione.


AL TUO FIANCO IN OGNI BATTAGLIA

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Una Verace... senza glutine

Il gusto del gluten free a Bologna

Senza Glutine

di Alfonso Del Forno Mangiare una pizza senza glutine in ogni città che si visita è quasi un mantra per chi scrive di questo argomento. Ogni volta che organizzo un viaggio in qualche città dove non ho “sondato il terreno” pizza gluten free, mi adopero per trovarne almeno una da assaggiare. In una recente permanenza a Bologna, ho avuto il piacere di imbattermi in una pizzeria in pieno centro, “La Verace” in Via Cairoli 16, che pubblicizzava l’offerta di pizza e gastronomia tradizionale bolognese senza glutine. Una volta arrivato al locale, dove avevo precedentemente chiamato per accertarmi della cucina gluten free, sono stato ac-

ACCANTO Sala interna La verace Bologna


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colto con molto garbo e, una volta seduto, mi sono precipitato a dare uno sguardo al menu. Arrivato alle pagine delle pizze, leggo che tutte le pizze possono essere realizzate anche con impasto senza glutine, ma la cosa curiosa è il prezzo. In genere si applica un sovrapprezzo rispetto alle pizze normali, che varia tra i due e i tre euro. In questo caso le pizze senza glutine avevano tutte lo stesso prezzo: 12 euro! In genere assaggio una margherita, ma in questo locale ho deciso di prendere una quattro stagioni, per conoscere meglio, oltre all’impasto, anche le materie prime usate per il topping.

GRUPPO

SOPRA Pizza quattro stagioni

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pizza e pasta italiana marzo

2022

La sorpresa è arrivata con l’assaggio, grazie all’impasto ben cotto che faceva da base alla guarnizione realizzata con materie prime molto buone e ben combinate nei quattro gusti: margherita; pomodoro, funghi e origano; pomodoro, capperi, olive e carciofi; salsiccia, friarielli e mozzarella. Soddisfatto della pizza mangiata, torno in camera con la consapevolezza che al mio prossimo viaggio a Bologna, saprò dove mangiare una buona pizza senza glutine.

Senza Glutine

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SOPRA Bologna, centro ACCANTO Trancio pizza quattro stagioni

Bologna


LE AZIENDE INFORMANO

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Dr. Schär: l’impegno dell’azienda leader nel gluten-free per la sostenibilità delle materie prime di origine vegetale SCHÄR foodservice.it@drschaer.com www.schaer-foodservice.it tel. 0473 293595

F

in dalle sue origini, nel 1922 nel cuore delle Alpi, Dr. Schär ha prestato grande attenzione all’approvvigionamento responsabile e trasparente delle materie prime, priorità per la salute e per il rispetto dei principi etici dei consumatori e dell’azienda. •

www.schaer-foodservice.it

Da 10 anni ha adottato il sistema della filiera per la coltivazione di riso, mais, sorgo, miglio, grano saraceno, lenticchia ed avena. “Filiera” significa garanzia delle materie prime, elevati standard qualitativi e numerosi controlli di qualità. Oltre a ciò, vuol dire rapporti di collaborazione di lunga data, fiducia nella relazione a tre tra azienda, coltivatore diretto e mulino, ricerca e continuo scambio di know how. Per la coltivazione dei cereali che utilizza sceglie le aree vocate, ovvero quelle che tradizionalmente hanno visto il prosperare di una determinata coltura in modo naturale, senza bisogno di eccessiva manipolazione del terreno da parte dell’uomo. Ovunque possibile associa la zona di coltura a quella di produzione, così da limitare l’impatto del trasporto sull’ambiente.

Dal 2016 utilizza olio di palma certificato, proponendo anche soluzioni palm oil free e utilizzando il burro per i prodotti che tradizionalmente lo prevedono, o miscele di altri oli vegetali. Nel 2020 ha acquisito la certificazione UTZ, contribuendo a sostenere una organizzazione che punta a rendere più sostenibile la coltivazione del cacao e a migliorare le condizioni di lavoro di quanti operano in questa industria.

Dr. Schär ha dedicato al canale Horeca un assortimento esclusivo. Per scoprire di più www.schaer-foodservice.it


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Provoloni a marchio Dop le due eccellenze italiane, espressione di Nord e Sud di Caterina Vianello

Una pasta filata ad accomunare il procedimento di lavorazione, ma due storie e due universi gustativi differenti: ecco gli unici due provoloni certificati in Italia, il Valpadana e quello del

Monaco, entrambi di latte vaccino. Per conoscerne origini e peculiarità, abbiamo pensato di raccontarveli nei dettagli, in un viaggio geografico da Nord a Sud.


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Provolone Valpadana Non c’è dubbio che quel “valpadana” nel nome sia lì a circoscrivere un’area di produzione ben delimitata: il Provolone “del nord Italia”, a marchio Dop dal 1996, viene prodotto nell’intero territorio delle province di Cremona, Brescia, e alcuni comuni delle province di Bergamo, Mantova e Lodi, in Lombardia; Verona, Vicenza, Padova e Rovigo, in Veneto; alcuni comuni della Provincia Autonoma di Trento e nella provincia di Piacenza, in Emilia-Romagna. Se l’immaginario collettivo legato al mondo caseario italiano porta a collocare geograficamente le paste filate nel centro sud dell’Italia, la storia del Valpadana è pronta a smentire i pregiudizi. A voler ben guardare, le origini risalgono al Medioevo e si intrecciano con le opere di bonifica e canalizzazione delle acque dei fiumi Lambro ed Adda compiute dai monaci cistercensi: il territorio ne risultò trasformato e si gettarono le basi per un sistema economico basato su agricoltura e allevamento bovino che, dal nucleo originario, si diffuse a tutta la Pianura Padana. E’ tuttavia nella seconda metà del XIX secolo che nasce la produzione: è infatti con l’Unità d’Italia del 1861 che si assiste alla combinazione tra la vocazione lattierocasearia del territorio e la cultura delle paste filate. L’insediamento al Nord di imprenditori provenienti dal meridione, che avevano trasferito nelle province di Piacenza, Cremona e Brescia le proprie attività produttive è determinante.

