

il Focolare
Periodico della Comunità Pastorale di Rebbio e Camerlata

In copertina:
Alessandro Bruschetti, Resurrezione, 1933
Protagonista della corrente futurista, Alessandro Bruschetti (Perugia, 1910 – Brugherio, 1980) iniziò come pittore neoimpressionista e realista per approdare a una originale formula della aeropittura futurista e quindi dell’arte sacra futurista. Frequentò l’Istituto d’Arte e l’Accademia di Belle Arti a Perugia. Attraverso Gerardo Dottori conobbe Marinetti nel 1932. Lavorò in Soprintendenza e restaurò numerosi affreschi medievali e quattrocenteschi, affinando le sue conoscenze su materiali e tecniche di lavoro. Partecipò alle prime Quadriennali di Roma, alla Galleria Pesaro di Milano, alla rassegna “Omaggio futurista a Umberto Boccioni” e nel 1945 con Dottori, Preziosi e Meschini firmò il “Manifesto futurista umbro dell’aeropittura”. Nel 1933 realizzò “Resurrezione” dove l’aeropittura e l’arte sacra futurista si incontrano con il polimaterismo. In questa opera il Cristo risorto al centro della tela viene presentato come pura forma diafana mentre si innalza dal sepolcro triangolare rimandante alla santissima Trinità.
Ricche di metafore spirituali riconducibili alla santità dell’iconografia sono anche le tre aureole dorate.
Un gioco prospettico sublime è leggibile in quest’opera dove persino la congiunzione delle stimmate, dipinte come tre puntini rossi, disegna un triangolo perfetto.


In questo numero

La riflessione di don Giusto
Una casa, rinascita e resurrezione
Trafficare i talenti significa non avere paura e garantire a tutti un’ abitazione.
Si racconta di un uomo ricco che partì per un viaggio. Prima di partire chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi doni: a uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno: a ciascuno secondo le proprie capacità; poi partì.
Senza perdere tempo i primi due servi andarono a trafficare i talenti e ne raddoppiarono il valore.
L’ultimo invece per paura andò a scavare nella terra una fossa e vi nascose il denaro del padrone. (Vangelo di Matteo 25,14).
Parliamo tanto dell’emergenza casa in tutt’Italia, del diritto alla casa per tutti, dell’aumento degli affitti e dell’esclusione dei più deboli dal diritto alla casa.
In Italia muoiono 600.000 persone ogni anno e ne nascono 300.000: di case ne dovrebbero rimanere in abbondanza.
Tanti cristiani hanno delle case vuote e non vogliono affittarle……. per paura, alcune parrocchie hanno degli immobili vuoti e non vogliono metterle a disposizione ….per paura, alcune congregazioni religiose sono prese dalla paura e pur avendo spazi enormi a disposizione non si avventurano in un loro uso popolare.
Alla parola paura il Vangelo oppone il verbo “trafficare” che vuol dire darsi da fare, rischiare, essere intraprendenti.

Ebrei, Cristiani e Mussulmani discendiamo da un Dio che viveva e vive sotto le tende; diciamo poi spesso noi cristiani che siamo pellegrini sulla terra e parliamo di dimora eterna.
Perché allora abbiamo paura a mettere a disposizione le case?
Il padrone della parabola del Vangelo ha elogiato coloro che hanno “trafficato i talenti” e ha dato del malvagio e del pigro a colui che ha avuto paura.
Aiutiamo le famiglie e le persone senza casa o con case poco dignitose a trovarne una.
Anche questo è “GIUBILEO“, anche questo è rinascita e Risurrezione.
Giusto Della Valle
Contatti utili
Don Giusto Della Valle (parroco) tel. 031 520622 cell. 366 7090468 e-mail: giustodellavalle@gmail. com
Don Alberto Erba (collaboratore parrocchiale)
Scuola Materna V. Lissi, tel. 031520630
Missionari Comboniani: tel. 031 524155
Orari
SS. Messe
Chiesa di S. Martino
Feriali: ore 8.30
Prefestivi: ore 17.30
Domeniche e festivi: ore 7.30 – 10.00 – 18.00
Chiesa di S. Brigida
Venerdì: ore 8.30
Sabato e prefestivi: ore 18.00
Domeniche e festivi: ore 10.00

Papa Francesco/1
Spes non confudit: la speranza ricolmi il cuore
Dalla Bolla di indizione del Giubileo, alcuni spunti di riflessione.
Oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, siamo chiamati a riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre. Come afferma il Concilio Vaticano II, «è dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche». È necessario, quindi, porre attenzione al tanto bene che è presente nel mondo per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. Ma i segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza. Il primo segno di speranza si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subito? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono
derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte? Il Giubileo ricordi che quanti si fanno «operatori di pace saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. Non venga a mancare l’impegno della diplomazia per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura.
Guardare al futuro con speranza equivale anche ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere. Purtroppo, dobbiamo constatare con tristezza che in tante situazioni tale prospettiva viene a mancare. La prima conseguenza è la perdita del desiderio di trasmettere la vita. A causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni, si assiste in vari Paesi a un preoccupante calo della natalità. Al contrario, in altri contesti, «incolpare l’incremento demografico e non il consumismo estremo e selettivo di alcuni, è un modo per non affrontare i problemi».
L’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile è il progetto che il Creatore ha inscritto nel cuore e nel
corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore. È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti, perché il desiderio dei giovani di generare nuovi figli e figlie, come frutto della fecondità del loro amore, dà futuro ad ogni società ed è questione di speranza: dipende dalla speranza e genera speranza.
La comunità cristiana perciò non può essere seconda a nessuno nel sostenere la necessità di un’alleanza sociale per la speranza, che sia inclu-

siva e non ideologica, e lavori per un avvenire segnato dal sorriso di tanti bambini e bambine che vengano a riempire le ormai troppe culle vuote in molte parti del mondo. Ma tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti.
Don Alberto scrive
In cammino oggi con speranza
Il Signore continuerà a sostenerci, là dove ci prendiamo cura delle ferite degli altri.
Provo a sintetizzare cosa sto comprendendo sulla speranza in questo anno giubilare.
La speranza riguarda il Futuro, la vita eterna. È questa nostra terra che entrerà nel Regno di Dio. Non un altro mondo ma questo; mentre noi attraversiamo il nostro pezzetto di Storia verso il Paradiso. Eppure a volte a terra cadiamo e le lacrime accompagnano questo nostro cadere, perché la terra ci sembra tanto brutta. A volte ci sembra che questa terra di cui siamo fatti, di cui è fatta la nostra storia, sia troppo fragile, o troppo rovinata, troppo faticosa
da portare, quasi come se fosse una palude in cui ogni passo si fa pesante, difficile. Il cammino lento.
La speranza invece viene a dire al cuore, in una parola eterna, che c’è qualcuno che può ridare vigore ai tuoi passi, e può farti camminare sulle alture. Questo sguardo di speranza può nascere solo dall’essersi scoperti amati, almeno una volta, perché solo l’amore può risvegliare il ricordo dell’Amore da cui tutti siamo stati (ri)generati.
Allora possiamo credere questo e averne speranza solo se in qualche modo il Signore Gesù ce lo ha detto personalmente. Ciò significa che la

