

il Focolare
Periodico della Comunità Pastorale di Rebbio

Festa della Madonna della Consolazione
Domenica 14 Settembre 2025
Santo Rosario nei cortili ore 20.30 lunedì 8 settembre Via Grilloni 16 martedì 9 settembre Via Magni 26 mercoledì 10 settembre Via Collina 9 giovedì 11 settembre Via Scalabrini 46 venerdì 12 settembre Via Palma - Edificatrice
domenica 14 settembre
ore 7.30 – 18.00 SS. Messe d’orario
ore 9.30: ritrovo presso il cortile dei Missionari Comboniani ed inizio processione con il simulacro della Madonna della Consolazione, fino alla chiesa
ore 10.00: S. Messa concelebrata presieduta da don Angelo Introzzi , vicario a Rebbio dal 1975 al 1978, che ricorda con noi 50 anni di ordinazione presbiterale.
Dopo la S. Messa, sul piazzale della chiesa, incanto canestri e banco vendita torte a sostegno lavori di restauro delle navate laterali della nostra chiesa parrocchiale.
ore 12.30: pranzo comunitario in oratorio
lunedì 15 settembre
ore 8.30: S. Messa
ore 20.30: S. Messa per i defunti della parrocchia, segue processione al cimitero
AVVISO SACRO
Trimestrale della comunità di Rebbio e Camerlata
Registrato presso il Tribunale di Como: autorizzazione n. 4/2017del 1/6/2017
Direttore responsabile: Lattanzi Enrica

In questo numero

La riflessione di don Giusto
Como, città disumana
L’intolleranza si fa strada nei nostri quartieri: è necessario ritrovare umanità.
La politica che è anche l’arte di guidare una città è tra i servizi più importanti in una collettività. Io credo e collaboro con le istituzioni che guidano una città, una provincia, una regione e l’Italia. Abbiamo da più parti sollecitato a chi guida la città e la Provincia di Como un aiuto per le popolazioni ucraine. Risposta quasi nulla: Como disumana. Recentemente si è chiesto un ristabilimento di contatti con la città di Nablus – Palestina e Netanya – Israele, contatti morti negli anni, ma che in tanti consideriamo un piccolo segno per prendere parte alle sorti di Israele e Palestina. Risposta nessuna: Como disumana. Di fronte ad un mondo sempre più villaggio globale la città di Como si sta chiudendo tra lago e colline. “Semm cumasch” tanto sventolato significa siamo chiusi, disumani? Ricordate la pubblicità sui bus della nostra città: “Como città fratelli tutti”? La nostra città va piuttosto nella direzione del “nemici tutti”, basti vedere il bassissimo profilo dialogico dei consigli comunali, o dell’ “indifferenti tutti”, “passivi tutti” o altro. Alcune migliaia di persone che viviamo a Como crediamo e agiamo fermamente nella costruzione di una città di Como fraterna, ma facciamo una gran fatica a dialogare e men che meno identificarci in chi guida la città. Ricordo il sindaco La Pira di Firenze, faro che illuminava la città, punta avanzata di civiltà a cui tendere.
Avanza poi un altro segno di disumanità a Como: l’intolleranza o quasi per i bambini che giocano e fanno rumore sotto casa, per i giovani rumorosi che giocano a pallone nei nostri quartieri, per chi fa animazione di quartiere accompagnata a “rumore positivo”. Certo gli orari, i “volumi” vanno rispettati ma nella città avanza una corrente intollerante al “rumore positivo” dei nostri bambini e giovani. È il preludio di una città “casa di Riposo”, certo è un segno preoccupante di una Como

disumana. Qualcuno ha dimenticato di essere stato bambino, ragazzo e giovane.
Benvenuti i bambini, ragazzi, giovani, associazioni che con i loro canti, giochi, feste rendono umana la nostra città.
don Giusto Della Valle
Contatti utili
Don Giusto Della Valle (parroco) tel. 031 520622 cell. 366 7090468 e-mail: giustodellavalle@gmail. com
Don Alberto Erba (collaboratore parrocchiale)
Scuola Materna V. Lissi, tel. 031520630
Missionari Comboniani: tel. 031 524155
Orari SS. Messe
Chiesa di S. Martino
Feriali: ore 8.30
Prefestivi: ore 17.30
Domeniche e festivi: ore 7.30 – 10.00 – 18.00
Chiesa di S. Brigida
Venerdì: ore 8.30
Sabato e prefestivi: ore 18.00
Domeniche e festivi: ore 10.00

Rebbio, 15 giugno
Non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli
Una domenica di grande festa per i quarant’anni di sacerdozio di don Giusto.
Forse non tutti eravamo pronti. Forse avevamo paura. Forse non eravamo così vicini al Vangelo.
Forse stavamo bene nei vecchi rioni, le case nuove non erano così vicine, con quelli di Camerlata ci si vedeva ai tornei di futbol… “Ero straniero e mi avete accolto, ero affamato e mi avete dato da mangiare, ero assetato e mi avete dato da bere…” 14 anni fa, è arrivato un uomo, il Giusto, limpido, onesto, dal cuore grande e dalle mani laboriose, una testa dura, come le pietre della sua valle, i piedi larghi, di quelli che camminano nelle scarpe grandi e consumate, i piedi che camminano per unire, per accogliere. Non scappano, ma vanno incontro all’altro, agli altri.
All’uomo Giusto si è chiesta una promessa e lui ha preso l’impegno. A Rebi c’era bisogno di accogliere, unire e integrare le famiglie che pian piano, quasi in silenzio per non disturbare, erano arrivate. Ma parlavano i colori delle stoffe, le risate, i profumi del curry, i dolci di miele, gli occhi pieni di lacrime, la biancheria stesa senza fili, le treccine scure o i capelli biondi che addosso avevano ancora la cenere della guerra. I fragili, gli smarriti, quelli con un altro Dio, quelli che quando fanno festa li senti nei cortili, quelli che non hanno niente, ma solo il cellulare e le foto da guardare.
OMNES GENTES. Lui, il Giusto si è preso di nuovo l’impegno, perché lui, a questi impegni si era già allenato: vicario ad

Albate, prete a Livigno, e poi missionario a Mokolò, in Camerun, testimone dell’amore gratuito di Dio. Prima Padre di tanti orfani e bambini di strada. Ora Padre di minori non accompagnati. Padre esigente, con un pensiero sociale e culturale sempre presente: educare i “figli” all’istruzione, all’educazione, al lavoro, al senso del servizio e della comunità.
“Oggi è la festa della SS. Trinità e Dio è ciò che unisce, è Padre e Figlio e Spirito Santo, è nel segno della Croce, è nell’impegno a stare in silenzio per contemplare, meravigliarsi, pregare.”
LAUDATE DOMINUM, OMNES GENTES, ALLELUJA
“Chi siamo? Chi sono io? (Salmo 8) Siamo a immagine di Dio. Dio ci ha fatti per amare, non per possedere: la pari dignità viene da Dio. Siamo tutti uguali davanti a Dio”.
Schivo, sull’altare, la mente affollata da tutti gli incontri di una vita.
Oggi è anche la festa degli Alpini di Breccia, uomini ricchi di Storia e di storie, uomini solidali, collaborativi accoglienti, uomini di Pace. Ricordano, sulle note d’organo di “Signore delle cime” chi è andato avanti, tra le braccia di Dio, mentre fuori sventola il tricolore.
All’offertorio i Segni del rinnovo della testimonianza d’amore di quest’uomo Giusto - la luce della candela, affinché Dio continui a illuminare la sua testimonianza di fede; - il cesto con gli oggetti fatti a mano nel carcere in Camerum, dagli ultimi degli ultimi;
- il Pane, segno della generosità dell’uomo e simbolo di carestia; - il Calice di legno, costruito dalle mani degli artigiani di Rebbio.
Padre Patience (missionario in Tunisia all’ Est, vicino al corridoio di terra usato dai migranti che vogliono venire in Europa), da ragazzino camerunense, si è lasciato ispirare da lui che gli ha trasmesso la passione per vivere concretamente il Vangelo.