La denominazione "Provolone" compare in letteratura per la prima volta nel 1871, nel "Vocabolario di agricoltura di Canevazzi-Mancini" (Cappelli, 1871): definisce una provola di grandi dimensioni, ed in effetti è proprio una misura più grande rispetto a quella delle altre paste filate diffuse nel meridione, a distinguere il provolone. La denominazione di origine "Valpadana" arriva invece più tardi, nel 1993.


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Per gli amanti delle definizioni, il Provolone Valpadana Dop è un formaggio semiduro a pasta filata. Viene prodotto in due tipologie, dolce e piccante: la differenza risiede sia nell’uso del tipo di caglio, vitello per quello dolce, capretto e/o agnello per quello piccante, sia nelle dimensioni, più contenute per il primo, più grandi per il secondo. Dopo la mungitura, il procedimento di lavorazione prevede che il latte (di vacca frisona), venga arricchito da siero-innesto, cioè siero proveniente dalla lavorazione del giorno precedente e lasciato riposare un giorno e una notte. Viene quindi aggiunto il caglio animale, diverso a seconda della tipologia dolce (vitello) o piccante (agnello e/o capretto) per la tipologia Piccante. Raggiunta la consistenza sufficiente, la cagliata viene rotta meccanicamente; in seguito si aumentata la temperatura in caldaia e, al termine, la massa viene travasata su appositi tavoli per l’acidificazione e il drenaggio. La pasta viene poi sottoposta a riscaldamento e successivamente filata e quindi modellata manualmente o servendosi di stampi appositi, a seconda della forma che si vuole ricavare. Una volta modellata, la pasta viene messa a salare in salamoia per un tempo variabile da poche ore fino a 30 giorni, in relazione al peso della forma. La stagionatura minima varia da 10 giorni, per le forme più piccole, a 30 per quelle medie, a un minimo di 90 giorni per quelle più grandi e per la tipologia piccante, che può superare il 12 mesi. Prima della stagionatura si procede anche alla legatura, da cui sono visibili manualità, arte e maestria del casaro.

In genere le forme più piccole sono quelle del Provolone Valpadana in versione dolce. Quella piccante è invece tipica dei formati più grandi, che possiedono le giuste caratteristiche chimico-fisiche per far fronte al processo di stagionatura. Il Valpadana ha crosta sottile, lucida e liscia, di colore giallo chiaro, dorato e tendente al giallo bruno o paglierino nel caso di quello piccate. La pasta è compatta, semidura, con eventuale leggera occhiatura, sfogliata e di colore avorio o giallo paglierino. Il sapore è delicato per il tipo dolce. In cucina è ideale tagliato a cubetti in insalata o antipasti; si abbina bene a pere, noci e pane; ottimo in fonduta, viene esaltato sulla pizza. Sapore più deciso e intensità aromatica maggiore per il piccante, che può essere protagonista di torte salate, soufflé, secondi di pesce e carne. Il Provolone Valpadana può essere anche affumicato, sia in versione dolce che piccante. Vengono in genere scelte le forme più piccole, intorno al kg di peso per la versione dolce, mentre si privilegiano quelle più grandi per il piccante. L’affumicatura prevede un’aromatizzazione attraverso il “fumo liquido”, che può essere aggiunto per nebulizzazione, docciatura, immersione o iniezione. Inconfondibile, il caratteristico aspetto esterno brunito giallo-marrone.

Sono 4 le principali forme del Provolone Valpadana: a fiaschetta, il formato più piccolo a disposizione, con una sfera sormontata da una “testolina”, che viene utilizzata per la legatura

tronco-conica (chiamata anche gigantino)

melone/pera, caratterizzata da una base più larga e una sommità più stretta

salame (detta anche pancettone), che è la forma più comune utilizzata e tagliata per la grande distribuzione ma impiegata anche per i grandi formati



