160323 - Marzo

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Pegaso Inserto di cultura politica e di politica culturale

Principia Papa Francesco parla alla Confindustria

Personaggio Dorothy Day, una militante diversa

Argomento Lazzati e il cristiano nella polis

Società Analizzare e distinguere tra Islam e terrorismo

Pegaso Inserto mensile di Popolo e Libertà

Pagina III

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Pagina VI + VIII

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no. 111 - 25 febbraio 2016

Desideri popolari e un presidente DOC L’inchiesta promossa la scorsa estate dal Partito Popolare Democratico ticinese tramite un articolato questionario, ha ottenuto un buon successo di partecipazione, e circa un terzo degli interpellati ha risposto, offrendo un prezioso “campionario” per delineare quali sono le aspettative di molti dirigenti e militanti del Partito. Purtroppo furono allora interrogati i “congressisti” (un gruppo di aderenti con responsabilità partitiche più o meno importanti), e le circa 1’000 risposte non riflettono le tendenze complessive degli aderenti e votanti per il Partito, pur costituendo circa un ventesimo di coloro che lo hanno votato nelle elezioni del 2015 (circa 20’000 voti); hanno risposto infatti per il 73% appartenenti al sesso maschile contro solo il 23% di donne, certamente gli elettori non si dividono in tali proporzioni, pur essendo maggiore l’assenteismo femminile; sottorappresentati sono anche i giovani, con solo il 4% giovani con meno di trent’anni. Sulle possibili cause di queste distorsioni mi sono già espresso in PEGASO del 19 febbraio scorso. Tuttavia alcune considerazioni utili possono essere fatte, seppure con la percentuale di errore determinata da tale distorsione: i promotori dell’inchiesta, se lo ritengono utili, possono ottenere indicazioni più adeguate, chiedendo a chi ha elaborato i dati (sotto la direzione del sociologo Oscar Mazzoleni) di separare i risultati per le diverse categorie (sesso, età, professione ecc.). A favore del maggioritario? Il primo risultato che merita un commento (e un approfondimento ulteriore) è quello ottenuto dalla domanda “Il governo cantonale dovrebbe venire eletto con il sistema maggioritario?”, alla quale “molto d’accordo” si sono dichiarati in 337, e “abbastanza d’accordo” in 303 (32,2 più 28,9%), cioè con una netta maggioranza; mentre “poco o per nulla d’accordo” si sono espressi 209 (il 19,9%). Pur es-

sendo impreciso cosa intendesse il questionario per “sistema maggioritario“ (cioè tra le due principali possibilità, quella di attribuire la maggioranza o la totalità del governo alla lista che raccoglie più voti, oppure quella di considerare eletti i cinque candidati che raccolgono la maggioranza assoluta delle preferenze), la netta risposta affermativa è indice almeno di insoddisfazione sul modo con cui viene eletto il governo ticinese, cioè un sistema proporzionale corretto. Per ironia della storia, tale sistema è il frutto di diverse “battaglie” del Partito Popolare Democratico (e prima del Partito conservatore di Giuseppe Cattori) a favore del sistema proporzionale che, in democrazia, serve a garantire una rappresentanza adeguata alle minoranze. Mi è difficile immaginare che i “congressisti” del Partito siano fautori di un ”governo forte” a maggioranza leghista; Cattori aveva nel 1922 trovato la formula (con l’appoggio socialista) di impedire la continuazione dello strapotere del partito liberale radicale, che non aveva più la maggioranza assoluta né in Gran Consiglio né nel popolo. La risposta adeguata alla richiesta della maggioranza dei “congressisti” per un governo più “efficace”, espressione di un giudizio negativo sull’attuale composizione “arcobaleno” del Consiglio di Stato, non potrà dimenticare che le decisioni politiche spesso devono raccogliere una maggioranza anche in Gran Consiglio (si vuol abbandonare anche qui il proporzionale?) e in ultima istanza nel popolo, sempre più malcontento e attivo, come dimostra l’ampio uso dei diritti di referendum e iniziativa (vedi pacchetto di domande del prossimo 5 giugno). Per una alleanza di maggioranza Una risposta che potrebbe venire in soccorso alla manifestata esigenza di una maggiore “efficienza governativa” sembra venire dalle maggioranze ottenute dalle due domande circa “l’opportunità di collaborare maggiormente con gli altri partiti“ e “con quale partito/movimento collaborare maggiormente”: alla prima domanda, hanno acconsentito in 750 (71,6%), mentre sono per lo stato attuale in 258 (24,7%). Circa invece il partito

con cui “collaborare maggiormente”, in 298 indicano il Partito liberale radicale (su un totale di risposte di 553), con un’ampia dispersione di quasi la metà delle risposte tra altri partiti o indicazioni generiche. Se però lo scopo dell’alleanza è quello di avare un “governo stabile” (come manifesta la preferenza per il maggioritario), allora le possibilità sono solo due nella attuale composizione di Consiglio di Stato e Gran Consiglio: o l’alleanza con la Lega, o l’alleanza con ambedue gli altri partiti, liberale e socialista. La sola alleanza con il partito liberale radicale non permette di porre fine al sistema attuale del “caso per caso”. La soluzione praticabile, per ottenere un rafforzamento del governo mantenendo il sistema attuale di elezione, é quella di realizzare una alleanza stabile tra i partiti, come di fatto avviene in diversi Cantoni confederati per l’elezione dei membri del governo. Con il sistema proporzionale, un “governo forte” il Ticino lo ha già avuto, e i popolari democratici lo hanno “sopportato” per vent’anni a partire dal martedì grasso del 1947. Per una dovuta onesta informazione degli elettori, sarebbe opportuno che una tale “alleanza di governo” fosse stipulata e resa nota prima delle elezioni, ciò che allora non avvenne. Un presidente anche competente A chi spetterà realizzare i “desidera-

ta” espressi dai congressisti nel questionario di mezza estate? Qui ci soccorre (per modo di dire) le risposte date circa “le caratteristiche del futuro presidente”: su un totale di 784 risposte (circa 260 hanno scelto di non esprimersi, confidando nella “buona sorte”), tre sono le caratteristiche maggiormente indicate: 198 vogliono un comunicatore, per 156 deve essere carismatico, per 121 un competente, per 116 che sia deciso; scelte confermate anche come “seconda” caratteristica: 178 per un comunicatore, 146 per un competente, 100 per un carismatico, 86 per un deciso, 84 per un affidabile, 43 per un mediatore, 37 che sia disponibile. Fa quindi la parte del leone “il comunicatore” e il “carismatico”, in linea col condizionamento dei media e della ormai prepotente civiltà dell’immagine. Ma ci sono anche coloro, in buona posizione, che ritengono che il futuro presidente debba essere “competente”, ovviamente in questioni politiche. Una qualità meglio verificabile e meno “stagionale” delle altre due, e che gli potrebbe permettere anche di essere “deciso”, per sostenere qualcosa di valido. Una qualità che per ora dobbiamo augurare a chi è chiamato a proporre la ormai prossima scelta. Alberto Lepori


II Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

Convenzione

Convenzione europea dei diritti dell’uomo: la nostra garanzia Un documento di importanza storica per l’Europa moderna In seguito all’adozione della convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), i diritti fondamentali sono garantitiin Europa. Questa Convenzione ha istituito la Corte Europea dei diritti dell’uomo davanti alla quale gli individui possono ricorrere quando giudicano che i loro diritti sono stati violati. Nel 1950, gli Stati membri del Consiglio d’Europa nato a termine della seconda guerra mondiale hanno adottato la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La CEDU, che non può essere firmata che dagli Stati membri del Consiglio d’Europa, aveva come scopo di ancorare una grande parte dei diritti proclamati due anni prima nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, ma non ancora ancorati in maniera vincolante in un trattato. La Convenzione garantisce i diritti fondamentali, come per esempio il diritto alla vita, a un processo equo, al rispetto della vita privata e familiare o alla libertà d’espressione. Lungo gli anni protocolli aggiuntivi hanno arricchito il testo. Per esempio il 6. e il 13. proibiscono la pena di morte, rispettivamente in tempo di pace e in tutte le circostanze. La Convenzione ha rapidamente dimostrato i suoi effetti nel rafforzamento delle democrazie. La Spagna per esempio, ha aderito al Consiglio dell’Europa e alla CEDU dopo la fine della dittatura di Franco nel 1977, e ha iscritto i diritti umani nella sua nuova Costituzione. Dopo la fine della Guerra fredda gli stati dell’Europa centrale e dell’Est hanno rapidamente cercato di aderire al consiglio dell’Europa e hanno ugualmente ratificato la CEDU. Il lavoro del Consiglio d’Europa, come gli standard minimi definiti dalla CEDU in materia di diritti umani hanno rappresentato un sostegno importante nello sviluppo delle giovani democrazie. Inoltre i paesi al beneficio di una lunga tradizione democratica hanno loro stessi avuto vantaggi dalla CEDU, conoscendo in effetti un miglioramento sostanziale della protezione

dei diritti umani. La Convenzione ha così contribuito a sviluppare il sistema giuridico di certi paesi, tra cui la Svizzera. I diritti della CEDU sono concernenti unicamente le relazioni tra gli individui e lo stato e devono essere rispettati da parte di tutti i 47 stati membri. SOno definiti nella prima parte della Convenzione, che stabilisce ugualmente a quali condizioni eventuali tra questi diritti possono fare oggetto di restrizioni. La convenzione inoltre definisce in maniera dettagliata il funzionamento della Corte europea dei diritti dell’uomo. Le disposizioni della CEDU rappresentano un denominatore comune della protezione dei diritti umani sul continente europeo.