Porta gli auguri della comunità musulmana e dei tanti sacerdoti che hanno accolto la provocazione a vivere la parola di Dio in modo diverso. La riconoscenza. Basile Akouma, della comunità dei migranti dal Congo, ringrazia per aver trovato in don Giusto sostegno, e voce, giustizia e misericordia; Stephan, della comunità Ghanese ne riconosce la guida autorevole, la presenza, il conforto e la gioia. La gratitudine. Per la comunità del Salvador e per tutti noi, don Giusto è il dono, il dono di Dio che in lui si è fatto uomo e noi, grazie a lui siamo cresciuti nel nome del Signore. La fede. Stiamo vivendo tempi difficili. Gli altri sono pietre d’inciampo sulle nostre strade ma le nostre comunità di Rebbio e Camerlata sono simboli di accoglienza, respiriamo l’aria del Mondo. Noella Castiglioni, che nel 1995, in Congo, è stata ferita gravemente e ha perso il marito e due figli in un agguato a un gruppo di volontari, ricorda questo doloroso momento, parlando della beatificazione a Roma, il 14 giugno, di Floribert Bwana Chui Kositi, funzionario della dogana alla frontiera con il Ruanda, ucciso a 26 anni per non essersi lasciato corrompere. Noella è paraplegica ma il suo sorriso, la sua energia toccano tutti i presenti alla S. Messa. La speranza. Un dono simbolo, una barca a vela, dalla commissione dei volontari del Teatro Nuovo “A vele spiegate vai incontro anche alle tempeste “. Il coraggio. OMNES GENTES, 15 giugno 2025: volti, acconciature, religiosità, anziani rebbiesi, bambini dagli occhi grandi, coppie di giovani sposi, la sciura Rosa che si siede davanti, Noella che non sta più nella pelle, che corre di qua e di là, con lo sguardo affettuoso che ti protegge. Akouma che stringe le mani a tutti. Gli accordi dell’organo, la corale, quell’uomo Giusto che sale all’altare. Il Sandro che lo accoglie come un padre buono, e tira subito fuori una richiesta, una promessa, un impegno. E

quell’uomo Giusto ha fatto di tutto per non deluderlo. Resta quello che sei, don Giusto Della Valle, uomo giusto, schivo, con un cuore grande così.
Il dono della comunità di Rebbio e Camerlata è una bicicletta con il lucchetto e il casco perché al “Giusto” ci teniamo tutti! La fiducia.
Mira Bianchi
Alebbio 1954-2024/3
Una storia lunga 70 anni
Dopo anni positivi, fermo il settore pallavolo, calcio e basket continuano ad essere punto di riferimento per bambini e ragazzi.
L’inizio degli anni ‘70 vede a Rebbio la nascita del movimento pallavolistico: sotto la spinta di Giovanni Cavalleri, inizia a formarsi il nucleo del volley, che diventa da subito grande motivo di aggregazione per le atlete rebbiesi; nel corso degli anni numerose squadre ottengono risultati di prestigio, sia in ambito provinciale che regionale. Nel 1991 prende vita l’attività maschile, anche essa in grado di produrre ottimi risultati, fino alla disputa, per alcune stagioni, a fine anni ’90, del campionato
di serie C2. Attualmente, vista anche la cronica carenza di strutture per potersi allenare, il settore è fermo, ma forte è la volontà di ridare vigore a schiacciate e servizi vincenti.
Uno sport in piena salute è invece quello della pallacanestro: oltre 250 atleti suddivisi in 12 squadre vestono attualmente la maglia dell’Alebbio. Basket che a Rebbio mosse i primi passi a metà degli anni ’70, da un’intuizione di Giuseppe Santangelo e Wolfango Roncoroni, per poi pren-



dere definitivamente lo slancio a fine anni ’70, quando l’Alebbio entra a far parte ufficialmente della Federazione Italiana Pallacanestro. Anche qui numerose le squadre in grado di raggiungere ottimi risultati, come la prima squadra maschile che disputò alcuni campionati di serie D, sotto la guida di Bruno Pozzi e con i figli Maurizio e Roberto sul parquet. Oggi l’Alebbio Basket può essere senza dubbio considerato un punto di riferimento per l’intero movimento provinciale.
Dagli albori della Società fino ai giorni nostri il campo dell’Oratorio (appena rinnovato con il contributo di Como 1907 e Fondazione Comasca) e il campo di via Spartaco hanno visto allenarsi e divertirsi centinaia di bambini del settore Calcio: attualmente sono 4 le squadre impegnate nei vari campionati, con circa 60 ragazzi, da 8 a 14 anni di età. Tanti i campionati ed i tornei estivi organizzati, nei quali si
fece da subito notare un ragazzo di via Giussani, Gianluca Zambrotta, in grado di salire fin sul tetto del Mondo con la Nazionale nel 2006.
Se leggendo queste righe ti è venuta voglia di dare una mano, come tecnico o semplice collaboratore, fatti avanti! L’Alebbio è sempre alla ricerca del prezioso supporto della Comunità!
Andrea Camporini
I Presidenti 1974-2025
• 1974-1978 Antonio Malinverno
• 1979 Romano Poncetta
• 1980 Giancarlo Rampoldi
• 1981 Eligio Montorfano
• 1982-1988 Giuseppe Ottaviano
• 1988-1995 Flavio Ceruti
• 1995-2001 Giovanni Cavalleri
• 2001-2011 Fabrizio Borghi
• 2011-2016 Cristiano Scandella
• 2016-2021 Graziella Lanni
• dal 2021 Ernesto Longaretti

