Stratificazione del rischio cardiovascolare e terapie nell’ipercolesterolemia e nell'ipertensione

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Giornale Italiano di Cardiologia

Volume 26 | Suppl. 2 al n. 1 | Gennaio 2025 giornaledicardiologia.it

Stratificazione del rischio cardiovascolare e terapie di associazione nell’ipercolesterolemia e nell’ipertensione

e1 Stratificazione del rischio cardiovascolare: dagli algoritmi al fenotipo clinico

F. Colivicchi, S.A. Di Fusco

e6 Farmacologia clinica delle terapie di associazione nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiovascolari

N. Ferri, A. Corsini

Editor | Giuseppe Di Pasquale

e17 La terapia di associazione nel trattamento dell’ipercolesterolemia: prevenzione primaria e secondaria

S.A. Di Fusco, F. Colivicchi

e23 La terapia di associazione nell’ipertensione arteriosa: come personalizzare la cura

A. Bacca, S. Taddei

Società Italiana di Chirurgia Cardiaca

Stratificazione del rischio cardiovascolare: dagli algoritmi al fenotipo clinico

U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

For an appropriate implementation of both primary and secondary cardiovascular prevention strategies, stratification of the individual cardiovascular risk is recommended. Given that atherosclerotic cardiovascular diseases have a multifactorial origin, risk stratification should take into consideration several risk factors, both non-modifiable ones such as age, and modifiable ones, such as cholesterol levels, diabetes, blood pressure levels, cigarette smoking, and body weight. For apparently healthy individuals, to define the risk of each subject of having a cardiovascular event within 10 years, the European Society of Cardiology (ESC) guidelines recommend the use of specific risk scores depending on patient’s age (SCORE2 between 40 and 69 years, SCORE2-OP ≥70 years). For diabetic patients without evidence of cardiovascular disease, the use of the SCORE2-Diabetes is recommended. In clinical practice, the use of the ESC CVD Risk Calculation application, by entering all the parameters required by the different scores, allows a rapid estimate of individual risk. Patients with known atherosclerotic cardiovascular disease have a very high cardiovascular risk. Key words. Cardiovascular risk; Risk factors; Risk stratification.

G Ital Cardiol 2025;26(1 Suppl 2):e1-e5

INTRODUZIONE

Nonostante la progressiva riduzione della mortalità cardiovascolare osservata nel nostro Paese nell’arco degli ultimi 30 anni, le malattie cardiovascolari di natura aterosclerotica (atherosclerotic cardiovascular disease, ASCVD), quali la cardiopatia ischemica (CI), l’ictus ischemico e l’arteriopatia periferica, rimangono ancora oggi patologie molto frequenti e sono fra le principali cause di morte prematura e invalidità permanente nella popolazione italiana1. Le cause di queste malattie sono multifattoriali, alcune modificabili con gli interventi sullo stile di vita, come l’inattività fisica, il fumo e le cattive abitudini alimentari, altre, invece, richiedono un trattamento farmacologico specifico, come le dislipidemie, l’elevata pressione arteriosa (PA) e il diabete mellito (DM)1,2

In generale, nella partica clinica, la prevenzione e la cura delle ASCVD deve sempre procedere sulla base delle caratteristiche individuali del singolo paziente. In particolar modo si deve tener conto dell’età, del sesso, dell’aspettativa di vita, del profilo dei singoli fattori di rischio, dell’etnia e dell’area geografica di origine. La stima del rischio di sviluppare ASCVD, ossia della probabilità individuale di andare incontro a un evento cardiovascolare maggiore (morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico acuto (IMA) non fatale, ictus cerebri non fatale, rivascolarizzazione percutanea o chirurgica miocardica o periferica) costituisce pertanto un elemento centrale nella valutazione di ogni singolo paziente2. Questo vale per i soggetti apparente-

© 2025 Il Pensiero Scientifico Editore Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.

Per la corrispondenza:

Prof. Furio Colivicchi U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Via Martinotti 20, 00135 Roma

e-mail: furio.colivicchi@aslroma1.it

mente sani, ma anche per quelli di età avanzata, per i pazienti con ASCVD accertata o affetti da DM, e consente di ottenere informazioni utili per definire e porre in atto interventi personalizzati a livello individuale, adottando un approccio graduale per il raggiungimento degli obiettivi terapeutici raccomandati nelle linee guida2. Si deve poi sottolineare che la formulazione di percorsi terapeutici personalizzati, fondati sulla stima del rischio individuale di ASCVD, rispecchia meglio le differenze tra pazienti, che si osservano nella pratica clinica.

La valutazione del rischio cardiovascolare (RCV) può essere opportunistica, vale a dire eseguita in modo non programmato quando un paziente si presenta al medico per un qualsiasi motivo, oppure sistematica, vale a dire eseguita nella popolazione generale come parte di un programma di screening, con invito e richiamo, o in popolazioni specifiche, come i soggetti con DM di tipo 2. Lo screening sistematico può contribuire a migliorare il controllo dei fattori di rischio, ma non sembra aver effetti sull’outcome cardiovascolare3. Lo screening opportunistico individuale dei fattori di rischio per ASCVD, come, ad esempio, i valori pressori e lipidici, è invece efficace nell’aumentare la consapevolezza del singolo individuo e può tradursi in un beneficio clinico, anche a breve termine4. Si deve poi sottolineare che la valutazione del RCV non deve essere un avvenimento isolato, ma deve essere ripetuta, almeno con cadenza quinquennale nei soggetti apparentemente sani2. Nelle altre popolazioni con RCV elevato la valutazione deve invece avvenire con maggiore frequenza, almeno su base annuale o in occasione di ogni controllo clinico2

FATTORI DI RISCHIO E CLASSIFICAZIONE

DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

I principali fattori di rischio modificabili in grado di favorire l’insorgenza e la progressione delle ASCVD comprendono le lipoprotei-

ne plasmatiche che contengono l’apolipoproteina B (ApoB) (tra cui le lipoproteine a bassa densità [LDL] sono le più numerose), gli elevati valori pressori, il fumo di sigaretta e il DM. Un altro importante fattore di rischio è rappresentato dall’obesità, che determina un aumento del RCV sia attraverso i fattori di rischio maggiori convenzionali sia attraverso altri meccanismi.

Colesterolemia

Il ruolo causale del colesterolo legato alle LDL (C-LDL) e di altre lipoproteine contenenti ApoB nello sviluppo dell’ASCVD è stato dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio da studi genetici, osservazionali e trial di intervento5. In definitiva, appare evidente che:

1. La persistenza di ridotti livelli di C-LDL si associa ad un minor RCV e i risultati degli studi clinici indicano che una riduzione del C-LDL si accompagna ad una diminuzione del RCV.

2. La riduzione del RCV è direttamente proporzionale all’entità assoluta della variazione dei livelli di C-LDL, indipendentemente dai farmaci utilizzati per conseguire tale variazione.

3. Il beneficio assoluto della riduzione di C-LDL dipende dal RCV del paziente e dalla riduzione assoluta del C-LDL; anche una minima riduzione assoluta dei livelli di C-LDL può avere effetti benefici nel paziente ad alto rischio.

4. Il colesterolo non legato alle lipoproteine ad alta densità (C-non-HDL) comprende tutte le lipoproteine aterogene (contenenti ApoB) e viene calcolato secondo la formula: colesterolo totale – colesterolo HDL = C-non-HDL. La relazione tra C-non-HDL e RCV è altrettanto forte quanto quella con il C-LDL6. I livelli di C-non-HDL contengono, in definitiva, le stesse informazioni fornite dalla misurazione delle concentrazioni plasmatiche di ApoB6. Di fatto, il C-nonHDL è incluso negli algoritmi di stratificazione del RCV proposti dalla Società Europea di Cardiologia (ESC): SCORE2 (Systematic Coronary Risk Estimation 2) e SCORE2-OP (Systematic Coronary Risk Estimation 2-Older Persons)2

Pressione arteriosa

Studi genetici, osservazionali e trial di intervento hanno dimostrato che elevati valori pressori rappresentano una delle principali cause di ASCVD2. In particolare, elevati valori di PA costituiscono un fattore di rischio per CI, scompenso cardiaco, malattia cerebrovascolare, arteriopatia degli arti inferiori, insufficienza renale cronica (IRC) e fibrillazione atriale. La mortalità cardiovascolare aumenta in modo lineare a partire da livelli di PA sistolica di 100 mmHg e di PA diastolica di 75 mmHg7. Il beneficio assoluto derivante da una riduzione della PA sistolica dipende dal RCV di base e dalla riduzione assoluta della PA sistolica, i cui limiti inferiori sono comunque determinati da considerazioni di tollerabilità e sicurezza.

Fumo

Il fumo è responsabile del 50% di tutti i decessi nei fumatori, di cui la metà è dovuta ad ASCVD. I fumatori hanno il 50% delle probabilità di morire a causa del fumo e mediamente vivono 10 anni in meno2. Il rischio di ASCVD nei fumatori al di sotto dei 50 anni è 5 volte superiore rispetto ai non fumatori e il fumo comporta maggiori rischi per le donne rispetto agli uomini.

Diabete mellito

Il DM di tipo 1 o di tipo 2 e il pre-diabete sono tutti fattori di rischio indipendenti per ASCVD che comportano un raddoppio

del RCV rispetto ai soggetti non diabetici2. Inoltre, i pazienti con DM di tipo 2 presentano frequentemente multipli fattori di rischio per ASCVD (quali dislipidemie e ipertensione).

Peso corporeo

Negli ultimi decenni, l’indice di massa corporea (BMI) – calcolato dividendo il peso (in kg) per l’altezza (in m2) – è aumentato notevolmente nei bambini, negli adolescenti e negli adulti di tutto il mondo8. La mortalità per tutte le cause e più bassa in presenza di un BMI di 20-25 kg/m2 nei soggetti apparentemente sani, ma anche nei pazienti affetti da ASCVD e da DM2. Inoltre, tanto il BMI quanto la circonferenza vita correlano in maniera significativa e continua con il rischio di ASCVD e di insorgenza di DM di tipo 29

Definizione del rischio cardiovascolare nella pratica clinica

L’identificazione dei pazienti che possono trarre maggiore vantaggio dal trattamento dei fattori di rischio è essenziale per prevenire l’insorgenza dell’ASCVD. In generale, più elevato è il RCV, maggiore sarà il beneficio derivante dal trattamento dei diversi fattori di rischio e minore sarà il numero di soggetti da trattare per prevenire un evento cardiovascolare nel corso di un determinato periodo di tempo2

Il più potente determinante del rischio di ASCVD è rappresentato dall’età. Le donne sotto ai 50 anni e gli uomini sotto ai 40 anni presentano, quasi sempre, un RCV contenuto a 10 anni, ma possono avere fattori di rischio che possono incrementare in modo significativo il loro RCV a lungo termine. Gli uomini al di sopra dei 65 anni e le donne al di sopra dei 75 anni presentano invece quasi sempre un elevato RCV a 10 anni. Solamente nelle fasce di età 55-75 anni nelle donne e 40-65 anni negli uomini si rileva un RCV a 10 anni molto variabile nei singoli casi2

Il RCV può essere valutato anche nei pazienti con DM o con ASCVD già accertata ricorrendo, come vedremo, a strumenti specifici.

STIMA DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

NEI SOGGETTI APPARENTEMENTE SANI

Per soggetto apparentemente sano si intende un individuo che non presenti ASCVD accertata, DM o altra grave comorbilità, come, ad esempio, l’IRC. In questo caso, le più recenti linee guida ESC prevedono l’impiego della nuova versione dell’algoritmo SCORE: lo SCORE2. Questo strumento consente di stimare il rischio di eventi cardiovascolari fatali e non fatali (infarto miocardico, ictus) a 10 anni in soggetti apparentemente sani di età compresa tra 40 e 69 anni che presentano fattori di rischio non ancora sottoposti a trattamento2. Per la stima del RCV nei soggetti apparentemente sani, ma con età ≥70 anni, occorre invece utilizzare l’algoritmo SCORE2-OP2. Entrambi gli algoritmi valutano la probabilità di eventi cardiovascolari a 10 anni integrando informazioni sui fattori di rischio convenzionali (età, fumo, PA sistolica, colesterolo totale, colesterolo HDL) (Figura 1). I sistemi SCORE2 e SCORE2-OP sono stati distinti in quattro gruppi in base al RCV dei differenti paesi. Il RCV di ciascun paese è definito sulla base dei tassi di mortalità cardiovascolare pubblicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità2. L’Italia è da considerare un paese con “rischio moderato”. Pertanto, nel definire il RCV di un soggetto residente in Italia si dovrà impiegare la relativa tabella. I sistemi SCORE2 e SCORE2-OP

Figura 1. Parametri inclusi negli algoritmi per la stratificazione del rischio SCORE2* e SCORE2-OP**. Per la PA sistolica, i valori di CT e C-HDL si riferiscono al range entro il quale lo score è applicabile. C-HDL, colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità; CT, colesterolo totale; PA, pressione arteriosa; SCORE2, Systematic Coronary Risk Estimation 2; SCORE2-OP, Systematic Coronary Risk Estimation 2-Older Persons.

consentono inoltre di definire specifiche categorie di RCV in base all’età dei soggetti apparentemente sani. La categoria di RCV consente poi di definire l’eventuale necessità di avviare il trattamento dei singoli fattori di rischio (Tabella 1). Nei pazienti apparentemente sani, dopo aver valutato il rischio di evento cardiovascolare fatale e non fatale a 10 anni e il beneficio dei trattamenti, le linee guida suggeriscono di tenere in considerazione anche la presenza di comorbilità e di fattori addizionali che modificano il rischio (Tabella 2)2

STIMA DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE NEI PAZIENTI CON MALATTIA CARDIOVASCOLARE

ATEROSCLEROTICA

Secondo le linee guida ESC tutti i pazienti con ASCVD clinicamente nota sono da considerare a RCV molto alto, con una probabilità di eventi per anno superiore al 2%2. In particolare, sono da considerare a RCV molto elevato i pazienti con ASCVD accertata clinicamente o documentata in maniera inequivocabile ai test di imaging. Nel dettaglio, per ASCVD clinicamente accertata si intende pregresso IMA o sindrome coronarica acuta (SCA), pregressa rivascolarizzazione coronarica chirurgica o percutanea, ovvero altro intervento di rivascolarizzazione arteriosa, pregresso ictus cerebri o attacco ischemico transitorio, evidenza di arteriopatia obliterante o aneurisma aortico. Per ASCVD accertata in maniera inequivocabile ai test di imaging si intende, invece, il riscontro di significative placche aterosclerotiche alla coronarografia o all’ecografia carotidea o alla tomografia computerizzata coronarica, mentre non comprende un qualsiasi aumento delle variabili continue all’imaging, quali lo spessore medio-intimale dell’arteria carotide.