speranza passa attraverso il rapporto con Lui e la sua Parola e con i fratelli e le sorelle che sono trasparenza del suo amore per noi. Quando il Signore ci parla e ci mostra qualcosa di bello rianima la nostra vita; in qualche modo ci dà speranza, perché percepiamo che ogni dono che ci fa è per sempre. Non lo riprenderà indietro, anzi diventerà sempre più grande. Ci sostiene nel nostro cammino fino alla vita eterna. In questo senso ogni dono che ci fa contiene una promessa. E questa promessa di Dio può diventare un faro che illumina la nostra esistenza, sicché noi possiamo cercare di crescere in ciò che ci ha promesso e così far crescere la comunità attraverso ciò che Lui ci consegna.
Diventiamo così uomini e donne che vivono con speranza e insieme diventiamo persone di speranza per altri. Come? Facendo quello che Dio ha fatto con noi. Allora potremo guardare i fratelli e le sorelle che incontriamo con uno sguardo d’amore, luminoso, capace di scorgere i germogli della vita già presenti in ciò che a loro ancora sembra essere solo terra arida. Occorre un po’ di amore per fare come Dio, perché lui dona qualcosa
promettendo che rimarrà al nostro fianco per portare a compimento ciò che ci ha donato. Se vogliamo seminare speranza fra coloro che incontriamo – possono essere i nostri giovani o i nostri anziani, le persone che giungono qui da lontano e qualsiasi persona – ci occorrerà saper accogliere la fatica che portano con loro, capire di cosa hanno bisogno e qui esser capaci di qualche dono (don Giusto, ad esempio, parla di saper aprire le proprie porte) e poi di fedeltà. Occorre essere capaci di promettere a qualcuno con cui stiamo imparando a vivere che saremo al suo fianco in ciò che concretamente è un bene. Quindi occorre capacità di ascolto per capire le necessità degli altri, capacità di dono e di fedeltà. Potremo osare una cosa del genere, più grande di noi, solo confidando nel fatto che il Signore continuerà a sostenerci. Potremo confidare in questo sperimentando che, più ci prendiamo cura delle ferite degli altri, più il Signore fa crescere in noi la speranza, perché se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce e la tua ferita si rimarginerà presto.
Alberto
News
Don Enrico Broggini, vicario a Rebbio tra il 2002 e il 2007, ha iniziato il suo ministero di parroco nella comunità di Lora, a Como. Lo accompagniamo con la preghiera: lo Spirito del Signore guidi i suoi passi.
Cambio al vertice della caserma dei Carabinieri di Rebbio: il maresciallo Claudio Maggio, presente da decenni nel nostro quartiere, è stato nominato comandante della caserma di Calolziocorte. A lui il nostro grazie. Un caloroso benvenuto e un augurio di buon lavoro al nuovo comandante, maresciallo maggiore Emanuele Zappolini.


A Camerlata
Festa di Santa Brigida tra fede e tradizione
Partecipazione di gruppi da paesi diversi, bancarelle delle associazioni e la tradizionale birra per una giornata di preghiera e di divertimento.
Anche quest’anno a Camerlata, nel fine settimana del 1-2 febbraio, si è celebrata la festa in onore di Santa Brigida d’Irlanda, patrona della parrocchia; gli anziani ricordano con nostalgia le feste del passato, sentite e partecipate da tutto il quartiere: pensiamo che, considerando i cambiamenti tumultuosi di questi ultimi anni, aver mantenuto la festa ed anzi averla via via arricchita di senso e contenuti sia un grande risultato, il cui merito va a don Saverio ed a chi ne ha raccolto il testimone, ovvero tutti quelli che si sono adoperati per l’organizzazione e la riuscita della stessa.
La sera del sabato si è tenuta la veglia, incontro di preghiera e riflessione; dato l’anno giubilare il tema non poteva che essere quello della speranza, con gli spunti di approfondimento proposti da Alfredo Pozzi, che tutti i lunedì sera nella sala parrocchiale guida gli incontri di lettura del Vangelo “In ascolto della Parola”.
La domenica Messa solenne, concelebrata da don Giusto, don Alberto, don Gianluigi e don Ulisse, un sacerdote filippino; l’animazione è stata effettuata dai cori delle varie comunità nazionali presenti, ovvero Sri Lanka, Salvador, Ghana, Congo e Filippine (oltre naturalmente al coro di Camerlata con rinforzi di Rebbio e delle altre comunità); un
plauso al lavoro di coordinamento musicale svolto da Donatella Cozzi. Al termine della celebrazione una rappresentante della comunità congolese (Repubblica Democratica del Congo) ha parlato della tragica situazione nel Nord Kivu, dove ancora una volta infuria la guerra, nell’indifferenza del resto del mondo. E’ triste pensare che quattro anni fa in quelle zone veniva ucciso l’ambasciatore Luca Attanasio, e la violenza anziché diminuire aumenta. Anche quest’anno il grande arco rosso realizzato dal gruppo dello Sri Lanka faceva da portale all’ingresso sul sagrato, dove alla fine della celebrazione i presenti hanno potuto visitare le bancarelle allestite da diverse associazioni della zona. Birra e navicelle come sempre a cura della famiglia Chiaroni, con qualche novità come la birra allo zenzero, tonificante. Ricordiamo che uno dei maggiori miracoli che la tradizione attribuisce a santa Brigida è quello di aver trasformato l’acqua in birra: il birrificio artigianale che ci rifornisce non giunge a tanto, ma ci dà comunque un’ottima birra! In oratorio il gruppo di volontarie, con Fiorella, Maria e molte altre, hanno allestito l’atteso ricco buffet di aperitivi, spazzolati fino all’ultimo salatino. A seguire è stato riproposto il pomerig-