maggio
Habemus papam! Dio accompagna la Sua Chiesa, sempre
Nei primi interventi di Leone XIV, un forte richiamo alla pace, ‘dono che impegna ciascuno di noi’.
L’elezione al soglio pontificio di Robert Francis Prevost, avvenuta lo scorso 8 maggio, è stata una grande sorpresa. In barba a tanti pronostici, di cui si sono riempiti giornali, siti web e trasmissioni televisive, il nuovo Papa è una figura ignota alla stragrande maggioranza dei cattolici europei. Segno che davvero, come scrive san Giovanni, “lo Spirito soffia dove vuole” (Gv 3,8), e che la Chiesa è veramente cattolica, cioè aperta al mondo intero, e presente in esso, ben oltre l’immagine particolare (locale, nazionale, continentale) che se ne può avere. Nei giorni trascorsi tra la morte di papa Francesco, lunedì di Pasqua 21 aprile, e l’elezione di Leone XIV, in mezzo all’agitazione mediatica e alla genuina trepidazione dei fedeli, mi sono chiesto che cosa stessi aspettando: che cosa significa per un cristiano attendere di conoscere il volto del nuovo pontefice? Mi hanno aiutato le parole di un cardinale (Gerhard Müller), il quale ha ricordato che, come Chiesa, “siamo corpo mistico di Cristo e non un’organizzazione umanitaria e sociale”, né politica, e che il Papa è il “successore di Pietro”, non il “simbolo della religione secolarizzata”. Quei giorni sono stati, allora, tempo di preghiera
a Maria domandando la conversione del mio cuore, nell’attesa di chi, oggi, è segno della presenza amorevole di Dio, che guida il Suo popolo nella storia. E con quale gratitudine e gioia ho allora accolto l’atteso habemus papam! “La pace sia con tutti voi! Fratelli e sorelle carissimi, questo è il primo saluto del Cristo Risorto, il Buon Pastore, che ha dato la vita per il gregge di Dio. […] Questa è la pace del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante. Proviene da Dio, Dio che ci ama tutti incondizionatamente”. Le prime parole del saluto dalla Loggia di san Pietro hanno subito messo a tema la pace, come possibilità ancorata nella Risurrezione del Signore. Leone XIV ricorda sempre che la pace è sia quella a livello politico, sociale e delle relazioni internazionali (chi non vede nei termini “disarmata e disarmante” un drastico riferimento ai conflitti a Gaza, in Ucraina e ai molti altri in atto?), sia quella personale, del cuore (“umile e perseverante”).
La natura della pace è stata ben espressa nell’Udienza al corpo diplomatico del 16 maggio: “La prima parola è pace. Troppe volte la consideriamo una parola “negativa”, ossia come 8
mera assenza di guerra e di conflitto, poiché la contrapposizione è parte della natura umana e ci accompagna sempre, spingendoci troppo spesso a vivere in un costante “stato di conflitto”: in casa, al lavoro, nella società. La pace allora sembra una semplice tregua, un momento di riposo tra una contesa e l’altra, poiché, per quanto ci si sforzi, le tensioni sono sempre presenti, un po’ come la brace che cova sotto la cenere, pronta a riaccendersi in ogni momento. Nella prospettiva cristiana […] la pace è anzitutto un dono: il primo dono di Cristo: «Vi do la mia pace» (Gv 14,27). Essa è però un dono attivo, coinvolgente, che interessa e impegna ciascuno di noi, indipendentemente dalla provenienza culturale e dall’appartenenza religiosa, e che esige anzitutto un lavoro su sé stessi. La pace si costruisce nel cuore e a partire dal cuore, sradicando l’orgoglio e le rivendicazioni, e misurando il linguaggio, poiché si può ferire e uccidere anche con le parole, non solo con le armi”. Mi colpisce la descrizione della pace

come dono “che impegna ciascuno di noi”, e che “esige anzitutto un lavoro su sé stessi”. Se è così, infatti, a me non è chiesto semplicemente di avere presente le tragedie internazionali – il che significa già uscire dall’indifferenza e da un certo torpore dello spirito – e di pregare per tutte le persone coinvolte in esse, ma anche di prendere sul serio il mio piccolo quotidiano, domandando a Dio di farmi capire come, dove, insieme a chi posso anch’io edificare quel briciolo di amore e di testimonianza cristiana che mi è possibile. L’accento sull’urgenza di un lavoro attivo e personale è risuonato anche nell’omelia di Pentecoste, domenica 8 giugno, che ho avuto la gioia di ascoltare in piazza san Pietro e pochi metri dal Santo Padre: “Lo Spirito apre le frontiere anzitutto dentro di noi. È il Dono che dischiude la nostra vita all’amore. E questa presenza del Signore scioglie le nostre durezze, le nostre chiusure, gli egoismi, le paure che ci bloccano, i narcisismi che ci fanno ruotare solo intorno a noi stessi. Lo Spirito Santo


viene a sfidare, in noi, il rischio di una vita che si atrofizza, risucchiata dall’individualismo. È triste osservare come in un mondo dove si moltiplicano le occasioni di socializzare, rischiamo di essere paradossalmente più soli, sempre connessi eppure incapaci di “fare rete”, sempre immersi nella folla restando però viaggiatori spaesati e solitari. E invece lo Spirito di Dio ci fa scoprire un nuovo modo di vedere e vivere la vita: ci apre all’incontro con noi stessi oltre le maschere che indossiamo; ci conduce all’incontro con il Signore educandoci
a fare esperienza della sua gioia […]. Apre le frontiere dentro di noi, perché la nostra vita diventi uno spazio ospitale”.
Ringrazio Dio per l’elezione di papa Leone XIV, e chiedo umilmente di prendere sul serio la mia appartenenza alla Chiesa, che ha nel successore di Pietro “il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli” (Lumen gentium, 23).
Rebbio, 8 giugno
Per tutti i giorni della mia vita
Con gioia e gratitudine
tante coppie hanno festeggiato l’anniversario di matrimonio.
Eravamo là, tante coppie.
I più giovani festeggiavano vent’anni di matrimonio; diverse coppie trent’anni, quaranta, cinquanta sessanta. Emozionati, grati, contenti.
Emozionati, perché ti sembra che per un momento sia ancora quel giorno là. Quando non sapevi che cosa avresti avuto davanti; quando pensavi che il desiderio di stare insieme sarebbe stato sufficiente, sicuramente necessario.
Grati, grati vicendevolmente, ma anche consapevoli delle fatiche che un rapporto di così lungo tempo richiede. Perché la vita è stata così perché c’era lui, perché c’era lei. Ma c’era anche il suo carattere, le sue rigidità, le cose che
gli piacciono e quelle che a tutti i costi si devono evitare.
Grati per gli inizi acerbi e vuoti, difficili perché tutto era nuovo, la casa, i mobili, soprattutto la coppia.
Ma di quei primi tempi così difficili e così belli, ricordi la fatica e la passione di costruire un’armonia e la determinazione di entrambi nel farlo, nel provarci, riprovarci e riprovarci ancora.
Grati per gli anni dei bambini piccoli, dei figli adolescenti, della casa piena di vita e di gioia, qualcosa sempre da fare, qualcuno che ha sempre bisogno di te.
Grati perché, usciti i figli di casa, dopo tanti anni, si ha ancora voglia di stare insieme; si cena in due; il tavolo è vuoto,
Giuseppe Botturi
vero, ma c’è subito il tempo per noi.
Grati alle persone che abbiamo avuto intorno, che in tanti modi diversi ci hanno aiutato a essere insieme, a non vedere alternativa se non quella di stare insieme
Grati alla fede, che ha dato un senso a tutto, al dare la vita; perché a volte la fatica della vita in famiglia è così grande che davvero senti di dare la vita, tutto il giorno, la notte, il sabato, la domenica.
Contenti della vita che è stata, perché se ti guardi indietro è stato molto più faticoso e molto più bello e più pieno di come quel giorno di tanti anni fa avevi pensato.
Contenti che la vita ci abbia dato tanti anni per stare insieme, perché non per tutti è stato così.

