

alum a P ielDan bo ome r a p L ssa samu lde ai r


La citazione di Uesugi Kenshin nell’esergo è tratta da: Mario Polia, L’etica del Bushido. Introduzione alla tradizione guerriera giapponese, tr. di Mario Polia, Il Cerchio Iniziative Editoriali, 2008.
Gli haiku che costituiscono l’incipit di ognuna delle quattro parti in cui è diviso il racconto sono tratti da: Un albero un’erba di Momoku Kuroda, tr. di Tadao
Araki e di Michiko Nojiri. Versione poetica italiana di Carla Vasio, Edizioni Empirìa, 1995. Elementi grafici: Maria Elena Naggi
PAOLINE Editoriale Libri
© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2025
Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it • www.paolinestore.it edlibri.mi@paoline.it
Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)
ISBN 978-88-315-5842-6
Anche una vita generosa non è che una coppa di sakè. Una vita di quarantanove anni passata in un sogno. Vita e morte non so cosa siano. Passano gli anni. Tutto è un sogno, i cieli e gli inferni sono lasciati indietro.
Sto nell’aurora, nella luce della luna libero dalle nubi dell’attaccamento.
Uesugi Kenshin

E R AV M R I P
a br m o se nt amo r l t e E n lo ndu e o p gi ilie l c e i ch
L M I
L S E O D I IC F E L A
ENTE P R E L

Ia d r o e osc l b
t ret n f o i ui o b at ivent a
vanzava o a ikujir . K a , a amente lent
l s o i s er a p vev , a
i a a d av sembr in à m l’oscurit
o e a o entier
o a pir es o r u l s e i fondar f i a
nd a a ovev a d . M nacciosa
o a a l Moriyam s il adipendev
oss n p «No i b
li o g ass i p gn o o r ent o d fannat fa oritomo . Y vanti e a dar
i S o d astell a al c av t pet s .destino suo
ai amur al s a e d g u ur i
o fe oss n p . No mi mar r o fe
ipeteva » r mi! mar r o bb it e ossessivamen
e Y h . S é e f t
r un ato llerto
a c apev a s r do. ar rit
r o e osc l b I
i al gl é a i n un as , b reda a p l
rebbe v n a o o n oritom e
i d t at i e g up i l o d ien a p
gli é a , n agna ont i m d ndividuare r i
e e p uc a l a l rev ccor i o r t
o ikujir . A K ’odore a l av t
agliore l b , i nvece , i
r o e n or l gi de e fe ov , d a sicur
er r c e e p lpensabi ndis a i is o r ui l b n i o . C si mar r e
a t ot r a g n e u rcar si ovar r it i r a d schiav
cc e a mir or a d . S camminare
ericol i p nquilin o a i cant
glio e . M osi
l s e i ovar r it i r o d and per .
o s t at r n t A u
e n h o c usci r n f ì u ent
o. entiers
iente a n vev n a o
a che vedere con i suoi passi. Si fermò e restò immobile. Un movimento fulmineo sollevò le foglie accanto a lui: c’era un serpente. Ed era vicino. Kikujiro impugnò svelto la katana che gli aveva regalato suo padre Takeshi e cominciò ad assestare fendenti al terreno intorno a sé, sperando di colpire il rettile. A quel punto però non era saggio aspettare di capire se lo avesse colpito. Velocemente riprese ad avanzare, ma si fermò subito: qualcosa di molle si era posato sul suo piede.
Lo tirò su con la punta della spada e se lo avvicinò al viso. Nell’oscurità gli occhi del rettile lo sfidavano. All’improvviso l’animale spalancò la bocca. Kikujiro non se lo aspettava, rimase immobile a guardarlo e a quella distanza vide i denti che portavano il veleno. Erano più lunghi degli altri, come quelli di un drago, pronti a iniettare la morte. Un istante prima che sferrasse l’attacco, Kikujiro lo lanciò lontano. Gettare via un serpente dopo averlo tagliato in due era sinonimo di maleficio: da quel momento doveva temere la sua vendetta.
Si rimise in cammino. Da quando era calato il buio aveva la sensazione di essere spiato, seguito. Di tanto in tanto si fermava, cercava un’ombra nel buio, aspettava un rumore, un segnale di vita. Niente. Quel silenzio
lo inquietava, sapeva ciò che nascondeva.
La notte sarebbe durata ancora a lungo: Kikujiro percepiva il groviglio di vita che pullulava sotto e sopra di lui, gli sguardi diffidenti che controllavano il suo passaggio per valutare se l’estraneo poteva costituire un pericolo. A un tratto, incontrò due occhi che luccicavano nel buio. Non era un altro essere umano.