gio danzante: l’associazione Auser ha organizzato delle danze irlandesi ed ha animato la partecipazione, facendo divertire tantissimo i convenuti che hanno fatto tesoro del detto: sbagliando si impara! Danze facili e accessibili a tutti, basta solo lasciarsi andare e non
prendersi troppo sul serio... Anche quest’anno il meteo è stato benevolo, ma poteva essere altrimenti? Godiamo della protezione di santa Brigida, la santa della luce!
Giorgio Magrini
Teatro Nuovo
Una gara di solidarietà per ripartire e riaprire
Dalla chiusura per lavori di adeguamento alla raccolta fondi: cittadini, enti e istituzioni hanno reso possibile la ristrutturazione della sala.
Sono contrastanti i pensieri che si incrociano pensando a quanto accaduto ultimamente al nostro Teatro Nuovo di Rebbio. È capitata una cosa spiacevole al nostro teatro, è capitata una cosa bellissima al nostro teatro. La cronaca è conosciuta: sono state segnalate alle autorità delle difformità rispetto alle normative sulla sicurezza nei luoghi pubblici che hanno portato alla chiusura del teatro fino all’adeguamento con quanto prescritto. Sono stati momenti difficili per le decisioni importanti da prendere: la stagione stava per cominciare, la rassegna dialettale, i gruppi e le associazioni che ci chiedevano di poter confermare le loro date premevano per avere risposte, ma le disposizioni che ci arrivavano erano invece improntate alla impossibilità di proseguire questo percorso con la chiusura completa del teatro. In questo clima un po’ sconfor-
tante, la Commissione del Cine-Teatro con quella per gli Affari Economici ha valutato quanto necessario fare per poter consentire la riapertura. I lavori, tra quelli indispensabili ed altri comunque consigliati, sarebbero ammontati a più di 150.000 Euro e nel decidere come affrontare questa spesa si è considerata anche la possibilità di chiedere contributo alla gente mediante una raccolta fondi. Quando don Giusto ha proposto di raccogliere fondi per soli 80.000 Euro, la domanda che mi sono posto è stata: “E gli altri soldi?” La nostra parrocchia non ha risorse infinite. In poco tempo però è accaduta una cosa meravigliosa. La solidarietà di tanti cittadini, enti ed istituzioni si è fatta immediatamente sentire. In tanti si sono stretti intorno al nostro teatro, ricordando momenti belli della propria vita vissuti nel teatro, riconoscendo l’importanza che ha avuto per
tanti che hanno potuto usufruire del suo spazio per le molte attività svolte e in ultimo anche moltissime le persone che hanno voluto manifestare vicinanza a don Giusto, riconoscendo la validità delle iniziative che in questi anni ha sempre messo in atto. Non credo di sbagliare nel considerare quanto accaduto come una delle più belle manifestazioni della Divina Provvidenza alla quale noi cristiani molto spesso fatichiamo ad affidarci. Il nostro teatro è diventato il teatro della città, la cifra raccolta ha superato quanto preventivato, consentendoci di fare anche cose che avremmo voluto fare, ma che si rimandavano a tempi migliori. Una gara di solidarietà cui hanno partecipa-

to anche altri teatri a noi vicini, a loro volta, nel tempo hanno avuto bisogno e che ora rivolgono a noi il loro aiuto. Un momento bellissimo di solidarietà che ci sprona ad arrivare presto alla riapertura per consentire ancora per molto e per molti a proseguire con impegno l’attività di arte, accoglienza e condivisione che il nostro teatro “più” Nuovo ha sempre svolto. Chi offriva sul sito poteva lasciare un messaggio. Questo mi è sembrato particolarmente bello: aprire le porte di un teatro è un gesto di accoglienza nei confronti della felicità. Teatro Nuovo di Rebbio, ti auguro che tu possa presto ospitarla di nuovo.
Filippo Roncoroni
Alebbio 1954-2024/2
Una storia lunga 70 anni
Grazie a don Giuseppe Tentori, un nuovo inizio per la società dell’oratorio. Poi la novità del Tennis Tavolo.
Con la fondazione dell’Alebbio e i lavori di costruzione dell’Oratorio, numerose sono le manifestazioni sportive nelle quali si cimentano i ragazzi della neonata società biancoblu: Atletica Leggera, Tennis Tavolo, Pallavolo (giocata rigorosamente all’aperto!).
Nel 1956 l’Alebbio si classifica al primo posto nella graduatoria generale dei Gruppi Sportivi locali, vincendo il titolo di campione provinciale CSI. Nello stesso anno la situazione finanziaria documenta 231.085 Lire di entrate e
221.854 Lire in uscita. Nell’attesa che il nuovo Oratorio venga terminato, la sede dell’Alebbio è momentaneamente spostata nelle scuole di Via Lissi, spazi che di lì a poco verranno condivisi con i profughi del Friuli Venezia Giulia, quasi a tracciare in maniera indelebile lo spirito di accoglienza del nostro quartiere. Le attività proseguono vivacemente sino alla seconda metà degli anni Sessanta, quando l’interesse verso la società sportiva decresce, fino ad una

sorta di nuova fondazione ad inizio anni ’70, possibile grazie soprattutto al volere di don Giuseppe Tentori. Particolare nel panorama locale è stata senza dubbio l’avventura del Tennis Tavolo, sport di nicchia, ma che a Rebbio ha vissuto momenti di grande vivacità: dopo un periodo pionieristico, dal 1979 al 1996, Enzo Pavanello, Franco Malinverno e Gaetano Perlini, dal condominio “Barbara” di Via Grilloni occupano lo spazio sottostante il Cine Teatro Nuovo e danno vita ad un movimento capace, sia in ambito Juniores che Seniores, di togliersi qualche bella soddisfazione (Monica Pavanello conquistò un titolo italiano giovanile). L’Alebbio fu tra le prime società
a dotarsi di un modernissimo “Robot sparapalle” che rendeva gli allenamenti, sotto la guida dei tecnici Greco e Savogin, davvero all’avanguardia. L’attività pongistica da allora non è più ripresa, chissà che qualcuno non voglia un giorno farsi avanti e ricominciare anche questa piccola grande avventura.
I Presidenti 1954-1974:
• 1954-1956 Enrico Bianchi
• 1956-1968 Franco Delli Fiori
• 1968-1974 Manlio Cipolla Per Alebbio 1954
Andrea Camporini


Camerlata
La comunità filippina si presenta
La Sant’Eusebio Filipino Catholic Community è una comunità di circa 150 fedeli filippini che si ritrovano nella chiesa di Sant’Agostino di Como ogni prima e terza domenica del mese. In passato, il gruppo si incontrava presso le Canossiane, sotto la guida di don Giuseppe e delle Suore di Canossa, ma con il trasferimento di una delle suore, ha trovato una nuova sede a Sant’Eusebio. Oltre alla celebrazione della Messa, la comunità offre sostegno alle famiglie filippine in difficoltà, promuovendo momenti di preghiera e fraternità per rafforzare la fede in Gesù Cristo. La comunità è suddivisa in tre gruppi principali: El Shaddai, Couples for Christ (che si riunisce a Camerlata) e Sto. Niño (a San Bartolomeo). Un sacerdote proveniente da Milano guida la comunità, accompagnando i fedeli nel loro cammino spirituale e offrendo un punto di riferimento per la crescita nella fede e nell’unione fraterna.
Giulia F.



