TESTIMONIAL & MEMORABILIA per tener sempre viva ed attiva la memoria sullo Sport Italiano

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TESTIMONIAL & MEMORABILIA Raccolta di ricordi per tener sempre viva ed attiva la memoria sullo Sport Italiano a cura di Augusto Rosati

Novembre 2019



PREMESSA

Il libro Testimonial & Memorabilia, che vi apprestate a leggere, è stato scelto come il Progetto dell’APEC presentato al CONI per l’anno 2019 e successivamente approvato dalla Giunta Esecutiva. Abbiamo voluto realizzare un libro, come valore aggiunto alla nostra ricerca, proprio perché rappresenta un veicolo di informazione e di comunicazione che consente di ampliare la platea di coloro che possono accedere ai contenuti, frutto del nostro lavoro. Questo per offrire ai Soci, e non solo a loro, importanti documenti, molti dei quali appartengono ai primi sessanta anni del XX secolo, una preziosa ricerca curata dal nostro socio Augusto Rosati. Un lavoro che è stato poi arricchito con l’inserimento di articoli di giornalisti di chiara fama, pubblicati sulle maggiori testate dell’epoca, tutte firme prestigiose, nomi che fin da ragazzi ci facevano sobbalzare dalla sedia. Ora però questi articoli li possiamo rileggere con molta più calma, apprezzandone l’essenza del loro valore. Per la nostra Associazione è motivo di grande orgoglio aver dato vita a questo progetto, che comunque il nostro DNA ci imponeva di realizzare. Infatti l’APEC, così come recita l’articolo n. 2 dello Statuto, deve “promuovere, diffondere e sostenere l’affermazione dei reali valori dello sport, attivando ogni azione finalizzata al recupero ed alla conservazione della memoria storica dello sport italiano”. Questo libro è la testimonianza del nostro percorso. L’APEC, inserita tra le 19 Associazioni Benemerite riconosciute dal CONI, si fonda su questi principi e si vanta di avere Soci che sono stati protagonisti di tali avvenimenti, chi contribuendo alla fase organizzativa, chi negli impianti, chi addirittura partecipando, con differenti ruoli, ai Giochi Olimpici, ai Campionati Mondiali o ai Campionati Europei nelle varie discipline sportive. Non si tratta di nostalgia, ma di ravvivare quei momenti che costituiscono la colonna portante di tutto il nostro movimento sportivo. Ci auguriamo vivamente che questa esperienza si possa ripetere in futuro. Noi siamo pronti. . Massimo Blasetti 3



INTRODUZIONE

Abbiamo deciso di titolare questo libro “Testimonial & Memorabilia”, perché ci è sembrato fosse più consono a certificare i temi proposti, finalizzati a dare un (seppur modesto) contributo, nel tener sempre viva ed attiva la memoria sullo Sport Italiano. “Testimonial”, perché questo libro si fa forte della nostra esperienza diretta di operatori professionali del CONI, Ente presso il quale abbiamo trascorso tutta la nostra vita lavorativa, Ente che per il grande Mondo dello Sport italiano è il “vertice di riferimento”. E così, in queste pagine, che volutamente proponiamo con modalità antologica (ndr: non è quindi un romanzo nel senso più classico del termine…), ricordiamo personaggi e fatti tirati fuori dalla “valigia della nostra memoria”, reminiscenze che hanno fondamento sulla nostra esperienza professionale, che per i più anziani di noi è anche esperienza diretta, vissuta sulla propria pelle. Si tratta di un particolare importante che caratterizza questo libro, un originale “pedigree” che ci è stato molto utile per individuare, valutare e riproporre alla luce anche aspetti e fatti “soffocati dall’oblio” in quanto sconosciuti ai più e soprattutto con meno appeal in termini di attenzione mediatica, che, come ben sappiamo, è più naturalmente e logicamente predisposta a mantener vivo il ricordo delle vittorie importanti, dei record e dei grandi eventi. “Memorabilia”, perché parliamo di fatti e di persone legati ad eventi, momenti ed atti che, per chi conosce cosa c’è e cosa accade dietro le “quinte dello sport”, furono (e sono da sempre) fondamentali, nel quadro d’assieme per raggiungere il “Successo”, qualunque esso sia e da chiunque sia conquistato. Ed abbiamo voluto riproporre narrazioni che meritavano di essere riportate a galla 5


e ricordate nel tempo, perché quei fatti sono stati fondamentali alla crescita ed allo sviluppo dello Sport italiano, e come tali da classificare in maniera eguale e non secondaria come elementi portanti del suo patrimonio storico. Ricordiamo che questo volume, che vorrebbe essere il primo di una serie, ha come filo conduttore “Roma 1960”, definito da tutti come l’Evento” per eccellenza, senza peraltro trascurare l’impegnativo percorso storico per arrivare a quella magnifica manifestazione. Nella narrazione abbiamo fatto ricorso a documenti originali relativi all’ambiente ove quei fatti si sono svolti, nonché a scritture redatte da terzi soggetti, che, per evidenti motivi temporali, sono stati, ancor più di molti di noi, testimoni diretti dei fatti riportati. Ma al di là del discorso metodologico seguito, ci preme evidenziare che questo libro (e quelli che ci auspichiamo di proporre in futuro) è stato realizzato nella consapevolezza che il “passato storico” (a qualsiasi entità faccia riferimento, quindi anche alla immensa Comunità dello Sport) non è un elemento di “staticità”, come può esserlo una statua o una lapide, ma esattamente il suo contrario, cioè di “dinamica”, perché la sua ragione di essere (e quindi il suo ricordo) è quella di dare alle generazioni successive stimoli di riferimento, per evolversi e migliorarsi. Con “Testimonial & Memorabilia” abbiamo inteso raccogliere e porre all’attenzione dei lettori ricordi e documenti dello sport italiano riferiti a fatti passati, proponendoli con una visione “terza”, quindi critica, ove pur evidenziando certamente gli elementi che si riferiscono alle tante categorie del “bene & bello” (e questo con la speranza che esse possano spronare le nuove generazioni all’imitazione delle azioni gloriose del passato) abbiamo altresì cercato di non omettere o trascurare anche quegli elementi appartenenti alle categorie del “male & brutto” (anch’esse tante!), così che le stesse “nuove generazioni” possano comprendere i significati e le cause delle criticità e dei fallimenti che si sono registrati nel tempo, e quindi consentire loro di attivare i dovuti anticorpi per non ricadere negli stessi errori. In altre parole la filosofia ispiratrice di “Testimonial & Memorabilia” è stata quella di considerare la Storia come “maestra di vita”, una “bussola” indispensabile a favorire il processo evolutivo della collettività cui essa fa riferimento, nella piena convinzione che la “memoria di ciò che è stato” ha influenza determinante su quel che noi siamo oggi. Buona lettura! Augusto Rosati 6


PARTE PRIMA



ROMA 1960, ATTI UFFICIALI

Nota introduttiva I Giochi della XVII Olimpiade svoltisi a Roma dal 25 agosto all’11 settembre 1960 rappresentano la massima esperienza della storia dello sport italiano del XX° secolo. L’inimitabile ed affascinante contesto ambientale, la spontanea partecipazione corale della Città Eterna con i suoi abitanti, il coinvolgimento emotivo degli ospiti, atleti, dirigenti e spettatori, la simbiosi di sentimenti e di amicizia tra tutti coloro che furono coinvolti nella manifestazione, a qualsiasi titolo e livello, sin dal primo momento che essa fu concepita e, soprattutto, mantenuta perennemente intatta nel tempo, possono sintetizzarsi, senza tema di smentita, nell’espressione “armonia totale”. Sia ben chiaro, stiamo parlando di una “armonia” non certo priva di un particolare e naturale dinamismo (…i due termini possono sembrare antitetici), come una manifestazione di quelle dimensioni richiede, e che, pur se con modalità “random”, abbiamo provato ad evidenziare su queste pagine, facendo ricorso a tre tipologie di supporti documentali, che per la qualità delle fonti di riferimento, sono da ritenere in assoluto “attendibili e certificate”. Innanzitutto abbiamo individuato e riproposto in sintesi alcuni documenti ripresi dal “Rapporto Ufficiale dei Giochi della XVIIa Olimpiade”, cioè l’elaborato riepilogativo che, a Giochi conclusi, fu predisposto e consegnato al CIO come testimonianza storica su una delle più belle Olimpiadi dell’era moderna: si tratta di due volumi “massicci” di circa 900 pagine ciascuno. I brani che pubblichiamo (o quantomeno i passaggi più significativi) sono in gran parte proposti in “versione originale”, e questo per meglio evidenziare, con dati concreti e senza poesia, come lo sport italiano ed in particolare i suoi quadri professionali, diedero il meglio di loro stessi in occasione di quell’irripetibile evento. 9


Abbiamo poi fatto ricorso ad originali report che ci hanno offerto anni fa, per una speciale pubblicazione celebrativa dell’APEC su Roma 1960, alcuni professionali del CONI che quella titanica esperienza ebbero la fortuna di vivere o direttamente da protagonisti, o pur solo da giovani spettatori. Infine abbiamo fatto ricorso ad articoli di giornale, alcuni dei quali redatti dalle più grandi firme del giornalismo italiano, per conoscere meglio anche gli aspetti più intimi di quella che noi dipendenti CONI con un certo orgoglio chiamiamo “la nostra Olimpiade”. Siamo convinti che questo particolare pot-pourri di informazioni, documenti e testimonianze offra una fotografia fedele della “armonia totale” cui abbiamo fatto riferimento, ma a rafforzare ancor più questa ipotesi riportiamo, a conclusione di questa nota introduttiva, quanto scrisse testualmente Giulio Andreotti, che della XVII^ Olimpiade fu presidente del Comitato Organizzatore, nella prefazione del Rapporto Ufficiale: “L’esperimento olimpico romano è pienamente riuscito grazie alla compattezza, alle capacità degli organi direttivi e dei vari comitati italiani e stranieri, e grazie allo spirito di sacrificio ed alla passione sportiva di tutti coloro che, ad ogni livello ed in ciascun settore, furono chiamati a collaborare con il Comitato Organizzatore.”.

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Capitolo 1 UNA SQUADRA CON 11.652 GIOCATORI

Tante furono le persone complessivamente impegnate nella organizzazione dei Giochi nel corso dei sette anni e mezzo che vanno dal 15 giugno del 1955 fino al 31 dicembre 1962. Per evidenziare come proprio tale squadra fu “il valore aggiunto” della manifestazione, riportiamo, in apertura del nostro racconto, la lettera che, il 21 giugno 1955, il Presidente del CONI, avv. Giulio Onesti inviò ai dipendenti dell’Ente spronandoli a partecipare uniti e solidali al grande progetto olimpico. Tale invito, come la Storia poi ha dimostrato, fu accolto in modo totale. “Ho appreso con quanta passione il personale del C.O.N.I. ha seguito le vicende che portarono alla giornata del 16 giugno e con quale entusiasmo venne salutata la notizia della assegnazione a Roma dei Giochi Olimpici. Rientrato in questa sede che è divenuta per noi una cara ed accogliente casa, desidero rivolgere a tutti una parola di commosso ringraziamento. La lotta del 16 giugno non poteva vincersi senza una lunga e seria preparazione, e ciascuno di voi ha contribuito nella sua parte ad essa. Non potevasi ottenere un così alto riconoscimento internazionale senza impegnare a fondo le forze dell’Ente; e ciò è stato reso possibile attraverso la compattezza, l’armonia e la operosità della nostra grande famiglia. Le nostre feste di gioia sono terminate. Esse raggiunsero il loro culmine nella commozione che prese tutti, la vostra maggioranza qui a Roma e la nostra esigua minoranza laggiù a Parigi. Ora possiamo prepararci ai grandi compiti che ci aspettano. Ma io vi chiedo di lavorare sentendo l’orgoglio e la responsabilità, delle funzioni, grandi o piccole in apparenza, e pur tuttavia essenziali, che verranno affidate a ciascuno. Lavoriamo con la medesima solerzia di sempre perché l’impresa di organizzare una Olimpiade si affronta una sola volta nella vita, sempre ché la sorte favorevole ci abbia fatte ottenere un così grande premio. Questo è il 11


caso nostro; e possiamo dire fra noi che la fortuna si è accoppiata, questa volta, alla virtù e ai meriti di tutti.”. GIULIO ONESTI, Presidente del CONI Dopo poco più di un anno e mezzo dall’assegnazione delle Olimpiadi alla città di Roma da parte del CIO (ndr: era il 15 giugno del 1955), fu creato all’interno del servizio del Personale un Ufficio Olimpiadi. Questa sezione, denominata semplicemente Ufficio Personale fu infatti costituita il 10 febbraio 1957. A quell’epoca l’Organizzazione destinata alla preparazione dei Giochi si valeva di un organico di 40 elementi, tra funzionari e impiegati, distribuiti nei vari uffici già operanti. Oltre all’assolvimento dei compiti ordinari, il nuovo Ufficio ebbe l’incarico di provvedere all’ingaggio di elementi idonei, in possesso, cioè, di particolari requisiti professionali tecnico-sportivi, oltre alla perfetta conoscenza delle lingue ufficiali dell’Organizzazione olimpica. Leggiamo in merito dal Rapporto Ufficiale: “Spesso l’assunzione del personale dovette effettuarsi con particolare celerità, stante per quasi tutte le richieste necessità di immediata soluzione. La progressione delle assunzioni si verificò, ovviamente, in conseguenza delle necessità organizzative che man mano si presentavano nelle Sezioni.” A questo punto dobbiamo ricordare che nel contesto della fondamentale e preziosa collaborazione, con le Forze Armate (aspetto che caratterizzò positivamente per tutto il periodo, dalla fase di preparazione a quella della smobilitazione, la bella avventura olimpica romana), fu costituito il Raggruppamento Olimpico Militare (denominato R.O.M.) che operò in stretta collaborazione con i dirigenti e il personale dell’Organizzazione olimpica. Continua il Rapporto: “…inoltre, presso alcune Sezioni, durante lo svolgimento dei Giochi, furono dislocate forti aliquote di collaboratori e di tecnici privati o provenienti da altre Amministrazioni (ndr: le loro retribuzioni furono erogate direttamente da ciascuna Sezione interessata tramite la Banca Nazionale del Lavoro). L’anno 1960 registrò l’accrescersi delle assunzioni ed il completamento dei quadri direttivi ed esecutivi in ogni settore dell’Organizzazione. Nella immediata vigilia delle Olimpiadi furono assunti anche i valletti destinati ai servizi stampa, l’ultimo contingente delle accompagnatrici-interpreti e il personale di controlleria. Contemporaneamente furono distaccati dagli Uffici del C ON I., e più precisamente dal Servizio del Totocalcio, 98 elementi tra funzionari ed impiegati, nonché furono utilizzati 140 Allievi e 140 Allieve dell’Istituto Superiore di Educazione Fisica (ISEF.). Il personale assunto fu distribuito negli uffici della Organizzazione a seconda delle esigenze delle varie Sezioni.” 12


Queste le “modalità e i poteri d’ingaggio” riguardanti le assunzioni del personale: “Inizialmente il personale direttivo fu assunto dalla Presidenza del C.O.N.I.; successivamente tale potere passò al Comitato Provvisorio Gestione Affari Olimpici; in un terzo tempo gli stessi poteri passarono al Comitato Esecutivo dei Giochi. Le assunzioni relative al personale di concetto e d’ordine, invece, furono affidate alla Commissione consultiva del personale che iniziò i suoi lavori il 27 ottobre 1959. Tale Commissione, attraverso 15 riunioni (ultima quella del 19 agosto 1960), adottò 379 provvedimenti, di cui 207 assunzioni, 172 deliberazioni varie, tra le quali vanno ricordate il trattamento economico del personale, l’orario di lavoro e le autorizzazioni di assunzione concesse alla sub-commissione per il personale La sopracitata Commissione consultiva del personale era costituita da Marcello Garroni, con funzioni di Presidente, da Fernando Monatti e da Gino Braga, con funzioni di segretario. Fu anche costituita una sub-commissione per il personale del Villaggio Olimpico composta da Giuseppe Fabre, dallo stesso Gino Braga e da Michele Bassignano, che svolgeva funzioni di segretario che tra il 29 febbraio ed il 30 luglio 1960 provvide all’assunzione di 185 persone. Nel Rapporto si tiene a precisare che: “tutti i provvedimenti adottati dalle due Commissioni del personale imposero lo scrupoloso esame dei documenti presentati da ciascun candidato attestanti, oltre ai normali requisiti personali, il risultato di prove specifiche. Infatti, onde poter procedere all’eventuale assunzione, ciascun aspirante subì particolari esami di lingue, di dattilografia, stenografia, ecc.”. Lavorare per le Olimpiadi era un traguardo molto ambito per tante persone, soprattutto giovani. Ed infatti durante il periodo della preparazione olimpica “…affluirono spontaneamente al Comitato Organizzatore, che non adottò alcun sistema pubblicitario, ben 8.003 domande di assunzione, regolarmente catalogate dall’Ufficio Personale.” Il maggiore numero di domande arrivò da coloro che conoscendo una lingua straniera si proponevano come interpreti (furono esattamente 3.562), ed a seguire da chi si proponeva come operaio o “uomo di fatica” (3.235). Le ragazze che ambivano a fare le steno-dattilografe furono 572, i candidati giornalisti furono 57, e poi ancora si presentò gente che si proponeva come “organizzatore sportivo” (139), direttori di lavori, disegnatori e assistenti (154), personale di anticamera, fattorini, autisti (240) e magazzinieri (44). Abbiamo accennato ad una progressione delle assunzioni nell’arco di tre anni e mezzo: ed infatti si passò dalle 40 unità del febbraio 1957alle 557 persone del 16 maggio del 1960. Il dato raddoppiò appena quarantacinque giorni dopo (1.192 al 30 giugno), 13


per poi arrivare al 25 agosto, giorno inaugurale dei Giochi, alla “bella” cifra di 11.652. Questi dati, è bene precisarlo, riguardano sia il personale del Comitato Organizzatore, sia quello delle Costruzioni Olimpiche, sia quello relativo all’organico del R.O.M. e delle altre Amministrazioni pubbliche e private. Il 12 settembre, giorno successivo alla conclusione dei Giochi, l’organico del personale fu rapidamente ridotto di 1.195 unità; nel successivo 10 ottobre i quadri dell’organico furono ulteriormente ridotti di 4.753 elementi, e, cioè, fu smobilitata la quasi totalità del personale impegnato nell’Organizzazione. A novembre risultavano ancora in servizio 128 elementi, tra funzionari ed impiegati (94 negli uffici dell’Organizzazione Olimpica, 34 negli uffici delle Costruzioni Olimpiche). Il 31 dicembre detto personale, che nel frattempo era stato impegnato negli uffici adibiti allo stralcio dell’Organizzazione, fu sensibilmente ridotto tanto che nel gennaio del 1961 era composto di 28 elementi. E questi furono impegnati per le ultime operazioni inerenti all’Organizzazione. Tra loro, come assoluto protagonista, c’era Angelo Menna, che ci racconterà la sua storia olimpica nelle successive pagine di questo volume.

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Capitolo 2 LA SEZIONE TECNICA

Breve ma efficace descrizione del “Rapporto Ufficiale” sulla Sezione Tecnica, autentico “cuore pulsante” di tutta la manifestazione, o, ancor meglio, elemento primario di tutta la macchina olimpica, ove emerse con evidenza la qualità e la preparazione di chi fu chiamato a farne parte. Molti di questi operatori provenivano dalle fila dell’Ente, come dipendenti o come collaboratori. Fondamentale e determinante fu il ruolo delle Federazioni Sportive Nazionali. Il 10 ottobre 1956 rappresentò una data fondamentale per tutto l’apparato nascente dei Giochi: venne costituita la “Sezione Tecnica” alla cui direzione fu chiamato il Rag. Virgilio Tommasi. Sullo schema delle direttive ricevute, la Sezione tracciò un primo programma di massima con relativo piano di lavoro i cui capisaldi principali si possono sinteticamente riassumere nei seguenti punti: costituzione dei vari comitati per ogni disciplina sportiva; elaborazione del programma agonistico e del programma orario; elaborazione dei regolamenti tecnici; gestione iscrizioni alle gare; preparazione e formazione delle giurie; scelta ed acquisto di attrezzi di gara; impiego del personale negli stadi; allestimento tecnico interno ed esterno degli impianti di gara e di allenamento; fabbisogno e movimento bandiere; servizio di cronometraggio. In pari tempo la Sezione provvide alla costituzione di appositi uffici interni: Centro Meccanografico, responsabile Edoardo Facello; Ufficio Coordinamento Comitati di Sport, responsabile Mario Vivaldi; Servizio Cronometraggio, responsabile Giovanni Romagna; Regolamento ed Iscrizioni, responsabile Giovanni Guabello; Ufficio Allenamenti, responsabile Amos Matteucci; Centro Raccolta Bandiere, responsabile Aurelio Chiappero. Uno dei primi problemi affrontati, onde predisporre una efficiente organizzazione per i vari sport compresi 15


nel programma dei Giochi di Roma, fu quello della scelta e del reclutamento di persone che per capacità organizzativa, competenza tecnica ed esperienza avessero offerto il necessario affidamento. Partendo dal principio che l’organizzazione tecnica doveva essere condotta per la parte direttiva da personale volontario, furono nominati in un primo tempo, in pieno accordo con le varie Federazioni sportive nazionali, dei fiduciari tecnici onorari prescelti tra elementi già praticanti attività agonistiche, che collaborarono con la Sezione Tecnica alla impostazione organizzativa del programma sportivo ed ai successivi sviluppi, mantenendo per questo lavoro costanti contatti con le Federazioni sportive interessate. Successivamente l’opera dei Fiduciari Tecnici fu integrata dai Comitati Sportivi. Tali Comitati furono presieduti dagli stessi Presidenti delle Federazioni Sportive Italiane e furono completati da altri componenti in numero variabile secondo le necessità dei vari sport in programma. I Comitati controllarono l’organizzazione e fornirono tutti i suggerimenti necessari al perfezionamento di quanto predisposto dalla Sezione Tecnica e dai Fiduciari Tecnici. Inoltre, sia nella fase terminale dell’organizzazione, sia durante le competizioni, i componenti dei Comitati Sportivi affrontarono i vari compiti di rappresentanza, nonché i compiti esecutivi richiesti nei vari settori (controllo delle attrezzature, contatti con le giurie, collegamento con i dirigenti delle Federazioni Sportive Internazionali, ecc.). Comunque la maggior parte di lavoro e di responsabilità fu assunta dai Fiduciari Tecnici Onorari, la cui opera si rivelò di particolare utilità nei continui contatti con la Sezione Tecnica per la soluzione di tutti i problemi che investirono la preparazione olimpica e in special modo in occasione di casi controversi o non previsti dai regolamenti. Di notevole rilievo si possono considerare le loro prestazioni ed interventi in occasione della stesura dei regolamenti sportivi e dei moduli di iscrizione alle gare, della compilazione del calendario agonistico e al momento in cui i Comitati Olimpici inoltrarono le iscrizioni ai Giochi, operazione questa che richiedeva la revisione degli iscritti ai Giochi e la elaborazione degli elenchi dopo la verifica degli elementi richiesti per la iscrizione, ivi compreso il rispetto dei termini di scadenza.

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Capitolo 3 LA GESTIONE IMPIANTI SPORTIVI

Sappiamo tutti, per esperienza diretta o per aver operato nell’ambiente sportivo per tanti anni, il ruolo strategico della gestione degli impianti: figurarsi poi quanta importanza assume questo aspetto durante una Olimpiade, ove è necessario operare su più fronti, 24 ore su 24, e dove ci si deve confrontare con le esigenze di almeno 6000 atleti coi loro relativi tecnici. A Roma, nel 1960, una sola struttura era in grado di sostenere tale onere: i colleghi della Gestione Impianti Sportivi. Ed il loro fu un lavoro perfetto. La conduzione degli impianti olimpici fu affidata al Servizio Gestione Impianti Sportivi del C.O.N.I., inserito per l’occasione nei quadri operativi dell’Organizzazione Olimpica. Fu predisposto un piano tecnico provvisorio ma dettagliato e contemplante tutti i problemi relativi alla gestione degli impianti stessi. Nessuno degli impianti sportivi già esistenti era ovviamente attrezzato per sopportare un numero così cospicuo di atleti in gara, e gli stessi impianti in costruzione non sempre prevedevano nel loro progetto un’attrezzatura tecnica adeguata alle nuove diverse esigenze. Ma il lavoro fu preparato con scrupolo e non ci furono sorprese, nonostante la contemporaneità - del resto nota - degli avvenimenti sportivi e gli imprevisti di orario (anticipi, posticipazioni sul programma, ritardo nella disputa di alcune gare). Allo scopo di poter assolvere alle diverse operazioni di gestione, comunque vincolate sia durante il periodo degli allenamenti sia durante il periodo di svolgimento delle gare ad un preesistente schema di lavoro, la Gestione Impianti fu inquadrata nei termini e con le modalità previste dal Comitato Organizzatore. Il Servizio Gestione, in piena intesa con la Sezione Servizi Tecnici, studiò il fabbisogno dell’attrezzatura necessaria per gli impianti di gara e per quelli sussidiari; elaborò i preventivi per l’acquisto del materiale occorrente dopo aver catalogato quello già in dotazione in ogni singolo impianto; intrapre17


se contatti con le singole Federazioni Sportive Nazionali per l’approvazione sul piano tecnico degli attrezzi sportivi preesistenti e di quelli da acquistare dalla Sezione Servizi Tecnici; infine provvide alla messa in opera delle attrezzature in ogni singolo impianto. Il sistema organizzativo della Gestione Impianti richiese l’impiego di 815 persone tra impiegati e operai, e di 360 militari. Il personale, già in parte qualificato, fu addestrato alla conoscenza dello svolgimento cronologico delle gare, nonché fu istruito sulle varie fasi e sviluppo del lavoro relativo alla sistemazione delle attrezzature a seconda delle disponibilità di tempo, onde evitare, specialmente nei momenti cruciali di gara, eventuali dannosi rallentamenti nell’organizzazione del lavoro. L’adozione di queste misure sperimentali permise di eliminare a priori, o quanto meno di ridurre, qualsiasi frattura, qualsiasi stasi che avessero potuto pregiudicare il regolare andamento di tutte le attività connesse con lo svolgimento delle gare. Infatti il programma preventivato consentì di mettere a punto, con celerità e precisione, le dotazioni di materiale e di attrezzature tecniche nei vari impianti. La Gestione Impianti, per assicurare le premesse di un regolare svolgimento delle manifestazioni, dedicò, preventivamente, gran parte della sua attività alle quotidiane cure onde poter conservare in perfetta agibilità i campi, le piste, le pedane e tutte le attrezzature in genere, nonché alla perfetta funzionalità degli spogliatoi, delle docce, delle saune e dei servizi igienici. Peraltro richiesero un lavoro non meno impegnativo sia la installazione degli impianti di segnalazione e degli apparecchi di misurazione, sia la manutenzione ed il controllo degli apparecchi di diffusione sonora e dei collegamenti telefonici interni. Fu compito della Gestione Impianti provvedere alla segnalazione interna dei campi di gara; al controllo dei servizi di bar e di ristorante approntati in ciascun impianto sportivo. Speciali accorgimenti tecnici furono predisposti per assicurare ovunque una regolare distribuzione di acqua, di luce e di gas. Durante il periodo degli allenamenti, onde offrire agli atleti la migliore assistenza, furono adeguatamente allestite o costruite (in taluni casi revisionate con l’apporto di convenienti rifacimenti) le attrezzature relative agli spogliatoi, tutti dotati di adeguati gruppi di docce. Questo complesso di impianti risultò oltremodo valido a soddisfare le esigenze di ciascuno e di tutti. Per rendere completo il quadro delle attività compiute per la conduzione e la gestione degli impianti sportivi, vale ricordare che particolari cure furono dedicate alle numerose zone a verde inserite negli impianti o nelle immediate adiacenze. Tali lavori, che richiesero una costante assistenza da parte di manodopera specializzata e l’ausilio di una completa attrezzatura, si protrassero fino al 15 settembre.

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Capitolo 4 C.O.R. COSTRUZIONI OLIMPICHE ROMA

Si sa che l’impiantistica è sempre stata una delle questioni più complesse che deve essere affrontata quando si vuole ospitare una Olimpiade. Ma se tale aspetto viene proiettato nel 1960, e soprattutto nella città di Roma, si può ben immaginare come un simile problema sia stato ancora più impegnativo e delicato: per una serie di fattori storici, economici, ambientali ed anche sociologici. Per capirne di più riportiamo il testo integrale del “Rapporto Ufficiale” riguardo il capitolo sulle Costruzioni Olimpiche. Ancora prima dell’assegnazione ufficiale alla città di Roma dei Giochi della XVII Olimpiade, il C.O.N.I. aveva già effettuato approfonditi studi sui problemi relativi agli impianti sportivi per il grande avvenimento. Ma il 20 ottobre del 1954 la Giunta Esecutiva del C.O.N.I. decise di costituire un apposito Comitato Tecnico denominato «Costruzioni Olimpiche Roma» il cui acronimo è C.O.R.. Il C.O.R. provvide innanzitutto, in accordo ed in stretta collaborazione con il Comune di Roma e con il Ministero dei Lavori Pubblici, al reperimento delle aree necessarie sia per gli impianti che per il Villaggio Olimpico ed impostò con la massima celerità le varie progettazioni e gli studi tecnici: a quell’epoca era approntato il solo Stadio Olimpico la cui esecuzione fu personalmente curata dal Segretario Generale del C.O.N.I., Dr. Bruno Zauli. La Direzione del C.O.R. fu affidata al Dr. Mario Saini, Vice Segretario Generale del C.O.N.I., che fu anche il Direttore Tecnico dei Giochi; a Segretario del C.O.R. fu designato l’Ing. Luciano Berti, che dedicò gran parte della sua esistenza ai vari problemi degli impianti sportivi. Il C.O.R. si valse della consulenza tecnica del Prof. Ing. Cesare Valle del Ministero dei Lavori Pubblici e dell’Ing. Francesco Allegra, Segretario Generale dell’Istituto Nazionale Case per Impiegati dello 19


Stato (I.N.C.I.S.), consultando, per i problemi più impegnativi che man mano affioravano, i migliori tecnici italiani. Grande aiuto ebbe il C.O.R. soprattutto dall’allora Ministro dei Lavori Pubblici, Prof. Ing. Giuseppe Togni, che con passione, competenza e particolare dedizione riuscì a superare le enormi difficoltà di ogni momento. Oltre al problema degli impianti sportivi e del Villaggio Olimpico il C.O.R., con la collaborazione del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e della Società Telefonica Tirrena, studiò e mise in atto tutta la rete delle comunicazioni e dei collegamenti telefonici, telegrafici e radio. Allestì inoltre i vari Centri Stampa, opera di estrema complessità la cui attuazione richiese un periodo di oltre due anni e che risultò molto soddisfacente perché consentì, durante i Giochi, di informare la Stampa con una celerità in precedenza mai raggiunta. Un altro settore che il C.O.R. ebbe cura di mettere allo studio in tempo e di attuare presso ogni impianto, fu quello delle segnalazioni visive ed acustiche al pubblico, segnalazioni che, grazie alla più moderna tecnica, misero in grado gli spettatori di conoscere, con estrema rapidità e chiarezza, i risultati delle gare non appena compilati dalle varie Giurie. Ma forse la migliore soddisfazione per coloro che curarono gli impianti olimpici, è la constatazione, a Giochi conclusi, che gli impianti allestiti per il grande avvenimento costituiscono oggi viva attrazione per la gioventù romana che li frequenta entusiasta e memore del successo dell’Olimpiade di Roma. Gli orientamenti generali seguiti dal C.O.R. nella organizzazione relativa alle costruzioni degli impianti portarono alla suddivisione del lavoro in tre settori, e, cioè, gli impianti in costruzione furono distinti e classificati in tre categorie: a) impianti di gara; b) impianti sussidiari; c) villaggi olimpici. Delle prime due categorie fecero parte gli impianti in cui si svolsero le competizioni olimpiche e gli allenamenti. In tali categorie furono compresi anche i riordini, i rifacimenti e gli adattamenti agli impianti preesistenti. Nella terza categoria furono classificati gli alloggiamenti riservati agli atleti ed ufficiali di gara, accompagnatori, ecc. Per tutti gli impianti, sia per quelli costruiti ex novo, sia per gli altri revisionati, il C.O.R. fece rispettare determinate direttive e pertanto dispose di evitare rifiniture di pregio o particolarmente costose, mirando a creare impianti funzionali con il minimo di costo di gestione (unica eccezione fu fatta per il solo Palazzo dello Sport in considerazione della natura delle manifestazioni e soprattutto della sua particolare ubicazione nel tessuto urbanistico); evitare la costruzione di impianti su terreni appartenenti a privati, utilizzando di preferenza terreni comunali o demaniali, mediante opportune convenzioni tra il 20


C.O.N.I. e gli enti interessati; utilizzare quali impianti sussidiari, fin quando possibile, quegli impianti esistenti, convenientemente sottoposti a ripristini e rifacimenti; tenere conto, nello studio, delle capienze per il pubblico in occasione delle Olimpiadi e delle esigenze dell’impianto ad Olimpiadi concluse. Ciascun progetto relativo agli impianti fu corredato da un dettagliato preventivo di spesa e preventivamente esaminato ed approvato dalla Giunta Esecutiva del C.O.N.I. Tuttavia, specialmente i grandi impianti, furono esaminati in fase preventiva dalla Commissione Interministeriale Impianti Sportivi (legge n. 739 del 2 giugno 1939), dalla Commissione Edilizia del Comune di Roma, dalla Sovraintendenza ai Monumenti di Roma e dal Consiglio Superiore del Ministero dei Lavori Pubblici. Ogni assegnazione di lavori fu destinata mediante gara di licitazione tra ditte idonee iscritte all’Albo del Provveditorato alle Opere Pubbliche e prescelte da apposita Commissione nominata di volta in volta in armonia alla prassi adottata dal Ministero dei Lavori Pubblici in materia di appalti. Per quanto si riferisce ai Villaggi Olimpici, il C.O.N.I., ottenuta l’approvazione del Ministero dei Lavori Pubblici, concluse speciali accordi con l’Istituto Nazionale per le Case degli Impiegati dello Stato, considerato che questo Ente parastatale persegue precise finalità di istituto e non di lucro. Infatti dopo l’utilizzazione nel periodo olimpico, i Villaggi sono divenuti una efficiente unità residenziale, abitata essenzialmente da impiegati dello Stato. Per l’esecuzione di tutti i lavori furono seguite le norme stabilite dal Regolamento Generale sulle Opere Pubbliche e gli opportuni controlli furono sempre eseguiti da collaudatori nominati in corso d’opera e scelti tra professionisti di provata capacità o funzionari del Ministero dei Lavori Pubblici. Dal punto di vista urbanistico, gli impianti furono studiati e costruiti su due direttrici principali, e, cioè: Centro Olimpico Nord comprendente il Foro Italico, situato in uno dei luoghi più caratteristici della Città, che si estende tra le verdi pendici di Monte Mario e le colline della Farnesina; e Centro Olimpico Sud sorto nel comprensorio dell’E.U.R., preferito per l’ampiezza delle sue zone verdi e in considerazione dell’accrescimento edilizio qualificato. Il Ministero dei Lavori Pubblici provvide alla costruzione di una grande arteria di scorrimento che unisce le due zone e che fu denominata via Olimpica.

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Capitolo 5 LE FEDERAZIONI SPORTIVE NAZIONALI

L’impegno delle Federazioni Sportive Nazionali nell’organizzazione del Giochi di Roma fu basilare, e fu altrettanto essenziale il contributo offerto dai tecnici (professionali e volontari) che operarono in quegli organici. Il Rapporto Ufficiale dedica in realtà poche note alle FSN, per cui è doveroso in questa sede ricordare queste strutture che incisero notevolmente sull’intero allestimento olimpico: senza tra l’altro dimenticare la grande importanza che ebbero nel preparare squadre azzurre davvero competitive. Vittorio Peconi, nel capitolo di questo libro, che parla dei trionfi italiani nel pugilato: scrive “…con un intuito del tutto particolare il CONI demandò l’organizzazione dello svolgimento delle singole discipline sportive alle rispettive Federazioni Nazionali”. È una testimonianza chiarificatrice, che rende l’idea della qualità di quella scelta: infatti se al Comitato Organizzatore, al CONI ed alle varie Istituzioni spettò il (gravoso e fondamentale) compito di creare i presupposti perché l’evento olimpico potesse avere svolgimento, era però necessario che si individuassero i soggetti in grado di allestire e gestire nel concreto i tanti eventi sportivi. Chi meglio delle Federazioni avrebbe potuto farlo? Tra l’altro, si sa, che è il “momento della gara”, le modalità del suo articolarsi che rappresentano l’impatto primario più evidente, più tangibile per il mondo esterno e dal cui esito (a prescindere dai risultati agonistici) poi trae giudizi sulla qualità organizzativa dell’evento medesimo. Per fare un esempio calzante, pensate al mondo della Formula 1: una casa costruttrice può realizzare la vettura più veloce e più potente del mondo, ma se poi a guidarla mette un pilota “scarso” o di poca esperienza, tutto viene vanificato ed è difficile far capire poi allo spettatore (o ancor 23 peggio al tifoso) che comunque dietro c’era stato un lavoro impegnativo e magari al limite della perfezione! 23


Ora, tornando al tema che vorremmo affrontare, scrivere di ogni singola disciplina sportiva ai Giochi di Roma, delle tante storie ad esse legate, ne verrebbe fuori un volume di più di cinquemila pagine! Probabilmente qualche Federazione ebbe l’intuito di raccogliere le esperienze di quella irripetibile avventura, ma è possibile (…speriamo tanto di sbagliare!) che non esista un “racconto organico” in tal senso. Ed allora è doveroso su questo nostro “speciale 1960” ricordare, più che le FSN, soprattutto i nostri colleghi che operarono in quegli organismi e che diedero il massimo per rendere straordinaria l’Olimpiade romana. Purtroppo però siamo carenti di documentazione specifica, e con rammarico abbiamo constatato che, tranne Peconi, nessuno abbia raccolto il nostro invito a raccontare i loro ricordi di cinquant’anni fa, nell’ambito di una F.S.N., per cui, ancora una volta, dobbiamo far ricorso a quanto ci dice il “Rapporto Ufficiale”, anche se le sue note trattano (giustamente secondo la “filosofia” di quel documento) il tema molto “alla lontana” o quanto meno in modo poco diretto. Infatti possiamo comprendere quale fu l’apporto delle Federazioni leggendo il capitolo sui “Regolamenti Tecnici”, un vero e proprio nodo focale dal quale dipese il miglior esito dei Giochi. E così leggiamo: “Il Comitato Organizzatore ritenne di interpretare i principi del C.I.O. con un serio tentativo di rendere unitaria e similare la regolamentazione dei vari sport. Furono affrontate notevoli difficoltà perché le Federazioni Sportive Internazionali disponevano di regolamenti che differivano sostanzialmente uno dall’altro…”. A tal proposito il Rapporto evidenzia un aspetto importante: “Si tenne sempre presente il concetto che l’Olimpiade non è un insieme di campionati dei vari sport, ma una sola grande manifestazione durante la quale si svolgono le competizioni dei vari sport disciplinati da regole fondamentalmente comuni.”. Questa giusta interpretazione consentì, a cascata, di fissare alcuni principi operativi essenziali, come quello che, nelle gare di squadra, nelle quali non sono ammesse più di 16 nazioni, la squadra della nazione organizzatrice dei Giochi fosse ammessa di diritto ai vari tornei; oppure di affermare il principio della chiusura delle iscrizioni 14 giorni prima delle gare; o ancora di stabilire un numero di riserve inferiore a quello previsto dai rispettivi regolamenti delle Federa­zioni Sportive Internazionali. Insomma, soprattutto il discorso sulle iscrizioni e sul numero dei concorrenti vide coinvolte, in una posizione di “intermediazione importante” tutte le Federazioni nazionali interessate che dovettero esercitare una grande pressione sui rispettivi organi internazionali di riferimento. Ed infatti nel rapporto si legge testualmente che “…la realizzazione dei regolamenti tecnici impose uno 24


studio gravoso che fu portato a termine con la collaborazione delle Federazioni Sportive Italiane ed in particolare con la collaborazione delle Federazioni Internazionali competenti…” Il lavoro dei nostri colleghi si espletò in particolare nei vari «Comitati di Sport» della Sezione Tecnica, presso il quale erano presenti i rappresentanti tecnici ed amministrativi delle singole Federazioni Sportive Nazionali, dapprima per la stesura dei testi e poi per la gestione stessa delle gare. Saltando qui e là nelle pagine del Rapporto, leggiamo ancora: “L’Ufficio iscrizioni della Sezione Tecnica si preparò a ricevere le varie iscrizioni fin dal 20 giugno 1960. Provvidero alla regolare iscrizione in tempo debito 67 Comitati Olimpici Nazionali; mentre i Comitati Olimpici Nazionali del Cile, Colombia, Filippine, Malesia, Messico, Sudan e Tunisia inviarono l’iscrizione solo telegraficamente e con ritardo, e dopo alcuni solleciti trasmisero finalmente i moduli richiesti. I Comitati Olimpici Nazionali del Libano, Vietnam ed Haiti inviarono le rispettive iscrizioni con notevole ritardo (ndr: situazione di cui fu coinvolto il CIO che diede il nulla-osta anche per i ritardatari, così da portare ad 86 il numero dei Comitati Olimpici iscritti). La sola iscrizione della Somalia fu accettata sub judice, dato che il Comitato Olimpico Somalo era ancora in corso di riconoscimento da parte del Comitato Internazionale Olimpico. Il 22 luglio 1960 si ebbe finalmente la esatta situazione della effettiva partecipazione e la Sezione Tecnica, tramite l’ufficio iscrizioni, fu in grado di predisporre il quadro delle iscrizioni.” Nel complesso fu un lavoro impegnativo (sul quale, tra l’altro, gravavano davvero tante implicazioni di carattere tecnico, amministrativo ed anche logistico) che coinvolse in maniera frenetica tutti gli interessati. Purtroppo, nonostante le norme chiare emanate sull’argomento “iscrizioni” furono tanti i moduli che arrivarono con molte imprecisioni, errori e lacune, situazioni che, come denuncia il Rapporto: “...richiese un lavoro improbo e certamente oneroso, considerato che, quasi sempre telegraficamente, la Sezione Tecnica fu costretta a richiedere precisazioni e rettifiche. Irregolarità meno gravi furono sanate di comune accordo con i fiduciari tecnici (incertezze nella determinazione delle categorie del pugilato, della lotta e del sollevamento pesi; mancata designazione delle riserve; moduli non controfirmati dai Presidenti dei Comitati Olimpici Nazionali, ecc.). Non possiamo non sottolineare che solamente il 40 % dei moduli pervenne debitamente compilato e regolare in ogni voce. Alcuni moduli portavano iscritti in soprannumero, riserve non consentite, squadre più numerose di quanto prescritto. In questi casi si fu costretti ad interpellare gli interessati costantemente e con notevole perdita di tempo.” 25


Sul tema infine il Rapporto concludeva con una nota statistica interessante, che qui riportiamo “Nonostante i provvedimenti presi d’accordo con il C.I.O. per la revisione del numero dei concorrenti, dovuta all’aumentato numero di nazioni partecipanti (84 contro 69 di Helsinki e 67 di Melbourne), il totale degli atleti iscritti partecipanti ai Giochi di Roma è risultato superiore a quello delle precedenti edizioni. Infatti a Roma si sono avuti 5.915 iscritti, contro i 5.859 di Helsinki e si sono avuti 5.337 partecipanti effettivi contro i 4.925 dei Giochi del 1952. Da questi dati risulta che, mentre nei Giochi del 1952 gli atleti iscritti, ma non partecipanti, toccarono la percentuale del 19%, a Roma tale percentuale fu ridotta al 9,20% circa.” Da parte nostra, ripetiamo, non abbiamo altra documentazione sul lavoro “in versione olimpica” dei nostri colleghi in ambito federale, ma chi, come tanti di noi, ha avuto modo nella propria carriera professionale di essere coinvolto nella organizzazione di un evento sportivo di una certa dimensione, può immaginare quale possa esserne stato l’impegno. Senza dimenticare un aspetto tutt’altro che marginale: certo, tutte le Federazioni ebbero in quegli anni il loro interesse primario proiettato sui Giochi di Roma, ma è altrettanto vero che la “vita federale”, quella cioè che riguarda l’attività di “ordinaria” di routine e che coinvolge tutte le società affiliate ed i tesserati (tesseramento ed affiliazioni, amministrazione, calendari agonistici, la preparazione delle squadre nazionali, i campionati ai vari livelli, la gestione dei regolamenti, etc.) non si fermò assolutamente, ma anzi, proprio sulla spinta emotiva delle Olimpiadi, in quegli anni aumentò in modo esponenziale. Ed a garantire “la normalità” furono i nostri colleghi di allora, molti dei quali dovettero, è proprio il caso di sottolinearlo, “dividersi in due”, svolgendo il loro lavoro di routine e quello riguardante la organizzazione dei Giochi romani. Il tutto, come sempre, svolgendo questo lavoro con totale dedizione e massima qualità professionale.