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Provolone del Monaco Ci si sposta decisamente più a sud, in Campania, per il Provolone del Monaco. Formaggio semiduro a pasta filata, è stagionato e prodotto esclusivamente con latte crudo vaccino ottenuto per almeno il 20% da bovine di razza Agerolese (diffusa oggi solo nei comuni di Agerola e Gragnano), e per la quota restante da razze diverse (Frisona, Brunalpina, Pezzata Rossa, Jersey, Podolica). La zona di produzione comprende 13 comuni della provincia di Napoli (Agerola, Casola di Napoli, Castellammare di Stabia, Gragnano, Lettere, Massa Lubrense, Meta, Piano di Sorrento, Pimonte, Sant’Agnello, Sorrento, Santa Maria La Carità, Vico Equense). Vale la pena ricordare che la razza Agerolese ha rese modeste, ma il latte che produce vanta un’altissima qualità, dovuta ad una serie di fattori, tra cui le caratteristiche microclimatiche e la conformazione geografica dell’are dei Monti Lattari. A voler cercare le origini del Provolone del Monaco, bisogna risalire al 260 a.C, quando i Picentini, primi abitanti dei Monti Lattari, cominciarono ad allevare bovini. Determinante il ruolo dei Borboni che favorirono il miglioramento genetico degli animali ma il merito del raggiungimento di una nuova razza, l’Agerolese appunto, si deve ad Paolo Crescenzo Avitabile, che incrociò meticci di Bruna e Podolica con la razza Jersey. Quella di Avitabile è una storia nella storia e merita di essere raccontata. Nato Agerola nel 1791, 1850, trascorre la maggior parte della vita in Oriente. Da giovane, in Italia, combatte per Napoleone (Waterloo) e per i Borboni (assedio di Gaeta), poi lascia il regno e parte come soldato di ventura. La destinazione è l’America ma un naufragio lo fa desistere e gli fa scegliere l’Asia. Arriva in Persia nel 1820 dove diventa generale dell’esercito dello Scià. Ambizioso e determinato, nel 1827 è al comando delle truppe del Maharaj Singh, fondatore dell’impero Sikh, mentre nel 1835 fonda nel nord-ovest del Pakistan, nella regione del Panjab, la città di Wazirabad. Diventa quindi governatore del Peshawar, turbolenta zona di confine in guerra con i ribelli afgani. Qui nasce la fama circa la sua disciplina e la sua brutalità, che gli consentirà di domare i ribelli con metodi di terrore ricordati ancora oggi: in quei luoghi, per spaventare i bambini, le madri li minacciano di chiamare l’uomo nero, Abu Tabela, nome di Avitabile in Oriente. La fama di Avitabile arriva fino agli inglesi, che si rivolgono a lui per contrastare gli afghani. L’operazione riesce, liberando il territorio in favore dell’esercito britannico e anni dopo, quando il militare decide di tornare a casa, gli inglesi, come ringraziamento, gli regalano alcune vacche di razza Jersey, all’epoca preziosissime, tanto che non potevano essere portare fuori del Regno Unito. In patria, Avitabile sperimenta e incrocia le vacche autoctone con la Jersey dando origine appunto alla razza “Agerolese”. E’ del 1909 la prima descrizione dettagliata della razza ma è solo nel 1952 che si registra ufficialmente il nome di “razza Agerolese”.

La nascita del nome "del Monaco" è invece legata alla storia della commercializzazione del provolone: la tesi più accreditata vuole che, vista la necessità di trovare sbocchi commerciali più ampi, i casari che dimoravano sui Monti

Lattari si spingessero fino ai mercati della città di Napoli. Raggiungevano la città via mare e per proteggersi da freddo e umidità si coprivano con un grande mantello simile ad un saio che li faceva assomigliare a dei monaci. Ben presto soprannominati monaci, l'appellativo finì per estendersi anche al formaggio che trasportavano. Il procedimento di lavorazione prevede che il latte venga fatto coagulare per 40-60 minuti con aggiunta di caglio in pasta di capretto o caglio naturale liquido di vitello. Una volta raggiunta la consistenza desiderata, la cagliata viene rotta in grani grandi quanto un chicco di mais e lasciata riposare per 20 minuti, quindi riscaldata fino a 48-52°C e lasciata riposare per altri 30 minuti. Viene quindi estratta dal siero e trasferita in teli di canapa o cestelli forati. Quando la pasta è sufficientemente elastica, si procede al taglio in fettucce di dimensioni variabili e poi alla filatura, modellandola a mano con l’aiuto di acqua a 85-95°C. Le forme ottenute, una volta rassodate in acqua fredda e salate in salamoia, sono legate a coppie e appese su apposite incastellature dove asciugano per 10-20 giorni, successivamente vengono messe a stagionare in ambienti a temperatura compresa tra gli 8°C ed i 15°C per non meno di sei mesi, ma arrivando anche ai 18. La forma tipica è simile a quella di un melone allungato o di pera senza testina, divisa in un minimo di sei facce, e di peso variabile tra i 2,5 e gli 8 kg. La pasta ha consistenza elastica, compatta e uniforme con occhiature di diametro variabile sino ai 5 mm. La crosta è sottile e quasi liscia, di colore giallognolo con toni leggermente scuri e tende a diventare più gialla e spessa quando la stagionatura supera i 7-8 mesi, rendendo anche la pasta più consistente. Il sapore è dolce e burroso, decisamente articolato per la presenza di note piacevolmente piccanti, che si fanno più penetranti ed intense con l’avanzare della stagionatura. La Denominazione di Origine Protetta è 2010. Sono molti i piatti che permettono di valorizzare al meglio il Provolone del Monaco. Il piatto forse più rappresentativo è la “pasta e patate”. Origini poverissime, prevede che il formaggio, sia grattugiato che in scaglie sottili scaglie, aggiunto alla minestra, oltre a renderla golosissima e vero comfort food riesca, grazie al calore, a esprimere al meglio le sue caratteristiche, i suoi aromi e i suoi profumi.


il buon pomodoro italiano

“Gli artisti della pizza”. Sarà un anno da leccarsi i baffi. C’è una ghiotta novità che darà più sapore al nuovo anno, un calendario che porterà la giusta nota di colore. Tante idee da assaporare ogni mese con i nostri dodici “Artisti della pizza”. Marzo è stato dedicato al nostro caro pizzaiolo Manuel Maiorano che con la sua pizza “Regina Margherita DOP” ha lasciato tutti a bocca aperta.