A Prestino, in Via Sacco e Vanzetti
Prevista l’alienazione della proprietà comunale
Considerata l’emergenza abitativa, il Centro dovrebbe tornare ad essere punto di accoglienza.
Nella frazione di Prestino esiste una via dedicata a Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, noti alle cronache poiché uniti appunto nel binomio “Sacco e Vanzetti”, cioè due italiani emigrati negli Stati Uniti ad inizio del secolo scorso, i quali vennero in seguito ingiustamente condannati alla sedia elettrica dopo un processo segnato - a parere di molti - dal pregiudizio, dall’oppressione e dalla volontà di quel tempo di promuovere un clima di terrore, che metteva nel mirino specialmente gli espatriati. “Nick e Burt” così come erano conosciuti negli States avevano poi l’aggravante di aver aderito ad un gruppo anarchico di italo-americani, ma soprattutto di essere stati degli attivisti in favore delle classi lavoratrici promuovendo manifestazioni e scioperi, e pertanto bollati come militanti radicali da tenere costantemente sotto controllo. Nella via di Prestino a loro dedicata è presente una proprietà comunale che è nata per sopperire alle esigenze abitative dei cittadini, si parla di una cinquantina di posti riservati all’ospitalità di piccoli nuclei familiari; in seguito tale struttura è stata utilizzata come centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, mentre è questione recente la volontà di destinare detto immobile
alle politiche sociali, in particolare per rispondere ai bisogni delle persone recanti disabilità. Forse è possibile stabilire un certo “fil rouge” che lega la vicenda di “Nick e Burt”, e magari qualcuno degli ospiti che sono passati negli anni dal centro di Prestino. Da qualche tempo però tale struttura è chiusa senza peraltro che fossero intrapresi i lavori di adeguamento che questo edificio necessiterebbe. L’attuale volontà dell’amministrazione comunale è quella di vendere tale patrimonio edilizio avendolo incluso nel piano delle alienazioni per il 2025-27, insieme all’ex cine-teatro Politeama, ad alcune scuole, e due lotti per complessivi 125 parcheggi.
L’emergenza abitativa nella città di Como è evidente, specialmente per quei giovani che avrebbero voluto mettere radici nel capoluogo, i quali invece vengono sospinti verso altri comuni di cintura, dove magari sono garantiti prezzi di acquisto o di locazione inferiori. Sono gli effetti negativi dovuti anche all’“overtourism” che vede la massiccia trasformazione del centro dell’urbe (ed oltre), in case vacanza e bed & breakfast, con espulsione relativa dei residenti. Per non parlare delle categorie più fragili come quelle dei lavoratori con impieghi precari oppure dei migranti, per le quali una siste -
mazione abitativa dignitosa appare loro come un autentico miraggio. In queste dinamiche sarebbe di fondamentale importanza l’intervento attivo dell’amministrazione locale, in quanto il comune è proprietario di diversi immobili di “edilizia residenziale pubblica”, cioè da destinare alle fasce più deboli dell’utenza; tuttavia su questa importante partita si è invece scelta la strada della delega ad ALER (Agenzia Lombarda per l’Edilizia Residenziale), rinunciando così ad un ruolo propositivo. Il nostro parroco don Giusto, da anni in prima linea sulla tematica dell’accoglienza ma anche su altre questioni come il diritto alla casa, proprio dalle colonne del periodico della comunità pastorale di Rebbio e Camerlata, ha recentemente affermato che mentre:

“...i ricchi e super-ricchi a Como trovano le porte spalancate, le famiglie ordinarie le trovano chiuse…”, inoltre “... Un anno orsono sul nostro Focolare ho fatto l’invito alla lotta per il diritto alla casa nella nostra città: nulla è cambiato...”. Perché allora non ripristinare il centro di via Sacco e Vanzetti alla sua funzione originaria? Tale struttura ha svolto un servizio fondamentale negli ultimi decenni, e dovrebbe continuare ad essere uno spazio di partecipazione e di accoglienza. Infatti molti cittadini comaschi ritengono importante difendere i beni comuni del capoluogo lariano, volendo promuovere nel contempo la qualità della vita, ed il soddisfacimento dei bisogni primari soprattutto per i segmenti sociali meno strutturati.
Andrea Rinaldo


A tu per tu con Vittorio Pozzi
C’era un tempo sognato che bisognava sognare
Una lunga chiacchierata per ripercorrere decenni di storia locale e nazionale.
Incontro Vittorio e la moglie Mariuccia in un freddo pomeriggio di dicembre. Lei uno scricciolo vivace, sorridente, lui ancora un gigante buono, protettivo, accogliente e disponibile a raccontare la sua storia, lunga quasi un secolo Como, 1934, 19 settembre, da Giovanni Pozzi e Pina nasce, in via Valleggio, nel quartiere della chiesa di San Giuseppe, Vittorio.
Successivamente la famiglia Pozzi si trasferisce in quel di Rebbio, un paese agricolo con tante botteghe di artigiani che daranno il nome alle corti e ai rioni che, all’epoca, si schiudono intorno alla parrocchiale di San Martino. Nelle corti trovavano posto anche le stalle con le mucche e, solo a Salvadonica, si allevavano gli asinelli utili al trasporto dei carichi nel paese. Una testimonianza si può osservare entrando ancora oggi nel cortile dei Caruzun, dove ci sono ancora gli anelli per il bestiame attaccati al muro. A Rebbio si parla il dialetto, gli uomini si danno da fare e lavorano fuori casa e a volte in altri paesi, le donne accudiscono la famiglia. I Pozzi abitano nel quartiere del Soulireu, in via Varesina: è la corte degli artigiani che posano il suolo dei pavimenti e le piastrelle.
Il piccolo Vittorio serve la Messa delle 7 e va a letto vestito per essere già pronto
e per non soffrire il freddo d’inverno: con orgoglio segue il sciur prevost, il don Scacchi, per la predica dal pulpito. I luoghi di aggregazione del tempo sono la chiesa, la Cooperativa e l’asilo. Il catechismo si fa in via Parrocchiale, dai Faverio.
Vittorio cresce e si radica nella parola del Vangelo. Lavora a Como, in una tessitura in via Anzani, a Como.
Dicono che c’è un tempo per seminare
E uno più lungo per aspettare
Io dico che c’era un tempo sognato
Che bisognava sognare
1952: viene ordinato a Como il chiavennasco don Virgilio Levi, viceparroco e assistente di organizzazioni ecclesiali, il prete che lascia il segno in Vittorio e nei giovani rebbiesi che frequentano la Chiesa.
“Facciamo un salto indietro nel tempo di 70 anni. Immaginatevi la Chiesa con il suo bel campanile e un terreno intorno in terra battuta. Non c’era l’oratorio, non c’era la grotta con la Madonnina, il posteggio delle auto, ne’ tanto meno il campo da calcio.
In Chiesa alla domenica tutti i banchi erano pieni di bambini che all’uscita giocavano a calcio in un campetto dove ora c’è la grotta, oppure a ping pong in una casetta di legno dove ora c’è il bar.
Il vicario di allora, don Levi, confidò a me e ad altri giovani impegnati nell’oratorio, l’idea di creare una società di promozione sportiva già esistente in altri oratori della diocesi, e cosi con entusiasmo si costituì un gruppo che fondò l’Alebbio affrontando tutti i problemi legati all’affiliazione e all’allestimento del campo”.
In quegli anni quasi 300 tra ragazze e ragazzi frequentano l’oratorio di Rebbio: una casupola di legno, una casermetta utilizzata subito dopo la guerra dai soldati americani, come mensa. Il dopoguerra vede l’espansione di Rebbio verso le Campagne ma anche oltre la “Milanesa”, l’attuale via Pasquale Paoli. Nell’oratorio si fa il cinema e si sente l’esigenza di coinvolgere i giovani con attività sportive.
È il 1954 quando nasce la Us Alebbio (antico nome del paese) e Vittorio, con orgoglio, racconta che è tra i soci fondatori. Una società che cresce in sinergia con la Parrocchia di Rebbio e che ha la mission di creare una comunità giusta e inclusiva attraverso i valori “dello sport, dell’uguaglianza, dell’amicizia, dell’inte-