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Capitolo 6 L’ ORGANIZZAZIONE DEGLI ALLENAMENTI PUZZLE DA 81.397 PEZZI

È il numero totale degli allenamenti individuali che si sono svolti durante il soggiorno romano da parte di tutti i partecipanti. Un dato enorme, che ha presupposto un lavoro altrettanto pesante, preciso, meticoloso da parte del C.O.R. per garantire agli atleti di ogni disciplina e specialità che la loro attività prima delle competizioni si svolgesse con puntualità, senza accavallamenti d’orari e soprattutto godessero delle migliori condizioni ambientali. Quel lavoro fu un vero “rompicapo” senza l’aiuto del computer! La Sezione Servizi Tecnici Sportivi dedicò particolare cura alla preparazione dei campi e dei turni di allenamento onde agevolare nel miglior modo possibile gli atleti di tutti gli sport, desiderosi di completare i loro allenamenti a Roma nelle migliori condizioni ambientali. Particolare attenzione fu dedicata agli sport più complessi che richiedevano una più intensa preparazione. Così per i concorrenti del Pentathlon moderno, obbligati a sottoporsi ad allenamenti in cinque specialità agonistiche diversamente ambientate, fu predisposto un programma che non previde spostamenti superiori al miglio dal Villaggio Olimpico. Infatti ad uso esclusivo dei pentatleti furono riservate la sala di scherma e la piscina dello Stadio Flaminio, una speciale attrezzatura per il tiro adiacente al Poligono Umberto Primo, nonché un terreno per la corsa campestre ed un campo ad ostacoli per l’equitazione a Tor di Quinto, dove furono predisposte anche apposite scuderie provvisorie ed ivi trasferiti 40 cavalli per gli allenamenti. Anche per gli atleti del sollevamento pesi e della lotta furono riservati numerosi impianti locati nel complesso dell’Acqua Acetosa, nelle immediate vicinanze del Villaggio Olimpico. Per gli allenamenti di ginnastica furono messe a disposizione palestre separate per gli uomini e per le donne; tali palestre furono dotate di attrezzi perfettamente uguali a quelli destinati per le gare. 27


Inoltre le squadre, a turno, ebbero modo di ambientarsi anche sul campo di gara delle Terme di Caracalla. Numerosi campi di allenamento per l’atletica leggera furono allestiti e dotati di attrezzi e di ostacoli uguali a quelli di gara: non solo, ma in detti campi prestarono servizio, con orari prestabiliti e resi noti ai concorrenti, i giudici di partenza designati per le gare. Non si poteva non tener presente il desiderio dei pugili che amano allenarsi separatamente, e pertanto furono allestite ben sette palestre perfettamente attrezzate con tredici ring, specchi, sacchi, guantoni, guanti da allenamento e da sacco, maschere protettive, ecc. Quattro impianti furono messi a disposizione per gli allenamenti dei nuotatori; uno degli impianti disponeva di più vasche. Soltanto per gli schermitori non fu possibile attrezzare pedane nelle immediate vicinanze del Villaggio Olimpico, e pertanto le pedane furono allestite al Palazzo dei Congressi all’EUR, con il vantaggio, però, da parte degli atleti, di poter utilizzare per la preparazione le stesse pedane predisposte per le gare. Per facilitare gli allenamenti, furono realizzati per gli sport più complessi alcuni opuscoli contenenti le istruzioni relative ai turni e ai campi di allenamento, nonché altre notizie utili alla preparazione. Si può tranquillamente affermare che tutti gli atleti conclusero la loro preparazione con una intensità ed una disponibilità di impianti che non ha riscontri. La tabella riepilogativa dell’uso dei campi di allenamento riporta la quota di 81.397 presenze, il che, dividendo tale cifra per 5.337 (che è il numero dei partecipanti ai Giochi di Roma) rappresenta un dato particolarmente significativo, vale a dire che ogni atleta nel suo soggiorno olimpico nella Capitale ha compiuto, in media, 15 sedute di allenamento.

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Capitolo 7 IL PROGRAMMA DELLA MANIFESTAZIONE SOLENNITA’ E SPETTACOLO

Roma segnò una svolta nel processo di cambiamento della macchina olimpica anche per quanto concerne l’aspetto spettacolo. Pur salvaguardando lo spirito solenne dettato dalle rigide regole del CIO, si cercò di prestare maggiore attenzione alle esigenze del pubblico con programmi più snelli e di maggiore appeal anche sul piano mediatico. Dagli studi effettuati e dagli scambi di idee avuti con i rappresentanti delle Federazioni Internazionali e con i rappresentanti di molti Comitati Olimpici Nazionali, anche e soprattutto durante la riunione di Evian del giugno 1957, la Sezione Tecnica, d’accordo con l’Organizzazione Olimpica, trasse la convinzione di porre in esame qualche modifica al programma sportivo di massima accettato all’atto dell’assegnazione dei Giochi alla Città di Roma. Tali modifiche furono sollecitate in considerazione del previsto notevole numero di concorrenti e delle conseguenti difficoltà di svolgere in soli 16 giorni tutte le competizioni in programma. D’altra parte sembrò anche opportuno, dopo lo svolgimento di parecchie Olimpiadi, riguardare la situazione generale ed i risultati ottenuti nei singoli sport. Pur avendo accettato in linea di principio il programma sportivo della XVI Olimpiade, tuttavia in alcuni sport fu riveduto il numero dei titoli olimpici in palio ed il numero dei concorrenti ammessi a disputare le gare. Quindi fu proposto al CIO. un ridimensionamento del complesso agoni­stico mediante la riduzione delle medaglie d’oro, che non si ravvisavano strettamente necessarie, e mediante la riduzione del numero dei concorrenti. Il Comitato Internazionale Olimpico, attraverso le varie delibere prese in diverse sessioni, facilitò le richieste per il raggiungimento di questi obiettivi. Durante la Sessione CIO di Sofia del 22 settembre 1957 furono presentate, con risultato positivo, le proposte tendenti ad ottenere che dal pro­gramma dei Giochi fossero eliminate alcune gare 29


(per esempio: tiro al cervo corrente), le classifiche artificiali di squadra, eccetera. Nel contempo la Sezione si adoperò per ottenere anche una limitazione al numero delle riserve nei vari sport. Gli scopi furono in parte raggiunti, sia pure attraverso notevoli opposi­zioni da parte di alcune Federazioni Sportive Internazionali. Nel settembre del 1957 fu proposta al CIO una revisione del calendario agonistico al fine di evitare, così come avveniva nel passato, nella prima settimana un programma denso ed interessante con svolgimento di sport maggiormente graditi al pubblico generico, con evidente danno per la seconda settimana in cui si era soliti raggruppare gli sport di minore richiamo, con un conseguente notevole calo di interessamento del mondo sportivo. L’Organizzazione romana, pertanto, rendendosi conto delle fondate critiche mosse ai calendari precedenti, dedicò appositi studi per spostare le gare di atletica leggera che, fissate solitamente nelle prime otto giornate, provocavano con la loro conclusione un decrescente interesse dell’intera manifestazione. Anche la International Amateur Athletic Federation fu infine d’accordo, con qualche riserva, sullo spostamento richiesto. Le principali variazioni approvate dal Comitato Internazionale Olimpico, su studi e proposte del Comitato Organizzatore, riguardarono la modifica delle classifiche artificiali delle gare di squadra basate sulla somma dei risultati individuali, nonché le classifiche doppie individuali nelle gare di ginnastica. Fu così deciso di far svolgere due gare separate di ciclismo su strada per l’attribuzione della classifica individuale e per quella di squadra, e fu pure deciso di far svolgere due prove separate del concorso ostacoli (equitazione) per la gara individuale e per quella di squadra. Fu inoltre varata una nuova formula per l’attribuzione dei titoli individuali agli attrezzi nelle gare di ginnastica, con prove finali riservate ai ginnasti risultati migliori in classifica nei vari attrezzi durante la gara complessiva. Soltanto per il completo di equitazione e per il pentathlon moderno non fu possibile, per evidenti ragioni pratiche, ripetere due volte la competizione, cosicché la classifica di squadra fu ottenuta sommando i risultati dei tre migliori concorrenti per ogni nazione nella gara individuale. Nel gennaio del 1958, la Sezione Tecnica, indipendentemente dalle modalità di iscrizione e dal numero massimo dei partecipanti ad ogni gara, fu in grado di diffondere il programma delle gare inserite nel quadro dei Giochi e nell’ottobre dello stesso anno il programma si poteva considerare già definitivo, ma sol­tanto nel maggio del 1959, e cioè dopo le decisioni prese dal CIO a Tokio, si poteva diffondere il programma sia pure ancora con alcune riserve. A seguito delle decisioni prese durante la Sessione di Tokio, la Sezione Tecnica intraprese con le Federazioni Sportive Internazionali interessate, con non poche difficoltà ma con tanta paziente diplomazia, le conseguenti trattative per la definizione di alcuni punti del programma, ancora controversi. 30


Capitolo 8 IL CENTRO MECCANOGRAFICO L’AIUTO DELLA TECNOLOGIA

Altra grande svolta alle Olimpiadi 1960 fu l’ingresso, pur se timido, dell’elettronica, a quel tempo ancora ai primi passi. Il Centro Meccanografico del Totocalcio, in intesa con la Olivetti Bull, diede un contributo essenziale per la gestione del complesso movimento che ruotò attorno ai Giochi di Roma. E tutto andò nel migliore dei modi. Oggi non si fa nulla senza ricorrere all’elettronica! Addirittura si può fare la spesa quotidiana senza uscire di casa, ordinando frutta, verdura, pane e pasta via internet! E chi di noi in ufficio, a partire da metà degli anni 70, non ha avuto “rapporti” (magari non sempre idilliaci…) col computer? Forse solo i più anziani non hanno utilizzato (e maledetto…) tastiera, mouse e floppy-disk. Tante volte “abbiamo litigato” con l’infernale aggeggio, ma poi abbiamo dovuto riconoscere che non potevamo continuare a “fare a mano” il nostro lavoro, pena tempi lunghissimi e rischio di tanti errori! Ora “immergiamoci” al tempo di sessant’anni fa, ai Giochi di Roma, per rimaner nel tema. Con quasi seimila partecipanti, ventimila addetti ai lavori e con una movimentazione di più di tre milioni di persone sarebbe stata cosa assurda muoversi usando esclusivamente “carta, penna e calamaio”! Ma per fortuna il 1960 rappresenta il crocevia di nuove frontiere, e così in quelle Olimpiadi entrò di scena (.. non certo come abbiamo avuto modo di vedere a Pechino 2008) l’elettronica. O meglio si fece ricorso al supporto del “Centro Meccanografico”, area di lavoro che ha visto coinvolti nel tempo molti nostri colleghi CONI. Ed allora leggiamo dal “Rapporto Ufficiale” come questa struttura diede il suo efficace ed innovativo contributo: “Il Centro Meccanografico del Totocalcio fu mobilitato dall’Organizzazione dei Giochi Olimpici, e in collaborazione con la Olivetti Bull realizzò l’automazione di tutti i servizi di gara, amministrativi e statistici. 31


Si può affermare che per la prima volta la meccanizzazione penetrò in modo integrale nel campo dello sport e contribuì così in maniera notevole al successo organizzativo attraverso la rapida, chiara e tempestiva elaborazione dei dati tecnici, anagrafici e statistici. Progettato e realizzato per le esigenze di un’area di lavoro comprendente tutte le fasi organizzative, il Centro Elettronico svolse compiti che soltanto pochi hanno avuto occasione di conoscere a fondo. Nel giugno del 1960, installato in un complesso di locali dello Stadio Olimpico, il Centro Elettronico iniziò la sua attività. In precedenza, mentre in tutti i settori dell’Organizzazione si lavorava per la preparazione dei Giochi, i funzionari specializzati del C.O.N.I. in collaborazione con i tecnici della Olivetti Bull curarono nei minimi particolari le basi del lavoro.” “Il Centro Meccanografico disponeva, tra l’altro, anche di una macchina tabulatrice, con perforatrice connessa, in grado di stampare 150 righe al minuto; nonché di altra macchina ordinatrice, inseritrice e tabulatrice.” Il Rapporto prosegue raccontandoci nello specifico i compiti assolti da questo innovativo Servizio: l’elaborazione dei dati anagrafici e numerici relativi agli operatori della stampa; l’elaborazione dei dati anagrafici, tecnici e statistici riguardanti gli atleti; la gestione di tutti i dati riguardanti la gestione del Villaggio Olimpico; la gestione globale dei dati riguardanti la Squadra Italiana; la gestione delle varie fasi di gara risultati compresi. Fu un lavoro immenso, per le disponibilità tecniche di quell’epoca, ed infatti per la elaborazione dei dati richiesti il Rapporto precisa che furono necessari 1.258.192 passaggi in macchina per un complesso di 63 ore consecutive lavorative.

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Capitolo 9 ARREDO OLIMPICO BANDIERE AL VENTO

La Capitale vivacizzata dai mille colori dei vessilli dei Paesi di tutto il mondo nei punti strategici della città, nelle vie consolari, nelle piazze, è un ricordo ancora vivo nella memoria di chi ebbe la fortuna di vivere e convivere nella fantastica “bolgia olimpica” romana. Ma quella corografia presuppose un lavoro immane! L’argomento può sembrare marginale, ma non lo è stato affatto. Per saperne di più, leggiamo il testo integrale del Rapporto Ufficiale. “In seno alla Sezione Tecnica fu istituito un «Centro Raccolta Bandiere» che funzionò anche con la collaborazione militare ed ebbe il suo regolare funzionamento dall’Il luglio 1960 fino al 30 settembre successivo. Nei mesi precedenti al periodo di funzionamento, la Sezione Tecnica aveva elaborato un piano d’azione per l’impiego delle bandiere. A questo scopo fu catalogato ed utilizzato il materiale preesistente presso il CONI, e, cioè, furono messe a disposizione del Centro Raccolta 2.826 bandiere. A completamento del fabbisogno furono nel contempo ordinate altre bandiere per un totale di 1.685. Il Centro Raccolta durante il periodo di funzionamento tenne costanti contatti con la Segreteria Generale dei Giochi e con le varie Sezioni dell’Organizzazione, in modo particolare con le Sezioni Cerimoniale, Amministrazione, Villaggio Olimpico e ROM, allo scopo di ottenere e garantire una perfetta collaborazione. Un apposito locale del Palazzo delle Federazioni, sede del Comitato Organizzatore dei Giochi, fu messo a disposizione del «Centro Raccolta Bandiere» ed ivi furono raccolte tutte le bandiere occorrenti per le varie manifestazioni sportive (con esclusione dell’addobbo cittadino). Altro magazzino sussidiario fu allestito presso lo Stadio Olimpico per una maggiore comodità e rapidità di impiego delle bandiere durante le varie cerimonie previste all’Olimpico e in altri impianti sportivi viciniori. 33


Per tutto il periodo di svolgimento delle manifestazioni olimpiche, i magazzini rimasero aperti ininterrottamente dalle ore 8 alle ore 24, con turni di servizio alternati di due squadre di marinai addetti con funzioni di magazzinieri. I compiti assolti dal Centro Raccolta Bandiere furono diversi e particolarmente impegnativi. Le 15 cerimonie di alzabandiera al Villaggio Olimpico, le cerimonie di apertura e di chiusura dei Giochi, l’addobbo dei 45 impianti di gara e di allenamento, le 150 cerimonie di premiazione, danno un quadro esatto del movimento di carico e scarico per il trasporto delle bandiere e dell’arduo lavoro di recupero delle bandiere a manifestazioni ultimate. Per il suo normale funzionamento, il «Centro Raccolta Bandiere» si avvalse di adeguato personale e di sufficienti automezzi di trasporto. Oltre ad un capo­ ufficio al quale era devoluta la responsabilità del materiale e dei vari trasferimenti, il Centro disponeva di un ufficiale comandante il reparto marinai, due sottufficiali, undici graduati e 66 marinai, nonché di un sarto per le riparazioni urgenti e di un operaio manovale per l’impiego della «scala-porta». Inoltre 4 automezzi militari furono adibiti per il trasporto del personale e del materiale destinato alle varie cerimonie. Va inoltre segnalato che durante il periodo olimpico, quaranta bandiere furono trafugate dai pennoni da collezionisti ed amatori di cimeli olimpici, vale a dire 20 bandiere olimpiche, 6 bandiere d’Italia, 3 bandiere di Roma, 11 bandiere estere.”

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Capitolo 10 SETTORE ACCOGLIENZA L’OSPITE È SACRO

Il Settore Accoglienza è un altro di quei segmenti fondamentali nella organizzazione di qualsiasi evento, sportivo, congressuale, commerciale che sia. Questo perché si tratta di una struttura il cui compito “psicologico” è quello di dare garanzia di tranquillità e di serenità a coloro che si affacciano in un ambiente nuovo o poco conosciuto. In questo nostro breve excursus sull’organizzazione delle Olimpiadi 1960, che proponiamo soprattutto per rendere omaggio ai nostri colleghi che ebbero la fortuna di essere coinvolti nella bellissima ed irripetibile avventura romana, vogliamo accennare anche al Settore Accoglienza, struttura strategica di “primo impatto” per tutti i partecipanti ai Giochi. Il Servizio disponeva di una «Direzione» preposta a tutti i servizi di accoglienza; di un «Ufficio Arrivi e Partenze» per il disbrigo delle rituali formalità connesse all’arrivo e alla partenza degli ospiti; di un «Ufficio Informazioni» per la raccolta e la diramazione di notizie utili agli ospiti del Villaggio, agli Uffici della Direzione e ai visitatori del Villaggio; di un «Ufficio Visitatori» per la concessione del necessario lasciapassare; di un «Ufficio Ritrovi e Spettacoli» per rendere più confortevole e quindi più gradita l’ospitalità ai convenuti; di un gruppo Uffici Pubblici per i servizi postali, telefonici e bancari. Pur essendo tutte e quattro le unità importanti, ovviamente la maggiore responsabilità gravava sul primo ufficio che doveva provvedere a 360° alle formalità ed agli atti riguardanti l’arrivo e la partenza degli ospiti. Per forza di cose la struttura lavorava a stretto contatto con la Sezione Cerimoniale, col Reparto Trasporti Villaggio Olimpico nonché con gli Uffici Amministrativi. La situazione delle presenze degli ospiti veniva quotidianamente aggiornata col sistema meccanografico e quindi veniva comunicata a tutti gli Uffici e Servizi interessati, in modo che si avesse costantemente presen35


te il movimento complessivo delle presenze degli ospiti all’interno del Villaggio Olimpico. Queste operazioni resero necessario il funzionamento dell’Ufficio durante tutte le ventiquattro ore della giornata, impiegando un totale di 30 persone avvicendate in tre turni di otto ore ciascuno. Per dare la dimensione dell’attività di questo settore, leggiamo in proposito dal Rapporto Ufficiale. “Notevole il lavoro compiuto e senz’altro soddisfacenti i risultati conseguiti, ove si consideri che il movimento degli ospiti registrò cifre ragguardevoli, quali le seguenti punte massime nella stessa giornata: in arrivo, 964 persone; in partenza, 1.487 persone.”

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Capitolo 11 IL VILLAGGIO OLIMPICO

IL MONDO IN 30.000 METRI QUADRATI Il “Villaggio” è il punto nevralgico di ogni Olimpiade, anzi, è il vero e proprio “cuore” dei Giochi, punto di riferimento di tutti i partecipanti, atleti, tecnici ed accompagnatori. È quindi “la macchina complessa” per eccellenza, che tra l’altro comporta implicanze che vanno oltre il momento contingente dei Giochi, anche e soprattutto di carattere urbanistico. Così fu per Roma, ove per la prima volta nella storia secolare dell’evento olimpico, vengono attuate soluzioni innovative in prospettiva “dopo i Giochi”, delle quali trassero successivamente vantaggio i cittadini della stessa Capitale. Ma tornando ai magnifici giorni olimpici del 1960, nel Villaggio Olimpico, ove per più di un mese ci vissero oltre 8.000 persone, funzionando tutto alla perfezione, si realizzò una esperienza indimenticabile di convivenza multietnica, multirazziale, interreligiosa ed interculturale, un vero e proprio modello da seguire per creare i presupposti per un mondo davvero migliore, per tutti e senza alcuna discriminazione.”. Dare adeguata ospitalità a circa 8000 persone (tra atleti, accompagnatori e giornalisti) non è certo poca cosa ed il primo grande interrogativo che dovette affrontare il Comitato Organizzatore fu proprio “dove collocare il Villaggio Olimpico”. Non dimentichiamo che siamo nella seconda metà degli anni cinquanta, che stiamo parlando di Roma, città che subito dopo la seconda guerra mondiale aveva visto, in maniera esponenziale, una evoluzione di particolare rilievo. Compiuti i necessari studi preliminari e tenuto conto dell’“autorevole parere” del ministero dei Lavori Pubblici del tempo, Giuseppe Togni, dopo lunga discussione si optò per un’area in posizione non periferica: Campo Parioli, vicino agli impianti del Foro Italico e dell’Acqua Acetosa. Si rivelò una decisione giusta, poiché con essa si potevano soddisfare tre urgenti necessità della capita37


le: offrire ospitalità agli atleti della XVII Olimpiade, realizzare un imponente complesso residenziale per il ceto medio, bonificare una zona dove centinaia di famiglie vivevano in condizioni disagiate. In altre parole, il risultato di “questa operazione” non veniva letto nella sola visione contingente dei Giochi, ma doveva essere duraturo nel tempo, e restare così come solido patrimonio urbanistico della Capitale. Si legge a tal proposito sul Rapporto Ufficiale: “La scelta della località per la costruzione del Villaggio Olimpico fu dettata da considerazioni di ordine pratico; ma le notevoli difficoltà per la realizzazione del nuovo quartiere residenziale imposero rilevanti problemi la cui dinamica soluzione fu tuttavia conciliata tra l’altro da notevole senso estetico.” Ed infatti il nuovo complesso urbanistico “fu concepito con criteri di organicità, tenute presenti inderogabili necessità di carattere funzionale. In tal modo furono contemperate le esigenze proprie di un Villaggio Olimpico e quelle di un accogliente quartiere cittadino”. E così fu. Tutta l’opera ebbe un costo di 8 miliardi e divenne dopo il ’60 la Città dei 10 mila (ndr: appellativo che fu dato inizialmente al complesso, ma mai fatto proprio dai romani), nuova zona residenziale dell’Urbe. Scriveva Ettore Della Riccia sul Messaggero alcuni anni dopo il 1960: “Il Villaggio Olimpico rappresenta ancora oggi un dignitoso esempio di zona residenziale cittadina a livello europeo. È senza dubbio uno dei migliori quartieri di iniziativa pubblica realizzati a Roma, certamente il primo in cui siano stati applicati con coerenza i principi dell’urbanistica del Movimento Moderno. Gli anni sembrano confermare la bontà di quella scelta.” Pur con i problemi cronici che presenta ancor oggi la Capitale, possiamo dar ragione a questa tesi. Ora però, per saperne di più, riprendiamo direttamente dal Rapporto Ufficiale cosa si dice, in modo più specifico e dettagliato sulla descrizione generale del complesso. Il 30 ottobre 1957, a conclusione di una serie di precedenti riunioni in cui erano state prese in esame varie soluzioni, l’apposita Commissione, presieduta dal Ministro Togni, sceglieva per la costruzione del Villaggio Olimpico la zona denominata «Campo Parioli», a Nord di Roma nel quartiere Flaminio. Il 10 maggio 1958 fu dato inizio ai lavori con la solenne cerimonia della posa della prima pietra. Una pergamena con le firme delle Autorità e dei progettisti fu introdotta nell’interno di un cippo romano antico su cui fu incisa la dizione «Villaggio Olimpico 1960»; il cippo romano è situato al centro del Villaggio Olimpico, le cui vie sono intestate ai grandi benemeriti dell’Idea Olimpica ed ai più valorosi campioni olimpici del passato. 38


Nell’attuazione del progetto generale, soltanto il 25 % dei 30.000 mq. della superficie totale è stato edificato, mentre il rimanente 75 % è stato utilizzato per la grande rete stradale. Il Villaggio, costruito dall’I.N.C.I.S. su progetto degli Architetti Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Amedeo Luccichenti, Vincenzo Monaco e Luigi Moretti, fu portato a termine a tempo di primato per l’azione propulsiva del Ministro dei Lavori Pubblici e la collaborazione del Comune e del C.O.N.I. In questa sede si ritiene opportuno accennare alle opere realizzate dal­l’I.N.C.I.S. nell’ambito dell’edilizia ed a quelle realizzate dal C.O.R. (Costru­zioni Olimpiche Roma) per completare l’efficienza del nuovo quartiere. Le opere permanenti costruite dall’I.N.C.I.S. sono costituite da 33 edi­fici a due, tre, quattro e fino a cinque piani, per complessivi 1.348 appartamenti, 4.723 vani utili, 2.960 vani destinati ai servizi, il tutto per una cubatura totale di me. 582.568. Questi edifici hanno in comune la caratteristica di poggiare su pilastri di cemento armato (2.760 pilastri in totale) in modo da lasciare libero ed a tutti accessibile il piano terreno. L’intero comprensorio è servito da km. 13 di strade asfaltate di larghezza variabile tra i m. 12,80 e i m. 3,50. Strade, piazze e marciapiedi occupano una superficie di mq. 110.500; gli altri mq. 160.000 erano sistemati a giardino. Il sottosuolo è percorso da km. 4 di tubazioni per il gas, da km. 5 di condutture elettriche, da km. 9 di condutture per l’impianto termico, da km. 5 di condotta principale per l’erogazione dell’acqua e, infine, da km. 20 di fognature. Questo vasto complesso di opere, a cui si deve aggiungere la costruzione di quattro centrali termiche, seminterrate, fu iniziato nel settembre del 1958 e fu portato a termine nel giugno del 1960 con l’impiego di 33 imprese, 900 operai di media al giorno, 500.000 giornate lavorative ed una rilevante quantità di mac­chine ed apparecchiature per l’edilizia.” Sempre in queste note il Rapporto sottolinea un aspetto importante, per ribadire come l’impegno economico per le Olimpiadi si sarebbe poi dovuto riversare negli anni successivi alla stessa città di Roma ed ai suoi abitanti. Ed infatti il documento così continua: “Il complesso degli edifici e degli impianti costruiti dall’I.N.C.I.S. risulta più che valido a soddisfare le esigenze di un vasto quartiere residenziale, destinato a nuclei familiari che vivono ciascuno in maniera autonoma.” Le strutture permanenti del Villaggio però non erano sufficienti a soddisfare il movimento straordinario del partecipanti ai Giochi, e così “…fu perciò necessario integrare le opere permanenti con altre assolutamente indispensabili, notevoli per mole e consistenza e cioè: 1) un padiglione per gli uffici di accoglienza, situato all’ingresso principale del Villaggio Olimpico, di tipo 39


prefabbricato destinato ai servizi di accoglienza (informazioni e visitatori), di banca, postali e telefonici; questo padiglione occupava mq. 1.200; 2) dieci padiglioni-ristorante allineati ai due lati del viadotto di Corso Francia, realizzati a strutture portanti in cemento con pareti in mattoni e grandi vetrate. Ciascuno di essi aveva una cucina centrale, due saloni mensa, impianti frigoriferi ad una estre­mità ed impianti igienici dall’altra. L’area occupata dai padiglioni-ristorante fu di mq. 20.000 con una superficie coperta di mq. 12.780; 3) magazzini dei vari servizi, dislocati in due zone site all’esterno di due opposti lati del Villaggio Olimpico, per non intralciare l’andamento del traffico all’interno ed all’esterno del Villaggio stesso. Complessivamente ne furono realizzati 13 che coprivano una superficie di mq. 4.120.” DIETRO LE QUINTE, DEL VILLAGGIO UN MOTORE DA 2833 PERSONE Mai dimenticare che dietro ad una grande organizzazione c’è tanto personale, sconosciuto ai più, che pur lavorando in ombra, garantisce che tutto “fili liscio come l’olio”. Nel dare un giudizio su una qualsiasi iniziativa, grande o piccola che sia (sportiva o culturale o quant’altro), troppo spesso ci si dimentica di chi ha lavorato “dietro le quinte”, senza considerare invece che il risultato finale, negativo o positivo poco importa, è comunque frutto di un lavoro corale, ove il contributo di ciascuna componente è fondamentale ed importante. È stato così anche per l’Olimpiade romana, ed è per questo che vogliamo dedicare qualche riga a “quei tanti” che, pur senza i riflettori puntati ed in modo anonimo, con il loro prezioso impegno hanno garantito che tutto funzionasse a dovere. Ed in queste file c’erano molti nostri colleghi dipendenti CONI. Leggiamo dal Rapporto Ufficiale che: “…il funzionamento dei servizi fu assicurato da una Direzione di Settore col compito di seguire e coordinare l’opera delle varie branche di attività; da un servizio manutenzione costituito da un ufficio e 6 diverse squadre di operai specializzati (elettricisti, muratori e pittori, vetrai, idraulici e fabbri, falegnami, manovali). Il servizio manutenzione disponeva di laboratori per falegnami, fabbri ed elettricisti. Un apposito ufficio curava il servizio pulizie. Un servizio sorveglianza agli ingressi del Villaggio fu costituito da un ufficio con 110 elementi variamente qualificati. Infine, un gruppo servizi vari ebbe un ufficio e nuclei di specializzati per il funzionamento e l’azionamento delle centrali termiche, le saune e le docce, la gestione della lavanderia” 40


Il lavoro più impegnativo fu nella fase prima del 31 luglio 1960, mentre per il periodo successivo leggiamo dal Rapporto: “Successivamente, durante il funzionamento del Villaggio, il Servizio manutenzione perfezionò la propria organizzazione dotando i vari nuclei di specializzati di moto-carrozzette opportunamente attrezzate per rendere sollecito il loro intervento e istituendo un servizio notturno di assistenza; eseguì complessivamente 3.099 commesse di lavoro di cui 107 furono costituite da interventi compiuti nottetempo a richiesta telefonica (…) per un totale di 21.883 ore lavorative di personale specializzato.”. Il Rapporto parla anche del servizio viabilità nel piazzale antistante l’ingresso principale al Villaggio”…che fu disimpegnato da un nucleo di Vigili Urbani distaccati presso il Villaggio Olimpico dal Comune di Roma…” mentre i servizi doganali “… furono espletati mediante la costituzione nel Villaggio Olimpico di un Ufficio e di un Deposito per i Servizi di Dogana, gestiti da personale distaccato dal Compartimento Doganale di Roma, in diretta collaborazione col servizio trasporto bagagli.” Per la sua specificità si ritenne opportuno istituire anche, nell’ambito della Direzione del Villaggio Olimpico, uno speciale Settore Amministrativo nonché un Settore Distaccamenti, preposto all’organizzazione logistica delle zone o delle sedi olimpiche esterne alla Capitale. Il Settore Amministrativo si interessò alle varie branche della attività amministrativa come i contratti, le assunzioni, la contabilità, l’economato, il magazzino, i conti delle Delegazioni, facendo riferimento alle norme che generalmente regolano l’amministrazione e la contabilità degli Enti di diritto pubblico e sulla scorta delle prescrizioni generali e specifiche stabilite dalla Sezione Amministrativa del Comitato. L’ufficio contabilità provvide alla amministrazione del personale impiegatizio assunto dalla Direzione del Villaggio Olimpico, nonché a quello del personale salariato; registrò e controllò mediante accertamenti le fatture relative agli acquisti o alle prestazioni di qualsiasi genere. L’ufficio economato provvide alle minute necessità di materiali di cancelleria e simili per l’intera Direzione del Villaggio Olimpico, (…) vigilando sulla corretta gestione dei materiali stessi in distribuzione ai vari settori e procedendo allo scarico dei materiali perduti o mancanti, verbalizzandone le cause. L’ufficio conti Delegazioni contabilizzò il debito delle singole Delegazioni verso il Comitato Organizzatore in base alle segnalazioni dei vari settori della Direzione o di altre Sezioni del Comitato. Ricordiamo che tutte le rappresentanze nazionali ospitate nel Villaggio erano tenute al pagamento di determinate quote a titolo di rimborso delle spese di vitto e di alloggio. Più precisamente 41


la quota era di 8 dollari pro capite e 4 dollari per ogni cavallo al seguito. Per lo svolgimento della sua attività, il Settore amministrativo si avvalse dell’opera di 34 persone: un capo settore, un vice capo-settore, 4 capi ufficio, un interprete, 22 impiegati, 3 dattilografe e 2 uscieri. Anche in tal caso almeno l’80% di tale organico era costituito da Personale del CONI. LA SICUREZZA AL VILLAGGIO Nello sfogliare le varie fotografie, rigorosamente in B/N, che sono state scattate durante i Giochi di Roma, una ci ha fatto particolarmente colpo: l’obiettivo era stato concentrato su uno dei varchi d’entrata al Villaggio Olimpico, più precisamente il “varco 28” riservato al Settore Femminile. Ebbene quello scatto sembra darci l’idea di un ingresso di un modesto condominio, senza particolari controlli. Si tratta di un vero e proprio “reperto preistorico”, testimone di una situazione distante anni luce rispetto a quella attuale (iniziata, invero, dopo il tragico evento del 1972 ai Giochi di Monaco) laddove la vigilanza all’ingresso di un Villaggio Olimpico è severa all’inverosimile con l’utilizzo delle più sofisticate tecnologie di controllo. Nulla a vedere rispetto a quel bel clima di “pacioccona amicizia” che invece fu il “motivo conduttore” di Roma ‘60. Ovviamente, con una movimentazione di persone di quella portata, non fu trascurato l’aspetto “sicurezza”, in particolare quello relativo a proteggere e tutelare gli ospiti del Villaggio da curiosi, malintenzionati e scocciatori vari. Le soluzioni adottate, pur semplici, si rivelarono efficaci. “Per isolare l’intera area del Villaggio Olimpico ed anche per isolare nell’am­bito dello stesso Villaggio il quartiere femminile, le zone degli uffici, dei magazzini e degli alloggi del personale della Direzione del Villaggio Olimpico, fu impiegata rete metallica stampata, sostenuta da pali a traliccio di tondino di ferro su base in cemento. Questo tipo di recinzione, pur realizzato con una certa eleganza, poteva suscitare sensazioni poco piacevoli e fu perciò accompagnato lungo il suo sviluppo da un’alta siepe di piante rampicanti. Lo sviluppo complessivo della re­cinzione misurava rn. 4.300 e richiese la posa in opera di 2.150 pali. Nella recin­zione interna ed esterna furono posti cancelli, molti dei quali provvisti di guardiola in legno a protezione del personale di vigilanza contro il caldo e la pioggia. Le opere provvisorie sopradescritte furono realizzate in tempi diversi, scegliendo sempre installazioni di tipo prefabbricato che ne resero rapido il montaggio e permisero di poterne disporre ricorrendo al sistema economicamente vantaggioso della cosiddetta «fornitura a recupero» (ndr: cioè riutilizzabile per altre occasioni). 42


Tutto ciò fu strettamente connesso al sistema gestionale adottato al Villaggio: fu uno sforzo organizzativo notevole, e su questo il Rapporto è stato molto chiaro e dovizioso di particolari. Leggiamo ancora alcuni passi su questo tema. “La Sezione Villaggio Olimpico, costituita nel settembre 1958, provvide inizialmente alla stesura nelle grandi linee generali dei piani necessari per l’ordinamento, l’organizzazione e la vita dei Villaggi Olimpici, non mancando di tenere presente in questo lavoro la perfetta aderenza alla vasta gamma delle esigenze di una comunità internazionale.” In altri termini, la Sezione adottò “…misure e provvedimenti adeguati per raccogliere, alloggiare, vettovagliare, assi­stere ed agevolare la vita di migliaia di atleti ed accompagnatori.” Fu quindi provveduto “...a creare l’organismo per la gestione del Villaggio Olimpico, mediante impiego di personale qualificato ed esperto nelle diverse branche di attività, tanto per la parte direttiva quanto per quella esecutiva (ndr: tale Comitato era così composto: Rolando Baraldi, Andreina Gotta, Mario Davanti, Giuseppe Funaro, Luciano Merlo, Gaetano Turilli); a reperire materiali e mezzi in misura, varietà e tipo adeguati alle esigenze dei servizi e degli uffici; ed infine a conseguire gradualmente la piena efficienza di tutto il complesso per la data stabilita dell’apertura, prevista per il giorno 25 luglio 1960.”“I due Villaggi, maschile e femminile, realizzati nel comprensorio di Campo Parioli mediante recinzione adeguatamente vigilata, funzionarono in piena ed indisturbata autonomia per quanto riguardò l’alloggio e i servizi igienici, mentre ebbero in comune la possibilità di fruire della mensa e di tutti gli altri ser­vizi predisposti dal Comitato così. La partecipazione promiscua nei locali di uso generale, costituì una particolarità del Villaggio di Roma.” Continuiamo nella lettura di questo tutt’altro che noioso capitolo: “L’organizzazione preposta alle attività organizzative e di gestione, concepita in funzione delle esigenze di vita degli ospiti e dimensionata in rapporto alla presumibile entità numerica, fu articolata in sei distinti settori corrispondenti alle basilari necessità (ndr: Accoglienza, Alloggiamento, Vettovagliamento, Servizi, Amministrazione, Distaccamenti). “…Inoltre fu istituita una Direzione con relativa segreteria per indirizzare e coordinare le attività dei predetti settori e per mantenere i contatti sia con il Comitato Organizzatore sia con gli Enti e le persone comunque interessate al Villaggio Olimpico.”

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Capitolo 12 IL SETTORE DELLA COMUNICAZIONE

IL CENTRO DEL MONDO Sempre ricordando che telematica ed informatizzazione nel 1960 erano parole sconosciute ai più, è giusto evidenziare come il “Settore per la Stampa” fu un altro di quegli organismi che caratterizzò i Giochi di Roma per la sua efficienza: la struttura si avvalse della consulenza dei grandi del giornalismo italiano e di professionisti operanti all’interno del CONI. E così in quasi tutti i Paesi della Terra si poté seguire la meravigliosa avventura olimpica. Il 10 ottobre del 1956 la V Sezione del Comitato Organizzatore istituì una struttura che sarebbe stata fondamentale per consentire al mondo intero di seguire in ogni suo istante le Olimpiadi di Roma. Parliamo ovviamente del Settore della comunicazione, allora chiamata Sezione per i Servizi per la Stampa. Dapprima strutturata con pochi addetti ai lavori, un graduale coordinamento tecnico portò successivamente al rafforzamento della sua impostazione tant’è che questo Servizio garantì la totale efficienza già nella primavera del 1960, con un raggio d’azione a 360°. A Capo Sezione fu chiamato un grande giornalista, Giuseppe Sabelli Fioretti (ndr: peraltro esperto ed appassionato di filatelia), che operava in staff con Pasquale Stassano, responsabile dell’Ufficio Collegamento RAI TV, e con Giovanni Bollini per tutti i servizi logistici ed amministrativi con la stampa (nella fattispecie accrediti ed alloggi). Altri due Uffici, da cui a grappolo si svilupparono ulteriori sottosezioni, erano quelli dei Servizi Tecnici (con a capo Guido Pagliaro) e la Direzione di Segreteria (primo responsabile Giovanni Bollini). È importante ricordare che uno dei primi atti della Sezione fu quello di avvalersi del vitale sostegno di un Comitato composto di esperti in giornalismo. E così fu: questa struttura consultiva fu presieduta da Marcello 45


Garroni, Segretario Generale dei Giochi, ed era composto da “nomi pesanti” della pubblicistica mondiale: Bruno Roghi, Presidente dell’Unione Stampa Sportiva Italiana; Max Bergerre, Presidente dell’Associazione Stampa Estera (sostituito nel marzo del 1958 dal nuovo Presidente dell’ Associazione stessa, Kurt Klinger); Giuseppe Galliani Caputo, Direttore di Ripartizione e Capo Ufficio Stampa al Comune di Roma (sostituito nel marzo 1958 da Armando Ravaglioli, nuovo Capo Ufficio Stampa al Comune); Renato Lefevre della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Donato Martucci, Capo Ufficio Stampa del C.O.N.I. ed Enrico Mattei della Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Il segretario di questo comitato fu Romolo Giacomini. Nel dicembre del 1958 entrò nel Comitato anche Leone Boccali (ndr: era stato eletto nuovo Presidente dell’U.S.S.I.) mentre Bruno Roghi mantenne egualmente la carica di membro. Per dare un’idea della mole di lavoro a carico di questo vero e proprio “nodo centrale di interscambio” del Comitato Organizzatore riportiamo, in modo schematico, le varie mansioni espletate da questo Ufficio, come possiamo leggere dal Rapporto Ufficiale”. “Impostati i problemi di massima strettamente legati ai rapporti con la Stampa nazionale ed internazionale, furono immediatamente precisati i compiti nell’ambito delle direttive qui di seguito riportate in sintesi: compilazione e diffusione del Bollettino Ufficiale e di tutte le pubblicazioni di propaganda; approntamento di tutto il materiale documentario (notizie e fotografie) occorrente per la propaganda attraverso le grandi arterie dell’informazione moderna: stampa, radio, televisione e cinematografia; addestramento di interpreti annunciatori ; organizzazione del Centro Stampa e del Centro Notizie; collegamenti tecnici dei Servizi Stampa con le reti di telecomunicazione interne e internazionali; organizzazione dei servizi d’informazione per la stampa in tutti gli impianti olimpici; accreditamento ufficiale e assistenza di giornalisti, fotografi, radiocronisti e telecronisti, operatori cinematografici e televisivi; assegnazione di alloggi ai giornalisti accreditati; distribuzione di Carte Olimpiche e di biglietti per posti prefissati ai giornalisti accreditati; organizzazione del servizio trasporti per giornalisti accreditati; ricevimenti compilazione e stampa dei «Programmi giornalieri»; organizzazione e controllo del pool fotografico; collegamento (per controllo) con l’organizzazione radio-televisiva; approntamento, compilazione e realizzazione del Rapporto Ufficiale.” Braccia operative del Servizio Stampa furono un archivista, due dattilografe e tre traduttori per le lingue francese e in inglese. Leggiamo inoltre dal Rapporto che: “un notevole servizio epistolare di informazione fu la base di partenza dei rap46


porti di lavoro con i giornali italiani ed esteri, agenzie di stampa, Comitati Olimpici Nazionali, Federazioni Sportive Internazionali, Enti ed Istituti vari, sportivi e turistici. Contemporaneamente fu dato inizio all’impostazione di un apposito schedario ed alla diffusione di comunicati riguardanti l’organizzazione generale.” Si provvide poi alla realizzazione e relativa diffusione del manifesto ufficiale (ndr: il bozzetto fu approvato dal Comitato Esecutivo dei Giochi): fu realizzata una tiratura di 290.000 esemplari (30.000 in lingua francese, 55.000 in inglese, 83.000 in italiano, 12.000 in arabo, 15.000 in giapponese, 7.000 in greco, 10.000 in indiano, 13.000 in portoghese, 13.000 in russo, 30.000 in spagnolo e 22.000 in tedesco). Un altro lavoro gravoso e, sotto certi aspetti, ingrato, per la Sezione (soggetto purtroppo a dure opposizioni e critiche) fu la ripartizione e l’assegnazione delle Carte Olimpiche Stampa. La Sezione si trovò di fronte a richieste esorbitanti ma tuttavia riuscì a mantenere le assegnazioni in limiti soddisfacenti, che pur valicando la frontiera stabilita dal CIO, ne contenne il superamento in `cifre veramente minime e tuttavia sufficienti a garantire il pieno soddisfacimento delle autentiche necessità vitali della stampa internazionale. Inoltre va anche ricordato che ai giornalisti accreditati furono rilasciati, oltre la Carta Stampa, 5.889 speciali biglietti che davano diritto d’ingresso in alcuni impianti sportivi con posti contingentati. Come abbiamo riportato nelle righe precedenti, davvero tante furono le incombenze di questo Settore, per cui fu necessario aumen­tare il personale. La Sezione quindi provvide gradatamente all’assunzione di nuovi elementi dotati di esperienza sportiva ed a conoscenza di due o più lingue straniere. In tal modo furono pressoché coperti i ruoli dell’organico; tuttavia l’organico stesso risultò completo soltanto nel periodo dei Giochi, e così a poco più di un mese dall’inizio della manifestazione tutti i settori erano in piena efficienza organica e funzionale. Il periodo ovviamente più intenso fu così a partire dal 25 luglio data in cui la Sezione trasferì la sua sede operativa alla Domus Mariae, ove furono installate tutte le attrezzature tecniche utili al funzionamento del Centro Stampa e del Centro Notizie. Da evidenziare anche che la Olivetti mise a disposizione 1000 macchine da scrivere, di cui 600 del tipo da tavolo e 400 portatili suddivise tra le varie tastiere internazionali, così da soddisfare le richieste dei giornalisti provenienti da ogni parte del mondo. Nel primo trimestre 1957 fu edito e diffuso il primo numero del Bollettino Ufficiale, impostato a periodicità variabile in base ad un piano progressivo di diffusione, con lo scopo di fornire alla stampa mondiale tutte le notizie riguardanti l’or47


ganizzazione olimpica. Stampato in offset a due o più colori, redatto in tre lingue, uscì in tutto ventidue volte, con una tiratura complessiva di 557.000 esemplari. Il Bollettino ebbe una diffusione “planetaria” pur se ovviamente mirata: al C.I.O., ai Comitati Olimpici Nazionali, alle Federazioni Sportive Internazionali, alle Federazioni Sportive Italiane, ai vari Organi Periferici del CONI, alle Istituzioni Italiane nonché a tutte le Ambasciate e Consolati italiani all’estero, ai giornali italiani e stranieri, agli Enti Turistici, agli Istituti di Cultura, alle Associazioni alberghiere, alle Agenzie Viaggi, alle Compagnie Trasporti, a Enti ed Istituti vari. Dal 1957 la Domus Pacis e la Domus Mariae furono destinate a “sistemazione logistica” dei giornalisti accreditati. Nel secondo semestre del 1957 fu intensificata la diffusione dei comunicati sull’organizzazione olimpica e sullo stato dei lavori degli impianti di gara e di allenamento. Nello stesso arco di tempo fu iniziata la raccolta dei vari articoli pubblicati dalla stampa italiana, ed il materiale, opportunamente selezionato, fu catalogato in appositi volumi e fu data vita ad una pubblicazione periodica denominata «Rassegna della Stampa Estera» con i ritagli della stampa estera dedicati all’Olimpiade e di tale pubblicazione furono editi 86 numeri. La Sezione insomma diffuse fin dall’inizio numeroso materiale informativo (il cui volume andò gradatamente aumentando) fino a raggiungere nell’ultimo anno della preparazione olimpica proporzioni notevoli, la qualcosa permise di presentare al mondo intero, nelle diverse fasi, lo stato di avanzamento della macchina olimpica. Tra i diversi mezzi della propaganda fu anche realizzato il volume «Olimpiade 1960» in un primo tempo in francese ed inglese, e successivamente anche in italiano, tedesco e spagnolo, che fu diffuso in migliaia di copie secondo il piano generale di propaganda concordato con l’E.N.I.T., avendo questo volume soprattutto scopo di promozione turistica. Luogo di distribuzione privilegiata le Agenzie di Viaggio e le filiali della B.N.L. RADIO E TELEVISIONE Fu un impegno straordinario, mai accaduto fino a quel momento, una netta linea di demarcazione tra un’era antica ed una nuova era della informazione radio-televisiva: Roma 1960 segna infatti l’inizio della “comunicazione globale” termine quantomeno da riferirsi al numero di soggetti da raggiungere (…anche se, per verità storica, già con le Olimpiadi Invernali di Cortina 1956 – ovviamente in una dimensione numerica ridotta - la RAI ed il CONI diedero vita ad una impresa altrettanto grande, che fu certamente propedeutica per raggiungere il top quattro anni dopo nei Giochi della Capitale). 48