.... ma non si può considerare di aver assolto il proprio compito, di avere finito, non si può pensare di godersi il frutto delle proprie fatiche; non sarebbe più così bello.
Cambia la prospettiva, dopo tanti anni. Forse meno acerbi, mai abbastanza maturi; farsi da parte ed essere disponibili, anche per mostrare e farsi interpreti per gli altri di quella tenerezza che si è ricevuta con abbondanza e senza merito, perché c’è più tempo, meno fretta.
“Per tutti i giorni della mia vita”: fa stupore guardare indietro ed è un punto di domanda guardare avanti... poi, la Grazia di sapere di non essere soli: la vita si vive giorno per giorno.
Cecilia


Rebbio
in festa 2025
Un evento di grande successo
La riuscita grazie alla collaborazione di molte associazioni del quartiere e alla partecipazione attiva dei volontari.
Rebbio in festa 2025! È stato un successo! Punti salienti dell’evento
- 11ª edizione: la festa si è svolta per l’undicesima volta, consolidando la sua posizione in via Ennodio e piazzale Louis Braille, confermandosi come evento importante per il quartiere.
- Partecipazione: la risposta del pubblico è stata superiore alle aspettative, con molti visitatori che hanno goduto della musica, del cibo e delle attività per bambini e ragazzi.
- Volontari: oltre 100 volontari hanno contribuito al successo dell’evento, dimostrando la forza e la dedizione della comunità locale.
Talk e riflessione
- ”Metamorfosi di un quartiere”: il titolo del talk ha stimolato la riflessione e la discussione sulla partecipazione e la resilienza
dei residenti e dei lavoratori del quartiere.
- Lancio di idee: l’incontro ha lanciato molte idee che ora devono essere sviluppate e trasformate in progetti concreti da proporre agli organi istituzionali.
Invito alla partecipazione
- Continuità: l’invito è quello di continuare a partecipare all’animazione e alla crescita del quartiere, sfruttando le sue potenzialità enormi.
- Grazie: un grande ringraziamento agli organizzatori, ai volontari e ai partecipanti per il loro contributo al successo dell’evento. Sembra che Rebbio in festa sia un evento che ha un impatto positivo sulla comunità locale e che possa continuare a crescere e svilupparsi negli anni futuri.
Marco Ponte con il Tavolo delle Associazioni


Le periferie del cambiamento Verso una metamorfosi del quartiere
Le iniziative degli ultimi anni
spostano il baricentro
dalla dimensione privata a quella comunitaria.
La frazione di Rebbio non è soltanto uno dei quartieri più popolosi della città di Como ma da qualche anno a questa parte è diventato una fucina di idee, di orientamento verso il cambiamento ed il bene comune. Le sue origini più remote certo erano rurali – è stato anche comune autonomo fino al 1937 – tuttavia è soprattutto a partire dagli anni del secondo dopoguerra che è risultato al centro di un notevole flusso migratorio il quale ha rimpolpato la popolazione residente, portando “Alebbio” (l’antico nome del borgo) all’attualità alle dimensioni pari a quelle di un piccolo comune. È rimasto però per molti anni nell’immaginario collettivo, sostanzialmente come l’emblema di un “quartiere dormitorio” poiché scarsamente dotato di servizi ed invece funzionalmente legato al “centro nobile” della città. Soggetto ad una pressione edilizia residenziale intensiva prima, alla de-industrializzazione ed alla conseguente terziarizzazione poi, perdendo nel tempo sia le peculiarità identitarie tipiche appunto di un piccolo comune (il municipio, la piazza pubblica, la chiesa) che quelle legate alla sua economia stratificata nel tempo (rurale ed industriale). Il quartiere di Rebbio però è diventato anche un riconosciuto laboratorio di idee, soprattutto per merito della Parrocchia guidata da don Giusto della Valle, che è stata in grado di generare ri-
levanti azioni sociali sul territorio. La tre giorni della “Rebbio in festa” del giugno scorso, cioè la kermesse popolare di piazzale Braille, alla sua undicesima edizione, che con le multiformi iniziative di intrattenimento, musica, cibo, talk, danza, ecc., ha coinvolto un migliaio di persone, è riuscita a trasformare un anonimo posteggio in un ritrovato luogo della convivialità. Non si è trattato però soltanto di divertimento, non a caso la festa è iniziata con un dibattito sulla “rigenerazione urbana” dove Stefania Cacia ha dialogato con Cristina de Michele, docente di progettazione dei servizi educativi all’università di Milano Bicocca, la quale ha illustrato le esperienze di “progettualità dal basso” maturate recentemente nel Municipio 4 del capoluogo meneghino. Anche l’anno scorso è stato affrontato il tema delle periferie con Gianni Biondillo, scrittore ed architetto, che ha invitato in quella occasione a riflettere su come si possono abitare le frazioni e la città, incoraggiando l’esplorazione a piedi del territorio; quest’anno invece Cristina de Michele partendo dall’esperienza maturata nel quartiere Molise-Calvairate ha posto l’accento sul fatto di poter “mettere in rete” alcuni attori sociali locali, concentrandosi su piccoli bisogni pratici da realizzare, come un percorso pedonale protetto che connetta la scuola primaria con il parco pubblico, anche coinvolgendo pro-atti-

vamente in tale dinamica gli utenti diretti dell’intervento, cioè gli scolari. Si tratta essenzialmente di poter immaginare una modalità di progettazione partecipata con gli abitanti, che sia in grado di produrre successivamente una “metamorfosi del quartiere”, cioè una trasformazione le cui coordinate di riferimento sono quelle dei bisogni condivisi, che nel caso specifico di Rebbio potrebbero essere ad esempio il fatto di poter ricreare una nuova “centralità urbana”, ossia una piazza con funzioni sociali e di scambio nel piazzale Braille. Illuminare magari la via Ennodio e renderla parte della “ciclopedonale dei Parchi”, un’ipotetica infrastruttura per la mobilità dolce che in questo tratto collegherebbe la parte “alta” con quella “bassa” del quartiere, lambendo due parchi, quello denominato Negretti, e quello da costituire nelle zone attigue al camposanto che potrebbe essere chiamato “Parco dei Gelsi”. Ciò che si è sviluppato negli anni attraverso le multiformi attività parrocchiali, a partire dalle conclamate forme di accoglienza dei
Don Alberto scrive
migranti anche con edifici adibiti a questa specifica funzione, alla gestione di alcuni beni confiscati alle mafie presenti nel quartiere, all’esperienza di AgriSenna cioè di una sperimentazione di agricoltura sociale e molto altro ancora, è un cambiamento di paradigma che sposta il baricentro dalla dimensione privata spesso individualistica a quella comunitaria, dove i risultati attesi non sono quelli del ritorno economico bensì di quello sociale: in un certo senso potremmo dire dell’aumento percepibile della “felicità collettiva”. In questa direzione è certamente indispensabile un rapporto sinergico con l’amministrazione locale, che sia in grado di supportare le necessità espresse dal territorio manifestando volontà politica, dove gli elementi operativi giuridici che si potrebbero utilizzare, che si chiamino “Regolamento per la partecipazione” oppure “Patti di collaborazione”, sono strumentali per il raggiungimento di obiettivi già a priori condivisi.
Andrea Rinaldo
Presupposti di pace
La situazione a Gaza è motivo di riflessione: la relazione con Gesù, nel pane e nella Parola, apre sentieri di riconciliazione.
Una delle domeniche di luglio, dopo Messa, una parrocchiana mi si è avvicinata, un po’ indignata perché nell’omelia, avendo parlato degli ebrei che nella prima lettura videro Gerusalemme consolata perché riedificata da coloro che l’avevano distrutta, sembrava che in qualche modo io giusti-
ficassi quanto oggi stanno facendo nella striscia di Gaza. Non era minimamente presente in me quel pensiero, ma dopo la fatica iniziale ad accogliere questo rimprovero, dentro di me ho dovuto ringraziare quella parrocchiana, perché ha messo in evidenza come avessi
quanto meno parlato senza dare la precedenza a ciò che in questi pesanti mesi (ormai anni) sta attirando l’attenzione e insieme l’inattività di tutto il mondo: la devastazione e la fame a Gaza.
A fine luglio c’è stato l’invito di Pax Christi a farsi sentire contro questa guerra suonando le campane, cosa che a Como è avvenuta almeno a Sant’Abbondio e a Rebbio. Sempre in luglio ho ascoltato il racconto di chi, dispiaciuto, riconosce che per vergogna non sa dire apertamente nei luoghi che frequenta di essere credente e che quanto sta avvenendo a Gaza è profondamente ingiusto. Ma perché, in effetti, non osiamo fare sentire più chiaramente la nostra voce affinché i nostri stessi governanti siano maggiormente sostenuti e forse quasi forzati a prendere più esplicitamente posizione contro questa guerra?
Forse perché così facendo ci sembra di schierarci da una parte politica, mentre la richiesta di porre fine a questo eccidio non ha bisogno di approfittatori politici.
Forse perché umanamente abbiamo paura ad esporci davanti ad altre persone che potrebbero reagire con forza ricordando ciò che a sua volta Israele ha subito il 7 ottobre 2023 (i brutali attentati di Hamas!).
O forse perché ci vergogniamo di Gesù e del suo vangelo, perché in qualche modo sembra sempre debole davanti agli atteg-