grazione, dello spirito di gruppo, della non violenza e del rispetto degli altri.” il Giuseppe Riva, il Gorla, i fratelli Paolo e Antonio Ghelfi …
“L’Us Alebbio ha sempre fatto il possibile per essere un punto di riferimento per bambini e famiglie, per accompagnare i piccoli e grandi atleti nel proprio percorso di crescita, aiutandoli attraverso l’attività fisica a fare propri i valori che lo sport insegna, aiutandoli a trovare nuovi amici e a sentirsi parte di una comunità.”
Nel 1944, il comasco Achille Grandi costituisce l’Associazione Cristiana dei Lavoratori Italiani, fondata sulla fedeltà alla Chiesa, al lavoro e alla democrazia, per coniugare il pensiero, l’ideale con il servizio e il giovane Vittorio negli anni ’50, segue la sua strada nelle A.C.L.I. fianco a fianco ad Aurelio Montanari, con idee aperte e innovative, in antitesi con il sistema politico dell’epoca. Nelle A.C.L.I dedica tanti anni di impegno e ne diventa poi il Segretario organizzativo provinciale.
Dicono che c’è un tempo per seminare


E uno che hai voglia ad aspettare
Un tempo sognato che viene di notte
E un altro di giorno teso
Come un lino a sventolare
E nel 1954 l’incontro con la sua Mariuccia, in Chiesa, gli uomini da una parte, le donne dall’altra. Mariuccia lavora all’Armonia ma smette nel 1959; dopo il matrimonio nascono Simona, Elena e Roberto che “sta andando anche lui all’Oratorio ad aiutare il don Giusto”. Vittorio ricorda l’episodio dell’incendio della casetta, il 23 gennaio del 1955: un gesto grave, una bravata, dice lui, o un gesto politico. Dalle ceneri dell’incendio prese forma la costruzione del nuovo Oratorio (era stata già in precedenza avviata una raccolta fondi) e il 31 luglio viene posata la prima pietra (quest’anno ricorre il 70°).
Con tanta emozione, Vittorio ricorda gli amici e le radici di questi anni epici : Delli Fiori, il presidente dell’Alebbio, Aurelio Montanari e Rita Galli, il Riva Luigi, il Saldarini, la Wilma e la Carla Lucini, Anna Caldara, Milena Brumana. E tanti altri, come il Sandro Clerici, Alfonsina Tettamanti, il comm. Bianchi…
Ora Vittorio dall’alto del suo condominio, prima di congedarci, abbraccia il “suo” paese. Mi racconta che Mariuccia era della corte dei Tourcée, del Garè, con la fontanella per l’acqua, dei Massée
Neuf, che coltivavano il frumento, dei Paulett, i Roda, i Ness, i Binda e la Cà Morta.
È tempo che sfugge, niente paura
Che prima o poi ci riprende
Perché c’è tempo, c’è tempo c’è tempo, c’è tempo…
C’è ancora tempo, Vittorio, come mi hai detto tu di “collegare sempre tutte le cose”. Grazie perché ne sei stato capace. C’è un tempo bellissimo, tutto sudato
Una stagione ribelle
L’istante in cui scocca l’unica freccia
Che arriva alla volta celeste
E trafigge le stelle
È un giorno che tutta la gente
Si tende la mano
È il medesimo istante per tutti
Che sarà benedetto, io credo
Da molto lontano
(Ivano Fossati – C’è tempo) Mira Bianchi


Istituto Comprensivo Como - Rebbio
Tra sogni e lavoro, benvenuta, dirigente!
La dott.
Angeloni dirige da settembre tutte le scuole del quartiere: una grande sfida.
Il nostro quartiere accoglie la nuova Dirigente Scolastica dell’Istituto Comprensivo Como-Rebbio, dottoressa Francesca Angeloni.
L’abbiamo incontrata per conoscerla meglio.
Giovane, solare, senza importanza, la Dirigente si racconta: “Sono un’insegnante di inglese della scuola primaria. I bambini sono la mia vita. Vengo da Napoli, dove la realtà è molto diversa: c’è un rapporto molto stretto con le famiglie, a volte anche troppo invadenti: forse per il mio carattere accondiscendente e legato al fatto che sono solita dare subito confidenza alle persone. A un certo punto, mi sono resa conto che non vedevo crescita nel mio lavoro. Ho pensato a un cambiamento e ho così deciso di fare il concorso per dirigente; mi è stato possibile perché sono laureata in legge.”
Le chiediamo quale è stata la sua prima impressione rispetto al nostro istituto, l’unico della città a comprendere la scuola ospedaliera oltre alla scuola dell’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado.
La preside, con il sorriso sulle labbra, racconta di aver trovato una realtà tosta, ma lei è un’amante delle sfide e spera di portare una mission e una vision lungimiranti, che le cose
cambino in positivo, anche con il supporto dei docenti.
La invitiamo a raccontarci i suoi sogni per il futuro della nostra scuola.
Sogna il benessere di tutti gli alunni, di poter dare loro gli strumenti per affrontare il futuro, perché lo studio è l’unico mezzo per migliorarsi e per affrontare questa realtà triste in cui viviamo, che a volte, ci spiega, la spaventa. Vorrebbe fornire gli strumenti a tutti, nessuno escluso, per affrontare la vita lavorativa e personale.
Le chiediamo quale collaborazione ha trovato con le agenzie educative del territorio.
Sta cercando, attraverso le varie cooperative e le altre agenzie sul territorio, di creare una rete inclusiva, ma non solo nel senso di alunni diversamente abili, ma inclusiva al 100% per tutti i ragazzi e bambini che vivono nel nostro quartiere.
L’augurio per lei, lo prendiamo proprio dal suo profilo social: “Il segreto è questo: bisogna diventare le due “E”. Quella con l’accento per essere e quella senza, per unire”.
Buon lavoro!
Elisabetta Sala membro Consiglio di Istituto IC Como - Rebbio