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A Parma ad Aprile torna il

Campionato Mondiale della Pizza

V

di David Mandolin

Ventotto edizioni del Campionato Mondiale della Pizza ci hanno raccontato tante storie umane e professionali differenti ed entusiasmanti: migliaia di pizzaioli da tutto il mondo sono venuti negli anni a cimentarsi in una tre giorni di gare che da sempre è sinonimo di passione, ricerca, sperimentazione e confronto. Mancano ormai poche settimane all’appuntamento del 5 aprile che aprirà a Parma la ventinovesima edizione, dopo due anni di stop forzato. Si riparte in presenza, tra i primi grandi eventi dedicati ai professionisti dopo le fiere di questo mese; due anni in cui si sono accumulate energie e voglia di ritrovarsi e di confrontarsi. “Dopo due anni difficili”, il pensiero di Massimo Puggina, editore di questa rivista che organizza la manifestazione “siamo di nuovo ai blocchi di partenza, con una voglia di incontrarci e confrontarci che non è stata minimamente scalfita dalla pandemia. Dal 5 al 7 aprile, il mondo della pizza si ritrova a Parma per celebrare la regina della cucina del Belpaese.

Abbiamo fatto tesoro di questo stop per rendere ancora più ricco il programma dell’evento, organizzato in totale sicurezza: a gare e premiazioni si alterneranno incontri e seminari per professionisti. Le iscrizioni sono state oltre ogni aspettativa, 40 nazioni saranno rappresentate con l’Italia ovviamente in prima fila. Il settore della pizza ha voglia di reagire e la sua forza si esprime nello spirito di appartenenza”. L’edizione di quest’anno vedrà dunque confermate le diverse specialità nelle quali i professionisti da tutto il mondo potranno cimentarsi, un’occasione di confronto e di approfondimento con i propri colleghi: la pizza classica tonda, la Napoletana Stg, la Teglia e la Pala, la Senza Glutine, la Pizza a Due con il lavoro in coppia di chef e pizzaiolo che il Mondiale per primo introdusse più di una decina di anni fa, la gara di primi piatti in pizzeria Trofeo Heinz Beck – che vedrà il famoso tre stelle Michelin presiedere la finalissima il 7 aprile – oltre alle gare di abilità.

Vi sarà ampio spazio anche per la didattica e la formazione rivolta ai professionisti che gareggeranno e che visiteranno l’evento: il Pizza World Forum è un’area workshop – ormai al suo terzo anno - tenuta da professionisti per i professionisti che permetterà di coniugare approfondimenti didattici, aggiornamenti sui trend di settore e confronti. Il Campionato del Mondo vive però principalmente delle storie e delle emozioni che portano con se i professionisti da tutta Italia e dal mondo che negli anni hanno contribuito a rendere unico questo evento: ricordi, suggestioni e sensazioni indescrivibili che ogni professionista porta dentro di se, nelle lunghe ore di lavoro al forno di tutti i giorni. Ne abbiamo voluto sentire alcuni che negli anni hanno vinto a Parma: Gianni Calaon, i fratelli Vincenzo e Aniello Mansi, Jeremy Viale dalla Francia e Laura Meyer dagli Stati Uniti, e vi riportiamo di seguito le loro parole.


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Laura Meyer Cosa ha significato per te partecipare tra tanti bravi colleghi? “Sin da quando ero così giovane, significava davvero molto per me. Mi ha mostrato quanta passione ci sia nel fare la pizza. Negli Stati Uniti la posizione di pizzaiolo non è così apprezzata come in Italia e vedere quanto sia importante per così tante persone ha davvero rafforzato la mia passione per il mestiere”.

Laura, qual è il tuo primo ricordo se pensi al Campionato Mondiale della Pizza? “Il mio primo ricordo risale al 2013. Questa è stata la prima volta che ho gareggiato ai Campionati del Mondo e solo la mia seconda competizione in assoluto. Ricordo di essere stato così sopraffatta da quanto fosse grande la concorrenza ma allo stesso tempo sbalordita da quanti pizzaioli ci fossero. Questa è stata la mia prima esperienza con così tanti pizzaioli appassionati e mi ha davvero mostrato quanto sia grande la community della pizza”.

Quali emozioni hai provato quando sei stato chiamata sul podio? “Era il 2013, gara di pizza in Teglia: non mi sarei mai aspettata che il mio nome venisse chiamato e così, quando ho sentito il mio nome più di una volta quella notte, sono rimasta scioccata. Non mi sarei mai immaginata di vincere il primo posto tra tanti pizzaioli di talento e tanto meno in così giovane età”.

Oltre al gusto per la competizione, cosa significa per te il Mondiale? “Il Campionato del Mondo significa molte cose per me. Vincere può significare molto per far crescere la mia attività, ma più di ogni altra cosa significa comunità. Ho stretto legami con pizzaioli di tutto il mondo. So che in qualsiasi momento posso raggiungere chiunque e imparare qualcosa di nuovo o acquisire una nuova prospettiva. Ci vediamo solo una volta all'anno, ma ogni volta è come una riunione di famiglia”.

Jeremy Viale “Il Campionato Mondiale della Pizza rappresenta senza dubbio per me l'occasione per confrontarmi con i migliori pizzaioli del mondo e per cercare di dare il massimo delle nostre possibilità. Il mio ricordo più bello è stato quando sono stato chiamato sul palco per il titolo di Campione del Mondo (gara di Pizza A Due in coppia con Desmurs Frederic nel 2019, n.d.r.).

"Ci vediamo solo una volta all'anno, ma ogni volta è come una riunione di famiglia"

È impossibile descrivere il sentimento che si prova, è così… eccezionale sentirsi chiamati sul tetto del mondo della pizza!

Vittoria a parte per me l’emozione più grande di ogni edizione è quella di poter partecipare con buoni colleghi ed inoltre l'opportunità di condividere e incontrare persone fantastiche e vivere un'esperienza”.


