APEC RACCONTA n° 3 OTTOBRE 2018

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Questo numero di APEC RACCONTA propone un articolo che la collega Fiammetta Scimonelli scrisse nel 2008 per il NOTIZIARIO della nostra Associazione alla vigilia delle Olimpiadi di Pechino con un preciso obiettivo che poi è quello dell’APEC: ridare voce alla memoria di chi ha operato nel mondo dello sport italiano, ed in questo caso nelle varie edizioni dei Giochi Olimpici, fuori dal rumore delle cronache, senza fari puntati, poco conosciuti dal “grande pubblico”, ma che hanno tutto il diritto di essere considerati autentici protagonisti dei Giochi Olimpici degli ultimi decenni. Parliamo di impiegati e funzionari del CONI, che grazie al loro oscuro ma prezioso lavoro hanno anch’essi contribuito ai tanti successi sportivi del nostro Paese. Il racconto della nostra collega riguarda uno spazio temporale fra il 1968 ed il 2004, ed è per questa ragione che molti personaggi, prima e dopo quel lasso di tempo, non vengono nominati. Se qualcuno vorrà aiutarci a colmare questa “lacuna”, è ben accetto. D’altronde è proprio questa l’essenza del progetto speciale APEC RACCONTA. Buona lettura.

CINQUE CERCHI DI … NOSTALGIA di Fiammetta Scimonelli L’Olimpiade, per chi è cresciuto nello sport ed ha poi avuto la fortuna di lavorare al CONI, e magari di seguire le squadre con specifiche responsabilità, è una dolcissima inguaribile contagiosa malattia cronica. Che tocca il suo apice ogni quattro anni, ma che ti accompagna sorniona per il resto della propria vita. Dando una scorsa alla lista dei soci APEC, sono in tanti ad aver vissuto tali esperienze: chi più noto, perché “ha fatto carriera” nell’Ente, e chi meno, perché non ha occupato posizioni esposte. Come Umberto Silvestri, per esempio, che a Messico ’68 era addetto ai servizi di squadra: e chi più di lui, con la sua mole, la sua simpatia e la sua umanità poteva tenere a bada un settore tanto delicato, a disposizione giorno e notte, perché non si sa mai cosa possa capitare, dentro e fuori dal Villaggio olimpico. Nella missione ognuno ha il suo compito, ma di fronte agli imprevisti gli incarichi non valgono più: ciascuno affronta l’emergenza, con tutte le sue forze, senza lamentarsi o brontolare. Come accade in famiglia, né più né meno. Monaco ’72 rimarrà sempre uno degli esempi più classici di situazioni esplosive da dominare. Quando il 3 settembre, ad una settimana dall’inizio dei Giochi, i Fedayn entrarono nella palazzina israeliana, molto vicina a quella della missione italiana, prendendo in ostaggio alcuni componenti della squadra di Israele, la fiducia verso l’organizzazione tedesca sembrava subire qualche colpo e il panico poteva prendere piede. Ma alla guida della nostra missione c’era un uomo di equilibrio come Mario Saini che, se pur in non buone condizioni di salute (…sarebbe poi scomparso nei primi mesi del 1973) riuscì a gestire la grave situazione con particolare capacità, appoggiandosi in modo particolare al vice segretario della missione Mario Pescante, che l’anno successivo sarebbe stato eletto Segretario Generale dell’Ente. Con Mario Pescante a Monaco c’erano Luigi Cimnaghi, che si occupava della logistica, Lionello Cianca, Claudio Rainò, Ernesto Sciommeri, Lucia Vanicore in segreteria, Claudio Bruscoli all’amministrazione, Dolly Leoni come capo gruppo femminile. E i medici, con il carissimo ed indimenticabile Gustavo Tuccimei, Giorgio Santilli, Giovanni Caldarone, Carlo Fantini e i massofisioterapisti Angelo Cavalli, Giovanni Cimurri, Adolfo Crispi, Rodolfo Palombini e Cono Russo. E fuori dal Villaggio, ad occuparsi della stampa, Donato Martucci e la sottoscritta. Tutti uniti e coordinati, responsabili della gravità del momento, ma sicuri che il CIO avrebbe preso la decisione più giusta: proseguire i Giochi perché, come diceva Giulio Onesti “L’olimpismo non doveva e non dovrà mai arrendersi alla violenza”. Credo che anche per Bruscoli, come per me, Monaco ’72 sia stata la prima Olimpiade al seguito della squadra. Comunque, proprio allora è nato il nostro sodalizio lavorativo, di reciproco aiuto, che doveva durare fino alla scelta della pensione. Claudio era l’uomo più corteggiato ed inseguito di tutta missione. Occupandosi del settore amministrativo davanti alla sua porta c’era sempre una fila di segretari di Federazioni, di atleti, di componenti la missione che aspettavano di incontrarlo per chiedere soldi dovuti o anticipi. Fortuna che lui era un tipo calmo, poco incline alle arrabbiature, perché veramente in qualche occasione c’era da perdere la testa con le invasioni e le pretese frettolose. Questi i nomi dei suoi “clienti più pressanti” (come chiamava i suoi colleghi) costretti spesso a lunghe attese cui li costringeva Bruscoli, suo malgrado, per risolvere i problemi economici delle loro squadre: parlo di Aldo Stefanini (Capo Gruppo della Scherma), Vittorio Peconi (Capo Gruppo del Pugilato e a Seul ’88 del Canottaggio), Angelo Raffaele Giacomazza,( Capo Gruppo degli Sport Equestri), Enzo Vittorioso (prima come vice capo missione e poi come Capo gruppo del Nuoto), Antonio Orati (prima come Capo Gruppo e poi addirittura come Presidente del Tiro a segno), Luigi Cimnaghi (salito al rango di segretario e di Capo missione della Ginnastica), Giuseppe Brunetti (Capo gruppo del pentathlon moderno), Angelo Vergani (segretario della Federazione Sport Invernali), e tanti altri ancora. presenti in tante edizioni dei Giochi . E come loro, la precisa flemma di Bruscoli l’ha patita Gianfranco Cameli, per molti anni vice capo missione, così esperto e conosciuto in campo internazionale e così malato di Olimpiadi da volersene occupare in giro per il mondo anche dopo la pensione.


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