Dicevamo di “globalità d’utenza”: ed infatti basta pensare che ben 108 organismi televisivi di tutto il mondo, assistiti in vario modo dalla RAI, consentirono al pubblico di 69 Paesi dei cinque continenti di seguire i Giochi della XVII Olimpiade per radio e per televisione. Per essere più precisi, 75 organismi di 60 Paesi effettuarono trasmissioni radiofoniche con l’assistenza della RAI, 23 organismi di 21 Paesi ricevettero programmi televisivi, diretti e differiti, realizzati dalla RAI e 60 organismi di 37 Paesi utilizzarono i resoconti giornalieri filmati sempre prodotti dalla RAI ed inviati quotidianamente a tutti i richiedenti. Insomma, il servizio radiotelevisivo allestito per i Giochi di Roma non soltanto non aveva precedenti nella storia delle moderne Olimpiadi, ma non trovava praticamente confronti per ampiezza e per complessità di organizzazione con alcun altro servizio di attualità mai effettuato da qualsiasi organismo di radio e di TV anche per altri eventi, non solo di carattere sportivo. Le gare romane furono viste nel vivo del loro svolgersi dal pubblico di 18 paesi d’Europa e, con solo alcune ore d’intervallo, anche negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone; mentre quasi tutti i Paesi che avevano una rappresentanza in Roma poterono seguire le imprese dei loro atleti attraverso un servizio radiofonico diretto, irradiato verso tutti gli angoli della terra. Furono realizzate in totale, nelle due settimane dei Giochi 93 ore e 40 minuti di trasmissioni radiofoniche! Anche se Roma Olimpica segnò l’inizio dell’era della copertura televisiva totale, è doveroso sottolineare lo sforzo immane che fu fatto nel settore radiofonico. Per far questo, ancora una volta, riproponiamo il testo originale del Rapporto Ufficiale su tale argomento. “Le corse ciclistiche su strada, la cinquanta chilometri di marcia e la gara di maratona furono seguite durante tutto il loro percorso mediante numerose postazioni radiofoniche. Particolarmente per la gara di maratona fu possibile realizzare una radiocronaca a catena degli ultimi quaranta minuti di corsa, mediante una serie di posti microfonici dislocati dal trentesimo chilometro fino all’Arco di Costantino, e dai quali i vari radiocronisti furono in grado di descrivere le fasi della gara seguendo quasi gli atleti nella loro fatica. Con le sue 93 ore e 40 minuti di trasmissione, nei tre blocchi quotidiani in cui era suddivisa e coi suoi 279 collegamenti effettuati, Radio Olimpia costituì sicuramente uno degli esempi di giornalismo radiofonico più valido e più aggiornato. Ma vista nella prospettiva del Centro Olimpiade, Radio Olimpia non fu che uno dei cinquantotto studi da cui furono irradiati i programmi per tutto il mondo. Sulla terrazza del Collegio di Musica, 242 radiocronisti stranieri col personale 49


tecnico e gli interpreti messi a disposizione dalla RAI, si avvicendarono in tutte le ore del giorno e della notte per trasmettere il proprio servizio e misero veramente a prova l’efficienza dell’organizzazione. L’inviato speciale della radio argentina terminava la propria radiocronaca alle due e mezzo del mattino e alle quattro e mezzo biso­gnava predisporre il circuito per il radiocronista australiano che doveva iniziare alle cinque il suo panorama olimpico per gli ascoltatori del quinto continente. La difficoltà maggiore fu data dalle continue variazioni di programma, sia per l’orario delle trasmissioni, sia per i collegamenti che ciascun organismo richiedeva. Le varie richieste erano state aggiornate fino ad un mese prima dei Giochi e, sulla loro base, si era predisposto un quadro dettagliato dei servizi previsti da ciascun organismo. Ma all’atto pratico le variazioni furono tali e tante che si ritenne più conveniente annullare tutte le prenotazioni fatte in anticipo e prepa­rare quotidianamente dei quadri del tutto nuovi. Per fare un solo esempio: nella giornata del 29 agosto furono richiesti dagli organismi radiofonici esteri 486 servizi dei quali solo 136 coincidevano con quelli prenotati prima del 30 giu­gno, mentre 350 furono servizi nuovi o comportarono comunque notevoli variazioni rispetto ai servizi previsti in quella data. Il 72 % dei servizi richiesti in una sola giornata dei Giochi risultò diverso dai servizi prenotati in precedenza: e non si trattò di un caso limite, ma della norma.”

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Capitolo 13 NON SOLO GARE

IL SETTORE AMMINISTRATIVO Il Settore Amministrativo, ufficio fondamentale per tutta l’Organizzazione, aveva tra i tanti oneri quello di garantire che ogni movimento economico attinente ai Giochi, dal più oneroso fino all’acquisto di uno spillo, rispondesse sempre ai canoni della massima correttezza. Ed anche qui il lavoro del personale del CONI, che rappresentò quasi il 100% dell’organico del settore, si rivelò ineccepibile ed insostituibile. A circa due terzi del primo volume del Rapporto Ufficiale, più precisamente da pag. 473, si parla del Settore Amministrativo. Abituati, trattando di una Olimpiade, a raccontare di gare, cerimonie, impianti ed aspetti tecnici vari, si è poco portati a tener conto di quello che invece è uno dei gangli vitali di una organizzazione, vale a dire l’organismo che, come si suol dire “tiene i cordoni della borsa”. La relazione riportata sul documento è molto dettagliata, anche troppo, per cui proponiamo solo quei passaggi che possono comunque rendere l’idea della importanza di questo delicato Settore e del carico di lavoro che dovette assolvere, tra l’altro utilizzando quasi esclusivamente il personale del CONI. “Il Comitato Organizzatore all’inizio della propria attività si avvalse delle prestazioni di pochissimi elementi e di una struttura organizzativa limitata in campo amministrativo. E ciò fu deciso sia per contenere le spese del periodo di preparazione iniziale, sia perché fu ravvi¬sata l’opportunità di valersi, per le limitate esigenze di allora, del Servizio Ragioneria Generale del C.O.N.I., che poteva garantire tutte le operazioni amministrative dell’Organizzazione tecnica e delle Costruzioni Olimpiche di Roma (C.O.R.). D’altronde, essendo il C.O.N.I. l’ente finanziatore dell’Organizzazione olimpica, si ritenne conseguentemente logico e indispensabile sottoporre ogni opera al controllo del C.O.N.I. medesimo.” 51


L’organigramma del Settore Amministrativo prevedeva come Capo Sezione Tommaso Folinea. Al suo ufficio faceva diretto riferimento la Banca Nazionale del Lavoro per i servizi di tesoreria. Due gli uffici di pertinenza del Settore, l’Ufficio Provveditorato con responsabile Giovanni Biondi e l’Ufficio del Personale con responsabile Gino Braga. Sotto il Provveditorato c’erano quattro Uffici: Approvvigionamento, Contabilità, Inventario e Magazzino. Ma continuiamo nella lettura del Rapporto: “Per tutto il biennio 1957-58 e per i primi mesi del 1959, le varie Sezioni, man mano costituite in seno all’Organizzazione Olimpica, provvidero a segnalare gli impegni di spesa e ad emettere dei dispositivi di pagamento che, firmati dal Segretario Generale e dal Direttore Tecnico, venivano passati al Servizio Ragioneria Generale per la liquidazione. Con il giugno 1959 fu costituita la Sezione Amministrazione che comprese l’Ufficio Personale e l’Ufficio Biglietti, già operanti, nonché l’Ufficio Provveditorato, di nuova istituzione. Mentre l’Ufficio Personale e l’Ufficio Provveditorato continuarono a far parte di questa Sezione, l’Ufficio Biglietti, qualche tempo prima dei Giochi, divenne una Sezione Autonoma.” I SERVIZI BANCARI E DI TESORERIA Tra la Banca Nazionale del Lavoro ed il CONI c’è sempre stato uno storico rapporto di collaborazione, che in occasione dei Giochi di Roma fu davvero fondamentale. Quindi, anche perché proprio in virtù di tale legame, tra gli stessi dipendenti dei due organismi c’è stato sempre un rapporto intenso, ben oltre di quello superficiale di “buon vicinato” è giusto dedicare qualche riga a questa Banca, facendo riferimento appunto alle Olimpiadi di Roma. Anche in questo nostro excursus ci avvaliamo di alcuni passaggi originali tratti dal Rapporto Ufficiale. “In una manifestazione come l’Olimpiade, che comporta l’affluenza dalle più lontane e diverse provenienze di centinaia di migliaia di persone, alle quali devono essere assicurati con assoluta precisione e con notevole anticipo alloggi, biglietti di ingresso, cambio di valuta, custodia di valori ed altri servizi... era indispensabile la collaborazione tecnica specializzata di un istituto bancario idoneo per importanza e prestigio e in grado di garantire, con una efficiente ed estesa organizzazione, il collegamento con le Banche estere, il funzionamento dei servizi bancari e, di particolare importanza, l’apprestamento di servizi speciali nell’ambito del comprensorio olimpico. Fu quindi chiamata a dare questa 52


collaborazione e nominata, nel maggio 1958, Tesoriere Ufficiale dell’Olimpiade la Banca Nazionale del Lavoro” Diverse le incombenze affidate all’istituto bancario in quanto tesoriere: A) organizzazione dei collegamenti bancari con l’estero per facilitare il movimento monetario connesso con il collocamento dei biglietti d’ingresso e le prenotazioni degli alloggi; B) servizi di informazione di carattere generale, finanziario e valutario; C) espletamento dei servizi bancari durante il periodo dell’Olimpiade in favore di tutti i soggetti sportivi nonché dei visitatori; D) espletamento dei servizi bancari nell’interesse del Comitato Organizzatore dei Giochi. Sin dal marzo 1958 fu istituito dalla Banca uno speciale ufficio denominato «Ufficio Olimpiade BNL», al quale venne affidato tutto il lavoro preparatorio, i contatti diretti e per corrispondenza con le varie organizzazioni estere e nazionali, l’attività di propaganda e di informazione e lo studio di ogni problema connesso con i servizi affidati alla Banca. Un altro ambito di particolare impegno e interesse fu quello dei Rapporti con l’estero. Leggiamo sempre dal Rapporto: “Tra la BNL e i suoi corrispondenti bancari nei vari Paesi furono presi tempestivamente accordi per stabilire, nel quadro dei rapporti di collaborazione già in atto, gli opportuni collegamenti al fine di favorire il più rapido movimento monetario connesso con la prenotazione degli alloggi, con l’acquisto dei biglietti d’ingresso, con le esigenze delle organizzazioni sportive e turistiche estere. Contemporaneamente si creò una diffusa rete di rapporti con i Comitati Olimpici Nazionali dei Paesi di tutto il mondo e con le primarie Agenzie Turistiche di ogni Nazione per coordinare, d’intesa con il sistema bancario, tutti i servizi indispensabili per i partecipanti alle Olimpiadi.” In questo ambito fu molto interessante la diffusa propaganda per incoraggiare l’uso degli assegni turistici in lire, (ndr: al tempo non c’era la moneta unificata dell’euro...) che avrebbero facilitato ai visitatori stranieri i pagamenti e gli acquisti durante il soggiorno in Italia. Utilissima fu anche l’azione di promozione tesa a consentire una distribuzione larga e capillare delle varie pubblicazioni che la Banca allestì per illustrare i nuovi servizi bancari alle quali accompagnò altre utili pubblicazioni, quali una piantina pieghevole di Roma, edita in cinque lingue, ed una «Guida Olimpica» che riportava il programma dettagliato delle manifestazioni e la descrizione dei vari impianti. Altra iniziativa di estremo interesse posta in essere dalla BNL fu l’adozione di uno speciale servizio presso il Villaggio Olimpico di «sacchetti custodia», apprestati dalla Banca e forniti, su speciale ordinazione, da una importante azienda italiana specializzata in impianti corazzati. Questi sacchetti (ndr: circa 53


2.000) furono messi a dispo­sizione degli atleti per la tutela dei propri effetti personali: ogni sacchetto, contraddistinto da un numero riportato anche sulla medaglietta unita alla chiave corrispondente, e munito di una chiusura lampo opportunamente protetta, veniva custodito in armadi corazzati situati in apposito locale cui erano state assicurate protezioni adeguate. Furono in 1.600 ad utilizzare tale servizio. Infine leggiamo sempre sul Rapporto Ufficiale di un’altra iniziativa meritevole di menzione: “...l’Agenzia Bancaria Mobile, attrezzata dalla BNL su un automezzo appositamente costruito, che per tutta la durata dell’Olimpiade funzionò ad orario continuato dalle ore 8,30 alle 24. L’autobanca, posteggiata bene in vista dinanzi agli stadi ...evitò a molti il fastidio di recarsi in città o presso gli altri uffici cambio dei centri sportivi e fu frequentata da moltissimi stranieri per effettuare operazioni di cambio di valuta” Interessante infine il passaggio conclusivo che leggiamo sul Rapporto su cosa significò per il Comitato Organizzatore questo collegamento privilegiato con la Banca Nazionale del Lavoro: “L’assistenza bancaria della BNL fu così di ausilio prezioso non soltanto per i servizi finanziari in genere, connessi con le Olimpiadi, ma anche per l’at­trezzatura tecnica predisposta, per l’efficienza del servizio prestato nelle movimentate giornate dei Giochi, per l’allestimento tempestivo del modulario occorrente e la messa a disposizione di uffici mobili e fissi, di casseforti e macchine contabili, per l’organizzazione funzionale ed agile che consentì di svolgere con celerità e regolarità un’imponente massa di operazioni per un movimento complessivo di oltre 2 miliardi e mezzo di lire.”

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Capitolo 14 PROBLEMI DOGANALI

Molti dei dipendenti CONI che, nella loro professione, furono in passato coinvolti nella organizzazione di trasferte all’estero di atleti e di squadre nazionali, ben ricordano quali e quanti fossero i problemi relativi alla veicolazione dei bagagli al seguito, in particolare degli strumenti sportivi, del materiale di allenamento o di quello medico-sanitario, con destinazione i più svariati Paesi del mondo. Bagagli che poi sarebbero dovuti rientrare nel nostro Paese a trasferte concluse. Un lavoro immane, forse inimmaginabile oggi visto che con l’Unione Europea, e soprattutto la capacità contrattuale di alcune grandi multinazionali del trasporto mondiale, tutto è certamente più facile. O quantomeno “più snello”. Ebbene l’organizzazione olimpica romana superò molto bene anche questo ostacolo. Vediamo come. Nel giugno del 1957 la Sezione intraprese i primi contatti con il Ministero delle Finanze per la soluzione dei problemi doganali relativi al materiale tecnico, al vestiario di gara ed ai generi alimentari al seguito delle squadre sportive. Ma solamente nel maggio del 1958 furono perfezionate e concluse le trattative per l’introduzione in Italia delle merci destinate ad essere utilizzate durante lo svolgimento dei Giochi. A questo proposito, l’Amministrazione Doganale Italiana provocò speciali e straordinarie misure per conseguire il massimo snellimento delle operazioni doganali dei materiali e delle attrezzature importati attinenti alle competizioni. Fu istituita una apposita Sezione Doganale al Villaggio Olimpico la cui attività non solo fu sussidiaria a quella svolta dai normali servizi di frontiera, ma fu anche diretta in via esclusiva all’espletamento di operazioni particolari. (Prospetto n. 6). A cura della Dogana di Napoli fu istituito un posto fisso presso la Stazione Marittima, nonché un posto di rifornimento carburanti, montato su chiatta 55


nel Porticciolo di Santa Lucia che consentì di effettuare rapidi bunkeraggi ai diversi natanti giunti in Italia e ancorati in rada o alla fonda nelle acque litorali. L’afflusso di turisti può essere indicato dai dati rilevati nel periodo agosto-settembre 1960; dati che posti a confronto con il movimento verificatosi nei corrispondenti mesi dell’anno 1959, permettono di osservare che l’incremento registrato fu superiore alla media annuale calcolata negli anni precedenti. Ad esempio, per i soli aeroporti di Roma e di Napoli, l’incremento registrato nel numero dei turisti in arrivo-partenza rispetto al correlativo periodo del 1959 fu del 20 % circa. Come è noto, tutte le persone in possesso della Carta Olimpica d’Identità, che costituì titolo sufficiente per la concessione dei benefici doganali singolarmente accordati, ottennero concessioni speciali per la introduzione temporanea, accordata con criteri di larga liberalità, di effetti personali contenuti nei bagagli delle Delegazioni sportive estere, di oggetti e generi di uso comune, eccetera. In particolare, furono consentite agevolazioni con lo sdoganamento in franchigia per le munizioni usate durante gli allenamenti e le gare, nonché per i viveri speciali destinati ai diversi gruppi di atleti, in relazione alle speciali esigenze alimentari dei Paesi di provenienza o per ragioni di regime dietetico connesse ai vari metodi di allenamento. Per le imbarcazioni a vela ed a remi, per i cavalli e le rispettive bardature, per ogni altro materiale sportivo, fu invece accordato il beneficio dell’importazione temporanea, esonerando peraltro le Delegazioni straniere dall’obbligo di prestare il prescritto deposito cauzionale, in quanto il C.O.N.I. si rese garante presso l’Erario. Si può affermare che l’attività doganale svolta in connessione con i Giochi della XVII Olimpiade, interessò tutti i più importanti uffici della frontiera di terra, di mare ed aerea, oltre la speciale sezione istituita al Villaggio Olimpico. A conclusione di approfondite trattative, la Sezione sottopose alla approvazione del Comitato Organizzatore la nomina della Ditta Gondrand a Spedizioniere ufficiale dei Giochi della XVII Olimpiade. Sulla base di un apposito capitolato d’appalto, la Ditta Gondrand agì in collaborazione con il Servizio Dogana, con l’Ufficio arrivi e partenze del Villaggio Olimpico, nonché con tutte le Sezioni interessate al trasporto ed alla spedizione di materiale vario. La Ditta F.lli Gondrand per affrontare l’eccezionale lavoro mobilitò il seguente personale specializzato: 6 capi-servizio, 8 operatori doganali, 25 impiegati, 110 salariati. Per il trasporto dei bagagli e merci, utilizzò 70 automezzi di vario tipo, di cui 35 autocarri medi, 8 autocarri speciali, 16 autocarri per trasporto di cavalli, 7 rimorchi speciali e 3 autogrù. Con questi automezzi fu realizzato un rapido e ininterrotto collegamento con gli Aeroporti di Ciampino e Fiumicino. 56


Tutto il bagaglio personale delle Autorità sportive, degli atleti, giornalisti, ecc., fu munito di una speciale etichetta in papertex. Le 60.000 etichette preordinate furono suddivise in sei gruppi, ciascuno dei quali presentava differente dicitura e colorazione. Ai Membri del C.I.O., ai Presidenti e Segretari dei Comitati Olimpici, ai Presidenti e Segretari delle Federazioni Sportive Internazionali, furono distribuite etichette contraddistinte da una banda bianca e dalla bandiera del Paese di provenienza. Per gli atleti e le giurie la colorazione della banda fu rispettivamente verde e celeste; mentre ai rappresentanti della Stampa fu assegnata un’etichetta di color rosa. Le etichette destinate agli Enti Radio e TV presentavano una banda rosa ed al posto della bandiera del Paese di provenienza fu inserita la dicitura «Radio-TV». Per i fotografi la etichetta fu di colore bianco e presentò la scritta «Foto» inserita in luogo della bandiera del Paese di provenienza. Tutte le etichette portavano una numerazione progressiva e disponevano di sufficiente spazio per l’indirizzo. La Ditta F.lli Gondrand eseguì oltre 1.300 operazioni doganali ed effettuò il trasporto di 14.842 bagagli in arrivo e 16.858 bagagli in partenza. Inoltre effettuò il trasporto di 135.000 chilogrammi di attrezzature sportive e di 45.000 chilogrammi di apparecchiature televisive; provvide altresì al trasporto di 237 cavalli e di 340 imbarcazioni a remi ed a vela.

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Capitolo 15 ASSISTENZA RELIGIOSA

In una organizzazione di oltre 8.000 persone non possiamo non accennare anche alla assistenza religiosa. Tra l’altro l’evento si svolgeva nel centro mondiale del Cristianesimo, e la materia, vista la presenza di tante persone con fedi e credenze diverse, doveva essere affrontata con particolare sensibilità e soprattutto con “vera apertura”, nel nome di quella ecumenicità che proprio in quel periodo avrebbe visto la sua espressione più ampia nella convocazione del Concilio Vaticano 2°. Questo il resoconto, molto attento e preciso, che sull’argomento fu riportato sul Rapporto Olimpico al CIO. Il fatto religioso, essendo di per se stesso personale e soggettivo, sfugge le più volte al controllo e al resoconto. Per tale ragione ci si atterrà alle sole iniziative esterne e si sorvolerà di proposito sui numerosi e significativi fatti che il necessario rispetto per ogni fede e il diritto di ciascuno alla riservatezza consigliano di tacere, nonché su tutti quelli che rimarranno per sempre chiusi nel cuore dei confidenti scelti dagli atleti. La materia rimane così circoscritta a due sole zone di attività: l’adozione di necessarie iniziative per permettere a tutti gli atleti il compimento dei propri doveri religiosi; l’organizzazione degli incontri con il Sommo Pontefice per assecondare un esplicito desiderio della stragrande maggioranza degli atleti stessi. Riguardo a questa seconda zona di attività, infatti, risultò subito chiaro che il desiderio di vedere il Papa esulava dai legami individuali con le rispettive religioni per risolversi in un fatto di generale interesse. L’Ufficio per l’Assistenza Religiosa, diretto da Mons. Nicola Pavoni, non appena costituito ritenne suo primo dovere quello di mettersi in contatto con i rappresentanti di quante più religioni e culti fosse possibile, al fine di far pervenire agli atleti, per tramite dell’Ufficio stesso, tutte le notizie di carattere religioso che 59


ritenessero opportune. Dal momento, infatti, che all’interno del Villaggio Olimpico, il Comitato Organizzatore aveva creduto bene di non autorizzare l’istituzione ufficiale di locali per il culto, non rimaneva altra via da seguire che informare gli atleti dell’ubicazione delle chiese esistenti a Roma e dei relativi orari dei culti. A tale scopo si provvide per tempo ad inviare formale invito in tal senso a tutti i responsabili delle religioni e culti presenti in Roma, assicurando altresì che sarebbe stato preciso dovere dell’Ufficio portare a conoscenza degli atleti ogni notizia che fosse pervenuta. L’invito in parola fu indirizzato, tra le altre, alle seguenti autorità religiose non cattoliche: al Presidente delle Comunità Israelitiche Italiane e della Comunità Israelitica di Roma, all’Archimandrita della Chiesa Russo-Ortodossa, al Presidente del Consiglio Federale delle Chiese Evangeliche che comprende, per citarne alcune, la Chiesa Cristiana Evangelica Luterana, la Chiesa Evangelica Metodista d’Italia, la Chiesa Evangelica Valdese, l’Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste, ed altre ancora.. In breve tempo giunsero all’Ufficio Assistenza Religiosa numerose comunicazioni sia riguardanti il culto vero e proprio, sia di carattere genericamente religioso. Il materiale, tradotto in varie lingue, fu portato a conoscenza degli ospiti del Villaggio Olimpico con l’affissione di una copia in un apposito albo predisposto dal Comitato Organizzatore e con la distribuzione ai singoli, tramite uno speciale servizio previsto per le comunicazioni di interesse generale. Ai giovani atleti vennero così consegnati non solo i fogli informativi del culto, ma tutto il materiale stampato di contenuto religioso che perveniva all’Ufficio, sempre nel pieno rispetto delle Regole Olimpiche che prevedono la eguaglianza di tutti i culti e religioni. Oltre a ciò, non mancarono contatti diretti tra i rappresentanti di varie religioni o culti con il titolare dell’Ufficio Monsignor Nicola Pavoni, su argomenti e iniziative particolari, come pure si cercò sempre di soddisfare le richieste specifiche di singoli o gruppi di atleti su questioni o esigenze attinenti la religione. Si può affermare che il fatto saliente dell’opera svolta dall’Ufficio per l’Assistenza Religiosa si identificò con le Udienze generali e particolari concesse dal Sommo Pontefice Giovanni XXIII, attività che ebbe vasta risonanza come meritava e riscosse la generale approvazione. Del resto, tali Udienze furono richieste da ogni parte e tanto il Comitato Organizzatore quanto la pubblica opinione furono d’accordo nel giudicarle un elemento di prestigio indiscutibile oltreché di forza morale. Infine è opportuno ricordare, a proposito specialmente della grande Udienza in Piazza San Pietro, quanto esplicitamente affermano le Regole Olimpiche che preve60


dono, nel momento della Cerimonia d’Apertura, subito dopo l’accensione del braciere, la possibilità di celebrare una funzione religiosa, senza dire della convenienza di porgere una visita di omaggio al Capo spirituale della città ospite dei Giochi. Già nell’aprile del 1959, ricevendo i congressisti del Centro Sportivo Italiano, il Sommo Pontefice aveva manifestato il proposito di ricevere in occasione dell’ » importante avvenimento » gli atleti partecipanti ai Giochi. Approssimandosi la data d’inizio della XVII Olimpiade, l’Ufficio per l’Assistenza Religiosa stabili ripetuti contatti con i competenti Uffici organizzativi e tecnici del Vaticano per discutere e concordare i particolari della complessa organizzazione. Furono così predisposti i servizi per approntare palchi e transenne, per provvedere alle esigenze logistiche per il trasporto degli atleti e le misure necessarie ad assicurare l’ordinato afflusso e deflusso degli atleti e del numeroso pubblico. Contemporaneamente, in tutti i settori qualificati dell’Olimpiade, furono diramati inviti personali per la partecipazione all’Udienza stessa: ai Membri del C.I.O., ai dirigenti del C.O. e del C.O.N.I., agli attachés olimpici, ai giornalisti accreditati, ai capi delle Delegazioni internazionali e a tutti gli atleti. Alla vigilia dell’Udienza, U giorno 23 agosto 1960, avevano data adesione 3.830 atleti di 72 Nazioni, ma al momento dell’Udienza fu possibile riscontrare un afflusso notevolmente maggiore di atleti pervenuti sia con i 100 torpedoni già predisposti, sia con mezzi propri. Il Santo Padre scese in Piazza San Pietro alle 17,30 del 24 agosto, accolto dal vibrante applauso della folla che gremiva la Piazza in ogni parte, e dalle note dell’antico Inno Olimpico eseguito dalla Banda della Guardia Palatina. Subito dopo, l’On. Andreotti, Presidente del Comitato Organizzatore dei Giochi, rivolse al Santo Padre un indirizzo di omaggio in lingua latina, nel quale, rifacendosi alla cordiale accoglienza riservata dal Pontefice Pio X al Barone de Coubertin, espresse i sentimenti di omaggio e di gratitudine del Comitato Organizzatore e di tutti i presenti. Inoltre, assicurando il gradimento da parte dei Dirigenti e degli Atleti, pregò il Santo Padre di rivolgere una allocuzione, per solennizzare l’avvenimento e perché « eademque verba fore gratae memoriae causam, quibus laetum hoc concordiae, iuventiitis ac ludicri agonis festum exornatur, quod Roma elato effusoque gaudio celebratura est ». Il Pontefice si compiacque di rivolgere ai Dirigenti ed Atleti un paterno discorso in lingua latina, nel quale ricordò ancora l’incoraggiamento che San Pio X diede al Barone Pietro de Coubertin. Sottolineò poi il piacere con il quale, dopo lunga attesa, aveva lasciato Castelgandolfo per salutare le « compatte e animose schiere degli atleti ». 61


Precisando poi l’impossibilità di un augurio di vittoria ai singoli o ai gruppi, rammentò, sempre nel ricordo del Barone de Coubertin, l’importanza dell’esercizio più che della vittoria: « Non enim palma in stadio proposita, sed recta corporis exercitatio potior aestimanda est ». E prendendo lo spunto per ricordare i grandi benefici dello sport sul corpo e sull’anima, così li elencò: « sanitas, vigor, membrorum agilitas, gratia, pulchritudo, ad corpus quod attinet; quod ad animum spectat, constantia, fortitudo, sui abnegandi consuetudo ». Appena terminato il discorso del Pontefice, i locutori della Radio Vaticana ne diedero un sunto nelle lingue francese, inglese, spagnolo, portoghese, tedesco, olandese, russo, polacco, ungherese, romeno, cinese, giapponese, arabo. Contemporaneamente, i Dirigenti Olimpici presenti alla cerimonia venivano presentati al Santo Padre. Subito dopo, una delegazione di atleti, rappresentanti i cinque continenti (Pierpaolo Spangaro, Italia; Leslie Claudius, India; Aye Adjavon, Liberia; Jesùs Gruber, Venezuela; Ivan Lund, Australia) offrì doni del Comitato Organizzatore a Sua Santità. Per prima fu donata una statuina di San Giovanni Bosco, opera dello scultore Pietro Canonica, al quale fu appositamente richiesta poco prima della sua morte. Secondo dono fu l’edizione, con miniature ispirate alle Olimpiadi, di un alto carme in eleganti versi latini, che il latinista Padre Vittorio Genovasi S. J. compose su invito dell’Ente Provinciale per il Turismo, per le Olimpiadi di Roma. Il 29 agosto 1960, una Udienza particolare fu riservata ai Membri del Comitato Internazionale Olimpico, nella Sala dello Svizzero al Palazzo di Castelgandolfo. Il distinto gruppo, guidato dal Presidente del C.I.O., Avery Brundage, comprendeva quasi tutti i Membri accompagnati dalle rispettive consorti, il Presidente del Comitato Organizzatore dei Giochi, On. Andreotti, il Presidente del C.O.N.I., Avv. Onesti. Dopo aver presentato i Membri del C.I.O. al Santo Padre, il Presidente Brundage rivolse al Pontefice un breve indirizzo di omaggio e di riconoscenza, in lingua inglese, così concludendo: « Poiché lo scopo del movimento olimpico non è propriamente quello di vincere medaglie e conquistare primati, ma è quello di sviluppare la salute e il carattere per giungere così ad un più facile e pacifico mondo, io posso assicurare Vostra Santità che la Sua considerazione per il movimento olimpico è ben riposta ». Il Santo Padre rispose all’indirizzo con un nobile discorso pronunciato in lingua francese. Prendendo lo spunto dal ricordo commovente dell’Udienza concessa agli atleti, a « cette belle jeunesse, vibrante de vie et d’enthousiasme », precisò che il significato più alto dell’Udienza sta propriamente nella ricerca 62


di una parola che unisca al di sopra di tutti i particolarismi e dichiarò apertamente che egli intese appunto sottolineare la sua « cordiale approbation à ce désir universel de collaboration plus généreuse de tous les peuples en vue du véritable bien-étre et de la défense des valeurs humaines ». Fece presente quindi che le parole del Barone de Coubertin: « Ce qui importe n’est pas de vaincre, mais de participer aux Jeux », gli richiamavano alla mente quelle di San Paolo: « Ne savez-vous pas que, dans les courses du stade, tous courent, mais un seul remporte le prix ? Courez donc de manière à remporter tous quelque chose de plus haut et de plus durable qu’une couronne périssable ». Riaffermando poi la propria gioia al pensiero dell’animazione olimpica che regnava in quei giorni a Roma, pregò i Membri del C.I.O. di « renouveler aux jeunes athlètes - dont la présence sur la Place Saint Pierre demeure un des plus heureux souvenirs de cette année - nos voeux de bon succès dans les Jeux qui se déroulent et d’heureux développement de leurs activités d’homme dans l’avenir ». Il discorso si concluse con la Benedizione Apostolica e subito dopo il Sig. Brundage presentò al Santo Padre i singoli Delegati Internazionali, assistito presso il Trono Pontificio dall’On. Andreotti, dal Vice Presidente del C.I.O. Marchese di Exeter, dal Conte Thaon di Revel e dal Marchese Ekelund. Indi veniva offerto al Papa un astuccio contenente le medaglie in oro e argento coniate per i vincitori delle gare olimpiche. Il Sommo Pontefice ricambiò il dono rimettendo a ciascuno dei presenti una medaglia appositamente eseguita dallo scultore Giacomo Manzù, recante l’effigie di Sua Santità in mozzetta e camauro al recto e una pianta di olivo in fiore con la scritta « Oboedientia et Pax » al verso. Successivamente gli illustri ospiti furono invitati ad accompagnare il Pontefice per alcune sale del Palazzo di Castelgandolfo fino ad una terrazza affacciata sul Lago Albano dove erano in svolgimento gare di canottaggio. Il 7 settembre fu concessa una Udienza ai Dirigenti dei Comitati Olimpici Nazionali e delle Federazioni Sportive Internazionali che avevano caldamente sollecitato la possibilità di essere ricevuti dal Santo Padre. In quella occasione furono offerti al Papa i paramenti sacri per la Chiesa che dovrà sorgere nel quartiere del Villaggio Olimpico. Terminavano così le manifestazioni in forma ufficiale attuate dall’Ufficio per l’Assistenza Religiosa agli atleti partecipanti ai Giochi dell’Olimpiade Romana dove lo spirito olimpico, nel suo significato pili grande, trovò giusto motivo di rispetto e di esaltazione anche nel settore religioso.

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Capitolo 16 FILATELIA OLIMPICA

I Giochi di Roma rappresentarono un evento importante anche per gli appassionati di filatelia. Si diede vita ad interessanti iniziative già a partire dal 1955, con l’emissione di francobolli ed annulli commemorativi. Un successo inimmaginabile con tante richieste da ogni parte del mondo. Fondamentale collaborazione con le Autorità Postali Italiane.. “Non avrei mai creduto che ci fossero tanti appassionati di filatelia nel mondo…” scrive Fiammetta Scimonelli nel bell’articolo ove ricorda il suo impegno professionale all’Ufficio Assistenza Filatelisti di Roma ‘60. Ebbene sì, quelle Olimpiadi segnarono una data storica per i collezionisti dei francobolli, perché fu il primo grande evento sportivo che diede spazio ufficiale a questo settore che raccoglie milioni e milioni di appassionati in tutte le zone della Terra, tant’è che il CIO ha successivamente incluso la filatelia tra le forme d’arte ammesse ai Giochi Olimpici. Leggiamo dal Rapporto Ufficiale che “…fin dal 1957 lo Stato Italiano accolse favorevolmente la proposta per la emissione di una serie di francobolli commemorativi dei Giochi della XVII Olimpiade. Successivamente fu costituito in seno alla complessa Sezione Segreteria e Affari Generali, per la prima volta nella storia delle moderne Olimpiadi, l’Ufficio Assistenza Filatelisti al quale furono affidati vari compiti…” Almeno quattro furono le linee operative affidate a tale Ufficio: l’emissione e la diffusione di cartoline commemorative, delle vignette chiudilettera, degli annulli postali speciali e di ogni altro materiale di natura collezionistica; lo studio e la realizzazione di un servizio postale speciale in tutti i settori dell’Organizzazione durante il periodo dei Giochi; i contatti con le Autorità postali nazionali ed estere per la realizzazione di emissioni di francobolli commemorativi; infine 65


la fornitura ai collezionisti, a prezzi assolutamente privi di finalità speculative, di materiale filatelico commemorativo dei Giochi della XVII Olimpiade. Ad avvalorare l’affermazione della Scimonelli, leggiamo sempre dal Rapporto: “L’interesse dei collezionisti si manifestò immediatamente e nel breve giro di pochi mesi le adesioni risultarono in quantità considerevole tanto da rendere necessaria una vera e propria selezione secondo le esigenze di ciascuno di essi.”. Nel mese di aprile del 1958 si diede corso alla prima emissione commemorativa consistente nell’apposizione su busta ufficiale dell’affrancatura meccanica di propaganda, mentre in modo analogo il 25 agosto dello stesso anno fu ricordata la celebrazione della Giornata Olimpica. Successivamente fu concepita una serie di sei cartoline di grande effetto pubblicitario che, richiamando il motivo degli antichi olimpionici della Magna Grecia, posero in evidenza la continuità storica dei Giochi. Quindi, a tempi differenziati, si diede il via all’emissione di cartoline commemorative in occasione dell’inaugurazione degli impianti sportivi, e poi ancora fu curata l’emissione di una serie di vignette chiudilettera con la riprodu­zione del simbolo dei Giochi e la didascalia in 12 lingue. La risposta fu “totale, tant’è che l’intero stock fu esaurito prima dell’inizio dei Giochi. Mesi dopo si diede infatti corso ad una seconda edizione dell’iniziativa, anch’essa “fagocitata” in pochissimi giorni dagli appassionati. A seguire, il 23 giugno 1959 fu emessa la serie di cinque francobolli di propaganda olimpica d’Italia, mentre, esattamente un mese dopo fu istituito un Ufficio Postale Speciale nei locali dell’Ufficio Recapito Postale del C.O.N.I. Si successero poi a breve scadenza le emissioni in occasione delle inaugurazioni di vari impianti sportivi e della celebrazione della Giornata Olimpica 1959. È poi importante ricordare che, con la collaborazione del periodico « Sport-Phila », fu realizzato, un concorso-mostra di francobolli olimpici, abbinato alla mostra della fotografia sportiva, nei grandi corridoi del Palazzo dello Sport. Parteciparono 61 concorrenti, in rappresentanza di 21 Paesi. Ovviamente sull’argomento filatelia ci sarebbe da raccontare tanto e tanto, ma è pur vero che questa non è la sede adatta, e soprattutto usciremmo fuori dal tema, che è appunto quello di ricordare gli uffici e gli organismi dell’organizzazione olimpica romana ove i nostri colleghi hanno operato, e bene!. E l’Ufficio Postale e l’Ufficio Assistenza Filatelisti rappresentarono comunque una ulteriore testimonianza di quel prezioso coinvolgimento

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PARTE SECONDA



ROMA 1960, TESTIMONI OCULARI, OVVERO “LA NOSTRA OLIMPIADE”

Nota introduttiva Non è certo blasfemo affermare che i Giochi di Roma 1960 sono da considerare “la nostra Olimpiade”, in quanto l’aggettivo possessivo “nostra” si riferisce, nel suo complesso, alla categoria dei dipendenti CONI, ovviamente in primis a coloro di questi che ebbero la fortuna di essere testimoni diretti, “sul campo”, della meravigliosa avventura. Infatti, quando cominciò a ventilare l’ipotesi che la Capitale avrebbe potuto ospitare la manifestazione sportiva più importante del mondo, all’interno del nostro Ente si creò un fermento emotivo tale che, come un virus, attecchì su tutti gli operatori, a tutti i livelli, dagli operai fino ai dirigenti. C’è da dire che nel 1955 il nostro Ente non aveva un organico di professionali particolarmente numeroso, e che l’ambiente, pur serio e solenne, era caratterizzato da una atmosfera da “grande famiglia”, col Presidente Onesti nel ruolo di “padre attento e severo”. È quindi immaginabile, immedesimandosi alla situazione del tempo, a quella voglia che avevano tutti gli italiani “di tirar su la testa” dopo il terribile e doloroso dramma della Seconda Guerra Mondiale, come l’idea di poter essere in qualche modo coinvolti nella “costruzione” di una Olimpiade esercitasse su tutti, ripetiamo tutti indistintamente, una emozione ed una frenesia senza pari. È in questo contesto che si può capire come non può essere assolutamente definita “retorica” la lettera che abbiamo pubblicato all’inizio di questo volume a firma Giulio Onesti ed indirizzata a tutti i dipendenti CONI. Quella compattezza, quell’armonia, quella operosità “della nostra grande famiglia” cui il Presidente Onesti faceva orgoglioso riferimento erano aggettivi appropriati, o meglio veritieri, per rappresentare una situazione reale. 69



Capitolo 1 IL NOSTRO PORTABANDIERA: ANGELO MENNA

Presidente e prima ancora co-fondatore dell’Associazione Pensionati CONI, Angelo Menna ha vissuto intensamente tutte le fasi della evoluzione organizzativa che il Comitato Olimpico ha espresso dal dopoguerra ad oggi. Presente fin dal 1946 nella struttura del CONI (iniziò nel Totocalcio) fu coinvolto in modo diretto nell’organizzazione dei Giochi Olimpici di Roma 1960, curando il reclutamento e la gestione del personale nonché fu anche componente del Settore Tecnico, occupandosi in modo specifico del coordinamento del Settore Organizzazione Allenamenti. Nel 2010, in occasione del 50° anniversario dell’evento olimpico romano, ci rilasciò una intervista, nel corso della quale il tema Roma 1960 fu uno dei punti clou. Ne riproponiamo il testo integrale, magnifica testimonianza di quel che fu il rapporto tra quell’evento ed i dipendenti CONI. Caro Presidente, quale è stato il tuo rapporto con le Olimpiadi? “Posso dire che è stato totale, dal momento della assegnazione fin quando chiudemmo tutti i conti” Il che vuol dire? “Dal 1955 al 31 dicembre del 1962. Sono stato trasferito al Servizio del Personale del CONI il 12 gennaio del 1954, proveniente dalla Direzione Generale Totocalcio. Qui ho trascorso trent’anni esatti della mia vita fino a diventarne primo responsabile. Quando assegnarono i Giochi a Roma, nel giugno del ’55, cioè l’anno dopo il mio arrivo, mi trovai quindi coinvolto da subito nei Giochi, visto che il Servizio ove operavo dovette occuparsi del personale assegnato al Comitato Organizzatore di Roma 1960. In tutto credo che fossero circa 40 persone. Poi nel 1957 fu costituito un Ufficio Personale specifico per le Olimpiadi e nell’arco di tre anni dalle quaranta unità si passò a numeri di 71


cinque cifre, non tutti dipendenti CONI ovviamente, e sempre ovviamente, la maggior parte con contratto a termine. Finiti i Giochi quindi bisognava chiudere i conti, e per questo fu costituito un Ufficio Stralcio che avrebbe dovuto seguire tutte le pratiche inerenti le liquidazioni, il saldo dei compensi e via discorrendo. Fu un lavoro enorme che mi vide in prima linea e che mi impegnò per ulteriori ventotto mesi, fino al 31 dicembre 1962.” Ma allora le tue Olimpiadi le hai seguite “a tavolino”? “No, per fortuna no, e ne sono felice! Infatti il 13 agosto del ’60, a dodici giorni dalla Cerimonia d’Apertura mi arrivò la lettera del Segretario Generale Bruno Zauli ove mi si comunicava che “in relazione alle pressanti ed indifferibili esigenze olimpiche” avrei dovuto prestare la mia opera “nell’ambito dell’organizzazione olimpica per il periodo dal 15 al 31 agosto”. Fui inviato presso l’Ufficio Allenamenti e Gare, diretto dal compianto Amos Matteucci. Come era logico lavorai in quell’Ufficio oltre fine agosto, fino alla fine dei Giochi.” Quindi la manifestazione ti permise di lasciar da parte le scartoffie? “Assolutamente no: di mattina lavoravo al Servizio del Personale, di pomeriggio mi trasferivo di sede, all’Ufficio del Villaggio Olimpico. Insomma un tempo pieno, o meglio dire totale, di almeno 16 ore al giorno!” Un lavoro certamente più interessante? “Ovviamente sì, anche se la mia forma mentis è sempre stata di tipo amministrativo. Al Servizio Tecnico è’ stata una bellissima, quanto impegnativa esperienza. Questo Ufficio doveva occuparsi della gestione degli allenamenti delle squadre, il che significava “far quadrare il cerchio” per mettere nelle condizioni tutte le squadre di tutte le discipline di potersi allenare secondo schemi ben precisi e coordinati, con la disponibilità degli impianti, del servizio trasporti e di quello logistico. Un puzzle complicatissimo, che affrontavamo “a mano”, senza l’apporto oggi essenziale dei computer.” Quindi anche un lavoro stressante… “Sarà stata la giovane età, non ancora quarantenne; sarà stata l’importanza dell’evento; sarà stato che quando c’è da lavorare non mi sono mai tirato indietro, ma per me le Olimpiadi di Roma, oggettivamente impegnative, hanno pesato quasi niente, o quantomeno non me ne sono accorto. Ma attenzione: non sono stato solo io ad “essere speciale” in quegli anni ed in quei mesi. Lo eravamo tutti noi dipendenti CONI, tesi allo spasimo perché ogni cosa riuscisse nel migliore dei modi. Si era creata una situazione ambientale eccezionale, che ritengo sia stata il vero e proprio asso nella manica di tutta l’organizzazione olimpica”. 72