La corte europea dei diritti dell’uomo

Istituita nel 1959 con sede a Strasburgo, la Corte europea dei diritti dell’uomo (CrEDU) è un organismo giurisdizionale comune degli stati membri del Consiglio d’Europa. La sua missione principale è di

trattare i ricorsi presentati da persone singole che denunciano una violazione della CEDU. La CrEDU ha questo di particolare; che permette a individui di presentare un ricorso contro uno stato membro del Consiglio d’Europa per denunciare una violazione dei propri diritti. Contrariamente alle istituzioni analoghe dell’ONU, la Corte emette non delle semplici raccomandazioni, ma delle decisioni che hanno forza obbligatoria. Gli stati che sono oggetto di sentenze possono tuttavia scegliere misure da prendere per la loro applicazione. Il Comitato dei Ministri, organo politico intergovernamentale, sorveglia sull’esecuzione. La corte non può tuttavia abolire o modificare una legge nazionale. Tocca agli stati membri farlo, se è il caso. Fino ad oggi la corte ha emesso 17’000 sentenze e ricevuto più di 640’000 ricorsi. La grande maggioranza di questi è stata dichiarata irricevibile. Occorre esaurire tutte le vie di ricorso interno allo stato membro e subire un “pregiudizio importante”

prima di poter ricorrere a Strasburgo. Entro la fine del 2013, 5940 ricorsi sono stati presentati contro la Svizzera. Una o più violazioni della Convenzione sono state constatate dalla Corte in 93 casi, ossia meno del 1,6%. Ognuno dei 47 stati membri manda un giudice alla CrEDU. Per la Svizzera è la Professoressa Helene Keller che occupa questa funzione. La Corte è composta di due camere: la “camera” e la “grande camera”. è la gravità del caso che determina se viene trattato dalla prima (composta da 7 giudici) o dalla seconda (di 17). Nei casi di poca entità, un ricorso può ugualmente essere esaminato da un comitato di 3 giudici. Se la decisione non è presa all’unanimità dei 3 giudici, il caso è trasmesso alla camera, e le decisioni possono a loro volta essere trasmesse alla Grande camera nel termine di 3 mesi per una decisione definitiva. Acatnews, giugno 2015 casella postale 3001, Berna (nostra traduzione)


IV Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

Personaggi

Dorothy Day (1897 - 1980), una militante diversa

Una donna che si è dedicata alla ricostruzione della società dal basso

Nel discorso davanti alle due camere del Congresso americano, il papa Francesco ha lodato alcuni statunitensi per l’uso che hanno fatto dei loro sogni di giustizia, di uguaglianza, di libertà e di pace per l’America. Se i richiami di Martin Luther King, Abraham Lincoln e Thomas Merton sono stati applauditi, l’evocazione di Dorothy Day (1897-1980) ha suscitato reazioni molto divise. Pacifista e libera Occorre dire che l’itinerario di questa militante è assai singolare. Nata nel 1897 e educata in una famiglia protestante di Brooklyn, rompe subito con la classe media e la pratica religiosa, “una stampella per i deboli” e si appassiona per i temi della povertà e della lotta di classe, essendo maggiormente attratta dal pensiero anarchico che non dal comunismo. Come giornalista dà parola ai movimenti pacifisti e ai scioperanti; si oppone alla circoscrizione militare e l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1917. Come difensora del suffragio femminile, è arrestata e imprigionata. Fa uno sciopero della fame per protestare contro le cattive condizioni di prigionia. Dorothy, che ama la vita culturale e sociale di New York, fa la scommessa di una libertà totale nei confronti delle leggi repressive e delle norme moralistiche: incinta di un uomo che rifiuta il bambino, subisce un aborto. A favore dell’azione sociale La sua autobiografia, “La lunga solitudine” ricorda questi anni di ribellione: “Noi abbiamo tutti conosciuto la lunga solitudine e abbiamo imparato che la sola soluzione è l’amore e l’amore viene dalla comunità”. Durante questo tempo il suo cammino interiore segue a una lenta evoluzione verso la spiritualità cristiana: frequenta ogni tanto la messa, legge il vangelo e Dostoevskij. Di nuovo incinta, decide di tenere il bambino e di farlo battezzare, ciò che provoca una rottura

con il padre che è ateo. Se la conversione al cattolicesimo la conduce ad addottare la morale sessuale della Chiesa, resta tuttavia critica di fronte alla mancanza di impegno sociale di una istituzione che coltiva il potere e i privilegi: “la carità è una parola che non colpisce. Ho avvertito un senso molto forte della dignità e del valore dell’uomo di ciò che gli è dovuto, piuttosto che la fierezza davanti alla potenza delle istituzioni cattoliche. Dorothy dirige il suo impegno cristiano nella linea del suo anarchismo comunitario. Con Peter Maurin, un contadino francese educato dal movimento personalista, fonda nel 1933 The Catholic worker (l’operaio cattolico), un giornale che è la leva di un movimento concreto di azione sociale. Un giornale che propone e collega le “case d’ospitalità” dove vengono accolti senza limiti persone di ogni condizione. Si tratta di creare delle comunità tra i poveri, di generare pratiche per arrangiarsi e di manifestare la solidarietà per gli operai.

Dorothy Day crede che si può vivere insieme senza avere regole scritte. Percorre gli Stati Uniti per incoraggiare tutte le comunità che si creano e lo testimonia con il suo impegno e i suoi articoli durante gli anni trenta duramente segnati dalla recessione economica. Ella vuol mostrare agli operai e ai disoccupati sottoposti alle ingiustizie che non sono soli, che ci sono dei cattolici al loro fianco. Dedicandosi alla ricostruzione della società dal basso con la solidarietà con l’aiuto reciproco e con la non-violenza, questo anarchismo comunitario agisce nella società americana come un appello alla resistenza. Continuare la vita Dorothy Day termina l’esistenza in preghiera tra le donne di un ospizio di senza casa che ha creato. “Non ho sempre sentito il carattere sacro della vita, ma durante tutta la mia vita sono stata sempre tentata da Dio, il mio cuore vibrava quando sentivo il nome di Dio. Io credo che ognuno di noi ha

questa aspirazione verso Dio”. Nel suo percorso non ha mai dimenticato di essere una donna: “Ecco che di nuovo noi arriviamo all’Avvento e al Natale e con questo si giustappongono la gioia e la tristezza, la notte e il chiarore dell’alba. Quello che ci salva è la speranza. Cosa hanno fatto le donne dopo la crocifissione? Gli uomini si tenevano in disparte; erano occupati a pregare e a lamentarsi,mentre le donne per loro istinto avevano continuato la vita. Esse hanno preparato gli aromi, hanno comperato il lenzuolo necessario alla sepoltura. Esse hanno rispettato il sabato e si sono affrettate d’andare alla tomba la domenica mattina. È il loro impegno che ha permesso loro di capire… Forse è più facile per una donna perché, qualunque sia la catastrofe o la minaccia, una donna deve continuare. Ella deve vivere e occuparsi delle cose della vita”. Claude Schwab, ECHO, Gèneve (29 ottobre 2015)


Pegaso III

Venerdì 25 marzo 2016

Principia

Papa Francesco parla alla Confindustria Dal discorso del 27 febbraio nell’Aula Paolo VI