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"il Campionato è anche “sfruttare” un mondo di risorse molto competenti e continuare a rivedersi e confrontarsi con i colleghi perché la crescita davvero non finisce mai”

Vincenzo e Biagio Mansi

Vincenzo e Biagio Mansi sono fratelli e tra i rappresentanti di una vera e propria dinastia familiare (ricordiamo anche Antonio e Aniello tra coloro i quali hanno gareggiato e a volte primeggiato al Campionato) di grandi professionisti della pizza. Biagio Mansi ha vinto nel 2017 la gara di Pizza Napoletana Stg,

Gianni Calaon “Se penso al Campionato Mondiale il mio pensiero va sicuramente a tutte le persone che ho conosciuto nei vari anni a partire dal lontano 1997! Quando sono salito sul gradino più alto del podio (Pizza Classica nel 2010, Pizza in Pala nel 2013 e con il Team Penelope nel 2017 per la Squadra assieme a Manuel Baraldo, Stefano Miozzo, Nicoletta Fornasiero e Roberto Minelli n.d.r.) ho provato un'emozione indescrivibile… Per me però il Campionato è anche “sfruttare” un mondo di risorse molto competenti e continuare a rivedersi e confrontarsi con i colleghi perché la crescita davvero non finisce mai”.

“Ricordo i primi Campionati – è Vincenzo Mansi che parla, secondo classificato nel 2012 gara Napoletana Stg e vincitore nel 2019 del Premio Speciale Fair Play per incarnare lo spirito di condivisione e sportività della manifestazione n.d.r. - che si svolgevano a Salsomaggiore Terme. C’era un’atmosfera molto familiare, l’ambiente era più piccolo e ci si conosceva tutti. Adesso è molto più grande nelle dimensioni e nella partecipazione complessiva ma sempre ben fatto”.

Che emozioni hai provato quando sei stato chiamato sul podio? Biagio: “Un’emozione indescrivibile, che solo al Campionato Mondiale della Pizza puoi provare. Tanta gioia nel cuore e felicità nel tornare a casa vincitore. Questo mi ha dato la voglia di fare sempre di più e mi ha aperto la mente a ricercare sempre idee nuove riguardo gli impasti, i condimenti e le materie prime che utilizzo nella mia pizzeria”.

Cos’ha significato per voi partecipare tra tanti bravi colleghi? “Il potersi confrontare con i migliori ti spinge a dare sempre il meglio di te stesso. Essendoci anche persone che vengono da tutto il mondo si possono imparare tante cose nuove e ciò da sempre spunto per nuove idee”.

Oltre al gusto per la gara cosa significa per te il Campionato del Mondo?

“Un evento di grande spessore che ti porta a conoscere anche tante aziende riguardanti il nostro mondo. Innovazione e soluzioni sempre all’ avanguardia da portare nella propria città appena tornati. Ti fornisce inoltre la possibilità di conoscere tante persone con idee diverse ed esperienze di vita differenti con le quali confrontarsi”.

Buon Campionato a tutti!


PARTNER UFFICIALE CAMPIONATO MONDIALE DELLA PIZZA


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La Bresaola della Valtellina Igp ed il Consorzio di Tutela a cura della redazione


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Il termine Bresaola, in passato brazaola, brisaola o bresavola, è d’origine molto incerta. Infatti, se il suffisso “saola” può facilmente ricondursi all’utilizzo del sale nella conservazione del prodotto, più difficile è individuare un’interpretazione unica e condivisa sull’origine del termine nella sua completezza. Secondo una prima interpretazione, l’etimologia si può ricercare nella voce germanica “brasa”, brace, dal momento che anticamente, per riscaldare e deumidificare l’aria dei locali di stagionatura, venivano utilizzati dei bracieri, dai quali si sprigionava un fumo aromatico, ottenuto gettando bacche di ginepro e foglie di alloro su carboni ardenti di legno di abete. Secondo altra interpretazione invece l’origine del nome è da ricercarsi nel dialettismo locale “brisa”, che indica una ghiandola dei bovini fortemente salata e ancor oggi, con l’espressione “Sala come brisa”, si intende la carne molto salata. Con il passare del tempo poi l’originario “brisaola” si è trasformato nell’odierno “bresaola”.

La zona tipica di produzione di questo salume coincide con l’intero territorio della Provincia di Sondrio in Lombardia, che contiene due valli principali situate nel cuore delle Alpi: la Valtellina e la Valchiavenna. A quest’ultima la tradizione storico-letteraria attribuisce la paternità del prodotto. Il clima irripetibile della Valtellina e la conformazione particolare della valle giocano un ruolo fondamentale per rendere unica e inimitabile la Bresaola. L’aria che discende dal cuore delle Alpi e assume d’estate i profumi dei fiori e delle erbe aromatiche degli alpeggi si incontra nel fondovalle con la mite Breva, la tipica brezza che risale dal Lario (Lago di Como), generando un clima ideale per la graduale stagionatura della Bresaola.

Materia prima e processo produttivo La cultura della Bresaola della Valtellina si tramanda e si consuma da secoli. Un Disciplinare di produzione ne definisce regole precise nel rispetto della lavorazione tradizionale, garantendo l’autenticità, ma anche la sicurezza igienico-sanitaria, la tracciabilità e la qualità del prodotto. L’attenta selezione della materia prima è il presupposto fondamentale per ottenere un prodotto di qualità superiore.