Finite le gare e spento il braciere, ci hai detto che continuasti a lavorare per le Olimpiadi. In che modo? “Come ho detto prima, tornato tra le scartoffie, mi è stato affidato l’Ufficio Stralcio, che fu davvero un lavoro pesante. Ma misi tutta la mia buona volontà, e con me gli altri amici e colleghi rimasti al mio fianco. Anche stavolta andò tutto bene, tant’è che non si è registrato alcun inconveniente, alcuna contestazione, alcun caso delicato. Però poi tutta quella tensione si fece sentire sul mio fisico. Infatti esattamente tre mesi dopo mi fu diagnosticata un ulcera allo stomaco e dovetti essere operato d’urgenza. Da almeno un anno soffrivo di dolori periodici spesso anche lancinanti, ma cercavo di non farci caso: ero davvero impegnato e non potevo permettermi pause. Per fortuna il lavoro fungeva da anestetico, tant’è che la crisi mi prese nel corso di una tranquilla e serena gita con mia moglie in quel di Perugia. Da vero e proprio stakanovista dissi tra me e me in Ospedale, che per fortuna l’inconveniente non mi era capitato prima. Ma ovviamente questo pensiero non l’ho mai detto a mia moglie…”

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Capitolo 2 UNA BELLA STORIA di Fiammetta Scimonelli

L’impatto di Fiammetta Scimonelli, allora ventiduenne neolaureata ed atleta in attività, con le Olimpiadi di Roma fu attraverso ...i francobolli. Poi il destino ha voluto che, per un caso fortuito, Roma 1960 segnasse il suo ingresso nel mondo del giornalismo. Quando sono stata assunta dal Comitato Organizzatore dei Giochi della XVII Olimpiade nel 1958 ero una ragazza appena laureata, che aveva bisogno di lavorare e non poteva aspettare di intraprendere la carriera universitaria. Dal momento che ero un’atleta ancora in attività nel CUS Roma e che nel mondo dello sport avevo qualche amico, ottenni un colloquio con il dott. Braga, che si occupava delle assunzioni. Evidentemente gli feci buona impressione perché mi diede l’indirizzo di via Crescenzio 14, il nome del dott. Gino Del Neri, invitandomi a presentarmi il giorno successivo. In quella palazzina color mattone doveva iniziare la mia carriera lavorativa. Il dott. Del Neri, capo della sezione segreteria che dipendeva direttamente dal segretario generale Marcello Garroni, mi destinò all’ufficio filatelico e lì conobbi il capitano Carlo Condarelli, catanese, collezionista assai conosciuto in Italia e fuori, ma soprattutto persona di particolari qualità umane. Io di francobolli non capivo nulla, ma sapevo scrivere ed era quello che desiderava il mio capo ufficio. Nacque così giorno dopo giorno un rapporto di collaborazione fiduciosa, come fra padre e figlia, tanto è vero che lui mi considerava indispensabile nel lavoro che stavamo svolgendo. Verso la fine del 1959 l’ufficio si trasferì a viale Tiziano, presso l’Ufficio Postale, dove operava il sig. Piccinelli, un gentiluomo pensionato, che amava passare il tempo lavorando, e da allora non ci fu un attimo di respiro. Non avrei mai creduto che ci fossero tanti appassionati di filatelia nel mondo, ma le richieste di prenotazioni arrivavano 75


numerose, quotidianamente, e non si potevano commettere errori. Era una via vai di persone che chiedevano informazioni sulle uscite dei francobolli, sui prezzi, su quanti annulli ci sarebbero stati, e via discorrendo. E un giorno arrivò un signore, accompagnato da Pasquale Stassano, che conoscevo da sempre perché, in quanto capo ufficio stampa della FIDAL e capo ufficio collegamento RAI-TV nel Comitato Organizzatore, frequentava i campi di gara. “Ti presento Donato Martucci, il capo ufficio stampa del CONI. Mi raccomando, trattalo bene”. Con Martucci parlammo di francobolli, che conosceva molto meno di me, ma che doveva acquistarli per alcuni amici residenti in Italia e all’estero. Ma mi fece anche delle domande sui miei studi, sorpreso del fatto che io parlassi con chiarezza e semplicità di quello che facevo e che avrei voluto fare. Lo rividi parecchie volte, anche fuori dall’ufficio, con conoscenti comuni come Giorgio Oberweger (C.T. della FIDAL) e Pasquale Stassano. Allora non sapevo davvero che il rapporto con Martucci, qualche anno più tardi, avrebbe dato una svolta al mio lavoro. L’avv. Onesti, che sentivo sempre nominare, non l’avevo mai visto. Ma una mattina, che cercavo di prendere l’ascensore e quindi avevo spinto il bottone per prenotarlo, dopo un po’ si aprì e vidi Donato Martucci, l’on.le Andreotti, che riconobbi per averlo visto più di una volta sui giornali, Bruno Zauli che riconobbi perché frequentava i campi di atletica anche durante prove regionali, e un uomo alto e robusto, con un viso aperto e simpatico che somigliava a quello dell’attore francese Fernandel. “Beh – mi disse lo sconosciuto con un’aria fra il severo e il divertito- vogliamo smetterla, signorina, di giocare con l’ascensore?” Martucci mi fece l’occhiolino ed io, forse arrossendo, mi scusai. Solo qualche giorno dopo seppi di avere incontrato per la prima volta l’avv. Giulio Onesti. Non ebbi mai occasione di andare nel Palazzo del CONI e quindi di conoscere il personale che operava accanto alla presidenza o nei diversi settori. Sentivo nominare Anna Prosperelli, Leda Bizzarri e altre persone di cui non ricordo il nome. Sarebbe successo solo 6 anni dopo, quando, ormai giornalista professionista e collaboratrice prima di “Momento sera” con Enzo Petrucci e poi del “Corriere dello Sport” con Antonio Ghirelli, decisi di accettare la proposta di Donato Martucci di andare a lavorare con lui all’Ufficio Stampa del CONI. L’Olimpiade arrivava a passi da gigante, così impegnati come eravamo nei preparativi. Si respirava sempre di più quell’aria speciale che anticipa il grande avvenimento e la divisa grigia a pieghe che dai primi di agosto dovevo indossare per poter andare e venire dove fosse necessario, era stirata nel mio armadio in attesa del momento richiesto. Se pure lavoravo dodici ore al gior76


no, non dimenticavo di essere un’atleta. Così feci un patto con il capitano Condarelli “Io lavoro anche la notte se è necessario, non voglio straordinari, ma quando comincia l’atletica lei mi deve lasciare libera di andarla a vedere”. Condarelli non solo accettò, ma mi concesse anche di essere presente alla cerimonia di apertura. Nei giorni dell’Olimpiade ho vissuto come in trance. Mentre lavoravo sentivo alla radio le notizie che arrivavano dai campi di gara. Ero felice che tutto andasse bene, che gli atleti italiani si facessero onore e ogni medaglia conquistata era una festa. Il Villaggio Olimpico, a poche centinaia di metri dal mio ufficio, era fonte di allegria e di sorriso per noi giovani, che avevamo occasione di vedere e conoscere tanti campioni delle diverse nazioni. Fu così che incontrai Livio Berruti, Giusi Leone (che avevo avuto già occasione di vedere sui campi di gara), Franco Sar e tanti altri delle diverse discipline e di Paesi sparsi per il mondo. Ed ebbi la fortuna di essere presentata a grandi giornalisti come Gianni Brera, Bruno Roghi, Renato Morino, Candido Cannavò, Gian Paolo Ormezzano e tanti altri. Ero allo stadio quando Giusi Leone vinse la medaglia di bronzo nei 100 metri. Ero allo stadio quando Livio Berruti, vincendo la semifinale dei 200 metri con il record del mondo di 20”5, dopo un’ora e mezza si ripeteva in finale battendo l’americano Carney e il francese Seye e conquistando la prima medaglia d’oro olimpica nella velocità per l’Italia. Ricordo che la semifinale la vidi in tribuna stampa e venni rimproverata dal capo redattore dell’Equipe Gaston Meyer, che conoscevo da un po’ di tempo, perché non si può fare il tifo dove lavorano i giornalisti. Offesa per l’osservazione, pensai di non poter assistere alla finale in sua compagnia e scesi in tribuna d’onore, accanto a Giovanna Obwerweger, moglie di Giorgio, godendomi con lei la gara e la vittoria indimenticabile del campione azzurro. Solo più tardi seppi che in tribuna stampa Pasquale Stassano era svenuto per l’emozione fra le braccia di Gianni Brera. Ma la grande giornata del 3 settembre 1960 non era ancora finita: perché in serata il settebello guidato dal “caimano” Eraldo Pizzo, infiammava la piscina, vincendo la medaglia d’oro nella pallanuoto. Eravamo tutti felici perché l’atmosfera dei Giochi Olimpici provocava una gioia infinita, un entusiasmo particolare, una voglia di vivere e di fare che credo ognuno sentisse, sia pure in modo diverso, a seconda dei caratteri e delle professioni. Purtroppo, questo bellissimo periodo doveva finire. E con tanta malinconia guardammo le fiaccole spontaneamente accese dal pubblico durante la cerimonia di chiusura. E con un po’ di tristezza, insieme con Franco Sar, fortissimo 77


decatleta, sesto assoluto della prova olimpica, assistemmo ai fuochi di artificio la sera dell’11 settembre al Pincio, salutandoci con le lacrime agli occhi perché avremmo voluto fermare quelle giornate indimenticabili per sempre. Saranno stati gli atleti e le persone straordinarie che avevo avuto la fortuna di incontrare, ad ispirare il primo articolo della mia vita. Carlo Biffi di “Momento sera”, esperto di equitazione, che avevo conosciuto, mi incoraggiò ad esprimere i miei pensieri sull’Olimpiade. Io lo feci e gli consegnai il pezzo, convinta che dopo averlo letto lo avrebbe buttato. Invece, un po’ di giorni dopo, Pasquale Stassano mi telefonò dicendo che mi stava leggendo sul giornale. Non era uno scherzo. Cominciava così la mia carriera giornalistica.

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Capitolo 3 PUGNI D’ORO di Vittorio Peconi

Vittorio Peconi, che tra l’altro è stato Presidente APEC dal 2013 al 2017, ed oggi ne è Presidente Onorario, ha vissuto la sua esperienza olimpica nell’ambito della Federazione Pugilistica, ci racconta i memorabili trionfi azzurri sul ring del Palazzo dello Sport. L’Italia “coi guantoni” conquistò 3 medaglie d’oro, 3 d’argento ed 1 di bronzo. Era il 15 giugno del 1955 quando arrivò, non del tutto inattesa, la notizia dell’avvenuta assegnazione a Roma della XVII Olimpiade dell’Era Moderna. Non stiamo qui a descrivere l’euforia che pervase immediatamente tutto l’ambiente del CONI e delle Federazioni Sportive per l’onore, non disgiunto dall’onere, di dover organizzare la massima manifestazione sportiva mondiale. Il CONI istituì immediatamente un complesso Organismo addetto allo scopo, il C.O.R. (Costruzioni Olimpiche Roma), incaricato specificamente alla costruzione di quegli impianti sportivi di cui la città di Roma necessitava, dallo Stadio Flaminio, al Palasport dell’EUR e al Velodromo Olimpico, ivi compreso, naturalmente, il Villaggio Olimpico che avrebbe ospitato tutte le Delegazioni partecipanti alla manifestazione. Con un intuito del tutto particolare il CONI, preso dai problemi di cui sopra, demandò l’organizzazione dello svolgimento delle singole discipline sportive alle rispettive Federazioni Nazionali. Così che, a noi del “Pugilato” ci toccò, in armonia e sotto la direzione tecnica dell’A.I.B.A. (vale a dire Association Internationale de Boxe Amateur) l’onere e l’onore di preparare l’intera organizzazione del Torneo che andava dall’allestimento delle palestre di allenamento, ai trasporti delle Rappresentative fin dall’arrivo aeroportuale e a tutti i trasferimenti connessi alle esigenze di gara, alla composizione dei programmi e alla forma79


zione delle giurie, fino a mille altre esigenze che non sto qui ulteriormente a illustrare. È da tenere presente che gli atleti iscritti alle dieci categorie di peso assommavano a 281 unità, in rappresentanza di 34 Nazioni. Il torneo assunse la durata di 12 giorni, dal 25 agosto al 5 settembre, con turni di gara pomeridiani e serali. La squadra italiana, che si preparava al Centro Sportivo della S.M.E.F. (Scuola Militare di Educazione Fisica) a Orvieto, era diretta dai tecnici, esordienti per l’occasione, Natalino Rea e Armando Poggi, subentrati al “mago” Steve Klaus, dimissionario subito dopo le Olimpiadi di Melbourne 1956, divenuto poi Procuratore Sportivo del peso leggero professionista Duilio Loy, poi diventato Campione del mondo. La rappresentativa, completa in tutte le dieci categorie di peso, fu formata a seguito di un Torneo Nazionale, composto da 4 atleti per categoria, i cui vincitori divennero i titolari della squadra olimpica. Era la prima volta che accadeva una selezione di tal genere: basti pensare che - tra gli altri - rimase fuori dalla squadra un pugile come Sandro Mazzinghi, divenuto anche lui successivamente Campione del Mondo, categoria pesi medi professionisti. Comunque, Rea e Poggi, cresciuti sotto le ali del “Mago” Klaus, riuscirono a sorprendere e a sovvertire tutti i pronostici pessimistici che molti “esperti del settore” espressero sulla squadra Nazionale dopo i primi tre incontri eliminatori dei nostri pugili, dove ottenemmo una ben due sconfitte ed una sola vittoria. In realtà, e per fortuna, si rifecero abbondantemente di quelle due sconfitte, accumulando infatti per tutto il resto del Torneo una sola ulteriore eliminazione, riuscendo di contro “a portare a medaglia” ben sette pugili! Il trionfo fu unico e tuttora imbattuto nella storia del pugilato olimpico italiano: il nostro gruppo infatti conquistò tre medaglie d’oro, tre d’argento ed una di bronzo. Vinsero l’oro Francesco Musso, nei Pesi Piuma (Kg. 57) che batté in finale il polacco Adamski; Giovanni, anzi “Nino” Benvenuti, nei Pesi Welter (Kg. 67) che batté in finale il sovietico Radonyak; e Francesco De Piccoli, nei pesi massimi (Kg. + 81) che batté in finale il sudafricano Bekker. Le tre medaglie d’argento furono invece appannaggio di: Primo Zamparini, nei Pesi Gallo (Peso Gallo - Kg. 54) battuto in finale dal sovietico Grigoryev; Sandro Lopopolo, nei Pesi Leggeri (Kg. 60) battuto in finale dal polacco Pazdzyor; Carmelo Bossi, nei Pesi Supervelter (Kg 67) battuto in finale dall’americano McClure. L’unica medaglia di bronzo fu conquistata da Giulio Saraudi, pesi mediomassimi (Kg. 81) battuto in semifinale dal 80


polacco Pietrzykowski. I tre azzurri eliminati furono invece il Peso Mosca (Kg. 51) Paolo Curcetti, il Peso Superleggero (Kg. 63,5) Piero Brandi ed il Peso Medio (Kg. 75) Luigi Napoleoni. È da sottolineare che Nino Benvenuti conquistò, unico italiano nella storia del pugilato Olimpico, la prestigiosa “Coppa Val Baker” quale miglior pugile del Torneo, e questo nonostante avesse partecipato nella categoria dei Mediomassimi un certo Cassuis Clay (che poi assunse il nome di Muhammad Alì). Un vero trionfo quindi per il pugilato azzurro, che contribuì notevolmente a far sì che l’Italia (con 13 ori, 10 argenti e13 bronzi complessivi) si classificasse nella classifica del medagliere come terza nazione in assoluto dopo i due paesi giganti dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti d’America.

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Capitolo 4 I GIOCHI VISTI DAL BASSO di Luciano Barra

Luciano Barra racconta le “sue” giornate romane viste con gli occhi di un diciottenne che riesce in qualche modo “a respirare da vicino” l’atmosfera delle Olimpiadi grazie alla amichevole compiacenza di un operaio CONI in servizio al campo dell’Acqua Acetosa, l’impianto che frequentava da anni sia come atleta che come “apprendista” dirigente. Nel 1960 avevo poco più di 18 anni e non ero certo un dipendente CONI. I ricordi sono quelli di un giovane atleta e di un dirigente di società in apprendistato, con la fortuna di aver avuto subìto due maestri come il giornalista Alfredo Berra, ed il compagno di tante successive avventure, Mario Pescante. Ho ancora il forte dubbio che mi abbiano poi avviato alla carriera di dirigente più per la mia mediocrità come atleta che per le mie capacità organizzative. Ma tanto è. Ovviamente sui Giochi di Roma grandi giornalisti hanno scritto le gesta di Campioni Italiani e stranieri che hanno segnato con le loro imprese e la loro umanità, la storia dello Sport. Non mi permetto di ripercorrerle perché non ne sarei all’altezza. D’altronde basta ad ognuno di voi rivedere le bellissime ed indimenticabili immagini del film di Romolo Marcellini, La Grande Olimpiade - trasmesse più volte proprio in questi mesi da RAI SPORT e da ESPN CLASSIC – per ripercorrere momenti esaltanti e commoventi e per capire la magia di quei Giochi. Invece voglio ricordare quegli anni e quell’avvenimento tramite una serie di personaggi, e sottolineo questa parola, perché loro sono stati dei personaggi molto importanti, sicuramente per la mia esperienza sportiva. Allora andando nei vari campi di Roma per allenamenti e leve scolastiche avevo avuto modo di conoscere semplici addetti che lavoravano negli impianti 83


atletici del CONI. Cito alla rinfusa alcuni nomi, quelli che ricordo: Anzini, Amici, Zannini, Brecciaroli, Zagaria ed altri di cui mi sfuggono i nomi ma le cui facce sono ancora impresse nella mia memoria. Erano loro che garantivano l’agibilità delle piste atletiche romane. Attrezzi, rastrelli per la sabbia e rulli per ripianare le corsie di “tenni solite” erano i loro strumenti. Insieme a loro ricordo i così detti Capi Impianti: Fusilli, Beppone Tosi (ho avuto poi la figlia Francesca con me alla FIDAL), Magini, Umbertone Silvestri, Borgognoni, Guidi ed altri. Ricordo che dal 1957 in poi erano tutti motivati e si preparavano per il grande avvenimento. Qui i ricordi si sovrappongono fra gli anni precedenti e quelli successivi ai Giochi e si mischiano con alcune esperienze personali di gare viste e fatte sia all’Olimpico che allo Stadio dei Marmi, ma non sono qui per parlare di me. Ricordo di lunghe serate all’Acqua Acetosa, od alla Farnesina o alle Terme di Caracalla, dove ognuno di loro senza mai guardare l’orologio ci assisteva fino al tramonto del sole. Chi può dimenticare le storie di Anzini, pugile che aveva avuto un momento di gloria, che alle Terme di Caracalla ci intratteneva con la sua mimica pugilistica. O gli spiedini cucinati da Amici all’Acqua Acetosa per pochi intimi. E via di seguito. Questa conoscenza umana di personaggi veri mi ha aiutato due volte nella mia esperienza sportiva. La prima volta è stato proprio alla vigilia dei Giochi, quando tornato anticipatamente dalle vacanze di un “pariolino” a Cortina d’Ampezzo, arrivato all’Acqua Acetosa scoprii che non potevo entrare come avevo fatto per tanti anni, in quanto serviva un accredito Olimpico. Fu la prima volta che sentii parlare di “accredito”, strumento che poi mi ha perseguitato per il resto della vita (ne ho circa un migliaio), fino all’altro giorno nel salone del CONI quando è stata decisa la candidatura di Roma per i Giochi del 2020. Ma ricordo che non avendo questo nuovo e moderno strumento, mi crollò il mondo. Ma come, io che avevo tanto atteso questo evento non potevo entrare in quel campo, oggi si chiama Paolo Rosi (in memoria di una grande giocatore di Rugby ed uno dei nostri migliori commentatori sportivi), che avevo frequentato centinaia di volte come atleta e come dirigente di società? Mi salvò uno di loro, forse Zannini. Vide la mia frustrazione, ma anche la mia ira, e trovarono la maniera di farmi entrare per oltre una settimana da una porta di servizio. Da lì mi improvvisai corrispondente dai campi di allenamento e detti informazioni quotidiane al Corriere dello Sport. Quell’episodio non lo dimenticherò mai e forse anche grazie a quell’occasione nacque in me quella motivazione e quel fuoco che mi ha spinto in tutta la mia carriera. Allora capii che nulla era impossibile. Della secondo volta dirò più avanti. 84


Poi iniziarono i Giochi e rimediai qualche biglietto per vedere le gare. Durante i Giochi i miei amici “addetti” li avevano vestiti a nuovo, come era logico. Una divisa per quei tempi elegante ma goffa. Un carta di zucchero di due pezzi a mo’ di tailleur, chissà se già allora qualche modista Italiana non ci avesse messo la mano. La prima volta che li vidi in azione sbottai dalle risate, perché il rastrello, vestiti così, proprio non ci stava bene. Io li ricordavo sbracati e sporchi di fatica, ma puliti nella faccia, ed ora tutti eleganti non li riconoscevo più. Parlai con alcuni di loro, soffrivano in quella mise ma dovevano fare bella figura ed erano orgogliosi di quello che facevano. Anni dopo mi ricordo che Pasquale Stassano, uno degli uomini di Bruno Zauli, mi disse che la Federazione Internazionale di cui Zauli era autorevole Consigliere, ebbe parole di grande elogio per il servizio che fu offerto dal personale dell’Olimpico durante lo svolgimento delle gare di atletica. Soprattutto ricordavano l’incredibile performance fornita in occasione della prima giornata del decathlon, quando le gare furono interrotte per un violento temporale e riprese dopo tre ore e completate a notte fonda con diversi mezzi di fortuna. Loro, i nostri addetti avevano reso le piste e le pedane agibili in pochi minuti, nonostante il temporale caduto, e soprattutto avevano fatto si che la mattina dopo alle nove tutto fosse pronto come nulla fosse accaduto. Un altro grande personaggio dell’atletica l’ungherese Jozef Sir mi raccontò di un altro episodio avvenuto allo Stadio dei Marmi durante il riscaldamento pre-gara. All’inizio del tunnel dello Stadio Olimpico era collocato il tavolo dell’addetto ai concorrenti ed i giudici assemblavano gli atleti che tramite il tunnel andavano allo Stadio Olimpico per correre i quarti di finale dei 100 metri. Però mancava un atleta per cui i giudici stavano usando l’altoparlante, cominciarono a chiamare “Armin Hary”, “Please Armin Hary, report to the call room”. Josef Sir notò che Armin Hary era poco distante dal tavolo dell’addetto ai concorrenti ma non si presentava nonostante le continue chiamate. Allora lui si avvicinò ed in tedesco gli disse “La stanno chiamando, perché mai non si presenta all’addetto ai concorrenti?” E lui di rimando “Io sono il Signor Hary non Armin Hary”. Ma l’incidente diplomatico fu risolto da uno degli addetti del campo che era là vicino e che senza aver capito nulla lo prese bonariamente sotto braccio e lo portò all’addetto ai concorrenti. Qualcuno si domanda ancora perché fu il più forte e vinse i 100 metri? Allora non ebbi modo di conoscere direttamente i grandi Capi, quelli che dal Foro Italico supportavano i miei amici: l’Ing. Baracchi, l’Arch. Guazzone, l’Ing. Besi (porto ancora la colpa della sua caduta allo Stadio Olimpico alla 85


vigilia di una grande manifestazione d’atletica, credo la Coppa del Mondo del 1981), Patriarca, Fioravanti, Eleuteri e tanti altri che ebbi modo di conoscere anche dopo: Aurioso, Bompadre, Marcella Marcellini, Viola, Nemesi etc. (mi scuso per chi ho dimenticato ma gli anni scorrono anche per me…).Così come allora non ebbi modo di conoscere coloro che a capo dell’Area Tecnica dei Giochi di Roma ne garantirono il perfetto svolgimento: Mario Vivaldi, Virgilio Tommasi – primatista Italiano di salto in alto nel passato, - ed Amos Matteucci, responsabile dei campi di allenamento, poi nume tutelare dello sport universitario al CONI. Nel famosissimo libro dell’americano David Maranis pubblicato pochi anni fa e intitolato “Roma 1960 - Giochi Olimpici che cambiarono il mondo” solo due giornalisti sono ricordati: Gian Paolo Ormezzano ed il giovanissimo Rino Tommasi, il figlio di Virgilio che ebbe la sfortuna di avere un incidente stradale il giorno prima dell’apertura dei Giochi come racconta Maranis nel suo libro. Anni dopo entrai al CONI dalla porta principale, quale Segretario Generale della FIDAL, dopo una utile esperienza alla Federcalcio, quale redattore junior di Calcio Dilettanti, grazie a due colleghi pensionati (Dario Borgogno e Marcello Folena). In quegli anni molti degli amici che avevo conosciuto sui campi erano cresciuti ed erano controparte nei vari sindacati. E la mia fortuna fu che mi avevano conosciuto sui campi di allenamento ed avevano apprezzato la mia passione e la mia dedizione. Mai nei tanti anni di dirigenza al CONI mi misero in difficoltà, anzi mi consultavano prima delle riunioni ufficiali e mi davano utili consigli. Nei miei otto anni in Commissione del Personale del CONI mi sono trovato più volte dalla loro parte che da quella della Amministrazione che rappresentavo e loro nelle riunioni mi chiamavano per nome, quasi fossi uno di loro, e mi hanno sempre garantito rispetto e tranquillità anche nei momenti più difficili. Sia i vecchi che quelli più giovani come la coppia B & B (...parlo di Bonometti e Biscari). Ecco il mio primo ricordo sui Giochi di Roma è rivolto a loro. Furono anche loro che a contatto con i partecipanti e gli officianti resero questi Giochi indimenticabili. Sarà difficile che nelle varie celebrazioni su Roma ’60 qualcuno si ricordi di loro, anche perché moltissimi ci hanno da tempo lasciato. A me è piaciuto farlo perché lo sento e perché devo tanto ad ognuno di loro.

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Capitolo 5 CORREVA L’ANNO 1957 di Rosita Romanelli

Quella che ci apprestiamo a leggere è la testimonianza diretta di Rosita Romanelli, che fu assunta nel 1957 e subito destinata al C.O.R. (Costruzioni Olimpiche Roma). E da questo osservatorio privilegiato vide crescere giorno per giorno gli impianti che nel 1960 avrebbero ospitato l’ultima Olimpiade a dimensione d’uomo. Correva l’anno 1957: dopo un breve colloquio con Angelo Menna ed un test attitudinale affrontato sotto l’attenta osservazione del professor Ferruccio Antonelli (ndr: specialista in Neuropsichiatria e fondatore della psicologia dello sport, fu fra i primi docenti della Scuola Centrale dello Sport) fui inviata all’ufficio tecnico del C.O.R. (Costruzioni Olimpiche Roma) creato l’anno prima dal comitato organizzatore dei giochi della diciassettesima Olimpiade, e che aveva il compito di costruire ed ammodernare tutti gli impianti necessari per l’ottimo svolgimento delle Olimpiadi. Non è mia intenzione, anche perché non ne sarei capace, di parlare di questioni tecniche, strutturali ed economiche, né tanto meno delle difficoltà affrontate e risolte dal C.O.R. negli anni precedenti il 1960. Vorrei soltanto, attraverso piccoli flash ancora vivi nella mia memoria, far conoscere l’atmosfera diversa, entusiastica ed esaltante che permeava il nostro ambiente di lavoro. Gli uffici erano al quinto e sesto piano in largo Diaz, al numero 13. Come Servizio avevamo poche stanze a disposizione, tant’è che eravamo in tre o quattro persone per ogni locale assegnatoci. Di questo palazzo ricordo ancora con una certa apprensione l’ascensore: infatti era uno di quei famigerati impianti costruiti dall’ingegner Colla, ben noti a Roma - si fa per dire! - perché erano sempre guasti. Ebbene anche il “aggeggio” non era da meno: andava in “tilt” ad ogni piè sospinto e senza una ragione, per cui quasi tutti noi che lavoravamo 87


in quell’edificio, sia dirigenti che impiegati, ci è capitato più volte di uscire da quell’infernale aggeggio … a quattro zampe, poiché all’improvviso si bloccava a 50, 60 cm prima di arrivare al pianerottolo! Né posso dimenticare l’orologio con asta manuale che era collocato al sesto piano, ove inserivamo il cartellino delle presenze: i nostri colpi, avanti ed indietro di quell’asta, a lungo andare avevano lesionato il tramezzo di sostegno di questo apparecchio. Il lavoro di ognuno si svolgeva, nelle singole competenze con passione e celerità, senza badare né ad orari, né a feste o a ferie. Nel complesso regnava uno spirito di collaborazione davvero unico, che non veniva intaccato nemmeno quando ho qualche volta nascevano ripicche o pretese personali di qualcuno di noi, che ambivano ad incarichi a loro giudizio più congrui. Nulla di particolare comunque, cose che accadono in ogni comunità di persone, e che poi rientravano in breve tempo nella normalità. Ora vorrei ricordare alcuni personaggi che ho ben fissi nella memoria e che a mio avviso sono stati gli artefici primi della riuscita di Roma 1960. Inizio dall’ingegner Luciano Berti, alto, distinto, che era consulente tecnico del dottor Mario Saini. Berti era un uomo dal cuore d’oro che aiutava sempre chi aveva bisogno. La sera, finito il lavoro, si faceva accompagnare a casa dall’autista con la vecchia e gloriosa “ giardinetta” (ricordate? era una Topolino “mini-van”, con portellone posteriore, che aveva le fiancate in legno), auto a disposizione dell’ufficio, che usavamo quando dovevamo fare il giro dei vari impianti in costruzione. Altra la persona che ricordo con commozione è l’ingegner Bernardo Barotta, il mio capo, un omino molto schivo, severo ed introverso, il quale però aveva una passione: sui tetti di Roma, così come nelle tende dei deserti (ndr: era orgoglioso di aver contribuito alla realizzazione di grandi opere in Africa “per l’impero mussoliniano”), amava osservare e studiare le stelle con il suo per noi famoso binocolo, attraverso il quale, egli diceva, poteva rendersi conto della grandezza del Creato. Altro importante personaggio era il dottor Giuseppe Andreani, dell’archivio del C.O.R.: veniva dalla importante esperienza delle Olimpiadi invernali di Cortina d’Ampezzo del 1956, parlava diverse lingue ed adorava (come li adoro io...) i balletti classici. Quindi ricordo il dottor Luciano Colucci, ex direttore generale dell’Anas, filosofo, amico di Benedetto Croce, che con l’avvocatessa Clori Giordano e la cara amica Iolanda Coarelli furono i pilastri portanti, per la parte legale, per la stesura dei contratti di appalto delle varie costruzioni. Poi c’è l’architetto Annibale Vitellozzi, che fu il progettista assieme a Pierluigi Nervi del Palazzetto dello Sport, che amava sottolineare come le opere architettoniche dovevano essere leggere ma 88


anche pesanti, palpabili ma aeree, molto costose ma bellissime. Un mio pensiero particolare va poi al dottor Mario Saini, grande capo del C.O.R., che nel comporre la squadra operativa per le Olimpiadi, seppe scegliere uomini chiave “prestati” da vari Ministeri, dal Comune di Roma e da Enti pubblici e privati, e volle farsi affiancare da architetti famosi (ma anche da meno famosi però bravi), da ingegneri molto capaci, da geometri acuti e soprattutto dai migliori impiegati, tutti personaggi che, nei diversi ruoli e funzioni, seppero aprire tutte quelle porte necessarie per il raggiungimento dell’importante meta olimpica. Mario Saini era un uomo di poche parole, non prodigo di complimenti, molto attento a spendere denaro a suo avviso superfluo, il quale malgrado questa durezza apparente, ebbe la capacità di creare una organizzazione attiva, fattiva tecnicamente, ma tutt’altro che arida sotto il profilo umano, e che ebbe il merito di considerare ogni collaboratore e dipendente come un amico fidato ed affettuoso su cui poter contare: il tutto in una situazione di reciproco rispetto e fedeltà. E di questa fiducia ne ebbe testimonianza diretta allorquando per suoi problemi di salute dovette assentarsi per qualche mese: la macchina da lui allestita continuò a funzionare alla perfezione. In questi miei ricordi aleggiano anche le simpatiche scaramucce (…mica tanto leggere!), tra l’architetto Pierluigi Nervi ed il maestro Emilio Greco, il grande scultore, per rendere “più bello” il Palazzo dello Sport dell’Eur. Il primo, tra l’altro autore dello stupendo soffitto dell’impianto (… simile ad un merletto di Burano), oggetto ancor oggi di ammirazione e di studio in tutto il mondo, si opponeva all’idea dello scultore di decorare la Tribuna Autorità con un “fregio” particolare e con un determinato colore. La contesa, comunque corretta, fu aspra, e vide alla fine prevalere l’architetto Nervi. Il Maestro si “consolò” allora realizzando una statua davvero bella che fu collocata davanti all’entrata principale del Palasport: la nuotatrice. Si tratta di un’opera che negli anni successivi fu trasferita nell’androne centrale del Palazzo H, sede del CONI, ove ancor oggi si può ammirare in tutto il suo splendore e la sua plasticità espressiva. Oltre alle persone, mi legano al ricordo delle Olimpiadi anche tanti aneddoti che ho vissuto in prima persona durante quel periodo meraviglioso, come quella volta che con una mia collega ci prendemmo una mezz’ora di permesso, perché volevamo visitare il maestoso nuovo edificio a fianco dello Stadio Olimpico che poco dopo sarebbe divenuto sede del Ministero degli Esteri: ma purtroppo, prese dalla bellezza degli interni di questo palazzo, perdemmo nel vero senso della parola la cognizione del tempo, per cui rientrammo in ufficio con molto ritardo. La qualcosa ci causò una solenne ramanzina da parte del 89


dottor Saini, al quale però “sotto-sotto” ci sembrò che, vista la motivazione del ritardo ed il nostro interesse per le cose belle, l’incidente non lo avesse turbato più di tanto, anzi lo avesse invece divertito! Un altro aneddoto è legato all’ing. Berti, il quale, colpito dalla mia magrezza mi portava tutti i giorni un panino e questo durò fino a che ricevetti il primo stipendio. Sempre sull’Ing. Berti ricordo l’episodio legato al giorno in cui fu inaugurata la cupola del Palasport dell’EUR: per festeggiare invitò il gruppo dei suoi collaborati, e quindi anche la sottoscritta, nella sua bella tenuta ad Orvieto. Aderimmo in quaranta e fu una giornata bellissima, occasione tra l’altro per visitare il Duomo ed il Pozzo di San Patrizio, ma anche per gustare un pranzo delizioso, che consumammo su un lungo tavolo fatto da palanche di legno poggiate su enormi botti, poste in una grande cantina di pietra, che custodiva vino di gran pregio e di qualità. Quella giornata fini ancor meglio, perché poi tutti al rientro ci fermammo a Viterbo ove assistemmo all’affascinante Palio di Santa Rosa. Insomma, da questo piccolo episodio si può evincere quale fosse il clima ed il rapporto di rispettosa amicizia che animava tutto il gruppo degli operatori del Comitato. Il 10 maggio del 1959 fu un’altra data importante della mia “avventura olimpica”: gli uffici del nostro Servizio furono trasferiti al quinto piano del nuovo palazzo delle Federazioni Sportive, edificio moderno ed avveniristico che, progettato da Ezio Cosolo, fu costruito a tempo di record in soli otto mesi. Era tutt’altra cosa rispetto a Largo Diaz: ci trovammo ad operare in locali spaziosi, luminosi, puliti ed anche refrigerati. Unico aspetto negativo che rilevammo, almeno noi ragazze, fu legato per un certo periodo ad una imbarazzante situazione di “pubblica decenza”. Mi spiego meglio: viale Tiziano e la zona adiacente al Villaggio Olimpico era diventata, dopo l’entrata in vigore della legge Merlin (ndr: quella che vietava l’esistenza delle “case chiuse”), una “affollata” zona di lavoro delle “escort”, per usare un termine oggi di moda. In prossimità o quasi sotto lo stesso Palazzo delle Federazioni, di pomeriggio-sera, brillavano enormi falò che quelle povere ragazze accendevano per adescare i loro clienti. Al di là di ogni aspetto etico e morale, quello che disturbava il personale femminile del CONI era che spesso all’uscita venivamo importunate o quantomeno infastidite da chi, probabilmente confondendosi, non riusciva a distinguerci da quelle “signorine”. Dopo qualche settimana una delegazione delle dipendenti si recò dal dott. Saini per denunciare lo spiacevole inconveniente. Questi informò immediatamente la Polizia, che intervenne in qualche modo, e che, almeno fin dopo le Olimpiadi, risolse l’imbarazzante problema. Sempre a maggio di quell’anno, 90


il personale fu dotato di una divisa, che, ricordo, aveva come stemma la Lupa Capitolina coi due gemelli Romolo e Remo. Mentre la costruzione dei vari impianti andava a completarsi, cominciammo poi a ricevere visite da parte del Comitato Organizzatore delle successive Olimpiadi del 1964, quelle di Tokyo. E la cosa che mi colpiva era l’attenzione di questi delegati giapponesi i quali, con le loro meravigliose macchine fotografiche, “immortalavano” sulle pellicole tutto e tutti, dimostrando di essere letteralmente assetati di acquisire ogni informazione possibile sulla tipologia e sui progetti dei manufatti realizzati qui a Roma, perché, convinti a priori dell’efficienza e della “bontà” di tali costruzioni, non avrebbero poi esitato a copiarli, nel preparare la loro Olimpiade. E la cosa, oltre a divertirci ed incuriosirci, ovviamente inorgogliva tutto il nostro gruppo. Sarebbe troppo lungo elencare tutti gli impianti realizzati: mi limito a dire che finalmente un bel giorno furono tutti pronti, collaudati, e perfettamente funzionanti. E così, il 25 agosto del 1960, ebbero inizio i Giochi della diciassettesima Olimpiade. Purtroppo per ragioni familiari non ho potuto vedere alcuna gara che mi interessava, ma fui egualmente soddisfatta degli ottimi risultati che ottenne nel complesso tutte le Squadre italiane. Poi le Olimpiadi finirono. Cominciò la smobilitazione generale del personale e dei collaboratori del Comitato Organizzatore: i cervelli migliori ritornarono ai loro Ministeri o Enti di appartenenza. C’era malinconia ma c’era anche tanta soddisfazione per l’irripetibile esperienza che avevamo vissuto: ed eravamo orgogliosi perché avevamo fatto tutti davvero un buon lavoro! Il mio “capo” mi regalò una moneta d’oro come suo ricordo, oggetto che conservo ancora con molto piacere. Anche noi, personale CONI, fummo congedati dall’incarico olimpico e riprendemmo (o ci affidarono ex novo) il lavoro di routine nelle Federazioni o nell’Amministrazione dell’Ente. Per quanto mi riguarda, io che avevo iniziato il rapporto con l’Ente proprio in occasione della preparazione delle Olimpiadi, fui “arruolata” all’UITS (Unione Italiana Tiro a Segno). Ma questa è un’altra storia… Permettetemi ora una considerazione finale: la tecnologia ha fatto passi da gigante ed il modo di organizzazione degli eventi è cambiato, così com’è cambiata la Società. Ma al dottor Giovanni Petrucci, che mosse i primi passi proprio nella UITS, e che poi è arrivato alla più alta vetta del CONI, auguro di saper mantenere viva nella sua memoria l’essenza dei sentimenti che emersero nel nostro ambiente in quella favolosa avventura olimpica romana, sentimenti che sono il collante per la realizzazione delle opere che mobilitano l’intelletto umano e che lasciano un segno per quelli che verranno. 91



Capitolo 6 UNA ESPERIENZA CHE NON SI PUO’ DIMENTICARE di Rosanna Lucci

Aver partecipato in qualche modo ai lavori per la XVII Olimpiade di Roma 1960, è un’esperienza che non si può dimenticare. Io iniziai a lavorare per questo evento nel giugno 1956, presso il C.O.R. (Costruzioni Olimpiche Roma) e quindi seguendo passo passo la nascita degli impianti sportivi che dal 26 agosto all’11 settembre 1960 sarebbero stati lo scenario meraviglioso di tanti giovani intenti a gareggiare e nel cuore il sogno di salire sul podio più alto. Ma al di là di veder sorgere questi impianti e della Via Olimpica imbandierata, ciò che è impresso indelebilmente nella mia memoria, è l’arrivo degli atleti al Villaggio Olimpico. Che cosa stupenda! Forse chi non ha vissuto quei momenti non può capire quali e quante emozioni si provano nel veder sfilare la gioventù di tante Nazioni, unita nel nome e per amore dello Sport. A giudizio di molti, le Olimpiadi di Roma sono state le ultime disputate all’insegna di un mondo che stava cambiando e nel quale le Olimpiadi non sarebbero più state solamente una grande festa dello Sport. La cerimonia di apertura dei Giochi, scorre ancora nella mia mente come fosse ieri. Lo Stadio Olimpico era un tripudio di gioia e gli atleti che via via sfilavano, erano accolti da clamorosi applausi, come noi italiani sappiamo dimostrare quando qualcosa ci emoziona. Che dire poi dell’impresa di Livio Berruti? Non sta certo a me ricordare quel momento perché chi era allo Stadio o chi seguiva in televisione avrà certamente esultato per quel portentoso arrivo dell’atleta sul “filo di lana”. E ancora tante emozioni ci ha regalato la XVII Olimpiade, tanti bei momenti vissuti nel nome dello Sport. Ma i giorni sono volati ed un velo di malinconia è sceso quando la bandiera è stata ammainata e la fiaccola olimpica si è spenta: un saluto a Roma ed un arrivederci a Tokyo 1964. È con vero piacere che ho scritto queste righe per un bellissimo ricordo e che, in qualche modo, mi ha reso partecipe di un evento straordinario. 93



Capitolo 7 ANCHE NOI IN PRIMA LINEA di Raffaella Viero

Raffaella Viero durante le Olimpiadi continuò a lavorare nella sua sede abituale di servizio, il Provveditorato. Ma non per questo fu coinvolta nell’organizzazione, anzi! Il suo settore, pur operando dietro le quinte in modo meno visibile degli altri, ha svolto compiti primari, assolutamente indispensabili al buon esito della manifestazione. Anche il Servizio Provveditorato ebbe un ruolo importante nell’organizzazione olimpica: l’ufficio ove operava la Viero era inserito nell’ambito della Sezione Amministrativa, la quale, come viene riportato nel Rapporto al CIO, doveva svolgere una azione di supporto “...per garantire in ogni caso il migliore rendimento di ogni settore, sia per alleggerire i compiti delle altre Sezioni nei momenti più critici.” Questo è quanto ci disse la Viero nell’intervista telefonica che cortesemente ci concesse nell’aprile del 2010, anche in questo caso in occasione delle celebrazioni per il cinquantenario dei Giochi di Roma: “Fui destinata al settore che curava l’approvvigionamento delle uniformi per gli organizzatori, giudici, delegati tecnici, accompagnatrici-interpreti e personale addetto ad uffici o servizi. Non fu un compito secondario anche se a prima vista potrebbe non sembrare così. Bisognava fare particolare attenzione, nel dare ad ogni avente diritto la fornitura di materiale che gli era stata destinata. Tra l’altro il Provveditorato oltre a fornire il vestiario a tutto il personale operativo e dirigenziale dei Giochi, era competente per garantire le necessità di tutti i componenti del Team Italia, vale a dire gli atleti, i tecnici e gli accompagnatori accreditati delle squadre azzurre delle varie discipline sportive partecipanti. Quest’ultimo in particolare si rivelò un lavoro impegnativo, perché per ogni squadra azzurra non solo bisognava predisporre i 95


tanti kit necessari, comprensivi di camicie, cravatte, scarpe e suppellettili varie, (ndr: anche articoli di profumeria) ma dovevamo fornire alle Federazioni Sportive stoffa, con annessi accessori, perché queste poi provvedessero al confezionamento delle divise dei loro atleti e tecnici, affidandone il compito a sartorie esterne di loro fiducia. Ripeto, non fu cosa facile, anche perché per certe forniture (mi riferisco in particolare alle scarpe per gli atleti del canottaggio e per quelli della pallacanestro), viste le misure antropometriche poco consuete di certi atleti, tribolammo non poco per soddisfare nel modo migliore le loro esigenze. Lavoravamo sotto pressione, per tutto il santo giorno. Il mio ufficio era composto da quattro persone: con me c’era la Sig.ra Fattori, più due colleghi uomini con compito di magazzinieri. Era quindi una squadra microscopica, per la mole di lavoro da affrontare, ma tutti noi ci muovevamo con entusiasmo e svolgevamo il nostro lavoro con la massima serietà. Ci sentivamo egualmente necessari, nonostante che operassimo in un servizio di supporto: eravamo comunque inseriti, a pieno titolo e con pari dignità degli altri, nello “speciale cast” di un evento importantissimo: le Olimpiade di Roma. Tra l’altro per me non era una nuova esperienza: lavoravo al CONI dal 1954 ed ero stata già coinvolta, sempre al Servizio Provveditorato nel predisporre i materiali di supporto per le spedizioni italiane del 1956 a Melbourne per i Giochi Estivi ed a Cortina per quelli invernali.” Dalle parole della collega Raffaella Viero ancora emerge un forte entusiasmo, e tanto orgoglio, per quella esperienza, parole che, nella sostanza, furono confermate dallo stesso Rapporto Ufficiale allorquando riferisce sul lavoro dell’Ufficio Provveditorato “… tutto il lavoro fu ottenuto con un ristretto numero di dipendenti, nonostante la mole di lavoro e la simultaneità di alcune attività”. Fino alla vigilia dei Giochi infatti c’erano in tutto sette impiegati (compresi i quattro dell’Ufficio della Viero): poi nella fase di maggiore impegno l’organico del personale raggiunse il numero di 12 elementi. Ma ad essere più chiarificatrici sono le cifre riportate nel Rapporto circa l’attività svolta: “Le ordinazioni emesse a tutto 1’11 settembre 1961 furono 6.641; i mandati di pagamento emessi a tutto il 16 ottobre 1961 furono 4.746; le lettere inviate e ricevute a tutto il 16 ottobre 1961 furono 6.787; i buoni di carico di materiali acquistati furono 637.” Possiamo ben dire quindi che fu un impegno pesante, ben realizzato grazie ad un gioco di squadra perfetto e sincronizzato. Il senso di tale realtà è raccolto, più chiaramente, nella risposta che ci diede Raffaella Viero alla do96


manda conclusiva della breve intervista, con la quale chiedemmo quale fosse il suo ricordo più emozionante di quella esperienza? La nostra collega rispose decisa: “Senza dubbio le due cerimonie, d’apertura e chiusura. Lì ebbi la chiara sensazione che Roma 1960 portava anche la mia umile firma, come quella di tanti altri che operarono dietro le quinte, ma non a girarsi i pollici. Ed io ero felice ed orgogliosa”.