Un lupo forse, o un gatto di montagna. Occorreva valutare velocemente come agire.
Qualunque cosa fosse, stava di fronte a lui. Lo aspettava.
“Devo proseguire. Se non si sentirà minacciato da me, posso farcela” pensò. Se invece l’altro l’avesse aggredito non gli restava che difendersi con la spada.
Sì, non aveva scelta. Doveva andare avanti. La fuga era inutile. Vedendolo tornare indietro l’avversario
l’avrebbe inseguito, ma lui non poteva competere in velocità.
Continuò a camminare. Vide che l’animale era adagiato a terra. Forse era ferito. Quando fu più vicino capì che era un lupo. Meglio così, pensò. Fra i due, il gatto di montagna è più pericoloso. Gli passò accanto lentamente, facendo attenzione a evitare movimenti bruschi. L’animale non si mosse.
Ormai era piuttosto lontano. Respirò a fondo. Ce l’aveva fatta!
Se Yoritomo l’avesse visto superare il lupo senza esitare, forse gli avrebbe concesso di percorrere la Via della Spada, accanto a lui. Fece appena in tempo a pensarlo che, all’improvviso, si sentì afferrare da dietro. Non era finita. L’animale gli aveva agguantato con la bocca un pezzo dei larghi pantaloni di canapa. Lo tratteneva. Strano, non lo aveva sentito arrivare.
Ricominciò a valutare le opzioni. Se il lupo avesse voluto aggredirlo lo avrebbe già sbranato. Invece si limitava a stringere fra i denti un lembo di stoffa dei suoi calzoni, tirandoselo dietro. Voleva che Kikujiro lo seguisse. Chi avrebbe osato rifiutare? Il lupo lo trascinò fino all’ingresso di una caverna, dove il buio era più fitto e impenetrabile di quello del bosco.
Una volta dentro, l’animale lasciò la presa, poi gli si affiancò e cominciò a spingerlo con il muso. Kikujiro capì che voleva farlo sedere. Era uno strano lupo, silenzioso ma determinato.
A un tratto avvertì altre presenze nella grotta, si voltò e vide tanti piccoli luccichii nel buio. C’erano almeno una decina di lupi. Stavano fermi e lo guardavano: pregustavano il banchetto?
Kikujiro ebbe un sussulto, il fiato era diventato corto. Cosa poteva fare contro un branco di lupi? Be’, almeno aveva la sua katana, non sarebbe stato il solo a soccombere.
Poi accadde qualcosa: il lupo che lo aveva spinto nella grotta emise uno strano ululato, come un lungo richiamo. Tutti gli animali andarono all’entrata della caverna, accanto al loro capobranco.
Kikujiro non si mosse mentre i lupi cominciarono a ringhiare in direzione del bosco. Incuriosito, il ragazzo si allungò per guardare fuori e intravide le sagome di altri animali. I loro occhi brillavano nella notte come piccoli fari.
Erano gatti di montagna. Kikujiro capì che i lupi lo stavano proteggendo.
Sembrava incredibile, eppure doveva essere proprio così. La paura lo abbandonò e cominciò a sentirsi al sicuro nella grotta. Poi si addormentò, esausto.
La mattina dopo tutti gli animali erano scomparsi; si ritrovò solo nella caverna. Anche i gatti di montagna non c’erano più.
“Quel lupo doveva essere un kami, uno spirito divino” intuì Kikujiro. “Mi ha protetto dal maleficio del serpente. Adesso posso riprendere la strada per il castello”.
Camminava da un’ora quando fu investito da un vento improvviso. Soffiava così forte da sollevare le radici degli alberi. Kikujiro non riusciva ad avanzare, la sua volontà non bastava a contrastare quella forza della natura che lo spingeva con violenza, come se volesse risucchiarlo nel suo gorgo.
Non si trattava di un vento qualsiasi, pensò, ma del kitsune no kaze! Doveva resistere: essere travolti dal vento della volpe significava ammalarsi gravemente.
Ancora la vendetta del serpente! Prima i gatti di montagna e adesso il vento... Si sarebbe manifestato un altro kami a proteggerlo?
Ma non accadde niente. Stavolta doveva cavarsela da solo. Intanto, il vento si gonfiava e diventava più forte.
Trovò riparo vicino a un albero con il tronco possente; le radici erano ancora sottoterra, l’albero era ben saldo. La mente del ragazzo era tutta concentrata nel controllo del corpo, ogni muscolo doveva essere teso verso terra: sarebbe bastato un istante di distrazione e quella bufera lo avrebbe sollevato come un filo d’erba.