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Punta d’Anca E infatti, per la produzione della Bresaola della Valtellina IGP vengono utilizzati solo i 5 tagli muscolari più pregiati (Punta d’anca, Magatello, Fesa, Sottofesa, Sottosso) di bovini di razze selezionate, di età non inferiore ai 18 mesi e mai superiore ai 4 anni, preferibilmente allevati all’ aperto e al pascolo e nutriti con alimenti selezionati. È una scelta di qualità perché tutti questi fattori contribuiscono ad assicurare carni migliori, sia dal punto di vista organolettico (ad esempio per consistenza, morbidezza, gusto, colore, magrezza e assenza di nervature), sia da quello nutrizionale (ad esempio per un minor contenuto in grassi). Per questo i produttori aderenti al Consorzio utilizzano principalmente carne proveniente da allevamenti europei e sudamericani, dove i sistemi di allevamento e i controlli in tutte le fasi della filiera garantiscono carni che rispondono alle elevate esigenze di qualità che richiede la produzione della Bresaola della Valtellina IGP. Operatori specializzati esaminano ogni singolo pezzo di carne, valutandone la qualità e, se necessario, procedono alla rifilatura, che deve essere effettuata con abilità e precisione al fine di asportare il grasso e le parti tendinose esterne senza incidere la polpa. La materia prima non conforme (per esempio perché eccessivamente marezzata o di colore anomalo) viene scartata.

È il taglio più pregiato, corrisponde alla parte della fesa privata del muscolo adduttore.

Fesa Corrisponde alla porzione posteromediale della muscolatura della coscia e comprende il muscolo retto interno, il muscolo adduttore ed il muscolo semimembranoso.

Sottofesa Corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e precisamente al muscolo lungo vasto.

Magatello Corrisponde alla porzione posterolaterale della muscolatura della coscia e più in particolare al muscolo semitendinoso.

Sottosso Corrisponde alla fascia anteriore della coscia, composta dal muscolo retto anteriore e dal muscolo vasto esterno, interno e intermedio.

La carne che supera il controllo di conformità viene cosparsa con una moderata quantità di sale e aromi naturali. La soluzione salina si forma con il succo della carne. Possono essere aggiunti vino, spezie, zuccheri (con lo scopo di favorire i fenomeni microbici responsabili in buona parte della stagionatura del prodotto), nitriti e nitrati di sodio e/o potassio, acido ascorbico e sale sodico. Tipologia e dosaggio degli aromi utilizzati danno alla Bresaola sfumature di gusto e di aroma e sono un segreto che ogni produttore si tramanda anche da secoli. La salagione dura almeno 10 giorni ed è interrotta dalle “zangolature”, cioè operazioni di massaggio, per consentire l’uniforme migrazione del sale e degli aromi all’interno della polpa.


BORN TO BURN

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SILVER NEW GENERATION

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NEW GENERATION

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NEW GENERATION

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Dopo la salagione, la carne viene insaccata in un budello naturale o artificiale e inviata all’asciugamento in apposite celle. Segue la stagionatura vera e propria, dove la bresaola riposa e “matura” ad una temperatura media tra i 12 e 18°C. La stagionatura, compreso il tempo di asciugamento dura da 4 a 8 settimane. Il Disciplinare vieta la disidratazione accelerata del prodotto, ma consente la ventilazione e l’esposizione all’umidità naturale della zona tipica di produzione. Anche in questa fase è fondamentale la capacità dell’operatore di apportare le giuste variazioni. Il marchio comunitario IGP Solo il prodotto stagionato che supera i controlli chimici, sensoriali e merceologici previsti dal Disciplinare può essere messo in commercio contrassegnato con il marchio IGP. Se non vengono rispettati i requisiti previsti dal Disciplinare viene invece declassato. Il controllo è realizzato a due livelli, oltre al controllo svolto dalle autorità sanitarie: l’autocontrollo del produttore e il controllo dell’Ente terzo di certificazione e sorveglianza indipendente, incaricato dal MIPAAF per assicurare l’oggettivo rispetto delle regole dettate dal Disciplinare e dal Piano dei controlli e vigilare sull’attività dei produttori riconosciuti.

Ricetta Tagliolini INGREDIENTI 400 gr di tagliolini freschi 120 gr di Bresaola della Valtellina IGP 80 gr di insalata trevisana o rucola Panna q.b. Burro q.b. Grana Padano q.b.

PREPARAZIONE Cuocere i tagliolini in abbondante acqua salata. Far rinvenire in una padella dai bordi alti l’insalata tagliata grossolanamente. Aggiungere la panna e la bresaola tagliata a striscioline larghe come i tagliolini. Addensare con un mestolo di legno e versare i tagliolini appena scolati. Servire con formaggio grana e, volendo, aggiungere un pizzico di noce moscata.



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Il cubebe dell’isola di Giava di Giampiero Rorato

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Nel racconto dei prodotti presenti nelle nostre cucine ci sono nomi che, spesso, pur sapendo a cosa si riferiscono, non sappiamo da dove derivino e non sembri strano se molti nomi che noi usiamo in riferimento a prodotti agroalimentari derivano dalla lingua greca e da quella araba. Non è questa l’occasione per fare

degli esempi e degli approfondimenti glottologici, ma solo per dire come tanti nomi di prodotti che noi normalmente usiamo nelle nostre cucine arrivano dall’Oriente e sono stati fatti conoscere nella nostra penisola dai Greci (ai tempi della Magna Grecia dal VII sec. prima di Cristo) e dagli Arabi, arrivati in Sicilia mille anni dopo i Greci.

Fra questi prodotti c’è il Cubebe, una spezia conosciuta anche come “pepe di Giava”. La parola “cubebe” deriva dall’arabo kababa, poiché furono gli Arabi a dare il nome a questa spezia, da loro conosciuta fin dal VII secolo, portata verso il Mediterraneo da mercanti naturalmente arabi e ancor oggi presente nella miscela di spezie marocchina denominata ras el hanout (spero di aver modo più avanti di raccontare anche alcune delle principali miscele di spezie che caratterizzano le cucine orientali e la cucina araba, con presenze in altre parti del nostro pianeta e so che diversi amici cuochi della Sicilia di queste spezie conoscono tutto e le usano con vera sapienza, meglio degli Arabi stessi).