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Capitolo 8 IL SAPORE DELLE OLIMPIADI di Augusto Rosati

Il racconto di un tredicenne entusiasta ed emozionato che non volle perdersi nemmeno un minuto di quell’atmosfera eccezionale che caratterizzò la Capitale: girò Roma in tutti i modi, a piedi, in tram, in bicicletta ed anche con la fantasia, per carpire ogni possibile misterioso segreto di quell’affascinante avvenimento. Nell’agosto del ’60 avevo da pochi mesi compiuto tredici anni. A giugno ero stato promosso a pieni voti in terza media (frequentavo la scuola Daniele Manin all’Esquilino) ed ero contentissimo di poter passare l’estate senza alcun problema di studio, e di poter così seguire, prevalentemente dalle pagine del Corriere dello Sport, come Roma si stesse preparando ad ospitare i Giochi Olimpici. Tra l’altro, avendo potuto godere sin da quando avevo dieci anni di una certa “libertà genitoriale vigilata” (ndr: perché mi riconoscevano essere un ragazzino con la testa sulle spalle…), quando riuscivo a proporre un “piano serio, preciso e dettagliato” come pretendeva mio padre, mi era periodicamente consentito di effettuare dei “personali sopralluoghi” nelle zone che sarebbero state interessate ai Giochi, per vedere la evoluzione dell’apparato organizzativo. Ciò, ovviamente, nella cosiddetta “misura in cui” mi sarebbe stato concesso, considerate le tante transenne, i divieti d’accesso e le staccionate attorno ai cantieri. Per me comunque pur se un gioco o un simpatico diversivo, il tutto era una cosa seria: sentivo tanta eccitata curiosità per i Giochi che di lì a poco si sarebbe svolti Roma. Non vedevo l’ora che iniziassero! Il fatto è che avevo (ed ho sempre avuto) un legame “congenito”, se volete “biologico”, con le Olimpiadi. Già da quando avevo nove anni, ricordo, seguii con “matura attenzione” le notizie che arrivarono da Melbourne, nel 1956. Ma il cosiddetto “colpo di fulmine” coi “cinque cerchi” me lo provocò un testimone diretto di 99


quella esperienza australiana, Giovanni Proietti, amico e frequentatore della mia famiglia, che nel 1956 era stato il CT della squadra azzurra di ciclismo (ndr: i cui atleti vinsero tre medaglie d’oro, una d’argento ed una di bronzo). E il “sor Giovanni”, come mi permettevo di chiamarlo in modo familiare, in più di una occasione mi aveva raccontato del viaggio in nave verso l’Australia, degli allenamenti sui rulli durante la traversata, delle imprese dei suoi ragazzi e di tante altre avventure inerenti quell’evento. Tornando ai miei tredici anni, il fatto di poter vivere “live” la atmosfera delle Olimpiadi addirittura nella mia città, a pochi chilometri da casa mia, era una situazione che mi faceva letteralmente impazzire! Erano in particolare tre gli impianti sotto mio controllo: il Velodromo Olimpico, il Palazzo dello Sport e la Piscina delle Rose, tutti in zona EUR. Un’altra area “posta sotto la mia supervisione” era la via Olimpica, ma qui il discorso si faceva molto più serio e complicato per tantissime ragioni, anche perché lì potevo effettuare le mie ispezioni solo in bicicletta, ed in tal caso il “piano serio, preciso e dettagliato” di cui sopra doveva essere …dettagliatissimo! La zona EUR, oltre ad essere più accessibile, mi affascinava; mi dava l’impressione di essere all’estero (…anche se fino a quel momento non ero mai stato fuori dall’Italia). Tutto era maestoso. E poi all’E42 (come chiamavano tutti i romani d’allora quel nuovo quartiere voluto da Mussolini per ospitarvi l’Esposizione Universale nel 1942) si arrivava facilmente, grazie alla “nuova” Metropolitana, mezzo anch’esso affascinante ed avveniristico (ndr: certo non avrei mai pensato che quelle stesse vetture avrebbero circolato fino a qualche mese fa sui binari della Roma Ostia!). Insomma quelli per me erano i primi passi nell’ambiente sportivo, ed ero entusiasta di tutto ciò che stava accadendo. All’epoca, cioè nel ’60, dovete sapere che portavo ancora i “calzoni corti”, come d’altronde era uso per i maschi fino al completamento delle scuole medie inferiori, almeno nelle famiglie di operai o della piccolissima borghesia popolare cui io appartenevo. Questo particolare però incideva minimamente, se non per nulla, sui miei movimenti in città: anzi, dato che quell’estate si presentava particolarmente torrida, la cosa aveva i suoi vantaggi di “carattere termico”. Tornando agli impianti sotto la mia supervisione, in realtà essi erano già stati completati da alcuni mesi. I miei sopralluoghi non arricchivano più di tanto la mia conoscenza: certo però che poi dovevo dar spazio alla mia inventiva per raccontare a mio padre i “vari stati d’avanzamento”. Al ritorno da quelle “missioni” lui ascoltava il mio “dettagliato rapporto” con attenzione, anche se, col senno di poi, credo di aver capito che sapeva benissimo che molta di quella 100


narrazione era oggetto della mia sviluppata fantasia. Ma faceva finta di niente: anzi, spesso si complimentava quando gli raccontavo, con un eloquio da ministro dei lavori pubblici, “i significativi passi in avanti” di tutto l’apparato! Il Velodromo Olimpico era il mio impianto preferito. Avevo letto, sempre sul Corriere dello Sport, che la pista era meravigliosa, la più scorrevole del mondo: lo aveva dichiarato alla stampa il CT della pista, Guido Costa, il “mago” come era chiamato nel mondo del ciclismo. Mi ricordo che due o tre volte ho tentato il tutto e per tutto per cercare di entrare nell’impianto: una volta mi mischiai in mezzo ad un gruppo di militari che facevano servizio per trasportare qualche merce, probabilmente delle bandiere. Regolarmente però venivo bloccato dal custode, Luigi Federici, indimenticato dipendente CONI, che poi a novembre dello stesso 1960 avrei conosciuto nella mia qualità d’Allievo del primo corso del Centro Coni di Ciclismo di Roma: fu infatti lui, il “sor Giggi”, il primo istruttore che mi insegnò a girare su quella incantevole pista! Ma le emozioni dovevano ancora tutte esplodere. Infatti, arrivata l’antivigilia delle Olimpiadi, ricevetti da mio padre due regali meravigliosi: il biglietto in curva, posti in piedi, al Velodromo Olimpico, per la sera del 26 agosto, ove in programma c’era l’assegnazione della prima medaglia per la pista, quella del chilometro con partenza da fermo, dove l’Italia era rappresentata da Sante Gaiardoni. L’altro grande regalo fu una “tessera speciale” di quindici giorni, emessa per l’evento olimpico dall’ATAC per i turisti, così da poter girare in santa pace su tutte le linee tram, autobus e filobus di tutta Roma. Quella tessera per me quello fu il primo lasciapassare che mi diede un senso di libertà che forse non ho più provato nella mia vita! Ma a questi due favolosi regali, se ne aggiunse, anch’esso inaspettato, un terzo: il giro in automobile per Roma la sera dell’accensione della fiaccola olimpica in Campidoglio! Un tour indimenticabile che fece assieme alla mia famiglia (cinque persone: papà, mamma e noi tre fratelli, ragazzi dai 9 ai 18 anni) ed a mio zio paterno, con la moglie (cioè mia zia) e con la figlia di 7 anni (cioè mia cugina). In tutto eravamo otto persone. Ma il mezzo di trasporto utilizzato non era un pulmino, come la logica potrebbe far immaginare, tutt’altro! Quel fantastico giro lo facemmo su una sgangherata Topolino Giardinetta (…quella con le fiancate in legno!), tutti appollaiati e costretti all’interno della vettura. Ma l’emozione annullò completamente ogni disagio. Ricordo tantissima confusione, tantissimo traffico, tantissima eccitazione, tantissima illuminazione per le strade. E poi mi colpirono molto i sovrappassi pedonali in ferro sulla via Olimpica, ed i nuovi lampioni stilizzati, che 101


facevano una luce bianca. Non credo che riuscimmo a vedere il tripode acceso nella piazza del Campidoglio: probabilmente ci fermarono ai piedi della meravigliosa scalinata che porta al piazzale davanti al Palazzo Senatorio. Ma a tredici anni si sogna ad occhi aperti, ed io mi immaginai tutti i particolari di quella toccante cerimonia. Ricordi che porto ancora intatti dentro di me, e che poi furono certamente arricchiti dalle immagini viste successivamente in televisione o nei cinegiornali dell’epoca. Indescrivibile fu poi l’esperienza di poter assistere ad una gara olimpica! Entusiasmo ed eccitazione, sebbene la gara a cui ebbi la fortuna di assistere, il chilometro da fermo, sia da sempre, almeno sul piano dello spettacolo, la specialità più noiosa in assoluto di tutte le discipline del ciclismo. Sugli spalti c’era una eccitazione da derby: tra l’altro al mattino quattro corridori italiani, Trapè, Bailetti, Cogliati e Fornoni, avevano vinto sul percorso stradale Roma-Ostia-Roma della Cristoforo Colombo la medaglia d’oro della 100 km a squadre, una disciplina tutta potenza e concentrazione (…purtroppo quella gara fu funestata dalla morte per collasso di un ciclista della squadra danese, Knud Enemark Jensen, vittima del caldo e di qualche micidiale mistura dopante!). Il trionfo di Sante Gaiardoni fece esplodere gli spalti. Io ho urlato dal primo all’ultimo metro durante la gara del grande atleta veronese, che ebbi poi modo di conoscere negli anni successivi. Ricordò istante per istante il suo giro d’onore, quando passò sotto la curva e rispose felice alle grida entusiaste di noi tifosi, aggrappati alla rete della balaustra! E ricordo ancora l’emozione dell’inno nazionale durante la cerimonia di premiazione: quelle note mi crearono una commozione totale che, devo ammetterlo, non ho mai più sentito, nemmeno quando, nelle mie tante successive occasioni professionali da dirigente tecnico di una squadra azzurra ai mondiali o alle Olimpiadi, ho avuto il piacere di veder salire sul gradino più alto del podio un ciclista italiano. Può sembrare assurdo, ma è così. Concludo infine questo “excursus memoriae” di ragazzino tredicenne coi calzoni corti, ricordando brevemente l’atmosfera speciale che Roma seppe offrire in quei giorni di fine agosto, primi di settembre. Potete certamente immaginare “come e quanto” utilizzai la favolosa tessera speciale dell’ATAC che mi permise di girare in lungo ed in largo la mia città. Uscivo alle otto di mattino per rientrare attorno alle venti. Con a tracolla un “sacchetto da rifornimento”, di quelli che usano i ciclisti in gara, con dentro quattro “rosette” ripiene (mortadella, stracchino, o marmellata) e due mele per la pausa pranzo o per placare qualche attacco di fame, cercavo di non perdere nemmeno un minuto di quella vivacità e di quella al102


legra frenesia che caratterizzò la Capitale in quei diciotto giorni dal 26 agosto all’11 settembre. Qualsiasi persona che incontravo e che mi sembrava fosse straniera, la credevo in qualche modo coinvolta nei Giochi, e mi chiedevo: “sarà un atleta? un tecnico? un giornalista?” E lì a fantasticare, mischiando la mia fantasia coi risultati agonistici che quotidianamente studiavo a memoria grazie alle pagine del Corriere dello Sport. Insomma sentivo “sulla mia pelle” che Roma stava vivendo giorni irripetibili. Ora però credo sia inutile che continui coi miei ricordi, che certamente sono poco o niente rispetto a quelli di quei colleghi che, della bellissima avventura romana sono stati addirittura protagonisti in modo diretto o da dietro le quinte. Tenendo conto della mia successiva attività professionale nell’ambito dello sport, sono convinto che le Olimpiadi di Roma furono davvero faticose per chi ci ha lavorato dentro, ma come ho avuto modo di sentire dai racconti (quelli sì interessanti!) di alcuni di loro, che vissero quelle giornate, quella fu davvero una esperienza unica, particolare, irripetibile. E con tanta invidia dico “beati loro!”.

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PARTE TERZA



ROMA 1960, LEGGENDO QUA E LA

Nota introduttiva L’evento olimpico romano fu oggetto di totale attenzione mediatica: articoli e racconti su Roma 1960 ne sono stati scritti davvero a iosa, moltissimi dei quali, peraltro, interessanti, intriganti, addirittura entusiasmanti. Ebbene, in questo nostro piccolo, modesto volumetto di ricordi tutti nostri, abbiamo voluto inserire un ventaglio di questi testi (alcuni dei quali scritti da illustri giornalisti), e non certo per dar vita ad una raccolta pubblicistica di tipo antologico, ma perché in qualche modo queste “testimonianze terze”, dando maggior “colore” a quella bella atmosfera romana, avvalorano, e rafforzano i nostri personali ricordi sul grandioso, inimitabile evento corale che furono i Giochi della VII Olimpiade

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Capitolo 1 LA CENA D’APERTURA di David Maraniss

L’americano David Maraniss (che nel 2007 ha vinto il Premio Pulitzer il più ambito riconoscimento mondiale nel campo del giornalismo) ha scritto un libro dal titolo certamente non originale, “ROMA 1960”, ma dal contenuto davvero intrigante, perché non soffermandosi in modo particolare sul contesto prettamente sportivo, ha fornito di contro la fotografia esatta della magica atmosfera che permeò tutta la manifestazione, dal primo all’ultimo giorno. Il volume di Maraniss è edito da Rizzoli ed il brano che segnaliamo all’attenzione dei lettori è riportato nelle pagine 76, 77 e 78 del libro in questione. Il testo racconta la cena d’apertura della 57^ sessione del CIO, svoltasi alla vigilia dei Giochi, ed a nostro avviso sintetizza in modo chiaro ed efficace lo spirito che ha caratterizzato l’Olimpiade, i suoi significati culturali e sportivi, le aspettative, tutte poi rispettate, da parte di coloro che di quella esperienza furono protagonisti, come atleti, come dirigenti, come stampa, ed anche come pubblico. Insomma, note tutte da gustare. Il barone Pierre de Coubertin, il francese che aveva ideato le Olimpiadi moderne, o almeno la versione che aveva finito per imporsi, aveva sempre desiderato che i suoi Giochi potessero tenersi a Roma, la città d’origine, secondo lui, dei suoi antenati. Dopo Atene nel 1896, Parigi nel 1900 e San Louis nel 1904, il barone, per la quarta Olimpiade, aveva puntato su Roma, intuendo l’occasione di un salutare ritorno allo splendore di una monarchia, dopo il contatto contaminante con la democrazia del nuovo mondo. Come più tardi ebbe modo di spiegare, «desideravo Roma, perché è soltanto in quel luogo che l’ideale olimpico, reduce dalla sua escursione nell’America utilitaristica, avrebbe potuto tornare a indossare la sua toga sontuosa, intessuta d’arte e pensiero, di cui sempre, sin dal primo momento, ho desiderato che l’Olimpiade si amman109


tasse». Ma, due anni prima del Giochi del 1908, un’eruzione del Vesuvio costrinse l’Italia a concentrare tutti i suoi sforzi sulla ricostruzione dell’area attorno a Napoli, e a ritirarsi quindi dal ruolo di nazione ospitante. Per cui i Giochi si trasferirono a Londra. (…) Adesso, alla fine, Roma aveva la sua possibilità e Avery Brundage era altrettanto emozionato e sopraffatto dalla maestosità dello scenario quanto lo era stato il suo nobile predecessore. La cena d’apertura della cinquantasettesima sessione del CIO fu solenne come da copione, elaborata e ricca, con cerimonieri e sontuosi fronzoli. La ospitava il Palazzo dei Congressi, fatto costruire da Mussolini poco prima della guerra, come parte del suo grande progetto per un secondo impero romano - modernizzato in una versione fascista - nel quartiere EUR di Roma, in cui si allineavano poderosi uffici statali, grandiosi edifici con appartamenti privati e musei. In quella calda sera estiva, arrivò il presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, salutato dalle fanfare romane suonate dalle trombe d’argento dei valletti del Vittoriano. Quindi anche gli altri ospiti illustri e i membri del Comitato olimpico si mossero verso i posti loro assegnati, sempre allo squillare di trombe. Fece seguito infine l’esecuzione dell’inno olimpico da parte della banda dei carabinieri. Avery Brundage aveva l’aria di sentirsi come a casa, in quell’ambiente tutto fasto e fanfare. Salì sul palco e si levò sopra la folla raccolta nel salone, pronto a leggere il discorso che aveva preparato per l’occasione. Alle sue spalle era schierata l’orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, accompagnata da un coro di un centinaio di persone ammantate da una sorta di tunica. Dappertutto c’erano file di bandiere olimpiche a cinque cerchi e, sulla parete di sfondo un’enorme bandiera proclamava il motto latino dei Giochi: citius, altius, fortius. «Nuova gloria si è aggiunta alla Città eterna» dichiarò Brundage. Stava parlando dei progetti che Pier Luigi Nervi aveva realizzato per le Olimpiadi romane, come il vicino Palazzetto dello Sport, dove si sarebbero tenute le finali del basket e del pugilato, e comparava le strutture di Nervi alla maestosità di «Bernini e Michelangelo e dei monumenti lasciati da Adriano, Traiano e gli altri Cesari». Ma non dimenticò la gloria dei suoi personali progetti. «La Roma di Augusto, la più grande città del mondo antico» proclamò «viene rimpicciolita oggi dal mondo dello sport, che include tutti i cinque continenti... praticamente l’intero globo.» E il dominio dello sport, il suo reame olimpico, non superava solo gli imperi politici, ma anche quelli spirituali, disse. «Nessuna filosofia o religione... si è mai diffusa così rapidamente e in maniera così estesa come il Movimento Olimpico nel suo sviluppo moderno» Era un movimento che non aveva «né armi né denaro, ma che in sessant’anni aveva raccolto il sostegno 110


entusiastico di più di ottanta Paesi» continuava Brundage. «Si era diffuso con questa straordinaria rapidità solo grazie alla dedizione e alla fede di volontari che non percepivano alcuna retribuzione. Cristiani, musulmani, indù, buddisti e atei, tutti rispettano i principi di reciproca lealtà, mutuo rispetto, correttezza, che sono anche l’essenza di ogni religione oltre che la base di qualsiasi sport.» Per mantenere la sua integrità, disse, il Movimento Olimpico non doveva consentire «nessuna deviazione dal principio basilare e fondamentale che non ci sarà alcuna discriminazione, per motivi di razza, religione o politica. I Giochi Olimpici sono, e devono restare, aperti alla gioventù di tutto il mondo che voglia dedicarsi pienamente a servire il loro fine». I trombettieri suonarono ancora una volta l’inno olimpico, quando Brundage e le altre autorità lasciarono il palazzo per disperdersi nella notte romana.”

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Capitolo 2 A CHE PUNTO SIAMO CON LE OLIMPIADI? di Arrigo Levi

L’articolo che proponiamo, è stato scritto circa tre mesi prima dell’inizio della grande festa olimpica: lo redasse Arrigo Levi, allora trentaseienne, ed il suo scritto sembrò levarsi fuori dal coro, perché appunto a novanta giorni dall’evento, da grande giornalista come poi la sua attività professionale ha dimostrato, avanzò, senza acrimonia ma per onor di chiarezza verso i lettori del suo giornale, delle perplessità: le aspettative per i Giochi della XVII, declamate a destra e a manca, viste le tante oggettive criticità che presentava storicamente la Capitale, sarebbero davvero state onorate? Stavolta, da quelle colonne, non compariva nessun osanna, nessuna lode sperticata, ma venivano esposti solo dei giusti perché. Leggendo decenni dopo tale articolo, quei dubbi (che probabilmente all’epoca suscitarono non poco malumore ai dirigenti del CONI ed al Governo) perdono assolutamente ogni “humus disfattista”, ma al contrario, visto poi come essi furono fugati dalle risposte… “sul campo”, esaltano ancor più il grande lavoro svolto dagli organizzatori, che seppero superare a pieni voti l’esame, nonostante le tante reali problematiche e criticità così chiaramente esposte da Arrigo Levi. L’articolo fu pubblicato sul Corriere della Sera il 21 maggio del 1960, a pag. 5. Fra tre mesi e pochi giorni, la vasta, complessa, pesante macchina delle Olimpiadi si metterà in moto. Quelle di Roma 1960 saranno le più grandi Olimpiadi della storia; forse saranno anche le più belle; certo le più difficili da organizzare. Non c’è da stupirsi se la febbre delle Olimpiadi, qui a Roma, comincia a prendere un po’ tutti. I romani - e non soltanto coloro che lavorano freneticamente alla “messa a punto” della organizzazione olimpica - sono colti da un misto di entusiasmo e di preoccupazioni. Se tutto andrà bene, la città vivrà giornate memorabili, e trarrà dall’avvenimento sicuri vantaggi: sarà definitivamente consacrata come il primo centro turistico del mondo, e Roma, oltre ad essere 113


quella grande città storica che tutti sappiamo, ha ancora, come sua principale industria, il turismo (a meno che non si voglia considerare industria romana anche il governo). Ma andrà tutto bene? Sarà tutto organizzato a puntino? Porteranno con sé un buon ricordo di Roma e dell’Italia, le decine centinaia di migliaia di turisti stranieri? Questo è quello che un po’ tutti si chiedono a Roma. E il problema non tocca soltanto Roma. Le Olimpiadi saranno una colossale vetrina per l’Italia 1960. Bisogna essere certi che l’allestimento sia curato in tutti i dettagli, che non ci siano delusioni, che non vi siano, soprattutto, disorganizzazione e caos. Ci proponiamo, nella serie di articoli in cui riassumiamo i risultati di una rapida, obiettiva inchiesta da noi compiuta, di esaminare nei particolari, uno per uno, i vari problemi connessi agli ormai prossimi giuochi olimpici, i diciassettesimi della serie moderna. Ma alcuni punti meritano di essere messi in luce fin dal principio. È giusto, soprattutto, cominciare riferendo quelli che sono i motivi di preoccupazione (vedremo, poi, se e fino a che punto siano giustificati). In testa a tutti, non c’è dubbio, il traffico di Roma. “Questa è già in tempi normali una città tremendamente difficile da girare, una città che vive sull’orlo del soffocamento e della apoplessia, una città che rischia la paralisi soltanto per un incontro di calcio Roma Lazio; immaginiamoci cosa sarà per le Olimpiadi!”. Questo dicono i romani, scuotendo il capo, e con loro naturale scetticismo si domandano se le misure straordinarie previste dall’autorità saranno tempestive, e sufficienti. A che servirà avere i biglietti per stupende competizioni sportive coi più meravigliosi atleti del mondo, se poi non si riuscirà ad arrivare lo stadio in tempo? Secondo grosso motivo di preoccupazione: gli alloggi. Si sa, tutti lo sappiamo, che d’estate, in una normale estate romana, trovare alloggio in questa città, in agosto-settembre è sempre un problema. E in una normale estate romana i turisti sono non più di venti o trentamila. Durante i 18 giorni delle Olimpiadi - dal 25 agosto all’11 settembre - saranno, ogni giorno, almeno centoventimila (e porteranno con sé almeno 20.000 macchine). E dove troveranno da dormire? E come si potrà impedire che si infastidisca una colossale speculazione al rialzo sulla pelle dei poveri turisti? Non si è riusciti ad impedirlo a Bruxelles, all’epoca della Esposizione Universale; ci si riuscirà a Roma? 114


Terza preoccupazione: saranno sufficienti gli impianti sportivi? Molti di essi sono nuovi, nuovissimi, appena collaudati. Si dimostreranno all’altezza di questa grande, suprema prova, sotto gli occhi di tutto il mondo sportivo internazionale? Quarta preoccupazione: la “operazione Olimpiadi” preparata dalle autorità sportive italiane, funzionerà? Lavorano, e come lavorano, questi funzionari, da mesi, è ormai da anni, nei loro uffici, ora siti in un nuovissimo, lucido, aereo edificio, librato come una gigantesca sentinella sopra la pacifica estensione del villaggio olimpico. Hanno tutto pronto sulla carta; hanno pianificato ogni minuto di tempo di ognuna di quelle dodicimila e più persone, fra atleti, allenatori, dirigenti sportivi, che avranno come loro ospiti per le Olimpiadi; dodicimila individui di 84 paesi diversi che parlano una cinquantina almeno di lingue, che hanno bisogno di alloggi, trasporti e interpreti, che devono insomma essere assistiti in ogni istante della giornata. Questa è una operazione paragonabile - che so io? - a una grande offensiva militare, a una rivoluzione, a un piano quinquennale. Riuscirà? Questo è il punto centrale. Ripetiamo, non ci sono precedenti a cui richiamarsi per questa Olimpiade. Le altre del dopoguerra - Londra, Helsinki, Melbourne - erano state tutte su scala minore, sia perché si era in epoca di “austerity” post bellica (a Londra), sia perché erano Olimpiadi “periferiche”. A Melbourne ebbero in tutto sei o settemila turisti. Quelle erano Olimpiadi che si svolgevano in condizioni da laboratorio, Olimpiadi “in vitro”. L’unico precedente possibile per Roma rimane quello di Berlino del ’36, che mantiene il primato del “kolossal”, e che fu organizzato perfettamente. Ma Berlino era una piccola cosa a paragone di Roma. A Berlino c’erano 4100 atleti, a Roma saranno settemila; partecipavano 68 nazioni, a Roma saranno 84. E la Roma 1960 non è la Berlino 1936 perché ci sarà questo afflusso ineguagliabile di turisti, i benedetti turisti apportatori - nelle speranze dei commercianti romani - di ricchezze infinite. Basta. Abbiamo detto a sufficienza delle preoccupazioni. “Qui si parrà la tua nobilitate”, si dicono gli organizzatori. Maggiori le difficoltà, maggiore la gloria, se tutto andrà bene. E forse, una volta tanto, gli italiani dimostreranno di essere non soltanto dei grandi improvvisatori, ma anche, chissà, dei veri organizzatori. Ci riusciranno? Ci ripromettiamo di vedere, nei prossimi articoli, quello che si è fatto - che è tanto, tantissimo -, e quello che rimane da fare, che in certi casi non è poco, perché tutto sia pronto per il 25 agosto. 115


Per il momento, ci limitiamo a dire che abbiamo riscontrato, un po’ dovunque, tanto entusiasmo, e questa è una cosa buona; e una tenace puntigliosa volontà di “farcela”, ed è un’altra cosa molto buona. E questo, tutto sommato, pur rendendoci conto delle difficoltà, dei pericoli e delle incognite della “operazione Olimpiadi”, ci fa ben sperare. Ma bisognerà ancora “mettercela tutta” (parliamo alle autorità responsabili), specie in alcuni settori, come vedremo. Bisognerà anche che la popolazione romana - e pensiamo soprattutto agli automobilisti - si prepari a dare una grande prova di civismo. Questo è bene cominciare a dirlo fin d’ora. Nota: Arrigo Levi scrisse poi, dopo questo, altri due articoli, dello stesso tenore ed intento, uno il 24 maggio, avente specifico oggetto il traffico di Roma, ed un terzo il 26 maggio sugli impianti sportivi dei Giochi.

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Capitolo 3 DIVERTENTE ANTOLOGIA DEL MALUMORE INGLESE di Piero Ottone

L’articolo, scritto da uno dei più importanti e colti giornalisti italiani del secolo scorso, Piero Ottone, che fu tra l’altro direttore responsabile, dapprima del Secolo XIX di Genova e poi per cinque anni, dal ’72 al 77 del Corriere della Sera, tratta un argomento originale e simpatico: l’atteggiamento volutamente ed irragionevolmente “acido” della stampa inglese sulle Olimpiadi romane. Il testo è stato pubblicato a pag. 9 del Corriere della Sera del 4 settembre 1960, cioè sei giorni prima della Cerimonia di chiusura. Già dal sommario dell’articolo, si comprende l’ostica presa di posizione britannica: “Ci rimproverano perfino il caldo di Roma; per il gusto di criticarci cadono in contraddizione; si scandalizzano per il “lusso sibaritico di Napoli”. Ho riferito nei giorni scorsi, a mano a mano che mi venivano sott’occhio, le critiche rivolte all’Italia in occasione delle olimpiadi. Non le ho riferite tutte, ché sarebbe stato necessario compilare un intero volume; ma ho cercato di scegliere le più pungenti e le più saporite, e mi pare che ne sia venuto fuori un bel florilegio. Gli inglesi hanno cominciato a prendersela con gli albergatori romani, accusati di aver chiesto prezzi esorbitanti per le loro camere; in un secondo tempo hanno diretto gli strali contro gli organizzatori del villaggio olimpico, o perché era troppo difficile entrarvi, a causa degli intoppi burocratici, o perché si ammetteva l’ingresso di un eccessivo numero di estranei, o perché questo o quel gruppo di atleti non aveva a propria disposizione un sufficiente numero di stanze da bagno. Si sono versate lacrime cocenti sulla sorte dei poveri pugili inglesi che non riuscivano ad andare a letto prima delle 3:00 di notte, e si è fatta qualche ironia sulla sistemazione degli “yachtmen”, la cui fibra correva il rischio di rammolliti versi a Napoli, a causa dei lussi favolosi e sibariti. Le critiche erano spesso contraddittorie ed incompatibili: nello stesso giorno, il 117


“Daily Mirror” giurava che una camera a Roma costava L. 16.000 per notte, ed il “Daily Herald” annunciava con sadica gioia che parecchi alberghi erano semivuoti e si potevano avere camere a prezzi normali, e descriveva, soddisfatto, la disperazione degli albergatori. LA GRANDE COLPA Con l’inizio dei giochi è venuta un’ondata di caldo tropicale, e pareva che fossimo stati noi italiani a intervenire presso il creatore, magari attraverso il Vaticano, per manipolare il clima, e attirare a bella posta gli sportivi stranieri nella fornace di Roma, per arrostirli tutti senza pietà e metterli fuori combattimento. Quando Enamark, il povero ciclista danese, ci lasciò la pelle, il tono di certe corrispondenze di giornale inducevano a credere che fosse stato assassinato da noi. Ognuno critica come può, secondo la propria cultura e secondo la propria educazione: alcune critiche erano davvero volgari e scalmanate. Il pubblico dello stadio Flaminio fu abbassato dal “Daily Express” a livello di plebaglia, e ci furono attribuite tante e tali colpe che i lettori di quel quotidiano dovettero impallidire e fremere disdegno: sembrava che i calciatori della Gran Bretagna fossero capitati in mezzo ai cannibali, fermamente risoluti aggredirli e a divorarli in pochi bocconi. Qualche cronista sportivo ripassò in fretta i libri di storia, e a rischio più o meno dotte analogie con le feste pagane, in cui i cristiani erano dati in pasto ai leoni; qualcun altro riesumò i fasti di tutti i “gangsters” del nostro passato recente. Viene spontanea sulle labbra l’osservazione che avremmo meritato, dopo tanti sforzi per accogliere nel migliore dei modi di atleti di ogni razza e colore, un trattamento un poco più generoso. Ma è opportuno aggiungere subito che le critiche, generose o ingenerose, bisognava aspettarsele. Una Nazione che organizzi un avvenimento di tanta importanza si mette in vetrina: gli occhi del mondo intero sono puntati su di essa. RICORDO LONDINESE È difficile ospitare uomini di nazioni diverse ed accontentarli tutti. C’è chi non si trova mai a proprio agio quando va fuori casa, e sono gli ospiti di maniere impeccabili riescono a tenersi in corpo le lagnanze. È ovvio che non tutti coloro i quali scesero su Roma potevano essere in possesso di maniere impeccabili. Conviene riconoscere, inoltre, che i difetti di organizzazione e magagne d’altro genere si sono senza dubbio riscontrati a Roma, così come si sarebbero riscontrati in ogni altro paese. Non stento a credere che gli albergatori romani abbiano 118


cercato di fare denaro: quelli londinesi non sarebbero certo rimasti indietro, ricordo che, nei giorni della incoronazione, la quale attirò qui una moltitudine di turisti, l’albergo dove abitavo, uno dei più conosciuti di Londra, non solo raddoppiò i prezzi per una settimana: cercò anche di farmi pagare la camera per un numero di giorni superiore a quello dei giorni in cui l’avevo occupata, e solo la mia minaccia di chiamare la polizia indusse la direzione ad esistere e a scendere a più miti consigli. Quanto al comportamento più o meno sportivo del pubblico durante le partite di calcio, è a Belfast, se la memoria non mi inganna, che alla nostra squadra toccò un’avventura alquanto peggiore di quella dello stadio Flaminio. Il mondo è paese; e chi è senza peccato scagli la prima pietra. Giunti a questo punto, dobbiamo forse ammettere che alcuni giornali britannici hanno manifestato verso di noi una particolare animosità: può darsi che non gli siamo simpatici. L’importante, tuttavia, e di non prendersela quando si è criticati; in questo senso spero che le olimpiadi siano state per gli italiani una utile e istruttiva esperienza. E a tal proposito che l’esempio dell’Inghilterra è prezioso; perché gli inglesi, senza tante cose sono fallibili nei più nemmeno degli altri mortali, e se diventano intrattabili e danno colpa all’arbitro quando perdono, e se sono talvolta ingenerosi verso gli sportivi stranieri, nell’arte del non prendersela sono indiscussi maestri, capaci di dare parecchi punti a tutti noi. La indifferenza alle critiche altrui, specie quelle eccessive ed arroganti, è un fenomeno interessante, che ha radici profonde. Il gentiluomo inglese si è abituato a credere, attraverso i secoli, che gli insulti non lo riguardano, e se li lascia scivolare sulla sua pelle, senza prenderne atto. Il suo onore non è alla mercé dei terzi: non può essere in alcun modo ferito da ciò che gli altri dicono sul suo conto. Si assiste ogni giorno qui alle conseguenze pratiche di questa filosofia. Se vi è un alterco tra due guidatori di automobile, nella zona di Londra, e se uno dei due perde la pazienza e dice parole ingiuriose, l’altro lo guarda di solito con suprema impassibilità sul volto di pietra, come se avesse davanti a sé un abitante del pianeta Marte, la cui lingua incomprensibile; o, meglio ancora, non lo guarda affatto, e prosegue per il proprio cammino come se non avesse udito nulla. Gli stessi metodi sono adottati in diplomazia: l’Inghilterra incassò gli attacchi della propaganda egiziana, per esempio, con la storica indifferenza dopo l’episodio di Suez, nella certezza che nascer, prima o poi, si sarebbe stancato di attaccare, e Herold McMillan non batté ciglio a Mosca quando Kruscev gli inflisse un trattamento piuttosto rude e scortese, guardandosi bene dal rimbeccare. Un aristocratico, è vero, fu meno impassibile quando, or non 119


è molto, fu schiaffeggiato sulla pubblica via, e si lasciò sfuggire una breve frase di commento; si trattava però di un commento assai moderato, perché egli si accontentò di mormorare: “finitela di fare queste sciocchezze!” Non è affatto necessario, di fronte alle tante critiche di in occasione delle olimpiadi mettersi la mano sul cuore e rispondere in tono appassionato, o per respingere le accuse ingiuste, per restituire le ingiurie. Conviene non farci caso. La suscettibilità è sempre prova di mancanza di fiducia in sé stessi. Se la suscettibilità italiana si è poco attenuata le scorse settimane, di fronte alle tante cose che mi sono destate dette scritte nei nostri riguardi, potremmo dire che i giochi olimpici non sono venuti invano, e ci hanno dato un premio ancor più bello delle medaglie d’oro conquistate dai gagliardi eroi della bicicletta.”

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Capitolo 4 ELOGIO AGLI IMPIANTI di Fabrizio De Santis

Non furono solamente “umanità, passione e fratellanza” gli elementi per cui Roma 1960 sarà ricordata nella storia come Olimpiade unica ed irripetibile, ma l’evento si distinse per le scelte efficienti, logiche e soprattutto perfettamente sincrone all’ambiente ed all’humus di quell’evento relativamente all’impiantistica. È ovvio che il tutto va letto ed interpretato non certo con l’occhio tecnologico di oggi, ma immergendoci totalmente nel periodo in cui si svolse la grandiosa manifestazione, cioè appena quindici anni dopo una disastrosa e disumana guerra mondiale, e quindi tenendo a mente il principio ispiratore su cui si fondò la decisione del CONI e degli organi politici dello Stato a dar seguito all’esperienza olimpica romana, vale a dire concludere, con una iniziativa esaltante, il lungo e faticoso lavoro di ricostruzione post bellica (su ogni versante, non ultimo quello sociale) del nostro Paese. Riportiamo il testo dell’articolo di Fabrizio De Santis, pubblicato sul Corriere della Sera di domenica 4 settembre 1960, a pag. 9, dal titolo: “Ammirati i tecnici stranieri degli impianti olimpici di Roma” e con un occhiello molto significativo “Bellezza e funzionalità” Ormai intorno all’estetica degli impianti sportivi di Roma, a meno che non si sia rimasti ancorati ad un accademismo ottocentesco, non si discute più. Veramente il consenso è unanime. Se una curiosità può esistere ancora, concerne la loro funzionalità. Quando l’estate scorsa Nicolai Romanov lasciò Roma, dopo esservisi trattenuto quasi una settimana, aveva nella valigia, tra camicie calzini, un pezzo di materia plastica. Romanov capo missione degli olimpiaci russi, era giunto nella capitale italiana per rendersi conto personalmente di come producesse l’organizzazione della 17ª Olimpiade, e si era innamorato di certe pensiline in plastica che ricoprono le tribunette di un campo di allenamento alle Tre Fon121


tane. Così, aveva chiesto a Mario Saini, coordinatore delle attività edilizie del CONI per i giochi del 1960, di poterne portare a Mosca un campione. Allorché, qualche tempo dopo, una nostra delegazione sportiva andò a Mosca, i componenti di essa ebbero la sorpresa di vedere diligentemente ordinati e catalogati in un armadio, altri campioni dei materiali che noi abbiamo usato nel costruire gli impianti della Roma olimpica. I sovietici li mostravano con soddisfazione e non facevano mistero del fatto che stavano cercando di imitarvi. È superfluo aggiungere che il giudizio sui nostri impianti sportivi di Nicolai Romanov adesso che è a Roma per l’Olimpiade e che li ha visti funzionare, resta favorevole senza condizioni. Esso è condiviso del resto da Kenneth L. Wilson, capo della missione americana e presidente del comitato olimpico nazionale degli Stati Uniti, la cui competenza in materia non può, certo, essere messa in dubbio. Ebbene, nonostante l’alto livello sportivo del suo Paese e la sua personale esperienza in fatto di giochi olimpici, Wilson ha detto e ripetuto: “questa di Roma è la più bella Olimpiade che abbia mai visto da quarant’anni. Tutto è bellissimo e funzionale; il palazzo dello sport, ad esempio, è lo stadio del modo non hanno eguali nel mondo”. E quando gli è stato letto il brano di un articolo apparso sulla “Aux ècoutes”, che dice, tra l’altro “… Le istallazioni sportive romane? Una bella carrozzeria, hanno dichiarato gli americani. Ma sotto le apparenze eleganti, dovute all’abilità degli architetti italiani, la cui preoccupazione maggiore rimane l’aspetto esterno, le piste e gli altri complessi sportivi lasciano trasparire numerose lacune, salvo forse la piscina olimpica” mister Wilson ha ribattuto, con un gesto di insofferenza: “… un giornalista fantasioso. Null’altro che questo”. Non basta. Al capo della missione britannica, Kenneth Duncan, è stato comunicato che il comitato organizzatore dell’Olimpiade romana sta compilando un questionario per conoscere il giudizio, intorno agli impianti sportivi, di tutti i maggiori tecnici presenti a Roma. Questi giudizi faranno parte della relazione che, alla fine dei giochi, il paese che li ha organizzati deve sempre inviare al comitato olimpico internazionale. Kenneth Duncan è un inglese taciturno e riservato, ma questa volta si è sciolto ed ha esclamato sorridendo: “non so quali siano le domande: ma ritengo fin d’ora, se si riferiscono alla funzionalità degli impianti, di dover rispondere positivamente”. Hiromu Kasuga, capo della missione giapponese, ci ha detto: “il palazzo dello sport di Vienna è certamente più grande del vostro, ma non è così funzionale dal punto di vista strettamente sportivo. Non le nascondo che il pensiero 122


di dover ospitare fra quattro anni le olimpiadi a Tokio, dopo queste di Roma, ci preoccupa un poco”. In sostanza, è così unanime il consenso per quei complessi edilizi che formano, a nord ed a sud di Roma, due ingressi spettacolari, in armonia con la natura che li circonda, che una inchiesta giornalistica sull’argomento si fa monotona. Se vogliamo raccogliere qualche parere discorde dalla voce comune, dobbiamo soffermarci sui particolari. ZONE DI ALLENAMENTO Chi di queste cose si intende evidenzia gli elementi che caratterizzano la funzionalità di un impianto sportivo. Essi sono in ordine di precedenza: 1) la capienza dell’impianto, relativa naturalmente alla natura di esso; 2) la possibilità che gli spettatori entrino ed escano rapidamente; 3) la visibilità, cioè la possibilità di vedere bene lo spettacolo che si svolge da qualsiasi punto dei settori riservati al pubblico; 4) la natura del fondo (prato, pista, ecc.); 5) l’ubicazione la struttura dei servizi per gli atleti. Ora, quanto alla capienza, la possibilità di flusso deflusso del pubblico, la visibilità, la natura del fondo l’ubicazione della struttura dei servizi degli arredi, gli impianti della 17ª Olimpiade si sarebbero dimostrati inattaccabili. Potrà essere criticato, semmai, il fatto o che la maggior parte degli spettatori, negli stadi, è costretta a starsene per ore sotto il sole, senza altra protezione che un cappelluccio di paglia o un giornale piegato a piramide. Ma anche qui bisogna intenderci. Se, per esempio, lo Stadio Olimpico, così anonimo è vecchiotto quanto ad architettura, avrebbe potuto soffrire per l’aggiunta di tettoie o per l’ampliamento di quello esistente, lo stadio Flaminio (che Pierluigi Nervi afferma essergli uscito di getto dalla mente, come accade spesso per una compiuta opera d’arte) o lo si accetta così come o lo si respinge in blocco. La sua struttura esterna, ammirevole per ingegnosità costruttiva, la linea architettonica ardita ed armoniosa non avrebbero ammesso contaminazioni. Né d’altronde, quando si parla degli impianti olimpici di Roma, ci si deve limitare a prendere in considerazione due stadi cui abbiamo fatto cenno, il palazzo e il palazzetto dello sport, il velodromo, la piscina delle rose, lo stadio del modo. Esistono due zone sportive per gli allenamenti - quella dell’“Acqua Acetosa” che copre ben 220.000 m² di terreno, e quella delle “Tre Fontane”, che ne copre 140.000 - le quali sono per gli atleti più importanti degli stadi, dove poi si esibiscono dinanzi al pubblico. 123


Ebbene, anche intorno ad esse noi non siamo riusciti, per quanto il nostro impegno fosse tenace, a raccogliere critiche. Se criticheci sono state, hanno riguardato i collegamenti radiofonici e televisivi, la scarsità di cabine isolate per i cronisti, la mancanza di trasmettitori in alcuni impianti. Un commentatore della tv francese, ad esempio, si è lagnato di essere stato costretto a descrivere l’incontro di pallacanestro Bulgaria-Jugoslavia, seguendolo sul video di un apparecchio televisivo. “È molto difficile-egli ha detto-raccontare le vicende di una gara mentre nelle orecchie risuona nei commenti degli spettatori che la osservano”. “Io credo - ci diceva Pierluigi Nervi, che ha firmato insieme con Vitellozzi il Palazzetto dello Sport, con Piacentini il Palazzo dello Sport e da solo lo Stadio Flaminio, il Velodromo Olimpico ed i viadotti di corso Francia - che le nostre soluzioni siano state felici anche da un punto di vista economico”. Colui che, rabbrividendo, si è sentito chiamare dai rotocalchi il “mago del cemento armato” o “l’architetto delle olimpiadi”, fa i conti, taccuino in matita alla mano: 263 milioni il palazzetto dello sport; 600 milioni palazzo dello sport; 830 milioni lo stadio Flaminio; 1.100.000.000 viadotti di corso Francia. E, infatti, ora sappiamo con sicurezza che al CONI l’organizzazione delle Olimpiadi è costata complessivamente 14 miliardi.