Ricordando Carolina Nebuloni
La signora della cartoleria
Per anni, nel suo negozio di Via Lissi, è stata punto di riferimento per generazioni di bambini.
La ‘signora Carla’ se ne è andata, in silenzio e discrezione, il 7 dicembre, la vigilia dell’Immacolata.
Decenni fa, l’8 dicembre, per noi, bambini di allora, segnava, anche nei negozi, l’inizio del periodo più bello prima di Natale: molte luci e tanti splendidi giocattoli! E così era la vetrina della cartoleria Nebuloni: la ’signora Carla’ allestiva il negozio in modo da renderlo il luogo incantato dove Gesù Bambino sarebbe passato a ritirare i regali per i bambini buoni e anche per quelli più birichini.
L’attività della ‘signora Carla’, Carolina Nebuloni, era iniziata nel 1965, quando dal Milanese si era trasferita a Rebbio, dopo il matrimonio con Mario Lurati, scomparso ancora giovane nel 1983. E qui, nella sua cartoleria, ha portato

un tocco di gusto e di signorilità, lei che, per anni, aveva lavorato in un negozio di abbigliamento in Galleria Vittorio Emanuele a Milano. Forse per questo, la si chiamava ‘signora Carla’, anche se la consuetudine di anni aveva fatto nascere con i clienti più affezionati una bella confidenza.
Nella sua cartoleria sono passate generazioni di bambini e ragazzi delle scuole del quartiere: le cedole dei libri delle elementari, le pile di testi per le medie, i pastelli e i pennarelli colorati (sempre di ottima qualità!), le fotocopie, i tubetti di colore per le ore di disegno …. Un mondo variegato di persone e di oggetti, contenuti in un unico piccolo locale, poi ingranditosi nel corso degli anni.
E lei, la ‘signora Carla’, era sempre presente (tranne nell’ultimo periodo, per l’età ormai avanzata): elegante, puntuale, attenta; inevitabilmente a conoscenza di tante vicende, ma mai pettegola; corretta con tutti, senza guardare la provenienza o il colore della pelle; disponibile per anni alle ‘incursioni’ degli animatori del Grest e dei campi estivi, sempre alla ricerca di un cartellone o della colla.
Il suo è stato sì un lavoro, svolto con grande professionalità, ma anche un servizio attento ai bisogni delle persone. Di cuore, grazie! una ‘cliente’ affezionata

Istituto Comprensivo Como - Rebbio
Un ricordo per Daniela De Fazio
In Campania è scomparsa, dopo una lunga malattia, la preside che ha coordinato per dieci anni le attività didattiche del quartiere.
Il padre di Daniela De Fazio, Aldo, era stato negli anni ’50 portiere della Lazio in serie A, e quindi tutta la famiglia aveva passato alcuni anni a Roma. Quando, durante una delle prime riunioni del Consiglio d’Istituto a cui io ho partecipato, scoprì che io ero cittadino romano e tifoso biancoceleste, mi festeggiò come se avesse incontrato un compatriota all’estero e, con il suo accento campano DOC, affermò di avere Roma nel cuore almeno quanto Salerno e Rebbio. Rebbio sicuramente lo ha avuto nel cuore ma è con il cervello, con la parola e con l’azione che ha diretto per dieci anni scolastici l’Istituto Comprensivo di Como-Rebbio.
Riuscì a promuovere e portare a termine nel 2021 la ristrutturazione del campo sportivo esterno della Scuola Fogazzaro, mettendo in rete le risorse del quartiere anche al di fuori della scuola e ottenendo le risorse finanziarie sia dall’Amministrazione Comunale sia da un’iniziativa di finanziamento collettivo. Nella primavera del 2020, indirizzò lo sforzo di uno straordinario corpo docente per la prosecuzione e la conclusione dell’anno scolastico durante la pandemia, prendendo atto di difficoltà mai sperimentate prima e affrontandole insieme a docenti, genitori e alunni, con capacità di adattamento e spirito innovativo.
Promosse, inoltre, la partecipazione
della scuola a numerosi progetti destinati a ragazzi e genitori in molteplici direzioni: dallo sport, con i corsi di vela sul lago per i ragazzi, alla formazione per i genitori su rischi e caratteristiche degli strumenti digitali e della connessione permanente, alla formazione sull’affettività già per i bambini più grandi delle scuole primarie, finanziata con l’aiuto dei comitati genitori. Pose sempre una particolare attenzione al fenomeno del bullismo in ogni sua forma, monitorando con particolare cura il comportamento dei ragazzi in aula e fuori. Fu sempre convinta che la multietnicità della scuola di Rebbio fosse una ricchezza su cui investire.
La sua eloquenza alluvionale ma forbita, ordinata e finalizzata è stata la protagonista di anni di riunioni del Consiglio d’Istituto, ma anche nel corso delle contrapposizioni più accese era sempre chiaro il suo obiettivo di difendere l’interesse della scuola e dei suoi ragazzi, ricorrendo a tutta la sua esperienza e capacità professionale ed umana.
È suonata l’ultima campanella per Daniela De Fazio, ma ne resterà l’eco finché nuovi ragazzi e ragazze, bambini e bambine continueranno a popolare le scuole di Rebbio.
Dario Giacomini
Presidente Consiglio d’Istituto IC Como Rebbio