Ma quanto tempo poteva resistere?
A un tratto il suono del vento cambiò. Il soffiare impetuoso si trasformò in un fragore che percuoteva
la terra e il cielo, spostando le nuvole e facendo tremare le montagne. Improvvisi boati si alzavano dalle viscere della terra. Piante e animali, ogni cosa era ammutolita dalla violenza del kitsune no kaze.
Kikujiro la sentì arrivare ma non fece in tempo a fermarla: la sensazione di impotenza lo inghiottì, salì dallo stomaco e gli si fermò nella gola.
“Non ce la farò mai” pensò. Il panico durò un istante, sufficiente però a fargli abbassare la guardia. Come in uno scontro frontale, il nemico intuì la debolezza e scatenò l’attacco. Il vento lo rapì scaraventandolo addosso a un enorme cedro.
Kikujiro si svegliò con il corpo dolorante, come se fosse finito davvero contro un albero. Sudato, il respiro affannato, faceva fatica a pensare di non essere in quel bosco oscuro.
“Accidenti!”. Il cuore gli batteva ancora forte.
“Non è certo di buon auspicio un simile incubo. Domani partirò con Benkei e incontrerò Yoritomo. Tutto il mio futuro dipende da questo viaggio. E se il sogno fosse un presagio di sventura?”
Dall’incubo affiorò il ghigno maligno del serpente, messaggero di vendette. Un brivido gelido gli attraversò
la schiena e giunse fino al cuore. Qui, Kikujiro trovò l’antidoto al veleno che si stava insinuando dentro di lui, facendogli perdere la fiducia in sé stesso.
«Ricorda, spirito maligno» disse, tornando al suo proverbiale buonumore, «nessun maleficio intralcerà il cammino verso il mio destino di samurai!».
I o 1595 nn A
TL S
AK I T O D T E EGR
L I - SHI E K

i o m dfi f i a
a S ell a d i a V l
ik . K enkei , B glio o fi im
er o p ront o è p ujir
i t oss e f h i c re or . V pada a
i S o d astell al c iyama».Mor
e l h i c a u s «T
é t h M
tarlo cor u a s t
e i ontrarnc r i e a p urug
oritomo i Y amura l s e akeshi. , T di li i m ti a t erch a p ccomp i a potra
hied o c e l e m ò s ar o f e
i s o t d ? Q t t a f t
e i s uand ta ret nt ikuji o K tess u s e t pagnar ero». e app ? S io o m mic , a entirci
eglio entira
iò o c uant o q . S iro
e fi enderebb i r t é m «Perch o è fi emp o t i l m i ».mogli ger
i n am i r ie i m u . S nito o
he bi c ntram o e piam uovi o n ascerann n n on
o b onac l m I
i M enke n B e a z uddhist o
uardava i g unemorM
o T preoccupat
i a uarantase : a q akeshi o
embrava i s nna
a , f ecchio n v u
e e d arlar a a p atic a f acev
ra i e orn a gi e
e o a l t costret
o r otut e p vrebb i a h . C to et
uel n q e i iconoscer
contadino morente il più temuto samurai di Takasaki, nella provincia di Kozuke? Nessuno, oltre lui, conosceva il segreto di Takeshi.
«Kikujiro ha quattordici anni ma è inesperto, non ha mai viaggiato» continuò Takeshi. «Da solo sarebbe in pericolo, Benkei. Quando arriverete al castello nella provincia di Suruga, chiederai di essere ricevuto da Yoritomo Moriyama: è lui il capo dei samurai al servizio del daimyo Nabeshima Soho, il signore del palazzo. A Yoritomo darai la lettera che ho scritto per lui e in quell’occasione conoscerà mio figlio: lo accoglierà con benevolenza, ne sono certo. È un samurai d’onore e io gli ho salvato la vita. Non può ignorare la mia supplica».
«Cosa chiedi a Yoritomo nella lettera? Posso saperlo, Takeshi?»
«Vorrei che accogliesse Kikujiro come un figlio, così tutti dimenticheranno che è un contadino. Solo se lui lo adotterà, potrà sperare di percorrere la Via della Spada e diventare un samurai. È il sogno di Kikujiro».
«Sì, me lo ha confidato tante volte» disse con tenerezza il monaco.
Takeshi sorrise all’amico con riconoscenza. In quell’istante una smorfia di dolore gli attraversò
il viso. La malattia avanzava in fretta.