FARE INSIEME “Fare insieme” è l’espressione che avete scelto come guida e orientamento. Essa ispira a collaborare, a condividere, a preparare la strada a rapporti regolati da un comune senso di responsabilità. Questa via apre il campo a nuove strategie, nuovi stili, nuovi atteggiamenti. Come sarebbe diversa la nostra vita se imparassimo davvero, giorno per giorno, a lavorare, a pensare, a costruire insieme! COINVOLGERE I DIMENTICATI Nel complesso mondo dell’impresa, “fare insieme” significa investire in progetti che sappiano coinvolgere soggetti spesso dimenticati o trascurati. Tra questi, anzitutto, le famiglie, focolai di umanità, in cui l’esperienza del lavoro, il sacrificio che lo alimenta e i frutti che ne derivano trovano senso e valore. E, insieme con le famiglie, non possiamo dimenticare le categorie più deboli e marginalizzate, come gli anziani, che potrebbero ancora esprimere risorse ed energie per una collaborazione attiva, eppure vengono troppo spesso scartati come inutili e improduttivi. E che dire poi di tutti quei potenziali lavoratori, specialmente dei giovani, che, prigionieri della precarietà o di lunghi periodi di disoccupazione, non vengono interpellati da una richiesta di lavoro che dia loro, oltre a un onesto salario, anche quella dignità di cui a volte si sentono privati? AL CENTRO LA PERSONA Tutte queste forze, insieme, possono fare la differenza per un’impresa che metta al centro la persona, la qualità delle sue relazioni, la verità del suo impegno a costruire un mondo più giusto, un mondo davvero di tutti. “Fare insieme” vuoi dire, infatti, impostare il lavoro non sul genio solitario di un individuo, ma sulla collaborazione di molti. Significa, in altri termini, “fare rete” per valorizzare i doni di tutti, senza però trascurare l'unicità irripetibile di ciascuno. AI centro di ogni impresa vi sia dunque l’uomo:

non quello astratto, ideale, teorico, ma quello concreto, con i suoi sogni, le sue necessità, le sue speranze, le sue fatiche. Questa attenzione alla persona concreta comporta una serie di scelte importanti: significa dare a ciascuno il suo, strappando madri e padri di famiglia dall’angoscia di non poter dare un futuro e nemmeno un presente ai propri figli; significa saper dirigere, ma anche saper ascoltare, condividendo con umiltà e fiducia progetti e idee; significa fare in modo che il lavoro crei altro lavoro, la responsabilità crei altra responsabilità, la speranza crei altra speranza, soprattutto per le giovani generazioni, che oggi ne hanno più che mai bisogno. COSTRUTTORI DEL BENE COMUNE Cari amici, voi avete “una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti” (Lett. enc. Laudato si; 129);

siete perciò chiamati ad essere costruttori del bene comune e artefici di un nuovo “umanesimo del Iavoro” Siete chiamati a tutelare la professionalità, e al tempo stesso a prestare attenzione alle condizioni in cui il lavoro si attua, perché non abbiano a verificarsi incidenti e situazioni di disagio. La vostra via maestra sia sempre la giustizia, che rifiuta le scorciatoie delle raccomandazioni e dei favoritismi, e le deviazioni pericolose della disonestà e dei facili compromessi. La legge suprema sia in tutto l’attenzione alla dignità dell’altro, valore assoluto e indisponibile. Sia questo orizzonte di altruismo a contraddistinguere il vostro impegno: esso vi porterà a rifiutare categoricamente che la dignità della persona venga calpestata in nome di esigenze produttive, che mascherano miopie individualistiche, tristi egoismi e sete di guadagno. L'impresa che voi rappresentate sia invece sempre

aperta a quel “significato più ampio della vita”, che le permetterà di “servire veramente il bene comune, con il suo sforzo di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di questo mondo” (Esort. ap. Evangelii gaudium, 203). Proprio il bene comune sia la bussola che orienta l’attività produttiva, perché cresca un’economia di tutti e per tutti, che non sia “insensibile allo sguardo dei bisognosi” (Sir4,1). Essa è davvero possibile, a patto che la semplice proclamazione della libertà economica non prevalga sulla concreta libertà dell’uomo e sui suoi diritti, che il mercato non sia un assoluto, ma onori le esigenze della giustizia e, in ultima analisi, della dignità della persona. Perché non c’è libertà senza giustizia e non c’è giustizia senza il rispetto della dignità di ciascuno. (Discorso nell’Aula Paolo VI, 27 febbraio 2016)


Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

V

Recensione

Una raccolta su Rosmini

“Il pensiero politico ed ecclesiologico di Antonio Rosmini”, una lunga serie di testi presentati da Giorgio Campanini Per iniziativa delle Edizioni rosminiane di Stresa (Lago Maggiore) sono state raccolti in tre volumi dal titolo “Il pensiero politico ed ecclesiologico di Antonio Rosmini” una lunga serie di testi di Giorgio Campanini, a partire dal saggio “Antonio Rosmini e il problema dello Stato” che risale al 1983. Campanini (nato a Genova nel 1930) si è dapprima laureato in lettere e in filosofia, per poi dedicarsi alla filosofia del diritto: è in questo ambito che (come narra nella autobiografia “in terza persona” che apre il primo volume) incontrò il filosofo roveretano (Roveredo 1797-Stresa 1855), allo studio del quale, dopo il periodo trascorso come funzionario alla Camera dei deputati, si è impegnato per un trentennio, durante gli anni di insegnamento all’università di Parma come professore di Storia delle dottrine, e poi anche alla lateranense di Roma e alla Facoltà teologica di Lugano. Sono circa una trentina gli scritti di Campanini su Rosmini, stesi dal 1977 al 2014, di cui sette studi monografici o ospitati in riviste e volumi collettanei. Il primo volume (210 pagine) della trilogia, dopo la già citata “autobiografia” e una panoramica dell’influsso di Rosmini nella cultura cattolica del Novecento (rivalutato dopo le condanne vaticane di fine Ottocento), è dedicato al suo pensiero circa lo Stato, dove il filosofo descrive le tre società che lo compongono: quella domestica, quella civile e quella religiosa. Il secondo volume (269 pagine) tratta del Rosmini politico, spaziando dal “cristianesimo politico”, al costituzionalismo, allo Stato cattolico, alla laicità. È da ricordare come il roveretano fu direttamente coinvolto nei rivolgimenti politici del 1848 romano e italiano, al punto da diventare ambasciatore del Piemonte presso Pio XI e da scrivere il progetto di una costituzione (“La Costituzione secondo giustizia sociale”), nella quale (secondo Romano Amerio in una lezione del 1948) “sancisce una larga partecipazione delle forze popolari al governo

della nazione”. Da rilevare la “modernità” di alcune proposte rosminiane, come quello del “Tribunale politico” per la tutela dei diritti di tutti, che pertanto deve essere eletto con la partecipazione di tutti i componenti la popolazione (persino le donne ed i minori, rappresentati dal capofamiglia), mentre il diritto di voto e di eleggibilità alle Camere legislative anche per Rosmini era riservato ai soli proprietari. Il terzo volume (222 pagine) presenta “Antonio Rosmini tra politica ed ecclesiologia”, con la partecipazioni ai dibattiti sul ruolo della Chiesa romana nelle vicende italiane, ma specialmente con il testo “Le cinque piaghe della Santa Chiesa”, per il quale Rosmini è largamente conosciuto e citato, le cui proposte conservano una attualità che il pontificato di Papa France-

sco contribuisce a risvegliare. L’opera rosminiana (che ai ticinesi va ricordato fu pubblicata la prima volta a Lugano nel 1848) illustra le piaghe “della separazione del popolo dal clero nel culto” (purtroppo non è bastato a rendere “popolare“ il culto l’abolizione del latino …), “la insufficiente educazione del clero” (…ancora tutta da verificare!), “la nomina dei vescovi abbandonata al potere laicale” (allora al potere statale, mentre fin qui non si è realizzata la proposta rosminiana di una elezione “a clero et populo”), e la quinta piaga costituita dalla “servitù de’ beni ecclesiastici”, cui doveva ovviare (e ancora c’è molta strada da fare: forza Francesco!) il ritorno della Chiesa alla povertà evangelica, perché “la Chiesa primitiva era povera, ma libera”. Giorgio Campanini ha riflettuto e

argomentato anche su questi temi a lui particolarmente cari (si leggano le pagine di “Manca il respiro” su “Un Consiglio dei laici per la Chiesa italiana” e sulla “Povertà della Chiesa, povertà nella Chiesa”, Ancora, Milano 2011). I testi qui raccolti sono un “generoso” invito a tornare a meditare su molti degli insegnamenti del filosofo di Roveredo, prima condannato dalla Curia vaticana e poi riscoperto e rivalutato come il massimo filosofo cattolico italiano, infine proclamato beato nel 2009. (a.l.) Giorgio Campanini, Il pensiero politico ed ecclesiologico di Antonio Rosmini, tre volumi, Edizioni rosminiane Stresa, 2014.