I pazienti con recente IMA/SCA, così come i pazienti con DM e ASCVD presentano tutti, invece, un RCV particolarmente elevato, che può superare il 5% per anno. In altri pazienti con ASCVD accertata il RCV può essere più contenuto e può essere stimato sulla base di criteri clinici come l’età, i livelli dei fattori di rischio, oppure ricorrendo ad appositi algoritmi. In effetti, nel caso dei pazienti con ASCVD la probabilità di ulteriori eventi è principalmente determinata dal livello di

Tabella 2. Valutazione dei fattori che modificano il rischio cardiovascolare in accordo con le linee guida europee sulla prevenzione2 CR LE

Fattori che dovrebbero essere presi in considerazione

Fattori psicosociali e sintomi da stress IIa B

Gruppo etnico IIa B

Fattori che possono essere presi in considerazione

Score di calcificazione coronarica o, se non disponibile o non eseguibile, la presenza di placche all’ecografia carotidea IIb B

Fattori non raccomandati nella valutazione routinaria

Score genetici, biomarker circolanti o urinari, test di imaging (eccetto lo score di calcificazione coronarica e l’ecografia carotidea) e i test di funzionalità vasale III B

CR, classe di raccomandazione; LE, livello di evidenza.

Tabella 1. Categorie di rischio per malattia cardiovascolare in base all’età secondo i modelli SCORE2 e SCORE2-OP in soggetti apparentemente sani.

Rischio di MCV moderato-basso: il trattamento dei fattori di rischio non è generalmente raccomandato

Rischio di MCV alto: deve essere preso in considerazione il trattamento dei fattori di rischio

Rischio di MCV molto alto: il trattamento dei fattori di rischio è generalmente raccomandato

MCV, malattia cardiovascolare; SCORE2, Systematic Coronary Risk Estimation 2; SCORE2-OP, Systematic Coronary Risk Estimation 2-Older Persons.

controllo dei fattori di rischio (fumo, ipertensione, ipercolesterolemia, eccesso ponderale), dalla sede della malattia vascolare e dalla funzione renale. Gli strumenti per la stratificazione del RCV in ambito di prevenzione secondaria comprendono lo score di rischio SMART (Second Manifestations of Arterial Disease; disponibile nell’app ESC CVD Risk Calculation)10, che consente di stimare il rischio di eventi avversi a 10 anni nei pazienti con ASCVD stabile (malattia coronarica, arteriopatia obliterante o malattia cerebrovascolare), e l’algoritmo EUROASPIRE (European Action on Secondary and Primary Prevention by Intervention to Reduce Events), che consente di stimare il rischio di eventi cardiovascolari a 2 anni nei pazienti con malattia coronarica stabile2

STIMA DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE

NEI PAZIENTI CON DIABETE MELLITO

Le linee guida ESC 2023 sulla gestione delle malattie cardiovascolari nei pazienti affetti da DM11 introducono delle nuove modalità di valutazione e stratificazione del RCV nei pazienti con DM. Viene infatti raccomandata una valutazione clinica iniziale di tutti i pazienti diabetici senza storia accertata di ASCVD. Tale approccio ha due distinte finalità: rilevazione di sintomi riferibili alla presenza di ASCVD e ricerca di segni di “grave” danno d’organo. Il grave danno d’organo viene definito come la presenza di almeno una delle seguenti condizioni:

1. Filtrato glomerulare (eGFR), stimato mediante un’equazione sviluppata dalla Chronic Kidney Disease Epidemiology Collaboration, <45 ml/min/1.73 m2

2. eGFR compreso tra 45 e 59 ml/min/1.73 m2 in presenza di microalbuminuria.

3. Proteinuria con rapporto tra le concentrazioni urinarie di albumina e creatinina >300 mg/g.

4. Presenza di malattia microvascolare in almeno tre distretti diversi (ad esempio, retinopatia, microalbuminuria e neuropatia periferica).

Nel dettaglio, i pazienti diabetici con evidenza clinica di ASCVD (ad esempio con pregresso IMA/SCA) o di grave danno d’organo sono da considerare a rischio cardiovascolare molto alto. Nei pazienti con DM senza evidenza di ASCVD e senza grave danno d’organo viene invece raccomandata una stima del RCV mediante un nuovo algoritmo: lo SCORE2-Diabetes11. Questo strumento consente la valutazione della probabilità di eventi cardiovascolari a 10 anni integrando informazioni sui fattori di rischio convenzionali (età, fumo, PA sistolica, colesterolo totale, colesterolo HDL) e fattori relativi alla malattia diabetica (età alla diagnosi di DM, valori di emoglobina glicata ed eGFR). In relazione all’esito della valutazione con lo SCORE2-Diabetes, i pazienti con DM possono essere distinti in soggetti a rischio cardiovascolare basso (probabilità di eventi <5%), moderato (5-10%), alto (10-20%) e molto alto (>20%). Anche questo strumento di valutazione del RCV è disponibile nell’app ESC CVD Risk Calculation10

BIBLIOGRAFIA

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CONCLUSIONI

Le più recenti linee guida ESC di prevenzione cardiovascolare2 e di gestione delle malattie cardiovascolari nel DM11 precisano che la definizione personalizzata degli interventi farmacologici e non farmacologici volti alla prevenzione delle ASCVD deve necessariamente procedere dopo un’adeguata stratificazione individuale del RCV. Per la valutazione del RCV si deve pertanto procedere in relazione al profilo del singolo individuo:

1. Nei pazienti apparentemente sani il RCV può essere valutato mediante i nuovi algoritmi SCORE2 e SCORE2-OP2

2. Nei pazienti diabetici il RCV può essere valutato mediante il nuovo algoritmo SCORE2-Diabetes11

3. I pazienti con DM e ASCVD o con evidenza di grave danno d’organo devono essere considerati sempre a RCV molto alto (probabilità di eventi almeno >2% per anno)11

4. I pazienti con ASCVD clinicamente accertata, ovvero documentata in maniera inequivocabile ai test di imaging, devono essere considerati sempre a RCV molto alto (probabilità di eventi almeno >2% per anno). I pazienti con recente evento cardiovascolare (IMA/SCA, ictus cerebri) presentano un rischio particolarmente elevato (probabilità di eventi almeno >5% per anno). La stima può essere ulteriormente precisata mediante lo score di rischio SMART (disponibile nell’app ESC CVD Risk Calculation)10, che consente di stimare il rischio di eventi avversi a 10 anni nei pazienti con ASCVD stabile (CI, arteriopatia periferica o malattia cerebrovascolare).

RIASSUNTO

Per un’appropriata implementazione delle strategie di prevenzione cardiovascolare sia primaria che secondaria è necessario definire il rischio cardiovascolare del singolo individuo. In considerazione del fatto che la malattia aterosclerotica cardiovascolare ha un’origine multifattoriale, la stratificazione del rischio deve prendere in considerazione i diversi fattori di rischio sia quelli non modificabili come l’età, che quelli modificabili, quali il colesterolo, il diabete, la pressione arteriosa, il fumo di sigaretta e il peso corporeo. Per la definizione del rischio del singolo individuo di avere un evento cardiovascolare entro 10 anni, le linee guida della Società Europea di Cardiologia (ESC), in caso di soggetto apparentemente sano, raccomandano l’utilizzo di specifici score di rischio a seconda della fascia di età del paziente (SCORE2 tra 40 e 69 anni, SCORE2-OP ≥70 anni). Per i pazienti diabetici senza evidenza di malattia cardiovascolare è raccomandato l’utilizzo dello SCORE2-Diabetes. Nella pratica clinica l’utilizzo dell’applicazione ESC CVD Risk Calculation, inserendo tutti i parametri richiesti dai differenti score, consente una rapida stima del rischio individuale. I pazienti con malattia cardiovascolare accertata hanno tutti un rischio cardiovascolare molto alto.

Parole chiave. Fattori di rischio; Rischio cardiovascolare; Stratificazione del rischio.

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Farmacologia clinica delle terapie di associazione nella prevenzione e nel trattamento delle malattie cardiovascolari

Nicola Ferri1, Alberto Corsini2

1Dipartimento di Medicina, Università degli Studi, Padova

2Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari “Rodolfo Paoletti”, Università degli Studi, Milano

Hypertension and hypercholesterolemia represent two causal factors of atherosclerotic cardiovascular disease and are modulated by different molecular mediators. These mediators represent the pharmacological targets on which oral therapies have been developed for the control of hypertension and hypercholesterolemia. Pharmacological therapy aimed at modulating cardiovascular risk factors has demonstrated clinical efficacy with the results of several phase 3 clinical trials. In particular, the HMG-CoA reductase inhibitors, including rosuvastatin, and the inhibitor of the cholesterol transporter NPC1L1 ezetimibe are effective drugs in reducing levels of low-density lipoprotein cholesterol. On the other side, antihypertensive drugs include renin-angiotensin-aldosterone system inhibitors, such as angiotensin-converting enzyme inhibitors, or angiotensin receptor blockers, calcium channel blockers, beta-blockers and thiazide diuretics. Combination therapy, therefore, represents the most effective and tolerated approach for controlling both risk factors. Based on this evidence, fixed combination therapies have been developed which are useful in simplifying the treatment of patients at high cardiovascular risk. An essential condition for the development of fixed formulations is represented by the complementarity of the pharmacological action of the two or three associated drugs, and similar pharmacokinetic profile allowing the same frequency of administration. Furthermore, the pharmacokinetic profile of the two drugs given in fixed combination must not differ significantly from that observed with the two drugs administered individually. In this review the following fixed combination therapies are examined: rosuvastatin/ezetimibe, ramipril/amlodipine, candesartan/amlodipine, ramipril/amlodipine/hydrochlorothiazide and amlodipine/rosuvastatin, describing their pharmacodynamic and pharmacokinetic characteristics and their bioequivalence with respect to single therapies. This analysis provides essential information for the evaluation of their clinical effectiveness in the control of hypertension and hypercholesterolemia in patients at high cardiovascular risk.

Key words. Amlodipine; Bioequivalence; Candesartan; Ezetimibe; Fixed combination; Hydrochlorothiazide; Ramipril; Rosuvastatin.

G Ital Cardiol 2025;26(1 Suppl 2):e6-e16

CONTROLLO FARMACOLOGICO

DELL’IPERCOLESTEROLEMIA E DELL’IPERTENSIONE: DALL’IDENTIFICAZIONE DEI BERSAGLI

MOLECOLARI AL RAZIONALE DELLE TERAPIE DI COMBINAZIONE

L’ipercolesterolemia e l’ipertensione rappresentano i due principali fattori di rischio modificabili associati alle patologie cardiovascolari. I livelli di colesterolo plasmatico sono regolati da numerosi mediatori e la loro identificazione ha permesso di sviluppare terapie di associazione per il controllo del rischio cardiovascolare. L’armamentario terapeutico per il trattamento dei pazienti dislipidemici offre numerose opzioni che

© 2025 Il Pensiero Scientifico Editore

Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza:

Prof. Nicola Ferri Dipartimento di Medicina, Università degli Studi, Via Ospedale Civile 105, 35129 Padova

e-mail: nicola.ferri@unipd.it

permettono una personalizzazione della cura1. Tra le terapie orali ricordiamo le statine, ezetimibe ed acido bempedoico, ai quali si aggiungono gli inibitori di PCSK9 somministrati per via sottocutanea, quali gli anticorpi monoclonali evolocumab e alirocumab ed il siRNA inclisiran2. La terapia statinica rappresenta l’opzione terapeutica più consolidata da oltre 35 anni di esperienza per la cura dei pazienti dislipidemici, come confermato dai 29 studi clinici randomizzati che hanno documentato una riduzione significativa del colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) e della morbilità e mortalità cardiovascolare sia in prevenzione primaria sia secondaria3. Tuttavia, la monoterapia statinica non consente, sia per problemi di tollerabilità sia di efficacia, di trattare in modo adeguato tutti i pazienti eleggibili ad un trattamento ipolipemizzante4. La combinazione con ezetimibe rappresenta, ad oggi, la prima linea di intervento farmacologico per il trattamento dell’ipercolesterolemia. Ezetimibe è un inibitore selettivo della proteina NPC1L1 (Niemann-Pick C1-Like 1) in grado di ridurre l’assorbimento intestinale del colesterolo5. La proteina NPC1L1 è, infatti, responsabile della captazione in-

testinale di colesterolo e fitosteroli. Quindi l’associazione fissa statina/ezetimibe consente di inibire sia la via endogena (sintesi epatica) sia quella esogena (assorbimento intestinale) del colesterolo, consentendo una riduzione dei livelli plasmatici di C-LDL di oltre il 50% (Figura 1). Questo approccio è stato dimostrato essere molto valido nel prevenire gli eventi cardiovascolari in almeno tre grandi trial condotti con statine ed ezetimibe, quali lo SHARP, l’IMPROVE-IT e il RACING6-8

L’ipertensione primaria può essere accompagnata da alterazioni del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), regolazione autonomica cardiaca e vascolare centrale e periferica, sistema dell’endotelina e altri sistemi di controllo della funzionalità vascolare, compresi l’ossido nitrico e peptidi natriuretici9-13. Le conoscenze sui meccanismi coinvolti nel controllo dei livelli pressori hanno permesso l’identificazione di diversi bersagli al fine di ottimizzarne la modulazione farmacologica.