Nonostante il monaco credesse che la morte fosse solo una delle innumerevoli trasformazioni della vita dell’uomo, sentiva nel suo cuore il vuoto che avrebbe lasciato l’amico.
Lui e Takeshi si erano conosciuti più di dieci anni prima in un villaggio di contadini, nella provincia di Kai.
Takeshi e la sua famiglia vi avevano trovato rifugio dopo che il samurai aveva abbandonato il daimyo del territorio di Kozuke.
Benkei, invece, era nato in quel piccolo villaggio dove conosceva tutti. Il giorno in cui aveva visto il nuovo arrivato, aveva capito subito di trovarsi davanti a un samurai. La fierezza del portamento, le parole espresse con il tono deciso e misurato di chi è abituato al comando non gli avevano lasciato dubbi. Sebbene
Takeshi fosse vestito da contadino, lui non si era fatto ingannare.
Già da allora, Benkei era maestro del tè del daimyo Genjo Hosoe, viveva nel suo palazzo e conosceva bene i samurai.
Perché un guerriero così nobile era fra i contadini? Cosa nascondeva? Benkei non riusciva a spiegarselo, ma Takeshi gli ispirava fiducia, anche se sul suo volto
leggeva inquietudine. Dal loro primo incontro, ogni giorno nascevano nuovi semi d’intesa, eppure ci vollero due anni perché Takeshi raccontasse al monaco il motivo dell’esilio al quale aveva scelto di andare incontro. Quel segreto li unì ancora di più.
E ora, l’amico, il fratello, il maestro o il discepolo, secondo le prove della vita, lo stava lasciando.
«Benkei, ricorda» diceva intanto Takeshi. «Kikujiro non sa del mio passato da samurai. Quando gli ho detto che conoscevo il grande Yoritomo ho letto nei suoi occhi un profondo stupore. “Che cosa c’entra un povero contadino con un samurai così potente?” deve essersi chiesto. Gli ho detto che da giovane ho salvato la vita a Yoritomo, rimasto ferito in un agguato. Credendolo senza vita, i suoi assalitori lo avevano abbandonato sulla riva di un torrente dove io l’ho trovato e poi curato.
In fondo, non è così lontano dal vero...»
«Stai tranquillo, Takeshi, non parlerò». Poi il monaco aggiunse: «Non te l’ho mai chiesto, ma, dimmi, sei stato tu a spingere Kikujiro a voler diventare un samurai?».
«No. Anzi, all’inizio non volevo. Ma è inutile opporsi a ciò che è scritto. Però non voglio che mio figlio porti il peso del mio passato. Non è pronto».
«Prima o poi dovrà sapere» disse Benkei.
«Lo so. Questa lettera è per lui» rispose Takeshi porgendo una busta chiusa all’amico. «Qui ho scritto tutto. La consegnerai a Yoritomo solo se accetterà di tenere con sé mio figlio. Sarà lui a darla a Kikujiro quando sarà diventato un guerriero: Yoritomo saprà decidere il momento giusto, lui conosce la mia storia fin dal principio. Un tempo io e lui siamo stati come fratelli. Abbiamo avuto in comune un grande maestro di spada. L’ultima raccomandazione è per te, Benkei: fai attenzione, ho sentito di molti agguati negli ultimi tempi sui confini della nostra provincia. Voglio vederti tornare presto, amico mio, mi piacerebbe prendere ancora il tè insieme a te nella sukiya».
Seduto accanto al futon dove Takeshi era sdraiato, Benkei guardò verso la sukiya, la stanza del tè che, insieme, avevano ricavato nell’umile capanna. Fino a qualche settimana prima, quando Takeshi riusciva ancora a stare in piedi, loro due vi si ritiravano per la cerimonia del tè. Lì Takeshi aveva imparato a dominare la nostalgia del tempo passato e ad apprezzare la pace interiore che quei momenti gli infondevano. Ma anche Benkei, nel silenzio della semplice sukiya contadina, fuggiva il clamore del cerimoniale ufficiale alla corte del
daimyo e godeva della compagnia dell’amico. I momenti di meditazione più intensi li ricordava proprio lì, immersi nei rispettivi silenzi. In quel luogo speciale entrambi si sentivano in armonia con le persone e la natura, la loro intesa non aveva bisogno di parole.
«Mi metterò in viaggio oggi stesso, Takeshi» disse Benkei. «Non temere per noi. Ho avuto il permesso di allontanarmi dal daimyo Genjo e ho ottenuto anche il lasciapassare per Kikujiro. Giungeremo nella provincia di Suruga entro pochi giorni. Se Yoritomo ci riceverà subito, sarò di ritorno prima della luna nuova. Non avere dubbi: tuo figlio diventerà un samurai valoroso, come te. Adesso ti lascio, amico mio, devi salutare Kikujiro.