VI Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

Pegaso VII

Venerdì 25 marzo 2016

Argomento

Giuseppe Lazzati e il cristiano nella “polis”

Promuovere scelte coerenti nell’Europa frammentata Per educare I cristiani a “pensare politicamente” - cioè a pensare alla cura del bene comune e in conformità ad essa - e per rispondere alla mancanza di una “cultura politica” all’altezza delle sfide della sua epoca, il 4 ottobre 1985 Lazzati fondò a Milano l’Associazione “Città dell'uomo”. In tal modo egli voleva riprendere e svolgere anche alcune intuizioni dell’amico e ispiratore Giuseppe Dossetti. Lo scopo dell'Associazione era, ed è, quello di “elaborare, promuovere, diffondere una cultura politica che, animata dalla concezione cristiana dell'uomo e del mondo, sviluppi l’adesione ai valori della democrazia espressi nei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana, rispondendo alle complesse esigenze della società in trasformazione”. Gli anni trascorsi dalla fondazione di “Città dell’uomo” e dalla morte del prof. Lazzati il 18 maggio 1986 hanno visto il prodursi di profondi cambiamenti in Italia e nel mondo. La globalizzazione tecnologica, informatica, economica e finanziaria, più che promuovere uno sviluppo socialmente e ecologicamente sostenibile sembra aumentare le disuguaglianze e le esclusioni, gli “scarti”, di cui parla papa Francesco. Il mondo è attraversato da una potente tensione e radicali opposizioni, che generano guerra e morte, violenza e sfruttamento. Il fondamentalismo religioso alimenta e si alimenta di questa tensione stessa, che ha comunque molteplici cause storiche, economiche e sociali. L’Europa comunitaria non riesce a pensarsi come unione politica; di fronte alle ondate migratorie essa tende a concepirsi come una fortezza chiusa e a rinserrarsi in egoismi nazionalistici; non riesce a coniugare in maniera virtuosa sviluppo e osservanza delle regole comunitarie. L’Unione europea viene vissuta dai cittadini europei come una burocrazia astratta; l’ideale europeo ha perso molta della propria attrattiva e non rinascerà se l’Europa non si solleverà oltre il

livello delle trattative sulle relazioni economiche fra gli Stati e non si darà una prospettiva politica unitaria. Quanto all’Italia, non si afferma una prospettiva culturale riformista convincente, costruita da pensieri, non solo da dichiarazioni, e che sappia connettere in maniera virtuosa le volontà e le capacità dei cittadini. In particolare stenta ad affermarsi, in una società ripiegata sul particolare, la volontà di scommettersi in vista di uno scopo collettivo. Il linguaggio della politica appare in definitiva, almeno a chi stia al di qua dello schermo dei media, un linguaggio autoreferenziale, che non parla della concreta vita degli individui. Ci si domanda con quali visioni e con quali mezzi sia possibile avviare un dinamismo virtuoso, che apra una reale prospettiva di vita e di lavoro soprattutto alle giovani generazioni. I laici cattolici impegnati nella politica sembrano pressoché scomparsi dalla scena pubblica. Dopo la fase, durata fino all’irrompere del nuovo pontificato, della difesa dei cosiddetti valori non negoziabili - con le sue irrisolte ambiguità metodologiche e politiche - manca una visione nuova, che assuma l'impulso che viene dal vescovo di Roma con la sua attenzione alla “cura della casa comune” e alle “periferie” del mondo e dell’anima. Certamente nei testi di Giuseppe Lazzati molte formulazioni risentono del tempo e del contesto in cui furono elaborate. Tuttavia, le sue intuizioni e le elaborazioni sulla “città dell’uomo” si rivelano ricche di significato proprio nel nuovo scenario, in cui c’è bisogno di costruire una nuova prospettiva, soprattutto culturale. I suoi pensieri fondamentali sulla responsabilità politica del cristiano, pensieri che egli ha elaborato sulla base di un’ intelligente frequentazione dei Padri e dei Dottori, e poi degli esponenti più accreditati del pensiero cristiano e cattolico moderno - penso, in particolare, a Jacques Maritain -, si dimostrano perciò “contemporanei” nonostante o attraverso la distanza

storica, attuali ed efficaci per accompagnare e sostenere la ricerca di un pensiero e di un’ azione politica “da cristiani” nell’Italia e nell'Europa di oggi. Attuali anche, vorrei dire, perché abitati da una ricerca di rigore che va controcorrente rispetto a molti luoghi comuni, opinioni sciatte, slogan ripetitivi, che hanno corso nell'odierna pubblicistica politica, anche nel mondo di ispirazione cristiana. Infine, le posizioni del prof. Lazzati sulla natura della politica come “costruzione della città dell’uomo” possono venire ascoltate con frutto anche da chi non parte dalle sue premesse cristiane, perché hanno una valenza universalistica e “laica”, cioè sono mediate e argomentate nel comune linguaggio della ragione. Rammento alcuni scritti fondamentali: La Città dell’uomo (editrice AVE, Roma, 1984), Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali (editrice AVE, Roma, 1985), Per una nuova maturità del laicato (editrice AVE, Roma, 1986).

La Città dell’uomo

Lazzati sottolinea che nel cristiano l'azione politica - e ogni altra dimensione dell'esistenza - deve avere un radicamento reale nella fede vissuta e pensata, non in un complesso di norme astratte dalla vita. Questa impostazione - che richiama il primato del Vangelo - si oppone a una riduzione dell’annuncio e della testimonianza cristiani al so¬o piano della morale (individuale e sociale). L’ispirazione cristiana, che è un vivente "principio di non-appagamento», come disse a suo tempo Aldo Moro, non coincide affatto con una precettistica morale. Nell'etica cristiana la precettistica, e in generale la dimensione normativa, può avere in realtà solo un ruolo subordinato rispetto alla centralità del “comandamento nuovo” e all’etica delle beatitudini, come ha messo in luce in maniera decisiva l'esortazione Evangelii Gaudium: “Se tale invito [cioè il Vangelo] non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa

corre il rischio di diventare un castello di carte“ (n.39). Lazzati rintracciava il modello di un’ etica cristiana nella società umana in un testo anonimo del II secolo, l'A Diogneto. Qui viene detto che i cristiani “si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale (cittadinanza )” . La cittadinanza del cristiano che non si confonde con la condizione della cittadinanza civile, né la sostituisce - è una maniera di “essere al mondo” fatta di fedeltà alle obbligazioni civili e insieme di distacco: “vivono nella carne, ma non secondo la carne, dimorano sulla terra ma sono cittadini del cielo”. Il cristiano ha perciò una duplice cittadinanza. Alla cittadinanza civile (“Abitano ciascuno nella propria patria”) si collega una diversa forma di vita, una diversa cittadinanza (“Abitano [ ... ] come immigrati che hanno il permesso di soggiorno”). Ora, questa seconda cittadinanza non si affianca semplicemente alla prima, ma vi agisce come un principio paradossale. ”Paradosso” vuole dire “lontano dalla comune opinione, straordina-

rio, strano, inaspettato”. Il paradosso cristiano consiste nel fatto che questi uomini, fedeli alla terra, uomini come gli altri, lasciano trasparire nella loro vita qualcosa che non appartiene alla terra, ma che la giudica e insieme la redime, ovvero “una dimensione trascendente, spesso sconosciuta", che è irriducibile all’esistenza (solo) sensibile e al mondo presente. Lazzati invitava così la Chiesa a prendersi cura, anzitutto e in particolare, della qualità della fede e della vita cristiana, in un contesto che non poteva più dirsi “socialmente cristiano”, e senza nutrire nostalgie per un passato di “cristianità”, di potere temporale e spirituale, che non sarebbe più ritornato. Non era un qualche riconoscimento pubblico reso ai “valori cristiani” né in definitiva la congruenza delle legislazioni civili con la domina tradizionale, ma era la qualità e la riconoscibilità della vita e testimonianza dei cristiani nella società secolare che aveva per lui la priorità. Questo non significava affatto ritirare la testimonianza del cristiano in uno spazio privato, abbandonando lo spazio pubblico. Richiedeva e richiede invece che i cristiani partecipassero e partecipino alle pubbliche discussioni e alla formazione

delle decisioni politiche, attualizzando e facendo valere attraverso argomentazioni avanzate alla comune ragionevolezza la propria visione della vita. Attraverso la comune ragionevolezza: cioè, in maniera “laica”, senza forzature confessionalistiche o integraliste.