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Capitolo 5 IL MALE SULLE “O” Come gli altri ci vedono

Un altro articolo che ha stimolato la nostra curiosità è quello proposto dalla redazione sportiva del Corriere d’Informazione, pubblicato sul numero datato mercoledì 31 agosto, giovedì 1 settembre 1960 (ndr: la testata, ricordiamo, aveva uscita serale): trattasi di una serie di “simpatiche chicche” (ovviamente dipende con quale spirito le si vogliono leggere) che sembrano finalizzate a ridimensionare i tanti giusti “osanna” che da tutto il mondo venivano tributati alla manifestazione. Trattasi di brevi sintesi recuperate dalla raccolta stampa di quel periodo. KOMSOMOLSKAYA PRAVDA Le mene del Vaticano L’inviato della Komsomolskaia Pravda parla della propaganda anticomunista organizzata dal Vaticano e da sedicenti monarchici bulgari: “gli atleti sovietici non hanno mai ricevuto tanta posta come qui a Roma: si direbbe che ciascuno di essi è un divo del cinema ammirato da numerosi e entusiastici grafomani. In realtà la posta che i ragazzi della rappresentativa sovietica (e quelli delle squadre dei Paesi socialisti) ricevono viene da un solo centro, ben identificabile: il Vaticano. Le mene del Vaticano continuano e fanno di tutto per bastare la bella atmosfera delle olimpiadi. I preti hanno trovato logicamente degli interessati alleati: accade così che organizzazioni che hanno nel nome, più o meno esattamente, le parole “Europa libera” inondano gli atleti dei Paesi socialisti messaggi, di opuscoli, di statistiche calunniose e menzognere. La letteratura anticomunista arriva a chili ai nostri ragazzi quali ne ridono e spesso si mostrano l’un l’altro i brani più stupiti. Ai giovani della rappresentativa bulgara accade di peggio perché ad essi, oltre agli opuscoli del Vaticano e delle organizzazioni da esso stipendiate, alla letteratura propagandistica capitalistica e 125


guerrafondaia, arrivano anche opuscoli di propaganda monarchica che parlano di un tal Simeone, ragazzo di “bella vita”, che in questo momento ha perso una buona occasione per evitare che bulgari ricordassero i lutti che suo padre ed i governi da lui nominati procurarono alla patria. Alcuni atleti bulgari sono stati perfino aggrediti da un gruppo di sedicenti “monarchici bulgari” che, guarda caso, parlavano italiano quasi tutti”. FRANCE SOIR Temperatura calda ambiente freddo L’inviato speciale di France Soir Jean Eskenazi racconta come si è svolto il ricevimento nei giardini del quirinale e scrive: “La festa fu esattamente nel tono dell’ambiente in cui vivono i Giochi: magnifica per il paesaggio, un po’ sconcertante come atmosfera. Non abbiamo incontrato quel calore umano che si pensava dovesse nascere da una Olimpiade. I romani contemplano fieri e inebriati questi giochi olimpici considerandosi soddisfatti del loro successo estetico. Il resto li lascia indifferenti. Se i Giochi di Roma falliranno lo scopo è perché li avrà annientati passaggio dal caldo della temperatura al freddo dell’ambiente umano”. EVENING NEWS Vi saranno altre vittime Il corrispondente da Roma dell’Evening News scrive che se il caldo che brucia e sfinisce continuerà vi saranno altre vittime: “se si dice ora che il ciclista Knud Jensen sia stato sopraffatto da eccitanti e che la sua fine non è il risultato del solo italiano. L’esito dell’autopsia non sarà annunciato prima della fine dei giochi. Per quell’epoca il caso sarà stato già dimenticato e nessuno darà più la colpa al caldo di Roma. Per conto mio, sono assolutamente convinto che nel verdetto finale si dirà che il ciclista è morto per insolazione. Se questo caldo che brucia sfinisce continuerà, in queste due settimane vi saranno altre vittime” PARIS PRESSE Una gigantesca piazza da fiera L’inviato di France Presse, Michel Villeneuve ironizza sul pubblico che assiste ai Giochi Olimpici e scrive: “Italiani coi loro marmocchi che frignano e le mamme che urlano tirando fuori dal cestino la bottiglia di Chianti, francesi che protestano abituati al prosciutto bianco di Parigi e ai salumi di provincia, sciami di asiatici silenziosi che masticano non si sa bene cosa, usciti chissà da dove, vivono 126


tutti dietro le quinte dei giochi trasformando la Roma delle terme di Caracalla, del Campidoglio e degli stadi, in una gigantesca piazza da fiera. Si era detto loro che Roma è il paradiso del turista: per questo sono venuti fin qui. Ignorando tutto dello sport, o quasi, hanno sacrificato qualche lira del bilancio familiare per entrare almeno una volta negli stadi. Ma il più delle volte si accontentano divagare dietro le porte del Foro Italico; se sono francesi cercano di farla franca e, se ci riescono, si mostrano particolarmente fieri di questa prodezza. L’EQUIPE A cosa serve il Velodromo? Un inviato dell’Equipe è rimasto deluso dello scarso pubblico presente alla serata conclusiva delle gare di ciclismo: “Il pubblico romano è decisamente difficile. Qualche grappolo di spettatori sulle gradinate per l’ultima serata della pista, una serata calda e senza vento adatta alle grandi realizzazioni cronometriche. Ah, se noi fossimo al Vigorelli milanese! L’ambiente sarebbe ben diverso, elettrizzato dalla speranza di un dominio totale degli azzurri. A che cosa serve possedere un velodromo unico per la bellezza?” WIENER MONTAG Sabotaggio o incapacità? Sotto il titolo “scandalo Olimpico Roma-Vienna” il giornale austriaco Wiener Montag afferma che i disturbi nelle trasmissioni radio telefoniche da Roma Vienna, concernenti giochi olimpici, sono causati dalle tensioni politiche esistenti tra i due paesi. Secondo il giornale, si profila addirittura una guerra radiofonica tra Austria e Italia. “In ciascuna delle trasmissioni dalle olimpiadi romane finora ci sono stati “disturbi misteriosi”. I cavi funzionavano bene fino al sud Tirolo, ma ci sono state interruzioni. Le altre 50 nazioni collegate con Roma per simili trasmissioni, non hanno da lamentarsi per simili difficoltà e l’unica cosa di cui si può accusare gli italiani è il sabotaggio o l’incapacità. Le proteste austriache sono state finora infruttuose.” L’EQUIPE I prezzi olimpici Un inviato dell’Equipe rileva questo fatto: sulle vetrine di una merceria nei pressi della stazione Termini si può leggere “vendiamo a prezzi normali” a Roma infatti, ci sono anche i aperte “prezzi olimpici”. 127


THE EVENING NEWS I calci degli italiani L’inviato dell’Evening News Bil McGowran è scandalizzato per il gioco duro applicato dai calciatori italiani e tollerato dall’arbitro parziale, nel merce contro gli inglesi: “Gli italiani hanno pareggiato con gli inglesi (due gol per parte) nell’incontro di calcio, ma il risultato di parità è stato tenuto dagli azzurri con un gioco che non sappiamo se fosse più calcio o più pugilato. L’italiano Salvadore ha tirato un destro allo stomaco del centravanti Paddy Hasty per spiazzarlo mentre si apprestava a tirare in porta per segnare, con ogni probabilità dato lo spiazzamento del portiere italiano, quello che sarebbe stato il gol del vantaggio. Questo accadde 10 minuti prima della fine del primo tempo. Hasty ha dovuto essere trasportato fuori campo e per cinque minuti non poté rientrare in gioco. L’episodio è tipico della tattica degli italiani che sono convinti che ogni mezzo è lecito per vincere. In quella partita abbiamo visto calci negli stinchi, cariche irregolari alla schiena, sgambetti, insomma, tutto un campionario di gioco sleale che l’arbitro tollerante parziale non volle vedere mentre vedeva subito il minimo fallo degli inglesi”.

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Capitolo 6 IL VENTO DI OLIMPIA SCONVOLGE TUTTA ROMA Tre brani di costume per comprendere meglio Roma 1960

Il 31 agosto del 1960 il Corriere d’Informazione pubblicò tre pagine centrali (una sorta di inserto) titolate Giornale delle Olimpiadi, proponendo diversi articoli di costume, più che di vero e proprio contenuto sportivo (alcuni temi erano veri e propri gossip…): tra questi ne abbiamo scelto tre che danno una fotografia interessante, e simpatica di quale fosse l’ambiente fuori dai campi di gara. LA GIORNATA DEL TURISTA OLIMPICO. di Mario Bernardini Settantamila persone serie hanno ucciso la “dolce vita”. Con le olimpiadi via Veneto e la sua “dolce vita” hanno avuto un duro colpo. Tutti eravamo convinti che i turisti stranieri sarebbero arrivati con l’ansia di conoscere da vicino i personaggi stravaganti dell’ “affresco” felliniano. Pensavamo che di notte le due “rive” della “vasca”, già tanto movimentate, diventassero addirittura frenetiche, come succede a Rio durante il carnevale. I “paparazzi” sognano fotografie di Anita Ekberg che balla il “cha-cha-.cha” con tirolesi in calzoncini di pelle, o di Marcello Mastroianni in compagnia di giapponesino in kimono, o di Novella Parigini presa in braccio da giganteschi sollevatori di pesi. Invece ai turisti delle Olimpiadi la “dolce vita” non dice nulla. Sono pressappoco 70.000, qui a Roma, ma si pensa che per le gare finali ne verranno anche di più. Via Veneto durante il giorno, è una strada molto bella, ricca di verde, con i caffè sempre pieni, i marciapiedi in cui si circola stento, le vetrine sfolgoranti. È così fino a sera, quando s’accendono le luci delle insegne e, vista da Porta Pinciana, la strada assume un curioso aspetto da presepio natalizio. È soltanto in quelle ore che i romanici passano, perché ancora la “dolce vita” non si è destata. Fino alle dieci di sera via Veneto si possono incontrare anche molti bambini. 129


La “dolce vita” comincia verso mezzanotte, quando i tavoli dei due o tre locali più famosi vengono occupati autorevolmente da quei gruppi che per una specie di diritto di usucapione li considerano come una proprietà. Da quel momento via Veneto è loro: vanno e vengono, sfrecciano verso il Tritone su rombanti automobili di lusso, stanno via un’ora, ritornano bevono un whisky, si azzuffano con i fotografi, si tolgono le scarpe, fanno centomila altre cose banali o estrose o soltanto sciocche. Questa storia finisce solo all’alba, quando i ciclisti dei giornalai arrivano con i primi pacchi dei quotidiani del mattino appena usciti di tipografia. Ci sono turisti in mezzo a questa “gente bene”? Io ne ho visti pochissimi e, al massimo all’una, se ne vanno tutti. Siedono impacciati ai tavolini con un ice cream davanti. Le loro espressioni pensose derivano probabilmente dalla riflessione che la mattina lo stesso ice cream in un altro posto è costato quattro volte di meno. Ogni tanto un paparazzo, per fare atmosfera, li scuote dal loro torpore con un lampo di flash. Sobbalzano: sorridono intimiditi, poi si mettono a fissare il bicchiere o la punta dei sandali come fa la gente che si sente guardata e vuole darsi un contegno. La realtà è che questi bravi ragazzi che sono venuti a vedere le gare, la “dolce vita” non la capiscono. S’alzano la mattina presto per andare agli stadi; stanno sempre in movimento perché c’è tanto da vedere e il tempo passa velocemente. Spendono anche parecchio denaro perché assistere ad una manifestazione olimpica come minimo costa cinquecento lire e ce ne sono 2,3,4 al giorno. La sera sono stanchi morti e perdere sonno per uno spettacolo in fondo monotono, come quello che può offrire via Veneto ai non “iniziati” sembra inutile. Senza contare che la maggior parte di questi turisti a casa loro conducono un ritmo di vita semplice, modesto, ordinato: sono operai, impiegati, piccoli imprenditori, studenti. Hanno un orario di lavoro da rispettare e limitano gli svaghi alla televisione o al weekend. Le vacanze estive all’estero sono la loro grande avventura dell’anno in cui si immagazzinano ricordi per la monotonia delle serate invernali. Ma non è detto che non si divertano, questi turisti. E soprattutto è sbagliato dire che non spendono. L’altra sera allo stadio Flaminio c’erano circa 40.000 spettatori. Altrettanti assistevano alle finali di ciclismo ed in moto. Le pizzerie dei locali periferici restano aperte fino a notte inoltrata e sono sempre gremite di stranieri che accanto ai romani veri, quelli del “mezzo litro”, si trovano benissimo; le bancarelle dei souvenir a poco prezzo ed i negozi dei tabaccai vengono presi d’assalto. Qualche volta capita che il turista disinvolto, dopo aver 130


scoperto che esistono dei “bagarini” i quali comperano i biglietti e li rivendono guadagnandoci un tanto, si industria anche lui: ieri sera fuori dello stadio del nuoto, per esempio, c’erano dei giovanotti tedeschi che offrivano in vendita agli stranieri cartoline di Roma già affrancate e penne a sfera per scriverci i saluti. Penne cartoline comprate in centro qualche ora prima. È il cosiddetto “turismo di massa”, ed in definitiva è il più valido, economicamente parlando, perché non spreca, si fa i suoi bravi conti, ma se rimane soddisfatto l’anno prossimo tornerà e intanto quest’inverno parlerà bene di Roma ai propri amici consigliandoli a venirci e raccomandando loro i negozi dove è riuscito a comprar bene a poco prezzo. È il turismo dei “campings”, delle pensioni di terza categoria, dei viaggi organizzati in cui si spende fino all’ultimo 100º secondo un piano prestabilito e si ritorna a casa con lo stretto necessario per qualche panino e la benzina della macchina. Con tutto ciò anche gli alberghi di lusso risultano pieni, quindi questi turisti “seri” se si tratta di spendere oculatamente non stanno a guardare la lira. È logico che di questi tempi gli stranieri non si orientino verso determinate attività commerciali e ricreative. Non frequenteranno certo le botteghe degli antiquari di Via del Babuino o di Via dei Coronari, non trascorreranno le notti nei night, non compreranno le cravatte in via Condotti, non andranno a vedere i film in prima visione. Ma se il gestore di un cinematografo da 8001000 posti vede contrarre i suoi incassi anche del 50%, non può accusare di questo fenomeno la cattiva riuscita delle olimpiadi dal punto di vista turistico, perché il suo locale semivuoto, anche quando fosse al completo di spettatori, assorbirebbe si è no un centesimo della massa di visitatori giunti in questi giorni. Gli altri evidentemente mangiano, bevono, si divertono, spendono altrove. Senza contare che per la gente “quadrata” come questo tipo di turisti spendere cinquecento o anche ottocento lire per andare al cinema significa rinunciare domani ad una gara sportiva, mentre le vacanze di quest’anno sono invece dedicate allo sport e dai campioni. Spendere cinquemila lire in un night è ancora più dannoso, perché in quelle cinquemila lire ci sono i biglietti di una intera settimana. Perciò non brontoliamo contro questi turisti che sono stati una delusione: è ingiusto ed è inesatto, perché quando tireremo le somme, i risultati saranno certamente più che soddisfacenti. È gente che non cercava una Roma mondana, elegante: voleva per queste vacanze una gaia “kermesse” popolaresca e ha saputo cercarsela in questa città che ha tante facce diverse. Chiudono presso 131


i negozi eleganti del centro? Si rifaranno a Pasqua ed a Natale, con turisti più raffinati e cosmopoliti. Stanno facendo affari, per contro, i negozianti di media taglia che normalmente conducono un “tran-tran” senza troppe pretese. E se il turismo olimpico ha ucciso la “dolce vita” non saremo certo in molti, noi romani, a dolercene. MONACHINE BAGARINI E PRETINI SUGLI SPALTI di Vittorio Ciuffa Nonostante la proibizione del cardinal Micara molti sacerdoti stranieri sono presenti negli stadi dove si svolgono gare femminili e miste. Il Quartier generale di monsignor Nicola Pavoni è al terzo piano del nuovissimo, elegante palazzo delle federazioni, in viale Tiziano. Da un’ampia vetrata si scorgono sventolare le bandiere degli 87 Paesi partecipanti alle Olimpiadi, alte e spiegate sui pennoni, in fila dinanzi al Villaggio Olimpico. Dall’ufficio di monsignor Nicola Pavoni si domina il Villaggio, si controlla il suo ingresso. Sotto c’è sempre un gran movimento, sembra una festa di paese, con tutti quei colori dei vessilli, delle tute degli atleti, che entrano ed escono, degli abiti dei turisti curiosi, con le automobili e pullman dell’organizzazione che non si fermano un attimo. Il sole picchia solenne sul Villaggio, e quasi non si respira. Invano gli atleti affondano le bottigliette di bibite nelle vaschette dell’acquaio. Se vogliono aranciate fresche, devono recarsi al bar, percorrere centinaia di metri di strada assolata. Ma al palazzo delle federazioni fa fresco, forse troppo fresco. Perché gli uffici sono muniti di efficaci condizionatori d’aria, e bisogna chiuderli, talvolta, per non rischiare raffreddori. Monsignor Pavoni è indaffaratissimo, in questi giorni, ed è difficile incontrarlo. Perché le Olimpiadi hanno arrecato un superlavoro anche a lui, che ha già il gravoso impegno dell’assistenza religiosa del CSI, Centro Sportivo Italiano. Ora il monsignore è incaricato della assistenza religiosa agli atleti partecipanti ai giochi. Non si può affermare, però, che gli atleti trovino molto tempo da dedicare all’anima. Sono impegnatissimi tra allenamenti e gare, il loro fisico ha, in questi tempi, esigente se molto superiori a quelle delle loro anime. Per questo forse la messa di domenica mattina, nella chiesa parrocchiale di Santa Croce al Flaminio, non era molto affollata di atleti. Eppure vi si spiega il Vangelo in varie lingue, italiano, francese, tedesco, inglese. Però monsignor Pavoni non è sfiduciato: in definitiva non è lui che deve andare a cercare gli 132


atleti, perché susciterebbe polemiche da parte dei rappresentanti di altre religioni. Basta che gli atleti sappiano dove possono trovare un sacerdote, pronto a parlar con loro di record, primati, tuffi, nuoto, ciclismo, pentathlon e lotta greco romana, ma anche di Purgatorio, Inferno, Paradiso, di vecchio e nuovo Testamento, vi anima e giudizio universale. E così monsignor Pavoni ha visto qualche “super fusto” tutto scatto, e qualche muscolosa bionda avvicinarlo, magari per farsi benedire un rosario, una statuina, un breviario, e valorizzare così spiritualmente quei piccoli souvenir di Roma. Se l’opera di apostolato di padre Pavoni è in un certo senso un lavoro di ufficio, non per questo vengono trascurati contatti con gli atleti nei campi di allenamento e di gara. Monsignor Pavoni, che esplica anche attività giornalistica, è munito di carta olimpica e può accedere in tutti gli impianti sportivi. Non è detto che ciò avvenga. La notificazione del cardinal vicario Clemente Micara, emanata il 17 agosto scorso, parla chiaro: i sacerdoti cattolici debbono astenersi dall’assistere a tutte le competizioni femminili, a tutte quelle miste, nelle quali cioè uomini e donne gareggiano assieme, ed infine a tutti gli incontri di lotta e pugilato. Ma se questa è la partecipazione “ufficiale” dei sacerdoti alle Olimpiadi, ce n’è una molto diversa, più individuale forse più vasta. È quella di tanti religiosi, cattolici e protestanti, che si avvicinano agli atleti non tanto nella loro veste di rappresentanti della Chiesa, quanto in quella di puri, accesi sportivi, perfino tifosi. E così tra gli infiniti aspetti curiosi, stravaganti, patetici, drammatici, paradossali, che Roma presenta in occasione di questa gigantesca sagra olimpica, non è raro assistere, per le strade o negli stadi, a quadretti vivi e palpitanti che fornirebbero meravigliosi spunti alla smaliziata ma bonaria tavolozza di Nino Caffè (ndr: è stato un pittore ed incisore specializzato tra l’altro in riproduzioni di vita quotidiana, ove non mancava di coglierne anche gli aspetti più curiosi e dissacranti). È facile imbattersi in accaldati pretini, isolati, a coppie o a gruppetti, che arrancano faticosamente per raggiungere gli stadi, che si mescolano alla folla all’assalto degli impianti sportivi, che esprimono, talvolta abbastanza clamorosamente, la propria simpatia per un atleta o per una squadra. In certi momenti è difficile considerarli ancora vestiti del nero abito talare: appaiano soltanto vivaci “tifosi”, carichi di entusiasmo e di impegno come i romanisti e laziali al derby cittadino. Le austere tonache nere, quelle più pittoresche rosso fiamma, le altre impreziosite da solenni ornamenti azzurri e viola, emergono spesso dalla policroma visione di una folla festosa, che attornia gli atleti. E si incontrano sacerdoti che 133


per innocente vanità sportiva amano incrinare l’austerità della tonaca appuntandovi qualche brillante distintivo di smalto, come i ragazzini romani che fanno incetta di emblemi, perfino a pagamento. Le monachine donano una nota patetica questa imprevedibile atmosfera olimpica: le si scorgono a due a due, timide e trepidanti, affannarsi faticosamente in operazioni semplici ed elementari anche per un ragazzo. Qualcuno ha intravisto, nei giorni scorsi, un paio di suorine indaffarate tra la folla che acquistava i biglietti per le manifestazioni. Ed ha riferito anche di monache che erano intente ad esercitare il bagarinaggio. Molto più probabilmente cercavano di cedere biglietti che non avrebbero utilizzato, forse proprio in ossequio a quella severa notificazione del Cardinal Vicario. Comunque sia, Roma o fra in questi giorni infinite occasione alle monache di trovarsi al cospetto di muscolosi “super fusti” olimpici, ed ai pretini di finire in mezzo a meravigliose, statuarie super bionde in cortissimi shorts. Tanto varrebbe poter assistere anche alle “gare proibite”. E poi è certo che religiosi non assistano le competizioni femminili e miste? C’è chi afferma di averli visti sugli spalti. Ma forse erano preti stranieri. POVERA ROMA MIA NON LA CONOSCO PIÙ. di Irene Brin Impressioni di donne, dalla caffettiera alla scrittrice, raccolte da una grande giornalista di costume, scrittrice, viaggiatrice, mercante d’arte e donna di grande cultura, intelligenza e stile. Irene Brin, all’anagrafe Maria Vittoria Rossi nata nel 1911 e morta nel 1969, che fu una vera e propria icona nella battaglia per l’emancipazione femminile. Il brano proposto riporta fedelmente le risposte che delle cittadine romane per descrive la “loro personale sensazione” (vista spesso in relazione al loro vissuto) sulle giornate olimpiche romane. Giuditta Scalini Campigli corruga la sua fronte di idea: “Le olimpiadi? Ma io abito porta Pinciana, angolo via Veneto, e non mi sono accorta di nulla. Qualche macchina in più, forse, la sera. Hanno importanza le macchine? Suor Lorenzina Guidetti, direttrice del settimanale “Così”, redatto, scritto e stampato da suore: “mi ero interessata alle olimpiadi solo da un punto di vista giornalistico, cercando cioè di avere tutte le notizie, le fotografie, le informazioni. Ma poi mi sono accorta che l’intera comunità partecipa, fervidamente, alle gare. Le mie redattrici, le mie suore, sanno assolutamente tutto sui campioni, sulle medaglie, sugli incontri. Mi sono convinta che, come disse Don 134


Bosco, lo sport rappresenta una stupenda prova di autodisciplina, di sforzo collettivo verso un mondo migliore. Gianna Manzini è appena tornata da un viaggio: “non so, o meglio, non so ancora perché Roma è completamente rinnovata”. La signora Muccioli, infermiera, che sotto il nome di “la nostra gattara” cura domicilio nel suo ospedalino tutti i gatti di Roma: “i gatti randagi stanno meglio, i turisti, anche poveri, hanno qualche avanzo per i gatti dei fori, per i derelitti, per i diseredati. Vorrei che le olimpiadi durassero sempre”. La fioraia di San Silvestro: “a me i fiori sciolti non interessano. Solo i bouquets. Ho l’impressione che gli stranieri di quest’anno olimpico non apprezzino i miei bouquets”. La signora Nanna, caffè-bar a Trastevere: “povera Roma mia. Mi vengono quindi dieci, scamiciati e scalzi, mi pigliano un caffè in dieci. E pazienza, ma almeno quando si alzano rimettessero a posto le seggiole. Invece no, ci passo la giornata. Rimetto qui, rimetto la, va a finire che ci rimetto”. La signora D’Auria, quant’aia a via Due Macelli: “sì, avendo effettivamente molti guanti in più. Ma ho dovuto rifornirmi di misure grandissime”. La Casa del Busto, in via Sistina: “ma, noi abbiamo chiuso. Si vede che le donne olimpiche busti non ne portano”. Eve of Roma, Istituto di bellezza via Veneto: “domenica, quando la Cavalcata dei Fiorentini è passata sotto le finestre, ho pianto. Sto qui tutto il giorno, le clienti arrivano tra un match e un altro, bruciate dal sole, sudate, disfatte dalle emozioni, e ansiosi di rimettersi in sesto per ricominciare. La più affascinante? Maria Gabriella di Savoia, che dilaga in questo momento con la principessa Pallavicini. La maggior soddisfazione me l’ha data la Callas, che ho trasformata. Ci volevano le olimpiadi perché la Maxwell mi permettesse di applicare lo chignon”. Le Sorelle Fontana, sarte a via San Sebastianello: “entusiaste, raggianti, felici. Le vendite? Alta moda, solo per italiane che andavano al Quirinale o che andranno al ballo di Napoli. In boutique qualcosa con le filippine, ma non ha importanza, é lo sport che conta.” Maria Letizia Germozzi, ufficio stampa del Permindex all’Eur (ndr: la Permindex era una holding commerciale svizzera, con sede principale a Basilea e altre filiali a Roma e Montréal): “è stata una coincidenza meravigliosa, il villaggio olimpico si trasferisce qui in pullman per vedere i nostri stands, soprattutto lo stand giapponese. Ed in compenso noi del Permindex ci precipitiamo agli incontri”.. 135


Maria Horvath, pasticciera ungherese a piazza San Bernardo: “mai altrettanto delusa in vita mia. Speravo che i componenti della squadra ungherese venissero a mangiar le mie torte, gliele avrei date gratis: invece, niente, non se n’è visto uno. E nemmeno di altre squadre: mangiano al Villaggio e basta”. Teresa Massetti, di “Myricae” di via Frattina: “detesto ogni antagonismo, e quindi ogni gara. Ma mi piace l’atomosfera dell’attesa, della speranza, e mi piace vedere in strada i ragazzi di ogni colore, che passeggiano insieme”. Ginetta Palmera, della “Knoll”, in via Orti di Napoli: “abbiamo ogni giorno una specie di pellegrinaggio. Sono i componenti delle squadre di oltre-cortina che scoprono i mobili Knoll. Non ci parlano, non saprebbero in che lingua farlo, probabilmente. Camminano, toccano con la punta di un dito il mobile di Calder, le sedie di Saarinen, e sorridono, sorridono sempre, come in un museo”. “The Whip”, selleria e cuoio di lusso a via San Sebastianello: “Clienti olimpici, assolutamente nulla. Ma l’atmosfera mi costringe ad una vita raccolta: casa e bottega, bottega e casa. Né mare, né scampagnate. Roma è chiusa nel quadrilatero sportivo come nella muraglia cinese. Una muraglia con bandiere”. Luisa Tomassini, biancheria per signora, via Sistina: “di clienti olimpiche solo due dirigenti di squadra. Che streghe: sembravano dovessero dirigere il mio laboratorio ed il mio negozio: ordini su, ordini giù e non mi hanno ancora pagata, nemmeno vi pagheranno, giurerei. Però sono contenta lo stesso, è una festa di Roma”.

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PARTE QUARTA



IL LUNGO PERCORSO PER ARRIVARE A ROMA 1960 Brevi note storiche sulle location che poi ospitarono i Giochi della XVIIa Olimpiade

Nota introduttiva Le ambizioni della Capitale ad ospitare il massimo evento dello sport mondiale hanno lunga storia alle spalle: due furono infatti i tentativi, prima di quello fortunato e felice del 1955. La prima esperienza è datato1906, allorquando Roma, già assegnataria da parte del CIO dei Giochi del 1908, dovette suo malgrado rinunciare per un terribile e luttuoso evento: la micidiale eruzione del Vesuvio del 7 aprile 1906, che provocò danni ingenti ed oltre 300 morti. Il Governo Italiano (presieduto da Giovanni Giolitti) decise quindi di impegnare tutte le risorse disponibili in quella martoriata zona, dirottando anche quelle stanziate in precedenza per altre finalità, compresi i fondi per la organizzazione dei Giochi. La seconda fu quella del 1935. Nonostante cominciassero ad apparire minacciose all’orizzonte dello “scacchiere mondiale” le prime significative avvisaglie di forti tensioni tra i Potenti della terra, l’Italia avanzò al CIO la candidatura romana per la 14° edizione dei Giochi del 1940. Al regime fascista, con Mussolini in testa, interessava ospitare un evento di portata mediatica immensa come i Giochi Olimpici, ritenendola una opportunità senza eguali per presentare al mondo intero “…i successi della politica fascista e del suo sistema sociale”. Una logica aggressiva, molto in uso all’epoca, e non solo nel nostro Paese: si riteneva infatti che il miglior strumento per avere maggiore capacità di contrattazione politica fosse il mostrare “… i propri muscoli”. Come elementi facilitatori della richiesta, sia nei riguardi dell’opinione pubblica interna che nell’ambiente olimpico internazionale, furono due fatti contingenti di mera valenza sportiva: gli splendidi risultati italiani ai Giochi di Los Angeles del 1932 (ndr: il nostro Paese si posizionò al secondo posto nel Medagliere, dietro solo agli Stati 139


Uniti) e l’eclatante vittoria della Nazionale di Calcio ai Campionati Mondiali 1934, la cui finale si disputò proprio a Roma, nello Stadio Nazionale. C’era poi un altro aspetto: l’assegnazione dei Giochi 1940 sarebbe stata per il regime “doppia vittoria”, visto che due anni dopo, nel 1942, Roma avrebbe dovuto ospitare la Esposizione Universale. Da subito la richiesta non trovò opposizioni ma apprezzato consenso, visto che lo stesso movimento olimpico (ed in primis l’anziano Barone De Coubertain) da tempo spingeva per far svolgere una Olimpiade nella Città Eterna. Ma anche stavolta, per una serie di coincidenze fattuali, l’ambiziosa ipotesi svanì a pochi passi dal traguardo: pochissimi giorni prima che il CIO adottasse la sua decisione (ndr: nella sessione di Oslo), l’ambasciatore del Giappone Yotaro Sagimura chiese a Mussolini di rinunciare all’organizzazione dei Giochi 1940 a favore di Tokio. Infatti proprio nel ‘40 si sarebbe celebrato il 2600º anniversario della dinastia regnante e l’imperatore Hirohito intendeva celebrare l’avvenimento con grande solennità. Mussolini, che aveva tutta la convenienza di rafforzare i legami dell’Italia con il colosso asiatico (…legami che ebbero poi concretizzazione nell’ormai imminente conflitto mondiale con il funesto “Asse Roma-Berlino-Tokyo”) autorizzò il CONI a ritirare la candidatura, lasciando così strada spianata a Tokio, nella piena convinzione che nessuno avrebbe poi negata all’Urbe l’organizzazione dei Giochi del 1944, tant’è che Roma, con l’appoggio dello stesso governo, poté continuare a prepararsi “strutturalmente” a questo evento che avrebbe dovuto svolgersi solo quattro anni più tardi. Le cose andarono in maniera totalmente diversa: da lì a poco il mondo intero sarebbe stato sconvolto da una apocalisse totale, colma di distruzione e morte. Ovviamente i due appuntamenti olimpici, del 1940 e del 1944, furono annullati. Nelle pagine che seguono riproponiamo la storia dell’impiantistica sportiva romana dal primo Novecento fino al 1960. Molti dei brani riportati sono stati pubblicati in tempi diversi su “Cinque Cerchi d’Argento”, rivista di Cultura e Storia dello Sport edita dall’APEC, altri saranno pubblicati successivamente sulla stessa testata, in modo mirato. Abbiamo voluto dedicare la parte finale del libro su questo argomento, perché riproponendo tutti insieme queste tematiche, si riesce a dare al lettore un senso più compiuto e meno parcellizzato, della propensione “naturale” della Capitale d’Italia nei riguardi del Movimento Olimpico.

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Capitolo 1 IL FORO ITALICO

Il 5 febbraio del 1928 è la data ufficiale della posa della prima pietra del Foro Mussolini, opera dell’architetto Enrico Del Debbio: il complesso doveva essere al servizio, come si leggeva nello slogan di allora “…per l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù”. Fu ancor di più: l’ombelico su cui ruota l’intero mondo sportivo, sede del Comitato Olimpico Nazionale Italiano L’insieme del Foro Italico (che come tutti sanno, in origine si chiamava Foro Mussolini) è stato ideato e realizzato tra il 1927 e il 1933, su progetto dell’arch. Enrico Del Debbio. In realtà la paternità vera e propria del Foro si deve attribuire a Renato Ricci, allora sottosegretario all’Educazione Nazionale e fondatore dell’Opera Nazionale Balilla, il cui obiettivo (anche ricco di contenuti esplicitamente politici) era quello di realizzare una città dello sport. Nel suo pensiero (che fu poi tradotto in realtà), gli impianti sportivi dovevano essere progettati secondo il modello degli stadi di Olimpia e della Grecia antica. Ed infatti il Foro è ritenuto uno dei più attrezzati e funzionali centri sportivi del tempo, ispirato all’antico gymnasium greco-romano. È curioso tra l’altro sapere che inizialmente, per la scelta dell’area più adatta per quel complesso, furono prese in considerazione tre location a quel tempo disponibili: la prima opzione era la zona dove successivamente fu realizzata la Città Universitaria (Verano, Tiburtina, Stazione Termini); la seconda era l’area dell’attuale centro residenziale di Casal Palocco; infine la terza era la “piana flaminia”, sotto Villa Glori, dove invece nel ’60 fu realizzato il Villaggio Olimpico. Al momento della scelta definitiva però queste ipotesi furono scartate e la decisione cadde su una quarta area, formalmente meno appetibile, collocata nella zona a nord di Roma, adagiata tra le colline di Monte Mario, i colli della Farnesina e il Tevere. Invero la natura di quei 141


terreni era tutt’altro che allettante e la zona risultava particolarmente depressa con terreno paludoso. Comunque, per rigore storico, è opportuno ricordare che il Piano Regolatore di Roma del 1909 già indicava, nell’ampia zona denominata Prati della Farnesina, un’area con generica destinazione a verde pubblico. Ma qualunque fossero state le motivazioni della scelta, non si può negare, dopo circa un secolo, che il Ricci seppe “vedere lontano”. Tramite la Sovraintendenza alle Belle Arti, fece vincolare tutte le circostanti colline di Monte Mario, rendendole non edificabili in modo da favorire la nascita di quello che ancora oggi è lo sfondo naturale e boschivo per il Foro, e soprattutto garantendo (ancora per i giorni d’oggi) un vero e proprio polmone verde per tutta la città di Roma, cosi come risultò fondamentale, per la trasformazione della città, la massiccia bonifica ambientale attuata nella zona bassa pianeggiante. In questo intervento, il piano di campagna originale, appunto paludoso, fu alzato di oltre 5 metri e poi fu sanificato: un intervento immenso, se consideriamo che parliamo di una superficie di circa 80 ettari. Una nota sul piano tecnico: il tipo d’intervento effettuato in questa fase fa comprendere meglio perché la costruzione degli impianti fu realizzata con l’invaso di gioco incavato nel terreno. Il passo iniziale dell’articolato progetto sul Foro fu la decisione di Renato Ricci di incaricare Del Debbio di realizzare l’Accademia (l’attuale Palazzo H) con uno stadio annesso per praticare l’atletica e la ginnastica, vale a dire lo Stadio dei Marmi. Il Palazzo H, come tutti sappiamo, prende nome dal fatto che è costituito da due corpi di fabbrica di uguali dimensioni e struttura, uniti da un cavalcavia. Quindi a forma della lettera H. Nel cosiddetto cavalcavia si trova il Salone d’Onore, che poi altro non era che l’Aula Magna, ricco di decorazioni parietali. Lo Stadio dei Marmi fu progettato nel 1928 ed inaugurato nel 1932. Per la sua tipologia architettonica fu definito dall’urbanista Italo Insolera “…come l’impianto più rappresentativo dell’era fascista”. Il suo nome ovviamente è legato al marmo bianco di Carrara, che appunto fu utilizzato per costruire gli otto gradoni destinati ad accogliere 20.000 persone, gradoni che furono realizzati sopraelevando il terreno di circa cinque metri e mezzo. Lo Stadio, tuttavia, non fu pensato per pubbliche manifestazioni agonistiche, ma soprattutto come sede di allenamento ginnico e militare per gli accademisti, nonché per ospitare i saggi ginnici celebrativi del fascismo, che si svolgevano una volta all’anno. Questo particolare funzionale spiega l’assenza di pensiline, così come la scelta strutturale pensata ad U, tra l’altro tipica degli stadi ellenici, con due lati rettilinei e paralleli raccordati con un tratto semicircolare da tutte e due le parti. I due corpi di fabbrica affiancati 142


che delimitano l’accesso al campo furono destinati ai servizi e ai magazzini per gli attrezzi. L’altro elemento caratteristico dello Stadio è offerto dalle sessanta statue - donate dalle province italiane - distribuite alla sommità dello spalto. Le statue sono tutte della stessa altezza, 4 m., e rappresentano atleti di differenti discipline ginniche che richiamano comunque atteggiamenti bellici. La collocazione delle statue come elemento ornamentale segna un significativo ribaltamento nella concezione delle arti figurative, poiché viene invertita la tendenza che vedeva la scultura, comunemente votata a minore rilevanza rispetto alla pittura, assumere in questo contesto sportivo una importanza – quanto meno di visibilità – senz’altro prevalente: quindi in sintonia con la concezione ideologica del fascismo, ove virilità e forza assumevano significati rilevanti di dominio e di decisionismo. Tra gli scultori che lavorarono a queste statue citiamo Aroldo Bellini, Tommaso Bertolino, Aldo Buttini, Silvio Canevari e Carlo De Veroli. Dello scultore Bellini sono anche i due gruppi di bronzo collocati ai lati dell’ingresso al campo. Angelo Canevari fu invece l’autore dell’ampio mosaico di 150 mq. posto anch’esso all’ingresso del campo, con la rappresentazione di otto figure di atletica leggera. Adiacente allo Stadio dei Marmi fu realizzato lo Stadio dei Cipressi, destinato al calcio, e che poi fu ristrutturato e modificato in stadio Olimpico. I lavori iniziarono nel 1927 e venne inaugurato nel 1932, parzialmente, sino al primo anello. Ma anche di questo impianto parleremo più dettagliatamente in un prossimo numero della Rivista. Un altro grande “padre” del Foro Mussolini fu l’architetto Luigi Moretti che ha firmato capolavori come la Casa delle Armi, la palestra del Duce (all’interno del Palazzo delle Terme) nonché il Piazzale dell’Impero, oggi viale del Foro Italico. Subentrato ad Enrico Del Debbio come architetto della città dello sport, fu incaricato soprattutto del progetto per la realizzazione del Piazzale inneggiante al Ventennio. Questo spazio enorme doveva essere il luogo deputato per eccellenza alle sfilate dell’intero Regime. L’opera realizzata copre un’area di 7000 metri quadrati costituiti da mosaici realizzati da Gino Severini e raffiguranti atleti, figure mitologiche e simboli sacri alla storia di Roma e alla vita fascista. I tasselli utilizzati sono gli stessi in uso nell’antica Roma, dalla dimensione mediamente di poco più di un centimetro. Alcuni mosaici raffigurano la pianta dell’intero complesso del Foro, altri ripetono ossessivamente la scritta “duce”, oppure “duce a noi”, o ancora il fanatico motto, particolarmente in auge nel ventennio, “molti nemici molto onore”. Ai lati del viale sono stati collocati dei monoliti bianchi con incisi i passaggi fondamentali dell’Italia fascista. I lavori, iniziati nel 1927, furono portati a termine in molta rapidità da 400 fra scalpellini e mosaicisti dal143


la scuola specializzata dell’Opera Nazionale Balilla. All’estremità occidentale del piazzale sorge la fontana della Sfera, realizzata dagli architetti Giulio Pediconi e Mario Paniconi, costituita da un’ampia vasca circolare di 3 metri di diametro e da una grande sfera, avente lo stesso diametro della vasca e un peso di circa 42 tonnellate, realizzata da un unico blocco di marmo proveniente dalle cave di Carrara. Il bacino anulare alla fontana è decorato con mosaico a tessere di marmo bianche e nere, con soggetti marini, realizzati su ideazione del pittore Giulio Rosso. In asse alla fontana, nella parte orientale del piazzale, si eleva il simbolo della potenza del Regime, l’obelisco conosciuto come Stele Mussolini, opera di Costantino Costantini. Un unico blocco di marmo di Carrara poggiato su un’enorme base dello stesso materiale per un’altezza totale di quasi 40 metri e 770 tonnellate di peso. Il Monolite è certamente il più grande blocco di marmo mai estratto dalle Alpi Apuane. Lo stesso architetto che curò il progetto ribadì a Mussolini questo primato: “L’obelisco è il più grande blocco marmoreo che mai sia venuto alla luce dalle viscere della Terra”. Venne a costare la bellezza di quasi due milioni e mezzo di lire dell’epoca (all’incirca 2 milioni di euro) oltre alla cuspide di oro puro, del peso di kg. 32 “indispensabile a proteggerlo contro le insidie del tempo”. Ovviamente anche la cuspide aveva il suo valore economico: all’incirca costò, in valuta odierna, attorno al mezzo milione di euro. Tra l’altro con la caduta del regime la cuspide d’oro andò perduta. Interessante, sia sul piano ingegneristico che di coinvolgimento sociale, la metodologia del trasporto del monolite dai Monti Lunensi fino a Roma. L’Istituto Luce conserva nei suoi archivi (accessibile anche online) il resoconto filmato dell’ardita operazione. Questa avvenne in parte via terra e in parte via mare e fiume, e richiese particolari mezzi tecnici e singolare abilità di maestranze. I blocchi infatti vennero estratti dalla cava, poi vennero “lizzati”. Spieghiamo meglio (o più precisamente “al meglio) il significato di lizzare, rimanendo nel contesto di questa narrazione: i blocchi di marmo furono imbragati su dei tronchi di faggio, fino a formare una slitta. Questa fu poi assicurata con cavi e caposaldi disposti lungo un percorso particolare, la cosiddetta “via di lizza”, per essere successivamente mollata gradualmente, in modo che scivolasse su altri legni unti di sapone o di grasso che le venivano posti sotto, trasversalmente. Arrivati a valle i blocchi furono trainati da 60 coppie di buoi e caricati su delle imbarcazioni realizzate appositamente che, una volta arrivati a Fiumicino, risalirono il Tevere, passando sotto ponte Quattro Capi in prossimità dell’isola Tiberina, ponte Sisto e ponte Sant’Angelo, ed infine all’attuale Foro furono posizionati attraverso l’utilizzo di macchine appositamente realizzate.