giamenti del mondo.
Forse perché in fondo crediamo che il male sia più forte del bene.
In ciascuno di questi casi o in altri ancora a me pare di riconoscere che ci sia una radice unitaria, che affonda in ragioni più personali: se non ci esponiamo liberamente per la pace forse è perché anzitutto la pace non abita profondamente in noi.
Pace che sola può portare a una autentica unificazione di noi stessi, a partire dal guardare alle nostre stesse miserie come realmente amate dal Signore, per poter così imparare ad avere uno sguardo sereno anche verso amici e nemici.
Pace che nasce dal riconoscere che la nostra vita in un soffio ci può essere tolta, ma è predestinata all’assemblea d’amore eterna nel Regno dei cieli, in cui ogni conflitto viene riconciliato. Pace con noi stessi, con Dio, con gli altri, con la paura della morte.
Se il mondo non ha pace è perché anzitutto nel cuore degli uomini, nel cuore di ciascuno, anche nel mio, non c’è pace. Chiediamo insieme, gli uni per gli altri, di poter accogliere Gesù, nella sua parola ed anche lui stesso nel suo pane: non semplicemente le sue idee, ma la relazione con lui vivo cosicché, nutrendoci alla sorgente di questa amicizia, crescano in noi autentici presupposti di pace.
News
- Don Angelo Introzzi, compagno di studi del vescovo Oscar e vicario a Rebbio dal 1975 al 1978, ha festeggiato il cinquantesimo di ordinazione sacerdotale. Nel 1992 don Angelo ha iniziato il servizio come fidei donum nella diocesi di Santiago del Estero in Argentina e dal 2000 è incardinato nella diocesi di Clodomira. A lui, anche se lontano, il ricordo e la preghiera della comunità parrocchiale.
- Il giorno 1 settembre, si è insediato il nuovo Dirigente Scolastico del Liceo Paolo Giovio, il prof. Gian Maria Rovelli. A lui un caro augurio di un proficuo lavoro a favore della comunità scolastica di V. Paoli!
- Maria Sofia Petruzzi Casati, dopo decenni trascorsi nelle aule del Liceo Giovio, come insegnante di Lettere, referente per gli alunni stranieri e promotrice di innumerevoli iniziative, ha raggiunto il traguardo della pensione. Tuttavia, auguri di …. buon lavoro, in tutte le attività a favore della parrocchia e del quartiere!

La Carta dei Valori Condivisi
Firmata da rappresentanti di diverse fedi, la dichiarazione è testimonianza di incontro, di fiducia reciproca e di dialogo.
Lunedì 26 maggio u.s. presso il cinema Astra, nell’ambito di un ciclo di film a sfondo religioso, il Tavolo Interfedi di Como ha presentato la “Carta dei
Valori Condivisi”, una dichiarazione sottoscritta pubblicamente in quella occasione da diversi rappresentanti e/o appartenenti a diverse fedi, espressioni religiose e culturali presenti nella città. Questa Carta è il frutto di un lavorodurato due anni - di incontri e riflessioni a partire da una semplice domanda: quali sono le motivazioni di fede che mi portano al dialogo interreligioso?
In una situazione in cui a livello globale sembra prevalere un clima di contrapposizione, di odio, di sopraffazione, i firmatari del doocumento vogliono dare testimonianza che è possibile creare condizioni di incontro, di reciproca conoscenza, di fiducia a partire dalle proprie convinzioni di fede, fede che assume le caratteristiche di appartenenza a una religione, espressione di valori umani o di fiducia nella vita. La diversità non è principio di divisione ma di reciproco arricchimento se tutti concorrono alla costruzione, all’affermazione del bene comune.
Di seguito i contenuti della “Carta dei Valori Condivisi”:
- Il riconoscimento di pari dignità di ogni essere umano, qualsiasi sia la sua provenienza, appartenenza culturale, sociale e religiosa e, quindi, il rispetto della vita di ogni singolo individuo,
sono i principi che stanno alla base di ogni relazione;
- La felicità è l’aspirazione cui tende ogni persona; la sua ricerca e realizzazione è un diritto fondamentale, personale e inalienabile di ciascuno e di tutti gli esseri umani;
- La realizzazione di ogni individuo secondo le proprie capacità va favorita mediante l’impiego di risorse volte a sviluppare le sue doti, a beneficio di sé stesso e degli altri;
- Ogni diversità, individuale, sociale e religiosa, va riconosciuta e tutelata in quanto rappresenta la possibilità del reciproco arricchimento, premessa indispensabile per la crescita umana, spirituale e sociale di ogni persona e dell’intera collettività;
- Il dialogo tra persone diverse tra loro per appartenenza sociale, culturale e religiosa, se vissuto come ascolto attivo senza pregiudizio, come manifestazione sincera, empatica e concreta, porta alla conoscenza, alla condivisione, all’accoglienza, alla tolleranza e alla fratellanza. Nutre inoltre la speranza, il rispetto e la fiducia reciproca, favorendo l’abbattimento di barriere ed ostacoli, incrementando il benessere interiore e la predisposizione ad un clima sereno, come base universale per la pace, non idealizzata ma realistica, fondata su corretti ed equilibrati rapporti.
Alfredo Pozzi