L'unità dei distinti

Per Lazzati “non basta essere buoni cristiani per essere buoni politici”. La politica ha una sua dimensione propria, autonoma rispetto alle altre dimensioni dell’esistenza, come l’arte, l’etica individuale, la religione. La politica deve venire perciò sviluppata secondo il suo proprio ordine di fini e di mezzi, anche se non è affatto indipendente dalla moralità. “Se io apro il Vangelo scriveva Lazzati nel 1948 - non vi trovo una sola norma politica; vi trovo chiaramente espressa la distinzione dei piani -”. Per unire correttamente la testimonianza del Vangelo e l’attività politica - questi sono i piani in questione - occorre distinguerle - perciò né confonderle né separarle -, ovvero bisogna coglierne le essenze specifiche, senza mescolarle. Si tratta della teoria della “unità dei distinti”, che è al centro dell'insegnamento di Lazzati, teoria che sembra ancora avan-

zare l’accostamento più consistente al rapporto fra la coscienza cristiana e l’azione politica, che è da esercitare in uno spazio pubblico nel quale si confrontano visioni comprensive ispirate a valori diversi. Nello stesso scritto del 1948 Lazzati richiamava due pericoli, che nascevano per lui da una svalutazione della politica in ambito cristiano. Il primo è di ridurre la politica ai soli princìpi generali teologico-morali della dottrina sociale della Chiesa. In realtà, tali princìpi sono una costellazione che illumina l’attività politica, ma questa ha una propria competenza e un proprio ambito specifico, “laico”, che non può venire cancellato . Non basta, per il cristiano in politica, solo richiamarsi ai princìpi o ai valori della dottrina sociale della Chiesa. L’impegno del cristiano politico consiste nell’autonoma elaborazione di programmi, leggi, istituzioni, che incarnino, nel concreto storico, quei princìpi nel massimo possibile. L’idea del “massimo possibile” esclude sia il minimalismo di chi attenua la forza motivante dei princìpi sia il massimalismo di chi pretenderebbe una realizzazione automatica e totale. (continua a pagina VIII)


VI Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

Pegaso VII

Venerdì 25 marzo 2016

Argomento

Giuseppe Lazzati e il cristiano nella “polis”

Promuovere scelte coerenti nell’Europa frammentata Per educare I cristiani a “pensare politicamente” - cioè a pensare alla cura del bene comune e in conformità ad essa - e per rispondere alla mancanza di una “cultura politica” all’altezza delle sfide della sua epoca, il 4 ottobre 1985 Lazzati fondò a Milano l’Associazione “Città dell'uomo”. In tal modo egli voleva riprendere e svolgere anche alcune intuizioni dell’amico e ispiratore Giuseppe Dossetti. Lo scopo dell'Associazione era, ed è, quello di “elaborare, promuovere, diffondere una cultura politica che, animata dalla concezione cristiana dell'uomo e del mondo, sviluppi l’adesione ai valori della democrazia espressi nei principi fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana, rispondendo alle complesse esigenze della società in trasformazione”. Gli anni trascorsi dalla fondazione di “Città dell’uomo” e dalla morte del prof. Lazzati il 18 maggio 1986 hanno visto il prodursi di profondi cambiamenti in Italia e nel mondo. La globalizzazione tecnologica, informatica, economica e finanziaria, più che promuovere uno sviluppo socialmente e ecologicamente sostenibile sembra aumentare le disuguaglianze e le esclusioni, gli “scarti”, di cui parla papa Francesco. Il mondo è attraversato da una potente tensione e radicali opposizioni, che generano guerra e morte, violenza e sfruttamento. Il fondamentalismo religioso alimenta e si alimenta di questa tensione stessa, che ha comunque molteplici cause storiche, economiche e sociali. L’Europa comunitaria non riesce a pensarsi come unione politica; di fronte alle ondate migratorie essa tende a concepirsi come una fortezza chiusa e a rinserrarsi in egoismi nazionalistici; non riesce a coniugare in maniera virtuosa sviluppo e osservanza delle regole comunitarie. L’Unione europea viene vissuta dai cittadini europei come una burocrazia astratta; l’ideale europeo ha perso molta della propria attrattiva e non rinascerà se l’Europa non si solleverà oltre il

livello delle trattative sulle relazioni economiche fra gli Stati e non si darà una prospettiva politica unitaria. Quanto all’Italia, non si afferma una prospettiva culturale riformista convincente, costruita da pensieri, non solo da dichiarazioni, e che sappia connettere in maniera virtuosa le volontà e le capacità dei cittadini. In particolare stenta ad affermarsi, in una società ripiegata sul particolare, la volontà di scommettersi in vista di uno scopo collettivo. Il linguaggio della politica appare in definitiva, almeno a chi stia al di qua dello schermo dei media, un linguaggio autoreferenziale, che non parla della concreta vita degli individui. Ci si domanda con quali visioni e con quali mezzi sia possibile avviare un dinamismo virtuoso, che apra una reale prospettiva di vita e di lavoro soprattutto alle giovani generazioni. I laici cattolici impegnati nella politica sembrano pressoché scomparsi dalla scena pubblica. Dopo la fase, durata fino all’irrompere del nuovo pontificato, della difesa dei cosiddetti valori non negoziabili - con le sue irrisolte ambiguità metodologiche e politiche - manca una visione nuova, che assuma l'impulso che viene dal vescovo di Roma con la sua attenzione alla “cura della casa comune” e alle “periferie” del mondo e dell’anima. Certamente nei testi di Giuseppe Lazzati molte formulazioni risentono del tempo e del contesto in cui furono elaborate. Tuttavia, le sue intuizioni e le elaborazioni sulla “città dell’uomo” si rivelano ricche di significato proprio nel nuovo scenario, in cui c’è bisogno di costruire una nuova prospettiva, soprattutto culturale. I suoi pensieri fondamentali sulla responsabilità politica del cristiano, pensieri che egli ha elaborato sulla base di un’ intelligente frequentazione dei Padri e dei Dottori, e poi degli esponenti più accreditati del pensiero cristiano e cattolico moderno - penso, in particolare, a Jacques Maritain -, si dimostrano perciò “contemporanei” nonostante o attraverso la distanza

storica, attuali ed efficaci per accompagnare e sostenere la ricerca di un pensiero e di un’ azione politica “da cristiani” nell’Italia e nell'Europa di oggi. Attuali anche, vorrei dire, perché abitati da una ricerca di rigore che va controcorrente rispetto a molti luoghi comuni, opinioni sciatte, slogan ripetitivi, che hanno corso nell'odierna pubblicistica politica, anche nel mondo di ispirazione cristiana. Infine, le posizioni del prof. Lazzati sulla natura della politica come “costruzione della città dell’uomo” possono venire ascoltate con frutto anche da chi non parte dalle sue premesse cristiane, perché hanno una valenza universalistica e “laica”, cioè sono mediate e argomentate nel comune linguaggio della ragione. Rammento alcuni scritti fondamentali: La Città dell’uomo (editrice AVE, Roma, 1984), Laicità e impegno cristiano nelle realtà temporali (editrice AVE, Roma, 1985), Per una nuova maturità del laicato (editrice AVE, Roma, 1986).

La Città dell’uomo

Lazzati sottolinea che nel cristiano l'azione politica - e ogni altra dimensione dell'esistenza - deve avere un radicamento reale nella fede vissuta e pensata, non in un complesso di norme astratte dalla vita. Questa impostazione - che richiama il primato del Vangelo - si oppone a una riduzione dell’annuncio e della testimonianza cristiani al so¬o piano della morale (individuale e sociale). L’ispirazione cristiana, che è un vivente "principio di non-appagamento», come disse a suo tempo Aldo Moro, non coincide affatto con una precettistica morale. Nell'etica cristiana la precettistica, e in generale la dimensione normativa, può avere in realtà solo un ruolo subordinato rispetto alla centralità del “comandamento nuovo” e all’etica delle beatitudini, come ha messo in luce in maniera decisiva l'esortazione Evangelii Gaudium: “Se tale invito [cioè il Vangelo] non risplende con forza e attrattiva, l’edificio morale della Chiesa

corre il rischio di diventare un castello di carte“ (n.39). Lazzati rintracciava il modello di un’ etica cristiana nella società umana in un testo anonimo del II secolo, l'A Diogneto. Qui viene detto che i cristiani “si conformano alle usanze locali nel vestire, nel cibo, nel modo di comportarsi; e tuttavia, nella maniera di vivere, manifestano il meraviglioso paradosso, riconosciuto da tutti, della loro società spirituale (cittadinanza )” . La cittadinanza del cristiano che non si confonde con la condizione della cittadinanza civile, né la sostituisce - è una maniera di “essere al mondo” fatta di fedeltà alle obbligazioni civili e insieme di distacco: “vivono nella carne, ma non secondo la carne, dimorano sulla terra ma sono cittadini del cielo”. Il cristiano ha perciò una duplice cittadinanza. Alla cittadinanza civile (“Abitano ciascuno nella propria patria”) si collega una diversa forma di vita, una diversa cittadinanza (“Abitano [ ... ] come immigrati che hanno il permesso di soggiorno”). Ora, questa seconda cittadinanza non si affianca semplicemente alla prima, ma vi agisce come un principio paradossale. ”Paradosso” vuole dire “lontano dalla comune opinione, straordina-

rio, strano, inaspettato”. Il paradosso cristiano consiste nel fatto che questi uomini, fedeli alla terra, uomini come gli altri, lasciano trasparire nella loro vita qualcosa che non appartiene alla terra, ma che la giudica e insieme la redime, ovvero “una dimensione trascendente, spesso sconosciuta", che è irriducibile all’esistenza (solo) sensibile e al mondo presente. Lazzati invitava così la Chiesa a prendersi cura, anzitutto e in particolare, della qualità della fede e della vita cristiana, in un contesto che non poteva più dirsi “socialmente cristiano”, e senza nutrire nostalgie per un passato di “cristianità”, di potere temporale e spirituale, che non sarebbe più ritornato. Non era un qualche riconoscimento pubblico reso ai “valori cristiani” né in definitiva la congruenza delle legislazioni civili con la domina tradizionale, ma era la qualità e la riconoscibilità della vita e testimonianza dei cristiani nella società secolare che aveva per lui la priorità. Questo non significava affatto ritirare la testimonianza del cristiano in uno spazio privato, abbandonando lo spazio pubblico. Richiedeva e richiede invece che i cristiani partecipassero e partecipino alle pubbliche discussioni e alla formazione

delle decisioni politiche, attualizzando e facendo valere attraverso argomentazioni avanzate alla comune ragionevolezza la propria visione della vita. Attraverso la comune ragionevolezza: cioè, in maniera “laica”, senza forzature confessionalistiche o integraliste.