Nelle ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia14 si ribadisce che le quattro principali classi di farmaci raccomandate per la prima linea di trattamento dell’ipertensione sono gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), gli antagonisti del recettore dell’angiotensina (ARB), i

HMG-CoA

↓ sintesi colesterolo

Colesterolo

calcio-antagonisti (CCB) e i diuretici tiazidici e tiazido-simili. A questi si aggiungono i beta-bloccanti che possono essere utilizzati preferenzialmente in pazienti con angina, insufficienza cardiaca, con precedente infarto miocardico, o per il controllo della frequenza cardiaca14. La terapia prevede l’utilizzo di un inibitore del RAAS (ACE-inibitore o ARB) o un beta-bloccante limitatamente alle condizioni cliniche citate in precedenza. A questi farmaci si può aggiungere un CCB diidropiridinico o un diuretico tiazidico. Prendendo in considerazione la triplice terapia di combinazione con ACE-inibitore o ARB, calcio-antagonisti e diuretici tiazidici, la loro azione combinata su diversi organi coinvolti nel controllo della pressione arteriosa determina un effetto additivo sulla pressione stessa (Figura 2).

La sinergia tra farmaci cardioprotettivi, peraltro, non riguarda soltanto l’implementazione del controllo di un determinato fattore di rischio ma ha anche importanti ricadute favorevoli in termini di protezione cardiovascolare. Nello studio ASCOT-LLA, condotto in pazienti a elevato rischio cardiovascolare, l’aggiunta di una statina a una terapia antipertensiva con ACE-inibitore/ calcio-antagonista ha determinato un vantaggio incrementale in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari del 53% rispetto alla sola terapia antipertensiva15. La ricaduta pratica di

Ezetimibe Colesterolo

Azione complementare Riduzione additiva del colesterolo

Chilomicroni ↓ assorbimento colesterolo

Figura 1. Meccanismo complementare di statine ed ezetimibe per il controllo dell’ipercolesterolemia.

Figura 2. Meccanismo complementare sul controllo pressorio degli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE), antagonisti del recettore dell’angiotensina AT1, antagonisti dei canali del calcio di tipo L voltaggio-dipendenti (calcio-antagonisti) e diuretici tiazidici.

Azione
NPC1L1

questa interazione favorevole tra trattamento ipolipemizzante e antipertensivo è evidente se si considera che l’ipercolesterolemia rappresenta il più importante amplificatore di rischio nel paziente iperteso in ragione dello spiccato sinergismo tra questi fattori di rischio nel determinare eventi cardio- e cerebrovascolari14. Quindi, la combinazione di diversi farmaci cardioprotettivi nella stessa compressa consente una gestione integrata del rischio cardiovascolare.

TERAPIE DI COMBINAZIONE PER LA RIDUZIONE

DEI LIVELLI DI COLESTEROLO LDL: ROSUVASTATINA/EZETIMIBE

Profilo farmacocinetico

Le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di rosuvastatina ed ezetimibe sono riassunte in Tabella 1. I risultati di studi di farmacocinetica hanno dimostrato una relazione lineare tra la dose di rosuvastatina (da 20 mg a 80 mg) e le sue concentrazioni plasmatiche massime (Cmax) così come la sua esposizione sistemica (AUC0-24)16,17. L’assorbimento risulta rapido (Tmax di 3-5 h) seguito da un lungo tempo di emivita di eliminazione (T1/2) pari a 20.8 h (Tabella 1). Come tutte le statine, il farmaco va incontro ad un’alta estrazione epatica.

Solo una quota minima di rosuvastatina (10%) viene metabolizzata dopo somministrazione orale. Rosuvastatina è substrato del CYP2C9, mentre il 2C19, il 3A4 e il 2D6 sono coinvolti in misura minore. Dopo somministrazione di 20 mg di rosuvastatina radiomarcata, circa il 90% della radioattività la si ritrova nelle feci ed il 10% nelle urine (Tabella 1). A conferma della scarsa metabolizzazione del farmaco, il 92% di quello recuperato nelle feci è in forma di rosuvastatina. Dopo somministrazione orale, ezetimibe viene rapidamente assorbita e coniugata con acido glucuronico per formare il suo principale metabolita farmacologicamente attivo. Le concentrazioni plasmatiche medie al picco (Cmax) si raggiungono

Tabella 1. Caratteristiche farmacocinetiche di rosuvastatina ed ezetimibe.

Parametri

Biodisponibilità

Tmax (h)

dopo 1-2 h dall’assunzione per via orale per ezetimibe-glucuronide ed entro le 4-12 h per ezetimibe (Tabella 1)18. Ezetimibe ed il suo coniugato glucuronide vengono lentamente eliminati dal plasma, con un T1/2 di 22 h, risultato di un ricircolo enteroepatico importante19. Dopo la somministrazione orale di ezetimibe radiomarcata (20 mg) circa il 93% del farmaco raggiunge la circolazione ed il 78% e l’11% della radioattività la si ritrova rispettivamente nelle feci e nelle urine18

Il profilo farmacocinetico di rosuvastatina 10 mg e 20 mg ed ezetimibe 10 mg è stato messo a confronto con quello ottenuto dalla combinazione fissa dei due farmaci20,21. Questa combinazione è giustificata non solo dal meccanismo complementare di riduzione dei livelli di C-LDL ma anche dal loro profilo farmacocinetico simile, che ne permette una posologia del tutto sovrapponibile con una monosomministrazione giornaliera (Tabella 1).

Lo studio di farmacocinetica ha messo a confronto la biodisponibilità della combinazione fissa rosuvastatina 20 mg + ezetimibe 10 mg con la somministrazione di sola ezetimibe (10 mg) o sola rosuvastatina (20 mg)21. Il disegno dello studio ha previsto una randomizzazione in aperto con un crossover a due vie condotto su volontari sani dopo una singola somministrazione orale dei farmaci a digiuno. I risultati del profilo farmacocinetico hanno chiaramente dimostrato l’assoluta bioequivalenza sia di ezetimibe sia di rosuvastatina, quando somministrati in monoterapia o in combinazione fissa. I rapporti tra Cmax e AUC dei due farmaci somministrati singolarmente o in combinazione rientravano negli intervalli di confidenza (IC) dell’80-125% (Figura 3).

Profilo farmacodinamico

Il meccanismo d’azione, comune a tutte le statine, si basa sull’inibizione competitiva dell’enzima HMG-CoA riduttasi, tappa limitante della sintesi del colesterolo a livello principalmente epatico22. Le statine, inibendo questo enzima, riducono la sintesi de novo del colesterolo, attivando così il fattore di trascrizione sterolo-dipendente SREBP-2 in grado di aumen-

Non misurabile perché non può essere somministrata per via endovenosa

4-12; 1-2 per ezetimibe glucuronide Cmax (ng/ml)

T1/2 (h)

Legame alle proteine

Estrazione epatica

e 88-92% per ezetimibe glucuronide

Metaboliti attivi Modesti Sì (ezetimibe glucuronide)

epatica

Escrezione renale

Substrato trasportatori OATP1B1/1B3, OATP1A2, OATP2B1, OAT3, P-gp, BCRP P-gp, MRP2

Substrato CYP450 CYP2C9

Substrato UGT

UGT1A1/1A3/2B7

UGT1A1/1A3/2B7/2B15

BCRP, breast cancer resistance protein; Cmax, concentrazione massima plasmatica; CYP, citocromo P450; ND, non disponibile; OAT, trasportatore degli anioni organici; OATP, trasportatore degli anioni organici polipetidici; P-gp, glicoproteina P; T1/2, tempo di dimezzamento; Tmax, tempo richiesto per raggiungere la concentrazione massima; UGT, uridina glucuroniltransferasi; Vd, volume di distribuzione.

Rosuvastatina plasmatica A

Rosuvastatina/ezetimibe

Rosuvastatina

Ezetimibe totale plasmatica B

Rosuvastatina/ezetimibe Ezetimibe

Figura 3. Risultati dello studio di bioequivalenza di rosuvastatina 20 mg (A) ed ezetimibe 10 mg (B) dopo somministrazione in monoterapia o in combinazione.

Modificata da Hwang et al.21

tare l’espressione del recettore delle LDL, che si traduce in una maggiore captazione epatica delle lipoproteine circolanti contenenti apolipoproteina B (ApoB)23

Le statine riducono i livelli di C-LDL del 20-60% in modo dose-dipendente, con diversa potenza ed efficacia24,25. Questi farmaci determinano anche una riduzione modesta dei livelli di trigliceridi (10-30%) ed aumentano i livelli di colesterolo legato alle lipoproteine ad alta densità (HDL) (5-10%). Oltre a queste azioni, le statine riducono l’ApoB, il colesterolo non HDL, il colesterolo legato alle lipoproteine a densità molto bassa, ed aumentano l’ApoA-I 3. La rosuvastatina è il farmaco più efficace di questa classe poiché riduce il C-LDL di oltre il 50% (55-60% a 40 mg) ad una dose inferiore rispetto alle altre statine26

In termini di protezione cardiovascolare l’efficacia della rosuvastatina è stata dimostrata nello studio JUPITER in pazienti con livelli di C-LDL <130 mg/dl e di proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hs-CRP) ≥2.0 mg/l27. Rosuvastatina ha ridotto il rischio cardiovascolare del 44%26

Ezetimibe è l’unico farmaco della sua classe che agisce inibendo la proteina NPC1L1 coinvolta nell’assorbimento intestinale di colesterolo28. Ezetimibe ha, quindi, come bersaglio farmacologico l’intestino tenue dove andrà ad inibire l’assorbimento di colesterolo ed il suo trasferimento al fegato. Il trattamento di 2 settimane con 10 mg di ezetimibe determina una riduzione del 54% dell’assorbimento di colesterolo29 La sola ezetimibe è in grado di ridurre i livelli di C-LDL e di colesterolo totale rispettivamente del 20% e 15%, mentre i marcatori di assorbimento come campesterolo e sitosterolo si riducono rispettivamente del 48% e 41%29

Rosuvastatina ed ezetimibe esercitano, quindi, azioni complementari nella riduzione dei livelli di colesterolo, ovvero l’inibizione della sua biosintesi epatica e del suo assorbimento intestinale, che giustifica appieno il loro utilizzo in associazione. La co-somministrazione di ezetimibe porta, infatti, ad un’ulteriore riduzione del C-LDL del 18-20%, indipendentemente dalla dose e dal tipo di statina utilizzata (Tabella 2)30. Questa combinazione ha anche dimostrato di ridurre in maniera significativa il rischio di eventi cardiovascolari in relazione alla riduzione del C-LDL sia nei pazienti nefropatici sia con sindrome coronarica acuta6,7 Molto importanti sono i risultati dello studio RACING che ha valutato l’efficacia e la sicurezza del trattamento a lungo termine con statine a moderata intensità in combinazione con ezetimibe rispetto alla monoterapia con statine ad alta inten-

sità in pazienti con patologia aterosclerotica cardiovascolare8 Nel follow-up di 3 anni si è potuto osservare come la combinazione di statine a moderata intensità con ezetimibe fosse non inferiore alla sola terapia statinica ad alta intensità in termini di protezione cardiovascolare a parità di riduzione del C-LDL. Di vantaggio la combinazione ha portato ad una percentuale più elevata di pazienti con concentrazioni di C-LDL <70 mg/dl ed una minor percentuale di interruzione del trattamento a causa di eventi avversi. Infatti, le statine, sebbene siano sicure e ben tollerate, possono determinare delle complicanze muscolari, aumento dell’insorgenza di diabete di tipo 2 e dei livelli di aminotransferasi epatiche31. La prevalenza di soggetti considerati intolleranti completi alle statine è spesso sovrastimata a causa di un importante effetto “nocebo” che precondiziona all’insorgenza di mialgie o dolori muscolari, come dimostrato dallo studio ASCOT-LLA32. Un’analisi di più di 4 milioni di pazienti ha riportato che la prevalenza complessiva dell’intolleranza alle statine è pari al 9.1% (IC 95% 8.0-10%)33

Interazioni farmacologiche

La terapia statinica in combinazione con ezetimibe prevede un trattamento cronico prevalentemente in soggetti o pazienti anziani con multi-morbilità e politrattati. Circa la metà

Tabella 2. Effetto ipolipemizzante di ezetimibe in associazione con rosuvastatina.

Trattamento Colesterolo totale (% di riduzione) Colesterolo LDL (% di riduzione)

Rosuvastatina

Ezetimibe/rosuvastatina

Media ezetimibe/ rosuvastatina

Modificata da De Luca et al.30

di tutti i farmaci attualmente disponibili nella pratica clinica sono metabolizzati dal CYP3A4, tra questi anche la simvastatina, la lovastatina e l’atorvastatina34. Pertanto, le statine sono suscettibili di interazioni farmacologiche quando co-somministrate con potenziali inibitori di questo enzima. Miositi e rabdomiolisi sono state riportate in seguito all’uso concomitante di simvastatina o lovastatina e ciclosporina A, antifungini azolici (ketoconazolo, itraconazolo), inibitori della proteasi (ritonavir), alcuni antibiotici macrolidi, tra cui eritromicina, azitromicina e claritromicina35. Tuttavia, rosuvastatina si distingue da queste andando incontro ad un modesto metabolismo epatico mediato principalmente dal CYP2C9. Questa sua scarsa metabolizzazione ne riduce la propensione alle interazioni farmacologiche con altri farmaci in grado di modulare l’attività del CYP3A436. Rosuvastatina, così come tutte le statine, è substrato sia del trasportatore epatico OATP1B1 sia della glicoproteina P (P-gp) e per questo motivo possono andare incontro ad interazioni farmacologiche con inibitori o induttori di questi trasportatori. Infine, l’eliminazione renale di rosuvastatina è mediata dall’interazione con il trasportatore OAT3 e prevede una secrezione tubulare attiva con una clearance pari a 226 ml/min36. Questa sua caratteristica ha portato alla controindicazione di 40 mg di rosuvastatina in pazienti con danno renale moderato, ed il suo non utilizzo in caso di grave danno renale. Inibitori potenti di OAT3, quali il probenecid, possono determinarne un’aumentata esposizione sistemica di rosuvastatina. In questo contesto, è importante sottolineare che la co-somministrazione di rosuvastatina con acido bempedoico, debole inibitore di OATP1B1/3 e dei trasportatori OAT2/3, non determina un aumento significativo della sua esposizione sistemica (+1.5 volte), permettendone la loro combinazione per un efficace controllo dei livelli plasmatici di colesterolo37

Box 1. Terapia di associazione per il controllo dell’ipercolesterolemia

• La terapia di combinazione con statine ed ezetimibe rappresenta la prima linea di intervento per raggiungere i target terapeutici di C-LDL in pazienti ad alto rischio cardiovascolare.

• La co-somministrazione di due farmaci ipolipemizzanti con meccanismi d’azione complementari, quali rosuvastatina ed ezetimibe, permette di migliorare l’efficacia terapeutica con un ottimo profilo di sicurezza e tollerabilità.

• Tra le diverse statine, rosuvastatina risulta la più efficace e con il minor rischio di interazioni farmacologiche.

• La combinazione tra dosi moderate di statine con ezetimibe ha dimostrato un miglior profilo di tollerabilità e di aderenza rispetto al trattamento con solo statine ad alte dosi.

TERAPIE DI COMBINAZIONE PER IL CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA: RAMIPRIL/ AMLODIPINA, CANDESARTAN/AMLODIPINA E RAMIPRIL/AMLODIPINA/IDROCLOROTIAZIDE

Profilo farmacocinetico

Le caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di ramipril/ramiprilato, candesartan cilexetil, amlodipina e idroclorotiazide sono riassunte in Tabella 3.

Ramipril è un profarmaco che viene rapidamente assorbito nel tratto gastrointestinale con un picco di Cmax osservabile entro 1 h dalla somministrazione orale38. Ramipril viene metabolizzato prevalentemente a livello epatico ad opera delle esterasi (75% del metabolismo totale) producendo il metabolita attivo ramiprilato. La biodisponibilità del metabolita attivo ramiprilato, dopo somministrazione orale di 2.5 mg e 5 mg di ramipril, è del 45% e non viene influenzata dalla presenza di cibo. Le Cmax di ramiprilato, unico metabolita attivo di ramipril, si raggiungono 2-4 h dopo l’assunzione del farmaco. Il legame di ramipril e ramiprilato con le proteine sieriche è rispettivamente pari a circa il 73% ed il 56%. Anche il rene contribuisce alla conversione di ramipril in ramiprilato. Altri metaboliti, l’estere della dichetopiperazina, l’acido della dichetopiperazina e i glucuronidi del ramipril e del ramiprilato, sono inattivi.

L’eliminazione dei metaboliti avviene principalmente per via renale. A causa del suo legame potente e saturabile all’ACE e della lenta dissociazione dall’enzima, il ramiprilato mostra una fase terminale di eliminazione prolungata con concentrazioni plasmatiche molto basse. L’emivita effettiva del ramiprilato è trifasica con una prima fase di eliminazione di 2-4 h, una seconda di circa 9-18 h ed una terminale di più di 50 h per le dosi da 2.5 a 10 mg (Tabella 3)39

Candesartan cilexetil, a seguito di somministrazione orale, viene convertito nel suo principio attivo candesartan. La biodisponibilità assoluta di candesartan, dopo somministrazione orale di candesartan cilexetil, è stata stimata essere pari al 14%. I valori medi di Cmax vengono raggiunti in 3-4 h dall’assunzione. Le concentrazioni sieriche di candesartan aumentano in modo lineare con l’incremento delle dosi nel range terapeutico. L’esposizione sistemica non risulta influenzata dal cibo in maniera significativa. Candesartan è altamente legato alle proteine plasmatiche (più del 99%) ed il volume di distribuzione è pari a 0.1 l/kg (Tabella 3).

Candesartan viene eliminato quasi interamente immodificato per via renale e biliare e solo in misura minore attraverso il metabolismo epatico ad opera del CYP2C9; quindi, il farmaco risulta poco suscettibile di interazioni farmacologiche con inibitori o induttori farmacometabolici. L’escrezione renale avviene sia per filtrazione glomerulare sia per secrezione tubulare attiva. A seguito di dose orale di candesartan cilexetil radiomarcato 14C, circa il 26% della dose è escreta nelle urine come candesartan e il 7% come metabolita inattivo, mentre circa il 56% della dose la si ritrova nelle feci come candesartan e il 10% come metabolita inattivo.

L’amlodipina è assorbita in modo graduale con un picco plasmatico tra 6-12 h dopo la somministrazione orale. La biodisponibilità assoluta è stata stimata tra il 64% e l’80%. Il volume di distribuzione è di circa 21 l/kg ed il legame alle proteine plasmatiche è pari al 97.5%38. La biodisponibilità di amlodipina non è influenzata dall’assunzione di cibo.

Il tempo di emivita terminale di eliminazione plasmatica dell’amlodipina è di circa 35-50 h. L’amlodipina è ampiamente metabolizzata dal fegato in metaboliti inattivi e il 10% viene eliminato con le urine tal quale mentre il 60% in forma di metaboliti.

L’idroclorotiazide ha un assorbimento rapido con un picco a 2 h dopo la somministrazione orale38. La biodisponibilità assoluta è di circa il 70% e non è influenzata dalla presenza di cibo. L’idroclorotiazide si accumula negli eritrociti, raggiun-

Tabella 3. Caratteristiche farmacocinetiche e farmacodinamiche di ramipril, candesartan, amlodipina e idroclorotiazide.

Ramipril/ramiprilato

Bersaglio

Canali del calcio di tipo L voltaggio-dipendenti

Effetto del cibo Nessun effetto Nessun effetto Nessun effetto Effetto trascurabile (-10% biodisponibilità) Vd (l/kg)

Profarmaco Sì Sì No No Tmax (h) 1/2.5 3-4

di emivita (h)

Metabolismo (CYP) No

CYP3A4, CYP2D6 No

Substrato P-gp No Sì candesartan cilexetil No No

Substrato di altri trasportatori No

Posologia (mg/die) 5/10 8/16/32 5/10 12.5/25

ACE, enzima di conversione dell’angiotensina; CYP, citocromo P450; MRP, multidrug resistance associated protein; ND, non disponibile; OAT, trasportatore degli anioni organici; OCT, trasportatore dei cationi organici; P-gp, glicoproteina P; Tmax, tempo richiesto per raggiungere la concentrazione massima plasmatica; URAT1, trasportatore dell’acido urico 1; Vd, volume di distribuzione.

gendo, dopo 10 h, concentrazione pari a circa 3 volte quelle del plasma. Il legame alle proteine plasmatiche è di circa il 4070% ed il volume di distribuzione di circa 4-8 l/kg. L’emivita è molto variabile e stimabile tra le 6 e le 25 h. L’idroclorotiazide viene eliminata quasi esclusivamente (>95%) dal plasma in forma immodificata con il 60-80% per via renale ed il 24% con le feci.

La combinazione di due o più farmaci rappresenta il “gold-standard” della terapia antipertensiva14. I farmaci che vengono assunti in combinazione devono possedere delle azioni farmacologiche complementari e proprietà farmacocinetiche compatibili. A tal fine sono stati eseguiti degli studi di biodisponibilità che hanno messo a confronto il profilo

farmacocinetico dei farmaci somministrati in monoterapia vs combinazioni fisse. Questi confronti sono stati eseguiti con la combinazione amlodipina/candesartan (Figura 4)40. Il profilo farmacocinetico è risultato del tutto sovrapponibile con rapporti tra Cmax e AUC dei due farmaci somministrati in combinazione o singolarmente che rientravano negli IC dell’80125%40

Questi risultati avvalorano l’approccio delle combinazioni fisse di farmaci in un’unica forma farmaceutica permettendone un profilo farmacocinetico, e quindi di efficacia, bioequivalenti a quello dei principi attivi dati singolarmente. Questo approccio semplifica l’assunzione delle terapie migliorando l’aderenza e la compliance dei pazienti.

plasmatico

Figura 4. Risultati dello studio di bioequivalenza di amlodipina (A) e candesartan (B) dopo somministrazione in monoterapia o in combinazione. Modificata da Lee et al.40

Profilo farmacodinamico

Il ramiprilato, metabolita attivo del profarmaco ramipril, inibisce l’ACE41 a livello plasmatico e tessutale, determinando una riduzione nella conversione dell’angiotensina I in angiotensina II, e nella degradazione del vasodilatatore bradichinina. La riduzione del tono vasale ad opera di ramipril è quindi determinata sia dall’inibizione della sintesi di angiotensina II, sia dalla riduzione della degradazione della bradichinina; questo provoca un decremento delle resistenze periferiche e del postcarico. Tramite queste due azioni ramipril determina una vasodilatazione con conseguente effetto antipertensivo (Figura 2). Dopo somministrazione di una dose singola, il ramipril esercita la sua azione antipertensiva dopo 1 o 2 h dall’assunzione. L’effetto massimo si manifesta dopo 3-6 h e si protrae per almeno 24 h38. L’angiotensina II, a seguito dell’interazione con il suo recettore specifico AT1, stimola anche il rilascio di aldosterone, ed il ramipril ne riduce la secrezione esercitando un effetto inibitorio sull’azione sodio-ritentiva mediata dall’induzione della trascrizione genica del canale epiteliale apicale del sodio ENaC e la pompa baso-laterale Na+/K+ ATPasi42

In maniera simile, il candesartan inibisce direttamente l’interazione dell’angiotensina II con il recettore AT1 sia a livello vascolare sia surrenalico, promuovendo una vasodilatazione ed una riduzione del rilascio di aldosterone. L’antagonismo recettoriale non competitivo, che caratterizza alcuni sartani (ad esempio candesartan e olmesartan), rende ragione di una inibizione prolungata e irreversibile del recettore, a differenza di quanto accade con losartan che, invece, induce una inibizione transitoria e prontamente reversibile. Si osserva, infatti, un effetto antipertensivo prolungato anche in concomitanza di assenza del farmaco nel circolo sistemico, fenomeno definito di isteresi farmacologica. Questa differenza farmacodinamica determina importanti ripercussioni sul piano clinico. Relativamente all’attività antipertensiva di tali farmaci, studi clinici di confronto confermano, infatti, che l’efficacia antipertensiva di losartan sia inferiore rispetto a quella del candesartan43,44 Come altri farmaci antipertensivi, appartenenti alla classe delle diidropiridine, l’amlodipina blocca i canali del calcio di tipo L nelle cellule muscolari lisce dei vasi sanguigni, rilassandoli e abbassando così le resistenze periferiche e la pressione arteriosa (Figura 2). La somministrazione di una dose singola di amlodipina determina una riduzione significativa della pressione arteriosa che si prolunga fino a 24 h.

Infine, l’idroclorotiazide agisce riducendo il riassorbimento di sodio e cloro nel tubulo distale mediante l’inibizione del co-trasportatore Solute Carrier Family 12 Member 3 (SLC12A3)45,46. Questo effetto promuove il riassorbimento passivo di ioni Ca++. Inoltre, si osserva un aumento dell’escrezione di ioni Na+ e di acqua nel dotto collettore che porta ad un’aumentata secrezione di ioni K+ e H+ accompagnata da un aumento della produzione di urina. La diuresi indotta da idroclorotiazide si osserva dopo 2 h dalla somministrazione, con un effetto massimo a 4 h ed una durata di circa 6-12 h.

L’effetto antipertensivo di idroclorotiazide potrebbe, quindi, essere la risultante della perdita di sodio, della riduzione dell’acqua extracellulare e del volume plasmatico, della diminuzione delle resistenze vascolari renali e della risposta a noradrenalina e angiotensina II (Figura 2). Inoltre, la riduzione della concentrazione di sodio e l’attivazione del canale del K+ nelle pareti dei vasi sanguigni sarebbero alla base della riduzione delle resistenze periferiche in risposta a idroclorotiazide47,48 L’effetto antipertensivo iniziale è, quindi, principalmente do-

vuto alla diminuzione del volume plasmatico, mentre a lungo termine l’effetto diuretico diminuisce, il volume plasmatico ritorna ai livelli pretrattamento, mentre le resistenze vascolari diminuiscono.

Mettendo a confronto l’efficacia antipertensiva e la tollerabilità di idroclorotiazide, clortalidone, indapamide, bendroflumetiazide, ciclopentiazide e metolazone in pazienti con ipertensione essenziale si è concluso che l’effetto antipertensivo massimo è sovrapponibile tra i diuretici posti in analisi. Inoltre, si è evidenziata una riduzione sovrapponibile dei livelli ematici di K+ ed un incremento simile dei livelli sierici di acido urico, colesterolo totale e trigliceridi49

Numerosi studi clinici hanno dimostrato la maggior efficacia nel ridurre la pressione arteriosa della combinazione triplice di un ACE-inibitore o ARB, con un CCB e idroclorotiazide, rispetto a varie combinazioni doppie, con un buon profilo di sicurezza/tollerabilità50-55. L’effetto antipertensivo dell’aggiunta di ramipril alla duplice terapia con amlodipina e idroclorotiazide è stato, inoltre, valutato in pazienti ipertesi con diabete di tipo 2 ed ipertrofia ventricolare sinistra56. L’aggiunta di ramipril ha prodotto una riduzione significativa nei valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica pari, rispettivamente, a 13.4 mmHg e 10.4 mmHg56

Interazioni farmacologiche

L’uso concomitante di amlodipina con inibitori potenti o moderati del CYP3A4 (inibitori della proteasi, antifungini azolici, macrolidi quali eritromicina o claritromicina, verapamil o diltiazem) può causare un aumento significativo dell’esposizione al farmaco con possibile insorgenza di effetti collaterali e ipotensivi. Il significato clinico di queste variazioni farmacocinetiche può essere più pronunciato negli anziani. Pertanto, può essere richiesto un monitoraggio clinico e un aggiustamento del dosaggio38

Al momento della somministrazione concomitante di induttori noti del CYP3A4, la concentrazione plasmatica di amlodipina può variare. Pertanto, deve essere monitorata la pressione sanguigna e valutata un’eventuale interruzione del trattamento con farmaci concomitanti, in particolare con forti induttori del CYP3A4 (ad es. rifampicina, Hypericum perforatum).

Amlodipina è un debole inibitore del CYP3A4 e la co-somministrazione di dosi ripetute di 10 mg di amlodipina con simvastatina 80 mg ha determinato un aumento del 77% dell’esposizione alla simvastatina rispetto a simvastatina da sola. È consigliabile limitare la dose di simvastatina a 20 mg/die in pazienti in terapia con amlodipina. La combinazione amlodipina con atorvastatina o simvastatina ha portato alla pubblicazione di casi di rabdomiolisi57. Al contrario, non sono stati riportati casi di interazione tra amlodipina e rosuvastatina58

Ramipril e idroclorotiazide non sono soggetti ad interazioni di tipo farmacocinetico non essendo substrati dei CYP450, a supporto ulteriore della validità della combinazione con amlodipina.

Per quanto riguarda il candesartan non sono state osservate interazioni farmacologiche rilevanti con nifedipina, glibenclamide (gliburide), digossina, etinilestradiolo levonorgestrel, warfarin o idroclorotiazide59. Anche la combinazione di candesartan con amlodipina e atorvastatina non ha evidenziato interazioni farmacologiche60. Come con gli ACEinibitori, il candesartan cilexetil può provocare un aumento reversibile delle concentrazioni sieriche di litio. Infine, è stato riportato un caso di marcato effetto ipotensivo dopo assun-

zione di candesartan cilexetil in un paziente con ipertensione e insufficienza cardiaca portatore di un polimorfismo genetico a carico del CYP2C961. Il soggetto era un eterozigote metabolizzatore lento CYP2C9*1*3 con conseguente riduzione del 40% della clearance del farmaco. Questo aspetto è particolarmente rilevante considerando che il 4% dei giapponesi e il 10% dei caucasici sono portatori di questo polimorfismo61

Box 2. Terapia di associazione per il controllo dell’ipertensione

• La combinazione di due o più farmaci rappresenta il “gold-standard” della terapia antipertensiva. I farmaci che vengono assunti in combinazione devono possedere delle azioni farmacologiche complementari e proprietà farmacocinetiche compatibili.

• La co-somministrazione di due farmaci antipertensivi con meccanismi d’azione complementari è richiesta nella maggior parte dei pazienti ipertesi.

• La triplice associazione di CCB diidropiridinici con tiazidici ed inibitori del RAAS, quali ACE-inibitori o ARB, ha documentato efficacia e sicurezza della terapia a lungo termine rispetto alle monoterapie.

• La terapia di associazione a dosi fisse in un’unica forma farmaceutica permette di ottenere un rapido controllo dei valori pressori e di migliorare l’adesione a lungo termine della terapia con potenziale impatto positivo nel controllo del rischio cardiovascolare dei pazienti ipertesi.

TERAPIA DI COMBINAZIONE PER LA RIDUZIONE

DEI LIVELLI DI COLESTEROLO LDL E PER IL

CONTROLLO DELLA PRESSIONE ARTERIOSA: AMLODIPINA/ROSUVASTATINA

Profilo farmacocinetico

Le caratteristiche farmacocinetiche di amlodipina e rosuvastatina sono state descritte in precedenza ed il loro profilo è stato studiato mettendo a confronto i due famaci somministrati in monoterapia e in combinazione fissa62. Un primo studio ha previsto la randomizzazione cross-over in aperto di 36 volontari sani. I valori di AUClast e Cmax sia di amlodipina sia di rosuvastatina sono rientrati negli IC certificandone la loro bioequivalenza (Figura 5)62

Un secondo studio ha previsto il confronto del profilo farmacocinetico delle somministrazioni singole di rosuvastatina e amlodipina rispetto alla combinazione fissa amlodipina, losartan, ezetimibe e rosuvastatina63. I profili farmacocinetici sia di rosuvastatina sia di amlodipina si sono dimostrati del tutto sovrapponibili tra la somministrazione singola e quella in combinazione. I rapporti delle medie geometriche con IC 90% della Cmax e AUC rientravano nell’intervallo 0.8-1.2563

Questi due studi dimostrano chiaramente che la combinazione amlodipina/rosuvastatina ha un profilo farmacocinetico del tutto sovrapponibile a quello dei due farmaci somministrati singolarmente. La bioequivalenza permette di concludere che l’efficacia e la sicurezza clinica delle due forme farmaceutiche siano simili e possono essere utilizzate indistintamente da un punto di vista terapeutico (ovvero con le stesse indicazioni terapeutiche).

Profilo farmacodinamico

L’efficacia della combinazione rosuvastatina/amlodipina nel controllare sia i valori pressori sia i livelli di C-LDL è stata confrontata con quella dei due farmaci somministrati singolarmente64. Questa combinazione ha mostrato una maggiore efficacia nel ridurre sia i valori della pressione arteriosa sia quelli lipidici rispetto ai due farmaci somministrati separatamente64

Kim et al.64 hanno dimostrato che i soggetti che hanno ricevuto la combinazione rosuvastatina/amlodipina hanno ottenuto una riduzione maggiore dei livelli di pressione arteriosa sistolica e diastolica e di C-LDL rispetto ai soggetti trattati solo con rosuvastatina o amlodipina. La percentuale di pazienti in cui i livelli di pressione arteriosa sistolica e diastolica sono diminuiti, rispettivamente, di ≥20 mmHg e ≥10 mmHg (circa il 74%) e nei quali sono stati raggiunti i target di C-LDL (circa il 92%) è stata più alta nel gruppo rosuvastatina/amlodipina64

Inoltre, la monosomministrazione di rosuvastatina/amlodipina (10/5 mg) e rosuvastatina/amlodipina (20/5 mg) si è dimostrata più efficace della combinazione atorvastatina/amlodipina (20/5 mg) in termini di riduzione del C-LDL e del raggiungimento del target previsto65. Quindi, il miglioramento simultaneo della pressione arteriosa e del profilo lipidico aterosclerotico in risposta alla combinazione rosuvastatina/amlodipina può ridurre ulteriormente il rischio cardiovascolare.

Amlodipina plasmatica Rosuvastatina plasmatica A B

Amlodipina/rosuvastatina

Amlodipina

Amlodipina/rosuvastatina

Rosuvastatina

Figura 5. Risultati dello studio di bioequivalenza di amlodipina (A) e rosuvastatina (B) dopo somministrazione in monoterapia o in combinazione. Modificata da Park et al.62

Interazioni farmacologiche

Come indicato precedentemente, amlodipina è substrato ed un debole inibitore del CYP3A4 comportandone la possibile interazione con inibitori o induttori di questo enzima. Per rosuvastatina, invece, l’interazione è più a carico di una inibizione o induzione della P-gp e dei trasportatori OAT e APTP. La valutazione del profilo farmacocinetico dell’assunzione combinata di ezetimibe/rosuvastatina (10/20 mg) con la combinazione fissa telmisartan/amlodipina (80/5 mg), in volontari sani, non ha evidenziato interazioni farmacocinetiche clinicamente rilevanti66 Sulla base di queste premesse, esiste un forte razionale per la combinazione di rosuvastatina con amlodipina.

Box 3. Terapia di associazione per il controllo di differenti fattori di rischio cardiovascolare

• L’uso di combinazioni precostituite di farmaci appartenenti a categorie diverse rappresenta un elemento da considerare prioritariamente tra le diverse strategie di intervento nel singolo paziente.

• Il controllo di due fattori di rischio con un’unica combinazione precostituita di farmaci coniuga efficacemente la semplificazione terapeutica con una sinergia di efficacia protettiva, garantendo quella resa terapeutica ottimale che deve essere l’obiettivo finale di ogni strategia di intervento.

• La combinazione rosuvastatina/amlodipina offre all’armamentario terapeutico un valore aggiunto grazie ad un profilo farmacologico di particolare rilevanza clinica che permette di associare in combinazione fissa due principi attivi in una compressa con elevata efficacia associata ad un ottimo profilo di sicurezza.

CONCLUSIONI

L’uso di combinazioni precostituite di farmaci rappresenta un approccio personalizzato in quanto coniuga efficacemente una semplificazione del trattamento con la sinergia di efficacia protettiva, garantendo quella resa terapeutica ottimale che deve essere l’obiettivo finale di ogni strategia di intervento14,67. Per il controllo dell’ipercolesterolemia, la terapia di combinazione con statine ed ezetimibe aiuta certamente a raggiungere i livelli target di C-LDL in un gran numero di pazienti a rischio cardiovascolare alto e molto alto, evitando alcuni problemi di sicurezza associati agli alti dosaggi della terapia con statine. Tra le diverse statine, rosuvastatina può rappresentare dei vantaggi essendo la più efficace e con il minor rischio di interazioni farmacologiche. Inoltre, la combinazione tra dosi moderate di statine con ezetimibe ha dimostrato un miglior profilo di tollerabilità e di aderenza rispetto al trattamento con solo statine ad alte dosi.

Per quel che riguarda la terapia antipertensiva, gli ACEinibitori, gli ARB, i diuretici e i CCB costituiscono il fondamento del trattamento farmacologico combinato per il controllo dell’ipertensione. Ramipril, candesartan, idroclorotiazide e amlodipina soddisfano i criteri di scelta dei principali farmaci antipertensivi. Questi farmaci hanno azioni farmacologiche complementari e proprietà farmacocinetiche compatibili per

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lo sviluppo di terapie fisse di combinazione. Questa combinazione offre all’armamentario terapeutico un valore aggiunto grazie ad un profilo farmacologico di particolare rilevanza clinica che permette di associare in combinazione tre principi attivi in una compressa con attività complementare ed additiva associata ad un ottimo profilo di sicurezza.

Non solo esiste un forte razionale per lo sviluppo di triplici combinazioni per il controllo dell’ipertensione ma anche l’utilizzo di duplici terapie contenenti il CCB amlodipina in aggiunta ad un inibitore del RAAS, quali ramipril o candesartan, rappresenta un vantaggio in termini di aderenza terapeutica per il trattamento di pazienti ipertesi. Infine, l’utilizzo di combinazioni precostituite di farmaci di categorie diverse, quali amlodipina/rosuvastatina, è alla base delle diverse strategie di intervento per il controllo dei fattori di rischio nel singolo paziente in quanto coniuga efficacemente la semplificazione terapeutica con una sinergia di efficacia protettiva, garantendo un’ottimale resa terapeutica.

RIASSUNTO

L’ipertensione e l’ipercolesterolemia rappresentano due fattori causali della patologia cardiovascolare su base aterosclerotica e sono modulati da numerosi mediatori molecolari. Questi mediatori rappresentano i bersagli farmacologici su cui si sono sviluppate le terapie orali per il controllo dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia. La terapia farmacologica mirata a modulare i fattori di rischio cardiovascolare ha dimostrato efficacia clinica con i risultati di numerosi studi clinici di fase 3. In particolare, gli inibitori della HMG-CoA riduttasi, tra i quali la rosuvastatina, e del trasportatore del colesterolo NPC1L1 ezetimibe, sono farmaci efficaci nel ridurre i livelli di colesterolo associato alle lipoproteine a bassa densità. Sul secondo versante, i farmaci antipertensivi comprendono gli inibitori del sistema renina-angiotensina-aldosterone, quali gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina o gli antagonisti del recettore dell’angiotensina, i calcio-antagonisti, i beta-bloccanti e i diuretici tiazidici. La terapia di combinazione rappresenta, quindi, l’approccio più efficace e meglio tollerato per il controllo di entrambi i fattori di rischio. Sulla base di queste evidenze si sono sviluppate terapie di associazione fisse utili nella semplificazione del trattamento dei pazienti ad alto rischio cardiovascolare. Condizione necessaria per lo sviluppo di queste formulazioni è rappresentata dalla complementarità nell’azione farmacologica dei due o tre farmaci associati, e dalla sovrapponibilità del profilo farmacocinetico al fine di permetterne la stessa frequenza di somministrazione. Inoltre, il profilo farmacocinetico dei due farmaci dati in associazione fissa non deve differire in maniera significativa da quello osservato con i due farmaci somministrati singolarmente. In questa rassegna vengono esaminate le seguenti terapie di associazione fisse: rosuvastatina/ezetimibe, ramipril/amlodipina, candesartan/amlodipina, ramipril/amlodipina/idroclorotiazide e amlodipina/ rosuvastatina, descrivendone le caratteristiche farmacodinamiche e farmacocinetiche e la loro bioequivalenza rispetto alle terapie singole. Questa analisi fornisce informazioni essenziali per la valutazione della loro efficacia clinica nel controllo dell’ipertensione e dell’ipercolesterolemia nei pazienti ad alto rischio cardiovascolare. Parole chiave. Amlodipina; Bioequivalenza; Candesartan; Combinazioni fisse; Ezetimibe; Idroclorotiazide; Ramipril; Rosuvastatina.

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La terapia di associazione nel trattamento dell’ipercolesterolemia: prevenzione primaria e secondaria

U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Roma

The reduction of low-density lipoprotein cholesterol (LDL-C) is the cornerstone of atherosclerotic cardiovascular diseases management, both in primary and secondary prevention. The use of more lipid-lowering agents represents an effective and safe option to reduce LDL-C with the advantage of a better adherence to treatment compared to the use of higher statin dosages as monotherapy. This review focuses on therapeutic targets as recommended in different clinical settings in primary and secondary prevention, and analyzes evidence on the statin/ezetimibe combination use in primary prevention. Furthermore, we discuss the impact of rosuvastain/ezetimibe combination in secondary prevention and report available data on LDL-C reduction and on the effects on atherosclerotic plaques and clinical events.

Key words. Cholesterol; Combination therapy; Ezetimibe; Prevention; Rosuvastatin.

G Ital Cardiol 2025;26(1 Suppl 2):e17-e22

INTRODUZIONE

La riduzione del colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) rappresenta un intervento cruciale nella prevenzione delle malattie cardiovascolari aterosclerotiche (ASCVD). Numerosi studi hanno dimostrato una correlazione lineare tra la riduzione dei livelli di C-LDL e la riduzione del rischio di eventi, non solo con le statine ma anche con altri farmaci ipolipemizzanti. Ogni riduzione di 1 mmol/l (38 mg/dl) della concentrazione plasmatica di C-LDL è associata ad una riduzione del rischio relativo di eventi cardiovascolari avversi maggiori (MACE) del 23%1. Ampie metanalisi hanno dimostrato che il controllo dei livelli di C-LDL consente una riduzione del rischio cardiovascolare con un beneficio clinico netto anche nel contesto della prevenzione primaria2,3

In considerazione della dimostrata efficacia e sicurezza del trattamento con statine, nella gestione dell’ipercolesterolemia le linee guida prevedono un approccio graduale e progressivamente intensivo con l’impiego delle statine come terapia di prima linea in associazione agli interventi sullo stile di vita4. Le stesse linee guida sottolineano anche che la scelta del trattamento deve essere il risultato di un processo decisionale condiviso tra clinico e paziente, che quindi deve prendere in considerazione anche le preferenze del paziente4. Nella pratica clinica una parte dei pazienti trattati con statine non hanno la risposta attesa per diversi motivi, da possibili cause genetiche all’intolleranza al trattamento o a causa della mancata aderenza alle prescrizioni. Inoltre, mentre il raddoppio del do-

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Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.

Per la corrispondenza:

Dr.ssa Stefania Angela Di Fusco U.O.C. Cardiologia Clinica e Riabilitativa, Presidio Ospedaliero San Filippo Neri - ASL Roma 1, Via Martinotti 20, 00135 Roma e-mail: stefaniaa.difusco@aslroma1.it

saggio della statina consente una riduzione incrementale del livello di C-LDL di circa il 6%5, la terapia di associazione di differenti classi di farmaci ipolipemizzanti permette di avere un effetto additivo in termini di riduzione di C-LDL. È stato stimato che l’impiego di una terapia di combinazione statina/ ezetimibe in formulazioni di associazione precostituite (fixed dose combination, FDC) rispetto all’uso dei singoli componenti comporta una riduzione dei MACE (-6.4% vs -5.4%)6, riduzione stimata ipotizzando l’impiego della terapia di combinazione secondo le indicazioni delle linee guida del 2019 e confrontando i MACE attesi con tali associazioni rispetto al trattamento abituale pre-aggiornamento linee guida.

Negli ultimi anni esperti a livello internazionale7-9 enfatizzano la necessità di passare dal concetto di statina ad alta intensità a quello di terapia ipolipemizzante ad elevata intensità, soprattutto nei pazienti a più alto rischio cardiovascolare, focalizzando dunque l’attenzione sull’efficacia terapeutica e non sul tipo di farmaco utilizzato. In effetti un impiego precoce della terapia di combinazione può portare a un miglioramento della prognosi soprattutto nei pazienti a più alto rischio9-11. In questa rassegna, dopo aver puntualizzato i target terapeutici indicati dalle linee guida internazionali più recenti sulla base dello specifico contesto clinico, vengono esaminate le evidenze relative all’impiego della terapia di combinazione in prevenzione primaria e secondaria, con un focus sull’associazione rosuvastatina/ezetimibe (Figura 1).

TARGET

TERAPEUTICI

IN PREVENZIONE

PRIMARIA E SECONDARIA ED EVIDENZE NEL MONDO REALE

In prevenzione primaria l’entità di riduzione dei livelli di C-LDL desiderata viene stabilita sulla base del beneficio atteso in termini di guadagno di anni privi di eventi cardiovascolari (infarto miocardico ed ictus)4. Tale beneficio viene stimato considerando il rischio cardiovascolare globale definito dai seguenti fat-

Figura 1. Effetti del trattamento di combinazione con rosuvastatina/ ezetimibe.

C-LDL, colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità.

tori: età, sesso, fumo di sigaretta, pressione arteriosa sistolica e livelli di colesterolo legato alle lipoproteine non ad alta densità (C-non-HDL)12. In prevenzione primaria, in individui di età <70 anni, apparentemente sani e con rischio cardiovascolare molto alto (SCORE2 >7.5% per età <50 anni; SCORE2 >10% per età 50-69 anni), in accordo con le linee guida4, i livelli target di C-LDL sono <55 mg/dl con una riduzione di almeno il 50%. In caso di alto rischio (rischio di ASCVD a 10 anni 2.5-7.5%) il target è <70 mg/dl sempre con una riduzione di almeno il 50% rispetto al basale (classe di raccomandazione IIa, livello di evidenza A). Inoltre, in prevenzione primaria la terapia ipolipemizzante dovrebbe essere considerata anche nei pazienti a più basso rischio di ASCVD (<5% a 10 anni) se sono presenti livelli di colesterolo elevati (>115 mg/dl) non controllati dalla sola dieta, mentre il trattamento farmacologico dovrebbe essere iniziato in contemporanea alle modifiche dello stile di vita se i livelli di C-LDL sono molto alti (>190 mg/dl) (classe di raccomandazione IIa, livello di evidenza C)13 In effetti, livelli di C-LDL >190 mg/dl configurano di per sé un rischio cardiovascolare alto e sono frequentemente espressione di ipercolesterolemia familiare. In prevenzione primaria nei soggetti giovani (età 40-49 anni) con elevate concentrazioni plasmatiche di C-non-HDL >160 mg/dl un inizio precoce ed intensivo del trattamento per il controllo del colesterolo è stato stimato determinare una significativa riduzione del rischio di eventi nel lungo termine (>30 anni)14. Per quanto riguarda gli individui più anziani (età >70-75 anni) con rischio alto o molto alto, in prevenzione primaria l’indicazione al trattamento ipolipemizzante è meno forte (classe di raccomandazione IIb, livello di evidenza C)4. I dati provenienti dallo studio osservazionale SANTORINI15 mostrano che la stragrande maggioranza dei pazienti senza storia di malattia cardiovascolare (età media 62.5 anni) ma a rischio alto o molto alto (73.9%) non ha i livelli di C-LDL a target e la percentuale dei pazienti non a target è ancora più alta (77%) se si fa riferimento alla popolazione a rischio molto alto. Sempre dai dati forniti dallo studio SANTORINI15, il trattamento ipolipemizzante risulta implementato nel 67% dei pazienti a rischio alto o molto alto ma senza malattia cardiovascolare. In questo gruppo di pazienti l’utilizzo della terapia di combinazione con statina ed ezetimibe è riportato nel 10.9% e, più in generale, una combinazione di trattamenti ipolipemizzanti nel 18.5% dei casi.

Per quanto riguarda la prevenzione secondaria, il rischio cardiovascolare è sempre molto alto e le linee guida europee raccomandano di raggiungere e mantenere livelli di C-LDL <55 mg/dl con una riduzione di almeno il 50% (classe di raccomandazione I, livello di evidenza A)4. In merito a quanto osservato nel mondo reale, solo il 73% dei pazienti con malattia cardiovascolare nota ha livelli di C-LDL a target, il 25.6% è trattato con una terapia di combinazione e, in particolare, il 17.5% con l’associazione statina/ezetimibe15

Globalmente, i dati provenienti dal mondo reale stanno ad indicare che è necessario un maggiore impiego della terapia di combinazione per un’appropriata gestione del rischio cardiovascolare associato al C-LDL. Inoltre, le evidenze fornite dagli studi clinici mostrano che, quando la terapia di combinazione con statina ed ezetimibe è utilizzata con formulazioni precostituite a dose fissa combinata, la riduzione del C-LDL è anche maggiore rispetto all’impiego di associazioni estemporanee16, verosimilmente a causa della maggiore aderenza ai trattamenti prescritti17. In effetti, l’analisi dei dati amministrativi provenienti da alcune Aziende Sanitarie Locali italiane ha mostrato che l’utilizzo della FDC rosuvastatina/ezetimibe è associato ad una più alta proporzione di pazienti aderenti al trattamento rispetto all’utilizzo dei due principi attivi in formulazioni separate (75.2% vs 51.8%, p<0.001)18

LA TERAPIA DI COMBINAZIONE IN PREVENZIONE PRIMARIA: EVIDENZE DAGLI STUDI

CLINICI

Immessa in commercio nel 2002, l’ezetimibe in monoterapia o in combinazione con una statina riduce i livelli di C-LDL di circa il 15-25%13. Attualmente, in accordo con le linee guida internazionali, viene utilizzata con un approccio “stepwise” in aggiunta alla massima dose di statina tollerata quando il trattamento con la sola statina non consente di raggiungere i livelli di C-LDL raccomandati. In effetti, essendo stata sviluppata ed immessa in commercio oltre 20 anni dopo le statine, nella maggior parte degli studi randomizzati l’impiego di ezetimibe è stato testato in prevenzione secondaria, in aggiunta alla statina, e confrontata con la statina utilizzata alla stessa dose in entrambi i bracci di trattamento. I dati provenienti dalla letteratura relativi all’impiego della terapia di combinazione statina/ezetimibe in prevenzione primaria derivano prevalentemente da studi osservazionali, che nella maggior parte dei casi raggruppavano insieme i pazienti trattati con differenti statine ad uguale intensità di efficacia. In un recente studio clinico di coorte retrospettivo19, che ha incluso individui senza storia di malattia cardiovascolare, sia la statina a bassa intensità associata ad ezetimibe che la statina a moderata intensità associata ad ezetimibe sono risultate associate ad un’incidenza di MACE inferiore rispetto alla sola statina ad alta intensità (hazard ratio [HR] 0.80, intervallo di confidenza [IC] 95% 0.66-0.97, p=0.024; e HR 0.84, IC 95% 0.77-0.92, p<0.001, rispettivamente). In un ampio studio di popolazione svedese, nell’ambito della prevenzione primaria (36 283 pazienti), l’impiego dell’associazione statina/ezetimibe è stato riportato nello 0.3% dei casi20. Sempre in prevenzione primaria, tra i pazienti diabetici la percentuale di utilizzo della combinazione statina (a diversi dosaggi)/ezetimibe è riportata intorno al 2% dei casi21. Dall’analisi del database dell’assicurazione sanitaria nazionale coreana, si è osservato che in pazienti con diabete mellito l’aggiunta di ezetimibe ad una statina a moderata in-

tensità in prevenzione primaria è associata ad una maggiore riduzione del C-LDL e una più bassa incidenza di MACE rispetto al trattamento con sola statina ad alta intensità22. In uno studio di coorte retrospettivo coreano (162 601 senza malattia coronarica nota né pregresso ictus, età media 48.9 ± 6.0 anni)23, la combinazione statina ezetimibe è risultata associata ad una incidenza dell’endpoint composito di MACE simile all’incidenza osservata nella popolazione trattata con sola statina. Dall’analisi dei singoli endpoint, al follow-up a 3 anni la mortalità per tutte le cause è risultata inferiore nel gruppo trattato con la terapia di combinazione (HR 0.595, IC 95% 0.460-0.769; p<0.001).

LA TERAPIA DI COMBINAZIONE IN PREVENZIONE

SECONDARIA: ROSUVASTATINA/EZETIMIBE ED EVIDENZE DAGLI STUDI CLINICI

Nel contesto della prevenzione secondaria l’associazione di statina ed ezetimibe è stata studiata in numerosi studi clinici randomizzati. Prima ancora dello studio clinico IMPROVE-IT24, che ha dimostrato la superiorità della terapia di combinazione nei pazienti post-sindrome coronarica acuta in termini di miglioramento prognostico e ha portato ad indicare l’impiego di ezetimibe in associazione con una statina ad alta intensità come trattamento raccomandato nei pazienti con C-LDL non a target nonostante la massima dose tollerata di statina, sono stati condotti studi clinici che hanno testato l’efficacia sul controllo del C-LDL di ezetimibe in associazione con altre statine, tra cui la rosuvastatina, in pazienti con ASCVD.

Impatto sui livelli di colesterolo LDL

Lo studio EXPLORER è stato uno dei primi studi a testare su larga scala l’efficacia della terapia di combinazione ipolipemizzante che includeva rosuvastatina 40 mg ed ezetimibe 10 mg vs rosuvastatina 40 mg in monoterapia, in una popolazione di pazienti a rischio cardiovascolare molto alto (storia di cardiopatia ischemica o rischio a 10 anni >20%)25. In questo studio la terapia di combinazione rosuvastatina/ezetimibe ha consentito di raggiungere livelli di C-LDL significativamente più bassi rispetto alla monoterapia (-69.8% vs -57.1%, p<0.001) e ha portato una maggiore percentuale di pazienti a livelli di C-LDL <70 mg/dl, target opzionale per le linee guida di riferimento all’epoca dello studio (79.6% vs 35%, p<0.001). Nello studio multicentrico MRS-ROZE26, che ha incluso una popolazione di pazienti con ipercolesterolemia primaria, indicazione al trattamento ipolipemizzante e livelli di C-LDL <250 mg/dl, con oltre l’80% con anamnesi positiva per cardiopatia ischemica, rispetto alla sola rosuvastatina, la FDC ezetimibe 10 mg con differenti dosaggi di rosuvastatina (5, 10 e 20 mg) consentiva di ottenere una maggiore riduzione dei livelli di C-LDL. La riduzione indotta dalla terapia di combinazione era maggiore nei pazienti diabetici o con sindrome metabolica confrontati rispettivamente con i non diabetici e con i pazienti senza sindrome metabolica (riduzione del C-LDL indotta dalla FDC nei diabetici: -64.2% vs -50.2% con la sola statina, differenza: -14.0%, p<0.001; non diabetici: -57.7% vs -49.8%, differenza: -7.9%, p<0.001; riduzione nei pazienti con sindrome metabolica: -63.9% con la FDC vs -47.6% con la sola statina, differenza: -16.3%, p<0.001; nei pazienti senza sindrome metabolica: -57.6% vs -51.2%, differenza: -6.5%, p=0.001). Il trattamento con FDC è risultato ben tol-

lerato con un’incidenza di eventi avversi simile a quella osservata nei gruppi in trattamento con sola rosuvastatina. In un altro studio clinico di fase III, I-ROSETTE27, la rosuvastatina/ ezetimibe come FDC con dosaggi di rosuvastatina 5, 10 o 20 mg è risultata più efficace in termini di riduzione del C-LDL rispetto alla rosuvastatina in monoterapia allo stesso dosaggio. Nei pazienti trattati con la FDC la sicurezza e la tollerabilità del trattamento è risultata simile ai pazienti in monoterapia, con un’incidenza di eventi avversi a localizzazione muscolare pari a 0.5% e 2%, rispettivamente (p=0.372).

La terapia di combinazione rosuvastatina 10 mg/ezetimibe 10 mg è stata studiata anche in pazienti con recente evento ischemico cerebrale e confrontata con rosuvastatina 20 mg in monoterapia28. Dopo 90 giorni di trattamento la terapia di combinazione ha determinato una riduzione dei livelli di C-LDL >50% rispetto al basale, endpoint primario dello studio, in una maggiore percentuale di pazienti rispetto alla monoterapia (72.5% vs 57.6%; odds ratio 1.944; IC 95% 1.352-2.795; p=0.0003) e livelli di C-LDL <70 mg/dl erano stati raggiunti nell’80.2% dei pazienti trattati con la terapia di combinazione e nel 65.4% dei pazienti in monoterapia (p=0.0001).

La Tabella 1 riporta le variazioni dei livelli di C-LDL ottenute con il trattamento di combinazione con rosuvastatina a vari dosaggi ed ezetimibe 10 mg negli studi clinici randomizzati25-31

Impatto sulla placca aterosclerotica

Per la valutazione dell’impatto della terapia di associazione sulla placca coronarica è stato condotto uno studio in aperto che ha incluso 51 pazienti sottoposti a rivascolarizzazione coronarica percutanea32. I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con ezetimibe 10 mg/rosuvastatina 5 mg o sola rosuvastatina 5 mg. Le lesioni coronariche non trattate con rivascolarizzazione coronarica percutanea, valutate con ecografia intravascolare al momento della rivascolarizzazione e rivalutate dopo 6 mesi di trattamento, hanno presentato una riduzione percentuale del volume maggiore nel gruppo rosuvastatina/ezetimibe rispetto al gruppo rosuvastatina (-13.2% vs -3.1%, p=0.050). In un altro studio clinico randomizzato, che ha incluso pazienti con placche aterosclerotiche coronariche33, la combinazione rosuvastatina 10 mg/ezetimibe 10 mg, oltre a determinare una riduzione dei livelli di C-LDL maggiore rispetto alla sola rosuvastatina 10 mg, determinava anche una maggiore riduzione delle dimensioni e della componente necrotica delle placche aterosclerotiche valutata all’ecografia intravascolare, espressione di una regressione delle stesse.

Impatto sugli eventi cardiovascolari

Il primo studio clinico randomizzato controllato che ha valutato l’impatto prognostico nel lungo termine (>1 anno) della terapia di combinazione con statina a moderata intensità (rosuvastatina 10 mg) più ezetimibe vs la sola statina ad alta intensità (rosuvastatina 20 mg) è stato lo studio RACING34. Si tratta di uno studio di non inferiorità, multicentrico, condotto in aperto, in pazienti con malattia cardiovascolare nota. L’endpoint primario, un composito di morte cardiovascolare, MACE e ictus non fatale, ha avuto un’incidenza pari al 9.1% nel gruppo trattato con la terapia di combinazione e pari a 9.9% nel gruppo trattato con la sola statina ad alta intensità (differenza assoluta dell’incidenza -0.78; IC 90% da -2.39 a 0.83). Livelli di C-LDL <70 mg/dl sono stati raggiunti

Tabella 1. Variazioni medie dei livelli di colesterolo LDL ottenute con il trattamento di combinazione rosuvastatina a vari dosaggi ed ezetimibe 10 mg.

Studio (anno) Popolazione Trattamento Riduzione dei livelli di C-LDL

EXPLORER (2007)25

GRAVITY (2014)29

MRS-ROZEa (2016)26

Pazienti con storia di CHD, evidenza di aterosclerosi o rischio equivalente a CHD

Pazienti con storia di CHD, evidenza di aterosclerosi, rischio equivalente a CHD o rischio di CHD a 10 annid >20%

Pazienti con ipercolesterolemia in prevenzione primaria o secondaria

Yangb (2017)30

Kim (2018)31

Pazienti a moderato o alto rischio cardiovascolare secondo le linee guida

I-ROSETTEa (2018)27

Pazienti a basso, moderato, moderatamente alto o alto rischio cardiovascolare secondo le linee guida NCEP ATP III

ROSETTA-Strokec (2023)28

Pazienti con storia di CAD e C-LDL >100 mg/dl; o rischio di CAD a 10 annid >20%, 2 fattori di rischio maggiori e C-LDL >130 mg/dl; o C-LDL >160 mg/dl

5 mg vs Rosu 5

Rosu 20 mg vs Rosu 20 mg/Eze 10

Pazienti con ictus recente (<90 giorni) Rosu 20 mg vs Rosu 10

CAD, malattia coronarica; CHD, cardiopatia ischemica; C-LDL, colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità; Eze, ezetimibe; NCEP ATP, National Cholesterol Education Program Adult Treatment Panel; Rosu, rosuvastatina; Simv, simvastatina. Risultati di studi clinici di fase 3 che hanno testato l’efficacia della terapia di associazione rosuvastatina/ezetimibe sui livelli di C-LDL. Le variazioni di C-LDL sono ottenute con un trattamento della durata di 8 settimane, eccetto per gli studi Yang, GRAVITY e ROSETTA-Stroke per i quali le variazioni del C-LDL sono dopo 12 settimane di trattamento, e per lo studio EXPLORER dopo 6 settimane di trattamento. aValori target di C-LDL <100 mg/dl, <130 mg/dl o <160 mg/dl a seconda del rischio cardiovascolare del paziente sulla base delle linee guida NCEP ATP III. bValori target di target C-LDL <100 mg/dl o <130 mg/dl a seconda del rischio cardiovascolare del paziente sulla base delle linee guida NCEP ATP III. cValori target di C-LDL <70 mg/dl. dRischio di CAD a 10 anni valutato con il Framingham score.

in una maggiore percentuale di pazienti nel gruppo in terapia di combinazione rispetto al gruppo in monoterapia, sia al controllo ad 1 anno che a 2 e 3 anni (tutte p<0.0001).

L’interruzione del trattamento o una riduzione della dose a causa di intolleranza è stata riportata in una percentuale di pazienti inferiore nel gruppo in terapia di combinazione (4.8%) rispetto al gruppo in monoterapia con statina (8.2%; p<0.0001). Globalmente, dunque, la terapia di combinazione con rosuvastatina 10 mg ed ezetimibe 10 mg è risultata non inferiore alla sola rosuvastatina 20 mg in termini di eventi a 3 anni, associata ad una maggiore percentuale di pazienti che hanno ottenuto livelli di C-LDL <70 mg/dl e ad un minor rischio di interruzione del trattamento o riduzione della dose. L’analisi prespecificata dello stesso studio RACING, mirata a valutare l’impatto del sesso sull’efficacia del trattamento ipolipemizzante35, ha evidenziato che nonostante significative differenze nelle caratteristiche basali della popolazione di sesso femminile rispetto a quella maschile (età media più alta, storia di infarto miocardico o rivascolarizzazione meno frequente e concentrazioni medie di C-LDL più elevate) l’efficacia sia in termini di incidenza dell’endpoint clinico primario che in termini di proporzione di popolazione che raggiunge livelli di C-LDL <70 mg/dl è indipendente dal sesso, così come il profilo di sicurezza. Un’analisi post-hoc ha focalizzato l’attenzione sui pazienti a rischio cardiovascolare particolarmente alto, cioè con multipli eventi cardiovascolari o un evento in associazione con altre condizioni che incrementano il rischio come l’ipercolesterolemia familiare, il diabete o l’insufficienza renale36. La terapia di combinazione rosuvastatina 10 mg/ezetimibe 10 mg è risultata associata ad un’incidenza di MACE a 3 anni simile alla rosuvastatina 20 mg sia nei pazienti a rischio particolarmente elevato che nel resto della popolazione. Inoltre, la terapia di combinazione è associata ad una maggiore tolleranza al trattamento, una maggiore riduzione dei livelli di C-LDL e una maggiore percentuale di pazienti che raggiungono concentrazioni di C-LDL <70 mg/dl in entrambi i gruppi di rischio. I risultati dello studio RACING sono stati confermati da un ampio studio osservazionale che ha incluso i dati di 286 817 pazienti con sindrome coronarica acuta sottoposti a rivascolarizzazione coronarica percutanea37. In questo studio coreano, rispetto alla terapia con sola statina ad alta intensi-

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CONCLUSIONI

La terapia per il controllo del C-LDL rappresenta un trattamento in grado di intervenire sulla causa della malattia aterosclerotica. Un ampio numero di studi supporta l’impiego di una terapia ipolipemizzante di combinazione in diversi contesti clinici. La FDC rosuvatatina/ezetimibe può rappresentare un’opzione terapeutica efficace come strategia di prima linea per ridurre in maniera intensiva i livelli di C-LDL e il rischio di MACE (Figura 1), evitando l’impiego di elevati dosaggi di statina che sono associati ad un potenziale più alto rischio di effetti indesiderati e intolleranza soprattutto a livello muscolare. L’utilizzo delle due classi di farmaci in un’unica formulazione precostituita offre l’ulteriore vantaggio di favorire l’aderenza e quindi l’ottenimento dei benefici clinici.

RIASSUNTO

Il controllo dei livelli di colesterolo legato alle lipoproteine a bassa densità (C-LDL) è il cardine della gestione delle malattie cardiovascolari aterosclerotiche, sia in prevenzione primaria che in prevenzione secondaria. L’impiego di combinazioni di più agenti terapeutici ipolipemizzanti rappresenta un’opzione efficace e sicura per la riduzione dei livelli di C-LDL, con il vantaggio di una maggiore aderenza rispetto all’impiego di dosaggi più alti della statina in monoterapia. La rassegna focalizza l’attenzione sui target terapeutici raccomandati nei diversi contesti clinici in prevenzione primaria e secondaria. Vengono analizzate le evidenze fornite dagli studi clinici sull’impiego della combinazione statina/ ezetimibe in prevenzione primaria. Infine, viene posta l’attenzione sull’impatto della combinazione rosuvastatina/ezetimibe in prevenzione secondaria riportando i dati disponibili in termini di riduzione dei livelli di C-LDL, e di effetto sulle placche aterosclerotiche e sugli eventi clinici.

Parole chiave. Colesterolo; Ezetimibe; Prevenzione; Rosuvastatina; Terapia di associazione.

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La terapia di associazione nell’ipertensione arteriosa: come personalizzare la cura

Bacca1,2, Stefano Taddei1,2

1Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi, Pisa 2Centro di Riferimento Regionale per la Diagnosi e Cura dell’Ipertensione Arteriosa, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa

Combination therapy is necessary in approximately 70% of hypertensive patients to achieve adequate blood pressure control. Furthermore, fixed combinations have a documented clinical utility as they increase therapeutic adherence. The most effective combinations of antihypertensive drugs are those made with drugs that have a complementary effect on the blood pressure regulation systems. In other words, it is rational to combine drugs that block the renin-angiotensin system or the sympathetic nervous system with drugs that activate these systems. Therefore, with regard to antihypertensive efficacy, both the fixed combination ACE-inhibitor/calcium channel blocker and the fixed combination AT1 antagonist/calcium channel blocker are rational as they have an additive effect on blood pressure reduction and improve the tolerability of the individual molecules. However, the choice of a combination therapy should not be limited only to evaluating the efficacy on blood pressure levels, but a more important target is certainly the ability to reduce cardiovascular events. As regards calcium channel blockers, the molecule with the best evidence of clinical efficacy in randomized controlled studies is certainly amlodipine (VALUE, CAMELOT, PREVENT, CAPARES, ASCOT and ACCOMPLISH studies). Also as regards ACE-inhibitors, the use of ramipril is supported by a significant series of clinical studies (HOPE, micro-HOPE and AIRE). In accordance with their efficacy, both molecules are the most used in daily clinical practice. It is however necessary to underline that, among AT1 antagonists, the best scientific literature certainly supports the efficacy of candesartan (SCOPE, TROPHY, AMAZE, CALM and DIRECT studies) which should therefore be the reference molecule in clinical use. Therefore, the combinations of ramipril/amlodipine and candesartan/amlodipine represent a therapeutic opportunity of primary importance as they combine the ACE-inhibitor, AT1 antagonist and the calcium channel blocker with the best documentation of efficacy in randomized controlled trials.

In conclusion, the support of the scientific literature indicates that the rational use of these combinations can certainly represent an optimal choice for the treatment of arterial hypertension according to the best criteria of therapeutic appropriateness.

Key words. ACE-inhibitors; Amlodipine; Angiotensin receptor blockers; Calcium channel blockers; Candesartan; Cardiovascular risk; Essential hypertension; Ramipril.

G Ital Cardiol 2025;26(1 Suppl 2):e23-e31

INTRODUZIONE

Dovendo affrontare il tema della terapia dell’ipertensione arteriosa, è impossibile non pensare a che cosa si possa aggiungere di nuovo ed interessante su di un argomento per il quale la sensazione diffusa è che ormai ci sia ben poco da aggiungere a quanto già divulgato dall’enorme numero di pubblicazioni che è disponibile sull’argomento. Eppure, se analizziamo bene il problema, è necessario sottolineare alcuni punti precisi: – le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morbilità e mortalità nei paesi industrializzati, e pertanto la nostra capacità di prevenire questo problema è ancora limitata;

© 2025 Il Pensiero Scientifico Editore

Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi. Per la corrispondenza: Prof. Stefano Taddei Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università degli Studi, Via Roma 67, 56126 Pisa e-mail: stefano.taddei@med.unipi.it

– l’ipertensione arteriosa, secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, rappresenta la prima causa di morte al mondo1; – non più del 40% della popolazione ha la pressione arteriosa ben controllata (<140-90 mmHg).

Pertanto nella pratica clinica quotidiana siamo ancora lontani dal ridurre in modo decisivo l’impatto di questo fattore di rischio sulla salute globale dei nostri pazienti.

VALORI TARGET DEL TRATTAMENTO ANTIPERTENSIVO

Gli studi epidemiologici dimostrano che i valori di pressione arteriosa hanno una relazione lineare con gli eventi cardiovascolari. È importante notare che la relazione rimane la stessa sia per valori di pressione arteriosa sopra e sotto 140-90 mmHg, la cosiddetta soglia di normalità, come chiaramente dimostrato dai dati dello studio di Framingham.

Tuttavia, quali siano i valori di pressione che debbano essere raggiunti con la terapia antipertensiva è tuttora un argomento aperto alla discussione scientifica. È fuor di discussione che i valori pressori debbano essere ridotti al di sotto della soglia di 140-90 mmHg, ma ormai tutte le linee guida concordano nell’indicare obiettivi più ambiziosi (<130-80 mmHg) in pazienti con elevato rischio cardiovascolare2,3

PERCHÉ È DIFFICILE NORMALIZZARE

LA PRESSIONE ARTERIOSA?

Tra i fattori che indubbiamente concorrono a determinare lo scarso controllo dei valori pressori nella popolazione generale, due aspetti determinanti sono essenzialmente il non corretto uso della terapia di associazione e la scarsa aderenza al trattamento farmacologico.

Terapia di associazione

La terapia di associazione è sicuramente rivolta a tutti quei pazienti nei quali non si riesce a ottenere la normalizzazione dei valori pressori con la monoterapia, anche se le linee guida 2023 della Società Europea dell’Ipertensione (ESH) e 2024 della Società Europea di Cardiologia (ESC) la propongono già come scelta iniziale2,3. Nel paziente con ipertensione di grado I-II (lieve-moderata), l’associazione razionale di due principi terapeutici migliora in modo significativo la risposta ipotensivante in quanto circa il 75-80% dei pazienti risponde ad un’associazione di due differenti agenti farmacologici4. Infatti l’associazione di due farmaci antipertensivi, se eseguita in modo razionale, porta ad un effetto di potenziamento ottenendo un’efficacia antipertensiva decisamente superiore alla somma dell’efficacia dei singoli composti, in quanto, in tal modo, è possibile bloccare alcuni meccanismi riflessi omeostatici e minimizzare gli effetti collaterali. A questo proposito alcuni studi clinici hanno dimostrato che gli effetti avversi sono meno frequenti con basse dosi di due differenti farmaci rispetto agli alti dosaggi di un singolo composto. Questo dato è di estrema importanza in quanto il 30-40% dei pazienti sospende la terapia a causa di effetti collaterali, e questo non accade se si utilizzano associazioni di farmaci differenti4

Nel trattamento invece di pazienti con ipertensione severa (grado III), soprattutto se con evidenza di danno d’organo, la scelta di una terapia di associazione è obbligatoria, in quanto è richiesto un abbassamento importante dei valori pressori nonché la regressione del danno d’organo.

Pertanto la terapia di combinazione rappresenta una delle più importanti soluzioni al problema dello scarso controllo della pressione arteriosa nei pazienti con ipertensione arteriosa, in quanto con questa scelta terapeutica si può ottenere una maggiore efficacia e una migliore tollerabilità. Tuttavia, la terapia di combinazione non può essere eseguita associando in modo acritico le varie classi di farmaci antipertensivi. Mentre alcune associazioni sono vantaggiose, altre sono del tutto inutili e alcune persino pericolose. È quindi importante che il medico conosca i principi farmacologici che sono alla base di un’associazione razionale dei farmaci in modo da poter utilizzare questo importante strumento per una migliore efficacia nel controllo dei valori pressori.

CRITERI PER UNA BUONA ASSOCIAZIONE DI FARMACI ANTIPERTENSIVI

Quali sono i criteri farmacologici per poter fare una buona associazione di farmaci antipertensivi? Innanzitutto l’associazione deve essere costituita da farmaci con lo stesso profilo farmacocinetico in termini soprattutto di durata d’azione5

Un parametro estremamente importante da considerare è che bisogna associare farmaci che hanno meccanismi d’azione diversi, ma complementari (ad es. un farmaco che attiva il sistema renina-angiotensina [SRA] con un farmaco che lo inibisce; un vasodilatatore che determina un’attivazione riflessa del sistema nervoso simpatico [SNS] con un farmaco che modula in senso negativo l’attività del SNS) (Figura 1). È quindi intuitivo che non bisogna mai associare due farmaci della stessa classe (ad es. due inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina [ACE] o due beta-bloccanti) o della stessa sottoclasse (ad es. due calcio-antagonisti diidropiridinici o due diuretici tiazidici). È infine necessario fare molta attenzione a non associare farmaci con effetto d’azione opposto (tipico errore è l’associazione di un α1-antagonista con un simpatico-modulatore α-agonista quale la clonidina), in quanto i due farmaci annullano reciprocamente il proprio effetto.

Se i due farmaci da associare hanno un meccanismo d’azione diverso, ma complementare, l’efficacia antipertensiva dell’associazione risulta superiore all’efficacia antipertensiva di ogni singolo farmaco presente nell’associazione, con un effetto additivo o di potenziamento.

Infine l’associazione, oltre ad aumentare l’efficacia antipertensiva, deve ridurre gli effetti umorali indesiderati (ad es. l’associazione dell’ACE-inibitore o dell’AT1-antagonista riduce l’ipopotassiemia e l’iperuricemia causate dal diuretico tiazidico) e perfino gli effetti collaterali (ad es. gli ACE-inibitori e gli AT1-antagonisti riducono l’edema premalleolare dei calcio-antagonisti, mentre i calcio-antagonisti riducono la tosse da ACE-inibitori)5

QUALI SONO I PIÙ COMUNI ERRORI CLINICI

NELLA TERAPIA DI ASSOCIAZIONE?

Alcune associazioni vengono eseguite con farmaci che hanno meccanismo d’azione senza effetto ipotensivo additivo (Tabella 1). Un tipico esempio è l’associazione di un beta-bloccante con un ACE-inibitore (e probabilmente anche con un

Le associazioni razionali sono realizzate tenendo conto del meccanismo d’azione dei farmaci antipertensivi

Diuretici

Calcio-antagonisti Alfa-antagonisti SRA

Calcio-antagonisti Alfa-antagonisti Vasodilatatori SNS

ACE-inibitori AT1-antagonisti Beta-bloccanti

ACE-inibitori AT1-antagonisti Beta-bloccanti Simpato-modulatori

Figura 1. I farmaci antipertensivi possono essere associati se scegliamo molecole che hanno effetti complementari sui principali meccanismi di regolazione della pressione arteriosa: il sistema renina-angiotensina (SRA) e il sistema nervoso simpatico (SNS). ACE, enzima di conversione dell’angiotensina.

Tabella 1. Associazioni di farmaci antipertensivi che andrebbero evitate nella pratica clinica.

Farmaci senza effetto additivo

Diuretico + calcio-antagonista

β-bloccante + ACE-inibitore o AT1-antagonista

ACE-inibitori + AT1-antagonista

Farmaci con interazione negativa sull’effetto ipotensivo

α1-antagonista + clonidina

Associazioni potenzialmente pericolose

β-bloccante + clonidina

β-bloccante + calcio-antagonista non diidropiridinico

ACE, enzima di conversione dell’angiotensina.

Le associazioni senza effetto additivo non sono utili per la normalizzazione dei valori pressori, ma possono avere altre indicazioni. Invece le interazioni negative sia sul controllo dei valori pressori che sulla funzione cardiaca dovrebbero essere assolutamente evitate.

AT1-antagonista). Questa associazione non è razionale in quanto entrambi i farmaci bloccano il SRA. Nello studio ALLHAT6, che prevedeva un confronto tra un diuretico (clortalidone), un calcio-antagonista diidropiridinico (amlodipina) e un ACE-inibitore (lisinopril), la prima combinazione consentita dal disegno sperimentale era l’associazione con un beta-bloccante. Ebbene, mentre le associazioni diuretico/beta-bloccante o calcio-antagonista diidropiridinico/beta-bloccante hanno un effetto additivo in termini di riduzione dei valori pressori, la combinazione ACE-inibitore/beta-bloccante non ha alcun effetto additivo. Pertanto il braccio di pazienti trattati con l’ACE-inibitore è risultato avere valori pressori significativamente più elevati rispetto agli altri pazienti, proprio per la minore efficacia della terapia di combinazione.

Un’altra associazione inutile è quella tra un calcio-antagonista e il diuretico (Tabella 1). I calcio-antagonisti hanno essi stessi un effetto natriuretico e pertanto non è logico associarli ai diuretici, come dimostrato da numerosi studi clinici. Il tentativo poi di ridurre l’eventuale edema perimalleolare tipico dei calcio-antagonisti diidropiridinici con il diuretico è una manovra terapeutica non corretta in quanto l’edema perimalleolare dei calcio-antagonisti non è dovuto a ritenzione idrica, ma all’aumento della pressione capillare dovuta alla vasodilatazione arteriolare senza modificazioni del tono venoso. Se infatti, come già descritto, associamo al calcio-antagonista un bloccante del SRA, che determina anche dilatazione venosa, è possibile osservare una riduzione dell’edema premalleolare.

In ogni caso queste associazioni non sono pericolose per il paziente, tanto che, in quei casi particolari dove è richiesta la triplice o quadruplice terapia antipertensiva (ipertensione maligna, pazienti ipertesi con nefropatia e proteinuria), è possibile utilizzare insieme questi farmaci in quanto il singolo componente va ad interagire con gli altri componenti dell’associazione.

Altre associazioni invece non devono essere fatte in quanto non efficaci e talora pericolose per il paziente (Tabella 1). Abbiamo già accennato come non debbano essere associati un α1-antagonista e la clonidina in quanto il loro effetto si annulla reciprocamente. Altre associazioni sono invece potenzialmente pericolose. In particolare non devono essere mai associati i beta-bloccanti con la clonidina. Infatti l’aumento parossistico dei valori pressori che si osserva 18-36 h dalla sospensione della clonidina (denominato “effetto rebound”), che sebbene raramente può essere osservato anche con la

terapia transdermica, può essere peggiorato dalla simultanea somministrazione di un beta-bloccante. Infatti questi farmaci, bloccando i recettori β-adrenergici vascolari, che inducono vasodilatazione, lasciano i recettori α-adrenergici vasocostrittori esposti all’aumento delle catecolamine plasmatiche indotto dall’ipertono simpatico conseguente alla sospensione della clonidina. Inoltre i beta-bloccanti non devono essere associati ai calcio-antagonisti non diidropiridinici in quanto questi farmaci sommerebbero i rispettivi effetti cronotropi, dromotropi e inotropi negativi.

In conclusione, la terapia di combinazione rappresenta un elemento fondamentale per un corretto trattamento farmacologico del paziente iperteso. Infatti l’associazione razionale di due molecole può determinare non solo una maggior efficacia terapeutica, ma anche migliorare la tollerabilità del trattamento, riducendo sia gli effetti collaterali che le eventuali modificazioni sul profilo elettrolitico e metabolico.

È PREFERIBILE UTILIZZARE UNA COMBINAZIONE

FISSA O UNA COMBINAZIONE ESTEMPORANEA?

Le linee guida indicano chiaramente di utilizzare, quando possibile, le combinazioni fisse2,3. È infatti ampiamente dimostrato che, riducendo il numero di compresse quotidiane, si facilita l’aderenza allo schema terapeutico e la persistenza in terapia nel lunghissimo periodo, che rappresentano un elemento fondamentale ai fini dell’ottenimento del beneficio clinico7. Numerosi studi e metanalisi, infatti, indicano come la compliance del paziente nei confronti di una qualsiasi terapia sia inversamente proporzionale al numero di compresse assunte nel corso della giornata e si riduca in modo drammatico quando il paziente è costretto ad assumere più di una compressa al giorno7. Tali studi, d’altra parte, dimostrano anche che una maggior aderenza allo schema terapeutico si traduce non solo nel miglior controllo dei valori pressori, bensì anche in un minore numero di ricoveri ospedalieri e visite ambulatoriali, ed in una consistente riduzione della spesa sanitaria.

Infine, l’evidenza decisiva nell’indicazione all’utilizzo delle combinazioni fisse deriva da uno studio eseguito analizzando le prescrizioni dei farmaci nella regione Lombardia8. I risultati di questo studio infatti dimostrano che chi inizia il trattamento con una combinazione fissa di farmaci antipertensivi ha una miglior prognosi rispetto a chi assume una monoterapia (Figura 2)8

PERCHÉ È RAZIONALE ASSOCIARE UN INIBITORE DEL SISTEMA RENINA-ANGIOTENSINA E UN CALCIO-ANTAGONISTA?

L’associazione di queste due classi di farmaci è tra quelle sicuramente da preferire nella pratica clinica quotidiana per molte ragioni.

Dal punto di vista della farmacodinamica, questa associazione è razionale in quanto mentre il calcio-antagonista causa un’attivazione riflessa del SRA, l’ACE-inibitore o l’AT1-antagonista bloccano l’attività del SRA. Quindi il meccanismo d’azione dei due farmaci è sinergico e questa è la base per un’associazione razionale.

Inoltre entrambe queste classi di farmaci sono risultate essere efficaci sia sul danno d’organo causato dall’ipertensione che sugli eventi clinici cardiovascolari. A questo proposito lo

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