In ricordo di Giorgio Cattaneo
Sempre avanti!
Montagna, motori, sport e campi estivi, affrontando la vita senza perdersi d’animo.
Chi ha conosciuto il Giorgio lo sa: era un personaggio unico! Ed è stato anche un papà unico! Non era il tipo di papà che ti coccola, quello tenero…. era una persona concreta, che prediligeva il lato pratico delle cose. Il suo motto era “Sempre avanti!”. Amava la vita, amava leggere, amava l’opera e il teatro, amava ballare, voleva bene a noi e alla mamma, ma le sue più grandi passioni erano due: i motori che l’hanno portato a diventare meccanico, lavoro che ha amato tantissimo, e la montagna. È stato fin da piccolo socio del CAI di Cantù, praticava sci d’alpinismo, discesa e fondo, arrampicava e camminava. Negli anni ‘80 è stato tra i fondatori del Giovane Scarpone, un gruppo di rebbiesi che, accomunato dall’amore per la montagna, organizzava passeggiate coinvolgendo adulti e ragazzi dell’oratorio. Amava anche lo sport ed è stato a lungo uno dei papà che seguiva e supportava la squadra femminile dell’Alebbio Basket. Per anni ha accompagnato i ragazzi ai campi estivi e trascinato molti di loro, che oggi sono uomini, su e giù per sentieri più o meno impervi…. in escursioni, diciamo, per varie ragioni, indimenticabili ! Un messaggio tra i tanti ricevuti ricorda e descrive com’era il papà: ‘Ciao Lella, sono Luca. Mio papà mi ha subito avvisato che Giorgio è volato in cielo... mi spiace tanto, gli abbiamo voluto e
gli vogliamo tanto bene e sappiamo che adesso su, nel cielo, sono affari loro perché, zaino in spalla e scarponi ai piedi, li farà camminare tutti come ha fatto con noi durante i campi’. Un altro ricordo di un ragazzo all’inizio degli anni 2000, Francesco, oggi anche lui uomo: ‘ Ciao Gabri, saluta il Giorgio da parte mia. In una passeggiata di circa 21 anni fa, abbiamo trascorso circa 5 ore a guidare il gruppo insieme senza mai smettere di parlare. Mi ha raccontato un sacco di cose e ha risposto a tutte le mie domande senza mai tirarsi indietro e senza mai snobbarle. Anche grazie a lui ho preso la mia strada. Lo ringrazierò sempre’.
Ecco papà, forse non eri un papà che coccolava, non eri sempre presente, perché la montagna e il tuo lavoro a volte ti portavano via da noi, eri una persona senza filtri, a volte anche fin troppo diretta. Ma ci hai insegnato con i fatti, che la vita va affrontata sempre e comunque, senza perdersi d’animo, anche quando ti mette a dura prova, e queste parole : “ Sempre avanti!” che tu hai mormorato con un filo di voce , anche quando ormai la vita ti stava abbandonando, cercheremo di farle nostre e, siamo sicure, aiuteranno la mamma a proseguire il suo pezzo di cammino anche senza averti accanto. Ciao, papà, ora puoi volare sulle tue adorate montagne!
Lella e Rosy

Liceo Giovio
Cambio di guardia in Via Paoli
Il pensionamento del Preside D’Antonio e l’arrivo del nuovo dirigente: una rivoluzione generazionale.
“Il Preside Nicola va in pensione, un passo lieve e un po’ di commozione…” recita la canzone che Chiara Sgherbini, docente di Educazione Musicale al liceo Giovio, ha composto in occasione dei festeggiamenti di fine anno per il pensionamento del Preside Nicola D’Antonio e di altri docenti storici del Giovio. E in effetti l’anno si è concluso con la notizia dell’imminenza di un vero e proprio cambio di guardia al liceo Giovio: il prof. Nicola D’Antonio,
preside del liceo “Paolo Giovio” dall’anno scolastico 2019/2020, lascia il suo incarico per pensionamento e con lui lasciano per le stesse ragioni il liceo ben sei docenti, Marzia Molinelli, Maria Rita Bollini, Giovanna Glauber, Anna Livio, Maria Grazia Origoni e anche la sottoscritta. Al gruppo si aggiungono, inoltre, due collaboratori scolastici, Giacomo Masi e Lorenza Lavorgna, anche loro impiegati da tempo al liceo. Il preside ha parlato, non per nulla, di

una vera e propria svolta generazionale, un pezzo di storia del liceo che se ne va, una generazione di docenti appassionati ed esperti che lascia la scuola: una conclusione di carriera che i pensionandi hanno affrontato con un po’ di malinconia, ma anche con la consapevolezza di aver vissuto appieno l’esperienza didattica ed educativa, di essere giunti, pertanto, al momento di passare, con fiducia e serenità, il testimone.
I sei anni di presidenza del prof. D’Antonio sono stati intensi e significativi: dopo pochi mesi dalla nuova nomina, il Preside ha dovuto affrontare l’esperienza drammatica e imprevista della pandemia, organizzare l’impianto di una didattica a distanza con docenti e studenti conosciuti da pochi mesi, misurandosi con sfide inedite e difficoltà inattese. Eppure, insieme, Dirigente, docenti e studenti ce l’abbiamo fatta, anzi abbiamo saputo raccogliere anche l’eredità che la pandemia ci ha lasciato: nuove competenze tecnologiche, la capacità di destreggiarci con gli strumenti della comunicazione online e della didattica digitale, ma anche una consapevolezza rinnovata dell’importanza delle relazioni umane tra colleghi e con gli studenti.
Persona di grande equilibrio e riservatezza, D’Antonio ha proprio puntato in questi sei anni sulle relazioni umane, su una gestione autorevole ed equilibrata, sulla capacità di condividere le decisioni importanti ma di assumerle con fermezza se necessario: ne è risultato un clima di lavoro equilibrato e sereno che ha permesso alle tante anime del liceo di convivere e di collaborare in un’atmosfera distesa.
Durante gli anni della presidenza D’Antonio, così come era avvenuto durante la precedente gestione del preside Cag-

giano, si è, inoltre, stabilita una proficua collaborazione con la nostra parrocchia, sentita come punto di riferimento ricco di stimoli del quartiere di Rebbio in cui il Giovio sorge. Don Giusto è intervenuto spesso per parlare di temi come l’immigrazione, l’accoglienza e la legalità affrontati nei percorsi di educazione civica, alcune classi del Giovio o alcuni singoli studenti si sono recati nel nostro oratorio per svolgervi attività di incontro, di servizio e di animazione. Alcuni docenti partecipano in modo stabile o occasionale alle attività socioeducative o culturali della parrocchia. Insomma, una vera sinergia positiva tra una delle scuole superiori più popolose, dinamiche e prestigiose della città e la nostra parrocchia “degli ultimi”, sempre attenta alle istituzioni scolastiche ed educative del territorio.
L’auspicio è quello di aver posto basi stabili per un futuro prossimo, che pure sarà inevitabilmente all’insegna del rinnovamento: il nuovo Preside, Gian Maria Rovelli, è della classe 1986, il corpo docente si è ampiamente rinnovato e anche ringiovanito negli ultimi anni, il fenomeno della crisi demografica comincia a far sentire le prime avvisaglie, l’indirizzo del liceo scientifico tradizionale resiste a fatica sotto la spinta del prevalere dell’indirizzo tecnologico. Rimane, tuttavia, la realtà di una scuola vivace, fervida di risorse umane e intellettuali con cui una realtà altrettanto viva, complessa e umanamente ricca come la nostra parrocchia è fiduciosa di continuare a collaborare. Pertanto, salutiamo con tanto affetto il preside Nicola, augurandogli una pensione serena, operosa e ricca di nuove esperienze stimolanti, e diamo un caloroso benvenuto al nuovo preside Gian Maria.
Maria Sofia Petruzzi