L'unità dei distinti

Per Lazzati “non basta essere buoni cristiani per essere buoni politici”. La politica ha una sua dimensione propria, autonoma rispetto alle altre dimensioni dell’esistenza, come l’arte, l’etica individuale, la religione. La politica deve venire perciò sviluppata secondo il suo proprio ordine di fini e di mezzi, anche se non è affatto indipendente dalla moralità. “Se io apro il Vangelo scriveva Lazzati nel 1948 - non vi trovo una sola norma politica; vi trovo chiaramente espressa la distinzione dei piani -”. Per unire correttamente la testimonianza del Vangelo e l’attività politica - questi sono i piani in questione - occorre distinguerle - perciò né confonderle né separarle -, ovvero bisogna coglierne le essenze specifiche, senza mescolarle. Si tratta della teoria della “unità dei distinti”, che è al centro dell'insegnamento di Lazzati, teoria che sembra ancora avan-

zare l’accostamento più consistente al rapporto fra la coscienza cristiana e l’azione politica, che è da esercitare in uno spazio pubblico nel quale si confrontano visioni comprensive ispirate a valori diversi. Nello stesso scritto del 1948 Lazzati richiamava due pericoli, che nascevano per lui da una svalutazione della politica in ambito cristiano. Il primo è di ridurre la politica ai soli princìpi generali teologico-morali della dottrina sociale della Chiesa. In realtà, tali princìpi sono una costellazione che illumina l’attività politica, ma questa ha una propria competenza e un proprio ambito specifico, “laico”, che non può venire cancellato . Non basta, per il cristiano in politica, solo richiamarsi ai princìpi o ai valori della dottrina sociale della Chiesa. L’impegno del cristiano politico consiste nell’autonoma elaborazione di programmi, leggi, istituzioni, che incarnino, nel concreto storico, quei princìpi nel massimo possibile. L’idea del “massimo possibile” esclude sia il minimalismo di chi attenua la forza motivante dei princìpi sia il massimalismo di chi pretenderebbe una realizzazione automatica e totale. (continua a pagina VIII)


VIII Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

Argomento

(Continua da pagina VII) Il secondo pericolo consiste nello svalutare il momento politico, che viene preso in considerazione soltanto in maniera strumentale, in quanto serve alla Chiesa, ma forse dovremmo aggiungere: al potere ecclesiastico, e senza il riconoscimento effettivo del suo valore, limitato ma specifico. In realtà - sostiene Lazzati - un ordine politico costituito secondo le esigenze della persona, e quindi ricercato per il suo valore intrinseco, rappresenta una premessa feconda alla stessa azione della Chiesa. Questa posizione lazzatiana va controcorrente rispetto all’indifferenza o al rifiuto della politica, che non soltanto sembra divenuta sentimento comune (anche per le cattive prove che la politica dà di sé), ma che è presente nelle stesse comunità cristiane, magari unita a un’enfatizzazione dell'impegno nella “società civile”, come se la società civile fosse esente dal conflitto politico. Avere della politica una visione strumentale, instaurare con essa un rapporto di scambio (finalizzato a ottenere vantaggi in cambio di ap-

poggio politico), non serve all’ “interesse” della Chiesa, se quest'ultimo è vivere e annunciare il Vangelo.

Un laicato maturo

Si collega a questo un terzo aspetto meritevole di considerazione. Lazzari ha avuto una concezione forte della politica, che concepiva. nella tradizione dell'aristotelismo e del tomismo politici, come l'attività “architettonica della vita della polis”. È nota la sua definizione della politica come “costruzione della città dell’ uomo a misura di uomo” (di tutto l’uomo e di tutti gli uomini). Egli pensava che la politica, per essere costruzione della città dell'uomo (polis), dovesse fondarsi sulla cultura e su un’ antropologia filosofica: al tempo stesso, sottolineava che una parte imprescindibile nel concreto agire politico hanno la congettura e la capacità di scommettere sul probabile, e che esso sarebbe dovuto rimanere aperta a buoni compromessi. Questa concezione “forte”, ma a dire il vero anche flessibile della politica, è forse il tratto che oggi le nostre orecchie, occupate dai rumori di fondo dello scenario mediatico

avvertono più inattuale. In questa inattualità emerge però una sfida, che può essere fecondo accettare. Viviamo da diversi anni in un' epoca di “politica debole”, ovvero di una politica che viene progressivamente espropriata nelle sue funzioni tradizionali di mediazione, governo, decisione, da altri poteri, in un quadro di crisi di quegli Stati nazionali nel cui orizzonte la politica aveva elaborato le proprie teorie, istituzioni e strumenti. Viviamo in un’ epoca che viene caratterizzata come tempo di crisi della democrazia. Tuttavia proprio la sfida della globalizzazione, se vogliamo assumerla in maniera razionale, la sfida posta dai molti focolai di guerra esistenti sul pianeta, le grandi migrazioni dagli scenari di guerra e di miseria, pongono di fronte all'Europa la necessità di inventare le forme e gli strumenti di un governo politico dei grandi processi in atto, che non soffochi, ma coltivi e promuova le differenze, agendo per inclusione e integrazione, e non per esclusione dell’ altro, e che tenga ferma l'idea della necessità di offrire soluzioni universalistiche alle questioni maggiori di

quest’epoca. In questo senso, la prospettiva lazzatiana della “città dell'uomo” , che non si identifica con la dimensione statuale, pur non escludendola, ma ha in vista la promozione dell’unità della famiglia umana, la cura della “casa comune”, offre un paradigma produttivo per ripensare la natura e i compiti della politica nella nostra età e per rilanciare l’idea stessa della democrazia al di là della sua crisi. L’idea di una “città dell'uomo”, ovvero di una communitas di differenti, avanza una prospettiva non confessionalistica o etna/nazionalistica, ma universalistica, per orientare una politica dell’inclusione e dell’accoglienza nell'Europa di oggi, per prendersi cura in concreto della “casa comune” degli uomini. Marco Ivaldo, docente di filosofia morale e di etica e religione all’università degli studi Federico II, Napoli Da Appunti di Cultura e politica, n.6 (novembre-dicembre 2015), Morcelliana, Brescia


Pegaso IX

Venerdì 25 marzo 2016

Società

Analizzare e distinguere: tra Islam e terrorismo

La disamina di Massimo Campanini dopo i fatti di Parigi Pare questo l’imperativo che viene dalla Francia dopo i fatti di Parigi. Eventi terroristici che hanno scatenato angoscia esistenziale, panico politico e confusione linguistica. Una confusione che non giova certo a orientarsi in giorni nei quali la quotidianità è precipitata negli allarmi e nel disorientamento dei tempi di guerra. Un aiuto a questa freddezza cartesiana viene dal libro di Massimo Campanini (coadiuvato da suoi collaboratori), Quale Islam? Jihadismo, radicalismo, riformismo. L’autore, docente di Studi islamici all’Università di Trento, ha al proprio attivo decine di traduzioni dei classici del pensiero musulmano (Averroè, Avicenna, Al-Ghazali) e monografìe sull’Islam dal punto di vista storico, politico, religioso e filosofico. Già l’uso, nel titolo, dell’aggettivo “quale” con il punto di domanda segna la volontà di sottrarsi all’identificazione corrente tra Islam e terrorismo; un’identificazione cercata dall’Isis e più o meno involontariamente da chi reagisce all’atto di guerra subito individuando in una religione il nemico. Quattro le mosse cui il lettore assiste nei capitoli del libro: Una mossa esegetica, Il Corano, come tutti i testi sacri delle religioni monoteistiche, contiene passi che alla lettera possono insieme assecondare una lettura che legittima la violenza o la condanni. Il nodo è l’interpretazione e le sue modalità; Campanini scrive: “Contro la minaccia della distruzione globale, tengo a ribadire che l’Islarn è plurale nelle sue fondamenta: basta leggere il Corano”. Ecco un passo del Libro: “Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica, mentre invece l’ha fatto per mettervi alla prova in ciò che vi ha dato. Gareggiate perciò nelle opere buone”. Praticare la virtù del giusto mezzo: questo è il messaggio umanistico che può essere tratto dal Corano. Una mossa spirituale. Storicamente, i concetti più usati dal terrorismo jihadista hanno avuto tutt’altro senso. La stessa parola jihad significa, ed è, una lettura maggioritaria nella storia