So quanto dirgli addio porti dolore al tuo cuore, ma non temere: come il soffio del vento tra i rami dei pini non cambia il suo mormorio con il tempo, così il legame che vi unisce non potrà mutare con la distanza».
Con le poche forze rimastegli, Takeshi strinse forte la mano dell’amico che uscì dalla capanna lasciando il posto a Kikujiro.
Dalla morte di mamma Murasaki, avvenuta cinque anni prima in seguito a una caduta da cavallo, Kikujiro aveva sempre vissuto solo con il padre.
Il loro legame si era rafforzato con gli anni. In suo
figlio, Takeshi rivedeva sé stesso da giovane. Ma non solo. Guardandolo entrare, Takeshi fu grato a sua moglie Murasaki. Negli occhi lunghi e stretti del figlio, che lo scrutavano ansiosi, ritrovò la generosità e la bontà della donna coraggiosa che lo aveva seguito nel suo destino di ultimo. Il corpo agile e forte era di Takeshi, e così il modo in cui Kikujiro camminava, con fierezza, a testa alta, come un guerriero.
Ma l’eredità di mamma Murasaki era ben più importante. Erano le qualità che Takeshi non aveva mai cercato dentro di sé.
«Padre, Benkei mi sta aspettando» disse Kikujiro inginocchiato vicino al giaciglio fatto di paglia e canapa, «ma non sono più certo di voler partire. Fino a questa mattina sarei stato felice di iniziare la Via della Spada, ma in questo momento ho tanti dubbi.
Sono solo un contadino... e se dentro di me stessi coltivando un’illusione? E poi non è il momento adatto per andarmene. Tu ci sei sempre stato e ora hai bisogno di me».
Il padre non lo lasciò continuare. Il cuore di Kikujiro era ancora come quello di un cucciolo, ma a quattordici anni era tempo che cominciasse a camminare con passi di adulto. Takeshi sapeva che Kikujiro avrebbe dovuto
fare un enorme sforzo di volontà perché la disciplina del guerriero si imponesse sulla sua docile natura. Era già grande per iniziare la Via della Spada, lui stesso aveva cominciato a dodici anni. Ma Kikujiro aveva una grande forza d’animo e un cuore che guardava la vita con allegria e ottimismo, proprio come mamma Murasaki. Ecco perché poteva farcela.
«Capisco le tue preoccupazioni. So che non vorresti lasciarmi ora, Kikujiro. Io però non ho bisogno di te».
La voce di Takeshi era debole, ma ferma. «La mia gioia più grande oggi è vederti andare. Parti, figlio, te lo ordino. Verrai a trovarmi quando sarai diventato un samurai, non prima, ricordalo».
Kikujiro abbracciò il padre. Era tormentato, aveva il presentimento che non lo avrebbe rivisto. Ma non disse niente e obbedì. Uscì per raggiungere il monaco e partire.
Indice
PRIMAVERA
1. Il maleficio del serpente pag. 9
2. Il segreto di Takeshi - I
Anno 1595 » 17
3. Atsuhime » 25
4. Yoritomo Moriyama » 32
5. La prima volta nel dojo » 39
6. La prova delle Dieci Frecce » 48
7. Chi guarda dall’alto trova la via » 58
8. Il segreto di Takeshi - II
Anno 1582 » 68
9. La decisione di Yoritomo » 91
ESTATE
10. Fudoshin, il dominio di sé stessi » 103
11. La Festa delle Stelle » 111
12. Il kamidana: conosci te stesso » 125
13. Il pretendente pag. 131
14. Dimenticare la mente » 146
AUTUNNO
15. Kikujiro deve partire » 157
16. L’addio » 164
17. Il segreto di Takeshi - III Anno 1582 » 168
18. Un silenzio è uguale a un addio » 184
19. La strategia di Kikujiro » 195
20. Nel palazzo di Josuke Hakone » 204
21. Kikujiro il guerriero » 211
INVERNO
22. Ishida » 225
23. Lo shugenja della montagna » 231
24. Nagamasa cerca Atsuhime » 236
25. Incontri » 238
26. L’agguato dei ronin » 249
27. Ikko ritrova Atsuhime » 258
28. La lettera di Yoritomo » 270
Ringraziamenti » 279
Glossario del samurai » 281



Compra On Line