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Capitolo GLI ALTRI EDIFICI DEL FORO ITALICO

L’ immane complesso del Foro Italico non ha mai avuto un progetto unitario ma è sempre stata una struttura in “eterno itinere”, che nel corso degli anni ha visto la realizzazione di altri importanti edifici destinati allo sport. Iniziamo ricordando la Foresteria sud, la Colonia Elioterapica, nonché l’attuale Ministero degli Affari Esteri, tutti e tre realizzati da Del Debbio. Da evidenziare che il terzo dei tre impianti citati, a primo impatto era intesa come una megastruttura indirettamente collegata allo sport pur pensata come ugualmente parte integrante nel Foro medesimo, perché in origine era stata ideata come Palazzo del Littorio, quindi come sede di rappresentanza del Partito Nazionale Fascista e degli organismi ad esso collegati. In quest’opera (tutta da visitare per la ricchezza culturale conservata nei suoi locali) Del Debbio fu affiancato da altri due architetti, Arnaldo Foschini e Vittorio Ballio Morpurgo. Altri impianti che sono parte integrante del complesso del Foro Italico, e che videro la presenza ed il contributo di altri importanti progettisti sono: CASA DELLE ARMI - PALESTRA DI SCHERMA Fu realizzata fra il 1933 e il 1936 da Luigi Walter Moretti in un’area presso cui in origine era prevista la costruzione della “Casa del Balilla Sperimentale”, e costituisce un vero e proprio capolavoro dell’architettura razionalista italiana. È costituita da due parallelepipedi disposti a “L” e connessi da un corridoio aperto, a mo’ di passerella: il primo dei due blocchi ospitava in origine la Biblioteca, l’altro era appunto la Sala d’Armi, cioè la palestra di scherma. Per capire meglio di cosa stiamo parlando, trattasi di quell’edificio che, a partire dagli anni ‘80 è stata utilizzata a lungo come “aula bunker” giudiziaria. 145


STADIO CENTRALE DEL TENNIS Fu progettato a partire dal 1933 dall’architetto Costantino Costantini e fu poi decorato da sculture di Eugenio Baroni. L’antica struttura è oggi affiancata dall’attuale nuovo Stadio centrale del tennis. Sfruttando la conformazione del terreno e in linea con le intenzioni dei diversi ingegneri che progettarono i vari elementi del Foro, Costantino Costantini riuscì a realizzare lo stadio “scavandolo” in un invaso, piuttosto che elevandolo in altezza, e quindi di fatto “immergendo” la struttura nel paesaggio naturale invece che imponendola allo sguardo e al territorio. Quindi si tratta della stessa concezione che è stata alla base del progetto dello Stadio dei Marmi. STADIO OLIMPIONICO DEL NUOTO La realizzazione dello stadio in realtà appartiene alla seconda fase urbanistica del Foro, quella del dopoguerra (1956). Gli architetti Enrico Del Debbio e Annibale Vitellozzi firmano la progettazione di questo complesso, dotato di piscine per le gare, per i tuffi, per i corsi di nuoto. PALAZZO DELLE TERME Il complesso include l’Accademia di Musica, le Piscine coperte e la Palestra del Duce. L’architetto Costantino Costantini progettò l’edificio (1935-37), collocandolo alla sinistra del monolite, in posizione simmetrica rispetto all’Accademia di Educazione fisica di Del Debbio. Entrando nell’edificio si ha un primo, magniloquente impatto con la luminosa Piscina Coperta, decorata dai mosaici pavimentali di Giuseppe Rosso, e da quelli parietali di Angelo Canevari. Al primo piano stanno una piscina pensile per bambini, e la famosa Palestra del Duce, di Luigi Moretti (1936). UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROMA ‘FORO ITALICO’ I vari edifici del Foro Italico ospitano, fra l’altro, i corsi dell’Università degli Studi di Roma “Foro Italico” (le aule sono distribuite in diversi palazzi). L’ateneo è l’unico in Italia, e uno dei pochissimi in Europa, a essere interamente dedicato all’attività motoria e allo sport. Le radici di tale istituzione vanno ricercate nelle varie scuole fasciste di educazione ginnico-sportiva inaugurate durante il Ventennio, sia maschili (Roma, 1929) che femminili (Orvieto, 1932). Nel 1952 l’Accademia fascista di Educazione fisica diventa ISEF-Istituto Statale di Educazione Fisica, e nel 1998 cambia infine in IUSM-Istituto Universitario di Scienze Motorie. 146


PIAZZALE DELL’IMPERO L’area fu sistemata nel 1936. Lungo il tracciato ben 22 parallelepipedi marmorei a sezione rettangolare, 11 per lato, recano incise le gesta del regime fascista scandendo le tappe della storia d’Italia dal 1915 (la Grande Guerra) al 1936 (la conquista d’Etiopia. Altre due coppie di pilastri posti alle estremità del viale e perpendicolari agli altri chiudono le due schiere commemorative. Al centro del viale la piattaforma marmorea lunga 88 m, sopraelevata di tre gradini, era destinata ad accogliere le autorità durante le manifestazioni, a mo’ di podio. Accanto alla celebrazione storica sta la glorificazione dei valori sportivi illustrata dal tappeto musivo che lastrica il viale. I mosaici furono ideati, tra gli altri, da artisti del ventennio. Ricordiamo che il 25 agosto 1960, pochi giorni prima dell’inaugurazione delle Olimpiadi, sulla scorta della forte ondata di antifascismo che in quel periodo coinvolse il Ppaese, l’allora ministro del Turismo Alberto Folchi fece cancellare diverse parti e scritte dei mosaici, fece aggiungere tre date significative (25 luglio 1943, la caduta del fascismo; 2 giugno 1946, il Referendum; 1 gennaio 1948, la Costituzione), Fece altresì cambiare la posizione del pilastro che ricordava la fondazione del “Popolo d’Italia”. Ricordiamo infine, che secondo il progetto ideologico iniziale, “a degna conclusione visiva del Viale”, in un’ampia prospettiva celebrativa rivolta verso la collina di Monte Mario, avrebbe dovuto trovarsi un mai realizzato “Colosso” (disegnato da Aroldo Bellini), un imponente Ercole di Nemea con le sembianze del Duce, a coronamento di un immenso museo permanente del fascismo. Per fortuna, diciamo noi, questo aspetto progettuale non trovò attuazione.

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Capitolo 3 GLI IMPIANTI DEL POLO ACCANTO

Le tante vicissitudini vissute nella prima metà del secolo passato, con quell’alternarsi di ambizioni e delusioni di poter ospitare i Giochi Olimpici, non hanno comunque mai negato alla Città Eterna di essere obiettivo concreto di una complessa ed imponente progettualità attinente l’impiantistica sportiva. D’altronde è opportuno inquadrare questi interventi e queste iniziative nel contesto del faticoso cammino che Roma stava affrontando per acquisire anche sul piano sostanziale, la sua dimensione di Capitale d’Italia. In tale ambito il quartiere Flaminio, nel suo rapporto con lo sport e non solo, fu un elemento determinante.. Fin dall’inizio del secolo quest’area vantava già significativi impianti sportivi, la cui costruzione fu favorita dagli spazi ricavati a seguito di un ingente esproprio nei confronti degli eredi dell’ing. Glori, antico proprietario del colle ove c’è appunto l’omonima e splendida Villa. Uno degli agglomerati realizzati nella zona adiacente al fiume fu il Campo Parioli per le corse al galoppo. Seguì, nel 1911, su progetto di Marcello Piacentini e Vito Pardo, lo Stadio Nazionale, che fu un polo di riferimento della Esposizione Internazionale per il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Nel 1925, sempre su progetto di Piacentini, fu la volta dell’Ippodromo di Villa Glori, ed ancora, in successione, dei campi del Tennis Parioli e dello Stadio-Cinodromo della Rondinella. Per rispetto alla verità storica, sempre agli inizi del secolo, è giusto ricordare che videro realizzazione il Campo di calcio della Romulea, nonché gli impianti della Società Podistica Lazio. Nel 1927 lo stesso Stadio Nazionale fu ampliato ed assunse la denominazione di Stadio del Partito Nazionale Fascista. In quegli anni insomma la zona flaminia, forse per le sue caratteristiche ambientali, e soprattutto per la vicinanza al Tevere, fu ritenuta un polo importan149


te per gli insediamenti sportivi. Questo interesse si può ancor meglio evincere dalle numerose ipotesi progettuali che si susseguirono negli anni a venire: per tutte, citiamo le due edizioni della brochure titolate “Roma Olimpica”, redatte dal CONI dapprima per l’ipotesi Giochi del ’40, e poi poco dopo, allorquando le ambizioni “a cinque cerchi, sotto l’ombra del Colosseo” (anch’esse insolute) furono posticipate al quadriennio successivo. Da quelle carte infatti, tra i vari impianti, risalta l’ipotesi della costruzione, di poco vicina allo Stadio, di un Palazzo dello Sport (…doveva essere capace di ospitare 20.000 spettatori, e costituire palcoscenico privilegiato per hockey, tennis, pallacanestro, atletica pesante, pugilato e scherma), nonché di un Velodromo Olimpico, pensato – citiamo le parole testuali della brochure - come “l’esatta riproduzione della famosa pista del Vigorelli di Milano”. Ma i contenuti di quelle due brochure rimasero solo nel mondo della fantasia.

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Capitolo 4 LO STADIO NAZIONALE

È l’impianto più significativo dell’area Flaminia nella prima metà del Novecento. La sua storia si articola in tre specifiche fasi: quella iniziale dal 1911 fino a metà degli anni 20; la seconda, quando nel 1927 fu ristrutturato e ribattezzato Stadio del Partito Nazionale Fascista; l’ultima, dall’immediato dopoguerra fino al 1953, allorquando fu inaugurato il nuovo Stadio Olimpico. Lo Stadio Nazionale ebbe convinto promotore e sostenitore Luigi Lucchini, presidente dell’Istituto Nazionale per l’Educazione Fisica. Il progetto e la realizzazione dell’impianto porta invece la firma di Marcello Piacentini, mentre la ditta costruttrice fu la V. Visentini & figlio di Torino. L’area ove fu costruito era di proprietà comunale, e fu scelta anche perché, pur decentrata, si trovava a poco più di un chilometro da Piazza del Popolo, cioè nel cuore della città. Per la struttura del progetto Piacentini si ispirò alla forma ad U allungata dello Stadio Olimpico di Atene, mentre le decorazioni esterne che ornavano l’impianto presentavano un carattere tipicamente romano. Imponente l’ingresso, formato ai lati da due enormi corpi laterali che reggevano le colossali statue sedute rappresentanti la Forza e la Civiltà. All’interno, in posizione allineata, spiccavano quattro colonne, congiunte tra loro per mezzo di corone e festoni di bronzo, sulle quali facevano bella vista le statue di bronzo simboleggianti le vittorie sportive di Terra, Acqua, Aria e Fuoco. L’area totale occupata dallo Stadio era di circa 32.000 metri quadrati, sviluppati in circa 220mt in lunghezza e 120mt in larghezza. Conformemente al suo disegno ad U, furono realizzate due lunghe gradinate raccordate da un lato a semicerchio. L’altro versante invece rimaneva aperto e accoglieva due entrate per il pubblico, oltre l’ingresso degli atleti o dei protagonisti delle manifestazioni ospitate. 151


All’interno dello Stadio (cioè l’area sportiva vera e propria) fu installata una pista di atletica di 400 metri. Sotto gli spalti, strutturati su due piani, si realizzarono locali destinati alla sede dell’Istituto Nazionale per l’Educazione Fisica, nonché altri locali quali palestre, bagni, refettori, uffici, sale di lettura, punti di ristoro e foresterie per l’alloggio degli atleti. Dalla sua inaugurazione, avvenuta in pompa magna alla presenza dei Sovrani d’Italia, e fino a tutto il 1926, lo Stadio Nazionale fu esclusivamente destinato ad eventi di atletica leggera, e non ospitò mai gare di calcio di livello internazionale. Lo Stadio Nazionale comunque si proponeva come manufatto imponente e lo sport romano ne era orgoglioso: però, certamente per errori di progettazione ma anche per probabili limiti di costruzione, presto cominciò ad evidenziare criticità con preoccupanti lesioni interne. Ciò indusse l’ormai consolidato regime guidato da Mussolini, ben consapevole del potere simbolico “di dominio e di potenza” che una simile struttura avrebbe potuto esercitare sull’opinione pubblica, decise, su diretta iniziativa di Augusto Turati (allora segretario del Partito Fascista), di dar vita ad una ristrutturazione globale dell’impianto. I lavori si realizzarono in pochi mesi e si conclusero nel 1927. Per dare maggiore significato politico all’opera, si decise di modificargli il nome in Stadio del Partito Nazionale Fascista. Diversamente dalla versione originale, la nuova tribuna centrale fu dotata di una tettoia a struttura in cemento armato di 75 metri per 20, ricoperta di legno ed eternit, sotto la quale furono collocati ben7.000 posti. Nel lato di ingresso venne realizzata ex novo una piscina olimpionica all’aperto (vasca di 50mt, larga 18mt) con tanto di spalti per il pubblico, spogliatoi e servizi per gli atleti, nonché trampolini per i tuffi, compresa la spettacolare piattaforma di 10 metri. All’interno dell’impianto furono realizzati una seconda vasca coperta, numerose palestre, alloggi vari, nonché gli uffici della Direzione Generale del CONI e delle Federazioni Sportive. Furono anche razionalizzati gli spazi sotto la curva, destinandoli a vero e proprio albergo di tre piani, con ben 70 androni dormitorio, capaci complessivamente di accogliere 600 persone. Ovviamente fu dedicata molta attenzione al campo di calcio vero e proprio (…l’interesse verso questa disciplina stava crescendo in modo esponenziale, sia in Italia che all’estero), terreno di gioco che fu rimodulato secondo le regole internazionali dell’epoca (110mt x 60 mt), in modo da consentire lo svolgimento di partite internazionali. Fu adeguata alle normative del CIO anche la pista di atletica leggera, così che la sua forma originaria a ferro di cavallo si trasformò nella forma classica “anulare”, tramite la costruzione di un secondo raccordo 152


semicircolare. Aveva quattro corsie in curva e cinque sul rettilineo, e su di essa, nel 1932, fu posizionata provvisoriamente anche una pista ciclistica in legno, che fu sede di partenza, di transito e di arrivo dei Campionati del Mondo di Ciclismo su Strada. Fu ritoccato anche l’ingresso dello Stadio, sostituito da una facciata ancor più classicheggiante di quella originaria, composto da tre fronti alti e curvilinei, formalmente separati da quattro colonne sulle quali sovrastavano imponenti gruppi bronzei dello scultore Amleto Cataldi, che raffiguravano il Calcio, la Corsa, la Lotta e il Pugilato (…per la cronaca, queste statue si possono ammirare ancor oggi nei giardini intersecanti le abitazioni del Villaggio Olimpico). L’uscita del pubblico dagli spalti era assicurata da una serie di canalizzazioni comunicanti direttamente con l’esterno, secondo il sempre efficiente modello adottato negli impianti dell’antica Roma. Per festeggiare la nuova ristrutturazione il 25 marzo 1928 si organizzò un evento calcistico di primissima qualità: l’incontro amichevole tra le nazionali d’ Italia e di Ungheria, con vittoria degli azzurri per 4 a 3. Tre anni dopo lo Stadio divenne il campo di gioco della Lazio e la “prima” biancoazzurra fu il derby contro la Roma, partita disputata il 24 maggio 1931 e terminata con il risultato di parità, 2 a 2. Quel pomeriggio però fu caratterizzato da una rissa finale (…certi “conflitti” tra le due squadre capitoline hanno origini lontane) che comportò la squalifica di un turno sia alla Lazio che al Club Giallorosso, squadra che, lo ricordiamo, giocava invece presso il glorioso (nella tradizione romanista, ma anche popolana) Campo Testaccio. Il momento sportivo più eclatante dello Stadio si visse in occasione dei Mondiali di Calcio 1934, ed in tale occasione si rese necessario ampliare la capienza dell’impianto con interventi straordinari, quali una grande tribuna nello spazio occupato dalla piscina, e con piani inclinati per posti in piedi, situati dietro le porte del campo di gioco e sui rettilinei della pista podistica. Sempre per dovere di “cronaca storica”, ricordiamo che lo Stadio fu anche sede, il 22 aprile 1935, del primo incontro assoluto tra le Nazionali di Rugby di Italia e Francia, che vide (…ed anche questa, ahimè, non è cosa nuova) i transalpini vincere per 44 a 6. Dal 1940 lo Stadio divenne teatro di gioco anche della A.S. Roma, e proprio su quel campo i giallorossi vinsero il loro primo scudetto nel campionato 1941-1942. Poi con la guerra, ed i suoi sviluppi nefasti, l’impianto perse in modo definitivo quello status di “potenza vincente” tanto idolatrato dal fascismo. Con la liberazione di Roma nel 1944, fu requisito dalle truppe alleate, 153


mentre le attività calcistiche di Roma e Lazio trovarono spazio rispettivamente la prima al Moto-Velodromo Appio, l’altra nel vicino Campo della Rondinella. La terza fase dello Stadio Nazionale (ndr: dopo la Liberazione di Roma, dopo la fine della guerra e con la proclamazione della Repubblica, l’impianto finalmente riprese la sua denominazione originaria) fu quella della decadenza. Dal 1946 ricominciò ad ospitare le partite delle due squadre capitoline di serie A, ma poi col passare degli anni rilevò appieno i suoi limiti funzionali derivanti dalla sua planimetria ad U, dalla conseguente scarsa curva di visibilità per gran parte dei settori del pubblico, nonché dalle tante trasformazioni apportate durante il periodo bellico e poi da parte delle Forze Alleate. Ma la criticità più pesante era costituita dalla limitata capienza delle tribune, rispetto alla crescente domanda degli spettatori. Infatti quando riprese l’attività regolare del Campionato di calcio, i posti nelle tribune e nelle curve, durante le partite, erano sempre stracolmi di tifosi, oltre ogni limite di sicurezza e di agibilità. Questo fenomeno aveva un suo fondamento sociologico e psicologico ben preciso: infatti, a prescindere che dopo il 1945 la Capitale aveva visto forzatamente triplicato il numero dei suoi abitanti (ndr: per effetto della guerra e delle sue distruzioni, ci fu un massiccio insediamento di sfollati provenienti dai paesi dell’entroterra), era pressante nelle persone, di ogni ceto, status e cultura, la necessità di “ricominciare”. Si cercavano nuovi stimoli di divertimento e di svago, per vivere anche psicologicamente “la voglia di rinascere”, e cercare di gettarsi alle spalle i tanti traumi subiti negli anni precedenti. Lo sport, ed in particolare il calcio col suo tifo viscerale che sapeva suscitare, offrirono un supporto essenziale in questo senso: l’andare allo Stadio la domenica era diventato appuntamento irrinunciabile per tantissime persone. Concludiamo infine il nostro racconto, ricordando una curiosità: dopo la tragedia aerea di Superga del 4 maggio del 1949, nella quale perirono i giocatori del Torino (la squadra più forte in assoluto in quei tempi), il mondo del calcio, i tifosi, i giornali, vollero chiamare l’impianto “Stadio Torino”. Eppure questa spontanea e sentita volontà popolare non fu mai avallata ed ufficializzata dal Comune di Roma, che dello Stadio era diventato proprietario. Il 1953 mise la parola fine alla lunga ed avventurosa storia di questo autentico totem dell’impiantistica sportiva della Capitale, allorquando entrò in funzione il nuovo Stadio Olimpico, che tra l’altro fu eletto subito da Roma e Lazio come loro campo di gara. La demolizione arrivò nel luglio 1957, e subito dopo, nella stessa area, partirono i lavori di costruzione dello Stadio Flaminio, la cui attività iniziò nel 1959. Ma quella del Flaminio è tutt’altra storia, an154


ch’essa sì gloriosa, perché fu teatro olimpico di Roma 60, ma ahimè molto più tortuosa, che fa presagire, almeno ad oggi, un “finale” avvilente ed inglorioso. Ma di questo impianto, erede del grande Stadio Nazionale, parleremo in un altro numero della Rivista. Infine è giusto ricordare che il 31 agosto del 1932 lo Stadio Nazionale fu sede di partenza ed arrivo dei Campionati del Mondo di Ciclismo su Strada, con in palio due titoli: la prova in linea Uomini Dilettanti, di 137 km, e la prova in linea Uomini Professionisti, di 206,100 km. Ambedue le prove segnarono un autentico trionfo dell’Italia, con la vittoria di Alfredo Binda ed il secondo posto di Remo Bertoni tra i prof, e la vittoria di Giuseppe Martano nella categoria inferiore.

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Capitolo 5 VILLA GLORI

Fu uno degli impianti più amati della Capitale per tutta la prima metà del X° secolo, anche perché oltre al suo ruolo prettamente sportivo, ne ebbe un altro, importante e necessario per ogni comunità: quello di essere uno dei più frequentati luoghi di incontro di tante persone, di ogni ceto e condizione sociale. La costruzione dell’Ippodromo di Villa Glori iniziò nella primavera del 1925, nell’area compresa tra la via Flaminia e l’estremità del viale dei Monti Parioli, sotto la rupe dell’omonima Villa. La sua finalizzazione sportiva era specificatamente rivolta per le corse al trotto. Fu inaugurato l’8 dicembre dello stesso anno, in pompa magna, presenti i più importanti gerarchi fascisti, nonché la “crema” della nobiltà e dell’alta borghesia della Capitale. Non fu solo un centro per l’equitazione (…nel frattempo il Campo Parioli per il galoppo era stato smantellato e la sua attività trasferita in zona Capannelle), ma anche un polo di mondanità e di politica. La pista misurava 2000 metri, con varianti interne che permettevano percorsi ridotti fino ad 800mt. La tribuna per gli spettatori era collocata nella zona sottostante le rupi della villa. Presto divenne teatro di eventi ippici importanti, ospitando, già l’anno successivo, il Derby Italiano (emblema nell’ambiente degli ippodromi della competizione più importante), che per l’occasione assunse il nome di “Derby Reale”, con una dotazione di premi da capogiro, ben centomila lire! Da quel momento fu un crescendo di manifestazioni sempre più importanti, ed a testimoniarlo, anche sul piano formale, è la pomposità delle denominazioni delle stesse competizioni: il top fu raggiunto nel 1935, allorquando il Derby assunse il nome di “Gran Premio del Re e Imperatore”. Sul piano dei risultati propriamente sportivi solo dal 1935 cominciarono ad evidenziarsi performance di rilievo, e tra queste fece spicco 157


quella del purosangue Aulo Gellio, guidato e allenato da Dino Fabbrucci, che vinse il Derby di quell’anno alla media di 1’23”4/10 sui 2400 metri, un tempo certamente modesto per i giorni d’oggi, ma che resistette per ben 17 anni. Il pubblico romano si affezionò sempre di più a questo impianto, così come anche gli intellettuali dell’epoca, scrittori, commediografi, attori e registi, che ne fecero luogo d’incontro mondano e culturale. Fu ovviamente anche vetrina per l’immagine del regime fascista, che non mancò di utilizzare l’impianto anche per dar vita a diverse rassegne militari. In particolare, su volontà precisa del Duce, fu designato come sede della festa annuale della Polizia. Nel corso degli anni struttura e pista furono oggetto costante di lavori di miglioria, ed addirittura nel 1938 fu rifatto totalmente anche l’anello. Con la guerra, e nonostante le difficoltà emergenti, riuscì egualmente ad ospitare ancora per tre anni corse importanti, l’ultima delle quali, prima del forzato e drammatico stop per l’aggravarsi degli eventi politici e militari, fu il Derby del 1943, che fu chiamato “Nastro Azzurro”, vinto da cavallo leggendario, Mistero, guidato dal celebre fantino Ugo Bottoni. L’ippodromo Villa Glori riprese la sua attività nel 1947 ed il 29 giugno, festività dei santi patroni di Roma, Pietro e Paolo, ospitò di nuovo il Derby. Sempre in quell’anno, il 18 ottobre, ebbe luogo la sfilata delle Forze di Polizia. L’Italia era diventata una Repubblica, e alla manifestazione, per mettersi idealmente alle spalle tutte le passate rassegne fasciste, assistette il Capo dello Stato Enrico De Nicola. L’ippodromo, nonostante che la zona fosse diventata un agglomerato di misere baracche, rifugio di sfollati e di nomadi, immersa in un disagio sociale e di povertà molto evidente, restò in funzione fino al dicembre del 1957, allorquando fu dismesso ed abbattuto per lasciare spazio alla costruzione del Villaggio Olimpico per i Giochi del 1960. Le attività di trotto furono dirottate nel nuovo impianto di Tor di Valle, che fu inaugurato il 26 dicembre del 1959.

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Capitolo 6 ZONA A VOCAZIONE IPPICA

La presenza di un impianto sportivo in una determinata zona (sia esso un paese, un comprensorio extraurbano, o anche uno spazio più circoscritto, come può esserlo un quartiere di una città) spesso costituisce un elemento trainante perché si sviluppi tra la popolazione residente voglia di partecipazione, anche attiva, nei riguardi di quella o quelle discipline sportive cui è stato finalizzato l’impianto medesimo. Parliamo ancora della Zona Flaminia e del mondo sportivo dei cavalli, ove è “tangibile” ancor oggi la vocazione sportiva della zona. Nel 1908 fu realizzato il Campo Corse Parioli, destinato al galoppo. Poi nel 1925, sotto la rupe di Villa Glori, tra la via Flaminia e l’estremità del viale dei Monti Parioli (…l’area dell’odierno Auditorium) venne costruito l’Ippodromo, che restò in funzione fino alla fine degli anni ’50. Negli ultimi anni di vita del Villa Glori il sodalizio Roma Polo Club cercò di svolgere una certa attività, ma poi dovette alzare bandiera bianca per l’inagibilità della struttura, con le tribune abbandonate diventate rifugio dei senza tetto del vicino Campo Parioli. Oggi comunque in questa zona, nonostante le vicissitudini sociali e le significative trasformazioni effettuate per le Olimpiadi del ‘60 e con la realizzazione del Parco della Musica, c’è ancora, pur se di modeste dimensioni, un importante insediamento dedicato all’equitazione: il maneggio della SS Lazio Equitazione “Villa Glori”, sito in via Maresciallo Pilsudski, sotto le pendici della omonima villa. Infine, per concludere il discorso dei cavalli, ma ritornando nell’altra parte del Tevere, cioè quella sotto le pendici di Monte Mario, è doveroso ricordare che nel 1928 lì nacque la più antica scuola d’equitazione della Città Eterna, la Società Ippica Romana, meglio conosciuta come “la Farnesina”. Gli impianti furono ricavati nel 1928 da una antica fornace ai piedi dei Monti 159


della Farnesina. Ed è lì, in quelle scuderie e su quei campi che sono nati e si sono plasmati le leggende dell’equitazione nazionale, come Piero e Raimondo d’Inzeo, che impararono a cavalcare sotto la severissima guida del padre, il maresciallo Carlo Costante D’Inzeo. Indubbiamente la “vocazione ippica” del quartiere Flaminio fu rafforzata ancor più da simile prestigiosa vicinanza

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PARTE QUINTA



UNA BREVE PANORAMICA SUGLI IMPIANTI DI ROMA 1960

Nota introduttiva Diversamente da quanto abbiamo riportato nelle pagine precedenti, ove c’è gran parte di “Testimonial” (in modo diretto, o anche solo perché riferitoci direttamente da chi ha vissuto certe esperienze, allo scopo di mantenere vive nel tempo certe informazioni per non farle soffocare nell’oblio), in quest’ultimo segmento in questo nostro modesto volume vogliamo intrattenerci sulle “memorabilia”, riguardo gli impianti principali che furono teatro dei Giochi Olimpici romani. Sono note esclusivamente tecniche, recuperate da informazioni, note bibliografiche e testi preesistenti di tipo documentale, perché ovviamente per questioni meramente temporali sono rimasti in pochi coloro che hanno vissuto in maniera diretta l’esperienza olimpica romana. Però è indubbio che tutti noi dipendenti CONI abbiamo un legame intenso e particolare con questi luoghi, avendoci passato tutti gli anni della nostra vita lavorativa nell’Ente. Per esclusive finalità storiche e per garantire l’autenticità delle importanti testimonianze riportate la fonte prima di queste schede è il più volte citato Rapporto Ufficiale, volume primo sulle olimpiadi di Roma. Precisiamo che abbiamo volutamente riportato il testo originale (ovviamente da noi virgolettato), che spesso utilizza una terminologia al giorno d’oggi desueta, per evidenziare ancor meglio quante originali e funzionali soluzioni furono adottate pur non disponendo delle attuali avanzatissime tecnologie. Al di là della curiosità, vi preghiamo di considerare queste pagine finali un doveroso omaggio all’evento più bello, più ricco di emozioni e di sentimenti, più amato nella memoria dello sport italiano.

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Capitolo 1 STADIO OLIMPICO

Lo stadio Olimpico fu costruito con il massimo delle possibilità funzionali sullo schema dello Stadio dei Cipressi, che fu progettato dall’architetto Moretti. Il suo progetto invece porta la firma del professor Carlo Locatelli e dell’architetto Annibale Vitellozzi. “L’Olimpico si erge su un terreno di 90.000 m² e ne copre circa 33.500. Il pubblico accede allo stadio attraverso 10 cancelli esterni e può raggiungere i posti destinati a sedere o in piedi attraverso 59 “vomitatoi”. Il pubblico può sfollare in un tempo massimo di 11 minuti. Il campo di gioco e la pista sono separati dal pubblico mediante un largo fossato di 2 m, profondo 1 m e 90, per uno sviluppo lineare di 507 m. Il campo erboso, la pista e le altre istallazioni per l’atletica leggera sono dotati di uno speciale impianto di drenaggio che potendo funzionare anche per la Sub irrigazione, può conferire al terreno e alla pista stesse, durante la stagione calda, il grado di umidità desiderata. Potenti e moderne apparecchiature ne consentono l’innaffiatura in brevissimo tempo. Le gradinate hanno lo sviluppo complessivo di circa km 30 e sono larghe 80 cm ed alte 40 cm di media, intervallate da corridori, così che ne risulta un incavo molto aperto che consente al pubblico ottime condizioni di visibilità. Dal lato Monte Mario l’edificio è coronato da una struttura in ferro larga metri 80, rivestita in alluminio-lega e cristallo, contenente 40 cabine per telecronisti. La stampa dispone di un salone, diversi salottini, e di numerosi locali accessori, più 54 cabine telefoniche per comunicazioni interurbane e con l’estero; dispone inoltre di una sala con apparecchi telescriventi e telefono otto e di un ufficio postelegrafonico. 165


Durante le olimpiadi i 572 posti normalmente riservati ai giornalisti (dei quali 294 sono al coperto) furono portati a 1126 e analogamente furono ampliati tutti gli altri servizi, con particolare adeguamento di quelli telefonici, telegrafici e radiofonici. Al piano terreno, in corrispondenza con i quattro ingressi al campo, sono sistemati quattro gruppi di spogliatoi con docce e servizi igienici utilizzati, durante i giochi dagli ufficiali di gara. Uno speciale impianto di altoparlanti, installato nel fosso intorno all’anello della pista, informa il pubblico con notizie o risultati con diffusione dal basso verso l’alto. Una centrale termica fornita di cinque caldaie, per complessive 1.200.000 cal, provvede al riscaldamento dei locali e alla erogazione dell’acqua calda per i diversi servizi. L’impianto elettrico per l’illuminazione e la forza motrice alla potenza complessiva di 375.000 W e dispone di una centrale principale di smistamento e di 11 sottosezioni. Lo stadio inoltre dispone, in caso di necessità, di un impianto di luce autonomo. Oltre la centrale elettrica vi è quella telefonica e quella radio, installate nel corpo della tribuna di Monte Mario. Le quattro torri per l’illuminazione notturna danno circa 250 lux sul terreno di gioco per gli incontri notturni. La costruzione dell’Olimpico ha comportato una spesa complessiva di 3.400.000.000 di lire.”

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Capitolo 2 STADIO FLAMINIO

Lo stadio Flaminio copre la stessa area dell’antico stadio Torino. Come si legge dal rapporto “… Avendo ormai terminato il suo ruolo, il vecchio impianto lasciò il posto ad un’opera ultra moderna. Rimarranno ricordo alcune pagine di storia sportiva, vissute entro l’alta cortina del vecchio stadio, già sede anche del coni.” Il progetto dello stadio Flaminio di cui andiamo a ricordare brevemente le caratteristiche tecniche, fu realizzato dagli architetti Pierluigi Nervi ed Antonio Nervi. “Con i suoi impianti moderni, con i suoi servizi per il pubblico è la stampa, il nuovo stadio Flaminio risponde a tutte le necessità che richiede un complesso del genere, la cui costruzione seguì immediatamente l’opera di demolizione iniziata il 1 luglio 1957. Il Flaminio fu ufficialmente inaugurato il 18 marzo 1959 ed ebbe battesimo sportivo all’indomani della inaugurazione con la partita di calcio tra le rappresentative dilettanti d’Italia e di Olanda.… Il nuovo stadio ricopre - per ragioni urbanistiche - la stessa superficie del precedente. Nei limiti disponibili si è riusciti, portando le gradinate arditamente su uno sbalzo di metri sei, ad aumentare il numero dei posti. Infatti Flaminio può raggiungere una capienza di 42.000 posti, di cui 8000 coperti. Opportuni selezionatori esterni incanalano l’entrata e l’uscita del pubblico. In tutti i settori il pubblico dispone di bar e di comodi servizi. Ampi spogliatoi per le squadre di calcio, muniti di docce, di bagni, di sale di massaggio, una sala di consultazione medica, sono disposti sotto la tribuna. I giocatori accedono al campo attraverso un passaggio sotterraneo. Benché lo stadio sia riservato al gioco del calcio, numerosi impianti destinati all’allenamento sono situati sotto la tribuna e vi si accede attraverso entrate diverse da quelle riservate al pubblico durante le gare. Questi impianti comprendono: una piscina coperta e riscaldata di 25m 167


× 10 m; una sala di scherma e due sale più piccole per la teoria,; un gruppo di due palestre per la lotta e il sollevamento pesi; una palestra per il pugilato ed una per la ginnastica. Il Flaminio dispone di 114 posti di lavoro per i giornalisti e di 12 cabine per i radiocronisti collocate a sbalzo sotto la pensilina della tribuna coperta; una sala stampa con apposite cabine telefoniche ed una sala per telescriventi: il numero dei posti stampa e telefonici venne opportunamente levato durante giochi. L’impianto di illuminazione allestito per le care notturne è una delle attrezzature più moderne razionali: è dotato di 240 proiettori collocati su quattro torri metalliche; ogni torre dispone di 60 proiettori distribuiti su quattro file di 15 ognuna ed un’altezza da metri 42 a metri 46,50… Lo stadio Flaminio ha richiesto 80.000 giornate lavorative ed è stato contenuto nel previsto costo di 900 milioni di lire”.

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Capitolo 3 PALAZZETTO DELLO SPORT

Fu il primo impianto realizzato nel piano delle costruzioni per i giochi della 17ª Olimpiade e può considerarsi come prototipo di palazzo dello sport di media grandezza e di tipo economico. In base a tale concetto e allo scopo di avere una gestione che avesse consentito un largo uso dell’impianto per manifestazioni propagandistiche, le istallazioni tecniche degli impianti accessori furono ridotti al numero strettamente necessario e tutte le rifiniture interne dei esterne furono di tipo razionale particolarmente economico. “Costruito secondo il piano generale dell’architetto Annibale Vitellozzi, e per le parti in cemento armato secondo il progetto dell’ingegner Pierluigi nervi, quest’opera è destinata a quasi tutte le manifestazioni sportive che si svolgono al coperto. Nell’anello perimetrale, oltre ai servizi per il pubblico, quali gli impianti igienici, i bar e di pronto soccorso, sono allocati quattro gruppi di spogliatoi per cento atleti con ingresso indipendente, uno spogliatoio per giudici di gara, un centro medico sportivo, un ufficio per la direzione e una saletta stampa con 12 telefoni; vi trovano sede anche due ampi magazzini ed altri locali minori. Nel piano seminterrato sono installati impianti per il riscaldamento di raffreddamento per il condizionamento dell’aria. L’illuminazione della sala stata distribuita luce indiretta mediante lampade ad incandescenza allocate su 18 calotte metalliche sostenute da tiranti in acciaio, mentre l’illuminazione del campo è assicurata da due file di proiettori posti in alto al centro della calotta sferica e regolabili secondo il genere della manifestazione. La calotta contiene anche gli aspiratori per il rinnovo dell’aria e l’impianto degli altoparlanti, mentre altri altoparlanti che servono all’appello degli atleti sono posti nei vari spogliatoi. Dei cartelli di segnalazione elettrica muniti di 169


cronometri sincronizzati con quelli degli arbitri di gara sono stati istallati per le partite di pallacanestro. Gli stessi cartelli, leggermente modificati, possono essere utilizzati per il tennis e gli altri sport. Durante le riunioni di pugilato, così come per quelle di lotta, un cronometro speciale posto al di sopra del ring e ben visibile da tutti gli spettatori indica il tempo di ogni ripresa. La disposizione dei posti di platea per il pugilato, la pallacanestro, il tennis e la lotta, è stata oggetto di uno studio particolare; infatti l’impianto ha una capienza di 3500 posti per le manifestazioni di pallacanestro e di 5600 posti per quelle di pugilato, di lotta, eccetera. All’esterno del fabbricato, le zone tra i pilastri di sostegno della copertura sono sistemate a giardino, mentre un anello stradale di metri 78 di diametro circonda l’impianto per assicurare il miglior smistamento del pubblico. L’edificio, sormontato da una calotta sferica costituita da 1620 elementi prefabbricati in cemento armato per la cui messa in opera si sono dovuti utilizzare 1300 q di ferro, dei quali 550 per la sola cupola, e di 9600 q di cemento, copre una superficie di mq 4776, con una cubatura totale di metri cubi 40.200. La costruzione del palazzetto dello sport, ad opera della società anonima per costruzioni ingegneri Nervi e Bartoli, iniziata il 26 luglio 1956 e conclusa il 15 settembre 1957, richiese 28.750 giornate di lavoro, per l’importo complessivo di 263 milioni di lire, ivi comprese le spese di arredamento e attrezzature sportive”.

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Capitolo 4 STADIO DEL NUOTO

Realizzato negli anni 1930 all’interno dell’allora Foro Mussolini su progetto dell’architetto ed ingegnere Costantino Costantini, incarnò perfettamente i dettami del monumentalismo, seppure nell’opera vi siano chiari elementi di ricerca della funzione razionalista. Dopo la seconda guerra mondiale fu ampliato, in occasione dei giochi olimpici di Roma 1960, attraverso la costruzione dello Stadio olimpico del nuoto, su progetto degli architetti Enrico Del Debbio ed Annibale Vitellozzi e dagli ingegneri Musumeci e Morandi. “… Il complesso è diviso in due grandi zone: la prima comprende gli impianti di gara con i relativi servizi e le gradinate per il pubblico e la seconda gli impianti relativi all’insegnamento del nodo, con annesse vasche per bambini e per i non nuotatori. Le vasche olimpiche sono ispezionabili perimetrale mente con aperture a cristalli e con illuminazione subacquea. Con particolari accorgimenti tecnici la temperatura dell’acqua è mantenuta tra 22° e 24° centigradi termici. Le gradinate normalmente possono ospitare 8000 spettatori, ma durante il periodo dei giochi di impianto raggiunse una capienza di 20.000 posti mediante l’apporto di gradinate supplementari. I blocchi di partenza al piano della vasca portano incamerate le prese per l’innesto dei cronometri elettrici ed una speciale presa per inserimento di un apparecchio ad orologeria conta vasche per le gare lunghe. Il complesso è stato dotato di comodi spogliatoi che dispongono, oltre che dei comuni servizi, di alcuni box di riposo riservati agli atleti. Nella parte terminale delle vasche sono state ricavate sale per la stampa, i servizi telefonico e telegrafico, apposite istallazioni per i radiocronisti, nonché apparecchiature per 171


la trasmissione delle tutte le foto e per le riprese televisive, uffici per i cronometri visti, per i direttori e giudici di gara. In un edificio costruito a cavallo tra le vasche olimpiche quelle riservate per la scuola nuoto, sono stati allestiti due bar tavola calda, uno dei quali con ampio spazio scoperto è riservato ai nuotatori mentre l’altro, nettamente separato dal primo, riservato al pubblico che può inoltre accedere ad un grande terrazzo panoramico. L’impianto è munito di un ampio solarium di 150 spogliatoi a rotazione ed è normalmente aperto al pubblico, fatta eccezione nei giorni in cui hanno luogo manifestazioni sportive e nelle ore riservate agli allenamenti. La sua capacità ricettiva è di circa 3000 bagnanti al giorno. Un ampio cunicolo sotterraneo unisce il complesso alla preesistente piscina coperta, che durante i giochi fu riservata agli atleti per tenersi movimento immediatamente prima delle gare. La realizzazione dello stadio del nuoto richiese notevoli quantitativi di materiale, del quale riportiamo alcuni elementi di maggior rilievo: 41.000 q di cemento; 10.000 q di ferro; lastre in travertino per 17.000 m²; cristalli per 2000 m² impermeabilizzazioni per 20.000 m²; movimenti di terra per 200.000 m².… I lavori furono iniziati nell’autunno del 1957 il complesso fu inaugurato nella primavera del 1960 con un incontro internazionale di nuoto Italia-Inghilterra-Finlandia.”

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Capitolo 5 LO STADIO DEI MARMI

Riguardo il profilo strutturale abbiamo già parlato di questo “particolare” stadio nella quarta parte del libro, allorquando si è trattato della storia della zona sportiva del Foro Italico nel suo complesso. Qui sotto quindi, sempre seguendo la fonte originaria del Rapporto, riportiamo esclusivamente gli adattamenti che furono apportati per renderlo attivo nel contesto globale della organizzazione dei Giochi. “… In occasione dei giochi della 17ª Olimpiade, il sistema tecnico sportivo fu sensibilmente modificato. Il campo di gara subì un rifacimento totale. Le soluzioni resero il campo del tutto efficiente. Le pedane la pista di metri 400 di sviluppo, sei corsie, furono ricostruite infatti con il concetto di omogeneizzare i manti superficiali e renderli così più adatti e diversi usi cui vengono sottoposti nelle diverse discipline atletiche. Pertanto le tradizionali forme di pedana e piste furono sostituite da grandi spiazzi in tennisolite, permettendo un più razionale utilizzo delle istallazioni. Durante le olimpiadi, il campo erboso dello stadio dei marmi fu utilizzato per le eliminatorie del torneo di hockey su prato e per il pre-riscaldamento degli atleti in attesa di essere chiamati in gara allo Stadio olimpico. Lo spostamento in entrata e in uscita con lo stadio Olimpico avveniva attraverso un sottopassaggio vasto e comodo; una serie di collegamenti elettrici e telefonici fu istallata per le chiamate in campo degli atleti. I servizi, gli spogliatoi, i magazzini, sono installati nei due padiglioni sorti a ciascun lato dell’entrata. Sotto le gradinate sono stati costruiti 36 spogliatoi che, dotati di docce e di servizi igienici, hanno ospitato gara per gara, tutti partecipanti alle gare olimpiche di atletica leggera.