dell’esegesi mussulmana, lotta interiore per adeguarsi alla volontà di Dio. L’esatto opposto della volontà di annientamento dell’infedele o del musulmano di un’altra comunità. Una mossa storiografica. Per capire l’islamico politico, che è alle origini anche della deriva di al-Qaida e dell’Isis, occorre risalire al formarsi in età moderna del salafismo, un movimento religioso e intellettuale di ritorno ai Salaf, gli antichi, i compagni del profeta Maometto. Un ritorno all’Islam originario che - nel contesto della decolo-nizzazione e del fallimento di una secolarizzazione delle società musulmane (con Nasser e il socialismo islamico) - ha messo capo a una pluralità di salafismi: i quietisti, che rifiutano ogni impegno politico e si dedicano esclusivamente allo studio e all’educazione; i politicizzati - ad esempio i “Fratelli Musulmani” in Egitto - che mirano a scalare il potere politico con i mezzi legali; gli jihadisti - al-Qaida e Isis che per raggiungere il potere e in-

staurare lo Stato islamico ritengono necessaria la lotta armata. Di qui la necessità di ricostruire la storia di queste due organizzazioni: il lettore trova due capitoli con la storia di al-Qaida, dove svolse un ruolo fondamentale l’ideologo Al-Zawahiri, e la nascita del Califfato e dell’ideologia Isis. Una mossa antropologica e sociologica. L’Islam è plurale non solo per ragioni teologiche ma anche perché al suo interno vi sono contraddizioni storiche che lo solcano in profondità. Si pensi al ruolo delle donne, tra autoaffermazione in alcuni paesi come la Tunisia e ricaduta in forme di sottomissione in Stati come l’Arabia Saudita. E alla questione della donna nell’Islam Margherita Picchi dedica un capitolo ricco di informazioni. Non solo: l’Islam è, al proprio interno, scisso tra istanze modernizzatrici il cui rifiuto è testimoniato paradossalmente dai movimenti terroristici - e volontà restauratrici di un

passato che assume sempre più i tratti dell’autoritarismo, come mostrano i capitoli scritti da Marco di Donato e Francesca Forte. Un libro, quindi, utile per emendare la ragione da fallaci immagini della religione e della cultura musulmana. Il Glossario finale vuole essere un invito all’uso critico della ragione: scoprire i tanti significati delle parole arabe, che hanno fatto irruzione nel dibattito pubblico, è un modo per sottrarsi al panico politico e alla confusione linguistica. Due crampi dell’intelletto per evitare che, ammoniva il Kant più cartesiano, come cittadini si ricada in uno stato di minorità, dove la paura erode le libertà e invoca il furore in luogo di una più efficace, anche militarmente, freddezza. Ilario Bertoletti Da APPUNTI DI CULTURA E DI POLITICA, n.1-2016, Morcelliana, Brescia


X

Pegaso

Venerdì 25 marzo 2016

Recensioni

Ricordando la simpatica figura di Giorgio Bobbio

“Il mondo di un uomo”, un volume di passione giornalistica A cura dei famigliari, la moglie Anna e i figli, sono stati raccolti in un grosso volume, gli articoli che Giorgio Bobbio ha pubblicato su “Il nostro tempo” di Torino, nel periodo 1999 - 2014, collaborazione interrotta dalla morte il 24 giugno 2014: come viene ricordato, con essi “si può ricostruire non solo la storia del nostro tempo, ma anche la (sua) figura il pensiero e le idee“. Giorgio Bobbio, cresciuto nell’ambiente cattolico piemontese che ebbe come più illustre esponente Luigi Scalfaro, già presidente dell’Azione cattolica novarese e poi deputato democristiano e presidente della Repubblica; ma anche Luigi Gedda, presidente nazionale dell’Azione cattolica e fondatore dei Comitati civici che contribuirono nel 1948 alla vittoria elettorale della democrazia cristiana, e altri “maestri” come Natale Menotti, deputato popolare e poi presidente della Provincia, il professore Allegra e gli amici della FUCI di Novara, animati e curati da don Gerolamo Giacomini, per qualche tempo direttore del giornale diocesano (Bobbio ne curerà la raccolta di articoli), poi trasferitosi a Pallanza, dove continuò il suo aposto-

lato culturale, con regolari “Fine settimana” che Giorgio Bobbio frequentò anche dopo la morte del prete-amico. Bobbio aveva fin da ragazzo la passione della “carta stampata” e aveva frequentato un corso per giornalisti promosso dall’allora Azione cattolica; ma poi le necessità materiali lo avevano costretto ad altre scelte ed essere attivo nel campo assicurativo, dove aveva raggiunto traguardi onorevoli che gli permisero di far fronte adeguatamente alle necessità di una numerosa famiglia: oltre due figlie laureate universitarie, due apprezzati professionisti, un medico a Novara, e Alberto, nota firma di “Famiglia cristiana”, che ha potuto realizzare pienamente il “sogno” del papà (e ne ricorda la personalità in due pagine di “Conclusioni”del volume, mentre il direttore del “Nostro Tempo”, Beppe del Colle, redige la “Prefazione”, illustrando la passione e la disponibilità del Nostro). Bobbio da pensionato poté finalmente realizzare la sua passione, con numerosi contributi al “Nostro Tempo” di Torino; ma collaborò generosamente ad altre pubblicazioni, ed offrì articoli di cronaca

politica anche al “Popolo e Libertà” in anni non molto lontani. La sua passione giornalistica non aveva preferenze: gli articoli spaziano dal commento all’attualità politica, a ricordi di avvenimenti storici, a discussione su temi dibattuti, in questo caso in difesa delle tradizionali posizioni cattoliche. Né mancarono “escursioni” su argomenti ticinesi e svizzeri, mentre ricordava riconoscente il servizio che aveva svolto Radio Monteceneri negli anni di guerra, fornendo informazioni non censurate e soste-

nendo così le speranze degli antifascisti italiani. Un doveroso ringraziamento va quindi a Giorgio Bobbio, anche per la simpatia fattiva che dimostrò per il nostro Paese, e alla famiglia che, con la pubblicazione di questa raccolta, ci ravviva il ricordo di un amico. (a.l.) “Il mondo di un uomo”, articoli di Giorgio Bobbio, da “Il nostro tempo”, 1999-2014, Novara dicembre 2015.

“Cerco solo di capire” L’intervista curata da Rita Torti ci presenta la persona di Giancarla Codrignani, docente, giornalista di area “laica” cattolica, tre legislature parlamentare del gruppo della Sinistra indipendente, dando vita ad un libro che ci fa ragionare “a voce alta”; infatti come è detto nel titolo della intervista, si tratta in sostanza di un libro che ci aiuta a percepire idealmente ed instancabilmente il perché di tante scelte e la libertà di queste operazioni che offrono una testimonianza che non è solo personale ma ci trascende. Giancarla Codrignani, attualmente presidente del coordinamento delle teologhe italiane ed esponente di

Pax Christi, in questa lunga intervista ci mostra “l’insegnante, la politica, la pubblicista, la cattolica, la femminista che appartiene non solo al suo mondo privato, ma anche al suo mondo pubblico” (p. 7), come scrive nella presentazione Marinella Perroni. Infatti la Perroni ri¬leva che Giancarla Codrignani ha scelto di presentare la sua intervista con il lemma “cerco solo di capire” (pp. 7-9). Giustamente Romano Prodi nella sua introduzione, incentrata prevalentemente sulla attività politica e parlamentare di Giancarla Codrignani, rileva che le sue risposte all’intervista hanno tra i pilastri “l’i-

dea della pace” e la conseguente speranza di costruire “una Europa politica unita”; tali idee dimostrano altresì la fede nella Carta di Ventotene, elaborata da Altiero Spinelli nel lontano 1943, la cui forza è stata rinverdita dal fatto che Codrignani e Spinelli divennero colleghi della Sinistra indipendente. Si tratta infatti di idealità tuttora valide che Giancarla Codrignani propone in tempi duri e difficili come quelli presenti, ideali che hanno come fondamento l'idea della pace come “aspirazione universale” (pp. 14-15). Conseguentemente queste risposte non solo ci indicano le priorità del-

le scelte della autrice ma ci dicono pure che le crisi sono opportunità per agire, dialogare, confrontarsi ed andare avanti anche oggi; non a caso Giancarla Codrignani conclude ritenendo “che la speranza è sempre la più difficile delle virtù teologali” (pp. 111), ma resta sempre una finalità fondamentale per tutti. Pasquale Colella, direttore de IL TETTO, Napoli (n, 310, novembre-dicembre 2015). “Cerco solo di capire. Intervista a Giancarla Codrignani“, Aracne, Roma 2015


Pegaso XI

Venerdì 25 marzo 2016

Riviste

Rivista delle riviste AEC, Bollettino a cura dell’Amicizia Ebraico Cristiana di Firenze, casella postale 282, Firenze centro, 50123 Firenze. Nel numero 3-4 2015 è ricordato Elio Toaff, rabbino della comunità ebraica di Roma morto nell’aprile 2015 e che fu protagonista del dialogo ebraico -cristiano nella seconda metà del Novecento.