Una preghiera per l’Ucraina Ricordando Papa Francesco
Il Santo Padre, fin dal 2016, ha espresso in svariati modi la sua vicinanza al popolo ucraino.
Nel 2016, dopo l’inizio dell’aggressione russa nel Donbass, Papa Francesco ha avviato una campagna umanitaria su larga scala per gli ucraini colpiti.
Il Santo Padre conosceva molto bene la nostra Chiesa, la nostra liturgia, i nostri riti e la nostra spiritualità, perché durante i suoi anni da studente è stato allievo del sacerdote ucraino Stepan Chmil, ora sepolto nella Basilica di Santa Sofia a Roma.
Il 28 gennaio 2018, durante un incontro con i fedeli ucraini a Santa Sofia a Roma, dichiarò di pregare in ucraino ogni sera.
Papa Francesco disse: «Prima di andare a letto o di svegliarmi la mattina, incontro gli ucraini. Prego l’icona della Santissima Theotokos, che mi ha donato Sua Beatitudine Sviatoslav. E concludo ogni preghiera in ucraino».
Dal 5 al 6 luglio 2019, Papa Francesco ha incontrato in Vaticano i metropoliti della Chiesa greco-cattolica ucraina.
Ha sottolineato che l’Ucraina sta attraversando una situazione “difficile e delicata”.
Ha definito la guerra in Ucraina un conflitto in cui i più deboli e i più piccoli pagano il prezzo più alto.
L’11 luglio Francesco ha creato un Esarcato Apostolico per i fedeli della Chiesa greco-cattolica ucraina residenti in Italia.
Il Papa piange per il popolo ucraino in Piazza di Spagna. È l’8 dicembre 2022. Durante la preghiera, il Pontefice in piedi di fronte alla statua della Madonna: “Vergine Immacolata, oggi avrei voluto portarti il ringraziamento del popolo ucraino per la pace che da tempo chiediamo al Signore. Invece, ancora una volta devo portarti la supplica dei bambini, degli anziani, dei padri e delle madri, dei giovani di quella terra martoriata, che soffre tanto. Ma in realtà, sappiamo tutti che tu sei con loro e con tutti i sofferenti, così come lo eri presso la croce del tuo Figlio. Grazie, Madre nostra. Guardando a te, che sei senza peccato, possiamo continuare a credere e a sperare che sull’odio vinca l’amore, sulla menzogna vinca la verità, sull’offesa vinca il perdono, sulla guerra vinca la pace. Così sia”.
“Cristo Risorto effonda il dono pasquale della pace sulla martoriata Ucraina e incoraggi tutti gli attori coinvolti a proseguire gli sforzi volti a raggiungere una pace giusta e duratura.” - dal messaggio Pasquale del Santo Padre del 20.04.2025.
Una donna ucraina

La testimonianza di Alla
Preghiera per il popolo ucraino
Una toccante testimonianza sulla situazione nel paese dell’Europa Orientale.
Cristo è risorto!
E’ risorto veramente!
La morte non è solo uno stato fisiologico, quando il corpo umano cessa di funzionare, reagire, esistere... È una trasformazione spirituale. Volendo utilizzare una sola parola è Rinascita.
Gesù venuto nel nostro mondo per predicare la parola di Dio, per insegnarci a seguire i comandamenti di Dio.
Lui, sapendo in anticipo cosa lo attendeva nel futuro, ha portato a termine la sua missione tra la gente.
Gesù ha subito sofferenze indicibili, ha sacrificato la sua stessa vita per la salvezza dell’umanità. È stato crocifisso e risorto il terzo giorno.
Ha caricato su di sé i nostri peccati per purificare le anime degli altri.
Nel nostro Paese è arrivata una grande tragedia...
Il nemico ha portato nella nostra terra l’odio, la violenza, le torture, i fiumi di sangue, il fuoco degli incendi porta via gli edifici, territori interi, le persone. Vediamo come soffrono le persone innocenti, che muoiono per mano di persone come loro, del nostro popolo considerato fratello...
Tutti noi siamo mortali, tutti noi camminiamo sotto Dio...
Ma non abbiamo il diritto di giudicare, di decidere per qualcun altro, e ancora
meno di togliere la vita a qualcuno.
Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, sono stati uccisi 13.000 civili, 618 bambini, e oltre 1817 sono stati feriti.
Il maggior numero di vittime tra i bambini è stato registrato nelle seguenti regioni:
Donetsk - 633,
Kharkiv - 470, Dnipropetrovsk - 203, Kherson - 202, Zaporizhzhia - 170, Kyiv - 136, Mykolayiv - 118.
Le anime delle vittime civili, dei nostri soldati e soldatesse, e soprattutto dei bambini, ora sono in cielo, accanto a Dio. Ora sono immortali, sono liberi, sono in Paradiso.
Dio, abbi misericordia!
Dio, difendi il popolo che soffre nella sua terra.
Dacci la forza di superare questa prova.
Ti preghiamo, Dio, di avvicinare i nemici alla tua luce, di far loro capire come vivere in pace, in accordo con Dio, mostraci loro la strada giusta.
Ci inchiniamo a te, Gesù, figlio di Dio!
Proteggi la nostra Patria dagli invasori. Mandaci la tua benedizione! Amen.
Alla


9 agosto
In festa per san Carpoforo
La celebrazione eucaristica e il concerto serale hanno caratterizzato il tradizionale appuntamento estivo.
Anche quest’anno la festa di san Carpoforo, celebrata il 9 agosto anziché il 7, è stata bella e partecipata, grazie anche alla splendida giornata di sole. La festa si è aperta con la S. Messa solenne delle ore 18, concelebrata da don Giusto, don Alberto, don Maurizio Mosconi e padre Zeno Carcereri, cappellano del Carcere del Bassone, e animata dalle corali unite di Camerlata e Rebbio: l’ambiente raccolto di San Carpoforo ispira particolarmente al raccoglimento e alla preghiera. Le corali si erano molto preparate, nonostante il periodo estivo, ci tenevano a fare bella figura ed hanno accompagnato delicatamente la liturgia.
Al termine della celebrazione, don Giusto ha richiamato l’attenzione sulla situazione di Gaza, chiedendo a tutti una presa di coscienza. Finita la messa, nel chiostro messo a disposizione come di consueto dalla suore dell’Assunzione, era allestito un gradito e ben rifornito rinfresco preso d’assalto dai festanti ed affamati fedeli. Un ringraziamento speciale al gruppo agguerrito di volontarie e volontari che si sono prodigati nella preparazione di cibo e vivande.
Nel mentre, in basilica si svolgeva una visita guidata a cura dell’Ufficio diocesano di Arte Sacra, nella persona della gentile e preparatissima dott.ssa Beatrice Pizzi, che ha svelato i gioielli nascosti come la cripta, la sacrestia e gli affre -
schi delle cappelle: così gli amanti della cultura si sono potuti riempire, se non la pancia, almeno gli occhi di bellezza. Alle ore 21 l’ormai tradizionale concerto, nell’ambito della rassegna musicale “Voci e suoni nel Silenzio” ideata da don Saverio Xeres e continuata ora da un gruppo di volenterosi, in collaborazione con il Firmamento Musicale del Duomo grazie ai buoni uffici di don Nicholas Negrini: un trio di giovani musicisti, solisti dell’orchestra da camera di Brescia (Alessandro Zilioli al pianoforte, Filippo Ghidoni al violino e la cantante Chiara Scannapieco) hanno proposto il concerto “Sogni e visioni” con un repertorio di musica da camera del maestro Marco Enrico Bossi, nella ricorrenza dei 100 anni dalla sua morte. Erano presenti anche Luca Colardo, organizzatore del Festival Marco Enrico Bossi di cui il concerto è una tappa, e sua moglie Sandra Conte, coppia di musicisti che speriamo di apprezzare presto dal vivo. Grande partecipazione di pubblico, entusiasta per la performance. Una bella giornata insomma, dove è stato importante vedere collaborare con entusiasmo Camerlata e Rebbio. San Carpoforo, il “portatore di frutti”, evidentemente continua a dispensarne…
Giorgio Magrini