In ricordo di Clotilde Anzi
Tra piccoli gesti e grandi scelte
Dopo una lunga malattia
è tornata alla Casa del Padre la mamma di don Giusto.
Il signor Sandro, collaboratore del Focolare, mi ha chiesto di scrivere un articolo in ricordo di mia mamma, Clotilde Anzi. Da dove cominciare... Sono Alida, la sorella minore di don Giusto. La nostra famiglia era composta da sei persone: papà Clemente, che oggi ha novantacinque anni, mia sorella Livia, Giusto, io, Giovanni e mamma Clotilde, per tutti Cloti, che ci ha lasciato l’11 gennaio di quest’anno, pochi giorni dopo aver compiuto ottantanove anni. Era nata il 31 dicembre 1935, la prima di sei fratelli. Nel 1945 suo papà è morto, disperso nella campagna di Russia, probabilmente in Ucraina. Questo evento ha segnato profondamente la sua vita: il dolore si è mescolato alla necessità di affrontare la nuova realtà quotidiana. La nonna, rimasta vedova, ha dovuto iniziare a lavorare e la mamma, ancora bambina, si è presa cura dei suoi fratelli, lasciando la scuola contro la sua volontà.
A ventidue anni si sposò e, nel 1958, nacque mia sorella maggiore. Tre anni dopo arrivò Giusto, seguito, qualche anno più tardi, da me e Giovanni. Quando Giusto aveva dodici anni, i miei genitori ricevettero una proposta inaspettata dal parroco del nostro paese, don Basilio Pini: far entrare Giusto in seminario. Non fu facile convincerli. Il nostro paese, Le Prese, non aveva mai dato i natali a un sacerdote, e non so fino a che punto i miei genitori deside -
rassero un figlio prete. Tuttavia, Giusto, insieme ad altri tre coetanei, fra cui Aurelio, nostro cugino, intraprese il percorso del seminario.
Quel periodo mi lascia ricordi contrastanti. Giusto mancava a tutti. Quando si avvicinava la festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti, in casa si respirava un’aria di attesa: finalmente Giusto tornava a casa dopo due mesi di assenza. Era un evento. La mamma preparava tante cose buone. Nel corso dell’anno scolastico era lei a mantenere i contatti con lui, e a quei tempi non era così immediato come oggi. Qualche lettera e un’unica telefonata settimanale: ogni venerdì sera, dopo la messa, io, lei e Giovanni ci fermavamo nella cabina telefonica del paese. Era una cabina particolarissima, collocata all’interno del bar. Per me e Giovanni era un gioco, sembrava una navicella spaziale, ma per la mamma era un momento di grande emozione. Quando Giusto tornava, il tempo insieme passava troppo in fretta. A Natale l’attesa era ancora più grande: si aspettava lui per fare l’albero e il presepe. I miei genitori, in particolare la mamma, dicevano sempre che erano più belli quando li faceva lui. Col tempo ho compreso che non si trattava solo del suo “tocco artistico”, ma di una scelta dettata dalla praticità: la casa era troppo piccola e il presepe, per sua natura ingombrante, poteva essere
allestito solo il 23 dicembre per non occupare lo spazio troppo a lungo. Ogni anno le famiglie erano invitate nel seminario di Como per alcune ricorrenze. Quelle gite per me erano un evento, quasi un’avventura. Di solito andavamo la mamma, il papà ed io. Giovanni rimaneva a casa, poverino, perché soffriva il mal d’auto.
La mamma aveva molte passioni: la cucina, l’orto, i fiori (che adorava), ma soprattutto amava cucire. Si confezionava da sola i vestiti e prestava grande attenzione all’ordine e all’eleganza, tanto che, per l’ordinazione sacerdotale, Giusto fu “costretto” a comprarsi un completo elegante… l’unico nella sua vita.
Il primo incarico di Giusto fu nella parrocchia di Albate Trecallo. La mamma, all’inizio, ne rimase dispiaciuta: sperava che gli venisse assegnata una parrocchia più vicina a casa. Dopo la sua nomina scendevamo spesso ad Albate per aiutarlo nelle pulizie della sua casa. Lì i miei genitori conobbero tante care persone, alcune delle quali ancora oggi vanno a trovare il papà.
Qualche anno dopo, Giusto fu assegnato alla parrocchia di Livigno e la mamma era felicissima di poterlo vedere più spesso. Ma poi Giusto scelse di diventare missionario in Africa. Per la mamma fu una grande sofferenza: tanti anni senza poterlo vedere. Ma non lo frenò mai. Come si è detto anche durante il funerale, i miei genitori lo hanno sempre lasciato libero di vivere la sua vocazione.
Quando Giusto rientrò in Italia, la mamma già manifestava i primi segni della malattia. Inizialmente in modo lieve, poi sempre più evidente. La sua malattia, durata tanti anni, l’ha trasformata, rendendola irriconoscibile. In questi giorni mi capita spesso di

ascoltare la nuova canzone di Cristicchi. Appena l’ho sentita, mi sono ritrovata tantissimo in quanto scritto nel testo: “Quando sarai piccola ti aiuterò a capire chi sei, ti starò vicino come non ho fatto mai. Rallenteremo il passo se camminerò veloce, parlerò al posto tuo se ti si ferma la voce. Giocheremo a ricordare quanti figli hai, che sei nata il 20 marzo del ‘46.” Proprio così... anche noi facevamo lo stesso quando l’andavamo a trovare nella sua nuova casa, la Residenza per anziani Bellavista di Sondalo: rallentavamo il passo se camminavamo troppo veloci rispetto a lei, giocavamo a ricordare quanti figli aveva e che era nata il 31 dicembre del 1935.
“C’è quella rabbia di vederti cambiare e la fatica di doverlo accettare.” Quanta rabbia, quanti “perché”? Quanti “che senso ha”? Eppure, quegli anni, soprattutto i primi, portarono anche qualcosa di bello. Ogni giorno qualcuno della


famiglia veniva a trovarti per “tenerti con noi”. Anche Giusto, quando poteva, saliva da Rebbio. Che bella “rete” ti circondava mamma... coloro ai quali avevi dato tanto. Ma poi arrivò il Covid... e dopo non sei stata più la stessa. E poi, l’11 gennaio...
Grazie, mamma. Grazie per il tuo esempio di forza e dedizione, per i tuoi insegnamenti silenziosi ma profondi,
per l’amore che hai saputo trasmetterci ogni giorno, nei piccoli gesti e nelle grandi scelte. Grazie per averci permesso di studiare. Grazie per averci donato una famiglia unita e solidale, per la tua presenza discreta ma costante, per il coraggio con cui hai affrontato la vita e per l’affetto che, anche nei momenti più difficili, non ci hai mai fatto mancare.
Alida Della Valle
Per Antonio Resmini
Sempre pronto nel bisogno
Il ricordo di una vita semplice e di un servizio costante.
Zio Antonio, dopo un lungo cammino fatto insieme è arrivato il momento di salutarci.
La tua è stata una vita fatta di tanto lavoro, il tuo pane era il più buono di Como, ma anche, e soprattutto, di

servizio: in famiglia, coi nonni, che hai accudito in tutto; con i tuoi tanti fratelli, sorelle, cognate e cognati per i quali eri sempre pronto in caso di bisogno; coi tuoi nipoti, alcuni dei quali sono letteralmente cresciuti in casa tua.
Anche con i vicini di casa hai avuto un rapporto di amicizia, sempre presente nei momenti importanti; rapporto che, dopo più di cinquant’anni di convivenza era ormai un rapporto familiare, di confidenza.
La tua è stata una vita semplice, il tuo servizio costante e poco evidente ai meno attenti ma sempre mosso dal desiderio di voler far del bene.
Così è stata anche la tua Fede, senza fronzoli, fatta di un sì e basta.
Così come hai vissuto così te ne sei andato, in punta di piedi, serenamente. Il nipote, Federico