RIVISTA SVIZZERA DI STORIA RELIGIOSA E CULTURALE (Schweizerische Zeitschrift für Religions-und Kulturgeschichte, Academic Press, Friburgo. Il volume del 2015 (oltre 500 pagine) è dedicato ai Concili ed al conciliarismo (Concetti, tematiche, percezioni): si discute del Laterano IV, di quelli di Costanza, Basilea e Losanna, di Trento e del Vaticano I.

AGGIORNAMENTI SOCIALI, mensile di ispirazione cristiana, redatto da un gruppo di gesuiti e di laici, Piazza S. Fedele 4, 20121 Milano. Nel primo numero del 2016 un giudizio favorevole sulla Conferenza parigina del clima (Cap 21) e un ampio servizio sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente, membri di diverse Chiese con una ricchezza spirituale storica e culturale, cresciura anche sotto l’Islam.

IL TETTO, Piazzetta Cariati 2, 80132 Napoli. Nel numero doppio novembre-dicembre 2015 il direttore Colella ritorna sul tema della “riforma della Chiesa”; un ampio dossier critica la riforma della Costituzione promossa dal governo Renzi e aderisce all’appello del comitato per il No al previsto referendum.

IL GALLO, quaderni mensili, casella postale 1242, 16100 Genova. Nel primo numero del 2016 (la rivista genovese inizia i 70 anni di pubblicazione: auguroni!) Bruno Segre invita ad uscire dalla contrapposizione ebrei-palestinesi, dando “speranza” a quest’ultimi; Dario Beruto presenta il tema del riscaldamento globale e la Conferenza di Parigi; le pagine centrali ospitano una scelta di poesie di Pier Paolo Pasolini, ucciso nel 1975, con l’elenco delle sue produzioni letterarie. KOINONIA, periodico mensile Piazza S.Domenico 1, 51100 Pistoia. Nel numero di dicembre 2015, dedicato in gran parte a commentare “la misericordia” promossa da papa Francesco, Vittorio Bellavite riferisce come “una occasione sprecata” il convegno di Firenze della Chiesa italiana; Raniero La Valle riflette sulla strage di Parigi , escludendo ogni forma di “guerra al terrorismo” da parte di singoli Stati , ma postulando una azione delle Nazioni Unite per “togliere il territorio all’Isis”, applicando quanto prevede la Carta dell’ONU come intervento di “polizia internazionale” da parte dei caschi blu, sotto la responsabilità del Consiglio di Sicurezza. Con il numero 419, la rivista festeggia i 40 anni di esistenza (1976 - 2016), espressione povera di un gruppo animato dal domenicano Alberto Simoni , con collaboratori fedeli in Raniero la Valle, Giancarla Codrignani, Piero Stefani, ecc. Simoni recensisce il recente libro di Paolo Ricca sul battesimo; viene pubblicata la Dichiarazione di Roma, con gli impegni dei “discepoli di Gesù” che si sono ritrovati per celebrare e rilanciare il Concilio vaticano II, “impegnandosi a promuovere attivamente l’appello di papa Francesco ad essere una Chiesa povera per i poveri”. QOL, rivista bimestrale di dialogo ebreo-cristiano, via Fermi 6, 42017 Novellara (Reggio Emilia). Nel numero 171 (luglio-settembre) l’articolo redazionale dal titolo “Il dialogo della diakonia”, constata che la parola dialogo è ritornata in primo piano con papa Francesco (dopo i tentativi di zittirla), ma oggi deve significare diakonia, cioè servizio che i credenti svolgono a favore dei più poveri. IL REGNO, quindicinale di attualità e documenti, Via Nosadella 6, Bologna. Nel numero 1225 (15 dicembre 2015) che doveva essere l’ultimo della rivista bolognese, edita dal Centro dehoniani, il redattore responsabile Gianfranco Brunelli annuncia invece (con grande soddisfazione di molti fedeli abbonati) che continuerà, la testata essendo stata ceduta gratuitamente (grazie!) ad una neo costituita associazione che si avvarrà del sostegno della affermata editrice IL MULINO. L’associazione assuntrice, formata da laici, studiosi e intellettuali, ha scelto come nome e programma le parole iniziali di un documento del Vaticano II, “Dignitatis humanae”; ciò la dignità umana, a cominciare da quella dei cattolici che sarebbero stati penalizzati dalla scomparsa de IL REGNO e che dimostrano di avere coraggio per continuare una pubblicazione che reputano (e reputiamo) fondamentale per l’informazione nella Chiesa cattolica. RIVISTA TEOLOGICA DI LUGANO, quadrimestrale, C.P. 4663, 6900 Lugano. Il n. 2-giugno 2015 tratta il tema dell’omelitica (la predica!), con un editoriale di Giorgio Paximadi e alcuni articoli di approfondimento. Ce n’è bisogno confidando che la loro lettura sia utile; anche papa Francesco se n’è preoccupato, nella Evangelii gaudium.

VERS UN DEVELOPPEMENT SOLIDAIRE, mensile della Dichiarazione di Berna, rue de Genève 52, 1004 Losanna. Il fascicolo 243 (novembre 2015) denuncia il caso di biopirateria ai danni delle popolazioni brasiliane con l’uso della stevia come dedulcorante; i tre trattati di libero scambio penalizzano le popolazioni più povere del pianeta. Il numero 244 (gennaio 2016) critica il trattamento fiscale fatto in Ticino ai “giganti della moda”, che usufruiscono di una legislazione favorevole, a scapito dei paesi dove vengono fabbricati i prodotti di lusso, dichiarati redditi modesti e dove la mano d’opera è retribuita con salari di fame. VOCE EVANGELICA, mensile della Conferenza delle Chiese evangeliche di lingua italiana in Svizzera, via Landriani 10, 6900 Lugano. Nel numero di gennaio, una intervista a Dick Marti sulla problematica dell’immigrazione e di Pierre Bühler sulla politica svizzera al riguardo. La pastora Letizia Tommasoni commenta la recente Conferenza parigina sul clima, sottolineando il dovere ecologico delle Chiese. Viene richiamata la responsabilità delle imprese sul rispetto dei diritti dell’uomo e dell’ambiente, per cui necessitano regole precise e cogenti. Nel numero di febbraio una intervista al pastore Olav Tveit, segretario del Consiglio ecumenico, sull’ecumenismo, uscito dall’inverno, e una intervista al pastore Della Torre, presidente del Forum svizzero per il dialogo interreligioso, sui rapporti in Ticino coi mussulmani.

Appuntamenti ERBA, Eremo San Salvatore, sabato 12 marzo, dalle 10 alle 16.30, Laboratorio di approfondimento su Europa e mondo, introducono Guido Formigoni e Gianni Borsa, organizza Città dell’uomo, Milano. MASSAGNO, giovedì 17 marzo 2016 - “Ambiente e nuove tecnologie: il potenziale del Ticino”, seminario tematico organizzato da OSSERVATORIO DEMOCRATICO, con l’Ing. Giovanni Leonardi, CEO di AET e il prof. Roberto Zoboli, ordinario di Politica economica presso l'Università Cattolica di Milano. TRENTO, 8 - 9 aprile 2016, Convegno organizzato dalla Fondazione Mazzolari su “I preti nella Grande Guerra”, con relazioni di Paolo Pombeni, Daniele Menozzi, Maurilio Guasco, Guido Formigoni, Giorgio Vecchio, Bruno Bignami, Giovanni Vian ecc. MASSAGNO, giovedì 21 aprile 2016, “L’enciclica “Laudato si’” e la cura della nostra casa comune”, seminario tematico organizzato da OSSERVATORIO DEMOCRATICO, con il prof. Alberto Palese, teologo e biologo, coordinatore dell'Istituto religioni e teologia della Facoltà di teologia di Lugano. LUGANO, giovedi 19 maggio 2016, Assemblea annuale e serata pubblica su “Il Ticino che verrà: le sfide dell'ambiente”. Moderatore Marcello Foa, giornalista e direttore generale del gruppo editoriale Media TI SA, con interventi del prof. Salvatore Veca, filosofo, docente presso la Scuola universitaria superiore di Pavia; del prof. Alberto Palese, teologo e biologo, coordinatore dell’Istituto religioni e teologia della Facoltà dì teologia di Lugano, di Beatrice Fasana, CEO Sandro Vanini SA e membro del Consiglio dei politecnici federali e del dr. Bruno Oberle (da confermare), professore titolare in Green Economy e già direttore dell'Ufficio federale dell’ambiente.


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