Intanto ricordiamo che il cubebe è il frutto essiccato di una vite tropicale rampicante appartenente alla famiglia del pepe, originaria dell’isola di Giava e diffusa in altre isole dell’Indonesia. Questa spezia è caratterizzata da un aroma caldo e gradevole, con un sentore di pimento e un tocco di eucalipto. Nelle bacche fresche il sapore è di pino, intenso e brillante, con una nota amarognola persistente e un retrogusto di menta piperita. In cottura emerge un sapore di pimento. Il cubebe contiene un olio essenziale con sostanze che sono presenti anche nel pepe nero, ma si distingue da questo per il suo gusto amarognolo e per la sostanza aromatica che gli conferisce una caratteristica unica, non presente in altre spezie, cioè la cubebina.


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Nel lontano passato il cubebe era raccomandato come cura per l’infertilità. Come si legge nel famoso romanzo Le mille e una notte, che è poi una raccolta di storie del Medio Oriente e dell’Asia Meridionale, composta durante l’epoca d’oro dell’Islam, risalente al 900 d.C., cui risalgono le prime storie indiane, mentre l’edizione definitiva, contenente le storie islamiche, quella che noi conosciamo, risale al 1400. Le bacche di cubebe sono più lunghe, più grigie e più grinzose del pepe nero ed hanno un gambo minuscolo. Alcune contengono un solo seme, mentre altre nessun seme e sono vuote.

La sua diffusione Se il cubebe lo troviamo nel lontano passato presente nel mondo persiano ed arabo, ancor prima che il libro appena citato uscisse nell’edizione che noi conosciamo, esso era già arrivato in Polonia per aromatizzare l’aceto di vino, l’ocet kubebowy, assieme a cumino ed aglio. Nel 1640 il re del Portogallo, Giovanni IV di Braganza, vietò la vendita del cubebe per promuovere il commercio del pepe nero. Nel corso del 1700 il cubebe è molto menzionato nei libri di cucina, segno che era ben conosciuto e usato e si sa che al tempo della regina Vittoria (seconda metà dell’800), in Inghilterra si fumavano sigarette al cubebe. Ci sono ancor oggi nell’area mediterranea e in Europa delle ricette che prevedono l’impiego del cubebe, spezia molto diffusa nel Medioevo, anche perché costava meno del pepe nero e sono ricette

che risalgono per l’appunto a quei secoli lontani. C’è, infatti, chi lo candisce con zucchero o glassa di tamarindo. Nella cucina marocchina è spesso utilizzato in pasticceria; e, come scritto sopra, nel ras el hanout. Nella cucina indonesiana può essere ingrediente del masala. In Polonia, come detto, è usato per l’Ocet Kubebowy. Ci sono ancor oggi in Europa dei cuochi amanti delle spezie, specie di quelle meno conosciute ed usate, e impiegano anche il cubebe e bastano uno o due grani al massimo per preparazione, sia interi che macinati: interi per pietanze calde (ad esempio marinature, fondi, salse, brodi, zuppe), macinati per piatti freddi. Si consiglia però di abbinarlo ad altre spezie, zenzero, garofano, pepe nero, cannella, poiché il sapore del cubebe da solo è piuttosto amarognolo.


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La Comunità Europea e l’alcool di Alfonso Del Forno

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a Comunità Europea è da anni impegnata nella lotta contro il cancro, con una serie di iniziative che tendono soprattutto a prevenire l’insorgere di questa patologia. Uno dei progetti più ambizioni è il BECA (Beating Cancer), programma che prevede, tra le iniziative volte alla prevenzione, una riduzione dei consumi di alcool. I decessi attribuiti a quest’ultimo vedono il cancro

come principale causa; quindi, la stretta sulle bevande alcoliche è diventata una priorità della Comunità Europea. L’obiettivo è quello di una riduzione dei consumi di alcool di almeno il 10% entro il 2025, con una stretta anche sulla tassazione dell’alcool e sulla promozione commerciale, sia relativa ai servizi di media audiovisivi che sulle piattaforme di condivisione di video online.


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LA BIRRA

Intenzione della Commissione è quella di riesaminare la sua politica di promozione delle bevande alcoliche, proponendo l’obbligo di indicare l’elenco degli ingredienti e la dichiarazione nutrizionale sulle etichette entro la fine del 2022, mentre le avvertenze sanitarie sui danni da consumo di alcool diverrebbero obbligatorie entro la fine del 2023. I provvedimenti previsti da questa norma sono ritenuti molto penalizzanti da parte delle associazioni di categorie dei produttori di birra e vino, perché non inducono ad un consumo consapevole, ma tendono esclusivamente a demonizzare il consumo di alcool, di qualunque natura, senza un vero progetto di educazione al consumo. La regolamentazione sulla comunicazione dei prodotti contenenti alcool diventerebbe un ulteriore danno, non solo per i produttori, ma anche per tutte quelle attività che beneficiano delle sponsorizzazioni di aziende di birra e vino per poter esistere, come le manifestazioni sportive.

Altro tassello che poco convince i produttori è l’aggiunta della F nera nel Nutriscore, strumento che identifica con una lettera e un colore un alimento più o meno dannoso per l’uomo, che ha già riscosso pareri negativi in Italia per la penalizzazione che subirebbero prodotti di eccellenza come l’olio extravergine d’oliva e il Parmigiano Reggiano. Decisa la reazione di Vittorio Ferraris, presidente di Unionbirrai, che ha così commentato l’evolversi della discussione intorno al BECA: “Da anni promuoviamo la creazione di “bevitori consapevoli” attraverso i nostri corsi di degustazione, in cui non solo approfondiamo la conoscenza e la degustazione delle birre, ma puntiamo al loro consumo consapevole, inserito in un corretto stile di vita.