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Capitolo 6 POLIGONI DI TIRO

Questo impianto sorse sulla stessa area dell’ex poligono Umberto I, in viale Lazio, di cui resta soltanto il fabbricato riservato ai servizi che per le olimpiadi fu ovviamente rimodernato. “… Costruito secondo i più moderni dettami della tecnica, su progetto dell’architetto Maurizio Clerici, il poligono comprende due distinti impianti di metri 80 × 36. Uno dei due settori è riservato alle gare di tiro da metri 50 e dispone di una tettoia di metri 10 di luce, lunga metri 88, per complessive 40 linee di tiro. Tre enormi muri in cemento armato rivestiti di legno e un muro di fondo alto metri 6,50 e largo metri 1,50 ne assicurano la necessaria protezione. Fu realizzato un sistema di controllo-bersagli comandato direttamente dal posto del tiratore per mezzo di una serie di tiranti azionati da un motorino elettrico su cui scorrono i bersagli, montati su un apposito carrello. Il sistema di riportare meccanicamente il bersaglio tiratore fu di grande utilità, specialmente durante gli allenamenti, per la possibilità data ad ogni tiratore di poter controllare colpo per colpo; mentre in gara esso permise un rapido svolgimento dei tiri ed un risparmio considerevole di tempo e di personale addetto e bersagli. Il tiro a metri 25 fu realizzato alle spalle del primo muro para-palle e comprende due zone, una per la pistola libera e una per il tiro alla pistola del pentathlon. Anche in questo poligono i bersagli furono azionati per mezzo di un dispositivo elettrico. Per le gare di tiro con fucile a metri 300 si ricorse alla costruzione di un poligono a Cesano, a circa 25 km dal centro sportivo del foro italico. Il poligono di Cesano della scuola italiana di fanteria fu sottoposto a particolari opere, tra cui l’allestimento di una tettoia per 58 linee di tiro, nonché 175


la costruzione di una fossa per i bersagli mobili. L’impianto fu dotato di tutti i servizi utili per legare necessari per gli atleti per il pubblico, nonché degli indispensabili collegamenti. Le gare di tiro al piattello si svolsero invece nel campo di Tiro a volo Lazio, situato in via Eugenio Vajana, nelle immediate adiacenze del piazzale delle Muse, circa 1 km dal villaggio olimpico. L’impianto completamente ripristinato dotato delle più moderne macchine di lancio, ricopre un’area di poco superiore a mq 5005 e dispone di uno spazio riservato al pubblico con una possibilità di ricezione per circa 2000 persone, parte delle quali sistemate su un’ampia terrazza ricavata sopra l’edificio sociale.

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Capitolo 7 IL CENTRO OLIMPICO DELL’EUR

L’EUR è un quartiere che sembra ancora oggi in perenne trasformazione, un destino, se non addirittura una “vera e propria vocazione” che ebbe inizio in tempi lontani, verso la metà degli anni 30, allorquando si prospettò per Roma la possibilità di ospitare ed organizzare due eventi di dimensione mondiale: l’Esposizione Universale 1942 (il cui acronimo fu successivamente utilizzato per dare il nome al quartiere) e le Olimpiadi 1944, appuntamenti che come si sa non ebbero per il contemporaneo, tragico secondo conflitto mondiale. Le ambiziose ma non realizzate prospettive furono però la scintilla perché quel territorio divenisse luogo di attenzione (…espansiva ma anche speculativa, come si potrà vedere nel corso degli anni) per una progettazione urbanistica molto marcata. La scintilla di questo rinnovato interesse per lo sviluppo dell’EUR, scaturì proprio nel contesto del progetto olimpico di Roma 1960: la zona fu così scelta per la costruzione di importanti impianti, quali il Palazzo dello Sport, il Velodromo Olimpico, la Piscina delle Rose, il Centro Sportivo delle Tre Fontane, lo Stadio degli Eucalipti. È interessante notare come le nuove proposte architettoniche si proposero in totale antitesi rispetto ai concetti (anche ideologici) delle costruzioni che rappresentavano il “focus” dell’E42. Sappiamo che questo quartiere cominciò a concretizzarsi nel 1935, e qui vennero realizzati edifici in stretta osservanza dei canoni, forme e dimensioni architettoniche, specificatamente volute dal regime fascista: parliamo cioè di manufatti giganteschi, in marmo bianco, freddi, impenetrabili ed intoccabili, che se sul piano estetico possano trovare ancora oggi dei cultori che l’apprezzano (ndr: indubbiamente, sull’occhio fotografico sanno esercitare il loro fascino), la loro concezione si 177


rileva comunque lontana anni luce da ogni collegamento con tutto ciò che può essere la realtà della vita quotidiana. I nuovi impianti olimpici furono invece concepiti su presupposti appunto rispetto al passato, ove “umanità e calore” e soprattutto “simbiosi” con l’ambiente dove sono stati collocati, pur trattandosi di costruzioni di particolare dimensione ed effetto, rappresentano il “principio ispiratore base”. Da qui, sempre riferendoci in modo fedele al Rapporto Ufficiale, riprende la nostra narrazione.

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Capitolo 8 PALAZZO DELLO SPORT

Questo impianto è sorto sulla collina che sovrasta il lago artificiale e da cui domina tutta la zona dell’Eur. Il viale Cristoforo Colombo, dopo aver scavalcato il lago stesso, lo aggirali delimitando così un’area dove, oltre all’impianto sportivo, sono compresi ampi parcheggi e zone a giardino. La direzione dell’Eur ha completato il abbellito questa nuova costruzione creando sotto il palazzo una caratteristica fontana che attraverso una serie di successive cascate in una armoniosa cornice di verde alimenta le acque del lago, appositamente costruito per una lunghezza di circa 900 m. “Il Palazzo dello Sport, è stato progettato dall’ Ing. Pierluigi Nervi e dall’architetto Marcello Piacentini, con la collaborazione degli architetti Ezio Cosolo e Annibale Vitellozzi. … … Al professor Nervi si deve soprattutto lo studio e la realizzazione delle strutture in cemento armato che, mentre assolvono alla loro funzione statica, hanno il merito di conferire all’edificio il particolare aspetto di arditezza ed eleganza che ne sono le caratteristiche principali. La maggior parte delle strutture in cemento armato è stata realizzata fuori opera attraverso un accurato procedimento di prefabbricazione. Prefabbricati sono tutti gli elementi della cupola, composta da 144 nervature i cui fianchi sono ampiamente e regolarmente fine strati, così ottenendo, oltre ad una notevole riduzione del peso, anche la possibilità di mettere attraverso le finestre l’aria necessaria al condizionamento del vasto ambiente. Attraverso queste aperture inoltre diffusa nella sala la luce di ben 1800 lampade fluorescenti sistemate nell’interno delle nervature ed accuratamente nascoste alla diretta vista del pubblico. La illuminazione della cupola rappresenta senz’altro uno degli aspetti più suggestivi della grande sala. L’acustica dell’ambiente è stata particolarmente curata ed è tale da consentire la possibilità di organizzare anche manifestazioni musicali. Esternamente l’e179


dificio si presenta avvolto da una superficie vetrata tutta altezza, interrotta solo dai fusi in cemento armato che sostengono la copertura perimetrale e dalle nervature di una snella struttura in alluminio anodizzato naturale. La copertura della cupola è stata eseguita in lastre di alluminio anodizzato color verde chiaro con l’interposizione di speciali, leggerissimi pannelli termo assorbenti aventi il compito di proteggere la struttura dalle escursioni termiche. L’area dei giochi, del diametro di metri 45, e atta ad ospitare tutte le riunioni sportive coperte si presenta rivestita con un parquet di legno. Il Palazzo dello Sport è circondato da un selezionatore con ampi cancelli in corrispondenza delle grandi scalee esterne. Il pubblico, smistato al selezionatore, accede direttamente alla prima gradinata attraverso la galleria perimetrale, o alla seconda galleria, attraverso scale interne che portano ad un vasto ripiano anulare. Tanto per la prima, quanto per la seconda gradinata, l’accesso ai posti avviene dall’alto con possibilità quindi di immediata localizzazione dei posti disponibili. Un settore particolare, con ingresso da una delle grandi scale esterne, è riservato alle autorità e alle tribune d’onore, con una capacità complessiva di 420 posti, oltre a 196 posti riservati alla stampa. La tribuna stampa è direttamente collegata con una vasta sala piano terreno di 500 m² di superficie, corredata di telefoni, ufficio telegrafico, televoto, telescriventi, bar, ed altro. Per i telecronisti è riservata una serie di 12 cabine a vetri in sala a monte dei posti stampa. La capacità complessiva del Palazzo raggiunge nel caso di manifestazioni di pugilato 15.000 posti tutti a sedere, selezionati da ampie gallerie di smistamento e corredati da guardaroba, bar e servizi igienici. Il Palazzo dello Sport è dotato di moderni sistemi di segnalazione sincronizzati con i cronometri dei giudici e con quelli dei cronometri resti, oltre con tutte le altre apparecchiature di segnalazione di controllo quali si richiedono in un impianto moderno del genere. Gli atleti sono ospitati nella sotto-tribuna in 20 grandi spogliatoi completi di docce, sale massaggi e sale mediche; così come i giudici di gara hanno a disposizione sale di riunione, uffici e quanto altro possa occorrere per assolvere al loro compito nel modo più rispondente. Il Palazzo dello Sport è dotato di uno dei più grandi impianti di condizionamento d’aria finora costruiti per sale di spettacolo. Il trattamento dell’aria della sala viene effettuato da 12 condizionatori posti sulla cupola, della portata di 600.000 metri cubi orari..… La sala stampa ha un impianto di condizionamento indipendente. I lavori hanno comportato una spesa di 1.900.000.000 di lire.” 180


Capitolo 9 VELODROMO OLIMPICO

Fu ritenuto unanimemente da tutti il “più bello” tra gli impianti di Roma 1960, un apprezzamento che vedeva giustificazione su due motivazioni oggettive.: innanzitutto la prima, riguardo l’aspetto tecnico-sportivo, perché si rivelò essere all’epoca “la pista ciclistica” più veloce e del mondo, sede ideale perché ogni record potesse essere battuto (e i risultati dei Giochi confermarono in pieno tale giudizio). La seconda motivazione fu di carattere ambientale allorché il Velodromo Olimpico rappresentò testimonianza concreta di nuove opzioni urbanistiche, in particolare la valorizzazione del verde, con una spazialità elegante e ben organizzata, che contribuisse a dare una nuova identificazione al quartiere, attraverso proposte stilistiche ed architettoniche foriere di modernità, di valorizzazione ed esaltazione della natura, e soprattutto di umanità vissuta nella attualità di tutti i giorni. Non per niente l’impianto, nel suo disegno e nelle sue forme fu concepito con l’idea che fosse un “edificio-non-edificio”, testimone perfetto di una osmosi “natura e tecnologia”, dove terra e cemento si conciliassero in modo armonico e compatibile, tant’è che con il suo disegno semplice e luminoso e con la sua forma rotondeggiante, e con il “tanto verde” (alberi, cespugli, prati) non fu mai inteso, da subito, come un “corpo estraneo” ma, al contrario, un naturale “unicum” con quella zona. Il velodromo occupava una superfice di 55.500 mq, e quel terreno era di proprietà dell’EUR spa. Fu realizzato su progetto redatto dallo Studio Tecnico Impianti Sportivi, degli architetti Cesare Ligini, Silvano Ricci e dell’ingegnere Dagoberto Ortensi, che vinsero il concorso specificatamente bandito nel 1955 dal CONI. Ricordiamo che il Velolimpico fu l’unica opera delle Olimpiadi romane cui si adottò questa procedura concorsuale (furono ben trenta i progetti presentati) e la qualcosa fu stabilita non tanto per “limpidezza dell’iter amministrativo”, quanto perché ci si trovava di fronte ad un manufatto parti181


colare ove primeggiava la necessità di garantire a tutti gli spettatori una buona visibilità della pista, il cui disegno era molto inclinato. Non esistendo né una configurazione-standard, né una lunghezza di pista predefinita, le specifiche di concorso furono piuttosto libere e riguardarono soprattutto l’agibilità dell’impianto, la visibilità da ogni ordine di posti e il collegamento con la viabilità esterna, onde permettere l’arrivo di eventuali corse ciclistiche su strada. Di fatto l’unico vincolo fu per la tipologia del materiale con il quale costruire la pista: doveva essere in legno, con la particolarità di essere duro e compatto (in caso di cadute non si poteva rischiare la fuoriuscita di “stecche” e “spunzoni” che potevano essere pericolosissimi per l’atleta accidentato) ed elastico nello stesso tempo (così da favorire la scorrevolezza delle ruote), e soprattutto doveva essere resistente alle variabili situazioni meteo (caldo, freddo, pioggia e sole, venti di tramontana e venti di scirocco), considerato che l’anello era totalmente esposto all’aria aperta. Assegnato l’appalto, il progetto vide la realizzazione pratica a partire dal 1957 e fu completato nel giro di due anni: la tribuna coperta sul lato di viale dell’Oceano Pacifico fu costruita su un’intelaiatura di cemento armato, mentre le altre tribune erano appoggiate su riporti di terra stabilizzata meccanicamente. La pista aveva uno sviluppo di 400 metri, una larghezza costante di 7,5 metri, oltre la “fascia azzurra” (tecnicamente denominata “fascia di riposo”) di 0,75 metri. L’impianto era omologato per una capienza di 17.660 spettatori, suddivisa in tre ordini di posti: in piedi in corrispondenza delle curve; seduti, nella gradinata principale di calcestruzzo armato e coperta parzialmente da una pensilina metallica; seduti, senza alcuna copertura, nella gradinata dei distinti. Particolarmente innovativa fu giudicata la soluzione individuata per garantire agibilità e visibilità da ogni posto a sedere: i progettisti, infatti, variarono costantemente l’andamento longitudinale delle gradinate in maniera da mantenerlo, di fatto, sempre in linea con la pista. Ogni gruppo di due posti, quindi, si trovava a essere longitudinalmente disassato rispetto a quelli limitrofi, ma sempre sull’asse di miglior visibilità del tracciato ciclistico. La realizzazione strutturale dell’impianto fu curata dall’ingegnere Francesco Guidi, che seguì anche la direzione dei lavori affidati all’impresa di costruzioni Alarico Palmieri; la pista di gara fu realizzata completamente in parquet di doussié del Camerun su progetto degli architetti tedeschi Clemens ed Herbert Schurmanne, con la collaborazione dell’istituto sperimentale dell’Università di Firenze, diretto dall’ingegnere Guglielmo Giordano, specialista nelle tecnologie del legno. I lavori si conclusero nei primissimi giorni del 1960 e complessivamente il costo totale dell’opera fu di poco superiore al miliardo di lire dell’epoca. 182


Capitolo 10 PISCINA DELLE ROSE

Per molti nati negli anni 40 - 50, la Piscina delle Rose rappresentò un soddisfacente surrogato delle vacanze estive della loro giovinezza, specie per quelli di famiglia meno abbiente, ove l’andare in villeggiatura era un sogno quasi irrealizzabile. E fu proprio questa la caratteristica primaria di tale impianto, che se durante le Olimpiadi fu sede degli allenamenti e delle prime gare eliminatorie del torneo di pallanuoto, il coni fece costruire soprattutto per le future necessità sportive primarie (ma anche turistiche) della Capitale. “…La Piscina delle Rose, progettata e diretta dall’ingegner Mario Biuso, misura metri 50 di lunghezza, e metri 25 di larghezza e la sua profondità varia da 1 m e 80 2 m nella parte destinata a rettangolo di gara per la pallanuoto. L’impianto costruito in cemento armato, è dotato di spogliatoi a rotazione (63 cabine) per uomini e donne allo scopo di consentire l’utilizzazione della vasca anche da parte del pubblico in periodi in cui l’impianto è libero da manifestazioni agonistiche. La piscina è dotata di un modernissimo impianto per la depurazione dell’acqua e di quattro torri per l’illuminazione durante le gare notturne. Un apposito padiglione raccoglie altri spogliatoi riservati al personale, i locali destinati ai membri della direzione agli arbitri di gara, oltre ai servizi per il pubblico e cioè, guardaroba, bar e similari. Ai 2000 posti di tribuna esistenti, durante il periodo dei giochi olimpici furono aggiunti con istallazioni provvisorie altri 1850 posti. All’esterno si estende un grande solarium interamente ornato di fiori, tra i quali dominano le rose. I lavori sono stati eseguiti dall’impresa dell’ingegner Nostini. Il costo dell’opera è stato di 90 milioni. 183



Capitolo 11 ZONA SPORTIVA TRE FONTANE E STADIO DEGLI EUCALIPTI

Sempre facendo riferimento al Rapporto Ufficiale, concludiamo questa breve panoramica sulla impiantistica olimpica della zona eur parlando di altri due impianti, classificati minori per il limitato numero di posti disponibili per gli spettatori ma che sia durante le olimpiadi di Roma, ma anche successivamente, si sono dimostrati efficienti ed utili alle varie necessità. INIZIAMO DAL TRE FONTANE. “ …In considerazione della necessità di disporre di campi di allenamento, fu creata nell’area predisposta parcheggio di automezzi riservati all’ente Eur la zona sportiva tre fontane, con intenti analoghi a quelli per cui fu creata l’area sportiva della pace tosa. L’area, di 170.000 m², e la sua particolare conformazione detto al progettista architetto Maurizio Clerici, la soluzione delle due lunette che furono razionalmente sfruttate l’una con impianti completi per l’atletica leggera ed il tennis, e l’altra per i campi di calcio, hockey, pallacanestro, pallavolo ed un completo stadio per il pattinaggio a rotelle. I due complessi sono divisi dalla via Cristoforo Colombo e sono denominati “zona ovest” e “zona est”: la prima dispone di un campo di hockey su prato, di un campo di rugby, di un campo di calcio con tribune per 5000 posti; tre campi di pallacanestro, due di pallavolo ed otto campi per il gioco delle bocce. Una speciale zona è riservata agli allenamenti alle gare di pattinaggio rotelle e dispone di una tribuna che può ospitare 5000 persone. Naturalmente ciascun campo è dotato di servizi degli atleti e per il pubblico, di spogliatoi con docce e strutture similari. Nella seconda zona, quella “Est” sono stati ricavati 13 campi di tennis di cui uno centrale per competizioni minori, dotato di 600 posti. Inoltre vi è stata 185


costruita una pista podistica di metri 400 a sei corsie; un rettilineo coperto a sei corsie, lungo 130 m per gli allenamenti durante il maltempo, e vi sono state allestite pedane per i salti nonché per i lanci. Tutte le attrezzature sono dotate di spogliatoi e adeguati servizi e vaste zone verdi per la sosta ed il riposo. STADIO DEGLI EUCALIPTI. “Costruito nei pressi della basilica di San Paolo, a circa 9 km dal Villaggio Olimpico, è ampiamente attrezzato di servizi per gli atleti e il pubblico ed è destinato esclusivamente alla pratica dell’atletica leggera. Le sue attrezzature consistono; pista di 400 m di sviluppo a sei corsie; due pedane per il salto in lungo e triplo; pedana per il salto con l’asta; un’area per il lancio del giavellotto; due pedane per il lancio del martello e del disco; tre pedane per il lancio del peso.

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Capitolo 12 …MA ROMA OLIMPICA FRUI’ DI TANTI ALTRI IMPIANTI

Strettamente fedeli al Rapporto Ufficiale, potremmo continuare a parlare degli altri tanti impianti che furono utilizzati durante le Olimpiadi. Ci sarebbero pagine e pagine da proporre, tutte egualmente interessanti anche se spesso riguardano impianti di allenamento, classificati erroneamente come minori, ma altrettanto importanti e fondamentali per la organizzazione di un grande evento quali sono i giochi olimpici. Proviamo a ricordarne qualcuno, senza entrare nelle specificazioni tecniche o ambientali. Iniziamo con due perle dell’antica Roma: “…a completamento della serie degli impianti olimpici, furono utilizzati anche alcuni monumenti allo scopo di dare ai giochi di Roma un più significativo e più spiccato carattere romano. Tra questi monumenti i prescelti furono la basilica di Massenzio e le Terme di Caracalla.…” BASILICA DI MASSENZIO. “Sotto le volte di questa imponente costruzione furono collocate tre materassini e furono ricavati tutti i servizi di gara per il torneo di lotta greco romana e di lotta libera. Di fronte alle materassine furono installate tribune per il pubblico e per la stampa aperta parentesi i giornalisti ebbero disposizioni 20 cabine telefoniche); …gli spogliatoi e di servizi per gli atleti furono invece ricavati in una zona immediatamente alle spalle del piano delle materassine, mentre servizi per il pubblico trovarono posto sotto le varie tribune. Tutto l’impianto fu dotato di un particolare sistema di illuminazione per le gare notturne, offrendo uno spettacolo quantomai suggestivo”.

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TERME DI CARACALLA. “…monumento eccezionale rappresentativo della grandiosità, della perfezione e della funzionalità raggiunte dall’architettura romana il luogo ospitò le gare di ginnastica.… L’impianto per i giochi della 17ª Olimpiade fu eretto con elementi provvisori nella palestra laterale sinistra guardando il boccascena dell’attuale teatro lirico. Tutto il piano di gara restò completamente libero alla visuale in virtù di un sistema di travi di 40 m di luce poggianti su quattro piloni e mediante sostegni laterali che avevano gravami di staccare ciascuna opera nuova dalle antiche mura in ossequio ad un preciso vincolo imposto dalla sovraintendenza ai monumenti. Il campo di gara di metri 36 × 18 fu opportunamente studiato lo scopo di rendere quanto più agevole possibile sia gli spostamenti degli atleti da un attrezzo all’altro, sia la posizione dei giudici. Gli spogliatoi ricavati in 350 m², le sale per la giuria e tutti servizi, comprese quello del bar e del pronto soccorso, furono ricavati tra le antiche mura, così come fu per i servizi stampa”. Qualche riga dedicata agli impianti per gli sport equestri PIAZZA DI SIENA. “…nell’incomparabile scenario nel cuore di Villa Borghese, tradizionale teatro di concorsi ippici a Roma, fu ospitato il gran premio di dressage ed il gran premio di salto ad ostacoli individuale. Questo meraviglioso anfiteatro fu la sede ideale non presentò alcun particolare problema nemmeno dal punto di vista logistico, considerata la vicinanza al villaggio Olimpico”. PRATONI DEL VIVARO “… La zona si estende nei pressi di Rocca di Papa, in una vallata tra la via dei Laghi e la via Latina, per una lunghezza di circa 10 km… La località, che dista da Roma circa 35 km, fu scelta per la particolare varietà di andamento del terreno che risultò adattissimo alle esigenze delle prove, per le vaste estensioni di prati erbosi ed ostacoli naturali… …sui Pratoni del Vivaro furono costruiti alcuni servizi a carattere permanente, ampliati e completati in occasione dei giochi con strutture a carattere provvisorio. In particolare vi si costruì una palazzina ove furono concentrati tutti servizi di gara, una serie di scuderie per ospitare 120 cavalli, di cui 40 in un fabbricato con caratteristiche definitive ed 80 distribuiti in tre blocchi di scuderie realizzati con elementi di cemento armato prefabbricato”. 188


IL LAGO DI ALBANO PER LE REGATE REMIERE. “Il lago d’Albano, sulle cui acque si specchia Castel Gandolfo, fu prescelto dal CONI, con parere favorevole del ministero dei Lavori Pubblici, per lo svolgimento delle gare di canottaggio e di Canova. D’altra parte fin dal 1903 molte competizioni remiere assai impegnative furono disputate su questo caratteristico specchio d’acqua, nato nel cratere di un antichissimo vulcano.… I lavori iniziarono nell’estate del 1959 e si dovettero affrontare contemporaneamente i grossi problemi delle strade di collegamento con le vie di grande comunicazione, della strada di collegamento tra i traguardi di arrivo e partenza, delle istallazioni per le tribune, le giurie, il cortometraggio. Data l’immediata sensibile profondità del lago a pochi metri dalla riva, il problema di segnare le corsie creò notevoli ostacoli. Scartata l’idea di elementi galleggianti per il sostegno della segnaletica di corsa, si arrivò a realizzare, con uno studio dell’ingegner Mario Peccia, uno dei campi di gara più idonei tra quelli sinora esistenti”. PER CONCLUDERE L’argomento impiantistica olimpica meriterebbe ben più altro spazio, che però purtroppo hanno vista venendo meno. Concludiamo quindi, non con poco rammarico, citando altri impianti sui quali non abbiamo potuto soffermare la nostra attenzione: lo stadio delle Terme, che sorge nelle immediate vicinanze delle sopraccitate Terme di Caracalla, in una incomparabile ed inimitabile zona alberata della Passeggiata Archeologica; lo stadio della Farnesina, sorto nella zona del foro italico a circa 1 km dal villaggio Olimpico; lo stadio militare Silvano Abba della Cecchignola; il campo dei vigili del fuoco nei pressi dell’ippodromo delle Capannelle; lo stadio di stella polare, al lido di Ostia, immerso nella pineta di Castel Fusano, i campi di Tor di Quinto. Infine un’ultima citazione, che riprendiamo testualmente dal più volte citato rapporto ufficiale: “… Un ulteriore gruppo di impianti sportivi fu utilizzato per gli allenamenti degli atleti, come palestre, campi di pallacanestro, sale per la lotta il pugilato, dislocate nelle varie zone della città”. Sono solo due semplici righe che confermano e chiudono la risposta corale della Capitale verso l’evento sportivo più importante di tutta la sua storia, i giochi olimpici della 17ª Olimpiade dell’era moderna.

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CONCLUSIONE A GIULIO ONESTI DOVEROSO OMAGGIO A COLUI CHE FECE GRANDE LO SPORT ITALIANO Testimonial & Memorabilia finisce qui: come avevamo preavvertito in apertura, il nostro intento era quello di raccogliere testimonianze e ricordi di situazioni, eventi e luoghi che hanno rappresentato sceneggiatura, scenografia e fotografia della lunga ed intensa rappresentazione che è stata la vita professionale dei dipendenti CONI. Esperienze tutte interessanti, tutte stimolanti, che hanno visto su quel magnifico ed immenso palcoscenico migliaia di persone, dai caratteri, cultura e storie personali diverse, tutte legate da un comune sentire di intensa partecipazione, orgoglio di appartenenza e di coinvolgimento nei confronti dello Sport italiano. Diventa d’obbligo allora concludere questa raccolta di ricordi e di memorie, proponendo quale ultimo testo, un bellissimo e toccante articolo che la collega Fiammetta Scimonelli ha redatto per Cinque Cerchi d’Argento alcuni mesi fa. Il testo parla di Giulio Onesti, che fu Presidente del CONI dal 1946 fino al 1977. Fiammetta, tra l’altro grande giornalista, ci fa dono di un ricordo umanamente affascinate del dirigente che riuscì subito dopo la nascita della Repubblica a ricostruire lo Sport italiano, ridando linfa vitale ad un movimento che è parte integrante della storia della rinascita e della crescita dell’Italia. GIULIO ONESTI, IL MIO PRESIDENTE Nella mia ultraventennale attività all’Ufficio Stampa del CONI, terminata con le dimissioni nel 1993 dopo l’elezione di Mario Pescante, ho lavorato con tre Presidenti: Giulio Onesti, Franco Carraro e Arrigo Gattai. Sotto la presidenza Onesti sono sempre stata il vice di Donato Martucci, storico capo ufficio stampa del CONI: dopo l’elezione di Franco Carraro nel 1978, quando Martucci nel 1981 per ragioni anagrafiche ha lasciato l’incarico, sono diventata automaticamente responsabile dell’Ufficio (forse per un accordo segreto fra Onesti e 191


Carraro) e lì sono rimasta fino al 1993, quando ho presentato le mie dimissioni al neo Presidente Mario Pescante. I miei rapporti con l’avv. Onesti, che nei primi anni mi guardava con sospetto, troppo avvezzo a considerare le donne con responsabilità diverse dal lavoro, sono cambiati del tutto durante i Giochi Olimpici di Monaco 1972. Mi avevano portata per dare un aiuto a Martucci, ma ad Onesti, che era molto attento al lavoro dei suoi dipendenti e sempre disposto a riconoscerne le capacità, era piaciuto il mio comportamento nell’occasione difficile che stata vivendo il movimento olimpico e aveva capito che nella scelta e nella diffusione delle informazioni non ero seconda a nessun uomo. Da allora, la sua benevolenza verso di me si è trasformata in confidenza e stima, fino a diventare vero e proprio affetto. Spesso nel pomeriggio, tornando dalla passeggiata che faceva a piedi fino al tennis, nel tentativo di evitare il pranzo di mezza giornata, si divertiva a girare per gli uffici, a scoprire chi si prodigasse di più, a trattenersi con qualche battuta. Da me veniva spesso, anche perché l’avevano informato che mi ero organizzata per fare il caffè in ufficio, dal momento che il bar chiudeva puntualmente alle 14. Beveva il caffè, poi mi offriva una Marlboro, che considerava una sigaretta “seria” rispetto alle mie Nazionali (all’epoca si poteva fumare in ufficio). Parlavamo naturalmente di sport, della mia atletica, del canottaggio che aveva praticato da giovane, di possibili risultati dei campioni italiani e stranieri. Ma anche di letture, di cinema, di musica. Era severo con Alberto Sordi, che riteneva esagerato nel proporre i lati negativi del popolo italiano, anche se questo giudizio lo mise da parte per accoglierlo al Foro Italico e permettergli di girare alcune riprese di “Polvere di stelle” nel cortile posteriore del Palazzo H che si affaccia sullo Stadio dei Marmi. Criticava la mia valutazione positiva sul film “L’ultimo tango a Parigi” di Bernardo Bertolucci definendomi “intellettuale alla moda” e che a lui era parso ridicolo e anche di cattivo gusto. Mi confidava di non apprezzare l’Opera Lirica, di annoiarsi a teatro, anche quando andava a sentire il fratello Giorgio che era un “basso” spesso impegnato nelle rappresentazioni. Un pomeriggio del 1977, pur avendo saputo da Martucci che dovevo andare alla Sala Nervi in Vaticano per sentire il concerto di Arturo Benedetti Michelangeli, tornato a suonare in Italia dopo la scelta di esiliarsi in Svizzera, mi tratteneva con una serie di argomenti interessanti, ironizzando sul fatto che mi vedeva fremente e timorosa di arrivare oltre le 18,30, orario stabilito per l’inizio dell’esibizione del grande pianista. Poi finalmente, con un sorriso un po’ dispettoso, mi lasciò andare augurandomi buon divertimento. Con lo stesso compiacimento sornione mi aveva obbligato, ai Giochi Olim192


pici di Montreal 1976, di restare al Villaggio per aiutarlo a scrivere una lettera in francese, mentre stava per iniziare la finale del salto in alto, dove Sara Simeoni si sarebbe battuta alla ricerca di una medaglia. “Adesso vai” - mi disse finalmente “e spero che tu abbia ragione”. In precedenza, a Roma, durante una camminata lungo i corridoi del CONI, mi aveva chiesto chi, in atletica, poteva vincere una medaglia. E io gli avevo risposto “Sara Simeoni”. “E Mennea?” mi aveva chiesto lui: “Mennea arriverà quarto” gli risposi “… non può farcela contro statunitensi e americani”. Quella volta avevo visto giusto, e naturalmente il Presidente si complimentò, perché Sara vinse l’argento e Pietro, che a Monaco 1972 aveva conquistato il bronzo nei 200 metri, terminò al quarto posto. Si sarebbe poi rifatto a Mosca ’80, meritando l’oro dopo una gara entusiasmante e Sara Simeoni l’avrebbe imitato vincendo il salto in alto. Dopo le dimissioni e il trasloco dalla stanza presidenziale a quella riservata ai membri del CIO, mi chiedeva collaborazione per la sua corrispondenza, perché non aveva più una segretaria che gli desse aiuto. Io lo facevo volentieri e questo Onesti lo avvertiva, come avvertiva il distacco che si era creato con altri collaboratori, impegnati a conquistare nuove simpatie: un comportamento che viveva con dolore silenzioso. Lui, sempre apparentemente ironico sulle caratteristiche degli umani, considerava quell’irriconoscenza delle persone con le quali aveva lavorato amichevolmente negli anni del tutto incomprensibile. Perché la sua natura, ben nascosta dal sarcasmo talvolta perfino irriverente, era ricca di spirito di amicizia, di lealtà, di comprensione umana. Sembrava tanto in alto, inafferrabile, e invece era una persona dai sentimenti buoni, con un fermo concetto di famiglia, proiettato sempre non solo alla vita e alla crescita dello sport italiano, ma anche al benessere di coloro che, sia pure a livelli diversi, lo coadiuvavano in questa ricerca. Negli ultimi giorni della sua vita chiese a Carraro di lasciarmi libera nel tardo pomeriggio affinché potessi andare a trovarlo a casa. Aveva bisogno di sapere come andavano le cose al CONI, le novità giornalistiche, commentare con me i risultati ottenuti dagli azzurri nelle diverse discipline. Lui era stanco, provato. “Non mangia quasi niente” mi diceva la moglie Gabriella, preoccupata per questa inesorabile caduta. Nel sentire i miei racconti si rincuorava un po’, ma ogni giorno che passava mi sembrava più abbattuto, anche se sempre vigile e curioso. L’ultimo pomeriggio – non dimenticherò mai la telefonata di Gabriella alle 13, che mi chiedeva di anticipare la visita quotidiana forse consapevole di quanto sarebbe successo di lì a poche ore – e tantomeno il colloquio con il Presidente, mi è rimasto scolpito nella mia memoria. Tormentato da un respiro 193


affannoso, ma tuttavia sorridente, mi disse ad un certo punto: “…povera Scimonelli, quanto lavoro ti aspetta”. Non mi aveva chiamata per nome, come sempre, ma per cognome, come si fa con gli uomini, quasi a voler dichiarare il suo intimo pensiero nei confronti delle mie capacità. Se ne andava così il Presidente che aveva guidato il CONI dal 1946 al 1978. Colui che si era ribellato alla politica quando la politica voleva sciogliere l’Ente, riuscendo a ricostruire lo sport italiano nel dopoguerra, riunendo tutta l’organizzazione sportiva per aprire le nuove basi di un movimento che rientra della storia della rinascita e della crescita dell’Italia. Colui che aveva sposato l’dea del Totocalcio, ideato da Massimo Della Pergola e gestito dalla Sisal, ottenendone nel 1948 la gestione diretta del CONI nella ferma convinzione che le possibilità economiche offerte dal Concorso, sarebbero state fonte indispensabile non solo di sopravvivenza, ma di sviluppo per lo sport. Colui che nel corso degli anni aveva costruito, in accordo con Comuni e Provveditorati, campi sportivi scolastici, palestre e piscine tipo, impianti prototipo in 12 città di 7 province. Colui che era riuscito a realizzare gli Impianti olimpici di Roma (Stadio Olimpico, Stadio del nuoto, Palazzo e Palazzetto dello sport, Velodromo, Stadio Flaminio, Piscina delle Rose, Campo per regate ad Albano) e quelli di Cortina d’Ampezzo (Stadio del Ghiaccio e Trampolino “Italia”) oltre alla perfetta conservazione dello Stadio dei Marmi. Colui che aveva fermamente voluto la creazione del Complesso sportivo dell’Acqua Acetosa e della zona sportiva delle Tre Fontane all’EUR. Colui che, assieme a Bruno Zauli, si era battuto ed aveva ottenuto l’organizzazione dei Giochi Invernali di Cortina 1956 e quella dei Giochi Olimpici di Roma 1960. Ed ancora, l’illuminato dirigente che aveva ideato la Scuola dello Sport e l’Istituto di Medicina Sportiva; che era diventato membro del CIO nel 1964, e poi Presidente dell’Assemblea dei Comitati Olimpici da lui organizzata per stimolare sempre di più l’attività sportiva nei diversi Paesi del mondo e coordinatore del CIO per la solidarietà olimpica; che aveva combattuto l’Apartheid del Sud Africa e aperto i rapporti con la Cina; che aveva conquistato rispetto e ammirazione in tutte le organizzazioni sportive mondiali; che battendosi con convinzione per l’attività sportiva scolastica, aveva indetto nel 1976 i Giochi della Gioventù. Tutto ciò sempre difendendo l’indipendenza dello sport italiano da ogni tipo di ingerenza. Se ne andava nella sua casa romana, nel pomeriggio dell’11 dicembre 1981, a soli 69 anni, stretto nell’abbraccio della moglie Gabriella e del figlio Massimo (che come ha scritto Franco Carraro nel libro di Augusto Frasca, lo avrebbe194


ro poi raggiunto prematuramente) e sotto lo sguardo di pochi e fedeli amici, l’uomo che era stato in grado per oltre un trentennio di far crescere lo sport italiano, di sapersi avvalere di presidenti federali appassionati come lui, di capire l’evolversi della cultura sportiva e di allargare il lavoro delle Regioni e delle Province verso lo sport per tutti, di tenere sempre vivo il dialogo con gli atleti, ma anche con le forze politiche, senza mai dimenticare che è il lavoro comune a portare i suoi frutti e non le parole inutili e di convenienza, mai tradotte in soluzioni concrete. Giulio Onesti era un uomo speciale, difficile da essere paragonato con chicchessia. E il cordoglio unanime per la sua scomparsa fu ben sottolineato dall’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, oltre che dall’amico Giulio Andreotti, che vennero a salutarlo nella Camera Ardente allestita nel Salone del CONI due giorni prima delle esequie, celebrate nella Basilica di Santa Maria degli Angeli il 14 dicembre del 1981. L’avvocato Giulio Onesti, a trentasei anni dalla morte, non è dimenticato. A ricordarlo è il Comitato Olimpico Italiano, che ne conserva l’immagine nel grande Salone d’onore e la bella scultura dell’artista reatino Bernardino Morsani che domina l’ingresso della stessa sala. Ma non solo: gli ha dedicato il Centro di preparazione olimpica dell’Acqua Acetosa, una delle tante idee portate avanti dal grande dirigente, che rimane un vero gioiello per il movimento sportivo del Paese, il cui ingresso si trova proprio nel piazzale dedicato al suo nome e che accoglie la Scuola dello Sport e il Centro di Preparazione Olimpica. Lo ricorda la Fondazione Onesti, Ente no-profit costituito a Roma nel 1983, che riunisce Aziende collegate all’attività sportiva e che ogni anno, oltre ad iniziative sociali e culturali portate avanti in collaborazione con il CONI e l’Accademia Olimpica nazionale italiana, consegna il Premio Onesti (un piccolo esemplare della scultura di Morsani) a personalità che operano nella dirigenza sportiva o ad atleti olimpionici di particolari caratteristiche umane e culturali. Nel 2012, a cento anni dalla nascita di Onesti, la Fondazione ottenne anche dal Ministero delle Poste l’emissione di un francobollo commemorativo. Su Giulio Onesti sono stati fin qui pubblicati 4 libri. Il primo nel 1986, di Mario Pennacchia, edito da Lucarini, che oltre a proporre un’Agenda della lunga e complessa attività del dirigente, raccoglie testimonianze affascinanti e illustri di politici, di dirigenti e di giornalisti, ed anche della moglie Gabriella, che metteva in luce, sia pure con particolare riservatezza, le caratteristiche umane e familiari dell’uomo che aveva sposato nel ’55. Poi fu il compianto Tonino De Juliis che, con la Società Stampa Sportiva, nel 2000, ha pubblicato il saggio di storia dello sport italiano “Dal culto dell’indipendenza all’eredità 195


rinunciata”, dedicato agli inizi dell’attività al CONI di Giulio Onesti, e poi nel 2001, il volume “Il CONI di Giulio Onesti: da Montecitorio al Foro Italico”. Infine, nel 2012, Augusto Frasca, a cento anni dalla nascita del protagonista, ha realizzato, per il CONI e la Fondazione, il prezioso volume “Giulio Onesti, lo sport italiano”, la storia completa e dettagliata del cammino compiuto dal grande Presidente per la ricostruzione e lo sviluppo dell’attività sportiva nazionale. Il titolo stesso del volume vuole proprio sottolineare che se non ci fosse stato Onesti, lo sport italiano non solo non si sarebbe ripreso dalla tragedia della guerra, ma non avrebbe neppure raggiunto il livello sportivo e culturale sviluppato nel tempo. Il libro di Frasca, che andrebbe letto da tutti, dovrebbe trovare posto non solo in tutte le case degli sportivi italiani, ma, suggerirei, anche di coloro che guidano il Paese perché dal grande Presidente del CONI c’è tanto da imparare sia sul piano umano che su quello politico. Da parte di chi vi scrive, ho cercato di riassumere brevemente (…anche se per una rivista le battute da me prodotte sono state davvero tante) l’attività ultratrentennale di un dirigente eccezionale, che giornalisti e storici hanno dettagliatamente raccontato. So che Franco Carraro, che condivide la mia ammirazione ed il mio affetto per il suo predecessore, e come lui Arrigo Gattai, con il quale ho conservato rapporti amichevoli fino alla sua scomparsa, non me ne vorranno per quello che sto per affermare. Ed anche Mario Pescante, che pur avendo accettato le mie dimissioni dopo la sua elezione alla presidenza nel 1993, mi ha seguito e incoraggiato per tutti i quattro anni della mia direzione alla rivista ufficiale del CONI “Lo sport italiano”, penso e spero che capirà i miei sentimenti. Infine, mi auguro la stessa comprensione da parte di Gianni Petrucci e di Giovanni Malagò. Perché per me Giulio Onesti è stato e rimarrà sempre il “Mio Presidente”.

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Il presente volume, realizzato quale “progetto speciale” dell’APEC, nell’ambito delle attività di competenza delle Associazioni Benemerite del CONI, ha esclusive finalità culturali e didattiche quale contributo ad ogni iniziativa tesa al recupero ed alla conservazione della “memoria” dello Sport Italiano. Il libro non è in vendita.



INDICE:

Premessa del Presidente APEC Massimo Blasetti Introduzione dell’autore

pag. 3 pag. 5

PARTE PRIMA Roma 1960, atti ufficiali Nota introduttiva Cap. 1 Una squadra con 11.652 giocatori Cap. 2 La Sezione Tecnica Cap. 3 La gestione degli Impianti Sportivi Cap. 4 C.O.R. Costruzioni Olimpiche Roma Cap. 5 Le Federazioni Sportive Nazionali Cap. 6 L’organizzazione degli allenamenti Cap. 7 Il Programma della Manifestazione Cap. 8 Il Centro Meccanografico Cap. 9 Arredo Olimpico Cap. 10 Settore Accoglienza Cap. 11 Il Villaggio Olimpico Cap. 12 Il Settore della Comunicazione Cap. 13 Non solo gare Cap. 14 Problemi doganali Cap. 15 Assistenza Religiosa Cap. 16 Filatelia Olimpica

pag. 9 pag. 11 pag. 15 pag. 17 pag. 19 pag. 23 pag. 27 pag. 29 pag. 31 pag. 33 pag. 35 pag. 37 pag. 45 pag. 51 pag. 55 pag. 59 pag. 65

PARTE SECONDA Roma 1960, Testimoni oculari, ovvero “la nostra Olimpiade” Nota introduttiva Cap. 1 Il nostro portabandiera: Angelo Menna Cap. 2 Una bella storia (di Fiammetta Scimonelli)

pag. 69 pag. 71 pag. 75


Cap. 3 Pugni d’oro (di Vittorio Peconi) Cap. 4 I Giochi visti dal basso (di Luciano Barra) Cap. 5 Correva l’anno 1957 (di Rosita Romanelli) Cap. 6 Una esperienza che non si può dimenticare (di Rosanna Lucci) Cap. 7 Anche noi in prima linea (di Raffaella Viero) Cap. 8 Il sapore delle Olimpiadi (di Augusto Rosati) PARTE TERZA Roma 1960, Leggendo qua e là Nota introduttiva Cap. 1 La cena d’apertura (di David Maraniss) Cap. 2 A che punto siamo con le Olimpiadi (di Arrigo Levi) Cap. 3 Divertente antologia del malumore inglese (di Piero Ottone) Cap. 4 Elogio agli impianti (di Fabrizio De Santis) Cap. 5 Il male sulle “O” (raccolta stampa) Cap. 6 Il vento di Olimpia sconvolge tutta Roma La giornata del turista olimpico (di Mario Bernardini) Monachine bagarini e pretini sugli spalti (di Vittorio Ciuffa) Povera Roma mia non la conosco più (di Irene Brin)

pag. 79 pag. 83 pag. 87 pag. 93 pag. 95 pag. 99

pag. 107 pag. 109 pag. 113 pag. 117 pag. 121 pag. 125 pag. 129 pag. 132 pag. 134

PARTE QUARTA Roma 1960, Leggendo qua e là Nota introduttiva Cap. 1 Il Foro Italico Cap. 2 Gli altri edifici del Foro Italico Cap. 3 Gli impianti del Polo accanto Cap. 4 Lo Stadio Nazionale Cap. 5 Villa Glori Cap. 6 Zona a vocazione ippica

pag. 139 pag. 141 pag. 145 pag. 149 pag. 151 pag. 157 pag. 159

PARTE QUINTA Roma 1960, una breve panoramica sugli impianti Nota introduttiva Cap. 1 Stadio Olimpico Cap. 2 Stadio Flaminio Cap. 3 Palazzetto dello Sport Cap. 4 Stadio del Nuoto

pag. 163 pag. 165 pag. 167 pag. 169 pag. 171


Cap. 5 Lo Stadio dei Marmi Cap. 6 Poligono di Tiro Cap. 7 Il Centro Olimpico dell’Eur Cap. 8 Palazzo dello Sport Cap. 9 Velodromo Olimpico Cap. 10 Piscina delle Rose Cap. 11 Zona sportiva Tre Fontane e Stadio degli Eucalipti Cap. 12 …Ma Roma Olimpica fruì di tanti altri impianti

pag. 173 pag. 175 pag. 177 pag. 179 pag. 181 pag. 183 pag. 185 pag. 187

CONCLUSIONE A Giulio Onesti Giulio Onesti, il mio Presidente (di Fiammetta Scimonelli)

pag. 191


Finito di stampare presso la tipografia ÂŤThe Factory srlÂť 00156 - Via Tiburtina 912


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