In memoria di Sandra Bernardi
Presenza costante e fedele nella vita della parrocchia
Dopo un’intera esistenza a Camerlata, si era trasferita a Trieste, vicina alla sua famiglia.
Ha vissuto tutta la sua vita a Camerlata, ci ricordava lei stessa di avere abitato con la sua famiglia sulla vecchia piazza, dove incrociavano i tram e ora troneggia la “fontana di Cattaneo”, nella Casa Battistessa sulla cui sede da oltre sessant’anni sorge il cosiddetto Grattacielo. La sua mamma è stata fino agli anni sessanta del secolo scorso la “maestra“ della scuola di Rebbio e anche Sandra ha seguito la tradizione familiare come insegnante in alcune scuole prossime alla città fino a concludere la sua attività di insegnamento a Como nella scuola di via Viganò. Molti ancora negli ultimi anni i suoi allievi che incontrandola la salutavano manifestando il piacere di ricordi significativi di un rapporto umano consistente. Questo e non solo questo mi pare si possa considerare la cifra del suo carattere aperto e umanamente ricco e disponibile in un contesto culturalmente elevato che l’ha sempre caratterizzata. Il ricordo però che vorrei particolarmente sottolineare di Sandra è stata la sua presenza costante e veramente fedele nella vita della Parrocchia di Camerlata con grande disponibilità di collaborazione con i diversi Parroci che si sono succeduti negli anni e con la piccola comunità dei fedeli più assidui che La ricordano con grande affetto. Si
può dire che la sua è stata una testimonianza cristiana a tutto tondo, presente costantemente in Parrocchia sia per ogni esigenza di piccoli incarichi per la gestione della chiesa così come per i momenti di studio e di impegno culturale più rilevanti della nostra comunità. La sua dedizione ancora si è sempre rivolta anche al di fuori dell’ambito parrocchiale con una grande attenzione alle attività della Azione Cattolica sia locale che cittadina e finanche diocesana. La conoscenza più diretta che ho avuto modo di avere di lei risale agli ultimi venticinque anni in cui, in amicizia con Carla mia moglie, ha dato la sua piena disponibilità di collaborazione ai Gruppi di Volontariato Vincenziano sia della città che della Parrocchia cui ha partecipato attivamente fino agli anni più recenti quando, per esigenze della sua famiglia di origine ha cominciato ad allontanarsi da Como verso Trieste, prima per assistere la sorella gravemente malata, poi per aiutare il marito di lei rimasto solo. Non avendo una famiglia sua era sempre disponibile per gli altri. Negli ultimi anni, approssimandosi ad una età da “grande anziana” ha scelto, anche se con molto rimpianto di recidere i suoi legami camerlatesi e comaschi per rientrare a Trieste dove poteva contare sulla vicinanza di nipoti e pronipoti facendo fede per una vec-

chiaia più avanzata sui vincoli della sua origine familiare. Anche questo l’ha fatto serenamente, non in modo affrettato, con la sua metodicità concreta in grande e matura autonomia fino alla smobilitazione completa della sua abitazione in via Turati. Poi in grande semplicità e partita verso Trieste dove,
Da Trieste
non molto tempo dopo il trasferimento, il Suo cuore l’ha tradita. A noi rimane il ricordo gradito di una bella persona, cristiana, coerente e modesta, disponibile ad amicizie fedeli, caratterizzata da grande disponibilità specie per i più fragili.
Paolo Ferraris
A Sandra Bernardi, mia zia
Nello scritto della nipote, rivive una donna generosa e forte.
Poche parole, come lei era abituata.
Solo grazie, perché in vita non glielo ho detto abbastanza.
Grazie per l’amore di tutta una vita.
Grazie per la sua presenza discreta nei momenti difficili.
Grazie per l’affetto e il sorriso con cui ha accompagnato i miei giorni fin da

quando ero bambina.
Grazie per le passeggiate con la mitica Bianchina decappottata e per la quotidianità fatta di mille attenzioni, gite in battello e visite al magico Mantovani negli anni passati con lei in via Turati. Grazie per i mille momenti e modi con cui ha accompagnato la mia crescita e quella dei miei figli; è stata una seconda mamma.
Grazie per il coraggio con cui ha abbandonato da un momento all’altro e senza remore la sua vita a Como per abbracciare la nuova missione di assistenza, a mia mamma prima, a mio papà poi, a Trieste.
Grazie per avermi insegnato cosa significa amare e servire Dio e il prossimo con semplicità e senza clamore.
Grazie per l’esempio e per la grande generosità con cui si è spesa per tutti. Grazie zia, perché in vita non te l’ho detto abbastanza.
Laura

Anagrafe parrocchiale
Ci hanno preceduto nella Casa del Signore
Rebbio 2024
64 Sormani Carla
65 Nebuloni Carolina
66 Borghi Valentina
67 Brkic Nirvana
68 Peverelli Eugenia
69 Camasta Giacomo
70 Valsecchi Ornella
71 Bilato Carmen
72 Rossi Arturo 2025
1 Casarico Giuseppina
2 Resmini Antonio
3 Anzi Clotilde
4 Bernasconi Andrea
5 Puggioni Gavino
6 Banfi Maria Teresa
7 Gambaruto Pietro
8 Lannutti Enrichetta
Mocali Ilio
Lanfranconi Francesca
Serafini Maria
Romano Ettore
Borghetto Marta
Vitale Luigi
Mastrapasqua Eugenia
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Camerlata
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Calendario liturgico
Comunità Pastorale Rebbio-Camerlata
SETTIMANA SANTA
Domenica delle Palme, 13 aprile a Rebbio
ore 9.30, piazzale del cimitero: benedizione ulivi, segue processione alla chiesaS. Messa a Camerlata
ore 9.45, presso l’oratorio: benedizione ulivi, segue processione alla chiesa - S. Messa
Lunedì Santo, 14 aprile
ore 21.00 celebrazione Via Crucis cittadina dei giovani con il Vescovo Oscar
Giovedì Santo, 17 aprile in Cattedrale ore 10.00 S. Messa del Crisma a Rebbio
ore 15.00 – 18.00 Confessioni
ore 20.30 S. Messa in Coena Domini a Camerlata
ore 20.30 S. Messa in Coena Domini
Venerdì Santo, 18 aprile a Rebbio
ore 8.30 recita comunitaria delle Lodi
ore 9.30 – 17.00 Confessioni
ore 17.30 Liturgia della Passione del Signore a Camerlata
ore 18.00 Liturgia della Passione del Signore
ore 20.30 Via Crucis da Camerlata a Rebbio
Sabato Santo, 19 aprile a Rebbio
ore 8.30 recita comunitaria delle Lodi
ore 9.30 – 18.00 Confessioni
ore 21.00 Veglia Pasquale a Camerlata
ore 15.00 Confessioni
ore 21.00 Veglia Pasquale
Santa Pasqua, 20 aprile a Rebbio
ore 7.30 – 18.00 Sante Messe
ore 10.00 S. Messa Concelebrata a Camerlata
ore 10.00 S. Messa
Lunedì dell’Angelo, 21 aprile a Rebbio e Camerlata
ore 10.00 S. Messa
Giovedì 1 maggio
A Camerlata
Basilica di San Carpoforo ore 20.30
Apertura mese di maggio con celebrazione S. Rosario a Rebbio e Camerlata
dal lunedì a venerdì, ore 20.30
Santo Rosario nei cortili dei condomini (consultare programma dettagliato)
Domenica 4 maggio a Rebbio
Prima Confessione ragazzi di IV e V elementare
Sabato 10 maggio
Giubileo dei Giovani: Pellegrinaggio al Santuario
della Madonna del Soccorso
Venerdì 30 maggio
Missionari Comboniani
ore 20.30 chiusura mese mariano
Domenica 8 giugno Pentecoste a Rebbio
ore 10.00 S. Messa: Celebrazione anniversari di matrimonio
Giovedì 7 agosto
A Camerlata
Basilica di San Carpoforo
Festa di San Carpoforo
Domenica 21 settembre a Rebbio Festa delle Madonna della Consolazione
Domenica 28 settembre Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato