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Pegaso Inserto di cultura politica e di politica culturale

Politica Riflessioni sul “rapporto Jauch” Pagina II

Personaggio Il ritratto di padre Ortensio da Spinetoli

Approfondimento La retroattività delle iniziative

Clima Grande attesa per la nuova conferenza sul clima

Pegaso Inserto mensile di Popolo e Libertà

Pagina III

Pagina IV

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no. 103 - 29 maggio 2015

Editoriale

La cultura religiosa nella scuola Il tema dell’istruzione religiosa nella scuola è da tempo molto presente all’opinione pubblica ticinese. Il convegno di studio che è stato organizzato sabato 23 maggio scorso a Lugano, nella sede dell’Istituto Leonardo da Vinci, da una parte si inscrive in questa problematica, ma dall’altra presentava due caratteristiche particolari: quella di considerare superata la contrapposizione tra i favorevoli e i contrari a questo insegnamento e quella di essere orientato nel senso di una collaborazione, anche organizzativa, tra le strutture specifiche della Diocesi e della Chiesa Evangelica Riformata del Ticino. D’altro lato, la definizione stessa del titolo “Scuola ticinese e cultura religiosa: la formazione di adolescenti e giovani nel mondo interreligioso e interculturale di oggi e di domani” indicava in partenza che l’obiettivo era puntato sulle Scuole Medie Superiori e non sugli esiti della sperimentazione effettuata gli scorsi anni in sei scuole medie del Ticino. È naturalmente difficile riferire in poche righe i contenuti di tutte le relazioni, tenute da docenti di alta preparazione: sarà necessario limitarsi ad alcuni cenni. Il quadro iniziale è stato offerto, sul tema dell’analfabetismo religioso dei giovani, dal prof. Sergio De Carli, docente presso l’Istituto organizzatore (nonché autore di testi scolastici e già Presidente dell’Anir, l’Associazione Nazionale –italiana- Insegnanti di Religione): e si tratta di un quadro in cui le ombre superano di gran lunga le luci, come ha documentato, per l’Italia, il recente volume di Alberto Melloni. Il prof. Flavio Payer, co-fondatore e poi Presidente del Forum Europeo per l’insegnamento della religione, ha da par suo tracciato le linee fondamentali di un orizzonte concettuale e metodologico di questa materia, da considerare nella sua valenza culturale come una delle chiavi di lettura della realtà, ma anche con

una valenza soggettiva per le libere scelte etiche dei singoli, argomento a cui la scuola di tutti non può disinteressarsi. Nella sua relazione, i suggerimenti circa le finalità educative e i contenuti culturali sono stati collocati nella prospettiva di una attenta considerazione della figura dell’adolescente stesso, inteso come co-protagonista della sua educazione. La relazione del prof. Alberto Palese, coordinatore dell’Istituto Religioni e Teologia (ReTe) della facoltà teologica di Lugano, ha da parte sua spiegato il lavoro dell’Istituto nel campo della formazione dei docenti attraverso un corso biennale pensato, con umiltà e prudenza, “per una materia che non c’è ancora”. (Parecchi ascoltatori hanno apprezzato della relazione soprattutto il fatto di essere informati, per la prima volta, dell’esistenza di una tale attività nella facoltà di Lugano…). Le relazioni del pomeriggio sono state invece dedicate più esplicitamente alle questioni relative ai programmi di insegnamento religioso nelle Scuole Medie Superiori. Ancora il prof. De Carli ha riferito circa la sua esperienza di un anno nel Liceo Leo-

nardo da Vinci, sottolineando come nel confronto tra le prospettive religiose sia importante mettere un po’ tra parentesi la centralità del cristianesimo, facendo spazio anche al pensiero libero nato dall’illuminismo (ha incrociato qui un’osservazione del prof. Payer, nel senso che anche il “non religioso” è uno dei contenuti dell’istruzione religiosa). L’ultima relazione è stata svolta dal prof. Ernesto Borghi, docente alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale ed esperto per l’insegnamento religioso nelle Scuole Superiori del Ticino. Il prof. Borghi è partito dalla convinzione che è necessario alzare il livello qualitativo dell’offerta didattica, attraverso nuovi programmi basati su un fondamento comune a tutte le scuole a cui si aggiungano elementi diversi per i diversi tipi di scuola. Un complesso di suggerimenti che, soprattutto nella definizione dei contenuti, è apparso forse un tantino ambizioso e con mire piuttosto alte. Le ultime due relazioni miravano a situazioni di corsi liberamente scelti dagli allievi e non obbligatori: sono quindi rimaste in ombra tutte le que-

stioni istituzionali, in particolare quelle legate alla collocazione giuridica dell’insegnamento religioso. Come ho detto all’inizio, non era in argomento nè la sperimentazione effettuata nelle scuole medie, nè la recente decisione governativa di rinunciare ad ogni passo in vista dell’attuazione della iniziativa Sadis. L’argomento tuttavia, come un convitato di pietra, è venuto spontaneamente a galla nel corso della giornata: sia in alcuni interventi dei presenti, sia nel contributo offerto in chiusura dall’on. Bertoli. Il consigliere di Stato ha infatti ampiamente esposto le motivazioni che hanno indotto il suo Dipartimento non solo a non continuare la sperimentazione, ma anche a confermare in toto la situazione giuridica attuale. L’argomento sarà presto oggetto di discussione nella commissione scolastica e in seguito nel Gran Consiglio e quindi lo spazio di ulteriore discussione resta aperto. E, per quanto mi riguarda, prenotato. Giorgio Zappa


II Pegaso

Veenrdì 29 maggio 2015

Politica

Il Rapporto Jauch ‘87 Riflessioni su stato e prospettive del partito Nell’ottobre del 1985 il prof. Dino Jauch presentava il “Rapporto ’87 sullo stato e le prospettive del Partito popolare democratico, all’attenzione della Direttiva del partito”, frutto delle discussioni, da lui suscitate e coordinate, di un gruppo di lavoro, costituito nel settembre 1984, “con il compito di esaminare la situazione del partito alla luce dei più recenti risultati elettorali, in modo da poter valutare la solidità del suo insediamento nella realtà del paese e allo scopo di prospettare qualche soluzione operativa destinata ad attivarne il ruolo”. Quello che meritatamente è passato alla cronaca politica ticinese come “il rapporto Jauch” consta di una cinquantina di pagine dattiloscritte (circa duemila battute la pagina) e si articola in 8 capitoletti: singolare che non si trovi nessuna analisi numerica, ma si affronti successivamente “La rispondenza dell’elettorato” (con la distinzione, poi diventata usuale, tra voto di appartenenza e voto di opinione), per poi esaminare “la sfida dei media” nella comunicazione politica, e il rapporto tra “contenuti e strategia di una politica”. Nella seconda parte della relazione, si guarda decisamente verso il futuro (per “attivarne il ruolo” come indica la “premessa”), trattando i temi dell’accesso alla politica, della selezione del personale, di “un efficace rinnovamento organizzativo”. Bastano queste brevi citazioni per auspicare che, dirigenti e responsabili e “affezionati” del partito del 2015, riprendano in mano il “rapporto Jauch”, nella necessaria valutazione del risultato elettorale del 19 aprile scorso, senza troppo soffermarsi sui pregi e difetti della recente campagna elettorale (ciò che può essere utile per l’ormai imminente confronto del prossimo ottobre), ma con una prospettiva politica e culturale di più lungo termine, come del resto suggeriva e insegnava il Rapporto ’87. Non mi risulta che allora il Rapporto Jauch sia stato oggetto di discussioni, approfondimenti e “attuazioni”, al di là della curiosità

suscitata al suo apparire: nel 1985 Flavio Cotti che lo aveva promosso lascia la presidenza cantonale, e nella votazione del 5 aprile 1987 il partito perde un Consigliere di Stato con la mancata rielezione di Fulvio Caccia. Col senno di poi, può essere rivolto al Rapporto ’87 una critica di metodo, quello di non aver presentato, in poche righe riassuntive, quali erano le conclusioni principali e magari formulare proposte concrete. Ma forse non toccava all’estensore, un aggiornato e riflessivo professore di economia e di sociologia, fornire anche un “prontuario per l’uso” che ai politici (o meglio ai “praticoni della politica”), avrebbe potuto facilitarli nella realizzazione. Eppure non mancano nel rapporto le indicazioni operative, e molte sono altrettanto importanti (se non di più) a trent’anni di distanza. Così (pag.33) si discute de “Il rafforzamento dell’identità storico-culturale del PPD (e del PDCS)“, osservando che “il partito stesso deve ormai farsi carico del problema” (corsivo nel testo); mentre viene sottolineato (a pag. 35) la necessità di “Una capacità progettuale in un contesto di sviluppo per evoluzione” , e viene proposto “Un piano degli indirizzi”, “Un programma di legislatura”, “Un mix di temi”. Il primo è destinato ad orientare e rafforzare l’elettorato di appartenenza, il secondo serve ad attuare misure concrete, mentre la messa in evidenza di singoli temi è destinata a conquistare l’elettorato di opinione, osservando come “La tematizzazione riguarda la capacità del partito di evidenziare e trattare a livello dell’opinione pubblica e di confronto politico temi e problemi controversi” (pag. 37). Una carenza che molti hanno riscontrato oggi ormai diffusa in tutto lo schieramento partitico e che il partito ha clamorosamente manifestato nella recente campagna elettorale. Un capitolo certamente ancora attuale (e in gran parte ancora da realizzare) è quello relativo a “L’accesso alla politica” (pag. 41-47), che premette come: “Il PPD deve realisticamente prendere atto di alcune trasformazioni oramai acquisite che modificano sostanzialmente l'idea