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pizza e pasta italiana marzo

2022

LA BIRRA

Bollare con una F nera i prodotti contenenti anche minime quantità di alcool, porterebbe un danno ad un comparto già colpito dagli effetti della pandemia, che non è fatto solo di produttori ma anche di tutto il mondo professionale che ruota intorno alla birra: dai distributori ai pub, dai beershop ai ristoranti”. Una voce, quella di Ferraris, che insieme alle altre dei vari comparti dei prodotti alcolici, sono arrivate fino a Bruxelles, dove il 15 febbraio scorso di è tenuta la seduta plenaria in cui si votava il provvedimento.

Durante la seduta

con l’eliminazione

fiume è emerso il

dell’obbligo

buon senso, con

di avvertenze

la scelta da parte

sanitarie sulle

dei parlamentari

etichette, come

europei di rendere

avviene per

meno drastico il

le sigarette, e

documento,

l’indicazione di un consumo consapevole dei prodotti.

Illustrazioni di Antonella Manenti

C

M

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pizza e pasta italiana marzo

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UN LIBRO AL MESE

Alla ricerca della pizza perfetta. Autore: Dario De Marco Casa editrice: 66THAND2ND Anno di pubblicazione: 2021 Prezzo di copertina: € 16,00


A cura della redazione

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Un viaggio sentimentale. I

n scaffali di librerie sempre più popolati da libri dedicati al cibo, in cui si trovano pericolosamente accostati l’uno all’altro chef che scrivono e celebrità di vario genere che cucinano, riuscire a trovare non solo qualcosa di nuovo da raccontare, ma anche farlo con contenuti approfonditi - e senza l’ausilio di immagini patinate di ricette irrealizzabili tra le mura domestiche assume i toni dell’impresa. E’ perciò con un sentimento misto a stupore, conforto e fiducia verso la possibilità reale di una letteratura gastronomica seria, che ci si accosta al volume di Dario De Marco, Alla ricerca della pizza perfetta. De Marco, giornalista, scrittore e pizzaiolo (qualifica la cui precisazione è fondamentale) ha scelto un sottotitolo che non solo spiega molto del senso e del significato del volume ma rivela immediatamente il fortissimo legame tra l’autore e un microuniverso - quello della pizza, della sua storia, degli ingredienti utilizzati e delle persone che impastano, studiano, sperimentano – che non smette, per fortuna, di muoversi ed evolversi. A chi chiedesse se si tratti di un ricettario, di un’autobiografia, di una guida gastronomica o di un volume dal taglio storico, la risposta potrebbe sembrare sfuggente: il libro di De Marco è infatti tutte queste cose insieme, esattamente come i singoli ingredienti che danno vita al cibo forse più popolare al mondo, la pizza. E non è un caso, forse, che nemmeno la tradizionale classificazione in capitoli, che

pure qui è mantenuta, veda assegnato a ciascun elemento un ruolo fondamentale nella composizione complessiva, esattamente come la relazione che lega ingredienti e risultato finale. Così, ecco che l’immersione nella materia prima si compie attraverso un percorso – un viaggio, appunto - tra acqua, sale, lievito e farina. La competenza di De Marco è felicemente evidente, non solo per il suo passato di pizzaiolo, ma anche per quello di allievo della Facoltà di Scienze Gastronomiche: accompagna il lettore intrecciando nozioni di chimica, biologia, storia, economia, sociologia, marketing, con episodi tratti dalla propria storia personale, evitando tuttavia il rischio di narrazioni lacrimevoli, stucchevoli o romanticheggianti. De Marco è di Napoli ma vive a Torino e forse proprio questa storia di emigrazione gli consente di parlare in modo consapevole di un argomento che in mano altrui avrebbe finito per diventare una celebrazione partenopea senza contradditorio. Ci si muove tra i vicoli di Napoli, si osserva il lavoro di notissime insegne cittadine, ma poi ci si sposta a Caserta, a Roma, a Torino, a Verona, per capire come la pizza si sia evoluta, la sperimentazione sugli ingredienti e metodi di lavorazione abbia dato vita a scuole diverse riuscendo a comprendere, per esempio, come la pizza gourmet non sia etichettabile semplicemente come un fenomeno, ma affondi le proprie radici in studio e competenza e come, soprattutto, possa essere riconoscibile grazie a determinate caratte-

ristiche. Tra i molti meriti, se ne devono due in particolare a De Marco: il primo è un’opera di debunking non indifferente (l’approfondimento sul lievito e la pasta madre è forse l’esempio migliore dopo che, negli ultimi tempi, molti si sono improvvisati lievitisti tra le mura domestiche), condotta senza spocchia e sempre argomentata e supportata da evidenze storiche, culturali, chimiche. Il secondo è quello di aver saputo dare valore alla pizza intesa nella sua accezione più ampia, considerando materie prime, ingredienti, pizzaioli, artigiani, chef, camerieri, clienti, ponendo sullo stesso piano produzione e fruizione, godimento gustativo, culturale, estetico, facendoci assaggiare tra le righe. Al termine di ogni capitolo, infatti, c’è una ricetta: in successione, napoletana, romana, gourmet e pizza perfetta. Ricette scritte in modo tradizionale? Ovviamente no, leggete, provate, assaggiate e godetevi il viaggio.




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