Dal Giubileo dei Giovani
Giovane speranza in cammino
Con la Diocesi, da Como a Roma: un’esperienza intensa e indimenticabile.
Sono partita per questo Giubileo, meno giovane tra i giovanissimi, con tante domande e pochissime aspettative, per provare ad affidarmi con curiosità e coraggio all’opera del Signore che stupisce sempre, “Dio dell’impossibile” (citando il canto più suonato e cantato dai pellegrini). E così, entusiasta, ma allo stesso tempo incerta, mi sono caricata il mio zainone sulle spalle, con la fame di Verità e il desiderio di respirare Dio e l’Amore nell’incontro con il cuore degli Altri. Un incontro generazionale e un vero e proprio viaggio della Speranza: un cammino intenso, difficile da spiegare, indimenticabile e infinito da raccontare, fatto di sguardi di intesa, attenzioni speciali, abbracci calorosi, risate energetiche, condivisioni inaspettate, tutto stupefacente nella sua potente bellezza. Abbiamo raggiunto Roma e il Papa dopo alcune tappe (Ravenna, Gubbio e Assisi), in cui Dio si è reso tangibile nella bellezza artistica, nelle testimonianze ascoltate, nell’ospitalità vissuta e in cui io e tanti altri siamo germogliati ogni giorno un po’ di più, non solo grazie agli esempi dei futuri santi Carlo Acutis e Pier Giorgio Frassati, ma, soprattutto, grazie ai testimoni di carità quali sono stati i compagni, i sacerdoti, i volontari… Da sconosciuti o quasi siamo diventati, passo dopo passo, responsabili gli uni degli altri, fratelli, sorelle, amici che si sono accolti così com’era-
no, che hanno condiviso tanta gioia, che si sono sostenuti nei chilometri percorsi con fatica, curandosi il cuore a vicenda e costruendo insieme, come pietre vive, la fraternità, nel segno delle parole pronunciate dal Cardinale Zuppi in una Piazza San Pietro avvolgente: «L’importanza di ogni pietra non è mai di essere isolata, ma è se stessa quando è insieme». In tutto ciò Gesù sempre con noi, amico discreto e gentile che ha accolto le nostre fragilità e preghiere e le nostre invocazioni di amore e pace per il mondo. Il culmine è stato l’incontro con papa Leone XIV, timidamente curioso, ma toccante come la sua elezione. L’arida vegetazione della spianata di Tor Vergata è fiorita con noi nelle sue parole miti, ma solide e profondissime e nella comunione con gli altri e Gesù. Nel silenzio assordante della Veglia e nei canti della Santa Messa abbiamo appoggiato il nostro cuore sulle mani di Gesù, rigenerandoci nel suo Amore. Ora il compito più difficile: trasformare la nostalgia in vita, «non vivacchiare ma vivere», concimare il cuore di Bene e continuare a nutrirsi dell’amicizia con Gesù, trovare, uniti a Lui, amicizie autentiche, «diventare compagno di cammino per chiunque mi incontrerà» e sperare, in Gesù, che i legami diventino stabili e duraturi, avendo come stella polare le parole con cui ci ha lasciato papa Leone: «Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque

siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo. […] Un altro mondo è possibile con l’amore di Cristo, un mondo in cui i conflitti non vengano risolti con le armi, ma con il dialogo. […] Portate questa gioia, questo entusiasmo a tutto il mondo.
Voi siete sale della terra, la luce del mondo: portate questo saluto a tutti i vostri amici, a tutti i giovani che hanno bisogno di un messaggio di speranza. […] Continuiamo a sognare insieme, a sperare insieme!».
Marta Chiaroni
Calendario liturgico
Comunità Pastorale Rebbio-Camerlata
domenica 28 settembre
Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato
domenica 12 ottobre
Festa di San Felice, primo Vescovo di Como - a Camerlata
ore 10.00: S. Messa concelebrata: festa anniversari di matrimonio
domenica 19 ottobre
Giornata Missionaria Mondiale
sabato 1 novembre
Solennità di Tutti I Santi
SS. Messe come da orario festivo - a Rebbio
ore 14.30 canto dei vespri; segue processione al cimitero e preghiera per tutti i defunti della Comunità; - al cimitero di Camerlata
ore 15.00: preghiera per tutti i defunti, con le parrocchie di Albate, Muggiò e S. Antonio.
domenica 2 novembre
Commemorazione dei defunti
domenica 16 novembre
Festa Patronale di San Martino, a Rebbio

Anagrafe parrocchiale
Ci
hanno
preceduto nella Casa del Signore
PASTORE
Adjei Dapaah
Pesenti Mario
Bianchi Angela
Stella Emanuela
Buzzi Ilvana
Molteni Umberto
Roda Silvia
Rebbio 3 Tarca Anita
Pizzuti Mafalda
Zacco Giorgio
Uniti nel sacramento del matrimonio Rebbio 23 Passalacqua Mario
Pescio Roberto
Meschini Liliana 44 Cipriani Brunella
Borrini Stefania 46 Dettori Salvatorica Camerlata
3 Facchini Graziana 4 Bianchi Leonilde
Bassi Maddalena 41 Cattaneo Giorgio
5 Bettina Silvana
Battezzati nella Fede della Chiesa e dei Genitori
Riccardo Malissa Pereia
Roncoroni Ginevra
Librada Mhatilde 6 Murrone Noah Sabatino
Jayasurya Kurange
Rebbio
1 Roda Sandro e Fetisoya Yulia
2 Osei Nathanael e Boateng Berenice
3 Pianura Salvatore e Correale Maria (celebrato a Cava dei Tirreni)
12 Casarico Chiara Camerlata
1 Gervasoni Beatrice
Camerlata (Celebrati a San Carpoforo)
1 Taiana Marco e Fanara Miriam
2 Di Graci Alessandro e Gervasoni Giorgia
3 Maffioli Tommaso e Bianchi Alessandra
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