di un partito fatto di militanti fedeli, attivi, sempre presenti quando il partito li convoca, iniziati sin dagli anni dell'adolescenza o poco oltre al dibattito attorno alla cosa pubblica e alle linee d'azione del partito, disposti ad identificare sempre o quasi le proprie personali preferenze politiche con le parole d'ordine di questo. Sono infatti oramai notevolmente mutate le condizioni dell' esercizio dell'impegno partitico/politico; il che comporta per il partito un nuovo modo di coinvolgimento dei militanti e dei simpatizzanti e una presenza diversa sui luoghi della socializzazione politica”. Viene quindi successivamente considerata “la crisi o la trasformazione della militanza”, “i luoghi della socializzazione politica”, “I giovani e il movimento giovanile”, “la partecipazione femminile”, “attivare nuovi circuiti e vitalizzare diversi livelli”: tutti temi che vanno ripresi se si vuole che, da subito, il par-

tito sia adeguato alla società in cui intende ancora essere presente. Per finire nelle citazioni (e sono anche provocazioni da raccogliere), mi limito a menzionare i sottotitoli del capitolo ottavo “Per un efficace rinnovamento organizzativo”(pp. 51-54): per “Un governo di partito più efficiente e maggiormente responsabile”, il Rapporto Jauch postulava “Un esecutivo più efficiente”, “Un apparato organizzativo di sostegno”, “Un minimo di professionalità”. Spero che queste rievocazioni e considerazioni abbiano fatto sorgere il desiderio di rileggersi tutto il Rapporto Jauch, per cui il primo consiglio immediato, per il partito, è di curarne la ristampa, porlo alla base delle auspicate analisi in corso e prepararne poi un aggiornamento dal titolo “Rapporto 2019”. Alberto Lepori


Pegaso III

Venerdì 29 maggio 2015

Personaggio

Padre Ortensio da Spinetoli, libero predicatore del Vangelo Ritratto del frate capuccino scomparso lo scorso 31 marzo Ortensio da Spinetoli, frate cappuccino, al secolo Ortensio Urbanelli, è scomparso il 31 marzo scorso. Nonostante avesse ormai compiuto 90 anni, p. Ortensio da Spinetoli, teologo, biblista, frate minore cappuccino, si può dire se ne sia andato improvvisamente, perché ancora il 28 marzo aveva partecipato a S. Benedetto del Tronto ad uno dei tanti incontri organizzati per raccontare l'ultimo libro che aveva scritto, “lo credo. Dire la fede adulta” nel quale il religioso cappuccino, riprendendo un discorso avviato sin dal suo volume “Bibbia e catechismo” (Paideia Editrice, 1999), ripercorre i nodi della fede cristiana, per evidenziare la storicità e la relatività dei linguaggi. Affermando che una fede adulta deve mettere al centro la prassi di Gesù Cristo e non un elenco di dottrine cui dare un assenso intellettuale. Nato nel 1925 a Spinetoli. piccolo comune in provincia di Ascoli Piceno, prete e frate cappuccino dal 1949, padre Ortensio è stato uno dei più autorevoli esponenti della teologia postconciliare in Italia. Esperto del Nuovo e Vecchio Testamento, ha dedicato gran parte della sua vita allo studio della Parola di Dio, attraverso la mediazione della parola umana, e all'approfondimento del Gesù storico. La sua ricerca ed il suo contributo innovativo all'esegesi delle Scritture gli provocarono diversi problemi con l'autorità ecclesiastica: la Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1974 cominciò ad indagare su di lui: non venne condannato, ma fu comunque sollevato dall'insegnamento e limitato nei suoi interventi pubblici. Negli ultimi decenni ha vissuto un'esistenza appartata, lontana da riflettori: quelli ecclesiastici ed accademici, che gli sono stati ingiustamente negati, ma anche quelli mediatici, cui pure avrebbe potuto avere accesso per la sua perizia ed esperienza biblica e teologica e per la grande capacità comunicativa e divulgativa. Ma è stato avulso da ogni forma di protagonismo anche nell'ambito dell'area della sinistra cristiana, della teologia progressista e del cattolicesimo più apertamente conciliare che pure lo ha molto letto, considerandolo un punto di riferimento intellettuale oltre che etico.

Ciò non significa che Ortensio non abbia parlato e scritto, con una radicalità ed un'essenzialità che con il tempo si sono acuite, piuttosto che stemperarsi o "accomodarsi" alle esigenze dei tempi. Ha parlato soprattutto nei tanti piccoli incontri che lo hanno visto costantemente presente, anche per testimoniare la sua vicinanza a tutte quelle realtà ecclesiali di base emarginate o represse negli anni del postconcilio. Fu parecchie volte anche in Ticino, dove ebbe possibilità di svolgere liberamente il suo insegnamento, grazie all’amicizia con i cappuccini. Ed ha continuato a scrivere saggi e libri che hanno scandito le diverse tappe della sua riflessione biblica e teologica, sempre in maniera da fornire un contributo originale al dibattito intra ed extra ecclesiale. A partire da due sue opere fondamentali: quelle sui vangeli dell'infanzia di Gesù (Introduzione ai Vangeli dell’infanzia, Brescia 1967, Assisi 1976; Il vangelo del Natale. Annuncio delle comunità cristiane delle origini, Roma 1996) e i tre volumi sull'itinerario spirituale di Cristo (Itinerario spirituale di Cristo, 3 voli., Assisi 1971-1974), cui si sono successivamente affiancati i commenti ai vangeli di Matteo (Matteo .Il vangelo della Chiesa, Assisi 1971) e di Luca (Luca. Il vangelo dei poveri, Assisi 1982,). Attento osservatore del I 'attuale situazione della Chiesa, e sostenitore di una riforma ecclesiale ancorata al vangelo (come in Chiesa delle origini, Chiesa del futuro, edito da Boria nel 1986), negli anni più recenti si é particolarmente soffermato sulla figura del Gesù uomo, dal momento che del Gesù ”Dio”, riteneva si fosse parlato moltissimo, tanto che il Cristo della fede aveva finito per prendere il posto del Gesù della storia, con la conseguenza, secondo p. Ortensio, che l'annuncio si é sovrapposto all'evento. Particolare rilievo in questo percorso ha avuto il libro Gesù di Nazareth, edito a fine 2005 dalla Meridiana di Molfetta. Si tratta di una presentazione semplice, rigorosa e documentata ma assolutamente non specialistica, specie nel linguaggio, della vita di Gesù, ugualmente lontana dalla astrattezza di tanta produzione accademica come dalla retorica e dall'agiografia dell'o-

miletica e della letteratura devozionali. Padre Ortensio con puntualità e precisione demitizzava idee radicatissime su Gesù di Nazaret, come la convinzione che fosse celibe (elemento che, ricorda il biblista. era estraneo al mondo ebraico del tempo), o che non abbia avuto fratelli e sorelle, o il carattere "sacrificale" dell'Ultima Cena, o l'attributo di "figlio di Dio", che i Vangeli riconducono alla figura del Messia, e che per padre Ortensio, sulla scorta di una tradizione che risale sino ad Ario, non implica una filiazione divina naturale con conseguente sua preesistenza prima di tutti i secoli. Gli evangelisti con questa espressione hanno, secondo padre Ortensio, “semplicemente voluto sottolineare, nel rispetto della tradizione ebraica, come l'uomo Gesù sia stato capace d'Incarnare sino In fondo la bontà del Padre”. Collegata a questa attenzione per la figura storica di Gesù, Ortensio da Spinetoli è andato raffinando nel tempo una critica radicale ali' Istituzione ecclesiastica. "Gesù - disse in un'intervista agenzia ADISTA nel 2006) si era sforzato di liberare gli uomini dal terrore di Dio e dalla paura dei propri simili, ma si direbbe quasi inutilmente, poiché i suoi seguaci, a cominciare dagli stessi evangelisti, hanno preferito riportarsi all'immagine del Dio grande e potente, pronto sì a perdonare, ma anche a condannare e a punire. Un deterrente che è servito a tenere buone le moltitudini ancora incolte dei fe-

deli”. Discendeva da questa visione anche la polemica che caratterizzò la sua produzione negli anni del pontificato di Ratzlnger, durante i quali Ortensio ribadì con forza la legittimità, anzi l'esigenza, di quel relativismo che era diventato il bersaglio privilegiato di Benedetto XVI. "La pretesa che vi sia una sola maniera di rapportarsi con la verità non è più ammissibile dopo la scoperta della provvisorietà della conoscenza umana e della precarietà dei modi di comunicazione, come sostiene la filosofia del linguaggio” (v. Adista n. 36/05). Nei confronti di papa Francesco, Ortensio non si era lasciato andare a facili entusiasmi. Guardava con attenzione alle parole ed ai gesti di Francesco, auspicando che si concretizzassero in atti di riforma della Chiesa. Poco dopo la sua elezione gli scrisse perciò una lettera che, non avendo ricevuto risposta da Bergoglio, rese pubblica alcune settimane fa (v. Adista Notizie n. 9/15) per aprire il dibattito su un tema che gli era particolarmente caro. Nella missiva chiedeva infatti un atto di riconciliazione nei confronti di tutti quei preti, teologi, religiosi, laici, donne e uomini di fede che hanno a tutti i livelli subito il clima autoritario e repressivo seguito agli anni del fermento postconciliare, specie sotto i pontificati di Wojtyla e Ratzinger. Valerio Gigante, della redazione di ADISTA Roma


IV Pegaso

Venerdì 29 maggio 2015

Approfondimento

La retroattività delle iniziative Uno strumento che solleva problemi di principio L’iniziativa popolare – che a livello federale può essere solo costituzionale – solleva, di questi tempi, parecchie questioni, tanto sul piano giuridico, quanto su quello pratico. Intanto la frequenza con la quale viene usato questo strumento della democrazia diretta solleva problemi di principio. Una modifica della Costituzione dovrebbe di per sé essere un fatto raro e rivolgersi a temi veramente importanti. Oggi – benché le iniziative vengano raramente accettate – troviamo una Costituzione che sta lentamente snaturando la sua funzione di “magna charta”. Vi sono però iniziative (come quella del 9 febbraio dell’anno scorso) che creano grossi problemi di applicabilità e di rapporti internazionali. Ve ne sono altre che tendono a sovvertire, con disposizioni di complemento, una prassi consolidata nel tempo e nel diritto consuetudinario. L’iniziativa “Tassare le eredità milionarie per finanziare la nostra AVS”, sulla quale si voterà il 14 giugno, è ricca di contenuti di questo tipo. A parte la mancanza di unità di materia (fiscalità delle successioni e donazioni e AVS) che ha fatto arricciare il naso ai migliori costituzionalisti, essa prevede nientemeno che di privare i cantoni di una loro risorsa, per attribuirla alla Confederazione, con lo scopo – ovviamente – di tassare anche le eredità e le donazioni fra discendenti e ascendenti diretti, che oggi praticamente tutti i cantoni esentano. Vi è però anche un aspetto che va contro il principio di non applicare una legge a situazioni regolamentate in modo diverso in passato. L’iniziativa prevede infatti un’applicazione retroattiva, da quando entra in vigore, fino al 2012. Di per sé la retroattività di una legge non è vietata, ma spesso di difficile applicazione, se non nel caso in cui crei dei vantaggi al cittadino. Non è il caso invece quando la legge d’applicazione crea oneri, in passato non previsti. A livello di leggi si potrebbe fare uno strappo alla regola, a condizione che lo strappo sia chiaramente previsto in un decreto, sia reso impellente e necessario e sia limitato nel tempo. Per

l’iniziativa in votazione non vi sono certamente le condizioni che giustifichino un’applicazione retroattiva. L’accettazione popolare eventuale del principio della retroattività crea parecchie preoccupazioni in Parlamento. Al punto che la Commissione dei diritti politici ha accettato un’iniziativa parlamentare di Ruedi Lustenberger (PPD Lucerna) che chiede di inserire nella Costituzione federale il principio che permetta al Parlamento di dichiarare nulla un’iniziativa popolare che prevede un’applicazione retroattiva. L’idea non è del tutto nuova. Già negli anni ottanta, di fronte al crescere smisurato di iniziative popolari problematiche, si cercava un mezzo per limitarle, ma senza successo. In realtà, l’unica iniziativa di questo tipo che è stata poi accettata da popolo e cantoni è quella detta di “Rothenturm”, che voleva impedire la costruzione di una piazza d’armi, già

pianificata, in un luogo di pregio naturale. Altre iniziative con contenuti retroattivi sono sempre state respinte. Ma anche la recente iniziativa parlamentare non è priva di insidie. A parte la limitazione di un diritto popolare, l’iniziativa potrebbe vietare anche quelle iniziative popolari che fossero favorevoli al cittadino con l’effetto retroattivo. Potrebbe rientrare in questa categoria anche la progettata iniziativa per un’amnistia fiscale generale. Infine si può anche dubitare che il Parlamento sia l’istanza idonea per decidere su un tema tanto delicato. Recentemente anche Avenir Suisse ha proposto una serie di riforme e ha strutturato le sue richieste in cinque punti essenziali: • un’applicazione più rigorosa dei motivi per i quali un’iniziativa deve essere dichiarata inaccettabile, in particolare appunto un’applicazione retroattiva delle sue richieste;

• il numero di firme necessario per la riuscita di un’iniziativa deve essere portato al 4% degli aventi diritto di voto. Ciò corrisponderebbe oggi a 211'000 firme; • a livello federale va introdotta anche l’iniziativa legislativa e il numero di firme necessario dovrebbe qui situarsi al 2% degli aventi diritto di voto; • le leggi di applicazione di un’iniziativa popolare che venisse accettata dovrebbero essere sottoposte a referendum obbligatorio; • in votazione popolare dovrebbe essere presentata una sola iniziativa per volta. Queste riforme creerebbero vincoli più imperativi al lancio di iniziative e renderebbero questo strumento della democrazia diretta meno strumentalizzabile

Ignazio Bonoli


Pegaso

Venerdì 29 maggio 2015

V

Clima

Verso la conferenza di Parigi sul clima Attesa per la nuova strategia politica di salvaguardia del pianeta Dal 30 novembre al 15 dicembre 2015 si terrà a Parigi l’attesissima Conferenza sul clima. Si tratta di dare un seguito al Protocollo di Kyoto, adottato nel dicembre del 1997. In questi 15 giorni si dibatterà sulla situazione climatica del pianeta terra e si cercherà di mettere a punto la strategia politica da attuare per la salvaguardia del pianeta dal 2020 in avanti. Una conferenza della massima importanza quindi alla quale tutti guardano con interesse e con la speranza che i risultati siano degni dell’intelligenza umana. Si parla di speranza, in quanto i risultati non sono per nulla scontati. La posta in gioco è si altissima, ma le dinamiche che stanno dietro ai molteplici interessi di natura economica non agevoleranno la formulazione di proposte in parte anche drastiche. Di queste difficoltà si è avuto un chiaro anticipo in occasione della Conferenza preparatoria di Lima svoltasi durante le prime due settimane del dicembre 2014: solo timidi passi sono stati fatti verso l’adozione del nuovo piano d’azione globale che persegue l’obiettivo di contenere il riscaldamento climatico entro la soglia dei 2 gradi centigradi. Se non si dovesse riuscire a trovare i necessari consensi per un’azione globale, ci si dovrà accontentare degli impegni volontari dei singoli Governi. Impegni che ci si può aspettare siano basati più su considerazioni politiche ed economiche che non sulle valutazioni scientifiche degli scienziati. Parimenti saranno i singoli governi a decidere singolarmente i contributi da versare al Fondo verde per il clima, destinato a finanziare interventi particolari nei paesi la cui situazione finanziaria non consentirebbe quegli investimenti per migliorare la situazione climatica. L’obiettivo delle “zero emissioni” entro l’anno 2100 (che permetterebbe di contenere il riscaldamento entro il livello di guardia indicato dagli scienziati) si trova così dilazionato ulteriormente nel tempo. In altre parole, la riduzione di anidride carbonica immessa nell’atmo-

sfera avverrà in tempi più lunghi. Certo, se consideriamo Lima come la prova generale per Parigi, c’è di che essere preoccupati. Ma l’anno di tempo che intercorre tra le due conferenze deve pur consentire di sperare in un qualche passo avanti: è almeno l’auspicio di quanti continuano a mantenere e a operare con un certo ottimismo in quella che sono in molti a considerare come la più grande sfida mai affrontata dall’umanità. In particolare si nota come la società civile stia dimostrando una crescente mobilitazione a livello globale. Erano in 300’000 a partecipare alla più grande marcia sul clima della storia svoltasi lo scorso settembre a New York in occasione del summit sul clima delle Nazioni Unite, marcia accompagnata da migliaia di eventi in oltre 150 Paesi. Anche l’accordo, subito definito storico, tra Stati Uniti e Cina dello scorso novembre sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rientra tra gli atti che permettono di guardare con una certa fiducia al futuro: queste due Nazioni assieme sono infatti responsabili di quasi la metà delle emissioni nocive. La Cina si è impegnata a ridurre le proprie emissioni a partire dal 2030, mentre che gli Stati Uniti si sono impegnati a tagliare entro il 2025 un quarto delle loro emissioni rispetto ai livelli del 2005. C’è poi stata la proposta del Brasile che chiede di differenziare tre diversi livelli di responsabilità tra gli Stati inquinanti storici (Stati Uniti in testa), le Nazioni emergenti (Cina, India, Brasile) che sono invitate a presentare interventi adeguati alle proprie condizioni, e da ultimo i paesi più poveri e vulnerabili che, pur avendo le minori responsabilità, ne subiscono le peggiori conseguenze: anch’essi vanno coinvolti, anche se con interventi più limitati. Questa proposta del Brasile è stata valutata positivamente dalle diverse delegazioni nazionali e potrebbe quindi essere utile nella ricerca di quel consenso generale indispensabile per fare promettenti passi avanti il

prossimo dicembre a Parigi. Come illustra il recente rapporto The Climate Change Performance Index pubblicato lo scorso dicembre (https://germanwatch.org), se nessuno è innocente alcuni sono più colpevoli di altri. Il rapporto esamina le politiche pubbliche in materia climatica seguite da 58 Paesi responsabili di oltre il 90% delle emissioni nocive nel mondo, e li suddivide in cinque categorie: nella quinta, la peggiore, troviamo Russia, Brasile e Giappone; nella quarta Cina e Stati Uniti, ma anche l’Austria; nella terza India, Italia, Germania; nella seconda Svezia, Inghilterra, Francia e Svizzera (8° posto). Nella prima categoria non figura alcuna Nazione, per sottolineare il fatto che nessuna raggiunge l’optimum. Anche le Chiese si stanno attivando intensificando l’impegno a favore dei cambiamenti climatici. In occasione del già citato vertice ONU sul clima dello scorso settembre, il Segretario di stato della Santa Sede card. Pietro Parolin, nel suo intervento ha affermato che “Gli Stati hanno una responsabilità

comune di proteggere il clima mondiale attraverso azioni di mitigazione, di adattamento e di condivisione delle tecnologie e del know-how”. Dal canto loro, una trentina di leader religiosi riuniti in una Conferenza interreligiosa organizzata dal Consiglio ecumenico delle Chiese e da Religioni per la pace, hanno chiesto agli Stati dell’ONU di “lavorare in modo costruttivo verso un accordo globale e di vasta portata sul clima a Parigi nel dicembre 2015”. Ed oggi c’è molta attesa per l’imminente Enciclica di papa Francesco sull’ecologia umana e naturale, annunciata forse già per il mese di giugno, o forse per l’autunno. Sarà dedicata al dono del Creato e alla sua custodia. Il card. Peter Turkson, incaricato dal Papa di coordinare i lavori della nuova Enciclica, intervistato dieci giorni fa da Radio Vaticana ha anticipato che la preoccupazione per la salvaguardia del Creato e per un’ecologia e un’antropologia sana sono due punti essenziali trattati dall’Enciclica. Pierfranco Venzi


VI Pegaso

Pegaso VII

Venerdì 29 maggio 2015

Argomento

L’impegno dei cattolici a favore del clima Consegnato al Papa il Documento programmatico del Movimento cattolico In occasione del viaggio nelle Filippine (15-19 gennaio 2015), durante il quale ha incontrato i sopravvissuti al supertifone Haiyan, abbattutosi sull’arcipelago nel novembre 2013 e considerato un effetto dei cambiamenti climatici, il papa Francesco ha ricevuto dall'arcivescovo di Manila, cardinal Tagle, il Documento programmatico del Movimento cattolico globale per il clima, pubblicato il 14 gennaio scorso. Per la prima volta prende vita una rete globale che punta a sensibilizzare i cattolici sulla questione dei cambiamenti climatici, con l'obiettivo di diffondere la conoscenza dell'insegnamento della Chiesa su questo tema e favorire la preghiera e l'azione pubblica dei cattolici in questo campo. Per maggiori informazioni su questo Movimento e le sue iniziative, anche in vista della Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici convocata a Parigi a fine 2015 (COP 21), è possibile consultare il sito www.catholicclimatemouement.global, dove sono disponibili l'elenco dei membri e le indicazioni per chi volesse aderire.

no la dimensione globale della Chiesa cattolica e la condivisione della comune responsabilità per la salvaguardia della creazione di Dio, che è meravigliosa e ci dona la vita. Ci sono di ispirazione gli insegnamenti della Chiesa e ci guida la virtù della prudenza - concepita da san Tommaso d'Aquino come “la retta norma dell'azione” [cfr Catechismo della Chiesa cattolica, 1992, n. 1806]. Accettiamo i risultati della ricerca dei migliori scienziati, quali quelli riuniti nell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici), secondo i quali le emissioni di gas serra provocate dalle attività umane contribuiscono ai cambiamenti che si stanno verificando sull' intero nostro pianeta con gravissime conseguenze. Siamo infine certi che i cambiamenti climatici antropogenici - provocati cioè dall'umanità - minacciano la creazione di Dio e tutti noi, in particolare i poveri, le cui voci hanno già parlato degli effetti di un clima alterato.

Chi siamo?

Che cosa crediamo e perché?

Il Movimento cattolico globale per il clima è un'alleanza internazionale, la prima di questo tipo, fra cattolici di molte nazioni, continenti e condizioni di vita. Tra i suoi membri ci sono laici, religiosi, sacerdoti, teologi, scienziati e attivisti provenienti da molte nazioni tra le quali Argentina, Filippine, Gran Bretagna, Kenia, Australia, Stati Uniti d'America, uniti dalla comune fede cattolica e all'impegno, svolto in ruoli e organizzazioni diversi, sulle questioni relative ai cambiamenti climatici. Nella nostra collaborazione risuona-

La nostra preoccupazione e il nostro impegno si fondano sulle Scritture e sulla tradizione della Chiesa. Dalla Genesi fino all’Apocalisse, i cattolici accettano come verità rivelata che il creato e il suo ordine siano un bene che dobbiamo accogliere e custodire. Questo è stato ripetuto e sostenuto dal magistero della Chiesa per due millenni. In risposta a ciò che Dio ha donato al genere umano - aria pura, acqua che sostiene la vita, frutti della terra e ricchezza del mare – siamo chiamati a onorare Dio, nostro creato-

re, per tutte queste molteplici benedizioni. Siamo obbligati a rispettare questi doni, che sono per tutti. Per questa ragione. per i cattolici i cambiamenti climatici sono una questione profondamente spirituale, etica e morale. Se il dibattito sui cambiamenti climatici investe spesso la teoria economica e i programmi politici e può coinvolgere prese di posizione partitiche e manovre di gruppi d'interesse, noi ci focalizziamo sulle questioni morali e spirituali che il tema fa emergere. I cambiamenti climatici riguardano la nostra responsabilità di figli di Dio e di credenti di prenderei della vita umana, specialmente quella delle generazioni future avendo cura dell'intera creazione, opera meravigliosa di Dio. In occasione della sua visita nelle Filippine, papa Francesco ha posto l'accento sulla interdipendenza tra il creato e l'umanità. L'impatto che le condizioni climatiche estreme hanno sui più vulnerabili e sugli emarginati è chiaramente emerso quando ci siamo uniti alla preghiera del Santo Padre per tutte le famiglie colpite dal supertifone Haiyan, per le molte migliaia di morti e dispersi e per quelli, ancora più numerosi, che sono rimasti senza casa.

Un invito alla preghiera e all’azione

I vescovi delle Filippine hanno affermato: “Noi siamo un popolo di speranza”. Con lo stesso spirito crediamo che, lavorando insieme e con la grazia di Dio “abbiamo la possibilità di cambiare il corso degli eventi” (CATHOLIC BISHOPS' CONFERENCE OF THE PHILIPPINES). Per prima cosa riconosciamo che, storicamente, il confronto sulla crisi climatica si è incentrato più su aspetti intellettuali che sulle profonde

implicazioni spirituali e morali del nostro fallimento a prendere cura della creazione di Dio. I responsabili della Chiesa sono quindi invitati a parlare con voce profetica e a iniziare un dialogo spirituale con tutti i popoli, e soprattutto con i leader del mondo politico e imprenditoriale e con i consumatori che mettono in atto politiche e pratiche con effetti climatici distruttivi. Riconosciamo anche la nostra necessità di una conversione continua per una maggiore aderenza al desiderio del Creatore: che tutti abbiano vita e l'abbiano in abbondanza. Fino a che le implicazioni morali dell'origine umana dei cambiamenti climatici non saranno state stabilite con chiarezza e accertate. è improbabile che le società possano o vogliono passare, in un appropriato lasso di tempo, a tecnologie, economie e stili di vita sostenibili. Così, alla luce di una crescente evidenza scientifica e delle esperienze del mondo reale, offriamo la nostra preghiera per ottenere da Dio la grazia della guarigione, mentre lavoriamo nel mondo per prenderei cura e difendere coloro che sono nel bisogno e tutto il crea-

to.Lo facciamo sollecitando i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo a difendere il bene comune, prendendo le parti di quanti sono meno in grado di difendersi da soli: i popoli più poveri, i nostri figli, nati o non nati, le generazioni future e tutte le forme di vita che popolano la creazione di Dio. Sapendo che sono disponibili, e in abbondanza, soluzioni positive, ci impegniamo a sostenere le richieste di stringenti accordi internazionali sul clima, e al tempo stesso invochiamo e incoraggiamo la conversione dei cuori induriti. Invitiamo tutti i cattolici ad approfondire la questione dei cambiamenti climatici e impegnarsi, sia per accrescere la consapevolezza di questa questione cruciale, sia per agire nello spazio pubblico. E, per finire, affidiamo i nostri sforzi a Gesù Cristo, che rende nuove tutte le cose.

L’insegnamento della Chiesa

Papa Francesco sta per pubblicare un'enciclica sulla cura del! 'ambiente. Questo documento svilupperà gli insegnamenti di san Giovanni Paolo

II e di Benedetto XVI, così come di molti vescovi di ogni parte del mondo. Abbiamo già percepito questa continuità nelle parole pronunciate da papa Francesco fino ad oggi. Con questa dichiarazione noi, firmatari di questo documento, intendiamo collaborare a portare al mondo questi insegnamenti della Chiesa. Concludiamo con queste parole di speranza, offerte al mondo all'inizio del pontificato di papa Francesco: “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l'orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l'orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio” (PAPA FRANCESCO, Omelia della Messa di inizio pontificato, 19 marzo 2013).

Papa Francesco: il tempo si sta esaurendo! Le conseguenze del cambiamenti ambientali, che già si sentono in modo drammatico in molti Stati, soprattutto quelli insulari del Pacifico, ci ricordano la gravità dell'incuria e dell'inazione. Il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo. Possiamo trovare soluzioni adeguate soltanto se agiremo insieme e concordi. Esiste pertanto un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire. La lotta efficace contro il riscaldamento globale sarà possibile unicamente attraverso una risposta collettiva responsabile. Una risposta collettiva che sia anche capace di superare la sfiducia e di promuovere la cultura della solidarietà, dell'incontro e del dialogo; capace di mostrare la responsabilità di proteggere il pianeta e la famiglia umana. Messaggio alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 27 novembre 2014


VI Pegaso

Pegaso VII

Venerdì 29 maggio 2015

Argomento

L’impegno dei cattolici a favore del clima Consegnato al Papa il Documento programmatico del Movimento cattolico In occasione del viaggio nelle Filippine (15-19 gennaio 2015), durante il quale ha incontrato i sopravvissuti al supertifone Haiyan, abbattutosi sull’arcipelago nel novembre 2013 e considerato un effetto dei cambiamenti climatici, il papa Francesco ha ricevuto dall'arcivescovo di Manila, cardinal Tagle, il Documento programmatico del Movimento cattolico globale per il clima, pubblicato il 14 gennaio scorso. Per la prima volta prende vita una rete globale che punta a sensibilizzare i cattolici sulla questione dei cambiamenti climatici, con l'obiettivo di diffondere la conoscenza dell'insegnamento della Chiesa su questo tema e favorire la preghiera e l'azione pubblica dei cattolici in questo campo. Per maggiori informazioni su questo Movimento e le sue iniziative, anche in vista della Conferenza internazionale sui cambiamenti climatici convocata a Parigi a fine 2015 (COP 21), è possibile consultare il sito www.catholicclimatemouement.global, dove sono disponibili l'elenco dei membri e le indicazioni per chi volesse aderire.

no la dimensione globale della Chiesa cattolica e la condivisione della comune responsabilità per la salvaguardia della creazione di Dio, che è meravigliosa e ci dona la vita. Ci sono di ispirazione gli insegnamenti della Chiesa e ci guida la virtù della prudenza - concepita da san Tommaso d'Aquino come “la retta norma dell'azione” [cfr Catechismo della Chiesa cattolica, 1992, n. 1806]. Accettiamo i risultati della ricerca dei migliori scienziati, quali quelli riuniti nell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change, Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici), secondo i quali le emissioni di gas serra provocate dalle attività umane contribuiscono ai cambiamenti che si stanno verificando sull' intero nostro pianeta con gravissime conseguenze. Siamo infine certi che i cambiamenti climatici antropogenici - provocati cioè dall'umanità - minacciano la creazione di Dio e tutti noi, in particolare i poveri, le cui voci hanno già parlato degli effetti di un clima alterato.

Chi siamo?

Che cosa crediamo e perché?

Il Movimento cattolico globale per il clima è un'alleanza internazionale, la prima di questo tipo, fra cattolici di molte nazioni, continenti e condizioni di vita. Tra i suoi membri ci sono laici, religiosi, sacerdoti, teologi, scienziati e attivisti provenienti da molte nazioni tra le quali Argentina, Filippine, Gran Bretagna, Kenia, Australia, Stati Uniti d'America, uniti dalla comune fede cattolica e all'impegno, svolto in ruoli e organizzazioni diversi, sulle questioni relative ai cambiamenti climatici. Nella nostra collaborazione risuona-

La nostra preoccupazione e il nostro impegno si fondano sulle Scritture e sulla tradizione della Chiesa. Dalla Genesi fino all’Apocalisse, i cattolici accettano come verità rivelata che il creato e il suo ordine siano un bene che dobbiamo accogliere e custodire. Questo è stato ripetuto e sostenuto dal magistero della Chiesa per due millenni. In risposta a ciò che Dio ha donato al genere umano - aria pura, acqua che sostiene la vita, frutti della terra e ricchezza del mare – siamo chiamati a onorare Dio, nostro creato-

re, per tutte queste molteplici benedizioni. Siamo obbligati a rispettare questi doni, che sono per tutti. Per questa ragione. per i cattolici i cambiamenti climatici sono una questione profondamente spirituale, etica e morale. Se il dibattito sui cambiamenti climatici investe spesso la teoria economica e i programmi politici e può coinvolgere prese di posizione partitiche e manovre di gruppi d'interesse, noi ci focalizziamo sulle questioni morali e spirituali che il tema fa emergere. I cambiamenti climatici riguardano la nostra responsabilità di figli di Dio e di credenti di prenderei della vita umana, specialmente quella delle generazioni future avendo cura dell'intera creazione, opera meravigliosa di Dio. In occasione della sua visita nelle Filippine, papa Francesco ha posto l'accento sulla interdipendenza tra il creato e l'umanità. L'impatto che le condizioni climatiche estreme hanno sui più vulnerabili e sugli emarginati è chiaramente emerso quando ci siamo uniti alla preghiera del Santo Padre per tutte le famiglie colpite dal supertifone Haiyan, per le molte migliaia di morti e dispersi e per quelli, ancora più numerosi, che sono rimasti senza casa.

Un invito alla preghiera e all’azione

I vescovi delle Filippine hanno affermato: “Noi siamo un popolo di speranza”. Con lo stesso spirito crediamo che, lavorando insieme e con la grazia di Dio “abbiamo la possibilità di cambiare il corso degli eventi” (CATHOLIC BISHOPS' CONFERENCE OF THE PHILIPPINES). Per prima cosa riconosciamo che, storicamente, il confronto sulla crisi climatica si è incentrato più su aspetti intellettuali che sulle profonde

implicazioni spirituali e morali del nostro fallimento a prendere cura della creazione di Dio. I responsabili della Chiesa sono quindi invitati a parlare con voce profetica e a iniziare un dialogo spirituale con tutti i popoli, e soprattutto con i leader del mondo politico e imprenditoriale e con i consumatori che mettono in atto politiche e pratiche con effetti climatici distruttivi. Riconosciamo anche la nostra necessità di una conversione continua per una maggiore aderenza al desiderio del Creatore: che tutti abbiano vita e l'abbiano in abbondanza. Fino a che le implicazioni morali dell'origine umana dei cambiamenti climatici non saranno state stabilite con chiarezza e accertate. è improbabile che le società possano o vogliono passare, in un appropriato lasso di tempo, a tecnologie, economie e stili di vita sostenibili. Così, alla luce di una crescente evidenza scientifica e delle esperienze del mondo reale, offriamo la nostra preghiera per ottenere da Dio la grazia della guarigione, mentre lavoriamo nel mondo per prenderei cura e difendere coloro che sono nel bisogno e tutto il crea-

to.Lo facciamo sollecitando i nostri fratelli e le nostre sorelle in Cristo a difendere il bene comune, prendendo le parti di quanti sono meno in grado di difendersi da soli: i popoli più poveri, i nostri figli, nati o non nati, le generazioni future e tutte le forme di vita che popolano la creazione di Dio. Sapendo che sono disponibili, e in abbondanza, soluzioni positive, ci impegniamo a sostenere le richieste di stringenti accordi internazionali sul clima, e al tempo stesso invochiamo e incoraggiamo la conversione dei cuori induriti. Invitiamo tutti i cattolici ad approfondire la questione dei cambiamenti climatici e impegnarsi, sia per accrescere la consapevolezza di questa questione cruciale, sia per agire nello spazio pubblico. E, per finire, affidiamo i nostri sforzi a Gesù Cristo, che rende nuove tutte le cose.

L’insegnamento della Chiesa

Papa Francesco sta per pubblicare un'enciclica sulla cura del! 'ambiente. Questo documento svilupperà gli insegnamenti di san Giovanni Paolo

II e di Benedetto XVI, così come di molti vescovi di ogni parte del mondo. Abbiamo già percepito questa continuità nelle parole pronunciate da papa Francesco fino ad oggi. Con questa dichiarazione noi, firmatari di questo documento, intendiamo collaborare a portare al mondo questi insegnamenti della Chiesa. Concludiamo con queste parole di speranza, offerte al mondo all'inizio del pontificato di papa Francesco: “Anche oggi davanti a tanti tratti di cielo grigio, abbiamo bisogno di vedere la luce della speranza e di dare noi stessi speranza. Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l'orizzonte della speranza, è aprire uno squarcio di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della speranza! E per il credente, per noi cristiani, come Abramo, come san Giuseppe, la speranza che portiamo ha l'orizzonte di Dio che ci è stato aperto in Cristo, è fondata sulla roccia che è Dio” (PAPA FRANCESCO, Omelia della Messa di inizio pontificato, 19 marzo 2013).

Papa Francesco: il tempo si sta esaurendo! Le conseguenze del cambiamenti ambientali, che già si sentono in modo drammatico in molti Stati, soprattutto quelli insulari del Pacifico, ci ricordano la gravità dell'incuria e dell'inazione. Il tempo per trovare soluzioni globali si sta esaurendo. Possiamo trovare soluzioni adeguate soltanto se agiremo insieme e concordi. Esiste pertanto un chiaro, definitivo e improrogabile imperativo etico di agire. La lotta efficace contro il riscaldamento globale sarà possibile unicamente attraverso una risposta collettiva responsabile. Una risposta collettiva che sia anche capace di superare la sfiducia e di promuovere la cultura della solidarietà, dell'incontro e del dialogo; capace di mostrare la responsabilità di proteggere il pianeta e la famiglia umana. Messaggio alla Conferenza degli Stati parte alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, 27 novembre 2014


VIII Pegaso

Venerdì 29 maggio 2015

Cultura

A Tunisi l’ultima edizione del Forum Sociale Mondiale Si conferma l’impressione che il Forum ha perso la sua funzione storica Archiviata anche l'ultima edizione del Forum Sociale Mondiale (FSM), svoltosi per la seconda volta consecutiva a Tunisi dal 24 al 28 marzo, resta forte la sensazione di dover urgentemente cambiare strada. Pur avendo svolto un ruolo indubbiamente importante nella creazione di un'opposizione globale al pensiero unico neoliberista, il FSM sembra un po' avere esaurito la sua funzione storica, restando impigliato nell'irrisolta questione della sua limitata capacità di incidenza: un dibattito che ha da sempre opposto quanti hanno guardato al Forum unicamente come spazio aperto di diffusione di idee e di scambio di esperienze e quanti avrebbero voluto trasformarlo in una forza unitaria in grado di assumere decisioni concrete. Dominato in maniera sempre più m, marcata dalla presenza delle ONG a scapito di quella dei movimenti popolari, e soprattutto dei nuovi soggetti che emersi al di fuori dello spazio del FSM, come i movimenti degli indignati di ogni parte del pianeta, ma anche del mondo del precariato, dell'economia informale, dei giovani sottoproletari delle periferie delle grandi città, il Forum si è rivelato alla fine incapace di opporsi al disegno del capitale di piegare lo Stato ai propri interessi. Comprese, interpretate e sviscerate fino ad esaurimento le dinamiche del capitalismo globalizzato, si richiede insomma un decisa svolta, organizzando - come ha sottolineato, per esempio, Vittorio Agnoletto, membro del Consiglio Internazionale del Forum Sociale Mondiale - “vertenze globali in grado di unire i movimenti di ogni continente attorno a obiettivi condivisi, precisi e pubblicamente dichiarati, seppure declinati secondo la propria specificità territoriale”. E dunque individuando “tre, quattro, massimo cinque campagne sui temi cruciali per il futuro dell'umanità”, attorno a cui “organizzare realmente una mobilitazione globale condivisa”. Convinto della necessità di un cambiamento si è

detto anche uno dei fondatori del FSM, il brasiliano Chico Whitaker, secondo cui il Forum deve tornare a svolgersi parallelamente al Forum Economico di Davos, "per recuperare la visibilità perduta”, e dar vita a un seminario di riflessione sul proprio futuro facendo proprie “tutte le nuove idee che stanno circolando”. E se non sono mancate critiche, e autocritiche, rispetto al Consiglio Internazionale del FSM, considerato logoro e poco rappresentativo, ci si interroga già, al suo interno, sulla sede della prossima edizione, tra chi vorrebbe che si svolgesse per la prima volta al Nord, e in particolare in Québec, chi propone un ritorno in grande stile a Porto Alegre, lì dove è nato, e chi evidenzia l'opportunità di organizzarlo in Grecia. Ciò detto, che il Forum si sia svolto anche stavolta in Tunisia - l'unico Paese, tra quelli investiti dalla cosiddetta primavera araba, in grado di intraprendere senza partico-

lari scosse un processo di transizione alla democrazia - è stata sicuramente una decisione giusta. E tanto più si è rivelata tale all'indomani della strage del museo del Bardo, il 18 marzo, in un momento, cioè, particolarmente drammatico per il Paese, alle prese con lo sforzo di non cedere né all'integralismo islamico né alla nostalgia per un regime autoritario, ma di continuare a credere a un' alternativa basata sulla partecipazione democratica e sulla giustizia sociale. Apertosi il 24 marzo con una grande marcia dei popoli contro il terrorismo (terminata proprio davanti al museo del Bardo) e conclusosi il 28 con una manifestazione dedicata alla solidarietà con il popolo palestinese, a cui hanno partecipato decine di migliaia di persone da tutto il mondo, tra cui moltissimi giovani tunisini e molte delegazioni dei Paesi del Maghreb, il Forum ha permesso alle diverse realtà di conoscersi e costruire reti - come

l’Alleanza ambientalista per un Mediterraneo solidale e sostenibile, lanciata da Legambiente insieme a due associazioni tunisine, Alternatives e Randet, all'organizzazione ambientalista francese France Nature Environnement e alla spagnola Ecodes - , o anche di dar vita a esperienze di diplomazia dal basso, come la riunione che ha avuto luogo tra la delegazione irachena e quella siriana. E una sintesi dei ricchi contenuti emersi dalle oltre mille attività autogestite, proposte da quasi 4’500 organizzazioni del mondo Intero.venute da una trentina di assemblee di convergenza che hanno avuto luogo gli ultimi due giorni su temi più generali, da quella sul clima. in vista della Cop21 di Parigi, il prossimo dicembre, a quella sull'Acqua e sulla Terra. Claudia Fanti, da ADISTA del 11 aprile


Pegaso IX

Venerdì 29 maggio 2015

Recensioni

“Una buona notizia di Dio per i poveri di questo mondo” Oscar Romero finalmente proclamato beato Il XXXV anniversario del martirio dell’arcivescovo Oscar Romero, ed a poche settimana dalla proclamazione (finalmente) della beatificazione, svoltasi il 28 maggio, è uscito anche in Italia di un libro di Jon Sobrino – Romero, martire di Cristo e degli oppressi, edito dalla Emi (pp. 281, 17 euro) – che lo ricorda davvero nel migliore dei modi, raccogliendo sette dei testi più belli, vibranti e significativi scritti nel corso degli anni dal teologo gesuita, suddivisi in tre parti: "Il mio ricordo di monsignor Romero": "Analisi teologica della persona e della vita di monsignor Rornero" e "Monsignor Romero: testimone di Dio". Un testo che, ricostruendo magnificamente la vita, il pensiero e la teologia di Romero pastore, profeta, martire e testimone della verità - quel Romero che è diventato, semplicemente, "Monsignore", senza aggiunte, esattamente come, nel Nuovo Testamento, il "Signore" è solo Gesù, senza "bisogno di ulteriore specificazione" - , ne restituisce un ritratto purissimo nella sua straordinaria e unica capacità di “illuminare questo mistero di Dio, reso opaco dalla crocifissione dei poveri e tanto luminoso nella loro speranza e nel loro impegno per risorgere”. Senza mancare di evidenziare, naturalmente, la sua dirompente radicalità evangelica, quella che lo portava, per esempio, a proclamare che l’interlocutore naturale della Chiesa è il popolo, non il governo” o che da Chiesa giudicherà l'uno o l'altro progetto politico a seconda del fatto che sia gradito al popolo”, polverizzando, “con queste parole, e la prassi conseguente, secoli di cristianità e tentativi, sempre ricorrenti. di neo-cristianità”. Ma, nel definire Romero come “una buona notizia di Dio per i poveri di questo mondo” (“e, a partire dai poveri, per tutti”), il libro di Sobrino fa anche giustizia di tutte quelle letture interessare portare avanti nel corso della sua vita e continuate poi dopo la sua morte (fino ai tentativi, ancora attuali. di diluirne la portata profetica). Di

tutti quei giudizi rendenti a "diminuirne la figura”, secondo cui, scriveva Sobri no, Romero sarebbe stato un uomo buono, “ma senza grande personalità, debole e facilmente impressionabile”, di cui si sarebbero approfittati gruppi radicali, tra cui i gesuiti, manipolando lo e forzandolo "a seguire la strada che più conveniva loro”. Insomma, il suo prestigio "sarebbe stato una frode .. e ora "un mito alimentato artificialmente”. Uno di quei tentativi di metterlo a tacere trasformandolo in una figura del passato, “come se oggi non avesse più nulla da dire e da offrire al Paese e alla Chiesa”, e imponendo il silenzio - “la più triste delle manipolazioni” - in risposta alla presunta tendenza di gruppi di sinistra, sempre loro, di “manipolarlo da morto per i propri interessi”. O, ancora, della tendenza dell'istituzione, accentuatasi nel corso del tempo, di appropriarsene al grido “monsignor Romero è nostro” (secondo le parole pronunciate da Giovanni Paolo II, in base a quanto ha assicurato mons. Vincenzo Paglia, il postulatore della causa di beatificazione): Romero, secondo Sobrino, “è stato un arcivescovo e appartiene alla Chiesa gerarchica; è stato un cristiano e appartiene a tutti i salvadoregni. Ma richiamarsi a monsignor Romero non significa considerarlo una proprietà privata”, bensì “lasciarsene possedere e metterlo a frutto”. Esattamente come Sobrino aveva ben sperimentato viaggiando in Asia: "A Tokyo, New Delhi e altrove ho visto che monsignor Romero ha qualcosa di importante da dire a cristiani, a marxisti, a buddhisti e a induisti”. Nella seconda sezione del libro, Sobrino descrive come, all'inizio del suo ministero alla guida dell' arcidiocesi, immediatamente dopo l'assassinio del gesuita Rutilio Grande - di cui ha preso recentemente il via a San Salvador la causa di beatificazione - e di due contadini, abbia avuto inizio quella che venne chiamata “la conversione” di mons. Romero, smentendo

nella maniera più netta la tesi di quanti - a cominciare da mons. Vincenzo Paglia e dallo storico Roberto Morozzo della Rocca - sostengono che non si possa parlare di una vera discontinuità tra il Romero nominato arcivescovo con il sostegno dell'oligarchia e l'arcivescovo che l'oligarchia ha deciso di assassinare.

* Una biografia di mons. Romero è stata pubblicata in PEGASO del 12 marzo 2011 (n. 49), con un estratto del suo discorso sulla “dimensione politica della fede”.

Claudia Fanti, da ADISTA 11 aprile 2015


X

Pegaso

Venerdì 29 maggio 2015

Recensioni

Bruno Bignami: La Chiesa in trincea Preti nella Grande Guerra, Salerno Editrice Roma 2014, pp. 142 Con questo agile e leggibilissimo libro, il presidente della Fondazione Don Primo Mazzolari mette a frutto le sue solide basi di teologo morale e di appassionato conoscitore della storia della Chiesa. L'intento è infatti quello di ragionare non tanto sulle concrete vicende belliche quanto sul bagaglio di conoscenze e di valutazioni che la Chiesa italiana (e non solo) possedeva nel 1915. Quale giudizio i vescovi e i preti erano in grado di formulare sugli avvenimenti? Quanto e come erano in grado di interpretare la tragedia del conflitto? Bignami inquadra la Grande Guerra in una cornice più ampia, ovvero quella dello scontro epocale (anzi, della "guerra" tout court, dice) con la modernità. Il discorso è condotto sul piano culturale e teologico, prendendo le mosse dalle prese di posizione di Gregorio XVI e Pio IX, per arrivare a Leone XIII e Pio X. L'autore evidenzia le gravi difficoltà della Chiesa a capire le esigenze della modernità, specie in riferimento al mutamento della natura della politica, dello Stato e quindi del concetto di autorità. Il ragionamento, pur esposto in modo sintetico, fila. Viene solo da aggiungere che almeno in alcuni passaggi del decennio 18601870 la Chiesa fu anche in guerra con le armi materiali: alludo non solo ai combattimenti del 1860 e (più simbolico) del settembre 1870, ma soprattutto all'uso della forza e in che modo! - nella repressione dei moti patriottici del 1867 (da Villa Glori a Mentana, passando per l'uccisione di Giuditta Tavani Arquati e dei suoi compagni). La parte centrale del libro di don Bi¬gnami è dedicata ai pronunciamenti sulla "giustizia" della guerra che furono fatti tra 1914 e 1918. Emerge da queste pagine la conferma della solitudine di papa Benedetto XV (un grande papa, a torto dimenticato dall'opinione pubblica anche cattolica), rimasto isolato nella condanna della “inutile strage”, di fronte a episcopati nazionali ormai pressoché compattamente schierati con i rispettivi governi. Giustamente don Bignami

riporta citazioni - di singoli vescovi di varie parti d'Italia - che oggi possono sembrarci incredibili tanto sono condizionate dalla propaganda patriottica, assunta in modo talmente acritico è persino ingenuo e comunque lontanissima da ogni riferimento al Vangelo. In questo triste quadro spiccano invece le parole del barnabita Alessandro Ghignoni, una delle rarissime voci convinte di dover considerare anticristiana la guerra. Di notevole interesse sono poi le pagine nelle quali l'autore prende in esame una delle argomentazioni più ricorrenti allora, ovvero l'ipotesi che tramite la guerra si potesse restituire la fede alla- popolazione italiana. Su questo versante - sul quale si posero anche le varie iniziative volte alla consacrazione dei soldati al Sacro Cuore o alla diffusione di altre devozioni - si consumarono tuttavia molte illusioni, ché ben presto qualcuno cominciò a rendersi conto che il ricorso alla preghiera o la partecipazione a messe e processioni era più dettato dalla paura e dalla superstizione che non da una vera conversione interiore. Cappellani e preti al fronte constatavano che i soldati continuavano a bestemmiare, condurre una vita materialistica e a frequentare i bordelli ogni volta che ne esisteva la possibilità. Forse però, le pagine più utili e nuove del libro sono quelle basate sui diari, le lettere e la diretta documentazione dei preti e dei seminaristi arruolati, cominciando ovviamente da don Mazzolari, ma citando via via don Astorri, don Tedeschi, don Minzoni, don Culetti, don Cortese, don Angelo Roncalli e tanti altri. Abbiamo qui in presa diretta le valutazioni sulla guerra e le sue durezze, nonché sui commilitoni; soprattutto però registriamo con dovizia di particolari e di approfondimenti come questi sacerdoti percepissero l'influsso di quella vita sulla propria spiritualità e sulla propria vocazione. Queste risultavano infatti a forte rischio, non solo per la presenza quotidiana della morte, della violenza e dell'odio, ma pure per la tentazione della disperazione. Si

rilegga quanto don Bignami riporta a proposito dei preti fatti prigionieri e rinchiusi nei campi austriaci. Per inciso, va detto che ritroviamo qui tanti elementi di continuità tra la prima e la seconda guerra mondiale: appunto in tema di brutalità dell’esperienza del lager, oltre che in materia di giudizi cattolici sul conflitto (per esempio nella visione della guerra come "castigo di Dio"). Si capisce pertanto la conclusione del libro, nella quale l'esperienza della partecipazione diretta alla guerra diventa elemento determinante per l'intera esistenza dei chierici e dei preti coinvolti. Per quanto accennati, appaiono enormi i problemi formativi e psicologici che la Chiesa deve affrontare a proposito dei seminaristi che tornano a casa nel 1919: molti di loro non verranno più accettati, tanti altri lasceranno di propria iniziativa. Ma gli stessi problemi segneranno anche i preti, che dopotutto erano soltanto di pochi anni più anziani. I differenti percorsi seguiti dalla coppia di amici cremonesi don Primo Mazzolari e don Annibale Cadetti - sono esemplari per tutta quella generazione. Al di là della ricostruzione storica in senso stretto, dunque, questo libro fa ri-

flettere sulle conseguenze dei conflitti anche rispetto a situazioni poco considerate (nel nostro caso il destino vocazionale di tanti giovani). E, naturalmente, costringe a meditare sul circolo vizioso che si crea tra mancanza di aggiornamento culturale, mancato confronto con i cambiamenti sociali e conseguente inadeguatezza della pastorale della Chiesa. La tesi complessiva di don Bignami si colloca qui: al di là di ogni previsione o aspettativa, la prima guerra mondiale contribuì a frantumare molte certezze della Chiesa, costrinse a fare i conti con una realtà diversa rispetto a quella imparata nei seminari, impose a molti preti di ritrovare un diverso rapporto - più diretto e concreto - con gli uomini del loro tempo. Insomma, la guerra fece iniziare un lento e sofferto processo di maturazione che trovò un suo primo compimento decenni dopo, con il Vaticano II e con la compieta revisione delle concezioni tradizionali su autorità, Stato, pace e guerra. Giorgio Vecchio da IMPEGNO, Bozzolo, aprile 2015


Pegaso XI

Venerdì 29 maggio 2015

Riviste

Rivista delle riviste ARCHIVIO STORICO TICINESE, Rivista di cultura C.P. 1291, 6501 Bellinzona Nel numero 156 (dicembre 2014) Silvano Toppi ripercorre le vicende del “Rapporto Kneschaurek” che dopo cinquant’anni “non è mai morto”, anche se “anamnesi e poi diagnosi non sono servite a migliorare il paziente” (pag.119). Andreas Thürer informa suilla Federazione patriottica svizzera, fondata nel 1918 come “bastione borghese”, mentre Vera Segre presenta le sue ricerche sulle famiglie Ghiringelli e Muggiasca , committenti del soffitto della Cervia ( 280 tavolette lignee con dipinti su carta, ora in parte al museo di Castelgrande). IL CANTONETTO, Rassegna letteraria bimestrale, Via Antonio Ciseri 9, 6900 Lugano Il numero 1-2, anno LXII (febbraio 2015) presenta 76 pagine di informazione locale, con un saggio sulla formazione delle levatrici nell Ottocento: “Come nascevano i bambini nel Ticino”. CHOISIR, rivista culturale dei gesuiti, rue Jacques-Dalphin 18, 1227 Carouge – Ginevra. Nel numero 665 (maggio 2015) un prete di Sierre festeggia l’anno 2015 della misericordia (50.anni dal documento vaticano sull’ecumenismo, il Sinodo di fine ottobre, l’apertura dell’Anno della misericordia per il 2016). Uno psichiatra parigino mette in guarda ai pericoli dei “robot domestici”, sempre più diffusi. CIVITAS, Rivista di società e politica della Società degli studenti svizzeri, Gerliswilstrasse 71, 6020 Emmenbrücke. Il numero 2/2014-2014 sostiene l’iniziativa sugli assegni di studio, in votazione il prossimo 14 giugno, e lancia un dibattito su “La sfida per la democrazia”, tema al quale sarà dedicata una giornata di studio sabato 11 luglio a Berna. IL DIALOGO, bimestrale d’informazione e di opinione delle ACLI Svizzere, Via Balestra 19/21, 6900 Lugano. Nel numero di febbraio viene affrontato il tema dei limiti della satira, con riflessioni di fra Martino e mons. Chiappini e un’intervista due i vignettisti ticinesi Mordasini e Boneff , e le opinioni di papa Francesco ( “Non si può provocare … si può aspettarsi un pugno”) e di Enrico Morresi e il prof. Claudio Palumbo dell’università di Parma. Complimenti alla redazione per aver affrontato un tema scottante! KOINONIA, periodico mensile Piazza S.Domenico 1, 51100 Pistoia. Il numero di marzo è in gran parte dedicato a San Romero d’America, pastore e martire nostro, con testi di Massimo Toschi, Luigi Accattoli, Ettore Masina e poesie di Turoldo e Pedro Casaldaliga . Il numero di aprile si apre con un articolo di Raniero La Valle sull’Anno Santo della misericordia: “un vero giubileo della misericordia dovrebbe portare a compimento la marcia dei diritti. L’ultima discriminazione che ancora divide gli esseri umani tra uomini e no è la cittadinanza”. Il domenicano Ignace Berten si chiede se la dottrina del matrimonio non è obsoleta, mentre il teologo Severino Dianich mette in guarda dal “catastrofismo” di coloro che hanno paura di cosa deciderà il prossimo Sinodo di papa Francesco. RIVISTA DELLA DIOCESI DI LUGANO, mensile, Curia vescovile, 6901 Lugano Il numero 1-2 del 2015 (gennaio-febbraio, distribuito a metà marzo) informa sulle intenzioni dei nuovi centri media cattolici ; “il lavoro non è finito, perché vanno riempiti di vita”. Del Messaggio del 1. Gennaio per la Giornata della pace viene pubblicato solo una sintesi, mentre l’invito a partecipare al percorso sinodale 2015 arriva in zona Cesarini (“inviare entro il 27 marzo”), con un comunicato del 21 gennaio. In omaggio ai tempi secolari della Chiesa cattolica, si informa che (forse) è stato trovato un frammento del Vangelo di San Marco che risalerebbe a

circa gli anni 90 d.C. Alleluia! Nel numero di aprile il prof. Mauro Orsatti tratta il tema de “La sorprendente attualità del digiuno”, senza dimenticare il dramma della fame che vivono 800 milioni di persone e che causa la morte ogni anno di 3 milioni di bambini; dopo un articolo sui “Neologismi di Bergoglio” (ma ai cristiani interessano più le sue provocazioni …), una decina di pagine sono dedicate alla sintesi dei discorsi di papa Francesco, e qualcuna di più a riprodurre quelli del vescovo Lazzari. IL REGNO, quindicinale di attualità e documenti, Via Nosadella 6, Bologna. Nel numero del 15 gennaio 2015, lo “studio del mese” à dedicato a “Donne e teologia. Dire la differenza oltre le ideologie”, curato da Cristina Simonelli, presidente del coordinamento delle teologhe italiane. RIVISTA LASALLIANA, trimestrale di cultura e formazione pedagogica della Congregazione dei Fratelli delle scuole cristiane Nel fascicolo 1-2915 uno studio sull’insegnamento della religione cattolica nella scuola cattolica in Italia, il dibattito sul valore delle discipline umanistiche nella formazione e sul valore formativo della matematica; viene ricordato don Luigi Sturzo e il suo contributo di pensiero sulla scuola. RIVISTA TEOLOGICA DI LUGANO, quadrimestrale, C.P. 4663, 6900 Lugano Nell’ultimo numero (n.3 - novembre 2014), Azzolino Chiappini controbatte l’opinione, precedentemente ospitata dalla rivista (n.2 - 2013), che papa Ratzinegr non ha rinunciato al munus, ma solo all’executio muneris (cioè all’esercizio della carica di papa). No, se non è più vescovo di Roma, non è più papa, come succede ai vescovi dimissionari o trasferiti ad altra diocesi. Ovvio …. Del resto, un Papa emerito è un già papa; come un emerito presidente non è più presidente di niente. È importante (?) che sia la Rivista teologica a spiegarlo. VOCE EVANGELICA, mensile della Conferenza delle Chiese evangeliche di lingua italiana in Svizzera, via Landriani 10, 6900 Lugano Nel numero di maggio, il pastore Tobias Ulbrich, presidente della Chiesa protestante in Ticino, postula un cambiamento necessario nella presentazione delle religioni nella scuola ticinese; seguono articoli sul dramma delle immigrazioni, sulla presenza critica delle Chiese all’Expo milanese, a sostegno dell’iniziativa per il rispetto da parte delle multinazionali in Svizzera dei diritti umani e dell’ambiente.

Segnalazioni BIENNE, 29 maggio, Kongresshaus, Zentralstrasse 60, dalle 13.30 alle 17.15. Conferenza annuale della cooperazione svizzera con l’Europa dell’Est; i Balcani occidentali in mutamento; informazioni : DFAE, Palazzo federale Ovest, 3003 Berna . Tel. 058 462 44 12 .Fax: 058 464 90 47. BRESCIA, domenica 14 giugno, dalle 9.30 alle 17.30, Centro parrocchiale di Santa Maria in Selva, via Sardegna 24 (presso Statzione FF), Assemblea nazionale di “Noi siamo Chiesa” in Italia. Relazioni di Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale, Cristina Simonelli, presidente delle teologhe italiane sul Sinodo e sull’Assemblea della Chiesa italiana a Firenze, Basilio Buffoni e Mauro Castagnaro sui rapporti internazionali e sul Concil 50 a Roma (20-22 novembre). (www.noisiamochiesa.org).


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